XVIII Legislatura

IV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 24 di Mercoledì 16 giugno 2021

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzo Gianluca , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA PIANIFICAZIONE DEI SISTEMI DI DIFESA E SULLE PROSPETTIVE DELLA RICERCA TECNOLOGICA, DELLA PRODUZIONE E DEGLI INVESTIMENTI FUNZIONALI ALLE ESIGENZE DEL COMPARTO DIFESA:

Audizione del presidente del Comitato militare dell'UE, Generale Claudio Graziano.
Rizzo Gianluca , Presidente ... 3 
Graziano Claudio , presidente del Comitato militare dell'UE ... 3 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 10 
Occhionero Giuseppina (IV)  ... 10 
Russo Giovanni (Misto)  ... 11 
Pagani Alberto (PD)  ... 11 
Perego Di Cremnago Matteo (FI)  ... 12 
Aresta Giovanni Luca (M5S)  ... 13 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 14 
Graziano Claudio , presidente del Comitato militare dell'UE ... 14 
Rizzo Gianluca , Presidente ... 17 

ALLEGATO: Presentazione informatica illustrata dal presidente del Comitato militare dell'Ue ... 18

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Partito Democratico: PD;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Coraggio Italia: CI;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-L'Alternativa c'è: Misto-L'A.C'È;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Rinascimento ADC: Misto-NcI-USEI-R-AC;
Misto-Facciamo Eco-Federazione dei Verdi: Misto-FE-FDV;
Misto-Azione-+Europa-Radicali Italiani: Misto-A-+E-RI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-MAIE-PSI: Misto-MAIE-PSI.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
GIANLUCA RIZZO

  La seduta comincia alle 14.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la diretta sulla web-tv e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del presidente del Comitato militare dell'UE, Generale Claudio Graziano.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del presidente del Comitato militare dell'Unione europea, Generale Claudio Graziano, che avrà come oggetto le tematiche trattate dall'indagine conoscitiva sulla pianificazione dei sistemi di difesa e sulle prospettive della ricerca tecnologica, della produzione e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto difesa.
  Saluto e do il benvenuto al Generale Graziano, accompagnato dal Generale di Brigata Barduani, dal Maggiore Della Gatta e dal Capitano Giannuzzi, che ringrazio per la partecipazione ai lavori della Commissione.
  Saluto i colleghi presenti e quelli che partecipano secondo le modalità stabilite dalla Giunta per il Regolamento del 4 novembre 2020, ai quali rivolgo l'invito a tenere spenti i microfoni per consentire una corretta fruizione dell'audio.
  Ricordo che, dopo l'intervento del nostro ospite, darò la parola ai colleghi che intendano porre domande o svolgere osservazioni. Successivamente, il Generale potrà rispondere alle domande poste. A tal proposito chiedo ai colleghi di far pervenire fin da adesso la propria richiesta di iscrizione a parlare al banco della Presidenza.
  Cedo, quindi, la parola al presidente del Comitato militare dell'Unione europea. Prego, Generale.

  CLAUDIO GRAZIANO, presidente del Comitato militare dell'UE. Grazie, signor presidente e onorevole deputati. Sono veramente grato per questa nuova opportunità che mi viene concessa di prendere la parola in presenza, dopo un lungo periodo di pandemia, dinanzi a questo alto consesso e poter così contribuire a fornire qualche ulteriore elemento conoscitivo sulle prospettive di sviluppo delle capacità operative, di ricerca tecnologica, delle produzioni e degli investimenti funzionali alle esigenze del comparto di sicurezza europeo.
  Mi avvalgo, nella relazione, di alcune lastrine. La Presidente von der Leyen ha accolto, accettato e rilanciato la sfida della Global Strategy del 2016, ovvero di un'Unione capace di ricoprire un ruolo di global security provider, affermando di volere una Commissione geopolitica e parlando per la prima volta dell'importanza dell'hard power, affiancato al soft power.
  Alla luce di ciò, va radicandosi il convincimento – nell'ambito delle istituzioni europee – di acquisire le capacità necessarie a conseguire quell'autonomia strategica di cui tanto si parla e di cui tanto io stesso parlo in questi ultimi tempi.
  Nel perseguimento dell'autonomia strategica dell'industria europea prevale un approccio orientato primariamente alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento e ai partenariati internazionali nell'ambito di catene di valore globale. Con riferimento, invece, a quanto attiene alle politiche di sicurezza e difesa comune, Pag. 4quando si parla di autonomia strategica non intendiamo l'autonomia da qualcuno – come avviene per l'approvvigionamento –, bensì la capacità di agire da soli, se necessario, e con i partner e, in primis la NATO, quando possibile e se è possibile, con un ritrovato slancio dell'iniziativa politica con i Paesi membri di fronte alla duplice esigenza di maggiore cooperazione per la definizione degli obiettivi strategici e di migliore programmazione finanziaria per le risorse destinate all'acquisizione di capacità. Questo nel medio e lungo termine permetterà di incrementare la cooperazione tra i Paesi membri e, al contempo, di rafforzare la base industriale della difesa, mantenendo in Europa il know-how funzionale alla rincorsa europea alla sovranità tecnologica che, come vedremo, è probabilmente la sfida strategica vitale del domani.
  Mai nella storia recente, infatti, la sfida tecnologica ha avuto tale centralità nella competizione geopolitica. Quella in atto tra le grandi potenze – principalmente fra gli Stati Uniti e la Cina – è una sfida per il primato tecnologico, ossia per acquisire un vantaggio geopolitico. La crescente competizione tra le due principali potenze mondiali ha importanti ricadute anche in termini di spesa e di investimento nel settore della difesa. Con riferimento al 2020, gli Stati Uniti hanno continuato a essere i primi del mondo con una spesa di 778 miliardi di dollari, circa il 3,7 per cento del PIL – mi sembra che quest'anno abbiano superato gli 800 miliardi –, seguiti dalla Cina con 252 miliardi, pari a circa l'1,9 per cento del PIL.
  Dobbiamo naturalmente prendere con cautela i dati forniti da Pechino, ma mi permetto di richiamare una riflessione su due punti che ci aiuteranno a capire meglio le scelte europee in materia di investimento in ricerca e sviluppo tecnologico nell'industria della difesa.
  Il primo punto ha un carattere ragionieristico. Le cifre appena citate fanno riferimento a prezzi correnti usati per stilare statistiche, secondo i quali Pechino spenderebbe un terzo di quanto spende Washington, ma se il calcolo è fatto non a prezzi correnti ma sulla base del potere d'acquisto le spese cinese balzano a 520 miliardi, ossia due terzi di quelli americani, perché evidentemente il costo della vita è molto più basso.
  Il secondo punto, invece, riguarda la qualità degli investimenti. La Cina, infatti, sta investendo in maniera impressionante sulle capacità navali e sull'applicazione delle emerging disruptive technologies alle capacità militari. In questo caso per la prima volta il vantaggio tecnologico occidentale rischia di essere insediato, se non superato, da Pechino.
  A carattere storico ricordo che dal X al XII secolo i cinesi inventarono la polvere da sparo, il cui sviluppo in Cina si ebbe non per fini bellici, ma per i fuochi d'artificio, perché fummo noi europei a svilupparlo qualche centinaio di anni dopo come arma, ma sono quasi certo e temo che se oggi Pechino dovesse continuare a perseguire la ricerca e l'innovazione tecnologica, soprattutto per quanto riguarda l'intelligenza artificiale, non rifarebbe l'errore che dal punto di vista militare fu fatto secoli fa.
  Tutto lascia immaginare che la Cina si stia preparando a essere anche una superpotenza militare oltre che economica, tecnologicamente avanzata e proiettata nel futuro.
  Ricordo che la catena di comando in Cina è unica per le decisioni sull'investimento. Anche in ragione di ciò, credo che l'Europa non possa ritenersi disinteressata da questa competizione tecnologica, al cui confronto la corsa allo spazio e la Guerra fredda rischiano di essere solo il prologo.
  Anche per questi motivi si è giunti alla decisione del Consiglio del giugno 2020, con la quale è stato invitato l'Alto rappresentante dell'Unione a sviluppare in stretto collegamento con gli Stati membri un documento, lo Strategic Compass, che si prefigge di rafforzare e meglio guidare l'attuazione del livello di ambizione dell'Unione europea che discende proprio dalla Global Strategy del 2016.
  L'elemento di novità è rappresentato dalla direttiva fornita dal Consiglio per orientare lo sviluppo di questo progetto, dichiarando che l'intento è quello di definire delle linee Pag. 5politiche e degli obiettivi specifici della politica comune di sicurezza e di difesa all'interno di quattro domini e, precisamente: la gestione delle crisi, la resilienza, la partnership e lo sviluppo di capacità. Tutto questo è diretto dagli Stati membri e verrà alla luce già come draft alla fine di quest'anno ed è importante che ci sia un impegno di tutti i Paesi per la definizione di queste linee.
  Nel presentare le politiche di sviluppo di capacità comuni non possiamo non partire dall'indicare il problema principale che si intende superare, ovvero la frammentazione. Il problema europeo in materia di spesa per la Difesa non è infatti semplicemente legato al dato numerico o al solo raggiungimento auspicabile del 2 per cento del PIL, perché oggi l'Europa dei 27 Paesi membri spende circa 230 miliardi di euro, poco meno della Cina. Tuttavia, occorre considerare efficienti 180 diversi sistemi d'arma a fronte di 30 degli Stati Uniti e 17 sistemi d'arma terrestri principali a fronte di uno solo dei nostri alleati e via dicendo nei vari settori.
  Questa frammentazione, oltre a non essere più sostenibile in termini di economia di scala, si stima che generi una sovrapposizione della spesa continentale tra i 25 e i 100 miliardi di euro l'anno. Quindi, appare evidente che non è più rimandabile non solo l'esigenza di spendere di più, ma anche la necessità di spendere meglio, evitando sprechi e duplicazioni.
  È su questo background che si inseriscono iniziative per lo sviluppo e l'acquisizione di una capacità futura di difesa per il raggiungimento di livelli di ambizione prefissati. Per raggiungere questa capacità, che inevitabilmente impatta sulle strategie industriali della difesa, la priorità dovrebbe essere guidata dalle esigenze operative, ovvero da quello che serve operativamente.
  Qui risiede una delle mie principali competenze, che è quella di rappresentare l'esigenza degli utilizzatori finali presso le regioni delle istituzioni europee e anche di fronte agli Stati membri. Sono diverse le iniziative europee in materia di difesa e sicurezza comune che, se non guidate da concorrenza e concretezza e con un vero approccio sinergico, rischiano di perdere efficacia.
  Vengo al piano d'azione sulle sinergie industriali. Recentemente, la Commissione ha reso pubblico il piano d'azione sulle sinergie tra industria civile della difesa e dello spazio. L'obiettivo del piano di azione è collegare le tre dimensioni – civile, spazio e difesa – al servizio di un'ambizione politica industriale, ovvero la sovranità tecnologica. Questo piano comprende undici azioni concrete, ma di queste ne evidenzio essenzialmente tre.
  La prima è sorvegliare le tecnologie critiche. Infatti, è essenziale essere in grado di definire congiuntamente un elenco di tecnologie considerate critiche – i cloud, i processori, le tecnologie spaziali e la crittografia quantistica – che dovranno essere oggetto di particolare monitoraggio al fine di concentrare i nostri sforzi sulla riduzione delle nostre potenziali dipendenze. Così l'Europa si sta dando l'ambizione, il metodo e i mezzi per affrontare la sfida tecnologica.
  Poi abbiamo lo sviluppo dei tre progetti faro: i droni, con cui si intende la capacità di integrare il know-how militare nelle tecnologie dei droni civili; la gestione del traffico spaziale, che è una componente chiave per garantire un accesso indipendente allo spazio e costruire credibilità di fronte alle azioni in quest'area da parte dei nostri alleati come gli Stati Uniti; la connettività satellitare che si traduce in connettività per tutti, nella resilienza e nella capacità di garantire il backup della rete terrestre e sicurezza delle comunicazioni quantistiche.
  Infine, il terzo piano d'azione è il sostegno all'innovazione e, in particolare, l'innovazione dirompente. L'elemento chiave del nostro successo è garantire la coerenza tra gli strumenti di supporto a queste innovazioni. Non a caso la Commissione sta creando una rete di incubatori di innovazione che consenta di portare alla luce le migliori innovazioni che possono avere interesse per la difesa. Si tratta di un grande sforzo di coerenza.
  Cerchiamo di stigmatizzare in quattro passaggi il concetto di coerenza delle esigenzePag. 6 delle iniziative europee. Questi quattro passaggi esistono già e li ho già presentati in altre circostanze, ma tutto parte da quelli che si chiamano «obiettivi di capacità ad alto impatto», che sono considerati come una guida per i processi nazionali e di pianificazione della difesa e rappresentano gli obiettivi e le carenze principali.
  Abbiamo un altro elemento che si chiama CARD (Coordinated annual review on defence), che offre ai Paesi uno strumento per aumentare la coerenza tra i vari piani nazionali di difesa in una prospettiva europea attraverso la mappatura delle carenze capacitive e l'ottimizzazione degli investimenti. Questo è uno strumento utile nella misura in cui i Paesi membri rendono effettivamente note le proprie carenze e le proprie capacità e possono essere utilizzate per la pianificazione europea.
  Inoltre, abbiamo la famosa Cooperazione strutturata permanente, la PESCO (Permanent structured cooperation), volta a creare una maggiore integrazione della componente di sicurezza e di difesa realizzando sinergie tra sviluppo delle capacità militari e industriali attraverso progetti concreti a cui aderiscono 25 dei 27 Paesi membri. Sottolineo che i progetti PESCO, sebbene siano utili a supportare a breve e medio termine le missioni e le operazioni, sono iniziative finanziate dai Paesi membri e non tramite il ricorso alla spesa comune. Questo vuol dire che sono utili e positivi, ma che la risposta in questo momento forse è inferiore alle aspettative.
  Poi abbiamo il Fondo europeo per la difesa – quello che in questo momento è più importante – che ha lo scopo di fornire un sostegno finanziario alle attività nel campo della ricerca, cioè a quelle più direttamente finalizzate allo sviluppo e acquisizione di capacità militari, gettando le basi affinché l'industria della difesa dell'Unione europea mantenga il know-how in Europa.
  Il meccanismo di accesso al Fondo ha come principio base la cooperazione europea, ponendo quale requisito la partecipazione di almeno tre soggetti industriali appartenenti a tre diversi Paesi membri, che è un'operazione non semplicissima.
  I fondi complessivi destinati all'iniziativa nel periodo 2021-2027 sono pari a circa 8 miliardi di euro, ripartiti in 2,65 miliardi per la ricerca tecnologica e 5,35 miliardi per lo sviluppo delle capacità.
  L'attuale profilo finanziario prevede 946 milioni di euro l'anno – circa un miliardo – nei primi tre anni e poi, progressivamente, circa un miliardo e seicento milioni nel 2027.
  Analogamente alle precedenti iniziative come l'European Defence Industrial Development Programme, anche l'EDF (European Defence Fund) si basa su programmi di lavoro annuali che saranno approvati di anno in anno. Quello del 2021 sarà approvato e diramato entro la fine del mese, mentre le risposte sono attese per il mese di dicembre. In tale arco di tempo le aziende dovranno dimostrare la capacità di aggregarsi in consorzi internazionali e le competenze di regolazione nazionale dovranno valutare e confermare la coerenza capacitiva e finanziaria delle varie proposte di progetto. L'approvazione dei progetti vincitori è prevista per la metà di luglio del 2022, mentre il rilascio dei grants è previsto per il dicembre dello stesso anno.
  È verosimile immaginare che i programmi discendenti dalle call del programma annuale 2021 potranno partire dall'inizio del 2023. Più o meno questa sarà la scansione temporale di tutto il progetto.
  È ovvio che la Direzione generale preposta all'argomento, ovvero la Direzione generale per l'industria della difesa e dello spazio, sta già lavorando alle call degli anni successivi. Apro una parentesi, probabilmente ben nota, sull'importanza di alimentare la filiera italiana con l'impiego di adeguato personale in questi strumenti comunitari, ma è argomento su cui ritorno fra poco.
  È sempre più chiaro che il primato tecnologico significhi anche egemonia geopolitica e militare e che la rincorsa europea alla tech sovranity risponda a questa necessità. In questa nuova dinamica europea la filiera industriale italiana ha tutte le caratteristiche per ben figurare nello sviluppo di nuove piattaforme in un quadro di Pag. 7cooperazione e ottimizzazione delle risorse, siano esse europee o nazionali.
  Ritengo che i Paesi e le industrie debbano provare a innescare un vero cambio di passo in un settore che talvolta è stato storicamente ostaggio di egoismi nazionali. La costruzione di una difesa europea credibile passa inevitabilmente anche da una chiara politica industriale europea, declinata in un quadro di cooperazione ed alleanze, utilizzando al meglio le numerose iniziative europee. I fondi europei per la difesa rappresentano un primo passo concreto in questa direzione.
  Devo dire che è chiaro che non si può immaginare l'EDF per finanziare un sistema d'arma tout court dall'ideazione all'acquisizione – perché i sistemi d'arma moderni sono tantissimi –, ma rappresenta un ottimo strumento finanziario per la ricerca e sviluppo di tecnologie componentistiche che potranno essere integrate nei sistemi d'arma di nuova generazione, la cui acquisizione e procurement sarà inevitabilmente una responsabilità che devono assumersi i Paesi membri, auspicabilmente in cooperazione fra di loro. Ciò che viene richiesto in modo vincolante ai Governi nazionali è dare concretezza alla volontà di accedere ai fondi con un impegno finanziario, certo ed adeguato.
  Parliamo dei sistemi d'arma di prossima generazione. Sono spesso chiamato a intervenire in convegni e dibattiti in cui si parla di grandi progetti industriali per lo sviluppo dei sistemi d'arma di prossima generazione in Europa. Uno di questi è sicuramente il carro armato di quarta generazione, che non è affatto detto che sia quello riportato in lastrina, perché queste sono idee che si trovano su Internet. Infatti, il concerto del carro del futuro va ben oltre una continuazione puramente lineare delle capacità dei carri armati esistenti. Adesso si vorrebbe sostituire un concetto multipiattaforma che potrebbe coinvolgere sia veicoli terrestri con o senza equipaggio, sia veicoli aerei senza equipaggio, collegati ai veicoli terrestri.
  A onor del vero, oggi un progetto da analizzare non è stato ancora ufficialmente presentato, sebbene nel maggio 2020 Rheinmetall Germania e KNDS (Krauss-Maffei Wegmann+Nexter Defence System) – una joint venture composta da Krauss-Maffei, sempre in Germania, e da Next System Francia – abbia ottenuto dall'ufficio federale tedesco un contratto per lo studio di definizione della coltura del sistema man ground compact system, parte 1. L'obiettivo dello studio di 18 mesi, le cui quote di lavoro sono distribuite ugualmente oggi tra Francia e Germania sulla base di 50 e 50, è di analizzare i dettagli del progetto e proporre una multipiattaforma comune. È un progetto ancora in fase di studio, che ha però attirato l'attenzione degli esperti e che in questo momento è supportato in modo diversificato – ci sono sempre delle mutazioni – dalla volontà politica di Francia e Germania.
  Indipendentemente dalla validità o meno di alcune ipotesi progettuali, quello che emerge chiaramente dalle diverse esigenze nazionali è che l'aggiornamento delle piattaforme attualmente in servizio tenta di colmare delle carenze attuali. Non si tratta di rimodernare o aggiornare i carichi sistema in servizio, ma noi dobbiamo immaginare qualche cosa che possa sostituire, sopperire, cambiare e ammodernare la capacità terrestre nei prossimi anni. Quindi, stiamo parlando di qualche cosa che va messo allo studio, com'è stato per gli F35, in una componente completamente diversa.
  Proprio per questo si rende necessario investire in progetti di ricerca e di sviluppo comune prodromici all'acquisizione di un unico sistema europeo sostenibile sia per capacità tecniche che per economie di scala. Devo dire che, sulla base mia esperienza passata, questa è una delle priorità e delle maggiori carenze per quanto riguarda le Forze armate italiane.
  Per quanto riguarda, invece, la capacità aerea si discute del cosiddetto «velivolo da combattimento di sesta generazione» che è stato definito un sistema di sistemi. Oltre al progetto di caccia e aerazione, sono in fase di sviluppo altre iniziative relative al combattimento aereo con i droni, vettori e sensori remoti per costituire una vera rete interconnessa di superiorità aerea. Questo Pag. 8nuovo sistema può essere fatto risalire al 2001 su iniziativa franco-tedesca e mira a sostituire l'attuale Eurofighter e i caccia francesi entro il 2040. Richiamo qui l'orizzonte temporale su cui ritornerò tra poco. Tuttavia, il progetto ha avuto un'accelerazione nel 2017, quando il Governo francese e il Governo tedesco hanno deciso di lanciare questa iniziativa in seguito al loro ruolo primario post-Brexit negli affari di sicurezza e difesa dell'Unione europea. Nel 2019 una società francese e una società tedesca concorrono alla costituzione della joint venture 50 e 50, a cui si è aggiunta un'azienda spagnola. Questo consentirebbe alla nuova joint venture un'equa condivisione del lavoro tra Francia, Germania e Spagna per tutte le attività motoristiche relative al Next Generation Fighter. Tuttavia, al netto delle dichiarazioni d'intenti, iniziano a emergere delle divergenze sulla fase di sviluppo del progetto che si concentrerà sul motore del velivolo. Ogni azienda coinvolta fa il tifo per il proprio modello e l'orizzonte per avere i primi test di volo entro il 2026 sembra allungarsi.
  Questo va evidentemente letto con l'altro progetto ben noto del Tempest, che sicuramente è ben noto a questa Commissione. Ritengo, infatti, che questo programma e quello italo-britannico tra BAE Systems e Leonardo Spa devono unire le forze per sopravvivere in un mondo in cui la competizione è evidentemente molto accelerata. Inoltre, stiamo parlando anche di un'economia di scala e, quindi, di una produzione di velivoli che in Europa è sicuramente più limitata di quella degli Stati Uniti. Non è affatto detto che l'Europa si possa permette di sostenere due diversi sistemi da combattimento aereo del futuro. Tuttavia, ciò dipenderà dal successo di ciascun progetto, dal grado di effettiva duplicazione esistente tra loro e dagli interessi che si coalizzeranno intorno ai diversi progetti.
  A tale riguardo è bene avere presente che qui non si parla solo di due diversi sistemi d'arma, ma anche di una diversa concezione delle capacità aeree. Infatti, mentre i Paesi si stanno concentrando sul progetto Tempest, l'Italia e la Gran Bretagna stanno acquisendo anche il Joint Strike Fighter, ossia un velivolo da combattimento di quinta generazione; la Francia e la Germania, invece, sono focalizzate sul progetto Next Generation Fighter in maniera autonoma rispetto ad altri Paesi dell'Alleanza atlantica, non essendosi orientati all'F35.
  Per quanto riguarda il dominio marittimo, l'unico progetto che sembra poter concentrare gli interessi dei diversi Paesi è quello della cosiddetta «Corvette europea». Infatti, Naviris, joint venture 50 e 50 tra Fincantieri e la spagnola Navantia hanno firmato un memorandum of understanding (MoU) per ampliare la cooperazione industriale per il progetto dell'European Patrol Covette. È importante notare che questo è anche uno dei principali progetti della PESCO. La misura del progetto che vede l'Italia coordinatrice vuole includere altri partner europei per integrare le tecnologie che potrebbero potenzialmente beneficiare dei fondi dell'Unione europea per sviluppare il corpo di sviluppo e l'interoperabilità.
  Vengo all'argomento del cyber che merita un discorso a parte e che, al tempo stesso, è un dominio di operazioni in cui siamo chiamati ad operare – l'unico creato dall'essere umano non dalla natura – e una capacità di indagare diversi sistemi.
  Nell'ambito dell'aggiornamento del quadro strategico dell'Unione europea in materia di cyber difesa sono state individuate le sei priorità illustrate in latrina: lo sviluppo di capacità di cyber difesa, le protezioni delle reti di comunicazione, la formazione ed esercitazioni, la ricerca e tecnologia, la cooperazione civile e militare e la cooperazione internazionale.
  Non a caso, nelle conclusioni del Consiglio europeo che istituiscono il Next Generation European Union, il Recovery Fund, la prima rubrica è relativa al mercato comune, all'innovazione e all'agenda digitale, che costituiscono un settore in cui l'Unione europea presenta un notevole valore aggiunto. I programmi che rientrano in questa rubrica hanno grandi potenzialità, in particolare per quanto riguarda la promozione di ricerca, innovazione e trasformazione digitale.Pag. 9
  In questo contesto, la Commissione ha proposto Europa digitale, un programma incentrato sulla costruzione delle capacità digitali strategiche dell'Unione europea e sull'agevolazione dell'ampia diffusione delle tecnologie digitali. Con un budget complessivo previsto di 8,2 miliardi di euro – che non hanno nulla a che fare con gli 8 miliardi dell'EDF – porterà alla trasformazione digitale della società e dell'economia europea.
  In particolare, per il periodo 2021-2027 – lo stesso arco dell'EDF – il programma prevede di investire 1,9 miliardi di euro nelle capacità di sicurezza informatica e nella diffusione di infrastrutture e strumenti di sicurezza informatica in tutta l'Unione europea per la pubblica amministrazione, le imprese e i privati.
  Per colmare i mezzi e le carenze di settore nel breve e medio termine e per rafforzare le missioni dell'operazione dell'Unione europea, 25 dei 27 Stati membri hanno concordato di avviare alcuni progetti nel dominio cibernetico.
  Nello specifico, l'Italia partecipa a due di questi progetti. Il primo è la piattaforma di condivisione delle informazioni per le minacce informatiche e la risposta agli incidenti, che svilupperà maggiori misure di sicurezza con l'obiettivo di passare dagli attuali firewall a misure più attive. Senza entrare in tecnicismi, si tratta di un provvedimento che mira a mitigare i rischi, concentrandosi sulla condivisione di informazioni relative alle minacce informatiche attraverso una rete diversificata, dedicata e condivisa dagli Stati partecipanti al progetto per rafforzare la capacità di difesa informatica.
  Il secondo è il sistema strategie di comando e controllo per missioni e operazioni dell'Unione, un progetto importantissimo che mira a migliorare e a creare sistemi di comando e controllo delle missioni europee a livello strategico. Una volta implementato, consentirà finalmente di migliorare il processo decisionale militare.
  Mi permetto di sottolineare che proprio recentemente con l'approvazione della regione strategica PESCO si è posto l'accento sui gruppi di risposta rapida degli incidenti informatici e mutua assistenza in materia di cyber sicurezza che consentiranno agli Stati membri di aiutarsi a vicenda per garantire un livello più elevato di resilienza informatica e rispondere collettivamente agli incidenti informatici. Questi sono tutti progetti ampi che interessano un orizzonte temporale esteso.
  Rammentiamo che dall'ideazione all'entrata in servizio di un nuovo sistema d'arma trascorrono circa 40 anni. Quello cui noi stiamo discutendo ormai da qualche anno potrebbe entrare in esercizio tra il 2035 e il 2040. Questo indica quanto deve essere importante il nostro e il vostro impegno, perché un progetto pensato adesso comincerà a essere prodotto tra 10 o 15 anni e rimarrà in servizio per altri 30 o 40 anni.
  A questo sforzo di lungimiranza siamo chiamati tutti, anche voi come rappresentanti della volontà popolare e decisori politici. Le Forze armate devono analizzare e prevedere i futuri scenari operativi e individuare le capacità che serviranno per vincere le sfide del futuro, che si preannunciano tutt'altro che facili dato che la pandemia ci ha chiaramente mostrato un contesto internazionale fragile e in peggioramento e, se guardiamo le crisi che sono intorno a noi, raramente nella mia lunga carriera ne ho viste di così vicine e pericolose. L'industria della difesa è chiamata a compiere uno sforzo di studio, progettazione e integrazione delle tecnologie emergenti nell'applicazione delle materie operative. Questo è uno sforzo di coordinamento non facile e forse mai prima tentato a questo livello.
  Mi avvio a concludere dicendo che a questa prova è chiamato l'intero sistema Paese che, a mio avviso, è un prodotto di forze e non una somma, ma, prima di tutto, è uno sforzo progettuale e in prospettiva per supportare un settore strategico e vitale per il nostro Paese e per l'Europa.
  Il Fondo europeo per la difesa è destinato a sostenere e rafforzare la filiera industriale della difesa che rappresenta un asse strategico per l'economia del continente, dando lavoro a circa 900 mila persone con ampia preparazione tecnica, registrando un fatturato di oltre 260 miliardi Pag. 10di euro. È un'industria che rappresenta il volano per circa 2.500 piccole e medie imprese europee. È un ecosistema di eccellenza soprattutto per lo sviluppo delle disruptive technologies come l'intelligenza artificiale, il computer quantistico, la robotica e il cloud europeo.
  Vorrei evidenziare che la sottesa logica competitiva messa in atto dalla Commissione risponde al principio del «tanto investi, tanto prendi», tale per cui riceverà ritorni solo chi avrà investito in reciprocità. Nell'ambito della cooperazione europea nel settore della difesa per assicurare al sistema Paese il suo conseguimento di obiettivi di assoluto rilievo in termini di ritorni finanziari, capacitivi, di tecnologie e industriali è necessario, da un lato, definire chiaramente le capacità da acquisire per uno strumento militare in grado di competere e vincere l'avversario; dall'altro, assicurare adeguate risorse finanziarie in ambito nazionale per un congruo orizzonte temporale; da un altro ancora incrementare la presenza di personale nazionale con la adeguate competenze e profili professionali presso le articolazioni e istituzioni europee preposte a tale iniziativa – un aspetto che la mia funzione di presidente del Comitato ho toccato con mano e capito che non è più rimandabile –, perché anche il più valido dei progetti deve essere seguito nel rispetto delle norme e degli accordi dal personale nazionale preparato.
  Il contesto europeo della difesa è in continua evoluzione. Il mercato in cui sono chiamate a operare le aziende del settore è un po' particolare, poiché è fortemente caratterizzato da interessi nazionali. In realtà la nostra industria nazionale necessita di chiari indirizzi politico-militari per tramutare le strategie volte a orientare i rispettivi investimenti e ricercare il migliore posizionamento in termini di partenariato ed alleanze.
  Ho terminato e sono naturalmente a disposizione per qualsiasi domanda o approfondimento.

  PRESIDENTE. Grazie, Generale per la sua relazione esaustiva e anche per gli spunti significativi che costituiscono un contributo importante all'indagine conoscitiva che la Commissione difesa sta conducendo. Adesso do la parola ai colleghi che ne hanno fatto richiesta. Collega Occhionero, prego.

  GIUSEPPINA OCCHIONERO. Grazie, presidente e grazie, Generale. Come ha detto già il presidente, la sua relazione ci offre diversi spunti di riflessione molto utili al nostro lavoro in Commissione. La ringrazio davvero. Sarebbero tanti gli aspetti che mi piacerebbe approfondire, ma cercherò di essere più sintetica possibile.
  Abbiamo parlato di cooperazione rafforzata militare e industriale tra Europa e Stati Uniti anche per evitare, ad esempio, il dumping cinese sulla produzione aeronautica – nella sua relazione ha fatto cenno anche a questo – e chiaramente questo ci fa ben sperare che, all'interno di questo rilancio dell'Occidente riunito e delle democrazie, l'Italia possa avere un ruolo fondamentale per tutto quello che riguarda il settore della difesa e dell'industria.
  Mi vorrei soffermare sul Fondo europeo della difesa. Lei ha fatto riferimento al carro armato del futuro, ai veicoli da combattimento e alla Corvette europea. Credo che nell'ambito di questo sistema l'Italia possa avere un ruolo importante.
  Considerato che ci saranno formali passaggi importanti relativi al Fondo, le vorrei chiedere quale può essere, dal suo punto di vista, il riferimento più specifico delle risorse previste dalla Commissione nella programmazione pluriennale. Le chiedo, quindi, quale potrebbe essere il ruolo che l'Italia potrebbe avere a livello europeo. Rispetto al carro armato, ai veicoli da combattimento e alla Corvette europea mi piacerebbe sapere il suo punto di vista.
  Inoltre, anche la dimensione marittima per l'Italia diventa strategica, tenuto conto del ruolo dell'Italia all'interno del Mediterraneo, essendo protagonista di equilibri geopolitici delicati. Come ha detto lei, il primato economico in supporto alla filiera industriale per avere maggiori e migliori posizionamenti all'interno del panorama geopolitico che viviamo in questo periodo particolare è molto interessante e in evoluzione.Pag. 11
  Le chiedo se ritiene che anche nel settore navale potremmo avere forme di investimenti specifici nell'ambito della military mobility europea e se ciò possa avere ricadute interessanti per il nostro Paese nel settore da lei sottolineato come fondamentale e strategico delle aziende che si occupano di protezione della rete della comunicazione. Grazie.

  GIOVANNI RUSSO. Ringrazio il Generale Graziano soprattutto perché ci ha un po' tranquillizzato. Infatti – almeno per quanto mi riguarda – aspettavo da tempo che in ambito europeo finalmente si cominciasse a parlare di autonomia strategica, di valorizzazione dell'industria e che si cominciasse a parlare quasi con una voce sola anziché nella maniera così frammentata che si è sempre avuta nella competizione tra i vari Stati europei e che ben si desume anche dall'utilizzo di tante diverse piattaforme per le stesse funzioni. Abbiamo visto quanti tipi di carri armati MBT (main battle tank) o di sistemi ad ala rotante o ad ala fissa dimostrano che le gelosie di cui lei parlava prima sono state e ancora lo sono oggi un elemento di grandissima divisione in quell'unità di intenti che l'Europa dovrebbe acquisire.
  Per questo mi domandavo se l'intenzione di fondo sia quella di incrementare ancora di più il Fondo europeo per la difesa, in maniera tale da avere un ciclo completo del procurement. Lei prima diceva che attualmente l'importo è troppo basso per permettere lo sviluppo di più sistemi d'arma, perché i sistemi d'arma richiedono tantissimi investimenti sia nel momento della programmazione sia in quello della ricerca e dello sviluppo, dell'elaborazione di dimostratori tecnologici e poi nella produzione in scala.
  Poiché lei ha accennato anche a quello che è l'utilizzo del soft power insieme a quello che è il concetto di autonomia strategica di industria e di primato tecnologico, mi domandavo (mi ricollego anche a varie proposte che sono state formulate nelle ultime leggi di bilancio) se, viste le recenti esperienze che abbiamo avuto della pandemia in cui anche i vaccini sono stati utilizzati da alcuni Paesi come arma geopolitica come strumento di soft power geopolitico, lei crede che via sia la possibilità che l'Italia o uno dei Paesi europei possano mettere insieme tante energie in modo di acquisire una capacità sanitaria navale, come una nave ospedaliera oppure una nave multiruolo che possa avere delle caratteristiche simili e quali profili potrebbe avere. Le chiedo questo, perché abbiamo visto quanto l'aiuto sanitario possa avere una grande ridondanza a livello internazionale.
  Da ultimo, sono felice di vedere che l'Europa cominci a vedersi in un'unica voce e come un singolo attore geopolitico – nelle lastrine iniziali aveva mostrato i due nostri principali competitors a livello internazionale, per quanto in alcuni casi siano alleati stretti – per non farci fare la fine dei vasi di coccio tra i vasi di ferro che sono gli Stati Uniti, la Cina, la Russia e, forse, in un futuro anche l'India. Grazie.

  ALBERTO PAGANI. Bentornato e ben trovato, Generale. La ringrazio molto e mi complimento per la sua relazione che rileggerò con attenzione per non perdere le riflessioni che contiene. Onestamente, al contrario di quello che ha detto il collega Giovanni Russo, non è che mi tranquillizza moltissimo, perché tra le prime lastrine che ci ha mostrato vi era un grafico che ci ha reso l'idea del divario esistente con il gigante cinese e con il gigante americano che competono nel livello di investimento nella dimensione della capacità militare e strategica. Gli Stati Uniti e la Cina sono due Paesi che spendono tanti soldi e soprattutto non li frammentano e non li disperdono in mille rivoli. In questi due Paesi c'è un luogo dove si decide quello che si deve fare e poi lo si fa.
  Noi, purtroppo, non possiamo garantire la stessa stabilità perché non siamo nemmeno una confederazione di Stati, ma siamo un'unione di Stati sovrani e ciascuno, a casa sua, vuole comandare e decidere quello che fa con le proprie risorse e quali sono le proprie strategie di investimento. Tuttavia, questa lettura della sovranità, a volte velata anche di sovranismo, ovvero di una forma nazionalistica di scelta di quello che serve, porta alla lastrina che ci ha fatto vedere dopo, relativa all'estrema frammentazione Pag. 12dei sistemi d'arma su cui si investe e, quindi, di conseguenza a una spesa cattiva. Sto brutalizzando e, forse, mi esprimo in un modo un po' caricaturale, ma lo faccio affinché si comprenda quello che voglio dire.
  Prendo ad esempio il caccia di sesta generazione. Francia e Germania hanno deciso una strada, la Spagna si è aggregata – sono importanti Paesi europei che hanno fatto questa scelta –, mentre noi abbiamo fatto insieme alla Gran Bretagna una scelta diversa, che è quella del Tempest per nostre ragioni di logiche industriali. Tuttavia, pur essendo la Gran Bretagna uscita dall'Unione europea, geopoliticamente è nello stesso continente e avrebbe senso fare un solo aereo e non due. Infatti, facendone due, non si raddoppia la capacità di spesa di chi li deve comprare – i soldi sono sempre quelli –, mentre dividendoli per due una parte dell'investimento andrà su un programma e l'altra metà sull'altro. La capacità di ritorno dell'investimento è, quindi, dimezzata e anche la capacità di investimento di chi deve produrre ricerca e sviluppo sapendo di avere un mercato ridotto, compromettendo così le risorse che vengono investite nella ricerca, la qualità del prodotto finale e soprattutto il costo, perché il costo unitario diventa più alto.
  Si dovrebbe fare lo stesso ragionamento sul carro, perché se ne dovrebbe fare uno per tutti i Paesi europei.
  È chiaro che in un contesto di questo tipo non si può agire con la forza, in quanto ogni Paese è sovrano e l'unica leva che si utilizza è quello dell'incentivo. La PESCO è un meccanismo incentivante che fa venir voglia di collaborare rendendo conveniente la partecipazione al programma, non potendosi utilizzare una leva coercitiva. Tuttavia, questa forma di cooperazione che – speriamo – darà risultati, per il momento ancora ci trattiene in una frammentazione. Anche nelle politiche industriali che, in qualche modo, hanno tentato una forma di aggregazione e di collaborazione – penso a Fincantieri con Naval Group – mi sarebbe piaciuto che fosse stato possibile costruire un player globale di grandissima importanza non sulla leva dell'acquirente, ma sulla leva del produttore. Tuttavia, almeno al momento questa ipotesi è fallita.
  La domanda che le vorrei fare è questa: dal suo punto di vista esistono ulteriori leve che la politica nazionale – l'Italia nel nostro caso – può porre in essere e attuare per riuscire ad avere un livello più elevato di cooperazione e per poter in qualche modo fare quello che dicevo prima in modo un po' schematico, ovvero fare un aereo o un carro e decidere di investire in modo più conveniente per tutti, rinunciando ciascuno a un po' della propria autonomia decisionale e trovando una forma che può rendere l'Unione europea unita e più solida anche nella sua autonomia strategica? L'autonomia strategica non è solo una dichiarazione di volontà, bensì è una dichiarazione di fatto, poiché la si ottiene nel momento in cui si dimostra di essere in grado di avere l'autonomia strategica e non nel momento in cui la si proclama.
  Se esistono interventi o leve politiche che a me sfuggono e che dal suo osservatorio possono essere individuate, la prego di condividere il suo ragionamento, in quanto credo che l'Italia, che è un grande Paese nell'Unione europea, debba fare tutta la sua parte per potere aumentare la capacità di condivisione di una politica strategica europea e avere una difesa comune vera.

  MATTEO PEREGO DI CREMNAGO. Presidente, la ringrazio per la sua relazione. Sarebbe bello che potesse portare più spesso l'aria di Bruxelles a Roma. Lo dico perché, come sempre, il suo è un contributo di chiarezza espositiva e di visione strategica che, a volte, nel nostro Paese manca sia sotto il profilo di quale debba essere la postura del nostro Paese nel mondo e in Europa, sia dal punto di vista dell'atteggiamento dell'industria che non sembra avere la lungimiranza di capire quanto ormai la sopravvivenza dell'industria della difesa nazionale sia strettamente dipendente alla capacità di aderire a programmi internazionali.
  Visto che lei l'ha citato, torno sul tema del main ground combat system. Va da sé che ci sia sicuramente – la situazione la Pag. 13conosce meglio del sottoscritto – un tema di obsolescenza dei carri Ariete nell'Esercito e che sia importante arrivare nei prossimi anni a sostituirli. Per farlo ci si aspetterebbe e ci auguriamo che l'industria nazionale possa entrare in questo progetto franco-tedesco. Qui le pongo la prima domanda. Lei è d'accordo nel dire che non è più possibile un contesto nel quale l'industria rivolga l'attenzione soltanto al mercato domestico come fonte di approvvigionamento e come fonte di determinazione dei ricavi, dicendo che sostituiamo il carro Ariete con un carro italiano? Credo che questo sia il primo presupposto che mi fa pensare che ragionare in ottica europea sia non soltanto un plus, ma una necessità.
  Altra questione è quella della chiarezza della nostra politica in materia di esportazione e dei rapporti geopolitici internazionali. Non voglio certo usare questa sede per fare una polemica politica, ma lo faccio soltanto come constatazione degli eventi. È chiaro che se la proiezione della nostra industria commerciale deve essere quella internazionale, questa non può coesistere con un'attitudine di una certa politica che su materie di principio impone la cessazione di esportazione a Paesi come – ne voglio citare uno in particolare, che è sempre stato un alleato commerciale d'Italia – gli Emirati, con le ripercussioni di cui tutti siamo a conoscenza.
  Qui la domanda è anche a noi stessi: che Paese vogliamo essere, se poi siamo quello stesso Paese che viola gli accordi commerciali presi precedentemente e costringe il nostro sistema di difesa a degli atteggiamenti quasi grotteschi, ovvero il dirottamento di un C-130 con a bordo dei giornalisti sull'Arabia Saudita. Il grande Paese quale deve essere l'Italia, parte importante dell'Europa degli Stati Uniti, non può essere vittima di questi atteggiamenti. Questo è il secondo aspetto. Secondo me deve essere ancora più forte il ragionamento dell'Europa alla luce dell'atteggiamento – mi perdoni se mi sposto dalla dimensione strettamente militare a quella politica, ma vorrei una sua osservazione su questo – del Presidente Biden, il quale è stato molto chiaro nel dire «Diplomacy is back» e nel chiedere l'aiuto dell'Europa nel contrastare la minaccia cinese. Mi viene da pensare che questo contributo dell'Europa debba essere rappresentato anche con uno sforzo militare congiunto e multilaterale in quei territori e in quei teatri operativi dove gli Stati Uniti non hanno un interesse specifico in questo momento come la Libia, dovendo concentrare le proprie attenzioni sull'Indocina e sul Nord.
  Mi chiedo se lei immagina la possibilità e l'auspicio che il nostro Paese riprenda l'iniziativa in Libia, tornando anche a quella che è la nostra collocazione geopolitica naturale in un ombrello europeo, ovvero quella di essere sempre stato il primo Paese ad aiutare la stabilità della Libia. Il binario è doppio. Infatti, da una parte l'industria deve ragionare in un'ottica multinazionale ed europea per affermare quella supremazia tecnologica che ora è statunitense, ma che sicuramente non deve diventare cinese. Troppo poco spesso si parla della Cina come un competitor pericolosissimo non soltanto per la tecnologia, ma anche per l'affermazione di quei valori che sono antitetici all'Occidente, ma questo deve essere accompagnato da un processo politico – qui chiedo il suo aiuto, vista la sua autorevolezza nelle interlocuzioni intergovernative – affinché finalmente si facciano i conti con quella che deve essere la nostra agenda nazionale e quelle che sono le nostre ambizioni, altrimenti è tutto un discorso scritto e ragionato perfettamente a Bruxelles, ma che, quando si porta a Roma, trova delle barriere e degli ostacoli che rendono tutto vano. Grazie.

  GIOVANNI LUCA ARESTA. Ben ritrovato, signor Generale. La ringrazio per la sua esposizione quanto mai chiara, come ormai ci ha abituati da un po' di tempo a questa parte. Non ho domande da formulare. Infatti, le mie sono più che altro delle considerazioni costruite sulla sua esposizione.
  Lei ha parlato dell'importanza dell'azione di monitoraggio e credo che su questo bisogna insistere perché ci sono stati tanti progressi, soprattutto in questi ultimi anni, sia sulle priorità che sono state strategicamente individuate, sia sulle azioni Pag. 14che sono state correlate dagli Stati. È necessario porre in essere quel monitoraggio a livello politico, istituzionale e operativo. In mancanza di monitoraggio, richiamando le sue parole, sono convinto che molti dei complessi sistemi e progetti individuati nel tempo diverrebbero inefficaci. A mio modesto parere, questo è il ruolo principale della politica e delle istituzioni nazionali e comunitarie.
  Lei ha citato il Fondo europeo della difesa. Questa Commissione è molto affezionata a questo Fondo anche per il contributo che abbiamo dato a livello di Commissione europea, ricevendo anche un concreto riscontro. Il Fondo è necessario soprattutto in questo particolare periodo storico che può essere indirizzato verso quella che da più parti viene sbandierata come la ripresa sostenibile.
  Peraltro la sua audizione arriva soltanto dopo pochi giorni quella del direttore dell'EDA, il quale ha evidenziato questa importanza.
  Oggi il Fondo può giocare un ruolo importante per favorire una ripresa sostenibile attraverso la ricerca e gli investimenti. Noi sappiamo quanto gli investimenti nell'ambito della difesa costituiscano quel moltiplicatore economico in grado di consentire la ripresa per gli Stati.
  La ringrazio davvero, perché ci consente di prendere atto, attraverso le sue parole, di quale sia il ruolo che viene affidato alla politica e di cui ognuno di noi deve sentirsi partecipe, oggi più che mai. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie a lei, onorevole Aresta. Io non ho altre richieste di intervento, pertanto do la parola al nostro ospite per la replica. Prego, Generale.

  CLAUDIO GRAZIANO, presidente del Comitato militare dell'UE. Grazie delle domande interessanti e brillanti. Molte contenevano già delle risposte, anche là il fatto che vi sia un'ampia conoscenza da parte di questa Commissione di tali problematiche.
  È evidente che abbiamo toccato alcuni elementi centrali, nel senso che la politica di sviluppo delle capacità di difesa e degli investimenti è anche uno specchio dell'ambizione dell'organizzazione internazionale e del Paese nel ricoprire un ruolo geopolitico o di volontà che si vuole perseguire nell'acquisizione dei risultati e degli obiettivi. Sono due specchi della stessa medaglia: da un lato gli investimenti e la ripresa; dall'altra la volontà e la determinazione a operare sul terreno e a impiegare i propri militari nel condurre missioni o nel risolvere le problematiche, come quelle della Libia.
  Abbiamo cominciato a parlare dell'EDF con l'onorevole Occhionero, relativamente al ruolo che può avere il nostro Paese nello sviluppo di sistemi come quello del carro di quarta generazione, della dimensione militare marittima o della mobilità militare.
  Evidentemente il ruolo del nostro Paese, come quello di tutti i Paesi importanti, è essenziale specialmente in questo momento complesso per l'Europa, perché è un momento di ripresa dopo la pandemia e di grandi cambiamenti in cui, per effetto delle crisi e della pandemia, si sono sviluppate anche opinioni diverse nei rapporti geopolitici tra gli Stati. Uno dei miei compiti principali è trovare un minimo comune denominatore per raggiungere un obiettivo comune.
  Evidentemente, lo sviluppo dei grandi sistemi d'arma sarà un banco di prova per l'Unione europea. Il grande sistema d'arma può essere il carro di quarta o di sesta generazione o, comunque, l'inserimento dei sistemi cyber, mentre la Corvette è più un esempio relativo al progetto PESCO. Tutti questi sistemi sono luoghi in cui ci giochiamo un po' la credibilità europea. Credo che si possa fare molto. Sono convinto che, per esempio, nel caso del carro di quarta generazione sia necessario un progetto europeo, a cui devono partecipare i maggiori Paesi.
  Per essere influente il nostro Paese deve esprimere tutta la volontà di procedere all'acquisizione di questi sistemi e di definire un concetto operativo di qual è l'idea di questo sistema – quindi la proiettabilità, la leggerezza, la capacità di movimento e di trasferimento – e mettere in pianificazione e programmazione dei fondi che lo rendano credibile. A questo punto occorre Pag. 15andare sul tavolo negoziale con gli altri Stati, sostenuti dalla volontà politica e dalla volontà economica. La volontà politica non è soltanto quella del carro, ma è quella di contare in Europa, di essere in un tavolo importante e di essere leader in altre situazioni strategiche.
  Tutte le missioni e le operazioni che sono state condotte nel globo, anche dalle organizzazioni internazionali, nascono o da una decisione delle Nazioni Unite o dalla volontà di un Paese leader che porta il problema, facendo partire la missione. Rammento che la missione in Libano è stata un'iniziativa italiana nel 2006, poiché stata una volontà nazionale. Altre, invece, possono essere spinte dai francesi, ad esempio, ma poi diventano europee e si avrà sempre un Paese motore. La volontà di essere un Paese motore si legge sia in politica estera sia in politica economica e di investimento.
  Secondo me non ci sono porte chiuse a priori, ma dobbiamo superare delle resistenze e degli egoismi. Questo si può fare, sapendo che si tratta di uno spazio competitivo e che la base dell'European Defence Fund è una cooperazione tra più Stati e più imprese e per questo dobbiamo attrezzarci anche a livello di industria nazionale con l'interazione tra la politica, l'industria e l'ambiente militare, perché non è semplice mettere d'accordo Paesi e Stati nella costruzione di un piano di difesa.
  L'onorevole Giovanni Russo chiedeva se si può aumentare il Fondo europeo di difesa. In questo momento credo di no, perché in effetti esso è l'effetto anche delle assegnazioni del Next Generation EU, che hanno previsto 750 miliardi di euro in questo settore, però parte di questi miliardi sono stati indirizzati indirettamente al settore della difesa e della sicurezza. Spero che si possa fare nel futuro, però è importante che l'aumento dei fondi nasca dalla volontà dei Paesi di cooperare, altrimenti vi è il rischio di uno spacchettamento e di una diffusione a pioggia di questi fondi europei.
  I fondi europei sono destinati alla ricerca, allo sviluppo e all'acquisizione prototipica di un sistema, tenuto conto che per i volumi finanziari è difficile che questo possa coprire un grande sistema d'arma, perché costerebbe molto di più e, quindi, dovrebbe essere destinato più a sistemi d'arma minori o a componenti capacitive dei sistemi come le parti cibernetiche eccetera che vengono studiate e poi inserite nel grande sistema.
  In un mondo ideale si sviluppano i grandi sistemi – come il carro di quarta o di sesta generazione – attraverso l'EDF e si studiano le componenti intercambiabili per i vari sistemi da inserire. È un mondo che deve essere creato e su cui bisogna lavorare adesso e non domani. Per raggiungere un accordo importante nel Paese, bisogna definire gli strumenti concreti che sono rappresentati anche dal peso nazionale, dalle volontà delle singole Nazioni e dalla capacità dell'industria.
  Come ha detto il Presidente Draghi, l'autonomia strategica significa anche autonomia rispetto alla pandemia e, quindi, la produzione di vaccini in modo da non essere dipendenti da altri Paesi, perché la pandemia e i vaccini sono usati come arma strategica asimmetrica. Tutti abbiamo imparato che lo strumento sanitario militare è uno strumento molto importante, perché è flessibile, ha una grande capacità, è al servizio dello Stato ed è facilmente proiettabile.
  È importante che tutto sia proiettabile, perché ormai non vi è una missione o un'operazione – piccola o grande che sia – che non possa e non debba essere accompagnata da una componente medica, perché se poi scoppia una pandemia, evidentemente siamo imbarazzati. Per questo, deve essere tutto proiettabile, che sia per mezzo aereo o per mezzo navale.
  Per quanto riguarda la capacità navale, mi sembra che tutte le navi recenti abbiano la capacità di ospedalizzazione. Evidentemente quando è stato realizzato un sistema navale, bisogna avere la volontà fondamentale di impiegarlo nonostante i costi per utilizzarlo.
  Le missioni umanitarie sono una missione specifica delle Nazioni Unite e garantire in un'emergenza il sostegno umanitario per le nostre missioni è un'esigenza assoluta, perché se ci si trova in un'operazione e viene chiesto aiuto umanitario, bisogna Pag. 16fornirlo. Ben venga questa capacità, ma il mio auspicio riguarda tutta la sanità e la capacità sanitaria globale italiana ed europea, perché forse nel tempo l'abbiamo ridotta un po' troppo.
  Sulla frammentazione dei sistemi d'arma, è assolutamente vero. Io sono ottimista sul futuro, ma non bisogna nasconderci che in questo momento la frammentazione rimane. L'unica cosa sarebbe fornire degli incentivi. Infatti, anche per i progetti PESCO si cerca di fornire degli incentivi e di collegarli all'EDF.
  Il superamento completo della frammentazione, sarebbe l'ideale. È stata citata la Russia, che teoricamente è molto meno dell'Europa, però in questo caso vi è una linea di comando unico e una produzione unica.
  È evidente che se potessimo dare direttive industriali, sarebbe molto meglio, però superare la frammentazione è indispensabile. Secondo me questo è specialmente vero negli scenari del futuro che hanno dei costi di produzione e di sviluppo elevatissimi e che competono con dei giganti del futuro e del presente, come gli Stati Uniti e la Cina.
  Sui livelli di produzione, dobbiamo puntare a qualcosa a venire, anche perché un aereo di sesta generazione è un aereo superiore all'attuale F35 di quinta generazione ed è, quindi, un aereo dei sistemi del futuro che occorre progettare adesso, perché dovrà competere tecnologicamente con gli avversari del futuro e dovrà anche inserire le tecnologie che attualmente non esistono o che sono allo studio.
  Un po' diverso è il caso delle tecnologie e dell'intelligenza artificiale che, secondo me, dovranno essere adottate subito e anche sui sistemi legacy per portarli a un livello capacitivo adeguato.
  Inoltre, bisognerebbe che gli Stati rinunciassero a un po' di sovranità, perché quello che succede a livello economico dovrebbe succedere anche a livello di politica, di difesa e di sicurezza. È stato detto molte volte che è difficile avere un'Europa della difesa unita, se non vi è un'unica idea politica. Tuttavia, sono stati fatti dei passi in avanti.
  Questo è momento particolare della storia, poiché vi sono nuove crisi: c'è stata la pandemia, c'è un'aumentata importanza della catena indopacifica, ci sono aree di crisi che si sono aperte o che rimangono come la Libia, il Sahel, le aree del Nagorno-Karabakh, l'Ucraina e l'Afghanistan. Vi sono moltissime crisi e il rischio è quello che ci sia un autoisolamento del vecchio continente, perché non vi è l'immediata percezione di queste crisi che, invece, sono importanti e che dobbiamo affrontare.
  Sicuramente nella nuova politica americana – che per me è ancora da comprendere in parte – da un lato vi è lo sguardo al multilateralismo oggettivo e, dall'altro, vi è sicuramente la conferma della priorità dell'Indo-Pacifico. Questa è una richiesta per l'Unione europea e la NATO di investire di più in sicurezza e, se vogliamo cooperare a questo sviluppo, occorre prendersi le proprie responsabilità.
  Per me questo è l'auspicio che possiamo fare di più in Europa, sia in termini delle missioni, sia in termini di investimenti, sostenendo quella che è sempre stata la richiesta di un pilastro europeo della NATO. Per questo è necessaria la volontà dei Paesi membri a risolvere i problemi e ad agire coerentemente, a partire dallo scacchiere libico.
  Secondo me la Libia è lo scacchiere principale dell'Europa perché è il passaggio, il collo di bottiglia tra Mediterraneo e il Sahel, ed è il luogo dove in questo momento si confrontano gli interessi regionali e internazionali di molteplici Paesi dal momento che vede la presenza turca e russa sul terreno. Inoltre, è un'area in crisi dal 2011, dalle Primavere arabe, in cui sicuramente per molti anni l'Europa non ha trovato un'unità di intenti. Per questo l'Italia ha svolto e dovrà svolgere un ruolo di leadership nel promuovere anche azioni di integrazione europea. Oggi è stato presentato un documento dall'Unione europea per quanto riguarda la crisi libica. Su questo ritengo che dobbiamo assolutamente focalizzarci, perché il ruolo europeo è importantissimo. Attualmente è attiva la missione Irini, una missione di embargo, che può estendere la propria attività all'addestramentoPag. 17 della Guardia costiera e, secondo me, deve essere aumentata e potenziata perché è l'unico canale in questo momento tra l'Europa e le operazioni in Libia.
  Tuttavia, tutto deve nascere nell'Unione europea dalle iniziative di Paesi che concordano.
  A mio avviso e secondo il mio parere militare, l'Italia si può sicuramente farsi promotrice con altri Paesi di iniziative per quanto riguarda il teatro libico e per la soluzione della crisi ormai decennale che la Libia non può risolvere da sola. In tutto questo serve coerenza. Ogni Paese deve fare delle scelte di lungo periodo. Le deve fare l'Europa, così come l'Italia.
  L'Italia deve fare delle scelte politico-strategiche di lungo periodo sulle alleanze, sulle capacità. Infatti, lo Strategic Compass prevede il management, ovvero l'indicazione dei Paesi membri di come gestire le crisi, come meglio fare missioni efficienti, lo sviluppo delle capacità, le partnership, ossia con quali Paesi cooperare e la resilienza, che è trasversale.
  Su tutto questo i Paesi membri si giocano la credibilità per rafforzare e per creare nuove strutture.
  Del resto, anche l'Unione europea sta sviluppando una politica indopacifica. Recentemente sono stato nella Repubblica di Corea. Vi è l'intenzione di diversi Paesi asiatici di cooperare con l'Unione europea, quale organismo sovranazionale e portatore di valori che può operare in questi settori. Gli stessi pilastri o Stati partner della catena indopacifica possono aiutare in questo sviluppo.
  È chiaro che ci troviamo in un grande confronto relativo alla sovranità tecnologica e a una battaglia da svolgere insieme fra tutti i Paesi. La cyber non è un confronto tra potenze. Al momento subiamo attacchi cyber da diversi enti e identità e noi dobbiamo comprendere come rispondere come Paese come Europa. Su questo dobbiamo coordinarci meglio perché, al di là delle direttive e dell'impegno comunitario, vi è la necessità che per avere un'Europa più efficiente, l'Europa deve contare di più e questa è una decisione degli Stati membri.
  A questo punto mi fermerei e rimango a disposizione per ulteriori chiarimenti.

  PRESIDENTE. Grazie. Non ho ulteriori richieste di intervento, pertanto rinnovo il ringraziamento al presidente del Comitato militare dell'Unione europea, il Generale Graziano anche per la documentazione informatica che ci ha illustrato e di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico dell'audizione (vedi allegato). Ringrazio tutti gli intervenuti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.15

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