XVIII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI NEL MONDO

Resoconto stenografico



Seduta antimeridiana n. 48 di Martedì 1 marzo 2022

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Boldrini Laura , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'IMPEGNO DELL'ITALIA NELLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE PER LA PROMOZIONE E TUTELA DEI DIRITTI UMANI E CONTRO LE DISCRIMINAZIONI
Boldrini Laura , Presidente ... 3 
Prestianni Sara  ... 4 
Boldrini Laura , Presidente ... 9 
Prestianni Sara  ... 9 
Boldrini Laura , Presidente ... 10 
Prestianni Sara  ... 11 
Boldrini Laura , Presidente ... 12 
Prestianni Sara  ... 12 
Boldrini Laura , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Alternativa: Misto-A;
Misto-MAIE-PSI-Facciamoeco: Misto-MAIE-PSI-FE;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Europa Verde-Verdi Europei: Misto-EV-VE;
Misto-Manifesta, Potere al Popolo, Partito della Rifondazione Comunista - Sinistra Europea: Misto-M-PP-RCSE;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
LAURA BOLDRINI

  La seduta comincia alle 10.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera.
  L'odierna audizione sarà svolta consentendo la partecipazione da remoto, oltre che della personalità audita, anche delle deputate e dei deputati, secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il regolamento nella riunione del 4 novembre 2020.

Audizione, in videoconferenza, di Sara Prestianni, Migration and Asylum Programme Officer at EuroMed Rights .

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'impegno dell'Italia nella comunità internazionale per la promozione e tutela dei diritti umani e contro le discriminazioni, l'audizione in videoconferenza di Sara Prestianni, Migration and Asylum Programme Officer di EuroMed Rights. Anche a nome dei componenti del Comitato, saluto la dottoressa Prestianni e La ringrazio per la disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  L'audizione odierna sarà incentrata sul dibattito in corso in sede europea relativo al nuovo Patto su migrazione e asilo, nonché sui profili umanitari connessi alle crisi migratorie lungo i confini esterni dell'Unione europea.
  Fondata nel 1997, EuroMed Rights comprende settanta organizzazioni provenienti da ben trenta Paesi (per l'Italia ne fanno parte l'ARCI, Associazione Ricreativa e Culturale Italiana, e il Consiglio Italiano per i Rifugiati, CIR); la sua attività è finalizzata a promuovere e proteggere i diritti umani e la democrazia nelle regioni del Mediterraneo meridionale e orientale, nonché ad influenzare le politiche dei principali attori europei nei confronti di queste aree.
  Per conseguire i propri obiettivi, l'organizzazione conduce un costante monitoraggio della situazione dei diritti umani e della democrazia nella regione euromediterranea, anche attraverso missioni sul campo; promuove l'interazione tra i soggetti della società civile e gli attori statali – nazionali, ma anche internazionali – e organizza, infine, attività di advocacy e mobilitazione.
  Ora, venendo al merito dell'audizione, segnalo che, come evidenziato da EuroMed Rights in un comunicato pubblicato il 1° febbraio scorso, nel 2021 si è registrato un incremento degli arrivi di migranti e richiedenti asilo attraverso quasi tutte le rotte migratorie del Mediterraneo, con un altrettanto tragico aumento del bilancio delle vittime. In particolare, in Italia nel 2021 sarebbero arrivate circa 67 mila persone, di cui poco più di 9 mila sono i minori non accompagnati, quindi i minori che viaggiano da soli. Più di 6 mila persone sono morte nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, anche se è probabile che il numero, purtroppo, sia molto più alto. Anche il numero dei respingimenti è stato ai massimi storici, con almeno 15 mila persone respinte dalla Grecia alla Turchia e oltre 32 mila intercettate nel Mediterraneo centrale e respinte in Libia.
  La drammaticità di questa situazione deve essere tenuta in debita considerazione Pag. 4nel negoziato in corso sul pacchetto di proposte che compongono il nuovo Patto per la migrazione e l'asilo, proposto dalla Commissione europea il 23 settembre 2020. Al momento l'unica proposta che è stata finalizzata è quella che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per l'asilo (European Union Agency for Asylum, EUAA), in luogo dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (European Asylum Support Office – EASO), con il compito di migliorare il funzionamento del sistema comune europeo, fornendo una maggiore assistenza operativa e tecnica agli Stati membri e contribuendo ad una maggiore convergenza nella valutazione delle domande di protezione internazionale, perché è possibile che la stessa persona faccia domanda d'asilo in due diversi Paesi: succede che in uno ottiene protezione e in un altro no.
  In una nota della presidenza francese dell'Unione europea, pubblicata il 10 febbraio scorso, che fa il punto sui negoziati relativi alle altre proposte del piano, si sottolineano i significativi progressi nella ricerca di un compromesso sui controlli alle frontiere esterne ai cittadini stranieri che non rispettano i requisiti per l'ingresso nell'UE, comprese le persone salvate in una operazione SAR (search and rescue) nelle acque europee. Al riguardo, suscita riserve – e direi anche sconcerto – la proposta della presidenza francese di sottoporre a misure restrittive della libertà personale, compresi gli arresti domiciliari, i richiedenti asilo per tutta la durata del processo di verifica dei requisiti richiesti per ottenere la protezione internazionale.
  Analoghe convergenze tra i partner europei si registrano anche sulla modalità per il rimpatrio e sul sostegno finanziario per le azioni di protezione alle frontiere, in particolare per sostenere gli Stati membri, come l'Italia, più esposti alle pressioni migratorie: in caso di afflusso massiccio, che supera manifestamente la capacità di accoglienza, si prospetta l'attuazione di programmi volontari di ricollocazione in altri Paesi per i richiedenti asilo non manifestamente ineleggibili alla protezione internazionale. Per gli Stati membri che non partecipano al meccanismo di ricollocazione è previsto comunque un cosiddetto «vincolo di solidarietà», che potrebbe assumere la forma di un contributo finanziario: personalmente, lo considero troppo poco per chiamarlo vincolo di solidarietà.
  In tema di rimpatri, il nuovo Patto, ha l'obiettivo di introdurre una politica comune europea basata, tra l'altro, sul rafforzamento della cooperazione con i Paesi terzi in materia di riammissione e reintegrazione sostenibile.
  Segnalo, infine, che nel corso della riunione informale dei Ministri dell'Interno e della Giustizia dell'UE, svoltasi a Lille il 3 febbraio scorso, è stato registrato un sostanziale consenso sulla proposta della presidenza francese di istituire un apposito Consiglio dei Ministri dell'area Schengen, organo politico che dovrebbe sostituire l'attuale Comitato misto, che è di natura tecnica. Il nuovo formato del Consiglio si riunirebbe regolarmente – e in caso di necessità –, al fine di adottare rapidamente le decisioni opportune, ad esempio, in caso di crisi improvvise come quelle determinate alla fine del 2021 dalla Bielorussia ai confini con la Polonia e – immagino – anche come l'ultima recente crisi con l'Ucraina.
  Forniti dunque questi elementi di contesto, do la parola alla dottoressa Prestianni affinché svolga il Suo intervento. Prego, dottoressa Prestianni.

  SARA PRESTIANNI, Migration and Asylum Programme Officer at EuroMed Rights (intervento da remoto). Grazie, onorevole Boldrini. Grazie ai deputati e deputate presenti. Visto il vasto raggio di argomenti e il poco tempo a disposizione entro subito nel merito. Il mio intervento si focalizzerà prima sull'analisi della proposta legislativa chiamata «Patto», che è composta da cinque strumenti legislativi, da raccomandazioni e da un documento guida. È stata presentata in questa sua forma dalla Commissione europea il 23 settembre del 2020, vedremo poi in seguito l'illustrazione di quello che è la struttura legislativa del Patto, lo status quo delle negoziazioni sia a livello del Parlamento europeo sia del Consiglio, ovvero i due organi, le due Istituzioni europee che sono poi chiamate, dopo la Commissione, a Pag. 5modificare e a trovare un accordo su questa proposta. Ci sono due elementi, secondo me, importanti. Uno, quali sono gli ambiti su cui il Patto propone una modifica legislativa. Innanzitutto, le procedure di pre-accesso alle frontiere esterne, in questo caso l'Italia è veramente interessata ai meccanismi di responsabilità condivisa e solidarietà, con un concetto di solidarietà lontano da quello che può essere considerato un idea di solidarietà, un meccanismo speciale di crisi, la gestione dell'asilo e della migrazione e la dimensione esterna della migrazione e dell'asilo.
  Credo che sia importante fare un piccolo passo indietro per capire, purtroppo, che questa proposta si fonda sulle macerie di un fallimento politico, di una trattativa che è cominciata nel 2016 per la riforma del Sistema comune di asilo – la famosa CEAS, Common European Asylum System –, tra cui c'era anche la famosa riforma del Regolamento Dublino, quel regolamento che indica la responsabilità per le richieste d'asilo nel primo Paese di accesso. Se, da un lato, il Parlamento europeo, rispetto alla riforma del sistema comune d'asilo o, nello specifico, sulla Riforma Dublino, aveva fatto un passo avanti trovando un interessante compromesso, in quel caso il trilogo, cioè la trattativa col Consiglio, ha fatto naufragare la modifica del Regolamento Dublino. Quindi, in qualche modo, questa proposta del 2020 si fonda sul fallimento e sulla incapacità, tra il 2016 del 2018, a portare a termine la riforma di un sistema comune di asilo.
  Un altro elemento importante da ricordare è che la Commissione europea, nonostante abbia presentato settecento pagine che compongono i famosi cinque strumenti legislativi e le raccomandazioni e il documento guida, non ha presentato quello che viene definito l'impact assessment, cioè lo studio di impatto della proposta legislativa che veniva avanzata. Prima di tutto c'è un'obbligatorietà da parte della Commissione a presentare questo studio d'impatto che, di fatto, ha portato il Parlamento europeo a richiedere al suo Servizio di ricerca uno studio di impatto, detto sostitutivo. Ecco, io credo che partirei dalla conclusione, cioè dalla definizione del Patto, della proposta legislativa, contenuta in questo documento ufficiale del Centro di ricerca del Parlamento europeo, per capire i limiti e gli elementi di preoccupazione che caratterizzano questa proposta legislativa. Cito: «Il consenso generale è che il nuovo Patto, così come presentato dalla Commissione, avrebbe delle conseguenze negative per gli Stati membri, per le comunità locali, per i migranti e rifugiati, questo senso potenzialmente negativo ricadrà sulla dimensione territoriale, economica, sociale e quella dei diritti fondamentali». Ecco, io credo che questa dichiarazione, contenuta nello studio di impatto del Parlamento europeo, riassume le principali preoccupazioni.
  Andando nello specifico, io elencherei quali sono i contenuti principali e più preoccupanti delle proposte contenute nel Patto. Il primo, come vi dicevo, il pre-screening, ovvero il sistema di triage alle frontiere esterne, che interessa direttamente l'Italia. Prima di tutto c'è una strategia di finzione giuridica di extraterritorialità, ovvero questi centri, che in realtà ricalcano il modello dell'approccio hot spot attuato in Italia dal 2016, vengono considerati centri fisicamente sul territorio italiano ma giuridicamente extraterritoriali, cioè fuori dal territorio. Di fatto i migranti, quando sono in questi centri, non possono essere considerati fisicamente sul territorio italiano. La durata di permanenza in questi centri è di cinque giorni: anche lì abbiamo casi di realtà, come l'hot spot di Messina, dove la permanenza è molto più lunga rispetto ai cinque giorni previsti. E poi c'è un'ambiguità, come di fatto esiste anche nel sistema opposto, sul fatto che questi siano dei centri chiusi o dei centri aperti. L'ambiguità sulla detenzione e l'accoglienza caratterizza un po' tutta la struttura legislativa del Patto. Perché c'è un problema di ambiguità? Perché se si arriva a cinque giorni in un sistema detentivo, c'è la violazione dell'obbligo di convalida del giudice dopo le quarantotto ore, quindi in realtà c'è un difetto giuridico già nella struttura, per come è prevista.
  Nel pre-screening l'idea è quella che vengono identificate, in base a una serie di Pag. 6criteri, le procedure a cui verranno attribuiti i migranti. Opzione numero uno: la procedura del rimpatrio sulla base della lista dei Paesi terzi sicuri, di cui l'Italia è dotata. Ricordo solo che, ad esempio, ad oggi l'Ucraina fa sempre parte della lista dei Paesi terzi sicuri, quindi sarebbe interessante rimettere anche in dubbio l'uso di questa lista sapendo che le persecuzioni personali, previste dalla Convenzione di Ginevra, si basano sulla storia individuale e non sull'origine e sul Paese di origine. Quindi la procedura di rimpatrio di dodici settimane appare assolutamente inadeguata, vista la realtà delle procedure di detenzione e di rimpatrio oggi in atto in un Paese come l'Italia.
  La seconda opzione, in cui potrebbero venire attribuiti i migranti, è quella di una procedura accelerata di frontiera: anche in quel caso si tratta di una procedura di dodici settimane. Chi viene incanalato in questa procedura? I richiedenti asilo che hanno un tasso di riconoscimento, a livello europeo, della domanda d'asilo inferiore al 20 per cento. Ma qual è la realtà in cui ci troviamo? La terza opzione è quella della procedura d'asilo normale. Noi, proprio perché la Commissione europea non ha fatto uno studio d'impatto, abbiamo fatto delle simulazioni: dati alla mano, abbiamo, in più, preso i dati del 2020 (immaginate se avessimo utilizzato il 2021, che appunto registra 65 mila persone). Nei dati del 2020, l'Italia registra 25.920 arrivi; sulla base della nazionalità dei migranti arrivati fra questi 25.920, immaginate voi che 19.440 verrebbero attribuiti alla procedura accelerata. Questo significa che la quasi totalità, sulla base dei Paesi di origine, viene attribuita alla procedura accelerata, viene incanalata nella procedura accelerata. Ricordo semplicemente che, ad esempio, un Paese che ha un tasso di riconoscimento inferiore al 20 per cento è l'Egitto: immaginiamo bene il rischio di trovarsi un potenziale richiedente asilo egiziano in una procedura accelerata che viene poi direttamente inserito nella procedura di rimpatrio.
  Ma ancora più preoccupante è lo scenario, perché questa procedura accelerata – dodici settimane – su questo la Commissione europea gioca di ambiguità totale, se si tratta di una struttura detentiva in cui questa procedura accelerata viene effettuata. Gioca in ambiguità, ci sono state varie dichiarazioni per cui le isole – modello Grecia e modello Canarie – potrebbero essere esattamente delle strutture detentive, di fatto, a cielo aperto, dove i migranti non potrebbero uscire. Però la realtà dei fatti – noi abbiamo fatto un'ulteriore simulazione –, se immaginiamo uno scenario di diciotto settimane – ovvero dodici settimane di procedura accelerata di asilo, che è impossibile, i tempi di oggi dell'asilo sono di più di un anno, comunque immaginiamo dodici settimane, più sei settimane di una parte della procedura di detenzione, o ventiquattro settimane – noi ci troviamo ad avere una realtà sul territorio che dovrebbe gestire una media di 15 mila posti di detenzione nello stesso momento.
  Questo ci porta alla prima conclusione: il Patto fa delle proposte – e forse lì è il motivo per cui uno studio di impatto non è stato presentato – che sono di fatto irrealizzabili in un territorio, come quello italiano, che ha 2 mila posti di detenzione. Abbiamo fatto la stessa simulazione per la Spagna che ha 4 mila posti di detenzione, fra modello hot spot e CPR (Centro di permanenza per il rimpatrio), e anche lì arriviamo a delle cifre assolutamente ingestibili per un Paese, a meno che non si voglia trasformare l'Italia in un centro di detenzione a cielo aperto, parlando appunto di 15 mila posti di detenzione gestiti allo stesso tempo.
  Inoltre, c'è un altro elemento che caratterizza l'impatto della implementazione del Patto sul nostro Paese. Abbiamo visto, quindi, che la maggior parte andrebbe in procedura accelerata, l'altra parte andrebbe in procedura di rimpatrio. Chi resterebbe nella procedura classica d'asilo? Chi verrebbe integrato in quello che è sempre stato l'orgoglio del nostro Paese, il sistema diffuso di accoglienza? Di fatto l'Italia, con l'applicazione e l'implementazione tornerebbe indietro di dieci anni, ai maxi centri, maxi campi, al CARA (Centro Pag. 7di accoglienza per richiedenti asilo) di Mineo, chiuso anche a seguito di un'indagine del Parlamento italiano: le maxi strutture dove, in effetti, non viene presa in considerazione la vulnerabilità delle persone.
  Ricordiamoci che la più parte dei migranti che arrivano dal territorio libico soffrono trattamenti inumani e degradanti e necessitano un'accoglienza, non un sistema detentivo che, a fatica, possa prendere in considerazione le situazioni di vulnerabilità estrema e i casi di tortura e possibili vittime di traffico di esseri umani.
  Ecco, questa è un po' la realtà che ci propone il sistema di gestione delle frontiere che, appunto, toccherebbe direttamente all'Italia. Andiamo all'altra parte: il meccanismo di solidarietà. All'epoca si parlava di ricollocamento, qui ci propongono quattro tipologie di solidarietà: il ricollocamento; la sponsorship rimpatri, ovvero l'Ungheria che aiuta l'Italia a espellere un cittadino marocchino, quindi un periodo di detenzione in Italia, un periodo di detenzione in Ungheria, una diluizione delle responsabilità giuridiche e politiche, anche in caso di violazione dei diritti fondamentali durante la detenzione, e il rimpatrio; la terza opzione di solidarietà è il supporto alla dimensione esterna: anche lì ci immaginiamo l'Italia che viene supportata da un Paese terzo europeo nel finanziare e formare la Guardia costiera libica, che ha portato, appunto, alle famose 32 mila intercettazioni: anche quello io non lo definirei un concetto di solidarietà; il quarto sistema è il supporto economico al sistema di accoglienza. Questi sono i quattro sistemi di solidarietà: immaginate voi perché il sistema di ricollocamento, già fallito nel 2016, dovrebbe funzionare, quando i vari Stati membri, i Paesi che non vogliono portare avanti il ricollocamento – l'abbiamo visto in vari casi – dovrebbero, in questo caso, attuarlo? Nello stesso tempo si propone questo sistema di solidarietà come un'alternativa al Regolamento Dublino, la realtà dei fatti è che i migranti rimarranno in Italia, che il Regolamento Dublino rimarrà tale, ovvero con la responsabilità del primo Paese di accoglienza e che la solidarietà verrà fatta su dei meccanismi strani, rispetto al rimpatrio e alla dimensione esterna.
  Concludo sull'altra proposta che viene integrata nel Patto: la dimensione esterna, dove c'è uno stretto legame di condizionalità tra l'impegno dei Paesi terzi nel rimpatrio e l'identificazione e la possibilità di avere dei visti da parte dei Paesi terzi. Abbiamo già visto attuata questa proposta dal Governo francese: in piena campagna elettorale ha dimezzato i visti ai Paesi del Maghreb, come minaccia, perché non collaboravano nelle procedure di rimpatrio. Io vorrei tornare sul numero: 6 mila morti alle nostre frontiere, 6 mila morti che sono la conseguenza della riduzione delle vie legali di accesso al territorio; ridurre ulteriormente queste vie legali in condizionalità alle performance sui rimpatri è molto grave e potrebbe portare ad aumentare il bilancio, già tragico, dei morti alle nostre frontiere.
  Rispetto allo status quo della negoziazione, dunque, questa proposta legislativa e raccomandazioni ce ne sono, ho toccato la principali, c'è anche una raccomandazione legata al search and rescue, veramente non è una proposta legislativa ma è una raccomandazione. Ora è in discussione al Parlamento europeo, i relatori e i parlamentari ombra hanno lavorato sulla loro proposta di emendamento delle proposte della Commissione, verranno votate, soprattutto le proposte legislative, in Commissione LIBE (Commissione per le Libertà Civili, la Giustizia e gli Affari Interni), incaricata del dossier immigrazione, e in plenaria – si pensa, si spera – nei prossimi mesi, dopodiché si aprirà il trilogo con il Consiglio. Qual è il limite? È evidente che in seno al Consiglio, esattamente come con la proposta di modifica di un sistema d'asilo comune nel 2016, non c'è nessun accordo fra gli Stati membri. C'è chi dice che questa riforma rispetta troppo i diritti dei migranti – penso a Ungheria e Polonia, che sembra però aver cambiato attitudine e atteggiamento – e dall'altra parte ci sono gli Stati della frontiera sud che rifiutano questo modello perché, ovviamente, capiscono che il peso dell'accoglienza rimarrà sul loro territorio.Pag. 8
  La presidenza francese, in corso oggi, fa una proposta alternativa: dice di agire passo per passo e quindi, di fatto, spacchetta il Patto cercando di far avanzare, da una parte, la dimensione esterna, quindi la logica della condizionalità, la proposta legislativa relativa a EURODAC (European Dactyloscopie – Dattiloscopia europea), quella dello screening, che però interessa direttamente l'Italia, in parallelo la riforma del codice Schengen. L'altro elemento a cui assistiamo [problemi di audio] – anche se non sono in funzione perché il processo del trilogo non è terminato – sono di fatto proposte in un contesto diverso dal Patto. Pensiamo al famoso meccanismo di crisi, che è stato proposto alla frontiera con la Bielorussia, molto grave perché si parla, addirittura, di congelare l'asilo per un mese proprio per la situazione di arrivi importanti. Lo abbiamo visto anche con i migranti bloccati sulle Isole Canarie, bloccati i trasferimenti verso la penisola spagnola, anche lì era una forma di mettere in atto una specie di laboratorio del Patto mentre era in piena discussione al Parlamento europeo. I nuovi campi in Grecia sulle isole di Lesbo, Samos e Chios ricordano tantissimo [problemi di audio] che viene [problemi di audio].
  Ecco, questi esempi già ci ricordano che non solo va a [problemi di audio] ulteriore sui territori, come sulle isole greche e come sarà anche sul territorio italiano, ma che poi di fatto c'è una restrizione e una riduzione dello spazio d'asilo per migranti e rifugiati. Io passerei alla seconda parte, ovvero un po' una riflessione, ovviamente la riflessione sulla situazione delle frontiere esterne è strettamente legata con questa trattativa. Abbiamo visto che parti del Patto vengono, da una parte, attuate o comunque proposte per la gestione della situazione alle frontiere. Abbiamo visto una moltiplicazione delle procedure di respingimento della Grecia verso la Turchia, nel Mediterraneo centrale. Abbiamo assistito alla strumentalizzazione del dossier immigrazione nella situazione sia di Ceuta con il Marocco, dove 10 mila persone in quarantotto ore sono state fatte passare dal Marocco, proprio per, in qualche modo, minacciare l'Unione europea con il dossier immigrazione. Abbiamo visto la stessa cosa in Bielorussia. Ecco, la riflessione è: questa logica, la strumentalizzazione del dossier immigrazione, di fatto è cominciata proprio quando nella politica estera dell'Unione europea e di molti Stati membri, l'unico focus, in maniera quasi ossessiva, è quello sulla migrazione. Un esempio ottimo è quello sulla Libia: noi chiediamo da anni che il dialogo con le autorità libiche esca dall'interesse nazionale della riduzione dei flussi migratori in Italia e che si apra verso un reale processo di stabilizzazione del Paese. Questo non avviene, quindi, in qualche modo, ad effetto boomerang questa logica di strumentalizzazione si sta sempre più adottando, anche dalla frontiera sud. L'abbiamo visto, nel passato, fatto da Gheddafi, Erdoğan con la Turchia, la Bielorussia più recentemente. Questa è una situazione preoccupante perché di fatto chi ne perde, chi si trova schiacciato in questa logica, sono migranti e rifugiati che vedono i loro diritti violati, l'accesso al territorio europeo negato.
  Passando invece alla situazione in Ucraina – e su questo concluderei – ecco lì forse mi piace finire con una nota positiva: per la prima volta sembrerebbe che il Consiglio riesca a trovare un accordo per l'adozione e per l'implementazione della direttiva 55/2001, la direttiva sulla protezione temporanea. Direttiva che abbiamo chiesto da parte della società civile a gran voce che venisse attuata nel 2011 con gli arrivi eccezionali da Tunisia e Libia, ancora nel 2015 con gli arrivi dei siriani; purtroppo non è stato possibile, ora sembra che ci sia un accordo per l'attuazione di questa direttiva. Noi ne siamo estremamente contenti perché ci vuole uno strumento di protezione a livello europeo che possa agire; c'è però un'altra necessità a fianco, quindi verrà discussa nel consiglio JAI (Justice and Home Affairs) di giovedì prossimo, e si spera appunto che rapidamente la Commissione sia favorevole a questa proposta.
  C'è una sola speranza: che, da una parte, a questo sistema di protezione vengano integrati anche le migliaia di migranti che Pag. 9si trovano sul territorio ucraino e che anche loro sono a rischio di bombe, così come lo sono i cittadini ucraini, e che venga instaurato, non solo un sistema di protezione – molto bene –, ma anche un sistema di ridistribuzione nello spazio europeo. È normale che molti verranno verso l'Italia perché c'è un legame rispetto a molte famiglie ucraine qui: che vengano presi in considerazione questi legami familiari ma che vengano anche rafforzati i sistemi di accoglienza e, ancora una volta, i sistemi di accoglienza diffusi legati al sistema di accoglienza con i Comuni, perché con quei sistemi di accoglienza c'è un processo di integrazione possibile e non si tratta solo di un'accoglienza temporanea ma con un processo di lungo termine.
  Auspichiamo che vengano prese in considerazione tutte le situazioni di estrema vulnerabilità e che, in qualche modo, questa redistribuzione possa dare anche un cambio verso situazioni di violazioni dei diritti umani alle altre frontiere, perché non ci sia una logica «due pesi e due misure»: la gestione della crisi ucraina dimenticando la gestione, ad esempio, delle migliaia di rifugiati bloccati in Libia o, ancora, al confine con la Bielorussia, che si trovano ancora in una situazione tragica nelle foreste. Che l'apertura sulla protezione temporanea gli ucraini apra alla protezione dei migranti e rifugiati che hanno diritto di accesso al territorio e che possono entrare. Così come, che questo apra una riflessione reale in sede europea di vie legali di accesso al territorio, unica soluzione per ridurre il numero di violazioni dei diritti fondamentali, ma anche il numero dei morti. È un nostro dovere farlo.

  PRESIDENTE. La ringrazio molto di questa esposizione, dottoressa Prestianni. Volevo solamente aggiornarla in merito al fatto che l'Ucraina non è più considerata un Paese sicuro, quindi c'è stato questo cambio di destinazione – diciamo –, ovviamente, visto quanto è accaduto. E poi, Le vorrei dire che il Consiglio dei Ministri ha deciso che ci saranno 16 mila nuovi posti per accogliere i rifugiati, quindi un incremento di 13 mila posti nei centri straordinari, cioè nei CAS (Centri di accoglienza straordinaria), e un potenziamento di ulteriori 3 mila posti nel Sistema di accoglienza e integrazione (SAI). Quindi, alla luce della crisi ucraina, sono state fatte queste variazioni e sono state allargate le disponibilità in tema di accoglienza. Bene, adesso non so se qualche collega vuole intervenire, se chi è collegato intende intervenire.
  Vediamo la disponibilità dei colleghi, non vedo nessuno che si offre. Allora intanto io La ringrazio di questo che ci ha detto. Vorrei capire, rispetto al quadro generale che Lei ha fatto, che ha messo in evidenza le criticità di questo Patto e di questi cinque strumenti, volevo capire, quale sarebbe la vostra proposta, rispetto a quanto è stato prospettato? Voi cosa proponete per, in qualche modo, riuscire a mettere in piedi un sistema più funzionante, forse più basato anche sull'esperienza e sul terreno; qual è il vostro punto di vista in merito a questo Patto, cosa dovrebbe cambiare per renderlo più agevole e funzionante dal punto di vista concreto e materiale?

  SARA PRESTIANNI, Migration and Asylum Programme Officer at EuroMed Rights. La ringrazio per la domanda. Mi felicito, deve essere stata una notizia, perché all'inizio la questione dell'Ucraina nella lista dei Paesi sicuri era ancora integrata ed effettivamente la proposta italiana di apertura di nuove posti si integra in una riflessione più globale ed europea di attuazione della direttiva 55/2001, che spero venga veramente attuata. Rispetto, invece, alla proposta, partirei dalla stessa struttura del Patto, prima di tutto sulla dimensione esterna. Abolire questa logica di condizionalità, quasi di ricatto, che viene attuata rispetto al legame tra rimpatri e vie legali, c'è quindi una condizione più negativa, si riducono le vie legali, si riducono i visti se non si collabora con i rimpatri. Le due cose vanno assolutamente disgiunte, proprio alla luce del fatto che i visti e le vie legali, che invece vanno rafforzati, sono l'unico modo perché le persone non rischino la vita attraversando il mare o il deserto.
  Rispetto al pre-screening, e in generale sul sistema d'asilo, un elemento molto chiaro ed evidente: l'accoglienza deve essere tale e Pag. 10non deve essere in strutture detentive di nessun tipo e forma, proprio alla luce delle situazioni di vulnerabilità che vivono i migranti, soprattutto che arrivano nel Mediterraneo centrale. Come la struttura degli hot spot deve essere una struttura aperta, dove effettivamente c'è un processo di screening e identificazione, ma che non coincida con periodi detentivi illegali, perché appunto si supera il tempo legale di detenzione senza una convalida del giudice.
  La stessa cosa, il sistema d'asilo deve rimanere tale a qual è nei Paesi di prima frontiera e non andare verso un sistema accelerato di asilo di dodici settimane in possibile strutture detentive di fatto, o comunque in maxi centri. Questo, prima di tutto, perché sappiamo che il processo di asilo, che di sicuro va snellito, non deve essere ridotto a dodici mesi perché questa accelerazione potrebbe ridurre di fatto la protezione accordata ai richiedenti asilo, o comunque lo studio dell'analisi delle situazione personali. In secondo luogo, è necessario che tutto questo venga fatto in una logica di accoglienza ed integrazione, e non in una logica di detenzione in vista dell'espulsione.
  Anche sulla questione del processo del rimpatrio, semplicemente diciamo che è irrealistica: dodici settimane, sappiamo bene che spesso la procedura è molto lunga e il concetto di lista di Paesi sicuri è un concetto pericoloso, proprio alla luce della Convenzione di Ginevra, che si basa sulle storie individuali di persecuzione e non sul Paese di origine. Andando al sistema di solidarietà, è assolutamente necessario, però avere questo sistema di solidarietà, la carta che lascia l'opzione fra la sponsorship rimpatri, il supporto alle politiche di esternalizzazione e il ricollocamento, di fatto fa perdere completamente di valore il ricollocamento che potrebbe essere la scelta che, di fatto, nessun Stato membro fa e quindi sarebbero difficili dei sistemi di ridistribuzione fra gli Stati membri. Sistemi che, invece, sono necessari: la solidarietà e la redistribuzione fra gli Stati membri, non è aiutare un Paese a espellere un migrante, ma invece riuscire ad accogliere in maniera equa, sulla base anche dei legami familiari dei richiedenti asilo, dei migranti ed evitare appunto la concentrazione nei Paesi di primo arrivo. C'è una specie di ossessione sui movimenti secondari, ovvero il passaggio dai vari Stati membri, questi movimenti devono essere accettati come forma di un percorso personale di richiedenti asilo o rifugiati e migranti, che vanno là dove c'è un legame familiare, una possibilità di lavoro o la conoscenza di una lingua.
  Quindi mi porta alla proposta di una riforma totale del Regolamento Dublino e avanzerei la proposta di riprendere in mano la proposta licenziata e approvata dal Parlamento europeo nel 2017, che non ha trovato l'accordo con il Consiglio, ma che in realtà era una proposta interessante di equilibrio fra i vari Stati. Terminerei con l'idea di rafforzare le vie legali di accesso al territorio, ma anche di rafforzare un sistema comune di asilo, perché non ci siano delle discrepanze nelle procedure a livello dei vari Stati membri e che, in qualche modo, si possano anche rafforzare i sistemi nazionali e territoriali attraverso il rafforzamento del sistema d'asilo, perché il contesto europeo necessita di un legame stretto con la riflessione su immigrazione e asilo, al di là della situazione dei migranti e rifugiati.

  PRESIDENTE. Sì, la ringrazio. Evidentemente i due ambiti sono diversi e separati, perché sull'asilo noi abbiamo delle direttive, dunque c'è un sistema di armonizzazione tra gli Stati membri, laddove questo sistema non esiste nella materia migratoria, che è di ambito esclusivo dei Paesi membri, non c'è nessun sistema di armonizzazione in materia migratoria. Quindi, io penso che anche aver fatto un unico Patto sia un po' misleading, in quanto laddove nell'asilo noi possiamo lavorare su una base comune già esistente, è molto più complesso andare a toccare il sistema della migrazione che ancora oggi non vede nessuna socializzazione, in ambito europeo, di misure che sono state condivise, perché non ci sono le deleghe per fare questo.
  Quindi il sistema è tarato su una esclusiva competenza degli Stati membri e allora lì bisognerebbe andare a rivedere anche l'assetto delle deleghe perché, ad oggi, Pag. 11l'Unione Europea non ha queste competenze in materia migratoria. Quindi è tutto un po' ambiguo, come Lei diceva, ci sono zone di ambiguità che nascono dal fatto che mancano anche le strette competenze.
  Un'altra cosa: la direttiva 55/2001 non è mai stata messa in atto, anche quando ci sono stati flussi massicci, e specialmente quando questi flussi provenivano dal sud dell'Unione europea. Io non voglio fare polemiche ma evidentemente mi ricordo, per esperienza personale, quando lavoravo all'Alto Commissariato Onu per i rifugiati (UNHCR – United Nations High Commissioner for Refugees), il fatto che in varie occasioni si tentò di far passare l'applicazione di questa direttiva, ma a Bruxelles si trovò sempre uno ostinato niet. Ora, Lei dice che c'è un accordo in Consiglio per arrivare a questo, ma questo Suo ottimismo è basato su una discussione in corso oppure su considerazioni non ufficiali? Cioè, Lei pensa che veramente stiamo nella giusta direzione e, ricordiamolo, che cosa significherebbe adottare la direttiva 55/2001, rispetto alla procedura normale, quella che si attua quando arriva qualcuno irregolarmente e che quindi deve essere poi identificato e, rispetto alla domanda d'asilo, deve fare una procedura che lo porta ad attendere più di un anno? Quindi che cosa accadrebbe con l'applicazione di questa direttiva di diverso rispetto allo status quo?

  SARA PRESTIANNI, Migration and Asylum Programme Officer at EuroMed Rights. Ottima riflessione sulla questione della prima storica applicazione. Non è un caso che ho citato le numerose richieste di applicazione fatte, nel caso di recente, nel 2015 e nel 2011, perché c'erano situazioni assolutamente che giustificavano l'attivazione di questa direttiva. Purtroppo non è stata attivata, ragione per cui, nelle mie conclusioni auspicavo che un cambio di politiche – e quindi, per la prima volta, l'applicazione di questa direttiva – permetterebbe anche una riflessione più ampia sui migranti, perché non ci sia una logica «due pesi e due misure», questo sarebbe un rischio che non ci possiamo permettere. Già vediamo situazioni preoccupanti fra quello che succede al confine tra Bielorussia e Polonia, da mesi ormai, e invece quello che succederà alla frontiera tra Polonia e Ucraina, cioè, due gestioni completamente opposte, due discorsi completamente opposti dell'accoglienza.
  Quindi, ovviamente, si auspica che questa apertura rispetto alla crisi ucraina della attivazione della direttiva 55/2001 permetta in qualche modo di spingere verso un cambio di politica anche sui migranti e richiedenti asilo e rifugiati che si trovano in altre frontiere. Ovviamente verrà discusso nel Consiglio JAI di giovedì, non c'è [problemi di audio] ci sembra, nel sentire gli umori dei vari Stati, che ci sia comunque una [problemi di audio] verso l'applicazione di questa direttiva. Nulla è certo, ci possono essere dei colpi di scena, quello che è interessante è vedere che, di fatto, sono quelli che storicamente si sono più opposti alla politica di ricollocamento, alle politiche di solidarietà per gli Stati membri, sono quelli oggi più colpiti, quindi quelli che oggi hanno più interesse all'attivazione di questa direttiva. Quindi forse anche questo cambio di situazioni politiche potrebbe, in qualche modo, far credere che ci sia un approccio positivo rispetto a che venga attivata la direttiva.
  Rispetto al cambiamento, il cambiamento reale sarà quello di avere un'automatica forma di protezione di un anno senza passare per le procedure di asilo che vengono descritte e – da lì la nostra richiesta – che vengano integrati a questo sistema di protezione anche coloro che sono presenti sul territorio ucraino da anni – che siano richiedenti asilo, migranti o rifugiati – che sono nella situazione stessa situazione di rischio dei cittadini ucraini alle frontiere. Quindi la possibilità, in qualche modo, di ottenere una protezione di un anno, fermo restando che, ad oggi, gli ucraini, che hanno un passaporto biometrico, hanno la possibilità di accedere senza visto al territorio europeo, ma possono circolare per soli novanta giorni sul territorio. Quindi, in qualche modo, l'attivazione di questa direttiva darebbe uno strumento di protezione ben più lungo, e comunque, ben più sostanziale di quello che oggi dà la possibilità semplicemente di entrarePag. 12 senza visti per novanta giorni. Però, a quello devono seguire una serie di linee guida di applicazione, che la Commissione stessa deve avanzare, con strumenti sia di supporto economico ai Paesi che vedranno una accoglienza maggiore, per legami familiari e storici con i cittadini ucraini, ma anche delle linee guida rispetto all'armonizzazione dell'applicazione di questa direttiva su tutto il territorio europeo.

  PRESIDENTE. Mi scusi, non ho ben colto, il passaporto biometrico consente agli ucraini di stare in Italia per quanto tempo?

  SARA PRESTIANNI, Migration and Asylum Programme Officer at EuroMed Rights. Gli ucraini non hanno l'obbligo di visto, semplicemente specifico la questione del passaporto perché al passaggio di frontiere vieni richiesto [problemi di audio]. Un'altra precisazione che va fatta [problemi di audio] passare donne, bambini e anziani, anche senza passaporto, anche se non c'è ancora la direttiva e anche se, in teoria, [problemi di audio] il passaggio della frontiera. Perché [problemi di audio] gli uomini tra i diciotto e i sessanta anni sono, invece, nell'obbligo di prestare servizio alle Forze armate del Paese. In realtà, è anche importate ricordare questa situazione – si parla della popolazione ucraina –, di fatto, chi viene lasciato uscire dalle frontiere oggi sono, principalmente, donne, bambini e persone anziane.

  PRESIDENTE. Bene, io La ringrazio per quello che ci ha esposto. Sarebbe molto utile, perché questo sarà un tema immagino che poi arriverà all'attenzione anche del Parlamento, di avere una nota scritta, se è possibile, non solo sulle criticità ma anche sulle proposte. Cioè, su che cosa di questo piano non funziona e che cosa viene suggerito di cambiare e in che modo, perché poi quando si va a discutere nel merito noi ci troveremo anche a poter fare, magari, un lavoro emendativo e quindi è importante avere, da parte di chi si occupa della materia, delle indicazioni stringenti in merito alle proposte.
  Quindi, La ringrazio molto, Le faccio i miei complimenti, Le auguro buon lavoro e spero di avere altre occasioni di consultazione. La ringrazio, dottoressa Sara Prestianni.
  Dichiaro conclusa questa audizione.

  La seduta termina alle 11.20.