XIX Legislatura

Commissioni Riunite (V Camera e 5a Senato)

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Giovedì 2 marzo 2023

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 3 

Audizione, in videoconferenza, del Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni – Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE (COM(2022)583 final ) (ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del Regolamento) :
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 3 
Giorgetti Giancarlo (LEGA) , Ministro dell'economia e delle finanze (intervento da remoto) ... 3 
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 9 
Scerra Filippo (M5S)  ... 9 
Bagnai Alberto (LEGA)  ... 10 
Marattin Luigi (A-IV-RE)  ... 11 
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 11 
Marattin Luigi (A-IV-RE)  ... 11 
Lucaselli Ylenja (FDI)  ... 14 
Pagano Ubaldo (PD-IDP)  ... 14 
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 15 
Guerra Maria Cecilia (PD-IDP)  ... 15 
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 16 
Giorgetti Giancarlo (LEGA) , Ministro dell'economia e delle finanze ... 16 
Mangialavori Giuseppe Tommaso Vincenzo , Presidente ... 19

Sigle dei gruppi parlamentari:
Fratelli d'Italia: FdI;
Partito Democratico - Italia Democratica e Progressista: PD-IDP;
Lega - Salvini Premier: Lega;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Berlusconi Presidente - PPE: FI-PPE;
Azione - Italia Viva - Renew Europe: A-IV-RE;
Alleanza Verdi e Sinistra: AVS;
Noi Moderati (Noi con L'Italia, Coraggio Italia, UDC e Italia al Centro) - MAIE: NM(N-C-U-I)-M;
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-+Europa: Misto-+E.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DELLA V COMMISSIONE
DELLA CAMERA DEI DEPUTATI
GIUSEPPE TOMMASO VINCENZO MANGIALAVORI

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche mediante la resocontazione stenografica e la trasmissione attraverso la web-tv della Camera dei deputati.

Audizione, in videoconferenza, del Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni – Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE (COM(2022)583 final ).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, in videoconferenza, innanzi alle Commissioni Bilancio congiunte della Camera e del Senato, del Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, nell'ambito dell'esame della Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, alla Banca centrale europea, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni – Comunicazione sugli orientamenti per una riforma del quadro di governance economica dell'UE (COM(2022)583 final).
  Do la parola al Ministro dell'economia e delle finanze, Giancarlo Giorgetti, che ringrazio fin d'ora per la partecipazione alla seduta odierna.

  GIANCARLO GIORGETTI, Ministro dell'economia e delle finanze (intervento da remoto). Mi scuso perché purtroppo ho un piccolo inconveniente fisico e sono costretto a ricorrere al video collegamento. Vi ringrazio e saluto ovviamente i presidenti e i colleghi.
  A oltre tre anni dall'avvio della discussione sulla riforma della governance europea, sospesa a seguito dell'attivazione della clausola di salvaguardia generale, prevista per fronteggiare le conseguenze della pandemia da COVID-19 e riavviata nell'ottobre del 2021, lo scorso novembre la Commissione ha presentato una Comunicazione con la quale intende dar luogo a un confronto che dovrebbe portare, nel minor tempo possibile, alla definizione di proposte legislative e, successivamente, all'approvazione delle stesse in tempo utile per consentire la loro applicazione a partire dal 2024. La presidenza svedese dell'Unione europea intende raggiungere un accordo politico di massima su alcuni punti della proposta, in occasione del prossimo Consiglio Ecofin di marzo.
  Non è la prima volta che si torna a modificare il quadro di regole del Patto di stabilità adottato nel 1997 ed entrato in vigore nel 1999: importanti modifiche al suo impianto sono state adottate nel 2005, nel 2011 e, infine, nel 2015, partendo proprio dai limiti evidenziati nei primi anni di applicazione, dalle critiche della dottrina e dalla necessità di rafforzare il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. Ogni riforma del quadro di governance prende avvio dalla definizione degli Pag. 4obiettivi, per poi individuare gli strumenti e le regole necessarie a realizzarli.
  La proposta della Commissione che stiamo esaminando è finalizzata a creare condizioni adeguate a rispondere alle sfide attuali, che consentano di ridurre gli elevati debiti pubblici in modo realistico, graduale e duraturo e di promuovere al contempo la crescita sostenibile e inclusiva, attraverso investimenti e riforme, in particolare quelle necessarie a garantire le transizioni verde e digitale. Nelle intenzioni della Commissione il nuovo quadro fiscale dovrebbe garantire una maggiore semplicità e un'applicazione più efficace. La realizzazione delle finalità indicate richiede di raggiungere, in sede di negoziazione, il più ampio consenso possibile.
  Come argomenterò meglio nel corso del mio intervento, la proposta contiene una serie di intenzioni positive che consistono nel conciliare sostenibilità delle finanze pubbliche e crescita economica, adottare un orizzonte di programmazione pluriennale, migliorare la titolarità nazionale delle regole di bilancio, basare la sorveglianza fiscale su un indicatore operativo unico incentrato sulla spesa primaria netta, migliorare la sorveglianza macroeconomica, rafforzandone l'analisi prospettica per valutare tempestivamente l'evoluzione dei rischi, nonché estendere il focus della dimensione europea degli squilibri per cogliere gli effetti di ricaduta tra Stati membri.
  A seconda di come queste intenzioni verranno effettivamente confermate nel contenuto delle nuove regole, il nostro assetto politico-istituzionale dovrà rivedere le modalità finora seguite nella programmazione e nella gestione delle politiche macrofiscali, per continuare il percorso già intrapreso con il Piano nazionale di ripresa e resilienza e basato, in primo luogo, sulla selezione di priorità per il Paese da mantenere nel medio termine, sulla maggiore attenzione alla fase di attuazione rispetto alla quale verremo valutati e, infine, sulla maggiore capacità di programmazione di bilancio.
  Nelle scorse settimane avete già avuto modo di audire autorevoli esperti che hanno ampiamente analizzato i vari aspetti della proposta. Nella mia esposizione fornirò una rapida rassegna delle principali innovazioni per poi esprimere alcune valutazioni.
  La proposta della Commissione non modifica i parametri di riferimento inseriti in uno dei Protocolli annessi al Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Restano, infatti, inalterati sia il limite del 3 per cento previsto per il rapporto tra deficit e PIL sia quello del 60 per cento relativo al rapporto tra debito e PIL. La sorveglianza di bilancio annuale viene semplificata dalla previsione di un indicatore operativo unico, la spesa primaria, che esclude i pagamenti per interessi, al netto della componente ciclica della spesa per i sussidi di disoccupazione e della variazione delle entrate derivanti da misure discrezionali. L'andamento di tale aggregato sarebbe definito in modo da assicurare che il debito evolva secondo un profilo di riduzione sostenibile rispetto al PIL o che rimanga su livelli prudenti e che, inoltre, il disavanzo sia inferiore al limite del 3 per cento. Se tale proposta venisse portata avanti e si raggiungesse un accordo per la sua adozione, ne risulterebbe un impianto nel quale non sarebbero più operativi la regola di riduzione di un ventesimo all'anno del debito in eccesso, rispetto al limite del 60 per cento del PIL, il riferimento all'obiettivo di medio termine previsto dal braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita e la matrice che collega lo sforzo fiscale annuale al livello di debito e alle condizioni cicliche degli Stati membri indipendentemente dalle specificità di ogni Paese.
  La proposta pone una maggiore enfasi sulla riduzione del debito in rapporto al PIL. In particolare, gli Stati membri saranno suddivisi in tre categorie di rischio, elevato, moderato e basso, sulla base di un'analisi della sostenibilità del debito, la cosiddetta DSA, della Commissione, che provvederà a renderla pubblica. Gli esiti dell'analisi permetteranno alla Commissione di individuare e rendere pubblico un percorso di aggiustamento pluriennale dell'aggregato di spesa di riferimento, il cosiddetto reference path, per gli Stati membri con rischio sostanziale o moderato. Questi Stati dovranno a loro volta proporre Pag. 5dei piani nazionali di bilancio e strutturali a medio termine, contenenti misure tali da assicurare sia una crescita sostenibile e inclusiva sia una plausibile continua riduzione del debito o, almeno, una sua stabilizzazione a livelli prudenti. I piani, che si prevede avranno una durata di quattro anni, dovrebbero essere coerenti con il reference path, andrebbero concordati con la Commissione e approvati dal Consiglio. Una volta approvati, saranno il perno della sorveglianza economica e verranno utilizzati dalla Commissione come riferimento per valutare il rispetto delle regole.
  Il percorso di aggiustamento potrà essere più graduale e prolungato nel tempo se accompagnato da un impegno dello Stato membro a realizzare investimenti e riforme più ambiziosi, che contribuiscono a innalzare la crescita potenziale e a migliorare la sostenibilità del debito pubblico. In questo caso il percorso di aggiustamento potrà essere esteso fino a sette anni.
  Tali piani non potranno essere cambiati nel periodo di riferimento, se non in base a eventi eccezionali che attiverebbero, come avrò modo di argomentare in seguito, clausole di salvaguardia sottoposte all'approvazione del Consiglio.
  Il monitoraggio annuale continuerà a essere effettuato dalla Commissione e dal Consiglio nell'ambito del Semestre europeo. La sorveglianza, che si baserà sulle relazioni sullo stato di avanzamento dei piani nazionali presentate annualmente dagli Stati membri, andrà a valutare la congruità dell'andamento realizzato dalla spesa primaria netta con i piani approvati. Resta invariata la procedura per disavanzi eccessivi nel caso di superamento del limite del 3 per cento del disavanzo in rapporto al PIL.
  Quanto alla procedura per mancata riduzione del rapporto tra debito e PIL, per i Paesi a rischio sostanziale, la deviazione dal sentiero di spesa concordato con la Commissione e approvato dal Consiglio porterebbe all'apertura di una procedura per disavanzi eccessivi, mentre l'apertura della procedura per i Paesi a medio rischio sarebbe subordinata all'analisi dei fattori rilevanti. Il mancato rispetto degli impegni di riforma e di investimento prospettati per chiedere l'estensione del periodo di aggiustamento attiverebbe, invece, il nuovo meccanismo di enforcement, che porterebbe a un percorso di consolidamento più restrittivo.
  L'incentivo al rispetto degli impegni concordati si baserà sulla previsione di sanzioni non solo finanziarie, ma anche di natura reputazionale, non ancora chiaramente declinate, nonché sull'applicazione di una condizionalità macroeconomica. Le sanzioni finanziarie ricalcherebbero quelle già in vigore, sebbene si preveda di ridurne l'ammontare per renderle pienamente applicabili. La condizionalità macroeconomica dovrebbe, invece, comportare la sospensione dell'erogazione dei fondi europei qualora, a seguito dell'apertura di una procedura per disavanzi eccessivi, non fossero adottate azioni correttive.
  Viene, infine, confermata la clausola di salvaguardia generale che, come nel modello attuale, si attiverebbe in caso di gravi shock per l'area dell'euro e per l'Unione nel suo insieme. Inoltre, i singoli Paesi, a fronte di shock asimmetrici, potranno invocare una clausola di salvaguardia in caso di circostanze eccezionali, al di fuori del loro controllo, con un impatto rilevante sulle finanze pubbliche nazionali. L'attivazione di ciascuna delle due clausole richiederebbe il consenso del Consiglio.
  Svolgerò ora alcune valutazioni rispetto a questa proposta. La proposta della Commissione è il punto di partenza, non certo quello di arrivo, della discussione sulla riforma della governance economica europea. Da una prima valutazione, sembrerebbe che il nuovo impianto sia più favorevole rispetto al sentiero di aggiustamento che sarebbe necessario seguire se fossero riattivate le vecchie regole, in particolare quella sul debito, nel caso in cui il percorso di aggiustamento concordato si sviluppi su sette anni.
  L'Italia sta partecipando attivamente al dibattito, fornendo, nella discussione con i nostri partner europei e con la Commissione, analisi e proposte di tipo costruttivo volte a migliorare le linee di riforma delineate dalla Comunicazione, non dimenticandoPag. 6 che tale dibattito deve svolgersi tenendo conto dei numerosi altri tavoli in corso. Infatti, come ho avuto modo di sostenere nell'ultimo Consiglio Ecofin, è fondamentale che il dibattito sulla revisione della governance economica avanzi rapidamente e di pari passo con le discussioni in corso sul piano industriale del Green Deal, sul quadro temporaneo di crisi e transizione e, in particolare, sulla nuova disciplina degli aiuti di Stato. Inoltre, il coordinamento dovrebbe riguardare non solo la politica fiscale, ma anche le politiche economiche volte ad affrontare gli squilibri macroeconomici. Si dovrebbe, infine, garantire la coerenza dei piani nazionali con le priorità dell'Unione europea, esaltando così l'importanza del coordinamento e della dimensione europea nella governance economica.
  Alcuni degli elementi della proposta sono condivisibili, ad esempio sicuramente positivi sono il riferimento all'orizzonte pluriennale di medio termine, che eviterebbe l'approccio annuale dell'intonazione della politica di bilancio adottato finora e i negoziati con la Commissione sui decimi di punto di deficit, nonché l'integrazione della programmazione di bilancio e di politica economica. Il cosiddetto Piano nazionale di bilancio strutturale sostituirebbe, infatti, sia il Programma di stabilità sia il Programma nazionale di riforma, con un approccio, quindi, sostanzialmente unitario. Questo approccio di medio periodo, integrato tra scelte di bilancio, riforme e investimenti, accentuerebbe l'attenzione sulla crescita e sui suoi effetti nel rapporto tra debito e PIL.
  Condividiamo che nella definizione del percorso di aggiustamento venga considerata la situazione specifica di ogni Paese. In tal modo potranno superarsi le difficoltà di applicazione dello schema attuale, caratterizzato da regole valide per tutti gli Stati membri che vengono poi adattate da ciascun contesto ricorrendo a un certo grado di flessibilità, alla quale – lo ricordo – il nostro Paese è più volte ricorso.
  Accogliamo con favore anche l'individuazione di un unico indicatore per la sorveglianza fiscale, ma sottolineo anche che la sua efficienza dipende dal modo in cui è definito e adottato. Non dimentichiamo la difficoltà di trovare un accordo con i nostri partner europei sulla metodologia di stima di grandezze quali l'output gap e il perimetro del saldo strutturale. Si deve sottolineare che anche il parametro di crescita dell'aggregato di spesa dipenderà, tra l'altro, dalla stima del tasso di crescita del prodotto potenziale.
  L'adozione di un sentiero di crescita dell'aggregato di spesa, se considerato invariabile nel corso del ciclo, sembra consentire che il saldo di bilancio possa adattarsi alle condizioni del ciclo economico e possa favorire la creazione di spazi fiscali nelle fasi positive del ciclo economico, da utilizzare poi nelle fasi negative.
  Restano da chiarire almeno due aspetti importanti riguardo al perimetro dell'aggregato di spesa sottoposto al tetto e le modalità di verifica del rispetto dei piani concordati. Con riferimento al primo aspetto, occorrerà valutare con attenzione quali spese possano essere escluse dall'aggregato di riferimento, certamente quelle finanziate delle risorse europee, e il ruolo della spesa per investimenti come quota della spesa primaria complessiva.
  Per quanto concerne il secondo aspetto, sarà necessario porre una certa attenzione, in sede di definizione dell'impianto normativo, all'individuazione di meccanismi che permettano di tenere conto di un andamento non previsto e non soggetto al controllo da parte dei singoli Stati, ma riconducibile a fattori esogeni, come l'andamento effettivo dell'inflazione. Sugli elementi evidenziati sarà quindi necessario porre una certa attenzione in sede di definizione dell'impianto normativo, per mantenere un equilibrio e un contemperamento tra le diverse finalità delle regole fiscali, in modo da coniugare la sostenibilità dei conti e il mantenimento di un profilo di crescita duraturo e inclusivo.
  Per quanto riguarda il maggior grado di titolarità nazionale, la cosiddetta ownership, delle regole di bilancio, ovviamente noi lo condividiamo, tuttavia la proposta, seppur non fornisca molti dettagli sul punto, non appare raggiungere pienamente questo Pag. 7obiettivo. L'attenzione a fornire indicazioni sulle riforme che i singoli Stati dovrebbero implementare è un tema caro alle istituzioni europee, come mostra l'attuale impianto del Semestre europeo con le sue raccomandazioni specifiche per ogni Paese. Ma la proposta non fornisce in merito molti dettagli. Il nuovo quadro sembra, però, prendere le mosse dalla definizione del percorso di aggiustamento di riferimento, il cosiddetto reference path, da parte della Commissione. A tal riguardo credo che questo assetto debba essere migliorato, prevedendo che questo percorso sia determinato sin dall'inizio attraverso il dialogo bilaterale tra gli Stati membri e la Commissione.
  Sebbene sia da valutare positivamente la previsione esplicita di una clausola di salvaguardia specifica per Paese per shock asimmetrici, anche in questo caso andranno meglio definiti criteri di attivazione, garantendo ad ogni modo che la sua applicazione non sia assoggettata a un approccio strettamente meccanico, ma vi siano margini per valutare anche in modo qualitativo le condizioni eccezionali. La previsione di questa clausola non deve essere, tuttavia, sostitutiva della necessità di prevedere per tutti i Paesi una flessibilità per i fattori rilevanti.
  La proposta presenta alcuni aspetti sui quali è necessario compiere approfondimenti, per poter individuare un assetto coerente con gli obiettivi generali della riforma. Mi soffermo sui principali.
  L'analisi della sostenibilità del debito utilizzata dalla Commissione per classificare i Paesi in tre diversi gruppi e per definire il percorso di aggiustamento pluriennale è, in linea di principio, uno strumento utile, perché considera in modo integrato tutte le variabili che guidano l'evoluzione del rapporto tra debito e PIL. Tuttavia, tale analisi è molto sensibile alle ipotesi formulate in termini di crescita del PIL, tassi d'interesse, inflazione, proiezioni di finanza pubblica. La scelta di questi parametri, che condizionerebbe le politiche di bilancio nazionali per un periodo pluriennale, richiede, pertanto, estrema cautela e dovrebbe essere concordata tra la Commissione e i singoli Paesi sulla base di una chiara evidenza empirica e di argomenti tecnici, per tener conto anche degli effetti delle riforme strutturali sul potenziale di crescita.
  Sebbene non sia contestabile che Stati con un più elevato rapporto tra debito e PIL debbano seguire, compatibilmente con i propri obiettivi di crescita, un percorso di aggiustamento più sfidante rispetto a quelli con un debito minore, questo non dovrebbe però risolversi in un ampliamento dei divari economici. Fondamentale è il mantenimento di un adeguato coordinamento dell'intonazione delle politiche fiscali perseguite nell'ambito dell'area euro.
  Rendere pubblica l'analisi condotta per classificare il «rischio Paese» dei vari debiti nazionali rischia, infatti, di fornire segnali controproducenti ai mercati finanziari. Utilizzare l'analisi di sostenibilità per suddividere gli Stati membri nelle tre categorie in precedenza ricordate potrebbe influenzare la valutazione del rischio del debito da parte dei mercati, creando instabilità e accentuando la segmentazione già presente nel mercato dei titoli di Stato dell'area euro e nei rating sovrani assegnati ai singoli Paesi. Soprattutto, questa classificazione ufficiale del rating dei debiti nazionali da parte della Commissione rischia di aprire la strada a una corrispondente differenziazione, in sede di regolamentazione bancaria, del rischio assegnato ai debiti sovrani contenuti nei portafogli delle banche.
  L'idea che i piani nazionali di bilancio strutturali rimangono invariati per quattro anni potrebbe costituire un elemento di eccessiva rigidità rispetto alla responsabilità politica di adattare gli interventi nel tempo.
  Come già rilevato, per garantire la necessaria flessibilità della gestione delle politiche nazionali, sarebbe pertanto opportuno individuare modalità che consentano di rivedere i piani pluriennali laddove nel corso del periodo di programmazione emergessero cambiamenti rilevanti delle condizioni economiche non solo del Paese in questione ma anche degli altri Paesi, oppurePag. 8 nel caso in cui si configurasse, democraticamente, un cambio di Governo.
  Con riferimento, invece, all'obiettivo di promuovere una crescita sostenibile e inclusiva, non si riscontra un trattamento preferenziale per le tipologie di spesa che possono fornire un apporto positivo al potenziale di crescita. Tale obiettivo non sembra potersi raggiungere solo con la previsione della possibilità di richiedere un'estensione della durata del piano di aggiustamento fino a sette anni, rispetto alla durata normale di quattro, a fronte di importanti riforme e investimenti che contribuiscano alla sostenibilità del debito. Potrebbe, quindi, essere opportuno recuperare e rafforzare alcune delle soluzioni già individuate nell'ambito delle regole attuali: mi riferisco in particolare all'investment clause e alla reform clause introdotte qualche anno fa.
  Un altro modo per incentivare gli investimenti, in particolare quelli necessari per la doppia transizione verde e digitale, potrebbe consistere nello smussare il loro profilo, ad esempio calcolandone la media su più anni oppure prevedendo l'esclusione, entro certi limiti, di alcune tipologie di spesa dell'aggregato sottoposto a sorveglianza.
  Quanto al perimetro dell'aggregato di spesa, dovrà avviarsi una riflessione anche sulle spese sociali escluse e sulle modalità di imputazione ed eventuale esclusione delle spese concordate a livello europeo, come quelle relative all'assistenza finanziaria fornita in caso di crisi oppure alla costituzione della difesa comune europea.
  Più in generale, ritengo sia necessario discutere in maniera approfondita a livello europeo le sfide che dovremo affrontare nei prossimi anni. Queste richiederanno, infatti, notevoli investimenti e le modalità del loro finanziamento non saranno neutrali. Se gli interventi necessari a fronteggiarle fossero finanziati solo a livello nazionale, potrebbero configurarsi rischi di frammentazione dell'area dovuti alla disomogeneità degli spazi di bilancio disponibili per i vari Stati membri.
  Come ho più volte sostenuto, sarebbe auspicabile accentrare il finanziamento di investimenti che hanno una valenza strategica per l'intera Unione, completando la riforma della governance europea con l'introduzione della capacità fiscale centralizzata, o comunque con la predisposizione di uno strumento comune per finanziare beni pubblici europei. Il ritardo nella predisposizione di tali strumenti è stato anche alla base del mancato perseguimento di adeguati obiettivi di crescita e di rafforzamento della competitività europea rispetto al resto del mondo e del mancato coordinamento con la politica monetaria.
  Quanto, infine, alle modifiche nella procedura per gli squilibri macroeconomici, sebbene vi siano alcuni miglioramenti rispetto alla situazione attuale, alcuni aspetti richiedono ulteriori approfondimenti. Mi riferisco, in particolare, alla sovrapposizione tra sorveglianza fiscale e macroeconomica, con particolare riferimento al monitoraggio del rapporto tra debito pubblico e PIL e alle possibili interazioni tra la sorveglianza macroeconomica e quella fiscale, ad esempio nel caso in cui la sorveglianza macroeconomica spingesse verso un aumento della spesa mentre quella fiscale verso un suo contenimento. Mi riferisco anche alla necessità di un approccio maggiormente simmetrico nel trattamento di alcuni squilibri, come nell'analisi degli squilibri relativi alle partite correnti della bilancia dei pagamenti o nel caso della posizione netta sull'estero.
  Vado alle conclusioni. L'Italia ha tutto l'interesse a mantenere una gestione ordinata della finanza pubblica. La riduzione realistica, graduale e duratura dello stock del debito pubblico è indispensabile per liberare l'Italia da una situazione cronica di assenza di spazi fiscali da utilizzare per il perseguimento di politiche che consentano di tenere il passo degli altri partner europei, affrontare le sfide della competitività e fronteggiare eventuali situazioni di emergenza.
  La proposta della Commissione all'esame del Parlamento offre l'opportunità di affrontare alcuni dei limiti delle regole di bilancio vigenti, mettendo da parte, in particolare, automatismi e parametri che hanno finora limitato la gestione delle politiche di Pag. 9bilancio e la ricerca di soluzioni di breve periodo. L'Italia è pronta ad affrontare la sfida, ma dobbiamo tutti insieme essere consapevoli che dobbiamo cambiare approccio alle politiche del bilancio e al modo di programmare e realizzare riforme e investimenti, per poter affrontare in modo efficace le implicazioni della nuova governance. Questa nuova impostazione richiederà di rivedere, anche dal punto di vista normativo, le procedure nazionali di programmazione e attuazione della politica di bilancio attualmente incentrate sui saldi di finanza pubblica, che dovranno essere adeguate all'assetto definitivo della riforma. Il rispetto dei piani concordati richiederà, inoltre, di continuare a seguire l'approccio adottato nell'ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza, anche negli anni successivi al termine del programma, per mostrare la realizzazione degli eventuali impegni sottoscritti in termini di investimenti e riforme.
  Cambiare le regole attuali è conveniente, bisogna, però, lavorare per migliorare alcuni aspetti della proposta che sono stati messi in rilievo. Il dialogo tra Stati membri dovrebbe portare a individuare uno schema caratterizzato da regole trasparenti e credibili, che possano essere applicate in maniera realistica e lascino agli Stati membri margini di bilancio che, se opportunamente utilizzati, possono anche migliorare la sostenibilità delle finanze pubbliche.
  Il Governo è costantemente impegnato, nelle sedi istituzionali europee, per fare in modo che si possa arrivare a un coordinamento più efficace delle politiche di bilancio, che, facendo perno sull'interdipendenza degli Stati membri, vada oltre le sole esigenze di consolidamento fiscale e possa innalzare il potenziale di crescita dell'economia, condizione indispensabile di qualsiasi strategia credibile di riduzione del debito pubblico in rapporto al PIL.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati e ai senatori che intendono intervenire per formulare domande e osservazioni.

  FILIPPO SCERRA. La proposta della Commissione, Ministro, ci lascia dubbi e perplessità. Innanzitutto, un primo dubbio è quello a cui lei, fra l'altro, accennava e in proposito le chiedo se può specificare meglio qual è l'intenzione del nostro Governo nei negoziati che seguiranno. Noi pensiamo che le regole del 3 per cento e del 60 per cento siano parametri irrealistici e crediamo che vadano al di fuori di un approccio scientifico. Quindi, noi pensiamo che su questo aspetto il Governo italiano debba lavorare per far sì che questi parametri vengano eliminati. Sappiamo che questo comporta un notevole dispendio di energia a livello di tavoli negoziali, perché dobbiamo cambiare i Trattati, ma non possiamo permetterci di avere regole come quella del 60 per cento e quella del 3 per cento.
  Abbiamo visto, in particolare nell'ultimo decennio, che, anche rispettando la regola del 3 per cento, il risultato è stato che il debito pubblico è cresciuto quasi in maniera esponenziale.
  Negli ultimi due anni, di converso, a causa del Covid, abbiamo dovuto fare degli investimenti e questi investimenti ci hanno permesso, alla fine, di ridurre drasticamente il rapporto tra debito e PIL. Quindi, noi pensiamo che si debba operare più sul denominatore che sul numeratore e che si debba lavorare a livello di tavoli europei per cercare quantomeno di modificare questa regola. Questo è un primo punto per noi importante.
  Lei accennava il secondo punto che vorrei sottolineare, però, Ministro, mi piacerebbe, se è possibile, che lo dicesse in maniera un po' più chiara. Noi pensiamo che si debba scorporare dal calcolo del deficit gli investimenti pubblici produttivi, cioè applicare la cosiddetta golden rule. Per noi gli investimenti che riguardano il sociale, gli investimenti che riguardano la transizione ecologica e gli investimenti che riguardano la sanità devono essere scorporati da queste rigide regole di bilancio. Ovviamente noi pensiamo – e le chiedo di chiarire questo aspetto per l'ennesima volta – che gli investimenti per spese militari, invece, non vadano scomputati. Quindi su questo punto le chiedo se lei è d'accordo con il Ministro Crosetto, ossia se pensa che Pag. 10quegli investimenti per la difesa vadano scorporati dalle regole di bilancio europee. Noi ovviamente non siamo d'accordo.
  Un terzo punto per noi importante riguarda la transizione ecologica. C'è una direttiva green che vuole una transizione ecologica e un efficientamento energetico delle case di tutta Europa. Noi pensiamo che bisogna applicare un superbonus addirittura in tutta Europa: è questa la proposta alla quale ci richiama la stessa Commissione europea. Per far questo noi abbiamo sempre detto che è necessario un Energy Recovery Fund e che è necessario che il famoso Recovery Fund, che nel 2020 l'Italia è riuscita ad ottenere dall'Europa, diventi strutturale. Questo è un aspetto fondamentale ed è una lacuna di questo piano, perché esso contiene semplicemente delle regole ma non contiene una capacità fiscale a livello europeo. Le due cose sono complementari: se non c'è la seconda, cioè se non c'è la capacità fiscale a livello europeo, tutto il peso sarà sulle stesse regole e questo, a nostro modo di vedere, è preoccupante, soprattutto per il nostro Paese e per la nostra risposta all'Inflation Reduction Act. Questa è un'altra questione sulla quale noi esprimiamo una grande preoccupazione. Infatti, Germania e Francia dicono che si deve allentare la disciplina sugli aiuti di Stato. Noi pensiamo che il vantaggio competitivo che avrebbero le imprese di Francia e Germania per noi è un problema e non è assolutamente controbilanciato, dal nostro punto di vista, da una maggiore flessibilità sull'utilizzo dei fondi europei, quindi c'è la possibilità che le nostre aziende vadano in difficoltà. Quindi su questo punto, Ministro, dobbiamo stare molto attenti e sinceramente siamo molto preoccupati sugli effetti che la risposta europea all'Inflation Reduction Act può causare alle aziende italiane.
  Un'ultima considerazione riguarda la regola della spesa. Si tratta sicuramente di una regola più semplice e più intuibile, però noi temiamo che questa regola possa comportare un'ulteriore riduzione di spesa, così come è stato fatto dall'ultima legge di bilancio, nella quale ci sono state delle riduzioni di spesa relative alla sanità: una cosa del genere per noi non va bene. Quindi, se la spesa si riduce su altri ambiti siamo d'accordo, ma se si deve fare quella politica di austerità che ha portato a riduzioni in ambito sanitario, noi non siamo assolutamente d'accordo.

  ALBERTO BAGNAI. Ringrazio il Ministro per la sua esposizione. Sette anni fa Giavazzi e Baldwin pubblicarono un articolo su VoxEU, che è un importantissimo blog di economia, in cui, tra l'altro, nello stesso periodo veniva avanzata la regola della spesa che adesso stiamo adottando, quindi è un blog che traccia il solco, se posso usare questa espressione senza timore di strumentalizzazioni. Loro scrissero un articolo molto interessante dal titolo «La crisi dell'eurozona: una visione condivisa delle cause e alcune possibili soluzioni».
  È molto interessante il fatto che proprio nell'abstract di questo loro contributo, che ebbe grandissima risonanza e che intendeva stabilire proprio una nuova visione delle cause della crisi e quindi delle possibili soluzioni, è scritto in modo molto esplicito che la crisi dell'eurozona non è stata una classica crisi da arresto improvviso – per i non tecnici, stiamo parlando di arresto improvviso dei finanziamenti esteri, cioè di una crisi della bilancia dei pagamenti –, è stata una classica crisi di bilancia dei pagamenti not a public debt crisis, non una crisi di debito pubblico. All'epoca venne percepito come un successo delle persone, che fin dal 2011 avevano notato come i primi Paesi ad «andar per aria» erano stati quelli con il debito pubblico più basso, cioè Spagna e Irlanda, e che quindi questo feticismo della Commissione e, in generale, delle istituzioni europee, questa attenzione esclusiva al debito pubblico era mal posta.
  Sette anni dopo però stiamo ancora parlando praticamente solo di debito pubblico, quindi mi viene da chiederle alcune precisazioni, alcune sue valutazioni.
  Per esempio, nella proposta della Commissione europea viene riequilibrato un po' il peso dell'attenzione alle regole di finanza pubblica, quindi il peso del debito pubblico, rispetto a quello della procedura per gli squilibri macroeconomici? NaturalmentePag. 11 tutti noi siamo per le regole, per le leggi, siamo legislatori o lo siamo stati, però c'è un tema: cioè le leggi dipendono un po' anche dai rapporti di forza e in questa fase non vorrei che ci fosse una percezione, forse errata, di alcuni rapporti di forza che ci porti a non chiedere ai Paesi che hanno dei problemi di debito privato di volerne tenere conto. Infatti, sappiamo che alcuni nostri partner europei non hanno fatto degli sforzi comparabili al nostro per il risanamento del sistema bancario, e forse è anche per questo che da loro vengono proposte che, trascurando il tema del debito privato e del sistema bancario, sono molto sbilanciate sul tema del debito pubblico. Non lo dico con uno spirito di rivalsa o di antagonismo verso questi Paesi, ma semplicemente per razionalità economica: bisognerebbe chiedere che ci fosse un'attenzione ugualmente penetrante verso gli squilibri dell'economia privata e del sistema finanziario privato. Esiste un quadro, che è quello della procedura per gli squilibri macroeconomici, che è molto ben fatto, ma ha un unico difetto: non viene applicato. Quindi ci vorrebbe un maggiore impegno in Europa per applicarlo. Sono sicuro che questo Governo lo chiederà e volevo sapere se ci poteva dare delle indicazioni rassicuranti in questo senso.
  Poi c'è il tema della condizionalità macroeconomica. Infatti, ci viene detto che in queste nuove regole il quadro sanzionatorio verrà ridotto rispetto a quanto era previsto dal six pack e va bene, però non ci viene detto di quanto. Vengono, poi, aggiunte queste condizionalità macroeconomiche, che possono andare, secondo quello che si legge nella Comunicazione della Commissione, fino alla sospensione dei fondi strutturali e dei fondi di investimento: un economista direbbe che questo oggettivamente suona un po' «controintuitivo». Anche lei e tutti qua dentro, anche i colleghi, seppure con orientamenti ideologici diversi, hanno sostenuto l'importanza di poter portare avanti una politica di investimento: se un Paese per qualche fattore idiosincratico esce dal percorso e lo si penalizza sui fondi di investimento, questo continua a essere un elemento di carattere prociclico. Lei ha giustamente portato avanti le esigenze della trasparenza e della credibilità, insomma «patti chiari e amicizia lunga», però le devo dire che dall'audizione che ha svolto ieri l'ottima presidente dell'Ufficio parlamentare di bilancio è emerso – magari qualche collega condividerà, qualcuno no – il fatto che, come anche lei mi sembra abbia sottolineato, il quadro attuale presenta rilevanti margini di opacità, a partire da tutta una serie di elementi qualitativi. Per esempio, la diminuzione del debito deve essere plausibile. Come dicono a Roma: e che vo' di'? Si apre, quindi, un margine di negoziato per il quale ovviamente noi ci fidiamo di questo Governo e anche dei Governi futuri, ma forse un minore impressionismo delle definizioni sarebbe opportuno.
  E poi c'è anche un tema relativo alla credibilità. Per esempio, è emerso ieri in audizione che nella famosa DSA, nel «motorino» quantitativo che non ci è stato fatto vedere ma che sta sotto a queste regole, si parte dal presupposto che il moltiplicatore fiscale sia uguale per tutti i Paesi. Ora, non è molto plausibile che Paesi in fasi diverse del loro sviluppo economico, più o meno maturi – non so, Malta, Cipro, Portogallo, Finlandia, Germania – abbiano lo stesso moltiplicatore, quindi questo rende poco credibile l'approccio. Insomma, ci sono dei margini e mi interessava avere da lei delle parole di rassicurazione e di indirizzo anche su come il Parlamento può aiutare per metterli in evidenza e aiutare il nostro Governo a negoziare in sede europea, affinché si incrementi la credibilità e la trasparenza delle regole.

  LUIGI MARATTIN. Buon pomeriggio, signor Ministro. Intervengo dopo i due colleghi di «opposizione». Infatti, presidente, sta dando la parola solo a esponenti dell'opposizione, non rispetta l'alternanza...

  PRESIDENTE. Ora ho dato la parola a lei, onorevole Marattin.

  LUIGI MARATTIN. Vorrei fare quattro domande al signor Ministro, ma prima volevo segnalare che ho avuto la fortuna di Pag. 12avere la sua relazione stampata perché ce l'ha girata un giornalista. Quindi, ringrazio i membri della stampa per aver girato la relazione del Ministro, perché non penso che sia stata ancora trasmessa alla Commissione. Insomma, sa che i media sono importanti.
  Prima di farle quattro domande, ricordo che dieci anni fa il MoVimento 5 Stelle disse che la scelta del 3 per cento come limite del rapporto tra deficit e PIL era derivante da un numero biblico. Ora, dieci anni dopo, abbiamo fatto un passo avanti, non è più un numero biblico ma non è un approccio scientifico.
  Io vorrei ricordare che 3 e 60 non furono numeri tirati a caso. Concordo che sono numeri del tutto anacronistici e, come ha ricordato il collega Scerra, non è che non li si è cambiati per pigrizia, non li si è cambiati perché occorre cambiare i Trattati. I Trattati attualmente si modificano all'unanimità e, quindi, è molto complesso. Comunque non ho mai dimenticato questo riferimento alla Bibbia, quindi per quei pochi che ci ascoltano ricordo che 60 era la media del rapporto tra debito e PIL all'epoca. Adesso è 90, ma fu scelto 60 perché era la media e non fu un numero tirato a caso. Fu scelto il valore del 3 per cento sul deficit perché, per stabilizzare il rapporto tra debito e PIL al 60 per cento, considerato che il target BCE dell'inflazione era al 2 per cento e quello della crescita media del PIL al 3 per cento, che era la media all'epoca, il 3 per cento risulta da una formula matematica. Infatti, una volta che io assumo che l'inflazione è al 2 per cento e che la crescita reale è al 3 per cento, per stabilizzare il debito al 60 per cento serve un rapporto tra deficit e PIL al 3 per cento. L'errore fu ovviamente pensare che il tasso di crescita del 3 per cento sarebbe durato per sempre, cosa che poi non si è più verificata.
  L'altro collega di «opposizione» ha parlato di «feticismo del debito pubblico», lei, invece, signor Ministro, ha parlato di benefici di riduzione del debito pubblico. Meno male che non siete dello stesso partito, altrimenti sarei veramente preoccupato sulla chiarezza, ovviamente io mi riferisco alla sua impostazione sulla riduzione del debito pubblico.
  Vorrei chiederle quattro chiarimenti sulla sua relazione, più un ultimo commento finale.
  Anch'io, come il collega Scerra, non ho capito un punto. Allora, io faccio outing: io non sono per escludere gli investimenti dal computo delle regole fiscali, perché è difficile individuare una categoria di investimenti migliore di un'altra e anche perché provate a immaginare il caos che deriverebbe dalla tendenza a classificare le spese. Poi Scerra ha elencato tutte le spese da escludere e non si capisce cosa rimane dentro. Ma anche se noi escludessimo soltanto gli investimenti in una certa categoria, lei pensi l'ambiguità che ci sarebbe nel tentare di classificare come investimento di quella categoria qualsiasi tipo di spesa, forse anche di natura corrente. Ci stiamo accorgendo in questi giorni come sia delicato il rapporto con Eurostat in merito alla classificazione delle spese. Quindi, avendo fatto outing – non so quanto le interessa che personalmente io credo che sia una brutta idea cominciare a far la gara su quale categoria di spesa pubblica deve star fuori dai limiti –, io vorrei capire un po' meglio cosa pensa lei. Lei è convinto che ci debba essere qualche categoria di investimento da escludere? Il Governo italiano proporrà di escludere qualche categoria dal computo della spesa primaria? E, se sì, quale? Questo punto non mi è chiarissimo.
  In secondo luogo, lei, signor Ministro, quando elenca i fattori che potrebbero cambiare il piano pluriennale di aggiustamento, indica il cambio di Governo. Noi ne cambiamo due all'anno: lei veramente intende andare in Europa a proporre che quando cambia il Governo rivediamo il piano pluriennale di aggiustamento? Infatti, con la performance che abbiamo in Italia questo messaggio significa che noi cambieremo il piano due volte all'anno.
  Per quanto riguarda la terza domanda, se non ho letto male e non ho capito male, lei sta dicendo che non vogliamo che la DSA, l'analisi della sostenibilità del debito, sia resa pubblica. Anzi, lei dice che non vogliamo che sia resa pubblica la classificazionePag. 13 dei Paesi in tre categorie, quelli che hanno un grave problema di debito, un medio problema di debito o non hanno un problema di debito. Lei dice che ha paura che il mercato possa reagire male. Io penso esattamente l'opposto, cioè io penso che il mercato guarda il livello del debito pubblico di un Paese, ma ha tutto l'interesse a capire se quel debito è sostenibile o meno. Infatti, un debito alto può anche essere sostenibile e il mercato, nel prezzare i titoli del debito pubblico, ha tutto l'interesse a capire se quel debito è sostenibile o no. Quindi, perché esattamente ci sta dicendo che non vuole rendere pubblica non solo la metodologia, ma addirittura il risultato di quella metodologia? Secondo me, invece, è esattamente l'opposto di quello che ha detto lei.
  Le rivolgo un'ultima domanda e poi una piccola richiesta di commento, che, se la conosco bene, non mancherà di suscitare il suo interesse. Lei ha affermato sul finale della sua relazione che occorre non dimenticare i successivi step dell'integrazione europea, fra cui la creazione di una capacità fiscale centralizzata e il finanziamento di beni pubblici europei. Questi sono due concetti ormai largamente condivisi e diffusi, però io vorrei fare un passo avanti per capire meglio tutti, perché sono temi su cui nessuno ha una risposta: possiamo avere opinioni, ma non so se abbiamo risposte. Quando lei parla della creazione della capacità fiscale centralizzata intende la creazione di nuovi e aggiuntivi strumenti fiscali in capo all'Unione europea o la devoluzione di quote di gettito nazionale all'Unione europea? Sono due cose ben diverse. Io credo che il dibattito farebbe grandi passi avanti se quando parliamo di capacità fiscale centralizzata ognuno di noi dicesse cosa preferisce. Faccio outing anche in questo caso: secondo me dobbiamo cominciare a pensare di devolvere strumenti fiscali nazionali all'Unione europea, ovviamente dopo aver adeguato l'architettura istituzionale europea in base al principio del no taxation without representation, anzi without effective representation. La stessa cosa vale per i beni pubblici europei. Quando lei dice di finanziare beni pubblici europei, intende aumentare il numero di materie di competenza nazionale devolute all'Unione europea? Io sì. Quindi quando dice di finanziare beni pubblici europei significa che alcune materie, come ambiente, difesa, ricerca, nella nuova architettura istituzionale europea devono essere devolute all'Unione europea oppure no? E se non intende questo, esattamente cosa intende?
  Infine, non so se mi vorrà rispondere, signor Ministro, ma credo di sì. Il collega Scerra ha detto che bisogna estendere il superbonus a tutta Europa. Ci ha risparmiato il resto del mondo, perché immaginavo un superbonus mondiale o forse galattico, planetario. Però, mentre lei è qui, si stanno svolgendo altre due audizioni interessanti: una del direttore Ruffini presso la Commissione Finanze della Camera proprio sul superbonus e l'altra dell'Ufficio parlamentare di bilancio presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato sui crediti d'imposta. In quest'ultima audizione è avvenuta una cosa che personalmente aspettavo da tempo, cioè l'Ufficio parlamentare di bilancio ha rilasciato una stima degli effetti del superbonus sulla crescita economica. Io ho sempre affermato, anche in quest'Aula, con tutto il rispetto per le altre organizzazioni, che però non sono neutrali in questa vicenda – gli studi che vengono spesso citati sono stati svolti da soggetti che hanno interessi legittimi nella vicenda del superbonus – che avremmo aspettato le stime di Bankitalia e dell'Ufficio parlamentare di bilancio. Pochi minuti fa è arrivata la stima dell'Ufficio parlamentare di bilancio, sulla base dei dati di contabilità nazionale diffusi ieri dall'ISTAT, e da essa risulta che l'impatto del superbonus sulla crescita economica degli anni 2021 e 2022, ossia nel biennio, è di un punto percentuale. Quindi, prima di estendere il superbonus a tutta Europa, a tutto il mondo e a tutta la galassia, mi chiedevo, signor Ministro, – so che è un tema a lei caro – se ha voglia di commentare il fatto che alla fine, secondo la stima dell'Ufficio parlamentare di bilancio, l'impatto sulla crescita economica di questo dispendioso strumento è stato pari, su due anni, a un punto percentuale di PIL.

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  YLENJA LUCASELLI. Ringrazio il Ministro e gli rivolgo un augurio di pronta guarigione. Alcune delle domande che avevo intenzione di porle, in realtà, sono state già oggetto di risposta nell'esposizione della sua relazione e alcune domande le sono già state poste.
  Vorrei tornare, però, su un paio di punti. Innanzitutto, mi riferisco al ruolo della Commissione perché, se ho letto e appreso bene, nella proposta della Commissione c'è un sostanziale riequilibrio tra rigore delle regole di finanza pubblica e debolezza della procedura sugli squilibri macroeconomici, in particolare con riferimento agli squilibri della bilancia commerciale che, come sappiamo, negli ultimi anni hanno caratterizzato alcuni Paesi, come la Germania e l'Olanda. Crede che questa lettura sia effettivamente corretta? Crede eventualmente che questo possa essere un nodo? E come ritiene possa essere risolto?
  Un secondo punto riguarda proprio l'arbitrio della Commissione – mi perdonerà il gioco di parole –, che è un po' arbitro della plausibilità del percorso di aggiustamento degli Stati membri. Crede che, da un punto di vista della complessiva legittimità democratica dell'Unione europea, questa posizione sia corretta? Soprattutto, mi interessa sapere se dal suo punto di vista ritiene ciò conveniente per l'Italia. Ritiene, cioè, conveniente per l'Italia attribuire un potere così ampio alla Commissione, considerato che questa valutazione sembra ancorata alla sostenibilità del debito e ad alcuni altri parametri, ma che comunque, indipendentemente dall'indicazione di questi parametri, rimane un potere molto ampio?
  Le volevo chiedere poi se, considerata la nuova disciplina di governance economica così come strutturata, oltre quella che a me a questo punto pare inevitabile, cioè la modifica della legge rinforzata n. 243 del 2012, ci potrebbe anche essere la necessità di apportare modifiche all'articolo 81 della Costituzione, considerato che la disciplina indicata si fonda sulla spesa primaria netta e non sull'equilibrio di bilancio.
  Non le faccio la domanda sui Trattati perché glielo hanno già chiesto, ma vorrei che fosse chiara la sua posizione generale proprio su una eventuale revisione complessiva dei Trattati.
  L'ultima domanda è sulla classificazione ex ante dei Paesi in tre gruppi in base al debito, attraverso l'analisi di sostenibilità condotta dalla Commissione europea. Crede che questo potrebbe produrre un «effetto stigma» sui mercati? E crede che in realtà potrebbe esserci come ulteriore effetto quello di concentrare lo sforzo dell'aggiustamento sui Paesi che stanno peggio, introducendo in tal modo un fattore di asimmetria? Credo anche di volerla invitare, se possibile, a non cogliere il suggerimento al superbonus mondiale del collega, anzi europeo... Mi scusi, si è fermato all'Europa. Ecco io mi permetto di invitarla a non accogliere questo suggerimento: considerato che i nostri debiti sono già particolarmente alti, non vorremmo gravare anche sui conti europei. Dopodiché vorrei dire al collega Marattin, non perché ci sia la necessità, ma perché vorrei che fosse chiaro che il collega Bagnai è ancora in maggioranza, che il riferimento al debito pubblico e la formulazione, così come l'ho letta io, al debito pubblico si riferiva anche ovviamente al debito privato. Credo che fosse chiaro e non vorrei che strumentalmente venisse interpretato male quello che, invece, correttamente ha chiesto il collega Bagnai.

  UBALDO PAGANO. Signor presidente, per il gruppo del Partito Democratico interverrà la collega Guerra. Penso che mi permetterà, interpretando anche gli umori di tutti i colleghi che hanno avuto l'onore di far parte di questa Commissione, di salutare il dottor Somma, perché mi viene riferito che questa è l'ultima seduta a cui parteciperà in qualità di segretario della Commissione insieme a noi. Penso che la promozione che lui ha ricevuto non ci lasci indifferenti, nel senso che siamo felici per i nuovi obiettivi, ma un po' tristi perché perderemo tutti quanti un punto di riferimento della cui capacità e competenza in queste Aule si parlerà ancora a lungo. Grazie, dottor Somma (Applausi).

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  PRESIDENTE. Mi associo alle parole dell'onorevole Pagano e avrei svolto anch'io un intervento in tal senso a fine seduta. Prego, onorevole Guerra.

  MARIA CECILIA GUERRA. Sono già molte le domande che sono state rivolte al Ministro, quindi cercherò di essere molto sintetica. Volevo chiedere alcune precisazioni su alcuni aspetti tecnici della proposta della Commissione e poi farle due domande più generali.
  Sugli aspetti più specifici c'è un punto che è emerso nelle audizioni precedenti e su cui vorrei la sua valutazione. Tale aspetto riguarda il potere della Commissione, nel senso che, al di là di quello che c'è scritto nella Comunicazione, molti degli auditi ci hanno allertato sul fatto che nel definire il percorso, la proposta per le singole nazioni, si parte in realtà da una proposta della Commissione e che, in caso di disaccordo, di mancato accordo fra la Commissione e Stato che contratta, la proposta della Commissione diventa il piano. Questo è un elemento un po' inquietante e vorrei capire se lei su questo punto ha delle informazioni e delle valutazioni da fornirci, anche per capire in che senso questa proposta può diventare cogente.
  L'altro aspetto, sempre di dettaglio, è un aspetto molto importante in realtà, che in parte è stato sottolineato anche nel suo intervento. Noi ci troviamo di fronte a un'analisi di sostenibilità del debito che si proietta per un periodo di tempo molto lungo, che può arrivare a diciassette anni nel caso del 4 più 3 iniziale. È una cosa che non ha un grandissimo senso, perché sappiamo che a quel punto i quadri possibili possono divaricarsi per spostamenti, anche di poco, dei parametri. Quindi credo che sia molto importante sottolineare che bisogna avere patti molto chiari sul fatto che ci sia una possibilità, anzi un'attitudine alla revisione, alla manutenzione dei piani, in relazione alle modifiche oggettive che si verificano nei parametri di riferimento.
  Lei ha fatto riferimento, per esempio, al tema dell'inflazione, che è un evidente problema che deve essere esplicitato. Infatti, se l'inflazione dovesse avere, come sta succedendo in questo periodo, un andamento molto diverso da quello che era incorporato nelle stime iniziali, noi ci troviamo con politiche altamente restrittive. Ma questo è evidente. Quindi, il fatto è che ci deve essere una consapevolezza collettiva che queste proiezioni a così lungo termine devono essere prese con moltissima prudenza e con un impegno serio al loro monitoraggio: secondo me, questo è un punto che deve essere portato nella contrattazione europea con molta forza.
  I colleghi hanno già citato il tema degli investimenti e anch'io ho la necessità di capire un po' meglio questo aspetto, perché lei ha elencato un insieme molto ampio di spese che potrebbero essere tenute fuori dal meccanismo: ha indicato anche le spese sociali come peraltro fa anche il gruppo che all'interno della Commissione si occupa delle spese sociali, la difesa comune eccetera. Sono tutti elementi che fanno però pensare che ci possa essere un ampliamento tale da smontare l'impianto, se posso dirla così. Quindi le volevo chiedere se questo significa che non si sente sufficientemente tutelato dal fatto che ci sia questa ipotesi del 4 più 3, cioè che si tenga conto degli investimenti per quella via, cioè rendendo più smooth, più lento e più lungo nel tempo il processo di aggiustamento in presenza di investimenti e di riforme.
  Le domande un pochino più corpose che volevo rivolgerle erano innanzitutto relative al fatto che lei ha detto che le proposte che l'Italia avanzerà saranno proposte costruttive ma legate alla discussione su tre aspetti: il green deal, il quadro temporaneo di crisi e transizione e la disciplina degli aiuti di Stato. In proposito volevo chiederle se era possibile avere un po' più di dettaglio sulle posizioni che l'Italia intende prendere. Per quanto riguarda il green deal mi sembra che siamo nel tema che è stato posto anche dal collega del MoVimento 5 Stelle. Lui parla del superbonus generalizzato, ma, al di là dello strumento, è evidente che il tema che sta ponendo è il tema dell'intervento della ristrutturazione energetica delle case, per esempio. Si tratta di un tema che potrebbe essere assunto a livello europeo collegandosi anche a quello Pag. 16della capacità fiscale comune a cui lei stesso ha fatto riferimento.
  Sulla disciplina degli aiuti di Stato, il tema mi sembra politicamente molto sensibile, quindi volevo sapere qualcosa di più perché è evidente – è una discussione che conosciamo – che se questo quadro viene molto allentato, la differenza di spazi fiscali tra i diversi Paesi può essere tale da alterare in modo significativo le regole della concorrenza che hanno sino ad ora guidato l'Unione europea. Quindi, volevo capire se lei poteva declinare un pochino meglio questo aspetto.
  Un'ultimissima cosa, sulla quale manifesto una mia specifica e personale convinzione: resta fuori da tutto questo discorso il dibattito importantissimo sulla costituzione di un'Agenzia del debito; quindi, praticamente, se si entra in questo percorso, si sta anche accettando, probabilmente obtorto collo, il fatto che si possa arrivare a uno smaltimento per via ordinaria, per quanto in un tempo piuttosto lungo, di un debito che pure si è formato in periodi eccezionali. Mi sembra che le esperienze storiche dimostrino che di solito sono strumenti straordinari, tipo l'inflazione o il ripudio del debito, che permettono di uscire da situazioni così serie. Non arrivo a questo, assolutamente non me lo auguro neanche, però un'Agenzia del debito che si prendesse in carico, ad esempio, il debito della pandemia e permettesse, quindi, di dilazionarne la necessità di restituzione in un tempo molto, molto lungo, secondo me non è un tema indifferente per il nostro Paese.

  PRESIDENTE. Non essendovi altri interventi, do la parola al Ministro Giorgetti per la replica.

  GIANCARLO GIORGETTI, Ministro dell'economia e delle finanze (intervento da remoto). Innanzitutto mi unisco al saluto al dottor Somma: abbiamo un'anzianità di servizio più o meno analoga e, quindi, rivolgo a lui i miei complimenti e un in bocca al lupo per le nuove prospettive di carriera.
  Ringrazio tutti i colleghi che sono intervenuti perché credo che lo spirito di questa discussione sia molto positivo e credo che ci sia bisogno di una discussione che vada anche oltre le logiche di maggioranza e opposizione. Inizio con questo appunto all'onorevole Marattin: non è che io mi diverta a chiedere cambi del piano quando cambia il Governo, ma, siccome siamo Stati democratici e, ad esempio, da noi abbiamo appena votato, magari potremmo pensare legittimamente di negoziare un piano sull'orizzonte di quattro anni e mezzo. Ma in altri Paesi le elezioni si svolgeranno tra due anni, fra tre anni e non è giusto che un Governo definisca un piano che in qualche modo vincola anche chi, legittimamente, è stato eletto democraticamente in un momento successivo. Questo è uno dei temi, oltre agli shock di natura esterna, che dovrebbero consigliare un atteggiamento di maggiore flessibilità complessiva. Quindi ringrazio tutti per il loro contributo e le loro riflessioni.
  Per quanto riguarda le mie valutazioni, salterò da un intervento all'altro perché alcuni temi sono stati toccati da diversi colleghi. Per quanto riguarda questi benedetti valori del 3 per cento e del 60 per cento – ahimè – io c'ero già quando sono stati definiti e in quel contesto avevano un razionale matematico, non un razionale economico né politico. Comunque, sono stati contemplati nei Trattati e per rivedere i Trattati serve l'unanimità. Francamente, la valutazione di rivederli o di considerarli in modo più realistico si scontra con il realismo del fatto che non si arriverà mai all'unanimità. Quindi, mi sembra di capire che il tentativo che sostanzialmente viene avanzato dalla proposta della Commissione è di non toccare questi numeri cercando in qualche modo di mettere in piedi un sistema di regole o di comportamenti o di prassi che li rendano più contestualizzati. Questa è la realtà e usiamo questi termini.
  Detto questo, ci sono dei punti di debolezza che io ho evidenziato e che vado a riprendere. Il collega Scerra è d'accordo ad escludere gli investimenti produttivi dal computo della spesa primaria, mentre l'onorevole Marattin non è d'accordo. Altri sono d'accordo ad escludere gli investimenti produttivi dalla dimensione della spesa. Ecco, Pag. 17siccome sono stato sollecitato anche dalla collega Guerra, io penso che non basti l'incentivo dei tre anni per valutare la dimensione degli investimenti. Se gli investimenti sono un fattore chiave per la promozione della crescita e siamo convinti che la crescita sia la chiave per ridurre veramente il rapporto tra debito pubblico e PIL, a mio giudizio, l'elemento degli investimenti, non con una forma di golden rule generale, ma con una forma di golden rule declinata e valutata, deve essere considerato. Sono stato sollecitato anche su un tema che poi si ricollega ad altre dimensioni, tipo la capacità fiscale centralizzata, e vorrei che fosse chiaro il mio pensiero. Ho citato, ad esempio, la difesa comune, ma farò un esempio concreto. Se a livello europeo decidiamo di avere una politica comune e sostenuta – abbiamo condiviso un aiuto significativo sull'Ucraina o altre situazioni del genere – come gestiamo questo tipo di intervento? Se viene chiesto a tutti uno sforzo supplementare per una situazione di carattere eccezionale, come viene gestito questo tipo di intervento? In questo momento ogni Paese lo mette nei rispettivi bilanci al netto dell'headroom che ha consentito il pacchetto di 18 miliardi di euro di aiuti all'Ucraina nel bilancio europeo, ma questo non si verificherà tutti gli anni. Probabilmente l'anno prossimo non ci sarà consentito. Vuol dire che ciascuno dovrà fare uno sforzo sul proprio bilancio. Questi sforzi e queste spese dovranno essere considerati come una deviazione rispetto al piano concordato? Non credo proprio. Alcuni investimenti prioritari sono stati già puntualmente identificati, come quelli relativi al digitale e alla transizione green, che sono i pillar del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Vuol dire che sono gli indirizzi strategici dell'Europa, rispetto ai quali uno sforzo comune, fondi comuni e una capacità comune probabilmente non deve essere esclusa. La difesa dev'essere compresa, se vogliamo arrivare a parlare di difesa comune e muoverci di concerto. Altrimenti, evidentemente chi in questo momento si impegna di più, in futuro potrebbe addirittura essere anche più penalizzato.
  A questo riguardo, il dibattito sugli aiuti di Stato, anche in termini di risposta all'Inflation Reduction Act, è un altro tema e non è possibile consentire – è il motivo per cui l'Italia chiede di discutere tutto assieme – deroghe agli aiuti di Stato che diano la possibilità a coloro che hanno spazi fiscali di bilancio di potere aiutare le proprie imprese a reggere la competizione internazionale aumentando e non riducendo le divergenze macroeconomiche tra diversi Paesi.
  Quindi questi aiuti di Stato, specie se connessi alla transizione green, devono o non devono essere considerati nell'aggregato di spesa teoricamente in prospettiva futura? Questo è un altro tema che dobbiamo porci, come dobbiamo porci il tema dell'impatto delle spese non europee ma di tipo nazionale che derivano dal PNRR rispetto all'aggregato di spesa che si andrà a definire. Questo è un altro aspetto che a mio avviso dovrà essere sicuramente chiarito.
  Non sfuggo alla provocazione, allo stimolo sul superbonus. Io dico semplicemente che adesso il rapporto tra deficit e PIL, sia per quanto attiene al numeratore che al denominatore, testimonia come sono andate le cose. Ma al netto di quello, mi sembra evidente che se andrà avanti una direttiva a livello europeo in termini di ristrutturazione green delle abitazioni, a livello europeo si stabiliranno regole mutuando da pregi e difetti del superbonus e dei bonus edilizi per cercare di incentivare un patrimonio abitativo più adeguato. Quindi, nell'ambito dell'adozione di questa direttiva potrà sicuramente essere utile ragionare prendendo atto anche dagli errori e dalle esperienze che abbiamo avuto.
  L'onorevole Bagnai ha giustamente evidenziato il fatto che in tutto questo approccio la tensione si concentra sempre e unicamente, di fatto, sul rapporto tra debito e PIL e su tutto il reference path che deve ricondurlo «a ragione», mentre tutti gli altri squilibri macroeconomici non vengono, se non evocati, neanche di fatto sanzionati in un sistema e in un approccio di regole precise. Quindi tutto si riduce sempre a un'attenzione alla deviazione rispetto Pag. 18ai dati di bilancio, con l'applicazione di condizionalità macroeconomiche che a me sembrano addirittura più automatiche rispetto all'assetto attuale. E tutto questo – vengo al tema a mio avviso centrale e su cui in diversi interventi ci si è soffermati – riporta a questa benedetta analisi di sostenibilità del debito. E in questo caso il problema è uno solo. In base a come tutto questo complesso meccanismo viene costruito, il nocciolo duro, la reazione nucleare, avviene nella DSA, ma questa DSA non è esattamente trasparente. Quindi quello che si inserisce in termini di ipotesi nella DSA condiziona pesantemente la situazione nel lunghissimo termine: ha ragione l'onorevole Guerra, arriviamo a proiezioni di tipo macroeconomico a diciassette anni. Adesso, sono valutazioni in cui sono coinvolti tanti economisti e io ho un grande rispetto per gli economisti, però la capacità di prevedere a diciassette anni, francamente, date anche le recenti esperienze e gli shock degli ultimi cinque o sei anni, lascia un po' a desiderare. Al netto di questo, non possiamo accettare che situazioni così stringenti derivino da un meccanismo non chiaro. Onorevole Marattin, io non sono contrario – e l'ho detto durante la mia relazione – al fatto che i risultati di queste DSA vengano resi pubblici. Ma non possono essere resi pubblici prima che lo Stato nazionale si metta al tavolo con la Commissione, perché se vengono resi pubblici prima che venga definito il reference path, ossia il sentiero di aggiustamento, di fatto, io mi siedo al tavolo e l'altro ha pistola sul tavolo. Io credo che i risultati possano essere resi pubblici, giustamente in modo trasparente, ma nell'ambito di un rapporto paritario, di dialogo con il Paese proponente. Questo vale esattamente anche per il piano e la cosiddetta ownership. Il piano nazionale deve essere scritto di concerto con la Commissione europea. Se la Commissione europea definisce un sentiero di aggiustamento in base alla DSA e il Paese interessato non accetta, cioè il Governo del Paese interessato non accetta – il Governo italiano, il Governo francese, il Governo spagnolo –, chiaramente parte un effetto stigma sui mercati e, tra l'altro, mi sembra di poter dire che la proposta della Commissione prevede che a quel punto, se non c'è accordo, prevale il sentiero di aggiustamento definito dalla Commissione. Quindi, a mio giudizio, questo è l'elemento centrale di tutta questa discussione, perché la flessibilità e il vestire in modo sartoriale le misure rispetto a regole astruse, che è il punto di forza più volte declamato da questa proposta della Commissione, ha senso se veramente sono due le parti che definiscono come questo vestito viene adattato in modo sartoriale, altrimenti – e rispondo alla collega Lucaselli – è la decisione della Commissione che prende addirittura maggior forza e potere rispetto ad oggi. Infatti, oggi la Commissione ha un potere di intervento ex post, mentre in questo caso è la Commissione che ex ante stabilisce, non con delle semplici raccomandazioni per il Paese, come oggi avviene, quali sono le politiche che il Paese deve seguire. Quindi credo che questo elemento cruciale debba essere adeguatamente valutato e su questo dobbiamo riflettere.
  Per quanto riguarda la classificazione dei Paesi, rispondendo all'onorevole Marattin e all'onorevole Lucaselli, è chiaro che la classificazione dei Paesi che deriva dalla DSA è ampiamente conosciuta: non credo che vi sia qualcuno sul mercato che non conosca la consistenza del debito pubblico di ogni Paese. Però quello che io ho detto nella mia relazione e che confermo è che nel momento in cui noi certifichiamo e statuiamo che un organismo classifica il debito in un diverso modo, apriamo la strada alla possibilità di utilizzare questa classificazione come quella di una sorta di agenzia di rating per quanto riguarda la valutazione e il peso negli attivi bancari. Questo è un argomento che ha toccato diversi Governi prima del nostro e rispetto al quale l'Italia, ovviamente, non soltanto attraverso le istituzioni governative ma anche attraverso la Banca d'Italia, ha sempre fatto muro. Noi non possiamo assolutamente accettarlo. Quindi, nel momento in cui viene statuita, questa classificazione, a nostro giudizio, ha un elemento di stigma – questo è il termine che ha utilizzato l'onorevole Lucaselli –, che, anche in ragione Pag. 19del modo con cui viene costruita l'analisi della sostenibilità del debito, oggettivamente può essere controproducente in termini reputazionali.
  Dobbiamo aspettare di arrivare in fondo alla discussione per capire alla fine come si concretizzerà la proposta della Commissione, ma quando verrà definita e accettata dovremo sicuramente adeguare sia legge n. 243 del 2012 che la legge n. 196 del 2009, ossia le leggi fondamentali per quanto riguarda il bilancio, e probabilmente anche i regolamenti parlamentari. Però aspetterei la fine del percorso per tirare le conclusioni.
  Credo di avere già risposto all'onorevole Guerra sui poteri della Commissione, nel senso che la Commissione in qualche modo si prende più poteri, interpretando il ruolo in senso positivo. Naturalmente, però, i timori connessi ad acquisire questa forma di rilevanza della possibilità di definire il sentiero di aggiustamento non possono essere ignorati e dobbiamo comunque rilevarli.
  Per quanto riguarda l'atteggiamento dell'Italia sul Green Deal e sugli aiuti di Stato, io dico semplicemente che queste sono delle sfide che o hanno una risposta globale e comune oppure, lasciate alle iniziative nazionali, chiaramente non raggiungono l'obiettivo per cui sono poste. Quindi, se l'Europa – non solo l'Europa, oserei dire, perché, come è noto, contribuiamo in misura abbastanza ridotta al riscaldamento globale – ha un obiettivo in termini di Green Deal e decide di adottare una politica comune, così pure comuni devono essere le forme di risposta e lo sforzo che viene messo in campo. Questo tema si collega anche agli aiuti di Stato: se gli aiuti di Stato devono essere consentiti sulle transizioni verdi, allora questa deve essere una politica comune europea: l'obiettivo comune dovrebbe ispirare una politica comune e, quindi, consentire a tutti di adottare questo tipo di iniziative. Se vogliamo incentivare la transizione verde e apriamo alle deroghe sugli aiuti di Stato per determinati Paesi, l'Italia non potrà farlo perché non ha gli spazi fiscali e, quindi, gli sarà preclusa la possibilità di fare la transizione verde? Mi sembra che sia una contraddizione abbastanza plateale. Si tratta della stessa logica per cui sulle battaglie condivise in Europa, la transizione digitale e la transizione verde, si è costruito tutto l'impianto del PNRR con un debito comune, ossia proprio perché erano obiettivi condivisi e comuni.
  Un ultimo passaggio sull'Agenzia del debito. A me sembra abbastanza evidente, anche ripercorrendo gli ultimi anni di storia italiana del rapporto tra debito e PIL, la riduzione di questo rapporto a cui noi siamo arrivati: siamo a circa 144,7. Però se si guarda indietro, i salti in questo rapporto sono in coincidenza di shock non derivanti da responsabilità dei Governi all'epoca esistenti, ma di shock provenienti dall'esterno, come il Covid e altro, e in qualche modo di questo si deve tenere conto. Chiaramente l'Italia ha un debito elevato, in altra epoca si andava verso misure assai più compatibili e ragionevoli, poi si sono verificate condizioni di natura eccezionale che hanno generato questa situazione. Aggiungo che oggi è legittimo e giusto discutere di come costruire le nuove regole e uscire dalla general escape clause, però faccio presente che il conflitto in Ucraina purtroppo è ancora in corso e le sue ripercussioni in termini di indicatori economici e macroeconomici sono ancora fortissime, in particolare con i riflessi sui prezzi dell'energia e, quindi, di fatto, sull'inflazione.
  Ho detto e lo ribadisco che siamo disponibili al dialogo e siamo disponibili anche a fare in fretta, però fare in fretta in un quadro di regole generali e non soltanto quelle di governance economica, anche in base a un principio di realismo rispetto al fatto che ancora oggi non siamo in una situazione totalmente normale e questa è la realtà.

  PRESIDENTE. Ringrazio il Ministro Giorgetti e tutti i colleghi intervenuti. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.