CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 1 dicembre 2021
706.
XVIII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di Giulio Regeni
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

RELAZIONE SULLA MISSIONE A CAMBRIDGE E A LONDRA
(27-29 SETTEMBRE 2021)

  Una delegazione della Commissione, guidata dal presidente Erasmo Palazzotto e composta altresì dai deputati Lia Quartapelle Procopio, Roberto Turri e Massimo Ungaro, ha svolto una missione nel Regno unito dal 27 al 29 settembre 2021.
  Grazie alla collaborazione da parte delle autorità accademiche di Cambridge, la delegazione ha svolto nella città universitaria britannica otto incontri, presso il Pitt Building, nelle giornate del 27 e del 28 settembre.
  In particolare, il primo giorno ha avuto modo di ascoltare il Vice Chancellor Stephen Toope, il professor Peter Nolan, docente del corso annuale per il Master frequentato da Giulio Regeni, il professor Khaled Fahmy, studioso di storia egiziana giunto a Cambridge solo dopo la vicenda, e la professoressa Eilis Ferran, Pro-vice Chancellor per le questioni istituzionali e internazionali.
  La giornata successiva la delegazione ha ascoltato l'allora direttore di POLIS, il Dipartimento di politica e studi internazionali, cui Giulio Regeni era affiliato, David Runciman (in collegamento video), la professoressa Maha Abdelrahman, supervisor del ricercatore italiano per la tesi di dottorato, il professor Glen Rangwala, docente di Politica del Medio Oriente (POLIS) e la professoressa Susan Smith, Mistress del Girton, il college di appartenenza di Giulio Regeni.
  Le dichiarazioni dei predetti docenti sono pubblicate integralmente di seguito e fanno parte integrante di questa relazione, al pari del testo scritto pervenuto dalla dottoressa Anne Alexander, ricercatrice associata allo stesso ateneo.

***

  Nella giornata del 29 settembre, la delegazione ha svolto la seconda parte della missione a Londra dove – ospite dell'ambasciata italiana che ha fornito puntuale assistenza – ha ascoltato, in collegamento video, il direttore esecutivo della Fondazione Antipode Andrew Kent e il professor Gilbert Achcar, docente della School of Oriental and African Studies dell'Università di Londra, ed ha incontrato la dottoressa Anna Rowell, ricercatrice in architettura che conobbe e frequentò Giulio Regeni al Cairo prima della sua scomparsa.
  Andrew Kent ha spiegato che la Fondazione Antipode esiste dal 2011 – in precedenza era solo una rivista accademica – quando è stata costituita come ente benefico registrato nel Regno unito e soggetto alla Charity Commission, il competente organo di controllo britannico, che ogni anno richiede un prospetto completo delle attività, destinato poi ad essere pubblicato.
  Tra le attività della fondazione si annovera la pubblicazione di una rivista di geografia umana, materia che ha confini molto vasti comprendendo elementi di sociologia, antropologia, studi scientifico-tecnologici, scienze naturali. La rivista viene spedita alle università di tutto il mondo. Con le eccedenze degli abbonamenti vengono finanziate attività di ricerca nelle università e non solo. Sulla rivista sono stati spesso pubblicati articoli e relazioni sui venditori ambulanti con riferimento in particolare all'America Latina e più in generale sui movimenti sindacali.
  La Fondazione Antipode bandisce due tiplogie di sovvenzioni: la Scholar-Activist Project Awards, che consente di finanziare collaborazioni tra accademici assunti dalle università e gruppi extra-universitari e attivisti, ovvero rappresentanti della società civile, e la International Workshop Awards, che riunisce gruppi di accademici, di sedi e discipline universitarie diverse, in occasione di conferenze, seminari e riunioni di vario genere. Vengono assegnate circa 10 sovvenzioni ogni anno, ciascuna del valore Pag. 174di 10.000 sterline. Nella maggior parte dei casi sono assegnate a università, che poi distribuiscono i fondi agli accademici e ai partner coinvolti nei progetti.
  Il direttore della fondazione ha precisato che non sono mai stati finanziati progetti in Egitto e che solo in un caso fu effettuata una sovvenzione all'Università di Cambridge, nel luglio 2016, per un seminario che riguardava la conservazione delle foreste e la partecipazione di gruppi di popoli indigeni in Perù. A parte tale sovvenzione, ve ne fu solo un'altra, nel giugno 2015, assegnata però direttamente a una ONLUS con sede in Spagna, che aveva lavorato a un progetto insieme all'Università di Barcellona e all'Università di Cambridge. Il direttore ha infine dichiarato che nessuno della fondazione ha mai avuto contatti con Giulio Regeni o con la sua supervisor o con l'American University del Cairo.
  Il professor Gilbert Achcar ha inteso innanzitutto sottolineare come in questa vicenda si sia prestata molta più attenzione al ruolo del supervisore di Cambridge, la professoressa Maha Abdelrahman, che non a un elemento incommensurabilmente più importante e tragico, vale a dire la responsabilità del governo egiziano nell'uccisione di Giulio Regeni.
  Ha quindi ricordato che Giulio Regeni lo aveva contattato nel 2012, a proposito del suo progetto di tesi di dottorato incentrato sul nuovo movimento dei lavoratori e sui sindacati indipendenti come strumento di cambiamento democratico nell'Egitto post-Mubarak, perché sarebbe stato interessato ad averlo come supervisor. Dopo alcuni scambi di email, successivamente (giugno 2013) gli scrisse dal Cairo, dove allora si trovava a lavorare presso l'UNIDO, scusandosi perché non riusciva ad avere i finanziamenti per il progetto di dottorato. Questo fu l'ultimo contatto che ebbe con lui. Il professor Achcar ha sostenuto infine, con riferimento al caso, che i governi europei dovrebbero essere molto più impegnati nella difesa dei diritti umani e della democrazia di quanto non accada.
  Anna Rowell ha ricordato di aver conosciuto Giulio Regeni nel settembre 2015 al Cairo dove si era recata da Cambridge per studiare architettura e design urbano. Tramite Regeni, Anna Rowell conobbe anche Noura Wahby. I tre si frequentavano spesso ed erano molto affiatati. Regeni le rivelò gli episodi che suscitarono in lui particolare inquietudine, come quando venne additato come spia da un taxista oppure quando fu fotografato durante una riunione sindacale.
  In riferimento al sospetto con cui le forze di sicurezza del Paese vedono in genere i ricercatori, Anna Rowell ha accennato a un fermo e conseguente interrogatorio di sei egiziani che facevano parte del suo gruppo di ricerca durante un'esercitazione di mappatura di un quartiere del Cairo. Ha quindi confermato quanto Giulio Regeni fosse pienamente consapevole della situazione e sempre estremamente attento nello svolgimento delle attività di ricerca e nella quotidianità.
  La delegazione ha completato la missione incontrando il presidente della Commissione esteri della Camera dei Comuni, il deputato conservatore Thomas Tugendhat, e alcuni funzionari del Foreign Office, a cui ha ribadito l'esigenza che il Regno unito supporti in modo più deciso e costruttivo la pressione diplomatica sull'Egitto per la verità e la giustizia sulla morte di Giulio Regeni, in quanto studente dell'Università di Cambridge.

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ALLEGATO 2

DICHIARAZIONI RESE ALLA DELEGAZIONE
DELLA COMMISSIONE

(I testi si articolano, per ciascun soggetto ascoltato presso l'Università di Cambridge, in una parte introduttiva e nelle successive risposte alle domande poste dai componenti della delegazione della Commissione)

1. STEPHEN TOOPE, Vice-Chancellor

  Desidero dare il benvenuto all'Università di Cambridge e a Cambridge, a lei e a tutti i suoi colleghi della Commissione per quanto, devo dire, avrei voluto che tale visita fosse stata motivata da un'occasione meno triste. Mi risulta che questa visita avrebbe dovuto svolgersi prima ma che la pandemia di COVID-19 lo ha impedito. Siamo sinceramente felici che oggi siate qui con noi per poter avere uno scambio che speriamo sia il più completo e aperto possibile. Voglio assicurarle la nostra completa cooperazione che – d'altra parte – offriamo dal 2016. Io e i miei colleghi vi forniremo gli elementi fattuali di cui siamo a conoscenza circa la tragica morte del nostro studente, Giulio Regeni.
  In primo luogo, signor presidente, le chiedo di trasmettere nuovamente le nostre condoglianze alla famiglia Regeni e a tutti gli amici di Giulio a nome mio e di tutta l'Università. Sappiamo che la loro sofferenza è immane. A febbraio 2016 ero direttore della Munk School of Global Affairs presso l'Università di Toronto, Canada. Posso dirle che la notizia della morte di Giulio ha scosso profondamente la comunità accademica di tutto il mondo. La morte di uno studente, per di più in circostanze tanto brutali, è tra gli eventi più tristi che possano colpire qualunque comunità universitaria ed è, nel vero senso della parola, incomprensibile. Per tutti noi accademici che abbiamo lavorato sul campo, l'assassinio di Giulio non è stata solo una tragedia, ma anche un attacco alla stessa libertà accademica.
  Ma c'è di più, e questo mi porta a uno dei punti che lei stesso ha sollevato. Quanto è accaduto ha messo in discussione metodi comprovati di vera ricerca sul campo nelle scienze sociali, rischiando di creare un effetto deterrente sulla ricerca accademica in tutto il mondo. Con la morte di Giulio, tutti noi abbiamo perso qualcosa e credo anche che questo evento ci abbia fatti sentire più vulnerabili, ovunque nel mondo. Quanto accaduto è stato semplicemente sconvolgente. Credo di poter affermare che non avremmo mai potuto immaginare – men che meno prevedere – che una cosa del genere potesse accadere.
  Quando sono arrivato a Cambridge, nel 2017, emergeva con chiarezza il trauma e la ferita profonda che la morte di Giulio aveva inflitto alla comunità di Cambridge. Sin dal momento in cui è giunta a Cambridge la notizia, abbiamo lavorato con le autorità italiane e britanniche per ottenere giustizia per Giulio e per la sua famiglia. Tutti noi stiamo ancora cercando quella giustizia di cui lei ha parlato e spero che il vostro lavoro contribuirà a condurci nella giusta direzione. È dunque un grande onore parlare con voi quest'oggi. Farò del mio meglio per rispondere a tutte le vostre domande.
  Forse, signor presidente e onorevoli parlamentari, può essere utile che fornisca una piccola panoramica sul funzionamento e sulla struttura dell'Università di Cambridge, poiché credo che questo potrebbe aiutare a comprendere alcuni aspetti specifici del lavoro di Giulio. L'Università di Cambridge ha oltre 800 anni ed è la quarta università più antica al mondo. Nell'anno accademico 2020-2021, abbiamo avuto circa 24.000 studenti, di cui solo poco più di 11.000 dottorandi come Giulio. L'Università ha una struttura di governance davvero peculiare. Formalmente, il capo dell'Università è il chancellor, ma questa posizione è esclusivamente onorifica. Il rettore, fondamentalmente, Pag. 176 presiede alla consegna dei diplomi di laurea. Io sono il vice chancellor, che è l'equivalente del rettore di un'università italiana, o di un presidente di un'università americana. Sono il 346° vice chancellor dell'Università di Cambridge.
  Credo che uno dei punti chiave, elemento molto inusuale nel mondo universitario, riguardi il fatto che Cambridge è una costellazione di college indipendenti. È un'università collegiale, che include 31 college separati che si sono riuniti per formare l'università. Il college più antico è stato fondato nel 1284, il più recente nel 1977. Ogni college è autonomo e ha il proprio organo di governo, il proprio regolamento e la propria struttura legale. Come ho detto si sono uniti per creare la Cambridge University. I college ammettono studenti e la maggior parte di essi accoglie studenti sia del primo (undergraduate) che del secondo ciclo d'istruzione superiore (postgraduate). Questi istituti mettono a disposizione dei loro studenti alloggi, strutture ricreative, sportive e sociali, ma forniscono anche sostegno accademico e assistenza mirata al benessere degli studenti. Questo è un punto fondamentale. Come sapete, Giulio Regeni era un dottorando presso il Girton College, fondato nel 1869. Più tardi, avrete modo di parlare con la direttrice del Girton, Susan Smith, che dirige formalmente il Girton College e risponde a un consiglio di fondazione che, di fatto, è l'organo direttivo dell'istituto.
  Le attività accademiche dell'Università sono organizzate separatamente in un certo senso dai college, ma si ricollegano alle attività di sostegno che questi ultimi offrono agli studenti. Le attività accademiche, dunque, si espletano attraverso i vari corsi di laurea e dipartimenti in seno alle facoltà. Il lavoro che Giulio svolgeva afferisce alla School of Humanities and Social Sciences (Facoltà di Scienze umanistiche e sociali). All'interno di tale Facoltà vi è poi il Department of Politics and International Studies (Dipartimento di Politica e studi internazionali), presso cui Giulio era stato ammesso per il dottorato di ricerca. Ogni anno, il Department of Politics and International Studies ammette circa 12 studenti di dottorato, PhD. All'interno di tale Dipartimento, Giulio era inserito anche in una sotto-unità, il Center of Development Studies (Centro Studi sullo Sviluppo), un centro interdisciplinare che si occupa di sviluppo in tutto il mondo da molte e diverse prospettive. Cosa importante, a ogni dottorando il Dipartimento assegna uno specifico supervisore accademico. In questo caso, a Giulio era stata assegnata la professoressa Abdelrahman. Inoltre, Giulio avrebbe sarebbe stato sostenuto anche da un tutor accademico presso il suo college e avrebbe ricevuto sostegno accademico e personale sia attraverso il Dipartimento sia mediante lo stesso college.
  C'è un motivo se vi ho esposto questi livelli organizzativi. Nel caso di Giulio, come saprete, il suo lavoro accademico gli imponeva di realizzare ricerche sul campo fuori dalla città di Cambridge. Si tratta di una pratica comune a molte discipline, a molte materie, ad esempio antropologia, biologia, archeologia, sociologia e, in realtà, a volte anche le scienze politiche richiedono un lavoro sul campo per raccogliere i dati necessari a completare un dottorato di ricerca su una specifica materia. Nel caso di Giulio, questo mi porta direttamente a una delle domande poste dal presidente. Giulio effettuava questi studi sul campo perché stava cercando di comprendere l'evoluzione dei movimenti dei lavoratori in Egitto. Vi sono moltissime persone che nel mondo realizzano studi sul campo sui movimenti sindacali. Questi studi risalgono al XIX secolo. Vi sono stati in passato accademici tedeschi e due studiosi inglesi in particolare, Beatrice e Sidney Webb, hanno aperto la strada all'utilizzo della cosiddetta osservazione partecipativa negli studi sul campo in materia di occupazione e lavoro. Giulio avrebbe dovuto fare richiesta di un permesso denominato leave to work away (permesso di lavoro all'estero). Per lavorare fuori da Cambridge e dedicarsi a tali studi sul campo, Giulio ha dovuto partecipare, con il suo supervisore e altri, a un'analisi dei rischi complessiva associata a tale permesso di lavoro. Avrete modo di approfondire questo tema con la mia collega Eilis Ferran. Intanto mi premeva sottolineare Pag. 177che la procedura per la concessione di tale permesso di lavoro e la realizzazione di tale analisi completa dei rischi si basavano su cinque diverse fasi alle quali hanno partecipato l'Università, i Dipartimenti e il college di Giulio.
  In primo luogo, dunque, Giulio avrebbe portato a termine la valutazione dei rischi con il suo supervisore. La professoressa Abdelrahman era responsabile di ciò nelle fasi iniziali, ma dopo la valutazione dei rischi e la richiesta di permesso di lavoro all'estero sono state prese in considerazione dal capo del Dipartimento, dal Dipartimento accademico e poi dal Girton College, dove i suoi tutor hanno dovuto valutare l'appropriatezza del permesso di lavoro all'estero. È stato quindi il turno della sua commissione di laurea, ossia la commissione che supervisiona tutti i PhD del POLIS, il Political and International Studies Department. Infine, vi è stato il livello dell'Università centrale, e in particolare il cosiddetto Student Registry (Segreteria Studenti). A ciascun livello, dunque, vi è stato un tentativo di garantire che la valutazione dei rischi fosse realizzata in modo adeguato e che il permesso di lavoro all'estero venisse concesso in modo appropriato.
  Onorevoli deputati, signor presidente, se non vi sono richieste di chiarimento, mi accingerei ora a trattare più direttamente i tre ambiti dai lei sollevati nella sua introduzione.
  Lei ha chiesto, giustamente, quale sia stato l'impatto della tragica morte di Giulio sull'Università di Cambridge. Credo di aver già accennato a quanto profondo sia stato tale impatto. Quando sono arrivato, qui a Cambridge ancora imperavano tristezza, rabbia e – come ho già detto – impossibilità di comprendere come ciò sia potuto accadere. L'Università ha perso certamente uno dei suoi studenti, una persona splendida, nelle circostanze più agghiaccianti. Questa, io credo, è stata la risposta emotiva. C'è poi stato, sin dall'inizio, il vigoroso impegno a cercare giustizia e verità per Giulio e ciò è stato perseguito dai singoli studenti, dal Dipartimento di Giulio, dagli accademici dei vari college e dall'Università centrale, che hanno lavorato con i media e con le autorità britanniche. Dirò di più su questo punto. Abbiamo partecipato a campagne di sensibilizzazione, alcune delle quali sono state organizzate dai deputati locali qui a Cambridge, altre dai deputati al Parlamento europeo, che si sono dimostrati molto attivi nel chiedere alle autorità egiziane chiarezza sulle circostanze della morte di Giulio. Inoltre, molti dei miei colleghi hanno partecipato attivamente alle campagne di Amnesty International in cui si è chiesta giustizia per Giulio. Molte sono state le manifestazioni, le dimostrazioni di sostegno, le campagne per la redazione di missive scritte portate avanti in tale contesto. Voglio anche sottolineare nuovamente che vi è stata la sensazione netta nell'università che quello fosse un attacco mirato alla libertà di indagine e alla libertà accademica. Ciò ha creato un forte senso di preoccupazione tra i miei colleghi, che erano preoccupati che potessero esserci conseguenze di lungo termine se questo tipo di evento non fosse stato affrontato efficacemente. Voglio anche ribadire che si è temuto che fossero stati messi sotto attacco metodi ben consolidati di ricerca sul campo nel settore delle scienze sociali e che ciò avrebbe pregiudicato la capacità degli studiosi di diverse materie di svolgere il loro lavoro, di nuovo, laddove un evento del genere non fosse stato affrontato con vigore.
  Ora, è naturale che l'Università ha dovuto esaminare le proprie procedure a seguito di quanto accaduto a Giulio. Ho detto che esisteva già una molto solida valutazione dei rischi e che, nel caso di Giulio, tale valutazione era stata completata in tutto e per tutto. Su questo posso soffermarmi ancora, se necessario. Ma quello che voglio ribadire è che, quando Giulio è morto, l'Università ha immediatamente avviato un riesame di tutte queste procedure di valutazione dei rischi e di approvazione del permesso di lavoro all'estero. Questo riesame ha portato all'elaborazione di una serie di raccomandazioni. La prima riguarda la creazione di una commissione a livello dell'Università chiamata SARAC, di cui vi parlerà la mia collega Eilis Ferran. Pag. 178Ad ogni modo, la SARAC è l'ultima istanza a pronunciarsi sulle valutazioni dei rischi e sul permesso di lavoro all'estero se vi è un rischio di pericolo emerso nell'analisi dei rischi. Fondamentalmente, si tratta però della stessa identica procedura già seguita, con la nuova previsione di questa commissione. C'è poi un altro elemento di novità: la maggior parte dei materiali ora è online. Abbiamo raccolto tutte le indicazioni sulla valutazione dei rischi e credo che ora siano più facilmente accessibili. C'è poi la possibilità di un rinvio a un'organizzazione indipendente, una società che realizza valutazioni dei rischi, affinché fornisca una persino più approfondita analisi tecnica. Ma, come ho detto, ve ne parlerà più dettagliatamente Eilis Ferran.
  Ora vorrei concentrarmi sul secondo insieme di quesiti da lei sollevati, che riguardano i rapporti tra l'Università e le autorità britanniche e l'Università e le autorità italiane all'indomani della tragica morte di Giulio. Ritengo che la cosa più importante da dire, in riferimento alle autorità italiane, è che sin dai primissimi giorni dopo la morte di Giulio l'Università si è adoperata attivamente per mettersi in contatto con il pubblico ministero italiano e offrire la propria completa cooperazione. Così, a giugno 2016, al nostro legale italiano è stato chiesto di parlare con il pubblico ministero italiano e di offrire una cooperazione esaustiva e un accesso completo a qualunque prova occorresse fornire. Contemporaneamente, abbiamo incaricato il nostro legale britannico di parlare con la polizia locale di Cambridge, la polizia del Cambridgeshire, ancora una volta per offrire la piena collaborazione dell'Università nell'accesso ai materiali disponibili presso l'Università. Lo dico perché è importante ricordare che questo avveniva prima di qualunque incontro tra il primo ministro Renzi e il primo ministro May.
  So che vi sono state speculazioni sui media rispetto al fatto che alle autorità britanniche sarebbe stato chiesto di esercitare pressioni su Cambridge in ragione di una presunta mancanza di cooperazione. Quello che posso dirvi è, in primo luogo, che tali pressioni non erano necessarie giacché l'Università si era già offerta di cooperare. In secondo luogo, posso dirvi che non vi è mai stata alcuna pressione di questo tipo. Non c'è stato alcun commento del primo ministro o del governo britannico che abbia in qualche modo lasciato intendere che non stessimo collaborando appieno con le autorità. Nel giugno 2017, il legale italiano dell'Università ha parlato nuovamente con il pubblico ministero – dico nuovamente perché vi erano già stati numerosi contatti – e in quella occasione il pubblico ministero gli ha espressamente riferito, nel giugno 2017, che tutti i materiali richiesti erano già stati consegnati e che vi era stata piena cooperazione. Sottolineo inoltre che, quando nel 2020 si è pronunciato dinanzi a questa Commissione parlamentare d'inchiesta, il pubblico ministero ha affermato che l'Università aveva dato prova, cito: «della massima cooperazione», aggiungendo che aveva fornito più informazioni di quelle che le erano state richieste.
  Ritengo dunque si possa affermare che i rapporti con le autorità italiane, e in particolare con la Procura, sono sempre stati solidi, aperti e collaborativi sin dal primo giorno. Quanto alle autorità britanniche, subito dopo la morte di Giulio abbiamo preso contatti con il Foreign Office, e abbiamo chiesto ad esso di indagare attivamente presso il governo egiziano. Parlerò più diffusamente di questo. Da allora abbiamo avuto costanti interazioni con il Foreign Office. Naturalmente, abbiamo anche collaborato con le autorità di polizia britanniche e abbiamo sempre fornito loro accesso agli edifici dell'Università. Quando richiesto, sono state realizzate perquisizioni qui, presso l'Università.
  Non vi è mai stato alcun rifiuto di cooperare, per nessun motivo, da parte dell'Università, alle richieste delle autorità britanniche e, molto più di questo, vi è stato uno spirito collaborativo perché tutti vogliamo sapere cosa sia successo e perché sia accaduto ciò in Egitto, e cercare di ottenere giustizia e trovare la verità per la famiglia. Pertanto, continuiamo a lavorare con il Foreign Office e con l'Home Office su tutti i risvolti di questo caso. Pag. 179
  Vorrei pertanto concludere le mie osservazioni passando alla terza categoria di questioni, quelle che riguardano l'impegno della comunità accademica a favore della verità e della giustizia in relazione alla morte di Giulio. Posso solo dirvi che l'impegno dell'Università rimane assoluto e so che questo vale anche per tutti i colleghi dell'Università di Cambridge. Come ho detto, abbiamo sostenuto molte campagne pubbliche e lavorato attentamente, coscienziosamente e coerentemente con il Foreign Office per tentare di esercitare pressione sulle autorità egiziane affinché rivelassero ulteriori elementi su quanto accaduto a Giulio. Con il vostro permesso, vorrei anche sottolineare che l'Università ha rilasciato 13 diverse dichiarazioni pubbliche in relazione alla morte di Giulio. La prima risale al 6 febbraio dell'anno della sua morte.
  Vorrei soltanto soffermarmi su alcune delle dichiarazioni pubbliche rilasciate dall'Università, poiché ritengo siano molto importanti per dare prova del grande impegno della stessa a favore della verità e della giustizia per Giulio. Il 6 febbraio, dunque, la prima dichiarazione rilasciata dall'Università – in un momento in cui vi era ancora incertezza riguardo ai fatti – sottolinea che l'Università aveva già scritto al console generale egiziano chiedendo alle autorità egiziane di realizzare un'indagine esaustiva. Quella lettera fu anche resa pubblica ed era stata firmata da David Runciman che, al tempo, era a capo del Dipartimento POLIS, dove Giulio era iscritto al corso post-laurea. Il 9 febbraio, l'Università ha quindi rilasciato una dichiarazione molto più estesa alla luce delle maggiori notizie che si erano rese disponibili. Al tempo, l'Università e il College hanno rimarcato il loro shock, ribadito l'enorme perdita subita dall'Università e riconosciuto che avrebbero fatto tutto ciò che era in loro potere, e cito, «per provare a scoprire la verità che si cela dietro questo evento sconcertante». Voglio anche sottolineare che tale dichiarazione – e questo mi riporta alle mie precedenti osservazioni – ha congiunto gli sforzi profusi dall'Università e dal College. Abbiamo lavorato di concerto per provare a esercitare quante più pressioni possibili, sia sul governo britannico sia sulle autorità egiziane, attraverso il governo britannico, per ottenere la verità. L'Università ha continuato a lavorare dietro le quinte e successivamente, il 20 giugno 2016, ha rilasciato un'altra lunga dichiarazione pubblica, sottolineando di aver esercitato pressioni sulle autorità egiziane affinché spiegassero la morte di Giulio, invitando il governo britannico a esercitare pressione. Inoltre, abbiamo sostenuto le azioni intraprese dal governo italiano per la ricerca della verità. Abbiamo sottolineato l'assenza di risposte da parte dell'Egitto e ci siamo detti turbati dalle conclusioni sino ad allora presentate dalle autorità egiziane. Nelle dichiarazioni, dunque, si è detto chiaramente che era necessario collaborare, era necessario fare pressioni, da parte sia dei britannici sia degli italiani, e che l'Università sosteneva totalmente e voleva addirittura raddoppiare tali sforzi.
  Vorrei soffermarmi solo su altre due dichiarazioni. La prima risale al 6 settembre 2017. Di nuovo una dichiarazione pubblica dell'Università dalla quale emergeva chiaramente che l'Università continuava a interagire ripetutamente con i funzionari egiziani, chiedendo giustizia. Nella dichiarazione si dice che abbiamo avuto contatti frequenti con le autorità italiane offrendo collaborazione e abbiamo sollevato le nostre preoccupazioni con i deputati nazionali, con i deputati al Parlamento europeo, esortando più volte il governo britannico a garantire che fossero compiuti progressi sul caso di Giulio, ribadendo il solido impegno dell'Università al riguardo. Infine, vi sono state molte altre dichiarazioni nel 2017 e 2018. Voglio ribadire che abbiamo continuato a essere molto pubblici nella nostra richiesta di giustizia per Giulio e per la sua famiglia. Abbiamo rilasciato dichiarazioni a gennaio 2018, a dicembre 2020, in occasione del quinto anniversario della sua morte. Più di recente, proprio il 25 gennaio 2021, io e Susan Smith, direttrice del Girton, abbiamo rilasciato una dichiarazione molto personale in cui abbiamo continuato a chiedere giustizia per Giulio. Pag. 180
  Abbiamo reiterato di voler continuare a collaborare e sottolineato quanto fossimo preoccupati per quella che sembrava un'impunità imperante, in Egitto, nei confronti di chi aveva commesso questo orrendo crimine. Intendo quindi solo sottolineare che, dall'inizio e fino a oggi, la comunità accademica di Cambridge e credo l'intera comunità accademica mondiale sono rimaste fondamentalmente impegnate a favore della ricerca della verità e della giustizia. Come ho già avuto modo di dire, spero vivamente che il vostro lavoro porterà avanti questa causa. Sarò inoltre ben lieto di risponde a qualunque domanda vogliate porre. Grazie.

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  Sul corto-circuito comunicativo, devo dirvi che – essendo arrivato all'Università solo dopo tutti questi eventi – mi risulta un po' difficile verificare esattamente dove possano essersi verificate eventuali carenze. Ciò che mi sento di dire è che, guardando a una parte di quanto riportato pubblicamente, credo si sia trattato di una piuttosto feroce speculazione, non realmente basata sui fatti. Talvolta, inoltre, è molto difficile per qualunque istituzione rispondere a commenti puramente speculativi dei mezzi di comunicazione. Pertanto, è possibile che sia stato solo molto difficile, per i miei colleghi, capire come rispondere ad alcune delle cose che venivano dette. Come ho tentato di illustrare, sono state molte le dichiarazioni pubbliche – a mio avviso chiarissime – rilasciate dall'Università con cadenza regolare nel 2016, 2017, 2018 e successivamente. Saremmo lieti di farvele pervenire, se dovesse servire. Non so perché alcune persone, soprattutto alcuni mezzi d'informazione, continuino a proporre storie che semplicemente non si basano su fatti. Mi fermo qui.
  Temo di non possedere le statistiche sul numero di dottorandi che, attualmente, potrebbero trovarsi in Egitto. Tuttavia, proveremo a reperirle e a farvele avere nei prossimi giorni, se possibile. Aggiungo però che, attualmente, l'Università ha all'attivo progetti di ricerca in più di 120 paesi del mondo. Quest'impegno di ricerca resta di natura globale. Ciò detto, vi faremo avere queste informazioni.
  Sull'ultimo punto da lei sollevato, voglio essere il più chiaro possibile. Non sono al corrente di alcun nesso tra l'intelligence di qualunque paese e il caso in ispecie, né mi risulta alcuna circostanza in cui i nostri accademici o studenti siano stati cooptati da un'organizzazione di intelligence di qualunque paese o abbiano avuto legami con esse. Non mi risulta nel modo più assoluto.

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  Voglio essere chiaro. Semplicemente, non so se adesso vi siano studenti del nostro Ateneo in Egitto. Come ho già detto, proveremo a verificarlo e a farvelo sapere.
  Quanto all'analisi dei rischi, va detto che questa è basata non solo sull'argomento o sui metodi ma anche sul paese stesso. Come forse saprete, quando Giulio partì per l'Egitto, il ministero degli Esteri britannico aveva assegnato al Cairo un codice di sicurezza «verde»: la città, pertanto, aveva un livello di sicurezza pari a quello della città di Londra. Quello che faremmo ora è verificare quale sia il livello di sicurezza del Cairo nelle classifiche del nostro Foreign Office e poi valuteremmo la situazione politica generale. Valuteremmo anche aspetti quali la prevalenza di reati, se gli stranieri siano mai stati presi di mira con certe modalità e per determinate ragioni, anche ai fini di frode. Sarebbero molti gli elementi che considereremmo, al di là dell'oggetto di studio e del metodo utilizzato.
  Quanto a Giulio, una delle cose che mi ha colpito è che, all'epoca della sua partenza per il paese, l'analisi dei movimenti dei lavoratori e dei sindacati in Egitto non era considerato un tema particolarmente sensibile dal punto di vista politico da molti studiosi del settore. C'erano molte persone da tutto il mondo che lavoravano su questi temi e ve ne erano state, ritengo, da molto tempo. Anche per questo quello che è successo a Giulio ci ha così sconvolti. La sua morte non rientra in alcuno scenario che poteva farci prevedere che ci sarebbe stata una tale reazione da parte di chi ha aggredito Giulio, chiunque esso sia. Pag. 181
  Sulle forze di sicurezza, quello che posso dirvi è che l'Università dispone di un sistema molto solido per la valutazione di contratti e donazioni filantropiche destinate alla ricerca provenienti da altri paesi e da filantropi. Presiedo una commissione che si occupa proprio di esaminare tutte queste elargizioni valutandone i rischi sulla reputazione e non mi risultano finanziamenti per gli studi sullo sviluppo o per la facoltà che potrebbero far pensare al coinvolgimento o alla partecipazione di servizi di sicurezza di altri paesi.
  Passo al terzo punto, ossia la giustizia internazionale. Non voglio parlare in veste di avvocato, ma posso senz'altro dire che è più che sensato pensare di esperire le eventuali vie di ricorso delle Nazioni Unite. Ci sono i rimedi attraverso il Consiglio dei diritti umani che potrebbero essere esperiti. Alcuni sono più di natura politica ma c'è anche il lavoro dei relatori speciali che, nel caso in specie, potrebbe risultare rilevante. In ultima istanza, poi, qualora riuscissimo veramente a identificare gli autori del reato, a chiamarli a rispondere del reato e a ricollegarli in qualche modo allo Stato, allora forse si potrebbe arrivare addirittura a parlare di responsabilità penale internazionale. Tuttavia, prima di procedere in questa direzione, c'è ancora molto lavoro da fare.

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  Sono lieto di confermare che non mi risultano altri studenti di Cambridge che abbiano sofferto una situazione analoga a quella di Giulio. L'unica eccezione riguarda un dottorando di Cambridge che in passato è stato detenuto in Sud Sudan per un periodo molto lungo. Fortunatamente è stato rilasciato non molto tempo fa e ha completato il suo dottorato, circostanza che ci ha resi molto felici. Ecco perché, ripeto, la situazione di Giulio ci ha sconvolto così tanto, perché non è qualcosa che ci si aspettava potesse accadere negli studi post-laurea.
  Voglio essere chiaro: non sto suggerendo che non vi fossero rischi di nessun tipo nella ricerca che Giulio aveva intrapreso, ma solo che altre persone avevano fatto ricerche simili in passato, per un certo periodo. Quanto agli studenti cui ha fatto riferimento, questi ben potrebbero aver deciso, dopo quanto accaduto a Giulio, di non voler continuare a fare ricerca in quel campo di studi, ma, persino prima, potrebbero esserci stati soggetti che abbiano fatto diverse valutazioni sul tema. Posso dirvi che il mio collega Khaled Fahmy, che vi parlerà oggi, è il più indicato ad affrontare questo aspetto.
  Ho un'osservazione che forse potrebbe risultare utile. Giulio conosceva bene Il Cairo. È importante ricordare che aveva già in passato lavorato in questa città per l'UNIDO (Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale) e parlava arabo correntemente. Credo sia importante ricordare che Giulio aveva un supervisore locale anche all'American University. Di nuovo, credo che uno degli aspetti più sconcertanti del caso sia il fatto che Giulio provenisse da – si può dire – un'università molto rinomata di West Cambridge, con un grande sostegno dietro di sé, con un consigliere locale di un'università locale molto apprezzata, l'Università americana del Cairo, con il sostegno del governo britannico, che lo proteggeva in quanto studente di Cambridge e, cosa ancor più importante, con il sostegno consolare del governo italiano, in quanto cittadino italiano.
  Giulio, quindi, si trovava – così si poteva pensare – in uno spazio molto protetto e credo che questo sia uno dei motivi per cui quanto accaduto sia stato tanto sconcertante, ossia il fatto che, in qualche modo, tutto questo meccanismo di protezione è venuto meno per Giulio. Credo che la questione allora sia cos'è accaduto in quel momento in Egitto che ha permesso che ciò succedesse, nonostante tutte le apparenti tutele e barriere a suo sostegno che avrebbero dovuto metterlo in condizione di lavorare in Egitto in sicurezza.

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  Sottolineo di nuovo che il lavoro svolto dalla commissione istituita nel 2016 ha portato a concludere che le valutazioni dei Pag. 182rischi dell'Università fossero solide e che non vi fossero grossi problemi con questi processi. Ci siamo però resi conto che, da quando questi processi erano stati elaborati per la prima volta, c'era più materiale accessibile online ed esistevano anche maggiori capacità tecniche per metterli insieme in modo più efficiente. Direi quindi che il motivo riguarda semplicemente l'evoluzione dell'informatica.
  La decisione di provare ad avere accesso alle valutazioni esterne dei rischi, ad analisi dettagliate di aziende private rispondeva per lo più – questo è il mio punto di vista – alla necessità di fornire maggiore sostegno ai capi dei dipartimenti chiamati a decidere nel merito di tali valutazioni. Dunque, semplicemente, vi era questa nuova possibilità e non c'era motivo per cui non dovessimo fornire persino ulteriori informazioni, ma non perché sentissimo di dover colmare una qualche lacuna. Semplicemente, si erano resi disponibili nuovi materiali, l'accesso era diventato più semplice e maggiori erano anche le capacità di metterli insieme, online. Potete anche approfondire questo tema con la mia collega, Eilis Ferran.

2. PETER NOLAN, già direttore del Centre of development studies (CDS)

  Il Centro studi sullo sviluppo è stato istituito nel 2010-2011. È stato preceduto da un master in studi sullo sviluppo nell'università. Ero presidente di quella commissione poi sono diventato il direttore del Centro studi sullo sviluppo quando è stato istituito durante l'anno accademico 2010 – 2011. Quando l'università ha deciso di istituire il Centro studi sullo sviluppo, ha deciso che vi sarebbe stata una struttura superiore che avrebbe avuto la responsabilità amministrativa finale e il controllo. Al di sotto di quella struttura, POLIS, c'era un gruppo di centri, ognuno con la propria identità, ma sotto l'autorità del POLIS.
  Tra tale gruppo di centri, il Centro studi sullo sviluppo era quello che si interessava dei paesi in via di sviluppo. Il nostro Centro studi sullo sviluppo era di gran lunga il più grande, ma c'era anche un Centro studi sull'Asia meridionale, un Centro studi africano, un Centro studi latinoamericano, tutti nello stesso edificio. Ognuno di questi era in maniera diversa interessato a quello che possiamo chiamare lo sviluppo nei Paesi in via di sviluppo, Paesi a basso e medio reddito. POLIS era la struttura amministrativa al di sopra di ciascuno di essi e ne era responsabile.
  Avevamo uno staff accademico. Le nostre funzioni erano quelle di insegnare agli studenti, i cosiddetti MPhil, del master di ricerca sullo sviluppo, e agli studenti del dottorato (PhD). Dunque, al momento dell'omicidio di Giulio, avevamo circa 70 studenti del master e circa 50 studenti del dottorato. Questi studenti erano tutti sotto il Centro studi sullo sviluppo. Nel 2015-2016 il nostro staff accademico era composto da me, come direttore, da una docente, la dottoressa Maha Abdelrahman, che era interna nel POLIS, dal dottor Graham Denyer Willis, che lavorava sull'America Latina, anche lui interno nel POLIS, dal dottor Chang, che era di base a economia, e dalla dottoressa Shailaja Fennell, che era nel dipartimento di economia del territorio. L'unica persona che lavorava completamente al Centro ero io. Gli altri quattro membri dello staff accademico avevano ciascuno la propria base in altre parti dell'università. Era una struttura piuttosto complessa.
  Ognuno di questi docenti universitari professionisti proveniva da un Paese in via di sviluppo, come il dottor Chang, la dottoressa Fennell e la dottoressa Abdelrahman oppure, come me e il dottor Willis, avevano una vasta esperienza di ricerca e studio delle questioni relative allo sviluppo nei Paesi in via di sviluppo.
  Avevamo uno staff amministrativo molto ridotto, ma quando sceglievamo il nostro amministratore, trattandosi di una figura chiave, era sempre qualcuno che aveva una conoscenza molto profonda dei Paesi in via di sviluppo. Quando Giulio ha iniziato nel Centro, l'amministratore era una signora, Diana Kazimi, con una conoscenza molto approfondita dei Paesi in via di sviluppo, in particolare del Medio Oriente. In effetti aveva lavorato in Egitto, suo marito era Pag. 183egiziano. Sapeva molto del Medio Oriente e quindi, in termini di comprensione dei nostri studenti, offriva un'interazione fondamentale con loro. Al momento dell'omicidio di Giulio, c'era il suo successore, Doreen. Doreen proveniva da un Paese in via di sviluppo, la Tanzania. I nostri amministratori sono una parte vitale, selezionata con molta attenzione, e non li ringrazierò mai abbastanza. Erano amministratori fantastici e profondamente orientati verso gli interessi di tutti i nostri studenti.
  Tutti noi eravamo orientati verso i problemi dei Paesi in via di sviluppo e volevamo sostenere i nostri studenti. Avevamo anche un accademico part-time, il cui nome non è importante, ma lo dirò comunque, David Clark. Il dottor David Clark, che aveva conseguito il dottorato di ricerca a Cambridge e aveva lavorato in Sud Africa, aveva compreso profondamente le problematiche, compreso il rischio dei paesi in via di sviluppo. Lo abbiamo nominato direttore part-time del nostro dottorato di ricerca, che noi chiamiamo corso di dottorato sui metodi di ricerca. Il che ha comportato un'attività molto intensa con i nostri dottorandi durante tutto l'anno, nel loro primo anno.
  Vorrei sottolineare che la maggior parte dei nostri studenti, sia come studenti del master (MPhil) sia come dottorandi, provenivano da Paesi in via di sviluppo. Quindi, in termini di ambiente intellettuale e di conoscenze intorno a Giulio, incluso in materia di rischio, avevamo una gamma molto ampia di persone. In genere, gli studenti più grandi come Giulio erano tra i venticinque e i ventinove anni, ma anche sulla trentina e oltre. Era dunque inserito in un ambiente molto, molto solidale e impegnato, con una notevole esperienza nell'intera gamma dei Paesi in via di sviluppo, dall'America Latina, all'Africa e al Medio Oriente fino all'Asia.
  Ero dunque il direttore del Centro. Ho cessato di essere professore universitario a tempo pieno nell'ottobre del 2016, poi sono stato per tre anni professore incaricato di ricerca. Nel 2019 sono andato definitivamente in pensione. Ho lasciato l'incarico di direttore del Centro studi sullo sviluppo durante l'anno accademico che ha fatto seguito al mio pensionamento da professore universitario, cioè nel 2016-17, entro l'anno dopo l'omicidio di Giulio.
  Penso che questo sia ciò che mi abbiate chiesto di spiegare, ovvero la mia funzione e il ruolo degli studi sullo sviluppo nell'ambito dell'università e all'interno del POLIS. Queste sono le caratteristiche principali.
  Lei ha citato i miei rapporti con Giulio. Ho tenuto un seminario su globalizzazione e sviluppo al corso di master e Giulio era uno studente di quel corso. Avevamo circa 25 o 30 studenti in quel corso, che dura un anno. È un corso intensivo. Ho avuto molte interazioni con Giulio, come con gli altri studenti, durante l'anno in cui ha frequentato il corso di dottorato. Ho quindi un ricordo molto vivo di lui e dei suoi rapporti con gli studenti, il che è molto doloroso.
  Quando si è iscritto per conseguire il dottorato, un aspetto fondamentale era l'interazione. Parlerò del supervisore tra un attimo. Io non ero il suo supervisore. Dedicavamo ogni venerdì pomeriggio ai nostri studenti di dottorato. C'era un seminario di due ore ogni venerdì pomeriggio e Giulio, ovviamente, ne era un assiduo frequentatore. I nostri studenti hanno fatto delle presentazioni a quel seminario e quindi, naturalmente, ho interagito con lui durante questo corso. Abbiamo avuto alcune discussioni sulla natura generica di ciò che stava facendo, che riguardava lo sviluppo in tema di relazioni di lavoro e il loro ruolo nel processo di sviluppo. Penso che la mia conoscenza di altri Paesi in via di sviluppo ci abbia portato ad avere qualche scambio, compresa qualche discussione e qualche possibile suggerimento di letture, ma ho i miei dottorandi, dai 10 ai 15 alla volta, Giulio era solo uno dei circa 50 studenti di dottorato e quindi la mia interazione con lui durante quella fase è stata significativa, ma piuttosto limitata.
  Adesso passiamo alla domanda sul supervisore. Il sistema di Cambridge, come di altre università britanniche, è molto diverso, per esempio, dal sistema americano o dal sistema continentale, in particolare del Nord Europa. In Olanda o in Danimarca, c'è una commissione di tesi e lo Pag. 184studente è supervisionato da molte persone, ciascuna delle quali ha più o meno lo stesso impatto e la stessa interazione con lo studente. Questo vale per l'Olanda, vale per la Danimarca, è il modello comune. Non posso parlare con altrettanta sicurezza dell'Italia, ma ho molta familiarità con il sistema del Nord Europa, che fondamentalmente si basa su commissioni. Il sistema americano è lo stesso.
  Ora, il sistema del Regno Unito, non solo a Cambridge, ma anche in altre importanti università britanniche, fa molto affidamento sul supervisore. Puoi avere un consulente di facoltà, ma il mio consiglio ai miei studenti è: lasciati supervisionare da me. Lo facciamo insieme. Cerchiamo di capire qual è il tuo obiettivo. Quando mi dicono: «Vorresti fare da consulente per qualcuno?» Io rispondo: «Stai attento. Dovresti ascoltare il tuo supervisore. Altrimenti rischi di essere molto confuso perché le persone hanno opinioni diverse su quale sia l'argomento e l'approccio giusto o sbagliato per un dottorato di ricerca».
  Dunque, il nostro approccio nel Centro studi sullo sviluppo era supervisionato dal POLIS, dalla commissione di laurea del POLIS, ma avevamo un grado di autonomia in merito a quali studenti selezionavamo. Davamo consigli ai nostri potenziali dottorandi, sia che stessero partecipando al Master sia che si candidassero direttamente dall'esterno. Parecchie persone hanno fatto domanda per fare il dottorato, ma abbiamo risposto che lo studente non può fare il dottorato a meno che non abbia individuato qualcuno nella sua materia che sia disposto a supervisionarlo. Così, lo studente già interno ai nostri corsi o che faceva domanda dall'esterno era indirizzato e istruito a trovare qualcuno con cui interagire e che fosse competente e conoscesse la sua area di ricerca. Molto spesso gli studenti del nostro corso dicevano: «Sono uno studente molto bravo. Ho un voto alto e desidero fare un dottorato di ricerca. Per favore, lasciami continuare». Ma abbastanza spesso ci toccava rispondere: «Non c'è nessuno con le conoscenze per farlo. Potrebbe esserci qualcuno in un campo di cui non siamo a conoscenza. Non possiamo accettarti perché hai un buon voto, ma ci deve essere qualcuno nel nostro dipartimento che abbia la competenza necessaria per farti da supervisore». Dunque, questo era il nostro principio e questa è la natura del nostro sistema di supervisione nel Regno Unito. Questo è il modo con cui abbiamo scelto i nostri supervisori per tutti i nostri dottorandi.
  Se non avete altre domande da farmi al riguardo procederei ad affrontare gli altri argomenti.
  Per quanto riguarda la domanda successiva, il primo punto che voglio sottolineare riguarda la nostra struttura. Il Centro studi sullo sviluppo era parte integrante del dipartimento, POLIS. Mentre avevamo autonomia nella selezione degli studenti e nel modo di insegnare agli studenti, le regole in base alle quali operavamo e i nostri regolamenti erano stabilite dal POLIS e dal suo organo amministrativo. Allora, prima di essere configurati come Centro, eravamo semplicemente un programma di Master. Io ne ero il presidente dal 1995 circa. Avevamo molti studenti che frequentavano il Master in studi sullo sviluppo. Ma i nostri dottorandi, fino a quando non siamo diventati un Centro, erano distribuiti in tutta l'università. Non avevamo l'autorità per prendere studenti di dottorato. Eravamo un Master con molti dottorandi, ma distribuiti in diverse facoltà dell'università. Quando siamo stati istituiti nel 2010-2011, abbiamo dovuto occuparci delle strutture per i nostri dottorandi e per i nostri studenti di Master, comprese le procedure. Prima di ciò ogni dipartimento si occupava della valutazione del lavoro sul campo e del rischio, dell'economia, dell'economia del territorio e questi aspetti non ci competevano prima che diventassimo un Centro.
  Così, quando siamo stati istituiti come Centro nell'anno accademico 2010-2011, la nostra amministratrice, Diana Kazimi, ha discusso con il POLIS per mettere in pratica, su mia richiesta, le procedure appropriate per la valutazione del lavoro di ricerca sul campo, compresa la valutazione del rischio di viaggio. Così, abbiamo ricevuto dal POLIS questo modulo di valutazione del rischio ampiamente utilizzato, Pag. 185che tutti avete visto. Questa era la prassi normale per compilare la relazione, che era poi firmata dal supervisore e inviata direttamente alla commissione di laurea del POLIS. Abbiamo messo in pratica ciò che il POLIS applicava in tutte le sue unità costitutive. Quella era la relazione di valutazione del lavoro sul campo, che, sono sicuro, avete visto tutti. Non decidevamo dunque noi indipendentemente, ma decideva il POLIS per tutti i centri sotto il suo controllo. Di conseguenza, non avevamo una nostra sottocommissione per esaminarla. Lo studente aveva la responsabilità di compilarla. Al supervisore si chiedeva di firmarla, poi era inoltrata direttamente al POLIS, alla loro commissione di laurea per l'approvazione. Avevamo un ruolo esiguo in quel processo. Era lo stesso anche per gli altri: il Centro di studi latinoamericani, il Centro di studi sull'Asia meridionale e gli altri centri sotto il POLIS.
  Continuerò a parlare brevemente della questione del rischio e degli studenti che lavorano al di fuori dell'università.
  La prima cosa da notare è un aspetto molto diffuso nella nostra università, come in molte università. Io ero un tutor nella mia università per persone che seguivano molte materie diverse: medicina, matematica e inglese, ma anche economia. Un gran numero dei miei studenti, centinaia di studenti nel corso di quasi 40 anni di università, hanno viaggiato per il mondo con lo zaino in spalla e, ovviamente, un numero decisamente maggiore di studenti di Cambridge in generale. Ci sono sempre rischi, e c'era un gran numero di studenti che lo facevano. Era il 1979 quando sono arrivato a Cambridge ed era già una pratica molto comune per i nostri studenti. Ricordo uno del mio gruppo di studenti di scienze mediche che ha semplicemente comprato una Jeep e ha guidato da nord a sud attraverso l'Africa. Gli ho detto: «Sei pazzo! Perché lo fai?», «Oh, è assolutamente sicuro. Va tutto bene», e lo ha fatto. Non ho idea di quali fossero i regolamenti all'epoca. Penso che l'università non avesse regolamenti. Non credo che nessuna università ne avesse, ma abbiamo avuto molti studenti che hanno girato per il mondo in tanti, tanti anni.
  Se prendiamo in considerazione gli studenti di dottorato a Cambridge, noi siamo un Centro per i Paesi in via di sviluppo, ma in tutta l'università – negli studi latinoamericani, studi africani, relazioni internazionali, studi sull'Asia meridionale, storia, facoltà di studi asiatici e mediorientali – c'è un'ampia gamma di dipartimenti che ha studenti che vanno all'estero e studiano nei Paesi in via di sviluppo. La maggior parte di loro, immagino, doveva compilare una relazione di valutazione del viaggio per il lavoro di ricerca sul campo molto simile a questa che avevamo per Giulio.
  I moduli di valutazione del rischio, come sapete, sono cambiati dopo l'evento di Giulio. Sono sicuro che avete visto i nuovi moduli di valutazione del rischio e sono molto più dettagliati rispetto ai moduli che sono stati compilati da Giulio e dal suo supervisore. Direi, per quanto riguarda le nostre procedure, che erano specifiche per il Centro studi sullo sviluppo, che quello che ho cercato di fare, come direttore del Centro studi sullo sviluppo, è stato creare un'atmosfera di sostegno reciproco tra gli studenti. La prima cosa che ho fatto, come direttore del centro, è stata di tenere ogni venerdì pomeriggio, come ho già detto, un lungo seminario per tutti i nostri dottorandi con circa 30, 40, 50 partecipanti ogni settimana, che, ripeto, provenivano principalmente da Paesi in via di sviluppo. Molti di loro erano studenti maturi. L'obiettivo era offrire la possibilità ai dottorandi di primo, secondo e terzo anno di illustrare i loro progetti ad altri dottorandi e agli altri membri dello staff accademico. Questo era il contesto in cui si è trovato Giulio nel suo primo anno. Potevano parlare degli aspetti intellettuali di ciò che stavano facendo, ma anche discutere dei rischi connessi. Le persone provenienti da Paesi in via di sviluppo avevano un'ottima comprensione dei problemi pratici, inerenti alla ricerca e anche alle difficoltà personali che i nostri studenti avrebbero potuto incontrare. Come direttore del centro, ritenevo che tale attività fosse estremamente importante e che ogni studente dovesse partecipare. Parlavano quindi degli aspetti intellettuali del loro lavoro ma anche degli aspetti sociali e Pag. 186persino degli aspetti di rischio del loro lavoro.
  Ora parlerò brevemente della relazione di autovalutazione di Giulio. Giulio aveva molta esperienza di lavoro in Egitto. Come sapete, aveva studiato molto, anche all'Università americana del Cairo. Parlava correntemente l'arabo. Quindi, nella sua relazione, diceva: «Conosco molto bene la lingua, la politica, la cultura. Ho buoni contatti all'Università americana del Cairo». Alcuni studenti non avevano una conoscenza così approfondita dei Paesi in cui stavano andando a fare ricerca. La sua era una conoscenza molto profonda, non inusuale, ma molto profonda. Aveva una base di ricerca, che ha indicato nella relazione. Aveva anche degli amici al Cairo. Come sapete, il contesto politico in Egitto, come in molti Paesi in via di sviluppo, era molto complicato. Il governo del presidente Mubarak è stato rovesciato nella primavera araba del 2011 e gli intellettuali, sia all'interno che all'esterno dell'Egitto, hanno svolto un ruolo importante nel rovesciamento di Mubarak. Come è ben noto, quel regime è stato seguito da un governo eletto dei Fratelli Musulmani, guidato dal presidente Morsi. Il 2013 è stato un periodo molto turbolento e complicato nella storia dell'Egitto e i giudizi al riguardo sono diversificati. Quel regime è stato esso stesso rovesciato e sostituito dal governo militare di Al-Sisi. Sicuramente si trattava di un contesto instabile. Come ben sapete, il regime di Al-Sisi ha arrestato e ucciso molte persone della Fratellanza Musulmana nei suoi primi mesi. Ma all'epoca in cui Giulio è andato a fare le sue ricerche, tra l'agosto 2015 fino a quando è stato assassinato, sembrava che la situazione politica si fosse stabilizzata. Il governo britannico, nella sua valutazione, riteneva che Il Cairo fosse un posto ragionevolmente sicuro dove andare. L'autovalutazione di Giulio dice: «La situazione politica è stabile, secondo il sito web del Foreign office. La zona del Cairo e le parti costiere del paese nel nord, dove svolgerò le mie ricerche, sono considerate sicure. Zone verdi».

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  Alla domanda se ci siano mai stati casi in cui la valutazione del rischio sull'Egitto abbia dato esito negativo e il progetto di ricerca sul campo sia stato modificato o addirittura annullato, non posso dare una risposta professionale quale direttore degli studi sullo sviluppo, perché ho smesso di esserlo nel 2016-2017. Se volete una risposta professionale completa, questa domanda va rivolta al POLIS e alle persone che mi sono succedute in qualità di presidente del Centro studi sullo sviluppo e che sono il dottor Chang e il nuovo direttore del Centro, William Hurst. Sono loro i miei successori e sono professionalmente competenti a pronunciarsi sul modo in cui, se mai, l'approccio degli studi sullo sviluppo a queste questioni sia cambiato. Non sono nella posizione per poter rispondere. C'è bisogno di loro o del POLIS per rispondere a questa domanda.
  Quanto sopra anche in merito alla domanda se dopo la morte di Giulio l'approccio del Centro verso l'Egitto o altri Paesi con caratteristiche simili sia in qualche modo cambiato. Non sono in grado di rispondere. Se parliamo di prima di allora, posso rispondere. Nel senso che ho avuto un eccellente dottorando, Ahmed el-Gahari, che era, come si può intuire, egiziano. È venuto da me perché ha detto: «So che non sa molto sull'Egitto, ma mi piace la sua materia perché il mio tema è la globalizzazione, gli affari e lo sviluppo», una delle mie aree di ricerca. Allora, gli ho detto: «Non so niente dell'Egitto, ma sono molto felice di seguirti grazie alla mia conoscenza generica sull'argomento, conoscenza storica dei processi imprenditoriali e di sviluppo, con particolare riferimento alle grandi aziende, e sono felice di farti da supervisore se lo desideri.» È egiziano, ha studiato approfonditamente in numerose interviste ed era molto esperto. Ha sicuramente compilato uno di questi moduli. Non ha avuto alcun problema di alcun tipo. Quindi, per rispondere alla prima parte della sua domanda, prima di tutto, abbiamo avuto pochissimi studenti che lavorassero sull'Egitto. Non credo che ci siano stati casi in cui abbiamo impedito a qualcuno di andare Pag. 187 perché pensavamo che fosse troppo pericoloso. Certamente, il mio studente, Ahmed el-Gahari, non ha avuto problemi di alcun genere. Sono stato molto felice in contatto con lui. Era egiziano e ha avuto un'esperienza di ricerca di dottorato molto confortevole e soddisfacente.
  Posso parlare solo della mia esperienza. L'ultimo studente che ho supervisionato ha appena completato gli studi, ma da quando sono tornato a Cambridge nel 1979 ho supervisionato 105 studenti di dottorato. Tra questi vi sono stati studenti di dottorato occidentali che hanno visitato Paesi complessi. Uno studente dell'Indonesia, uno studente canadese che ha studiato in Messico. Tuttavia, la maggior parte dei miei studenti proveniva dal paese interessato, Vietnam, Bangladesh, Tailandia, Kazakistan, India, Russia, Turchia, Ghana. In larga parte, si sono dimostrati del tutto competenti e comprendevano i rischi perché provenivano da quel Paese, erano molto esperti. Non abbiamo avuto problemi con loro perché erano originari del Paese, erano molto esperti e molto ben informati. Se posso fare solo un paio di esempi, uno è la Sierra Leone, che ha vissuto una terribile guerra civile. Uno dei miei studenti di dottorato lavorava su un settore che conosco molto bene, ovvero l'industria petrolifera. Però è un sierraleonese, è di quel Paese. Sua madre era ministro dell'istruzione e lui era profondamente informato sul paese. Non c'era nessun rischio per lui, ma il Paese è molto instabile. Hanno avuto conflitti terribili. Nel caso della Sierra Leone, se hai uno studente maturo che proviene da quel Paese, il rischio per lo studente nel fare ricerca lì è minimo, anche se il paese ha moltissimi problemi.
  Uno studente molto interessante, in questo senso, è la persona che è diventata il nostro direttore del dottorato di ricerca. L'ho già citato, il dottor David Clark. È inglese e non ha alcuna esperienza dei Paesi in via di sviluppo ma ha deciso di fare il suo dottorato di ricerca sul campo in Sud Africa, lavorando in una comunità urbana e in una rurale. Quello che ho fatto, che è la cosa logica da fare, è stato affidarlo a un mio amico, direttore di un istituto di ricerca in Sud Africa che mi ha assicurato che si sarebbe preso cura di lui. Questo è un caso in cui la persona era a rischio: un soggetto inglese molto perbene con nessuna esperienza di Paesi in via di sviluppo. È stato quindi seguito con un'attenzione incredibile. In tal modo, ha avuto un'esperienza di ricerca molto gratificante e insolita, facendo ricerche sui concetti di sviluppo nelle aree urbane e rurali tra due comunità, ma essendo stato totalmente seguito non ha corso alcun rischio. Certo, ci sono rischi dovunque, ma si trattava di uno studente inusuale senza alcuna conoscenza. Mi sono assicurato che avesse qualcuno che si prendesse cura di lui. È stato un lavoro di grande successo. Dunque, direi, che occorra procedere caso per caso. Bisogna capire qual è il bagaglio culturale della persona, qual è la sua conoscenza del Paese, quali sono i suoi collegamenti istituzionali, e che indicherà sul modulo. Se necessario, bisogna assicurarsi che abbia protezione, nel modo che ho appena descritto.
  Devo dire che un altro dei miei studenti di dottorato è stato assassinato. A 500 metri da casa mia, assassinato a Cambridge. Niente a che vedere. Un'aggressione casuale. È stato ucciso molto tempo fa.

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  Non so rispondere alla domanda sul perché Giulio sia stato ucciso e se ciò riguardi l'oggetto della ricerca o una peculiarità dell'attuale regime egiziano. Osservo soltanto che Giulio non è stato semplicemente ucciso, non è stato rapito a scopo di riscatto. Non è stato ucciso per mandare un segnale. La realtà del suo omicidio è che è stato torturato ogni 10-12 ore per 10 giorni. La domanda è: perché? e io non conosco la risposta. Qualcuno deve chiederselo, cosa che continuo a chiedermi, come sono certo che fate voi. Perché qualcuno lo fa? Perché, qual è il suo scopo? Cosa stava cercando di ottenere? Quali informazioni? Perché non è un omicidio «normale», non come il mio povero studente che è stato assassinato qui. È stato un evento unico. Continuo a farmi quella Pag. 188domanda e non conosco la risposta, ma è, come dice lei correttamente, un caso unico. Non conosco nessun altro caso del genere. Giulio aveva tutto il background necessario, le competenze, la comprensione del Paese. Ogni Paese ha un grado di rischio politico. Lui e il suo supervisore hanno una conoscenza infinitamente maggiore della mia. Mi sono fatto ripetutamente la stessa domanda e non ho risposta, ma i fatti sono molto chiari.

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  Non sono a conoscenza dell'episodio che mi riportate, dell'espulsione dall'Egitto di una studentessa di Cambridge perché avrebbe ricevuto un libro da Israele, episodio che sarebbe accaduto un anno prima dell'omicidio di Giulio. Non lo sapevo. Ne sono all'oscuro, completamente all'oscuro, una dottoranda di Cambridge espulsa perché aveva ricevuto un libro da qualcuno! È importante. Non lo sapevo.

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  Sulla domanda circa possibili interazioni tra servizi di intelligence e istituzione accademica, ciò va definito molto, molto attentamente. Sono Commendatore dell'Ordine dell'impero britannico. La mia onorificenza dell'impero britannico è arrivata su segnalazione del ministero degli Esteri. Figuravo in quella che si chiama la lista diplomatica del ministero degli Esteri. Si tratta di un'onorificenza denominata Commander of the British Empire che la Regina d'Inghilterra conferisce due volte l'anno. C'è il titolo di Commendatore, di Ufficiale e di membro. Lavoro molto con il ministero degli Esteri. Il ministero degli Esteri e il servizio di sicurezza sono molto legati. Tutti lo sanno, e la stessa cosa è per l'Italia. Perciò, quando mi chiedete se c'è qualche connessione con le persone all'università, è normale in ogni Paese, incluso il vostro Paese, andare alle riunioni, parlare. È un aspetto normale del coinvolgimento intellettuale e politico.
  Un gran numero di persone in questa università ha un coinvolgimento nel senso di dare consigli e parlare, ma tutti lo sanno. La maggior parte delle università, e anche la nostra, hanno persone all'interno che discutono di politica, sviluppo e relazioni internazionali, è abbastanza normale. Questo va quindi tenuto presente come contesto generale, ma penso che quello che mi sta chiedendo sia molto più specifico, cioè se esiste un vero lavoro di intelligence. Non posso rispondere a questa domanda perché non si saprebbe. Personalmente ho ricevuto l'onorificenza per i servizi resi a favore dell'integrazione della Cina nell'economia globale, ma non per lavori nel campo della sicurezza.
  Il punto è che se ci fossero persone che svolgono lavori di intelligence, non si saprebbe. Io non lo so, ma non posso escluderlo e questa università non è diversa da Oxford o da altre università dove le persone sono molto abili in questi ambiti, ma io davvero non ne sono a conoscenza. Semplicemente, non lo so.

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  Non credo che il tema della ricerca di Giulio Regeni potesse interessare qualche agenzia di intelligence. Sto pensando ai miei studenti, ad altri studenti impegnati in studi sullo sviluppo. Stava esaminando il cosiddetto sviluppo della società civile. Basta vedere il sito web del Dipartimento per lo sviluppo internazionale in questo paese. Per esempio, un numero enorme di sovvenzioni sono concesse in tutto il mondo riguardo alla cosiddetta società civile. Si può discutere se sia un bene o un male, ma non è questo il punto.
  La gente è molto interessata alla società civile in questo Paese e in tutti i Paesi ad alto reddito, compresa l'Italia. Sono sicuro che in Italia, se dici di avere un ottimo progetto da parte di un'agenzia di ricerca italiana per lavorare sulla società civile in Argentina o in Brasile, potresti presentare domanda. Quindi penso che l'area generale su cui stava lavorando Giulio, ovvero lo sviluppo della società civile di cui i sindacati fanno parte, sia un'area di ricerca molto comune. Non era in alcun modo insolita, per nulla, era un argomento abbastanza normale.

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  È un dato di fatto ormai da voi acclarato che i servizi di sicurezza nazionale lo hanno torturato e continuo a farmi la stessa domanda. Ieri sera ho cercato di restare sveglio, cercando di pensare al contesto. Quali erano le domande? Cosa gli chiedevano?
  C'è qualcosa che non va. Capisco perfettamente. Ovviamente non posso saperlo. Voglio dire, il supervisore è in contatto diretto con lo studente. Così, con i miei studenti, io mi aspetto sempre che mi contattino e interagiscano con me. Ma non era un mio studente, non era il mio dottorando. E, come dice lei, non ne avevo idea. Ripeto, non ho seguito questo caso da vicino principalmente perché è così doloroso.
  Non ero al corrente di ciò se è di dominio pubblico. Non lo sapevo, ma anche se qualcosa è sui giornali chi sa perché è lì? È vero?
  È solo parlando con voi che ho un quadro più vicino alla verità. Non ne ho idea e non posso assolutamente sapere cosa sia successo. Ma il punto è, quali erano le domande che gli facevano, ogni 10-12 ore? Non ne ho idea. Ma quelli erano là e gli facevano domande, erano del servizio di sicurezza nazionale. Non sapevo che fossero sulle sue tracce. E non ne ho idea in aggiunta a ciò perché non ero la persona con cui uno avrebbe potuto avere una conversazione, è il supervisore che normalmente è in stretto contatto con i nostri studenti.
  Alcuni non hanno bisogno di molti contatti perché sono totalmente autosufficienti, altri hanno problemi. Ti parlano. È la natura. Questo è un punto di forza del nostro sistema. Perché se tu hai cinque o sei persone nella tua commissione, con chi parli? Diverso è se il tuo supervisore ti dice parlami, non esitare a contattarmi. Quindi questo è insieme un punto di forza e di debolezza del nostro sistema.
  Posso sottolineare la natura dei nostri dottorandi in studi sullo sviluppo? Per la stragrande maggioranza i nostri studenti sono nativi di quei paesi, e ho citato, per esempio, uno studente di un paese molto pericoloso, la Sierra Leone. Quindi capiscono davvero il loro paese. Sono per lo più studenti maturi. E quindi sono in un'ottima posizione per valutare il rischio. Tra quelli che non provengono da paesi in via di sviluppo, accetteremmo solo persone che abbiano esperienza e conoscenza dei paesi su cui vogliono fare ricerca. E nel caso di Giulio, era così. Quindi, non abbiamo studenti ingenui. Abbiamo studenti che sono molto ben informati e possono aiutarsi a vicenda nella comprensione dei temi e dei pericoli della ricerca.

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  Mi si chiede se avessi intravisto una motivazione ideologica o politica in Giulio nei suoi interessi di ricerca e di studio. Questa è una domanda molto ampia. Potrei chiedere a lei qual è la sua ideologia. Abbiamo studenti giovani, studenti maturi, sempre altamente motivati. Direi che quasi tutti i nostri studenti sono altamente motivati, negli studi sullo sviluppo, a fare del bene, a lasciare il segno. Tutti potrebbero guadagnare molto facendo altro, ma scelgono di venire a fare studi sullo sviluppo perché vogliono fare qualcosa di utile, vale a dire dare un contributo e una delle aree principali in cui vogliono dare un contributo è la società civile, al fine di migliorare il benessere delle persone nei paesi in cui lavorano. Ora, questo si può definire una sorta di ideologia, ma è comunque una mentalità comune tra i nostri studenti, non di tutti, ma abbastanza comune. Altrimenti, vai alla business school o al Dipartimento di storia. I nostri studenti sono motivati, vogliono cercare di impegnarsi, fare la differenza, migliorare la vita delle persone di quei Paesi. La società civile non è necessariamente l'unico argomento, ma è un motivatore molto importante per numerosi studenti.
  Come sapete, Giulio scriveva per il Manifesto, e conoscete bene l'orientamento politico di quella testata. Quindi non ho idea se Giulio fosse membro di qualcosa, non era mio compito chiederglielo. Non avevo il diritto, non volevo chiederglielo e non mi interessava, ma certamente è abbastanza ovvio che politicamente tendesse a sinistra. È proprio ovvio. Pag. 190
  Non abbiamo mai parlato della questione della Fratellanza Musulmana. Ho le mie opinioni, ma sono irrilevanti. Però penso che mi abbiate chiesto: come si collocava ideologicamente Giulio?
  Non abbiamo direttive sull'adesione del personale accademico a istituzioni politiche. Sarebbe infinitamente problematico perché se ne dovrebbero avere un numero infinito. Questa è una università e le persone qui sono esperte in giochi intellettuali. Nell'università abbiamo la libertà di lavorare con chiunque vogliamo, questo è un tema di libertà accademica, quindi la risposta è che in questa università non abbiamo linee guida sull'adesione del personale accademico a istituzioni politiche. Sarebbe un problema straordinario all'interno della nostra università e sono sicuro che lo abbiate chiesto al nostro vice-rettore. Non è il mio parere se sia un bene o un male, non è un mio parere, ma è la realtà della nostra università. Non abbiamo queste linee guida e se la nostra università dovesse tentare di introdurre direttive del genere, penso che ci sarebbe un dibattito piuttosto acceso al suo interno, ma non abbiamo direttive del genere da nessuna parte nell'università.
  Circa l'assegnazione di Maha Abdelrahman come supervisor di Giulio, il nostro era un gruppo molto ristretto, come ho detto, circa quattro docenti. Quando ricevevamo le domande di ammissione procedevamo a discuterle. Quindi abbiamo sempre avuto autonomia, non nelle procedure per la valutazione del rischio, ad esempio, ma abbiamo grande autonomia sulle ammissioni degli studenti. In merito al processo di ammissione al dottorato, come già detto, abbiamo un gran numero di domande da parte di studenti che sono già qui e di altri che fanno domanda da fuori. Ne discutiamo tra noi, e diciamo: «Oh, questa persona è in Italia», discussioni informali. Non si vota. Siamo un gruppo molto piccolo e compatto negli studi sullo sviluppo. Quindi diremo: questo è il tuo settore, Maha; questo è il tuo settore, Peter, vorresti fare da supervisore? Lo studente ha nominato te. Dunque, in questo caso, Giulio si sarebbe rivolto a Maha e avrebbe detto, desidero essere supervisionato da Maha. Maha avrebbe detto, sono d'accordo, ma molto spesso qualcuno dice: «Non desidero supervisionare quello studente». È un processo informale di individuazione di qualcuno che abbia una reale competenza in quel settore.

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  La domanda su Noura Wahby è molto semplice. Noura era uno dei 50 dottorandi, quindi era nella nostra classe. Non riesco a ricordare se fosse nella mia classe di Master, ma sicuramente c'era ogni venerdì quando facevamo lezione. Frequentava il corso e mi ricordo di lei. Era una persona abbastanza tranquilla. Giulio era molto, molto attivo e Noura più tranquilla. L'ho sentita presentare il suo piano di ricerca di dottorato, che era molto coerente e chiaro. Oltre questo, ho saputo che condivideva un appartamento con Giulio, credo, ma l'ho solo sentito dire. Di certo non era compito mio farle domande. Penso che condividessero un appartamento, credo che lo sappiate, e penso che lei abbia avvertito Maha riguardo alla propria preoccupazione. Penso che sia così, ma non ho chiesto, non l'ho ritenuto opportuno dopo quello che è successo. Non è compito mio indagare, non sono un investigatore. Insomma, se avesse voluto venire a parlare con me, le avrei parlato, ma non volevo intromettermi e quindi non ho una reale conoscenza di quello che è successo nell'appartamento. È una faccenda troppo delicata. So che Noura era una diligente studentessa di dottorato, ma non ho assolutamente modo di sapere alcunché riguardo a un suo possibile coinvolgimento oltre a questo. Se condivideva l'appartamento con Giulio doveva averlo conosciuto molto bene. Questo è quanto so di Noura.
  Non chiediamo agli studenti che sono partiti per svolgere il loro lavoro sul campo di inviare al Centro studi sullo sviluppo una regolare relazione formale. È normale che siano in stretto contatto con il loro supervisore, ma non è un aspetto che debba essere regolamentato perché rientra nel normale rapporto di un supervisore con i Pag. 191propri studenti e sarebbe una normale interazione tra il supervisore e lo studente di dottorato che svolge il lavoro sul campo. Spesso il supervisore li aiuta anche a risolvere problemi pratici, altre volte si tiene in contatto con loro solo per tenere alto il morale, perché a volte si sentono molto soli.
  Tutti i nostri studenti sono o erano tenuti a redigere la cosiddetta relazione di primo anno in cui delineano il loro progetto per il dottorato di ricerca. Il supervisore e un altro membro dello staff accademico discutono il progetto di ricerca sotto tutti i punti di vista. Inoltre, durante il primo anno, ci si aspetta che lo studente faccia una presentazione preliminare a tutto il corpo docente e ai dottorandi sull'argomento del suo dottorato, sui metodi che utilizzerà e sul suo progetto di ricerca e questa di solito è una sessione molto attiva.
  Quando rientrano dal lavoro sul campo (anche se non tutti gli studenti svolgono il lavoro sul campo, ma la maggior parte lo fa) ci si aspetta che riferiscano sul lavoro svolto e sono sempre molto contenti di farlo. Quindi, se a Giulio non fosse accaduto questo, al suo ritorno, avrebbe presentato una relazione agli altri studenti e avrebbe illustrato quanto era successo nel lavoro sul campo, quali fossero le conclusioni preliminari e gli elementi utili agli studenti più giovani che sono in una fase iniziale del nostro dottorato di ricerca. Questa era la nostra procedura.

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  Per quel che ricordo, visto che è stato molto tempo fa, sono stato informato della scomparsa di Giulio da Maha, che penso abbia avvisato tutti noi, me, gli insegnanti, i quattro o cinque di noi che erano docenti. Dovrei controllare la data esatta. Ovviamente non era il primo dei 10 giorni, non ricordo se il secondo o il terzo giorno, ma era molto preoccupata. Disse: «Sapete, sono molto preoccupata». Penso che probabilmente Noura l'avesse avvertita, quindi ovviamente non il primo giorno, ma abbastanza presto, forse il secondo giorno, non ricordo il momento esatto. Lei ci ha inviato, non a me personalmente, una e-mail molto allarmata – che è da qualche parte nella mia posta elettronica – poco dopo che lui era stato sequestrato, ma naturalmente nessuno di noi sapeva che cosa fosse successo. Ha manifestato la sua apprensione. Dev'essere stato poco dopo il suo sequestro. Ma lo sapevamo tutti, lo sapevamo tutti e quattro e ovviamente eravamo tutti profondamente preoccupati, ma non avevamo idea di come sarebbe andata a finire.
  Certo, nessuno di noi, né io, né la dottoressa Fennell e gli altri miei colleghi, potevamo immaginare che cosa fosse successo. Non potevamo. All'epoca, ho pensato che fosse andato da qualche parte in vacanza, senza dirlo a Noura. Maha era ovviamente molto preoccupata, ma io pensavo: «Si farà vivo, Maha». Non è un problema. Dicevo a Maha: «Tranquilla, ricomparirà». La mia risposta iniziale è stata «Andrà tutto bene». Devo dire che l'insistenza di Maha mi inquietava, ma né io né i miei colleghi potevamo immaginare che cosa fosse successo, niente di ciò. Certamente non era neanche lontanamente un'eventualità a cui potevo pensare. Ma gradualmente, nel corso dei giorni, la situazione ha preso una forma sempre più chiara, perché Maha conosce la situazione, io no. Dunque Maha è diventata sempre più ansiosa e allora ho capito che qualcosa potenzialmente molto più grave era successa o sarebbe potuta accadere.
  Certamente ho avuto delle telefonate con Maha e penso che lei abbia contattato i genitori di Giulio. E penso anche che ovviamente abbia cercato di stabilire contatti attraverso la sua vasta gamma di conoscenze. Io non ho contatti in Egitto. Maha ha detto che avrebbe utilizzato tutti i suoi contatti per cercare di scoprire cosa fosse successo. Penso che sia stata Maha a dire che avrebbe contattato l'ambasciata italiana al Cairo. Questo è quanto ricordo della sequenza di ciò che Maha ha fatto e ha detto che avrebbe fatto. Allora, ho pensato: se contatterà i genitori, sarà un momento veramente delicato, e io contattai i genitori, dovrei pensare con grande attenzione quando ebbi il primo contatto con i Pag. 192genitori. È stato così terribile. Lei disse: «Farò tutto il possibile con la mia rete di conoscenze». Penso che abbia detto che avrebbe contattato l'ambasciata italiana e dopo la e-mail iniziale, dobbiamo aver avuto molte telefonate.
  Ho detto che avrei cercato di capire se si poteva fare qualcosa tramite l'ambasciata britannica, come poi ho fatto. Come ho già detto in relazione a una sua domanda precedente, è molto comune che i nostri studenti vadano a lavorare per il ministero degli Esteri e in qualche caso anche nei servizi di sicurezza. Uno dei nostri ex studenti, con cui ero in contatto, ora è il vice ambasciatore al Cairo e l'ho contattato. Credo che abbiamo avuto una conversazione sia via e-mail sia telefonicamente, ma le sue indagini, sebbene siano state molto utili, evidentemente non hanno portato da nessuna parte.
  Io e Maha ne abbiamo parlato e abbiamo concordato che avrei contattato per e-mail e per telefono il referente che lei mi aveva indicato presso l'Università americana del Cairo: la persona che era formalmente responsabile degli studenti internazionali, qualcosa del genere, non ricordo la sua qualifica esatta. Quindi ci siamo scambiati forse una o due e-mail e di certo abbiamo parlato almeno una volta al telefono ed era ovviamente molto preoccupato. Non ricordo il suo nome, ma dovrei averlo da qualche parte tra le mie e-mail. Ho parlato con lui almeno una volta, potrei avergli parlato due volte, ma evidentemente non ha ottenuto nulla.
  Questo è il mio ricordo di quello che è successo in quei 10 giorni.

  Circa la domanda se Noura avesse espresso la sua preoccupazione alla professoressa Abdelrahman – dico questo con qualche esitazione e potrei sbagliarmi, dovrete chiederlo a Noura o Maha – il mio ricordo è che Noura abbia allertato Maha che Giulio non era rientrato. Lei era preoccupata, questo è il mio ricordo.
  In altre parole, nelle prime 24 ore circa il mio ricordo – che è sempre un problema per vicende che come questa sono avvenuta con incredibile velocità e drammaticità – è che Maha disse: «Noura ha detto che Giulio è scomparso. E che vi è ragione per preoccuparsi». Non ricordo precisamente, ma non potevamo mandargli messaggi sul telefono, ovviamente non avevamo il contatto telefonico ma lo aveva Noura. Credo che questa sia stata la sequenza. Quindi Maha disse: Noura mi ha contattato – assumo il mio ricordo sia esatto – e dice che non riesce a contattarlo al telefono, ed è molto preoccupata. Credo che questa sia stata la sequenza, questo è il mio ricordo.

3. KHALED FAHMY, Modern Arabic Studies (King's College)

  Vorrei iniziare dicendo che è un onore e un privilegio per me essere qui con voi. Vi ringrazio molto per avermi dato questa opportunità di parlare con voi. Spero di essere in grado di rispondere ad alcune delle domande che avete su questa vicenda molto importante.
  Sono qui, non perché conosca i dettagli del caso, perché non ero a Cambridge quando è successo questo terribile evento, ma sono qui, credo, nella mia qualità di persona che sa qualcosa dell'Egitto. Sono di nazionalità egiziana, ma sono anche uno studioso dell'Egitto. Questa è la mia area di ricerca e, prima di venire a Cambridge, sono stato supervisore e ho lavorato con studenti laureati in varie università per 25 anni. Per la maggior parte i miei studenti sono non egiziani che hanno poi continuato a fare le loro ricerche in Egitto negli ultimi 25 anni.
  Nella mia veste di supervisore di studenti stranieri che lavorano sull'Egitto nel campo delle scienze sociali, principalmente nell'ambito della storia moderna, questo è il mio settore di specializzazione, la storia egiziana moderna, non mi sono mai imbattuto in un caso del genere. La ricerca accademica in Egitto è precaria. Non è inviolabile. È sotto minaccia. Lo è sempre stata, ma non abbiamo mai assistito a un caso in cui uno studente straniero fosse rapito, torturato e ucciso. Il peggio che noi supervisori di studenti stranieri potevamo aspettarci è che lo studente straniero fosse arrestato e rimpatriato, ma mai e poi mai sottoposto a questo tipo di trattamento, per quanto serio o delicato fosse l'argomento. Pag. 193
  Solo due piccole osservazioni. Il tipo di intimidazione a cui io e i miei studenti siamo costantemente sottoposti in Egitto deriva da un profondo sospetto su quello che noi, come ricercatori sociali, facciamo. Le persone, anche negli istituti di ricerca, a volte chiedono: «Perché sei interessato a questo argomento? Chi c'è dietro di te? Chi ti finanzia?» Questo è qualcosa a cui sono stato sottoposto costantemente. Ciò deriva da una mentalità della sicurezza prevalente in Egitto, per cui la ricerca accademica è spesso confusa con l'intelligence. Ma noi rispondiamo costantemente dicendo: «Non siamo spie». In genere, questo aspetto è spiegato con sufficiente completezza e rapidità e non si verificano problemi. Ma c'è, molto spesso, confusione tra la raccolta di informazioni a fini di intelligence e la produzione di conoscenza, che è ciò che noi accademici facciamo. Raccogliamo informazioni non per trattenerle. Raccogliamo informazioni per produrre conoscenza. Questo confine a volte non è chiaro nella mentalità della sicurezza in Egitto. Non solo nei confronti degli stranieri, ma anche verso gli egiziani.
  Come ho detto, alcuni dei miei studenti hanno subito le conseguenze di questa mentalità. Posso citare un caso particolare: un mio studente non egiziano, che lavorava sotto la mia supervisione su un argomento piuttosto delicato. L'argomento della ricerca aveva a che fare con la storia del diritto nell'Egitto del XIX secolo. A tale studente è stato sospeso il permesso di ricerca ed è stato rimpatriato. Il suo visto è stato sospeso e ha dovuto lasciare il paese. Questo è per noi un disastro. Questo è il peggio che ci si possa aspettare per un ricercatore straniero. Non potevamo aspettarci niente di peggio di questo, figuriamoci, quello che è successo al Sig. Regeni. Un fatto ben al di là dell'immaginazione. Senza precedenti e non prevedibile.
  L'ultima considerazione che voglio aggiungere è che questo è probabilmente un buon esempio di ciò che facciamo come accademici. Questo studente è venuto da me per studiare con me all'università di New York. Perché quando insegnavo lì, avevo pubblicato un paio di articoli sulla storia delle donne, della medicina e della legge nell'Egitto del XIX secolo. Questo è un argomento molto raro. Lo studente è venuto da me perché era interessato a qualcosa del genere. Nell'arco di oltre un anno di colloqui, ha detto: «Voglio fare qualcosa in questo particolare campo».
  In altre parole, non sono io a dire che cosa fare. È dopo molti incontri e colloqui che si decide. Noi non commissioniamo. Noi, come professori nelle università di ricerca, non incarichiamo i nostri studenti di fare ricerche per nostro conto. L'argomento della tesi di Dottorato è oggetto di molti, molti colloqui e di reciproco interesse. In definitiva, la scelta dell'argomento spetta allo studente, è il suo lavoro. Quello che facciamo è suggerire libri da leggere, perfezionare le domande di ricerca o rivedere le domande di ricerca, poi leggiamo il lavoro finale per commentare, aggiungere, criticare, ma non incarichiamo mai le persone di dedicarsi ad argomenti che semplicemente piacciono a noi, contro la volontà del candidato.

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  Penso che l'omicidio di Giulio Regeni segni una svolta importante. Prima di questo terribile caso, la ricerca accademica in Egitto, come suggerivo, non era mai veramente completamente libera. È sempre stata guardata con sospetto. Tuttavia, nel settore degli studi mediorientali l'Egitto è uno dei paesi più studiati dagli stranieri. È studiato a fondo in vari campi, non solo l'egittologia, ma anche la storia moderna. I ricercatori stranieri erano soliti andare spesso in Egitto. Quegli accademici che erano sospettati o interrogati da parte dei servizi di sicurezza, egiziani o stranieri, solitamente erano sospettati a cause delle cose che avevano fatto sul posto. Non necessariamente a causa della loro ricerca accademica in quanto tale.
  Ma dopo il caso Regeni, stiamo assistendo a una tendenza in cui gli accademici sono presi di mira, non a causa del loro attivismo, ma a causa della loro ricerca. Naturalmente, nessuno di loro è stato sottoposto a questo esito brutale, ma abbiamo Pag. 194professori che hanno perso il proprio lavoro all'università. Abbiamo professori che sono stati censurati e sanzionati. Abbiamo studenti che sono stati espulsi dall'università oppure che hanno dovuto modificare l'argomento della loro ricerca a seguito di un intervento delle forze di sicurezza. Sempre più spesso, nell'ultimo anno e mezzo, forse negli ultimi due anni, c'è un particolare tipo di ricerca svolta da Egiziani nelle università straniere che è presa di mira.
  Così, adesso gli studenti egiziani dei corsi di master o di dottorato, che lavorano nelle università europee e americane, sono sottoposti a seri controlli e arresti. Abbiamo il caso di Patrick Zaki, dell'università di Bologna, e abbiamo il caso di Ahmed Santawy, della Central European University, che sono stati arrestati in Egitto. Il primo è ancora in attesa di giudizio; il secondo ha ricevuto una condanna a quattro anni di reclusione, a causa delle loro ricerche. Infine, c'è il caso di Alia Mosallam, una borsista post-laurea a Berlino, in Germania, che, in viaggio in Egitto con la sua famiglia e tre figli, è stata arrestata e sottoposta a un interrogatorio di 28 ore sulla sua ricerca. Non per il suo attivismo, ma per la sua ricerca come storica dell'Egitto moderno.

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  Penso che il tipo di ricerca che Regeni stava conducendo, per quanto delicata, per quanto potesse interessare i servizi di intelligence egiziani, perché riguardava l'attivismo sindacale e l'organizzazione del lavoro, non fosse quello che consideravo un argomento da lista rossa. Naturalmente, non sappiamo davvero quale sia un argomento da lista rossa. Non abbiamo linee guida chiare, ma per esperienza posso dire che lavorare su temi come le frontiere, la Fratellanza Musulmana, le relazioni intercomunitarie tra copti e musulmani, questi sono i campi che attirano l'attenzione dei servizi di sicurezza.
  L'attivismo sindacale è un argomento delicato, ma non è qualcosa di inusitato. Sia da parte di studiosi egiziani che da parte di studiosi stranieri. Prima, durante e dopo questo terribile evento, questa tragedia, sono stati fatti lavori sull'attivismo sindacale in Egitto. In effetti, pochi anni prima che accadesse questo terribile caso, un connazionale di Regeni, Gennaro Gervasio, stava facendo ricerche in Egitto su un tema che ritengo ancora più pericoloso, cioè il movimento comunista egiziano dalla fine degli anni Sessanta ad oggi. Non solo la sua ricerca è stata accettata, ovviamente è stata monitorata, ma è stata accettata e gli è stato permesso di condurre la sua ricerca e il prodotto della sua ricerca, cioè la sua tesi di dottorato che ha scritto in italiano, è stato tradotto in arabo e pubblicato in Egitto dallo Stato egiziano, dal Ministero della Cultura, in una edizione sovvenzionata.
  L'argomento in sé non è inconsueto. È qualcosa che è stato fatto nella storia recente anche da un collega italiano. Mi occupo di storia militare e ho studenti che lavorano sulla storia della polizia egiziana. Siamo guardati con sospetto. Non voglio certo dire che è un paese libero. Non lo è, ma ci è permesso di fare la ricerca. Ricordo che quando feci domanda per svolgere la mia ricerca sull'esercito egiziano nel XIX secolo, 32 anni fa, all'inizio della mia ricerca, fui interrogato, come direbbero i miei amici, come se fossi una spia ottomana, perché stavo lavorando sulle relazioni ottomano-egiziane, ma ho svolto la mia ricerca e l'ho realizzata. Quindi non credo che sia l'argomento in quanto tale. Ovviamente non so che cosa sia successo.
  Come studioso dell'Egitto e dei moderni servizi di sicurezza egiziani, posso dire un paio di cose. A margine posso aggiungere un paio di osservazioni. Fondamentalmente direi che vi sono segnali di conflitto tra i diversi servizi di intelligence in Egitto. Questo va avanti da molti, molti anni. Non è necessariamente un fenomeno nuovo, ma dopo il 2011 e in particolare dopo l'avvento al potere del presidente Al-Sisi, penso che i militari vi abbiano visto un'opportunità per riconquistare quel ruolo centrale che erano soliti occupare nella moderna politica egiziana e con essi l'intelligence militare. Oltre a questo non posso davvero dire altro. Da studioso, faccio ricerca sul 1967, Pag. 195sulla sconfitta dell'Egitto nel 1967 e questo è il mio attuale progetto di ricerca e in quanto tale, posso dire che il momento attuale è un'opportunità per i militari di riconquistare la propria centralità, che avevano perso nel 1967 nell'ambito della moderna politica egiziana.

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  Circa cosa possa aver spinto le autorità egiziane a riservare un simile trattamento a un cittadino italiano proveniente da un'università britannica in un momento in cui le relazioni bilaterali tra Egitto e Italia erano floride, ciò lascia molto perplessi, a causa del fatto che Regeni è italiano ed è bianco. Mi dispiace metterla in questi termini ma è un uomo bianco. È un italiano, un europeo. L'Egitto ha ottimi rapporti con l'Italia. C'è molto in gioco, ma ancora una volta non sono al corrente. Non conosco le indagini della polizia, ma quello che so è che ci sono lotte intestine tra i servizi di intelligence in Egitto in un modo che a volte sono difficili da controllare. Ciò che accade in un determinato servizio di intelligence non è necessariamente noto agli altri servizi.
  Questo è un tema su cui ho riflettuto personalmente.
  Il secondo è il momento. Il 25 gennaio è un giorno difficile per la coscienza egiziana, la moderna coscienza egiziana. I servizi di sicurezza egiziani, in particolare la polizia egiziana, si sono assunti il compito dal 2013, 2014, 2015, 2016 di invertire il significato di questa giornata. Quello è stato il giorno in cui è scoppiata la rivoluzione contro i servizi di sicurezza nel 2011 e in quel giorno, polizia e servizi di intelligence sono in massima allerta ed erano molto sospettosi e molto attenti a qualsiasi attività sospetta. Chissà come consideravano in particolare Regeni in quel giorno specifico? So che Regeni era stato monitorato prima di quell'evento. Cosa è successo quel giorno preciso? Si tratta delle stesse persone che lo monitoravano o è un'altra agenzia? Dopo si è scoperto che queste sono le persone che lo stavano monitorando. Ovviamente voi ne sapete molto di più. Non conosco i dettagli. Quello che so è che i servizi segreti egiziani hanno cercato di coprire la faccenda nel modo più maldestro e mi è capitato anche di seguire il caso giorno dopo giorno e quello che so, inoltre, è che adesso hanno pasticciato il caso, con le cinque persone, gli Egiziani, che sono stati uccisi in un'operazione di sicurezza perché considerati o accusati di essere quelli che lo avevano rapito. Nessun processo è stato istruito per le persone che lo hanno ucciso, né si sa chi lo abbia ucciso.
  Quello che si sa per certo è che le autorità egiziane non hanno risolto questo caso. Per quanto riguarda i rapporti con l'Italia, non ne hanno sofferto. Nello stesso modo, i rapporti con l'Austria: non ne hanno sofferto quando Ahmed Santawy è stato condannato a quattro anni di carcere. Nemmeno con questo Paese, la Gran Bretagna, quando in occasione dell'anniversario del rapimento e della morte di Giulio, il 25 gennaio di due anni fa, il ministro egiziano dell'Istruzione Superiore è giunto in questo Paese e ha firmato un protocollo di intesa e cooperazione. L'Egitto sta aprendo sedi universitarie europee nella nuova capitale amministrativa come se nulla fosse accaduto. Un fatto che ritengo molto, molto grave e molto significativo è che le cose stiano tornando alla normalità come se fosse tutto come il solito e nessuno in Egitto è stato portato in giudizio per rispondere di questo caso.

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  Questa ovviamente è una cosa molto delicata. La mia stessa presenza qui non è priva di problemi, ma uno studente è stato ucciso.
  Intendo dire che il motivo per cui dico quello che dico è che da accademici non credo che sarebbe potuto accadere qualcosa di più grave a noi, alla comunità degli studiosi. Niente è più grave per l'Università di Cambridge di uno studente di Cambridge ucciso mentre conduceva una ricerca all'estero collegata all'università di Cambridge, niente è più grave. Non ho mai incontrato Giulio, ma per me lui sono tutti Pag. 196miei studenti. È la mia carriera, la prendo molto sul serio e mi assumo seriamente le mie responsabilità di studioso che lavora sull'Egitto. Quindi conosco perfettamente i rischi che corro nel rispondere a queste domande, ma penso che la posta in gioco non potrebbe essere più alta. Grazie per le prudenti osservazioni, ma la mia stessa presenza qui, per essere molto franco, è essa stessa, lo sapete, molto pericolosa per me e lo accetto per le ragioni che ho illustrato.
  Di nuovo, non sono ovviamente al corrente delle relazioni interne dei servizi di sicurezza in Egitto. Non conosco i dettagli della cronologia di quello che è successo dal 25 gennaio fino a quando è stato assassinato e ovviamente non so che cosa sapesse o non sapesse il presidente al-Sisi. Quello che so come egiziano che segue i notiziari egiziani è che il presidente al-Sisi, in più di un'occasione da quando è salito al potere, ha chiarito che avrebbe dato il via libera ai suoi servizi di sicurezza per ripristinare quella che considerava la stabilità del paese. Con ciò egli intende la stabilità dello Stato.
  Lo aveva fatto con i militari, con la polizia e con la magistratura e non c'è un solo poliziotto egiziano che sia stato portato in giudizio per le atrocità avvenute nel 2013. Più di 800 persone sono state uccise nel 2013 dalle forze di sicurezza. Nessuno è stato processato. Al-Sisi aveva detto in più di un'occasione che avrebbe difeso le sue agenzie di sicurezza. I nostri processi, per quanto fittizi essi siano, sono in realtà tenuti nelle accademie di polizia. Gli effettivi processi alle vittime si svolgono all'interno delle accademie di polizia. Questo spiega come egli abbia dato alla sicurezza il via libera per fare ciò che essi ritengono corretto.
  La mia opinione politica su questo. La mia paura per il mio paese è che penso che, a lungo andare, tutto questo indebolisca effettivamente non solo i diritti umani e le tutele costituzionali e legali di base che i cittadini dovrebbero avere, ma indebolisca effettivamente la stabilità del paese, ma questo è un altro argomento, non voglio entrare nel merito, ma il fatto che il presidente al-Sisi possa essere stato informato di quanto stava accadendo, non significa necessariamente che egli potesse fermarlo. Poteva, ovviamente, è il capo dello Stato, ma deve tenere in considerazione molti altri equilibri e in questo momento non ha privilegiato i diritti costituzionali, la legalità o i diritti umani fondamentali. In questo momento, coerentemente da quando è salito al potere, il suo obiettivo è la stabilità e la sicurezza ad ogni costo. Personalmente prendo il caso di Giulio Regeni con la stessa serietà con cui prendo il massacro di Rabaa avvenuto nell'agosto del 2013. Più di 800 persone sono state uccise al Cairo in un giorno. Questo è un massacro e il regime l'ha fatta franca. Tutto può succedere. Così vedo il caso Giulio Regeni. Se uno studente straniero italiano può essere ucciso in Egitto e il Paese va avanti e apre università europee in Egitto e nessuna università europea ha messo l'Egitto nella lista rossa, allora tutto può succedere. Questo è un serio punto di svolta e il governo dell'Egitto l'ha fatta franca.

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  Penso che ci siano due tipi di pressione. C'è una pressione accademica e una politica. A livello accademico, c'è stata pressione. Diverse associazioni di studi mediorientali negli Stati Uniti e in Europa hanno inviato ripetuti messaggi di condanna e di appello alle autorità egiziane e al presidente egiziano lamentando il deterioramento dello stato della libertà accademica nel Paese e definendola una situazione senza precedenti. Questo succede dal momento della morte di Regeni.
  Mi sarebbe piaciuto vedere l'Università di Cambridge assumere un ruolo molto più incisivo e ho manifestato la mia opinione in più di un'occasione qui a Cambridge. Penso che Cambridge avrebbe dovuto fare molto di più. Penso che il vice-rettore avrebbe dovuto fare molto di più. Nello specifico, penso che il vice-rettore avrebbe dovuto incontrarsi con i suoi omologhi in Italia e in Europa per inviare all'Egitto un chiaro segnale sul fatto che questo genere di comportamento non è accettabile, non è accettabile Pag. 197 da nessuna parte, e sul fatto che il principio della libertà accademica è in pericolo e non poteva essere attaccato più gravemente di quanto non sia stato in questo caso.
  Dal punto di vista politico, non so nemmeno da dove cominciare. Mi addolora vedere i paesi europei, i paesi arabi, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina trattare con il regime egiziano come se fosse solo un altro regime normale. Il regime egiziano non è un regime normale. Non è come l'Iraq di Saddam. Non è come la Siria di Assad. Non è come la Libia di Gheddafi. Questo è vero, ma sta stabilendo un proprio paradigma. L'Egitto di al-Sisi è un posto pericoloso. È pericoloso per gli egiziani ed è pericoloso per gli europei e quel messaggio è noto a molte persone in Europa, è noto a molte persone in Italia.
  Quello che riscontriamo in Egitto è che le questioni economiche, ma in particolare quelle militari, prevalgono su tutto il resto ed è come se i decisori europei avessero deciso di rinunciare ai diritti fondamentali, costituzionali e legali delle popolazioni in Medio Oriente, ma in particolare dell'Egitto, per portare quella che essi considerano stabilità. Penso che la stabilità sia effimera e molto falsa e, alla lunga, molto traballante. Un paese come l'Egitto non può essere governato con questa mano pesante e le tensioni che sono state cucite da questo regime all'interno della società egiziana stanno aumentando. Dieci anni fa, sarebbe stato inconcepibile per me pensare che potesse accadere una guerra civile in Egitto. È ancora molto improbabile, ma posso pensare che se la polarizzazione che questo regime sta perseguendo in Egitto prosegue per altri cinque anni, allora posso pensare che una guerra civile avvenga in Egitto. Non so chi contro chi, ma questo regime non offre realmente la stabilità che i regimi europei credono che rappresenti. Questa è davvero la mia paura sul lungo periodo e tutto per che cosa? Per le vendite militari. Questo è quello che il regime egiziano sta portando avanti con l'Italia, con la Francia, con la Russia, con gli Stati Uniti. L'Egitto è il più grande importatore di armi sotto al-Sisi, per quanto riguarda l'Europa. Il più grande importatore. Questo è ciò che penso sia molto grave a lungo termine.

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  Circa il mutamento di indirizzo dell'Unione europea sulla vendita di armi all'Egitto, penso che le cose stiano diversamente da un paese europeo all'altro. Penso che la linea generale utilizzata dal regime egiziano sia quella di portare stabilità e in particolare di impedire che l'Egitto finisca come la Siria, con un enorme flusso di rifugiati che inondano l'Europa. È una cosa che al-Sisi ha detto ripetutamente in Germania, in Francia e in Italia. Sono sicuro che sapete che l'altra carta che sta usando è in Libia, per dire che sta aiutando a fermare l'immigrazione di africani dalle coste libiche, che sta contribuendo a preservare una qualche stabilità in Libia e in generale che si presenta anche come un forte combattente contro il radicalismo islamico al punto che alcuni lo hanno sbandierato come un riformatore dell'Islam, un altro Martin Lutero dell'Islam. Tutte queste sono carte molto efficaci per il regime egiziano da utilizzare di fronte a un'opinione pubblica europea allarmata, soprattutto dopo la Siria e l'afflusso di rifugiati dalla Siria.
  Che cosa pensiamo, quando leggiamo in Egitto questi annunci che al-Sisi va facendo alla Merkel o a uno qualsiasi dei suoi omologhi in Europa, pensiamo fondamentalmente che di fatto ci stia trattenendo in ostaggio. Ecco, tiene in ostaggio il popolo egiziano e contratta con noi. Dice: «Tengo queste persone dove sono. Non mi chiedete che cosa faccio a livello interno. In pratica garantisco che i disordini che stanno avvenendo in Egitto rimarranno in Egitto. Non c'è un sovvertimento dell'ordine pubblico. Non c'è afflusso di profughi dalle coste egiziane o dalle coste libiche». Penso che questo sia il modo in cui lo vedo usare questa carta con diversi regimi europei. Per contro, importa armi a un ritmo molto, molto alto, senza precedenti nella moderna economia egiziana.
  Da ultimo vorrei dire, ancora per ribadire quanto detto prima, che penso che, in Pag. 198quanto studioso di storia dell'Egitto moderno, in quanto studioso di storia delle istituzioni in Egitto, in quanto studioso della magistratura egiziana, ho studiato la polizia egiziana, ho studiato l'esercito egiziano, ho studiato le università egiziane, tutto quello che ha dato stabilità all'Egitto. L'Egitto è stabile grazie alle sue istituzioni e grazie alla coerenza della sua società. Il regime di al-Sisi sta minando questi due pilastri di stabilità. Le istituzioni si stanno erodendo e anche la coesione sociale è sottoposta a un'enorme pressione. Questo è ciò che temo per il paese nel lungo periodo e purtroppo questo non è qualcosa di cui l'opinione pubblica europea o americana è consapevole. Li ho citati perché questi sono i paesi democratici, non sto parlando di altre grandi potenze che non prestano attenzione a questo. Questi dovrebbero essere sviluppi di seria preoccupazione in Europa, ma purtroppo non lo sono.

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  Per quanto riguarda i sindacati indipendenti, penso che adesso in Egitto qualsiasi tipo di organizzazione sociale sia sospetta e considerata come un pericolo. Come già detto, questo atteggiamento si è accresciuto in modo significativo a partire dal 2013. Nel 2013, 2014, 2015, l'ostacolo principale era la Fratellanza Musulmana. Il principale pericolo percepito dal regime è la Fratellanza Musulmana, non l'attivismo studentesco, non le rivolte contadine, non le rivolte localizzate qua e là. Certo, sono stati tenuti sotto controllo, non è che li abbiano lasciati da soli.
  I sindacati in Egitto sono sempre stati sorvegliati sin dal 1953. I regimi egiziani hanno sempre cercato di avere un proprio sindacato di Stato per i lavoratori. Quindi la Federazione Nazionale dei Lavoratori Egiziani è un'organizzazione governativa controllata dal Ministero del Lavoro. Quello che abbiamo visto nel 2011 e nel 2012 è l'improvvisa effervescenza, ovunque, di sindacati indipendenti. Ovviamente, tutto questo non è stato necessariamente accolto a braccia aperte dal regime, tuttavia l'obiettivo principale era la Fratellanza Musulmana. L'obiettivo principale era quello di ripristinare la stabilità contro ciò che la Fratellanza Musulmana aveva fomentato nel 2012 e nel 2013. Quella era la campagna principale.
  Quello che ora possiamo vedere in retrospettiva, ed è quello che cercavo di dire prima, è che con il caso di Giulio Regeni abbiamo assistito a un giro di vite sulle università e sul lavoro universitario e accademico in generale.
  Per quanto riguarda il sindacalismo, a quel tempo era visto come un qualcosa che dovesse essere tenuto sotto controllo, ma non con la stessa urgenza con cui ci si occupava della Fratellanza Musulmana. Ma di nuovo, voglio dire, in questo momento, la Fratellanza Musulmana è, ovviamente, ancora il nemico numero uno e qualsiasi azione dello Stato egiziano per perseguire qualunque tipo di opposizione è ricondotta alla lotta al terrorismo e alla lotta contro la Fratellanza Musulmana, a prescindere da chi stia facendo che cosa, compresi i Copti, a volte accusati di appartenere a un'organizzazione terroristica. Non dicono che si tratti della Fratellanza Musulmana, ma si presume che sia così.

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  Sono felice di aver potuto far luce su alcune delle questioni su cui avete lavorato. Ancora una volta, la domanda su che cosa sia successo nello specifico, che cosa sia scattato nel caso di Giulio Regeni nel 2016 è molto difficile da spiegare o da capire. Io me lo spiego così: il regime è andato molto vicino al collasso nel 2012. Nel 2011-2012 è arrivata la Fratellanza Musulmana, poi il nucleo centrale del regime egiziano, che è l'esercito egiziano, ha ritrovato il suo equilibrio. I servizi di sicurezza erano crollati. Il ministero dell'Interno era crollato nel 2011. Hanno cercato di riguadagnare terreno verso il 2013-2014, ma questo Paese, l'Egitto, con un centinaio di milioni di abitanti, ha bisogno di essere controllato e secondo me quello che è successo nel 2016 è che c'erano attori che dovevano essere rimessi al proprio posto. Innanzitutto la Fratellanza Musulmana, poi i mezzi di informazione. Pag. 199 La magistratura, con le richieste di indipendenza che andavano avanti da almeno un decennio, dovevano essere messe sotto controllo. Il ministero degli Esteri, quei diplomatici che furono richiamati dall'estero all'interno del ministero sono stati licenziati o messi, non agli arresti domiciliari, ma richiamati dalle missioni all'estero e sostanzialmente rimandati a casa. Non potevano nemmeno mettere piede negli uffici. Quindi il ministero degli Esteri era sotto controllo. Successivamente è arrivato il momento delle università e del mondo accademico, e prima o poi doveva arrivare. Ora, queste cose non accadono, come sono certo che potete capire, in base a un progetto. Non si dà un chiaro segno: abbiamo finito questo, abbiamo cancellato i vertici della lista, ora passiamo alla seconda fase, ma è una cosa graduale, secondo me, è un'erosione della società civile, nonché dello Stato. È il consolidamento del controllo. Ecco come me lo spiego. Questo è un momento di forte tensione e naturalmente, come ha detto notoriamente la madre di Giulio, è stato torturato come un egiziano. Noi egiziani, lo subiamo ogni giorno. Non so dirvi quanti dei miei amici sono dietro le sbarre, a quanti, molti di più, è impedito di partire, a quanti, molti di più, si vedono confiscare i loro beni. Quindi questo non è davvero un caso unico. Ciò che lo rende significativo è che lui è italiano e che nemmeno gli studiosi egiziani rischiano un trattamento simile. Questo è quindi un evento davvero molto atipico che era anche molto imprevedibile nonostante i momenti di tensione che l'Egitto stava attraversando in quel periodo. La migliore spiegazione che ho è un'intuizione, è una supposizione. Voi lo sapete meglio. Non conosco i dettagli degli interrogatori, ma qualcosa è intervenuto durante l'interrogatorio di Giulio. Alcuni agenti di sicurezza hanno perso il controllo. Voglio dire, questa non è la politica dello Stato. È accaduto qualcosa di sbagliato quando lo interrogavano, ma questa è la mia impressione. Sto davvero camminando sul filo del rasoio, qui. Non ne sono sicuro, non mi baso su alcuna informazione.
  È successo qualcosa di sbagliato mentre lo stavano interrogando. Non era, non volevano ucciderlo davvero. Volevano arrestarlo.
  Ed è stato trovato il corpo. Si. È un caso grave. Fino a che punto è andato questo caso, fino a che punto possiamo spingerci per spiegare una decisione deliberata? Chi ha assunto la decisione per me è un mistero, è un punto molto importante. Ma sono ancora legato all'idea di servizi segreti canaglia che non sono completamente controllati dal regime. Non è che Al-Sisi stesse monitorando ciò che accadeva, però al-Sisi ha dato il via libera.
  Perciò qualcuno va un po' oltre, uno o due passi in più rispetto a quanto gli è stato autorizzato. Voglio dire, questo è il mio modo vago di dare un senso alla cosa. In materia di intimidazioni, posso portare come esempio quello che ho subito io e la mia esperienza viene dall'aver lavorato presso gli Archivi nazionali egiziani con i miei studenti. Quindi la domanda è: «Perché stai lavorando su questo? Chi ti paga? Che cosa fai con la tua ricerca?». Per questo dico costantemente ai miei studenti di non mentire mai e di condividere le informazioni. Quando avete finito, non limitatevi a mettere la vostra tesi nella biblioteca della vostra università. Rispeditene una copia di modo che si sappia che non siamo spie. Questo è quello che facciamo.
  Questo è di nuovo ciò che mi sarebbe piaciuto che Cambridge avesse fatto, un passo molto serio o attivo. Che cosa facciamo con i nostri studenti stranieri? Come costruiamo le relazioni con i nostri interlocutori esteri? Egitto, Siria. Si tratta di questo genere di cose. Molto raramente, in realtà, capita che la polizia o la sicurezza dello Stato, come si chiamava allora, oggi Sicurezza Nazionale e al-Amn al-Watani, bussino alla porta o convochino qualcuno. Nel caso del mio studente che è stato convocato, prima negli archivi stessi, hanno revocato il permesso.
  Gli Archivi nazionali egiziani, secondo me, non per legge ma per prassi, hanno richiesto un permesso di ricerca. I ricercatori egiziani e stranieri, prima di mettervi piede, devono presentare una richiesta che Pag. 200va a un'entità che si chiama sicurezza. Non sappiamo quale agenzia di sicurezza. Ho lavorato negli archivi per più di 20 anni.
  A oggi, non so quale agenzia di sicurezza rilasci il nulla osta di sicurezza. Per Giulio, che non è uno storico, che lavora, fa ricerche sul campo, interroga le persone, non è necessario alcun permesso di sicurezza. Quello che serve è che lavori come straniero con un'università locale, perciò ha finito per lavorare con l'Università Americana del Cairo, la quale, a proposito, è anche dove ho studiato io. Ora ha 102 anni. È un'università d'élite molto conosciuta, molto rispettata.
  Dunque, questo mi porta alla domanda del presidente sul supervisore all'Università Americana del Cairo. Ora, Rabab El-Mahdi è una scienziata politica. È una professoressa molto rispettata, ma ha un profilo pubblico. Era consigliere di uno dei candidati alla presidenza che ora è dietro le sbarre, in prigione, Abdel-Moneim Abou El-Fotouh. Era consulente della sua campagna elettorale. Questo è quindi un passo coraggioso per un professore universitario. Era legittimo. È stato un atto assolutamente legittimo. Si tratta di un candidato alla presidenza molto prestigioso e non hanno autorizzato nulla. Naturalmente in Egitto una cosa simile non è molto comune perché non abbiamo avuto elezioni, elezioni libere, elezioni pluraliste e quindi per noi, per tutti noi, il fatto che sia riuscita a fare una cosa del genere ne ha fatto una figura ispiratrice. È stato a causa della sua posizione che un suo studente è stato preso di mira? Probabile.
  È difficile immaginare esattamente cosa abbiano pensato, perché Regeni non stava lavorando per quella campagna elettorale e quella campagna era finita molti anni prima: era il 2012 e allora eravamo nel 2016. Trovo quindi difficile da immaginare perché, ripeto, l'attivismo pubblico di Rabab El-Mahdi è una fonte di preoccupazione per lo Stato, non lo voglio negare, ma Rabab El-Mahdi ora non è stata, per esempio, arrestata o licenziata. In realtà è molto attiva, fa un lavoro molto significativo basato su qualcosa di molto simile a questo, basato sul lavoro sul campo, però continua a farlo. Quindi non riesco a trovare un collegamento diretto con il tipo di attivismo che Rabab El-Mahdi ha.

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  Non sono sorpreso del fatto che parti dello Stato abbiano collaborato. Lo Stato egiziano non è al-Sisi. Lo Stato egiziano è uno stato complesso. Da 180 anni costruiamo il nostro Paese. Non sto parlando dei Faraoni. L'Egitto moderno ha quasi 200 anni. 200 anni che sta costruendo le istituzioni. La magistratura è una di queste. Dalla scorsa settimana lo Stato egiziano, il Parlamento egiziano, sta approvando una legge che impedirebbe agli egiziani di fare causa allo Stato, facendo crollare il Consiglio di Stato (Maglis al-Dawla). Facendo crollare completamente il gioiello sulla corona del sistema amministrativo giudiziario egiziano. Non mi stupirei, quindi, di trovare nell'ambito della magistratura persone costernate da quanto sta succedendo alla loro istituzione. Non mi sorprenderebbe trovare nell'ambito dell'esercito persone molto sconcertate per il fatto che l'esercito stia aprendo supermercati e costruendo edifici e non faccia davvero il suo lavoro. Non sarei sorpreso di trovare rispettabili agenti di polizia che pensano che questa attività di polizia mediante la tortura non sia un modo per mantenere la pace.
  L'Egitto è un paese ricco non perché abbia il petrolio, è ricco perché ha queste istituzioni e questi talenti. E ancora, uno come al-Sisi che si presenta all'Occidente come il signor Uomo Forte ha costruito inimicizie. Non sentiamo parlare delle inimicizie, ma sono certo che ci sono inimicizie all'interno dello Stato egiziano ed è così che posso spiegare perché la gente può ancora farsi avanti. Ci sono molti «whistleblower». Seguo un importante sito web in Egitto che ha più di 1 milione di follower, si chiama al-Mawqif al-Masry «la posizione egiziana», che mette in evidenza cose buone e cattive, cose positive e negative e si tratta per lo più di informazioni tratte da whistleblower dello Stato egiziano.

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4. EILIS FERRAN, Pro-Vice Chancellor

  Vorrei davvero ringraziarvi per aver riservato del tempo della vostra inchiesta per venire a Cambridge e per averci concesso questa opportunità di parlare con voi e, anche, ancora una volta, per esprimere il nostro profondo cordoglio alla famiglia Regeni. Questo è davvero un momento in cui vorrei ribadire, come presumo abbiate già sentito da molti dei miei colleghi, che l'Università di Cambridge è al vostro fianco nel cercare di arrivare fino in fondo, per scoprire che cosa è successo a Giulio Regeni. È stato un evento scioccante e senza precedenti per questa università e qualsiasi cosa che io possa fare per aiutarvi nella vostra inchiesta, voglio cogliere appieno questa opportunità per farla.
  Vorrei aggiungere che sono consapevole che questa è la fine di una giornata lunga e intensa per voi. Ho preparato alcune osservazioni, ma se in qualsiasi momento dovessi ripetere cose che avete già sentito, non esitate a intervenire e a chiedermi di passare oltre. Sarò lieta di farlo.
  Per parlarvi un po' di me e del mio ruolo in relazione a questa tristissima vicenda: sono pro vice-rettore dell'università, o PVC come ci chiamano di solito. Ci sono cinque pro vice-rettori e ciascuno di noi ha uno specifico settore di responsabilità: istruzione, ricerca, finanza, imprese e, nel mio caso, istituzionale e internazionale. In effetti, il mio ruolo riguarda le politiche del personale e la loro applicazione nonché la supervisione dei nostri principali partenariati internazionali. Non ho quindi una responsabilità diretta in materia di istruzione, ma il gruppo dei PVC lavora a stretto contatto e, naturalmente, molte questioni sono trasversali. Certamente questo caso riguarda uno studente e la tragica morte di uno studente riguarda anche i membri del personale e le politiche istituzionali.
  Infine per quanto riguarda me, la mia posizione di base nell'ambito dell'università, sono una docente della Law faculty e, nonostante le mie responsabilità di pro vice-rettore, sono una docente attiva. Al momento ho tre dottorandi e, in effetti, per uno di loro ho firmato una domanda di ricerca sul campo proprio la scorsa settimana. La facoltà di giurisprudenza è all'interno della School of humanities and social science così come lo è il Department of politics. Siamo istituzioni sorelle in questo senso. L'università ha sei scuole che spaziano dalle discipline artistiche e umanistiche fino a quelle scientifiche. Ciascuna di queste scuole ha un capo e quei capi lavorano a stretto contatto anche con i pro vice-rettori e il vice-rettore.
  Passiamo al primo dei settori di cui mi avete chiesto di parlare, mi avete chiesto di parlare dell'organizzazione delle attività di ricerca condotte all'estero dall'Università di Cambridge. Per cominciare vorrei fare un passo indietro e partire da una fase precedente e dal processo attraverso il quale gli studenti sono ammessi al dottorato di ricerca presso l'università di Cambridge nel settore delle arti e delle scienze umane e sociali. Faccio questo per spiegare la natura del procedimento con cui si arriva al tema della ricerca di dottorato. Allora, spetta allo studente nella sua domanda stabilire su che cosa vuole fare ricerca. È una parte fondamentale del processo di ammissione che l'argomento suggerito dallo studente sia analizzato attentamente per garantire che sia un tema di ricerca praticabile e che vi sia corrispondenza con la capacità, nell'ambito del dipartimento, di operare una supervisione in quel settore, in termini sia di area di ricerca, interesse e competenza, e sia di disponibilità di un determinato supervisore. Quindi il senso di libertà accademica, che significa che gli accademici perseguono la propria curiosità e il proprio interesse intellettuale, parte davvero da quel punto di avvio del processo di ammissione al dottorato.
  Quando qualcuno viene come studente di dottorato a Cambridge, viene in un'università residenziale e ci si aspetta che risieda a Cambridge per la maggior parte del tempo (ovviamente al di fuori del periodo COVID). Il lavoro sul campo arriva in una fase relativamente avanzata. Nel percorso di studio, di solito si trascorre il primo anno a Cambridge e quel primo anno è un periodo critico, in cui si lavora con il proprio supervisore per perfezionare l'argomento della ricerca, per acquisire i metodi Pag. 202di ricerca di cui si ha bisogno e anche per mettere in atto la preparazione necessaria per lavorare fuori sede in una fase successiva.
  Cambridge non ha corsi di diploma congiunti a nessun livello, incluso il dottorato di ricerca e ha solo pochi programmi in cui c'è un periodo di lavoro fuori sede che è integrato nel corso di diploma ex ante. Più comunemente gli studenti che vogliono lavorare fuori sede, e ce ne sono molti che lo fanno, scoprono che c'è a loro disposizione una serie di connessioni diverse, reti e accordi informali che possono sfruttare per ottenere un'affiliazione con un'istituzione estera nel paese in cui vogliono lavorare. Perciò, nel caso di Giulio Regeni, per esempio, il suo accordo con l'American University del Cairo, è un esempio di quell'affiliazione attraverso i contatti e gli accordi in atto nell'ambito del dipartimento.
  Affronto ora il secondo degli argomenti che mi avete chiesto di esaminare, cioè il dettaglio della valutazione del rischio. Chiedere di lavorare fuori sede prevede un processo formale e lo studente deve presentare una domanda per avviarlo e ci sono molti elementi che devono essere soddisfatti. Ad un livello elevato, i vari elementi sono fondamentalmente che l'università assolva le sue responsabilità nei confronti degli studenti in termini di tutela e sicurezza all'estero e che l'università lavori altresì con il college dello studente, assicurandosi che tutte le parti sappiano dove sta andando lo studente, che cosa farà là, per quanto tempo ci rimarrà e come potrà essere contattato, e assicurandosi, inoltre, che la valutazione del rischio sia a posto, inclusa l'assicurazione a posto, e che tutti gli altri dettagli siano completi.
  Ora entrerò più nel dettaglio sulle procedure di valutazione del rischio, sia all'epoca della domanda di Giulio Regeni sia come sono oggi. In generale, tanti studenti post-laurea fanno domanda per fare ricerca fuori sede, ed è molto comune farla nel Centre of Development Studies e nel POLIS. Il processo è condotto dagli studenti. Quindi spetta allo studente presentare la domanda e assicurarsi che tale domanda sia corredata da una valutazione del rischio. Anche se il processo è condotto dallo studente, ci sono molte altre parti coinvolte nel processo di approvazione. Queste altre parti sono il supervisore dello studente, il dipartimento dello studente, il college dello studente, la commissione di laurea della facoltà o del dipartimento in cui lo studente studia e la segreteria studenti. La segreteria studenti è la parte centrale dell'università che si occupa dell'amministrazione dei dati degli studenti e delle questioni correlate.
  Come accademico di una facoltà gemella, una delle cose che mi colpisce davvero guardando le procedure del Centro studi sullo sviluppo è come, nell'ambito del Centro, lo sviluppo di una comprensione su ciò che uno studente intende fare lavorando fuori sede sia centrale rispetto al modo in cui il Centro opera. È effettivamente integrato nel processo del programma del primo anno di corso e nella registrazione del dottorando alla fine del primo anno, che lo studente esponga ciò che intenderà fare lavorando fuori sede e che ciò venga effettivamente esaminato dal valutatore come parte del processo di verifica del primo anno. C'è anche, a quanto ho capito, una presentazione al personale docente e agli studenti del Centro studi sullo sviluppo, di modo che l'intero gruppo abbia l'opportunità di ascoltare lo studente e fornire consigli allo studente sulla struttura del suo piano di lavoro e di sollevare qualsiasi dubbio. È certamente un'attività molto sviluppata e dettagliata che viene svolta dal dipartimento.
  Quella era la procedura di allora. Ora è un po' diverso, il che spero non sia una sorpresa. Sento fortemente che questo è un settore in cui è nostra responsabilità rivedere costantemente ciò che facciamo e assicurarci che le nostre procedure siano le più solide possibile. La differenza fondamentale che vorrei evidenziare è che ora abbiamo in funzione una commissione a livello dell'Università, the Study Away Risk Assessment Committee (SARAC – Commissione per la valutazione del rischio per lo studio fuori sede) alla quale questioni che per certi versi sono eccezionali possono essere riferite, per decisioni quali quelle Pag. 203laddove vi sia un problema riguardo al paese di destinazione, o per qualcosa che riguardi lo studente e le sue caratteristiche personali o qualcosa di veramente eccezionale circa il suo argomento di ricerca. Per anticipare una possibile domanda da parte vostra, tale commissione non c'era al momento in cui la richiesta di Giulio è stata elaborata.
  Mi sono appunto chiesta se qualcosa sarebbe stato fatto diversamente se all'epoca quel livello in più fosse esistito. In base alle informazioni a mia disposizione, e sottolineando che non sono un'esperta di scienze politiche, penso che la risposta a questa domanda sia no. In termini di rischio paese, l'Egitto allora, incluso il Cairo, era nella lista verde del Foreign Office. Quindi non sarebbe scattato nessun campanello d'allarme circa l'essere eccezionale a questo riguardo. Come persona, Giulio era un ricercatore esperto. Stava facendo ricerche standard utilizzando metodologie standard. Parlava arabo, era stato al Cairo in precedenza. Indicava che sarebbe stato in contatto con l'ambasciata italiana e aveva anche un collegamento con l'Università americana. Tutte queste cose, di nuovo, sarebbero state coerenti con il non considerare questo come un caso eccezionale. E riguardo al suo argomento di ricerca, anche qui non sono un'esperta nell'area tematica, ma tutto ciò che mi è stato detto indica che stava facendo una sua ricerca originale, ma in un settore standard per la ricerca in questo campo, e che le metodologie che intendeva utilizzare erano ben consolidate ed egli era stato adeguatamente preparato in relazione ad esse.
  Mi avete poi chiesto di dire qualcosa riguardo alle azioni intraprese quando si è saputo della scomparsa di Giulio. Sul punto, non voglio ripetere quanto già detto da altri, ma parlerò forse soprattutto del mio personale coinvolgimento in questa vicenda. Naturalmente c'è stata una preoccupazione generale, e una fortissima preoccupazione, alla notizia della sua scomparsa, davvero tanta al Centro studi sullo sviluppo e nel Dipartimento, ma anche in tutta l'università. E ovviamente ciò si è trasformato in shock e grande angoscia quando è stato scoperto il corpo. Un forte senso di solidarietà e preoccupazione anche per la famiglia Regeni, che da allora è stato incanalato nel sostenere la ricerca della verità e della giustizia per Giulio.
  Ne saprete di più da coloro che erano molto più vicini alla situazione immediata e al triste dovere, ma anche al privilegio, di partecipare al funerale. Ma il senso di dolore e shock davvero si è sparso attraverso tutta la comunità. E vorrei citare, tra gli altri, il lavoro del nostro sindacato del personale, il sindacato dell'università e dei college, o UCU, che costantemente per tutto il tempo ha richiesto giustizia per Giulio Regeni, vedendo la sua ricerca sull'attività dei sindacati come molto vicina al proprio lavoro e volendo dare il proprio appoggio a questa causa.
  In ogni crisi che colpisce l'università c'è una struttura per la reazione e, in particolare, c'è il lavoro di quello che chiamiamo il Silver team, che sono i capi dei nostri dipartimenti dei servizi professionali che si riuniscono per affrontare le preoccupazioni operative immediate, ma in una questione di questa portata e in circostanze così sconvolgenti, chiaramente la dirigenza dell'università ai massimi livelli doveva essere coinvolta e doveva essere coinvolta in modo chiaro e coordinato. L'allora Vice-Rettore, il professor Leszek Borysiewicz, mi chiese di assumere un ruolo di guida e coordinatore dell'attività in tutta l'università.
  Così ho riunito i responsabili interni dell'istruzione, dei servizi legali, della salute e sicurezza e delle comunicazioni. Ho anche avuto molta parte nell'istruire i nostri consulenti legali esterni che sono rappresentati qui. Volevamo fare molto presto, sia nel Regno Unito sia in Italia, in modo da essere nella posizione migliore per collaborare e contribuire alle indagini che ovviamente si sarebbero svolte.
  Volevo esprimere le mie personali condoglianze ai genitori di Giulio Regeni, così ho scritto più volte al signor Regeni e alla signora Deffendi tra marzo e agosto 2016 e mi sono presentata alla signora Deffendi alla cerimonia funebre al Girton College nel giugno di quell'anno. Pag. 204
  Riconoscendo che noi come università non possiamo condurre indagini o condurre colloqui interstatali che devono avvenire dopo un evento così traumatico, ho scritto, tra gli altri, al console generale egiziano a Londra, chiedendo di essere informata. Ho scritto al Ministero degli Affari Esteri italiano, manifestando il nostro chiaro sostegno alla ricerca della verità da parte del Governo italiano e dicendo che avremmo fatto affidamento sul lavoro investigativo delle autorità italiane e britanniche ed egiziane, e che volevamo collaborare pienamente con esse. Da subito, ho scritto al Foreign Office britannico, in quella fase guidato dal segretario di Stato Hammond e ho mantenuto nel tempo il contatto con quelle autorità, con il Foreign Office nel Regno Unito e il ministro, e anche con l'ambasciatore italiano nel Regno Unito, con il quale ho avuto un incontro nel 2017.
  Ovviamente ero una tra le tante persone in molte parti dell'università che cercavano di fare pressione sui politici. C'è stata intensa pressione su quelle persone che sono in posizioni di potere e che possono effettivamente esercitare un'influenza internazionale in un modo che noi, come università, abbiamo minore capacità di fare. Per esempio, l'allora vice-rettore ha continuato a fare pressioni sul Foreign Office britannico. Ha scritto all'allora ministro degli Esteri britannico nel 2017, che era in effetti Boris Johnson in quel momento per esprimere davvero la preoccupazione per la mancanza di progressi, volendo mantenere la pressione sulle autorità egiziane. Inoltre, più o forse meno palesemente, il vice-rettore, attraverso la nostra rete nell'ambito della League of European Research Universities, ha continuato a parlare con altri rettori, presidenti e vice-rettori di tutta Europa di questo argomento, per garantire che rimanesse il più vivo possibile nella mente di tutti.
  Poi, in termini di revisioni interne, ce ne sono state due. C'è stata prima di tutto una revisione, che è stata condotta dal team legale, per verificare se le procedure di allora, relative alle domande di lavoro fuori sede e valutazione del rischio, fossero state correttamente applicate nel caso Regeni, e la conclusione è stata che erano state rispettate.
  C'è stata, poi, una seconda revisione, che è stata quella che ho presieduto io, che consisteva nell'esaminare le nostre procedure vigenti e valutare se fossero adatte allo scopo. Ora, di nuovo, posso anticipare una domanda: se funzionavano tutte adeguatamente, ebbene, perché avevate bisogno di rivederle? Sono molto felice che mi venga posta questa domanda. Non vorrei essere seduta di fronte a voi oggi e sentirmi chiedere, perché non avete rivisto quelle procedure? Sarebbe stata l'azione di un'istituzione compiacente che non si è posta domande difficili e quella non è l'università del cui gruppo dirigente mi considero parte.
  Parimenti, penso che la comunità accademica non mi avrebbe permesso di eludere una revisione. La comunità accademica era profondamente traumatizzata, angosciata e preoccupata di vedere che eravamo in una posizione in cui avevamo le giuste procedure a posto per consentire lo svolgimento della ricerca sul campo, ma dovevamo assicurarci che avevamo adeguate tutele per questo e ottenere quel giusto equilibrio era qualcosa che molti accademici erano molto interessati a verificare. È stato quindi imperativo fare una revisione, prendere in considerazione qualcosa che era davvero al di fuori dell'esperienza di tutti. Era davvero qualcosa al di là di tutto ciò che potessimo aver visto prima, ed era necessario elaborarlo e considerarlo nelle nostre procedure e pratiche. Vorrei contestualizzare un po' la questione, facendo riferimento a una comunicazione che ho ricevuto da un illustre professore di Relazioni industriali. Mi ha fatto notare che questo evento è assolutamente scioccante e terribile e dobbiamo insistere assolutamente nella speranza di ottenere giustizia per Giulio Regeni, ma anche per proteggere la libertà accademica. Ha sottolineato che il lavoro sul campo è stato parte dello svolgimento della ricerca originale nelle relazioni industriali da oltre un secolo. Alcuni dei lavori più determinanti del settore sono stati il risultato del lavoro sul campo e quel lavoro sul campo può comportare i suoi pericoli. Mi ha avvertito: Pag. 205«Assicurati di non permettere agli amministratori di introdurre così tante tutele, da diventare talmente avversi al rischio da non potere più svolgere effettivamente il lavoro sul campo, perché se questo fosse il risultato, sarebbe assolutamente il modo sbagliato di ricordare Giulio Regeni. Egli era un ricercatore che faceva ricerche originali e abbiamo bisogno che ricercatori originali siano là fuori, raccolgano le prove, ottengano i dati per informare la politica, perché è solo in questo modo che otterremo le posizioni politiche che porteranno a quelle società tolleranti, aperte, eque e giuste che tutti noi vogliamo vedere».
  La nuova politica di tutela per lo studio e il lavoro fuori sede è iniziata con una dichiarazione di intenti molto chiara che afferma più o meno ciò che ho appena detto, ovvero che questa politica riguarda il permettere di svolgere la ricerca sul campo. Non si tratta di fermarla, ma di strutturare chiaramente quali sono le nostre aspettative da tutte le parti, di modo che si possa riconoscere, gestire e mitigare il rischio associato con il lavorare fuori sede.
  La politica revisionata definisce molto chiaramente la governance di questo processo, spiegando che il nostro Consiglio generale, che è uno dei due principali organi di governo della nostra istituzione, è in definitiva il responsabile delle politiche in questo ambito. Il Consiglio generale opera attraverso la citata Commissione SARAC, istituita con questa revisione, che si colloca sotto quella struttura di governance. La politica stabilisce anche la procedura per lavorare fuori sede, ma anziché aggiungere una commissione specifica per i casi eccezionali, è stata davvero un'articolazione in termini più chiari delle politiche che già avevamo, piuttosto che una fondamentalmente nuova e ribadisce, ancora per chiarezza, le responsabilità di tutte le parti coinvolte, la responsabilità dello studente di dire apertamente ciò che sta facendo e di tenersi in contatto, e le responsabilità del supervisore e del dipartimento nell'assicurarsi di analizzare compiutamente con lo studente tutti gli elementi di ciò.
  La parte finale della revisione e la politica modificata che ne è derivata, è stata quella di mettere in atto sistemi migliori, tenere conto dello sviluppo tecnologico, di avere una piattaforma unica più integrata, contenente tutte le informazioni dello studente e di pubblicare un'utile guida molto facile da usare con consigli e supporto. Ora abbiamo molti documenti, ma abbiamo anche video e altri modi in cui agli studenti piace ricevere informazioni in modo da rendere il sistema più efficiente e anche più facile da usare.
  Per quanto riguarda due ultimi aspetti che mi avete chiesto di affrontare penso di poter essere abbastanza breve. Prima di tutto mi avete chiesto le conseguenze dell'evento sulla ricerca sul campo. Ho spiegato di come abbiamo cercato di assicurarci di non essere stati eccessivi nella nostra risposta anche guardando ai numeri concreti, per vedere se siamo riusciti non solo ad avere politiche equilibrate e proporzionate, ma anche a come si sono tradotte in attività sul campo.
  Dunque, nei cinque anni che hanno preceduto la tragedia della morte di Giulio Regeni, abbiamo avuto circa dieci studenti all'anno in Egitto, quindi una cinquantina, tra laureandi e laureati, in quel quinquennio. Nell'anno 2015-16, abbiamo avuto undici studenti in Egitto e, di questi, nove erano studenti post-laurea. Guardando agli anni dopo la morte di Giulio, nel 2016-17 abbiamo avuto in totale 12 studenti in Egitto, di cui cinque post-laurea e sette laureandi. Quindi i numeri reggono. Nel 2017-18, abbiamo avuto complessivamente 17 studenti in Egitto, di cui otto post-laurea e nove laureandi. Perciò, per quanto tragico, scioccante e orribile sia stato come evento, la morte di Giulio non ha avuto un impatto sul numero di studenti di Cambridge che vanno in Egitto. I numeri per gli ultimi anni sono molto inattendibili a causa della pandemia.

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  Questi sono i numeri totali avuti dalla segreteria studenti. Invece di fare supposizioni, penso che sia meglio chiedere al nostro team di occuparsene direttamente e darvi i numeri definitivi assoluti. Pag. 206
  Sui rapporti con le autorità italiane e britanniche, non voglio ripercorrere l'elenco, ma volevo solo riflettere un po' su due incontri che sono davvero vividi nella mia mente. Uno di questi incontri è stato nell'agosto 2016, quando ho incontrato il deputato britannico Tobias Ellwood. Era il sottosegretario agli Esteri per il Medio Oriente e l'Africa.
  Come saprete da tutto il lavoro che state facendo, quello era un periodo in cui c'era una copertura stampa negativa sull'università e sulla sua disponibilità a collaborare. Ci sono stati alcuni contatti ai massimi livelli politici. Volevo contattare il Foreign Office e sono stata molto contenta di avere l'opportunità di quel colloquio con Tobias Ellwood. In realtà, credo che sia stato molto interessante anche per lui. Lui stesso ha sofferto una tragedia familiare e personale a causa del terrorismo. Suo fratello è stato ucciso nell'attentato a Bali. Era molto preoccupato di capire quale fosse la posizione dell'Università di Cambridge. È stato molto rassicurato, credo, dalla nostra conversazione e molto ansioso di dire che il Foreign Office avrebbe continuato a sostenerci nel nostro grande desiderio di assicurarci di poter partecipare pienamente e di contribuire il più possibile alle indagini italiane, anche per fare pressione sugli Egiziani.
  Sono stata molto lieta di avere l'opportunità di incontrare Isabella De Monte, l'eurodeputata della regione di origine di Giulio, grazie all'allora eurodeputata della nostra regione, Alex Mayer, e lei e il nostro parlamentare Daniel Zeichner si sono ancora una volta molto impegnati a offrire il loro sostegno in tutta questa vicenda. Ma l'altro incontro su cui volevo in particolare riflettere un attimo è stato il mio incontro nell'ottobre 2017 con l'allora ambasciatore italiano nel Regno Unito Terracciano. Nel corso di quell'incontro abbiamo parlato a lungo di come uno studente sceglie il suo argomento di ricerca, come sia davvero il suo argomento e non quello del supervisore. Abbiamo parlato delle metodologie, abbiamo parlato della ricerca osservazionale che stava facendo Giulio. Quindi è stata una conversazione molto aperta su come funziona la vita accademica a Cambridge. A dimostrazione, ancora una volta, del sostegno delle autorità britanniche, sono stata accompagnata a quell'incontro dal capo della divisione Francia, Italia e Benelux del Foreign Office. Mi è sembrato un incontro molto costruttivo e utile.
  In conclusione, l'unica cosa che mi avete chiesto e a cui non ho risposto è di parlarvi di altri casi di studio. Il motivo per cui non l'ho fatto è che non ho altri casi di studio di cui posso parlarvi, nient'altro è arrivato al mio livello nei miei sei anni da pro vice-rettore e penso che valga la pena notarlo perché credo che mandi un segnale di quanto siano fuori dall'ordinario, quanto siano terribili, traumatiche, al di là di ogni tipo di comprensione che avevamo in precedenza, le circostanze di cui stiamo parlando adesso. Anche dopo questo tempo, è ancora abbastanza difficile immaginare che qualcosa di così terribile possa essere accaduto a uno dei nostri studenti.
  Come ho detto all'inizio, vi ringrazio ancora per avermi dato questa opportunità di contribuire al vostro lavoro molto importante.

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  Da un lato, nulla potrebbe essere commisurato all'enormità di ciò che è successo a Giulio e di ciò che ha passato e all'angoscia che sono certa che la sua famiglia deve ancora provare. Dall'altro, credo che siamo stati incrollabili nel nostro impegno a fare il possibile per contribuire a trovare la verità per Giulio Regeni e anche per proteggere la libertà accademica. Ritengo che non tutto ciò che abbiamo fatto sia stato reso di pubblico dominio, ma necessariamente è così. Non abbiamo pubblicizzato ogni incontro che abbiamo avuto, ma quegli incontri sono avvenuti e i colloqui hanno avuto luogo. Penso che le tante dichiarazioni che abbiamo fatto trasmettano al mondo un segnale del fatto che dietro di loro c'è un'enorme quantità di lavoro aggiuntivo che non si è mai interrotto.
  Direi che in termini di minaccia alla libertà accademica, davvero, in un momento in cui viviamo in un mondo molto complesso e difficile – e ne avete sentito Pag. 207parlare da persone molto più esperte di me – come università dobbiamo, e tutte le principali università devono, riaffermare che gli accademici lavorano secondo i più alti standard professionali. Gli accademici sono trasparenti in quello che fanno. Il processo di valutazione inter pares consiste nel mostrare agli altri cosa hai fatto e come ci sei arrivato. Dobbiamo assolutamente continuare a dire che nulla dovrebbe intralciare la curiosità intellettuale, che è assolutamente imprescindibile per il mondo che ci siano persone che si muovono e raccolgono prove e dati per informare la politica.
  Lo abbiamo detto nella dichiarazione che abbiamo rilasciato nel quinto anniversario della morte di Giulio, dobbiamo continuare a dirlo. Vedo ciò come parte di quello che dobbiamo continuare a fare per ricordare Giulio. Vogliamo fare qualcosa per ricordare Giulio, borse di studio e altri fondi, però, in un mondo in cui gli accademici si trovano ad affrontare minacce in alcune parti di questo mondo, dobbiamo semplicemente essere assolutamente fedeli a quel messaggio fondamentale e continuare a dirlo forte e chiaro.

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  Riflettiamo molto su questa questione e in particolare in questo momento. Che cosa fa un'università che si impegna per la libertà accademica e si impegna a dare il proprio contributo alla società ai massimi livelli, attraverso il suo impegno internazionale in paesi e regimi che non condividono i nostri valori? Ci impegniamo o no? Molti, moltissimi miei colleghi direbbero che dobbiamo impegnarci, perché se parliamo solo con le persone che condividono i nostri valori forse non stiamo facendo le cose più importanti. Dobbiamo lavorare in tutto il mondo. Crediamo di essere una forza positiva nella società e ciò significa entrare, entrare davvero in quelle situazioni difficili invece di prendere le strade più facili. Personalmente ne sono molto convinta. Credo che l'impegno sia proprio la chiave per operare un vero cambiamento nel mondo.
  Papa Francesco ne ha parlato molto, ne ha scritto molto, la sua filosofia del bisogno di incontrare può essere vista come una versione particolare di ciò. Assolutamente la mia istituzione e i miei colleghi sono fondamentalmente guidati dalla loro curiosità intellettuale, dalla loro libertà accademica, dal volerla perseguire ovunque li porti e non possiamo fermarli, hanno la loro libertà accademica. Tutte le cose di cui ho parlato in termini di processi e procedure ci sono, come ho detto, il loro scopo è rendere possibile il fare, non il non fare.

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  Per uno studente che si trova a Cambridge con un visto, quindi al momento della domanda di Giulio, quando il Regno Unito era ancora nell'UE, Giulio non avrebbe avuto bisogno di un visto per stare a Cambridge, ma avrebbe dovuto fare tutto ciò che l'Egitto richiedeva per poter stare là. Oggi per uno studente italiano, non sono sicura di quale sia esattamente la posizione degli studenti italiani in questo momento, ma gli studenti di paesi terzi al di fuori dell'Europa avrebbero bisogno di un visto per stare a Cambridge. Per andare all'estero, uno studente di questo tipo dovrebbe anche rispettare i requisiti per il visto del paese di destinazione.

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  Se il nostro protocollo di sicurezza prescriva un visto di studio per raggiungere il Paese per fare ricerca sul campo questo viene stabilito dal Paese ospitante, non da noi. Dovrebbero fare tutto ciò che le autorità egiziane richiedono per rimanere nel paese per un periodo prolungato. In genere, ci si aspetta che un paese terzo richieda a uno studente di avere un visto di studio nel paese in cui si troverà ad essere residente...
  In particolare se si tratta di un soggiorno di più di qualche settimana. Se rimarrà lì per un periodo prolungato, secondo la mia esperienza, il paese ospitante si aspetta che lo studente abbia un visto che gli permetta di essere uno studente che Pag. 208lavora nel paese. Non so esattamente quali fossero i requisiti per il visto in Egitto a quel tempo, ma possiamo verificarlo.
  Sul nostro modulo per la valutazione del rischio, nel caso di Giulio, è indicato «Sei a conoscenza dei requisiti per il visto per la tua visita e di quanto tempo prima del viaggio devi fare la domanda?» «Sì, ne sono consapevole.»

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  Se l'università ha mai negato la possibilità della ricerca all'estero sulla base della valutazione del rischio, la mia risposta diretta è che non lo so. Quello che so è che la politica di tutela di cui ho supervisionato l'introduzione dice molto chiaramente che si tratta di permettere anziché di fermare, ma l'università può dire di no, e, in effetti, terrà sotto controllo la situazione mentre uno studente è nel Paese e potrebbe chiedere a uno studente di rientrare se dovesse ritenere che il rischio sia troppo grande. Io stessa non sono venuta a conoscenza di un no definitivo. Mi aspetterei che ci sia un processo di iterazione per vedere se si possa trovare un modo perché accada, ma questo è quanto posso dire con una certa competenza.
  La domanda è se tutto questo lavoro con le istituzioni e gli organi di governo britannici che molti di noi hanno descritto, abbia portato a qualcosa di specifico che possiamo indicare. Non posso, ma in realtà non me lo aspetterei necessariamente, perché vedrei questi colloqui come un modo per mantenere la pressione, per continuare a dire: «Guardate, siamo qui. Continuiamo a insistere tenacemente. Non dimenticatevi di noi. Non dimenticatevi, soprattutto, di Giulio Regeni. Semplicemente, continuate a lavorarci su.»
  Per quanto riguarda la terza domanda o il terzo commento, ha assolutamente ragione a richiamare l'attenzione sul fatto che potrebbe esserci un momento di vero pericolo, a seconda di ciò che accade, e di chiedersi quale sarebbe la reazione. Attraverso il nostro team per la salute e la sicurezza e il nostro team per la comunicazione, lo monitoreremo molto da vicino. Se dovessimo sentire che qualcuno dei nostri studenti è in pericolo, agiremo immediatamente.

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  Non conosco casi di studenti di Cambridge che corrano il rischio di essere espulsi dal Paese.

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  Non conosco il caso a cui lei si riferisce di una studentessa di Cambridge che sarebbe stata espulsa dall'Egitto per avere ricevuto un libro da Israele. Ho assunto il mio ruolo per quanto riguarda l'aspetto internazionale nel gennaio del 2016. Per quanto riguarda la garanzia di informazione al debito livello, la nostra struttura e il nostro sistema sono, come ho detto, il sotto-dipartimento (Centro studi sullo sviluppo), il dipartimento (POLIS), la scuola (Scuola di scienze umane e sociali) e, poi, attraverso i pro vice-rettori e gli organi centrali. Penso che con i sistemi che abbiamo ora in atto, che hanno modernizzato i flussi di informazione, sia molto più facile che le cose giungano a conoscenza di tutti coloro che devono sapere e che ci sia un'ottima comunicazione tra le parti. Ha assolutamente ragione nel dire che dobbiamo assicurarci, come Università di Cambridge, di non aggravare i problemi con qualcosa che possa restare inosservato, non raggiungendo il giusto livello. Ed è parte del motivo per cui dobbiamo tenere le cose sotto costante controllo. Quindi sono d'accordo con lei che se c'è una reale minaccia per i nostri studenti in qualsiasi luogo, in qualsiasi parte del mondo, deve essere portata a conoscenza dei livelli appropriati e penso che abbiamo in atto sistemi che ci consentono di farlo.
  Perciò, penso che siamo d'accordo su questo punto.

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  Con «verificati» (mi riferisco ai dati del questionario) suppongo che lei intenda se le domande e le risposte date dallo studente Pag. 209 erano messe in discussione e sondate a diversi livelli, cioè dal supervisore, dal capo dipartimento e non solo? Poiché non ero all'interno di quelle procedure, non sono in grado di dare una risposta certa a questo. Questa mattina avrete saputo da Peter Nolan del suo ruolo in merito. Domani mattina ascolterete David Runciman quale capo dell'istituto e ovviamente anche Maha Abdelrahman. Quello che vorrei sottolineare in termini di garanzia sulla solidità della procedura che è stata seguita in quel momento, è il fatto che vi è stata una revisione indipendente condotta dal nostro team legale che ha coinvolto anche i nostri legali esterni, per sapere se, all'epoca, quel processo avesse funzionato correttamente e il risultato di quell'indagine è stato che aveva funzionato. Questo è quello che posso assicurare in merito ai processi di verifica che sono stati intrapresi all'epoca, ma non ne sono stata coinvolta direttamente.

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  Alla sua domanda circa il numero, sostanzialmente invariato rispetto a prima, di studenti che attualmente si recano in Egitto le rispondo di sì. I numeri fluttuano verso l'alto o verso il basso, a volte sono più studenti laureandi, a volte sono più laureati. L'unica osservazione che vorrei fare è che io non ero a conoscenza dell'espulsione della studentessa l'anno prima, quindi le sono grata di averne parlato.

5. DAVID RUNCIMAN, già direttore del Department of politics and international studies (POLIS)

  Buongiorno. Mi scuso per non essere con voi personalmente. Questa settimana sono in Scozia, ma sono comunque felice di poter partecipare, almeno in forma virtuale. Sono il professor David Runciman. Insegno scienze politiche qui a Cambridge e dal 2014 al 2018 – dunque anche al momento della tragica morte di Giulio – ed ero a capo del Department of Politics and International Studies. Dirò qualche parola sul Dipartimento e la sua struttura e poi farò una pausa. Quindi, illustrerò brevemente il mio coinvolgimento in questo caso e le procedure che abbiamo seguito in relazione a Giulio e alla sua ricerca in Egitto.
  Inizio dal Dipartimento. Come vi dicevo, ero responsabile del Dipartimento di Politica e Studi Internazionali (POLIS), che include diversi centri di ricerca e didattica, tra cui il Center of Development Studies. Il Dipartimento comprendeva, e comprende tuttora, diversi altri centri al suo interno dedicati allo studio di diverse aree del mondo, ossia il Centro per gli Studi Africani, gli Studi sull'Asia del Sud, gli Studi sull'America Latina. Di conseguenza, il Dipartimento aveva moltissimi dottorandi, i cui studi li portavano anche a viaggiare in diverse parti del mondo per la ricerca di dottorato.
  Avevamo una serie di procedure per monitorare questi studi, per approvare i viaggi e per essere certi che gli studenti stessero effettivamente facendo quello che dovevano. Vi parlerò tra un attimo di come queste procedure operassero all'interno del Dipartimento.
  Nei centri, compreso il Center of Development Studies, vi erano procedure atte a verificare le ragioni che portavano gli studenti a studiare all'estero e a discutere in modo approfondito, con gli studenti, le modalità di studio e di monitoraggio. È mia convinzione che queste procedure siano state applicate anche al caso di Giulio, come pure a molti altri studenti, mentre ero alla guida del Dipartimento. All'epoca, avevamo più o meno cento dottorandi e molti si trovavano all'estero.
  Avevamo dunque esperienza su come gestire la situazione, e nel corso degli anni avevamo sviluppato procedure di monitoraggio. Il caso di Giulio, io credo, non era eccezionale, nel senso che abbiamo seguito le nostre procedure. Quello che vorrei fare è descrivere come ciò si sia svolto e descrivere il mio ricordo di questo caso specifico.
  Che io ricordi, c'erano tre componenti fondamentali nella nostra procedura di approvazione della richiesta di uno studente di studiare all'estero. La prima consisteva nel fatto che durante il primo anno di dottorato lo studente doveva discutere la Pag. 210ricerca con il supervisore, nel caso di Giulio la prof. Abdelrahman, e con l'assessor (valutatore), che è sostanzialmente un secondo supervisore di dottorato. Nel caso di Giulio, questi era il professor Peter Nolan. Durante il primo anno, lo studente elaborava un progetto di ricerca. Alla fine dell'anno, poi, aveva luogo un processo di valutazione. Lo studente produceva un elaborato, che discuteva con il suo assessor e con il supervisore, nel quale delineava il resto della ricerca ai fini del completamento del dottorato.
  Questo è quello che è accaduto nel caso di Giulio. C'è stato un processo di verifica, nell'ambito del quale si è discusso ampiamente dei metodi di ricerca, del progetto di ricerca, e della necessità di condurre parte di questa ricerca in Egitto, al Cairo. Durante il primo anno, tutti gli studenti in Development Studies partecipavano regolarmente a seminari e discussioni sulle motivazioni alla base della ricerca e ricevevano orientamenti e consulenze sulle attività di studio da condurre lontano da Cambridge.
  Nella seconda fase della procedura, chiediamo a tutti gli studenti di compilare un formulario sulla valutazione dei rischi, in cui ci dicono dove andranno, dove alloggeranno sul posto, come potranno essere contattati, e la loro consapevolezza dei rischi posti dal contesto in cui andranno a operare. Tutti gli studenti completano questi formulari che vengono esaminati dal supervisore e, nel Center of Development Studies, dall'amministratore. Questi formulari sono discussi con lo studente, e noi ci assicuriamo che egli abbia risposto a tutte le domande che siano rilevanti, circa i rischi nelle varie parti del mondo. Questo vale per gli studenti dovunque essi vadano, Europa, Africa, Asia e Medio Oriente. Abbiamo una grande esperienza nella valutazione di questi formulari. Questo è quello che è successo nel caso di Giulio.
  C'è poi la fase finale del processo, quella nella quale sono coinvolto personalmente. In questa fase gli studenti devono compilare una richiesta di lavoro all'estero, nella quale sono indicate congiuntamente la motivazione accademica per lavorare fuori da Cambridge, la valutazione dei rischi e le risposte a importanti domande pratiche, incluso dove si stabilirà lo studente, quale esperienza lo studente ha del paese in cui si sta recando, i punti di contatto dello studente mentre è all'estero, e ogni dettaglio del viaggio che lo studente si attende di effettuare durante il suo soggiorno all'estero.
  Nel caso di Giulio, avevamo le risposte a tutte queste domande. Giulio aveva già una precedente esperienza lavorativa al Cairo. Aveva una base chiara da cui lavorare e un punto di contatto presso l'American University del Cairo. Non prevedeva di viaggiare fuori città, di recarsi in altre parti dell'Egitto. All'epoca, la guida del nostro ministero degli Esteri indicava chiaramente il Cairo come un posto sicuro in cui viaggiare e Giulio aveva discusso il suo progetto di ricerca, e i suoi metodi di ricerca, che erano stati approvati nel suo esercizio di verifica. Dal mio punto di vista, quindi, non vi era nulla che potesse far risaltare il caso di Giulio come un caso cui fossero associati rischi particolari.
  Vi dirò in un momento qualcosa sugli altri casi, ai quali lo comparerò.
  Credo sia importante sottolineare che questo processo non può essere ridotto alla semplice compilazione formale di un questionario a scelta multipla. Prendiamo i casi molto seriamente, e quando ero a capo del Dipartimento non abbiamo approvato tutte le richieste. Ci sono stati studenti, e io ricordo ciò durante il mio mandato, che volevano studiare, per esempio, in Iraq, e noi abbiamo negato loro l'autorizzazione a lavorare all'estero perché avevamo ritenuto che non avessero risposto adeguatamente alle domande su come avrebbero potuto essere contattati e dove si sarebbero stabiliti. Quando gli studenti avevano itinerari di viaggio che li portavano ad allontanarsi dal centro di ricerca nel paese, chiedevamo loro motivazioni più solide e punti di contatto più affidabili.
  Inoltre, chiedevamo agli studenti di giustificare meglio le loro esigenze di ricerca. Così, se lo studente chiedeva di andare all'estero mentre noi non ritenevamo necessaria la sua presenza sul posto, spesso chiedevamo se potesse effettuare la ricerca Pag. 211restando a Cambridge. Nel caso di Giulio, vi era una chiara ragione per lavorare al Cairo. Il metodo e il progetto di ricerca erano stati oggetto di approfondite discussioni a Cambridge. Giulio non avrebbe fatto trasferte fuori città. Avevamo punti di contatto con un istituto accademico sul posto. Per tutte queste ragioni, il mio ricordo del suo caso è che, in rapporto ad altri, il suo non fosse specialmente rischioso.
  Ho un ultimo aspetto da affrontare, dopodiché sarò lieto di provare a rispondere alle vostre domande. So che, dalla tragica morte di Giulio, l'Università ha introdotto nuove procedure per integrare quelle già in vigore, compresa l'istituzione di una commissione che è ora specificamente incaricata di valutare le trasferte fuori da Cambridge in condizioni che potrebbero far sorgere questioni di rischio. Voglio però ribadire che il Department of politics and international studies, che comprende i centri in cui si studiano molte differenti parti del mondo, aveva una significativa esperienza pluriennale nel monitoraggio degli studenti in trasferta, e vantava personale molto esperto in materia.
  Questa non è la mia area di specializzazione. Non sono uno studioso internazionale. Sono uno storico e un filosofo. Nel Dipartimento, però, un grande numero dei miei colleghi ha una grande esperienza con i dottorandi che studiano fuori da Cambridge, incluso il prof. Nolan, che lavorava con Giulio, e il mio collega Glen Rangwala, che aveva particolare esperienza nello studio del Medio Oriente. Dunque non eravamo un Dipartimento che non aveva esperienza in questo ambito. Credo sia importante che l'Università abbia ora ampliato ciò, in modo che i casi possano essere comparati e insegnamenti possano essere tratti dall'esperienza maturata in passato.
  Ma avevo grande fiducia nei miei colleghi del Department of politics and international studies e mi fidavo molto delle loro conoscenze ed esperienze riguardo alle zone del mondo di cui ci occupavamo. È mia convinzione che le procedure attraverso le quali queste domande di studio all'estero erano valutate fossero procedure estremamente solide.

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  La drammatica fine di Giulio ha avuto un impatto profondo sul Dipartimento, sul piano umano, perché Giulio era un membro del Dipartimento molto amato. Ciò vale soprattutto per il Center of Development Studies, che è una comunità di ricerca molto coesa. Tuttavia, il Dipartimento rimane del parere che sia importante per i nostri studenti poter viaggiare e fare ricerca in molte e diverse parti del mondo. E abbiamo continuato a farlo laddove possibile, anche in Egitto. Molti dei nostri studenti hanno studiato in Egitto prima della tragica morte di Giulio e anche dopo abbiamo continuato ad avere molti studenti laggiù, e in molti altri posti, alcuni dei quali, almeno apparentemente, sono più pericolosi, perché lo studio all'estero resta per noi una pietra miliare della ricerca accademica. Sebbene siamo a conoscenza oggi di rischi di cui prima non potevamo essere consapevoli, è una grande parte di ciò che attrae gli studenti presso il Dipartimento e presso il Center of Development Studies e abbiamo continuato a fare in modo che noi si sia in grado di sostenere gli studenti che effettuano ricerca lontano da Cambridge. Siamo, io credo, impegnati in questo senso, come siamo sempre stati.

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  Circa i cambiamenti nei processi per la valutazione dei rischi, non posso parlare per conto dell'Università e della sua neo-istituita commissione di valutazione dei rischi, perché non sono membro di tale commissione, però posso parlare sulla base della mia esperienza come capo del Dipartimento fino al 2018. Quando succedono cose come questa, un evento tragico e imprevisto, diventiamo naturalmente più sensibili al rischio. Allo stesso tempo, però, come ho detto nella mia introduzione, abbiamo una serie di domande che facciamo al fine di fare il nostro meglio per garantire la sicurezza dei nostri studenti. Tutto quello che possiamo fare è fare del nostro meglio. Le domande più importanti sono che ci sia una giustificazione per la ricerca, che noi si Pag. 212abbia una buona conoscenza di dove lo studente sta andando e come sarà contattabile.
  Inoltre, che egli abbia contatti sicuri sul posto nel paese in cui si sta recando, e che egli possieda l'esperienza necessaria. Quando questi criteri risultano soddisfatti allora non riteniamo di aver motivo per negare allo studente il permesso di intraprendere il viaggio che vuole fare per la sua ricerca. Dunque quello che è cambiato, direi, e credo che questo valga per tutta l'Università e molti dipartimenti, è una maggiore consapevolezza dei rischi e un maggior rigore nel verificare l'ottemperanza a questi criteri.
  Quando tali criteri sono soddisfatti allora riteniamo che i nostri processi siano solidi e siano stati rispettati. Sebbene questo sia un caso tragico e terribile, che non potevamo prevedere e che ci ha colpiti profondamente, l'Università, io credo, non lo vede come un motivo per impedire agli studenti di continuare a fare ciò che noi consideriamo essere essenzialmente ricerca accademica.

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  Su alcune domande credo che alcuni dei miei colleghi siano in posizione migliore per rispondere, perché alcuni di questi cambiamenti sono sopravvenuti quando già io non ero più a capo del Dipartimento. Quando ero lì e dopo la morte di Giulio, credo che in nessun momento ci siamo semplicemente affidati agli orientamenti del nostro ministero degli Esteri. Avevamo una serie di domande che ponevamo agli studenti, quindi non credo che semplicemente ottenendo la compilazione di un formulario sulla valutazione dei rischi da parte degli studenti noi stessimo trasferendo i rischi sugli studenti. Quel modulo faceva parte di un processo, che ci consentiva di interpellare lo studente e di chiedere ulteriori garanzie o sicurezza se non credevamo che essa fosse adeguata.
  Questo era certamente quello che facevamo prima della tragica morte di Giulio. Usavamo questa procedura non semplicemente per dire allo studente «Sei responsabile dei rischi che ti assumi», ma per utilizzare le sue risposte per fare altre domande e ciò includeva verificare il parere del governo al riguardo. Inoltre, includeva verificare i loro punti di contatto sul campo. Naturalmente, c'è un limite a quello che possiamo fare da Cambridge, ecco perché è così importante per noi che gli studenti abbiano sempre punti di contatto sul posto nel paese in cui operano, qualora avessero preoccupazioni da esprimere.
  Dunque la mia opinione – e dovreste verificare ciò con altri all'interno dell'Università che hanno supervisionato tutte le procedure dell'Università – è che quello che è cambiato negli ultimi anni è che facciamo più domande, siamo consapevoli che ci sono più rischi di cui occorre tenere conto e utilizziamo tutte le informazioni in nostro possesso. Una cosa che non abbiamo fatto è semplicemente dire agli studenti che è troppo pericoloso andare in paesi come l'Egitto. Siamo ancora convinti che sia possibile fare ricerca in molti posti del mondo.
  Quando ero a capo del Dipartimento vi erano casi particolarmente difficili in Africa, come anche in Medio Oriente, casi che abbiamo sempre preso molto seriamente, ma abbiamo sempre visto il nostro lavoro, ove possibile, come quello di facilitare, piuttosto che impedire, la ricerca accademica, la legittima ricerca accademica.

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  Capisco benissimo la domanda sul fatto di continuare la ricerca sul campo in Egitto e sui rischi connessi dopo quanto accaduto, e la convinzione con cui è stata posta. Quello che è successo a Giulio per noi non ha precedenti. Come lei stesso ha riconosciuto, non è possibile eliminare tutti i rischi. Quanto accaduto non ha alcun precedente nella nostra esperienza. Si tratta, sia prima sia dopo, di una tragedia unica e terribile. Naturalmente, come lei, anche noi riteniamo che le risposte debbano essere trovate in Egitto e che il destino terribile di Giulio, i pericoli cui è stato esposto – non dico ciò semplicemente col senno di Pag. 213poi per giustificare la nostra posizione – sono stati qualcosa che, all'epoca, non avremmo potuto prevedere.
  Ovviamente, come detto, ora siamo molto più consapevoli di questi rischi, ma niente del genere era mai accaduto prima né è successo di nuovo da allora e dobbiamo trovare un equilibrio tra il desiderio dei nostri studenti di fare questo tipo di lavoro, le ragioni che li spingono a venire presso una Università e studiare, e la consapevolezza della nostra responsabilità nei loro confronti, dei rischi che tutti gli studenti affrontano in alcune di queste situazioni. Gli studenti scelgono questi corsi proprio per poter fare questo tipo di lavoro. Questa tragedia resta qualcosa su cui è necessario trovare risposte e credo che l'Università sia sempre stata molto chiara rispetto al fatto che noi, come voi, abbiamo bisogno di risposte e non abbiamo ancora ricevuto risposte esaustive.
  Sulla base della mia esperienza – e posso parlare solo alla luce della mia personale esperienza, avendo diretto il Dipartimento per quattro anni con centinaia di studenti, centinaia di dottorandi, molti dei quali hanno viaggiato per fare ricerca – niente del genere è mai accaduto prima, né è nuovamente accaduto da allora. Quello che è successo cambia la nostra prospettiva, certamente lo fa. Ci rende molto, molto più consapevoli dei rischi. A questo punto, almeno dal mio punto di vista, non si viene a creare un modello. Ciò che l'Università ha dovuto bilanciare è la nostra nuova consapevolezza del rischio, il desidero di conoscere la verità e il nostro desiderio di continuare a consentire agli studenti di perseguire il loro lavoro accademico.
  Dovreste parlare e parlerete con altri colleghi, comprese le persone, sono sicuro, che dirigono questa Università. Tutti dobbiamo fare una valutazione su come arrivare a questo equilibrio e non è affatto semplice. Non lo è per niente. Sono quindi ben consapevole dell'importanza della domanda.

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  Per quanto riguarda la domanda su finanziamenti all'Università da parte di Paesi del Golfo persico, posso risponderle solo per quanto concerne il mio Dipartimento. Non sono stato coinvolto in raccolte di fondi e non me ne risultano. Queste sono domande che andrebbero fatte a chi, nell'Università, ha avuto un ruolo al riguardo. Posso dire con assoluta chiarezza che, quando ero alla guida del Department of politics and international studies, non sono mai venuto a conoscenza di contributi finanziari che abbiano inciso sul modo in cui vedevamo la ricerca accademica dei nostri studenti, su cosa abbiamo incoraggiato, cosa abbiamo consentito e cosa non abbiamo consentito. Onestamente ritengo che queste decisioni siano state prese, e su questo ho una conoscenza approfondita, sono stato a capo del Dipartimento per quattro anni e ho avuto discussioni con tutti i miei colleghi accademici sul lavoro dei dottorandi in molte parti del mondo.
  Non ho mai avuto alcuna discussione in cui il tema dei contributi finanziari o dei finanziamenti da stati o attori non statali, in particolari aree del mondo, abbia avuto un impatto sulla ricerca. Di questo sono certo, sulla base della mia esperienza. È chiaro, non posso parlare a nome di tutti né per tutte le raccolte di fondi effettuate dall'Università ma non mi sono mai imbattuto, da quando lavoro a Cambridge, in un caso in cui i contributi finanziari, una fonte di finanziamento per l'Università, abbiano influito sulle decisioni accademiche relative alla legittimità e alla sicurezza della ricerca. Di questo sono assolutamente sicuro.

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  Se eventuali finanziamenti possano aver influito sul livello di coinvolgimento dell'Università sul caso Regeni, ritengo che le fonti di finanziamento non abbiano avuto alcun impatto su come l'Università ha reagito nel caso in specie.
  Ciò che è più difficile in assoluto è verificare il rischio politico, soprattutto considerando che il nostro è un Dipartimento di Politica e Studi internazionali e che è parte di ciò che i nostri studenti fanno, fare domande di natura politica. Ciò non significa che i nostri studenti siano coinvolti in Pag. 214politica. Non vuol dire che la ricerca sia politicizzata ma che naturalmente essa rientra nel nostro campo di studio. Questa è una delle maggiori sfide per i nostri studenti e per noi stessi, ovvero stabilire l'ambito in cui sia possibile effettuare questo tipo di ricerca in parti del mondo in cui la politica è pericolosa.
  Di questo siamo consapevoli e questo vale per molte parti del mondo in cui i nostri studenti hanno studiato per molti, molti anni. Direi che la nostra visione del rischio politico è certamente cambiata dal momento di questa tragedia. Tutti dobbiamo esserne consapevoli e tutti dobbiamo adeguare la nostra concezione del rischio politico in ogni momento. Non siamo però un Dipartimento che può dire ai propri studenti che lo studio della politica in moltissime parti del mondo è semplicemente troppo pericoloso, perché dopo avremmo un assai più ridotto ambito di studio per i nostri studenti.
  Alla luce della mia esperienza qui a Cambridge e del tempo che vi ho trascorso, ritengo che tutti noi corriamo dei rischi. Il settore in cui lavora il mio Dipartimento e in cui lavorano molti miei colleghi – e molti di loro hanno effettuato personalmente queste valutazioni quando hanno dovuto viaggiare per le loro ricerche – è un settore nel quale noi lavoriamo in modo incredibilmente duro per trovare un equilibrio, ma è probabilmente vero, è certamente vero, non possiamo eliminare il rischio politico. È impossibile con quello che facciamo.
  Stavo parlando del rischio politico, e del fatto che i nostri studenti, inevitabilmente, nello studio della politica in diverse parti del mondo, devono fare una valutazione, come noi dobbiamo fare, e i miei colleghi devono fare, – circa il rischio politico. Dopo questa tragedia, siamo diventati molto più sensibili, io credo, al rischio politico. Ma non possiamo escluderlo, vista la natura della ricerca che facciamo, in quanto Dipartimento di scienze politiche internazionali, che ci porta a occuparci di politica in molte parti del mondo. Ma questo non significa che la ricerca che i nostri studenti svolgono sia politicizzata. Non è attivismo. È lo studio della politica, ma lo studio della politica comporta qualche rischio. E noi, tutti noi, ci misuriamo con ciò e dobbiamo trovare un punto di equilibrio.
  So che sia io sia i miei colleghi facciamo i conti con ciò in ogni momento, ma se cercassimo di escludere tutti i rischi politici dalle nostre attività, allora potremmo fare molto, molto meno.

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  Sono stato informato della scomparsa di Giulio dalla professoressa Abdelrahman e naturalmente lei ha notificato questa circostanza anche alle alte autorità dell'Università. Sia lei, da quanto so, sai coloro che avevano contatti diretti con l'Egitto hanno fatto tutto ciò che era in loro potere per scoprire cosa fosse successo a Giulio. Ho chiesto di essere tenuto al corrente e così è stato, e, ovviamente, non sono passati molti giorni prima di venire a sapere cosa gli era successo. Ricordo quel momento con chiarezza e ricordo il grande shock e la profonda tristezza quando si è saputo cos'era accaduto a Giulio.
  Nel periodo intercorso tra la notizia della scomparsa di Giulio e la scoperta della sua fine terribile, so che sono state fatte pressioni sia attraverso l'Università sia attraverso contatti personali da parte delle persone che conoscevano l'Egitto. Come capo del Dipartimento, ho chiesto di essere tenuto al corrente. Questo è quanto ricordo di quel periodo.

*****

  Se io sappia cosa abbia fatto l'Università per esercitare pressioni sul Foreign Office affinché contattasse l'Ambasciata al Cairo, io ero responsabile del Dipartimento e in un caso come questo, in cui si trattava di contattare il Foreign Office e l'Ambasciata, i soggetti più appropriati per fare ciò erano l'Università e la sua alta dirigenza. Non ho avuto conoscenza personale di tali interlocuzioni. Ho avuto contatti soprattutto con Maha Abdelrahman ed ero al corrente di cosa lei chiedeva che si facesse. Non ho conoscenza personale delle azioni adottate Pag. 215dall'Università nel periodo intercorso tra la notizia della scomparsa di Giulio e il ritrovamento del corpo. Sono però a conoscenza di cosa la professoressa Abdelrahman voleva che si facesse.
  Purtroppo questo è quanto ricordo di quei momenti, di quanto accaduto a livello dell'Università, che non è la stessa cosa del Dipartimento. L'Università ha i propri punti di contatto con il Governo e con le ambasciate estere. Purtroppo non posso dirle, sulla base della mia esperienza personale, cosa sia successo in quei giorni, oltre a quello che sapevo nel Dipartimento dalla professoressa Abdelrahman. Mi spiace, non ho ulteriori informazioni da fornirvi.
  Posso dire quello che so riguardo al dipartimento delle comunicazioni che aveva il compito di veicolare i messaggi per conto dell'Università. Dunque, il mio primario punto di contatto era Paul Mylrea, che all'epoca era responsabile delle comunicazioni per l'Università di Cambridge e aveva molta esperienza nella gestione delle crisi. Non ricopre più quest'incarico, perché non sta bene. Ma all'epoca il mio principale punto di contatto, e allora l'Università aveva alla sua guida altre persone, era Paul Mylrea. So benissimo che Paul aveva comunicazioni dirette sia con il governo sia con l'Ambasciata.
  È stato lui a dirmi della morte di Giulio. Le informazioni quindi mi venivano fornite da Mylrea. Devo dire, e parlo per me, lo conoscevo come persona assai esperta. Era stato a capo delle comunicazioni per i trasporti della città di Londra all'epoca degli attentati del 7 luglio 2005 qui in Gran Bretagna. Era stato responsabile della comunicazione per la BBC. Paul era un grandissimo esperto di comunicazioni a livello internazionale. Era quindi lui il mio punto di contatto e, a quanto mi risulta, sia Paul sia l'Università fecero tutto il possibile. Questo è quello che ricordo di ciò, ma ricordo con estrema chiarezza che le informazioni provenivano da lui e che lui rivestiva un ruolo centrale nell'Università.

6. MAHA ABDELRAHMAN, supervisor di Giulio Regeni (Development Studies and the Politics of the Middle East)

  Vi ringrazio molto per l'introduzione molto gentile e per il rispetto che state dimostrando verso di me e i miei colleghi dell'università. Sono qui oggi perché sono stata supervisore di Giulio. Vorrei dire poche parole prima che si cominci con le domande e con l'esposizione degli eventi. Giulio era uno studente eccezionale. Era brillante, impegnato e molto gentile. Ho apprezzato molto il tempo trascorso con Giulio, come suo supervisore e tutto l'entusiasmo che portava nei suoi studi, nelle nostre conversazioni e in tutti gli incontri a cui ho preso parte con lui, i suoi colleghi e compagni di classe.
  L'assassinio di Giulio è stato una tragedia, tanto più per la sua famiglia e i suoi amici. So che ha avuto un effetto devastante su di me e sulla mia vita, per sempre. Non posso nemmeno iniziare a immaginare quanto la sua famiglia e i suoi amici più stretti abbiano sofferto negli ultimi quasi sei anni fino ad ora, specialmente cercando di trovare risposte per capire cosa sia successo esattamente e di dare un senso al suo omicidio insensato. Sono qui anche perché vorrei poter aiutare in qualsiasi modo, rispondere a qualsiasi domanda, far luce, chiarire e aiutare questa inchiesta che si spera possa portare alla chiusura della questione e aiutare tutte le altre indagini in corso. Capisco che vorreste che iniziassi a parlare senza essere sollecitata da nessuna domanda. Va bene, cercherò di farlo, ma vi prego di interrompermi se volete che mi fermi e chiarisca qualcosa.
  Forse dovrei iniziare dicendovi chi sono e cosa faccio. Sono un'accademica. Sono sempre stata un'accademica. Insegno all'Università di Cambridge. Sono lettrice di Development Studies and the Politics of the Middle East. Ho studiato antropologia e sociologia all'Università americana del Cairo molto tempo fa. In seguito ho ricevuto una borsa di studio per fare il mio dottorato in studi sullo sviluppo nei Paesi Bassi. Il fulcro della mia ricerca era la sociologia dello sviluppo, materia in cui ho fatto ricerche Pag. 216sulla società civile e le relazioni statali con particolare attenzione alle ONG e al loro ruolo nello sviluppo. Ho ottenuto un incarico subito dopo aver finito come lettrice e poi sono stata promossa da assistente a docente associata all'Università americana del Cairo, nel dipartimento di sociologia dove ho continuato a insegnare, supervisionare, fare lavoro amministrativo e ricerca nello stesso settore. Naturalmente, l'ambito della ricerca è andato allargandosi, fino a comprendere i movimenti sociali in Medio Oriente e in Egitto in particolare.
  Dopodiché, nel 2007, sono venuta a Cambridge, dove sono entrata al Center of development studies, che fa parte del più ampio Department of politics and international relations. Da allora, sono stata coinvolta in corsi d'insegnamento e supervisione di tantissimi studenti. Insegno a circa un centinaio di studenti o più ogni anno a livello di laurea. Seguo come supervisore vari studenti di master e dottorandi. Esamino molti dottorandi e svolgo molto lavoro amministrativo: faccio parte di commissioni, come la commissione di laurea, la commissione di deontologia, alcuni comitati di finanziamento a livello universitario. Faccio le mie ricerche. Pubblico, presento il mio lavoro in conferenze e incontri pubblici.
  Faccio qualche consulenza per organizzazioni internazionali, ma esistono accademici di vario tipo. Alcuni accademici hanno un profilo molto alto, piace loro parlare con i media, piace loro avere un ruolo politico come consiglieri del Governo. Io non sono quel tipo. Il mio lavoro è per lo più di natura molto accademica. Non ho un alto profilo pubblico, non ho una pagina web, non ho un blog. Sono solo una persona riservata. Mi piace fare il mio lavoro con i miei studenti e i miei colleghi. Tutto qua.
  Fatta questa premessa, posso probabilmente iniziare a raccontarvi di come ho incontrato Giulio e del mio rapporto con lui. Conobbi Giulio già nel 2011-2012, quando venne a Cambridge per fare i suoi studi sullo sviluppo. Ho insegnato a Giulio. Era uno studente tra i forse 65-70 che seguivano il mio corso. Ben presto Giulio è venuto da me a presentarsi dicendo che gli sarebbe piaciuto scrivere una tesi. La tesi non fa necessariamente parte del MPhil (Master). Pochissimi studenti la fanno. Come docenti, dobbiamo accertare che gli studenti che scelgono di scrivere una tesi conoscano davvero a fondo l'argomento su cui verte la loro ricerca.
  Il corso dura nove mesi. Non si può avere uno studente che arriva e dice: «Non conosco questo paese, ma mi interessa questo argomento. Potrei cominciare a leggere qualcosa». No. Bisogna accertarsi che lo studente conosca a fondo il contesto sul quale vuole fare ricerca, che abbia fatto ricerche precedenti e conosca già gran parte della letteratura sull'argomento. Giulio mi colpì molto, davvero. Si era laureato in politica mediorientale e in arabo. Era vissuto in Egitto, Siria e Libano. Era molto brillante e molto colto sull'argomento. Così ho accettato di diventare il suo supervisore e lui ha scritto una tesi sul movimento dei lavoratori in Egitto, nel periodo precedente la rivolta del 2011.
  Giulio ha trascorso nove mesi a Cambridge ed è partito appena finito il corso. Ha finito a giugno, mi ha contattato a luglio e mi ha aggiornato su quello che stava facendo nella sua vita professionale, dicendomi che aveva ottenuto i suoi voti e che era andato molto bene nel corso. Questo lo ha indotto a pensare che gli sarebbe piaciuto fare domanda per un dottorato di ricerca. Solo una breve nota. Alla fine di ogni anno accademico ho un incontro con tutti gli studenti, gli studenti del MPhil, e parlo loro del mercato del lavoro e dei futuri studi universitari. Il mio consiglio è sempre quello di fare domanda in quanti più posti sia possibile. Bisogna esplorare il terreno, sapere quali università sono adatte per te. Non va bene fare domanda solo per Cambridge perché la conosci. È un consiglio che do a tutti.
  Giulio mi scrisse dicendo che era interessato a fare un dottorato di ricerca. Se avesse fatto domanda a Cambridge, sarei stata interessata a fargli da supervisore? Io dissi che in linea di massima, in base al lavoro da lui svolto durante l'Mphil e all'esperienza che stava acquisendo in quel Pag. 217momento e al suo interesse generale per la ricerca, ero eventualmente interessata a fargli da supervisore. Ha anche detto che avrebbe fatto domanda in altre università, sia nel Regno Unito che in Europa e mi ha chiesto se gli potevo fornire lettere di raccomandazione per queste domande, al che ho detto, naturalmente, certo, lo farò. Giulio mi ha anche detto che stava contattando altri accademici per parlare della sua proposta e del suo futuro dottorato. Cosa che sapevo perché Giulio era una persona molto proattiva. Contattava costantemente altri studiosi, presentava il suo lavoro in seminari e così via. Ha fatto diversi nomi. Non so se li devo citare. Il professor Gilbert Achcar, per esempio, dell'università SOAS, ma anche Zachary Lockman e Joel Beinin, che sono i massimi esperti di storia del lavoro in Egitto. Disse che aveva incontrato Joel Beinin al Cairo per un caffè, e che era stato molto gentile con lui.

  Così abbiamo avuto diversi scambi di e-mail, Giulio e io, sui suoi piani per il dottorato, le sue idee. Mi ha parlato della sua esperienza lavorativa, che è stata molto importante, credo, per plasmare le sue idee sul lavoro che avrebbe fatto. Per esempio, Giulio ha lavorato con l'UNIDO, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Industriale, a Vienna, ma poi è stato assegnato al Cairo. Era molto contento di quell'esperienza, perché diceva che stava lavorando su ciò che gli piaceva, la politica industriale, dando consigli su aspetti relativi al lavoro, all'occupazione e all'industrializzazione del paese.
  L'ufficio dell'UNIDO in Egitto aveva sede presso il ministero dell'Industria, al Cairo. Avevano una comunicazione diretta con il ministero. In effetti il suo lavoro, con il suo supervisore, era quello di consigliare il ministero sulla politica industriale e creare un'unità di intelligence economica per il ministero. Quindi, stava facendo un'esperienza molto utile. Per intelligence, vorrei chiarire, si intende un concetto che si riferisce all'informazione e alla creazione di informazioni di base, piuttosto che qualsiasi altra cosa. Non so se questo debba essere messo a verbale o meno.
  L'impiego a cui è passato successivamente è stato un posto presso Oxford Analytica, che sicuramente molte persone conoscono. Mi ha detto che stava lavorando con tre assistenti di ricerca e stavano preparando valutazioni generali di rischio politico ed economico per potenziali clienti. In sintesi, il lavoro che fa Oxford Analytica è quello di fornire ai potenziali investitori in certi paesi informazioni generali per la valutazione della situazione politica ed economica e dei rischi di un dato paese. Anche questo è stato molto utile e a lui piaceva.
  Queste esperienze di lavoro sono state molto importanti nello sviluppo delle idee e della proposta di ricerca di Giulio a partire dal 2012, quando Giulio è venuto da me, mi ha detto che era interessato al dottorato e ha iniziato a parlare di ciò che gli interessava. Gli ho dato una serie di spunti. Spunti ad ampio raggio e di livello molto alto. I dottorandi partono o da argomenti molto vasti o da argomenti molto ristretti. Quindi, la mia prima serie di commenti sulla sua prima bozza è stata che era molto ampia. Citava così tanti temi a cui era interessato, come la politica industriale, lo sviluppo economico, il lavoro, le relazioni industriali, i movimenti sociali, le proteste. Gli ho chiesto: «Qual è esattamente il tema della tua ricerca? È ciò su cui dovresti concentrarti ora, nonché sul come farai questa ricerca».
  Ho visto varie bozze della proposta di Giulio, che non sono cambiate molto. Ha proposto un obiettivo più ristretto e un tema di ricerca più chiaro, focalizzato sui sindacati indipendenti in Egitto. Aveva parlato con diverse persone, come quelle che ho menzionato, e anche loro lo hanno aiutato a mettere a fuoco l'argomento. Aveva una proposta ben articolata che aveva cominciato a inviare a varie istituzioni e con la quale ha anche fatto domanda all'università di Cambridge. Gli ho dato altri spunti, che lo sollecitavano, lo invitavano ad allargare l'orizzonte della ricerca, che non doveva riguardare solo l'Egitto e i sindacati egiziani, ma doveva collocarla all'interno delle trasformazioni globali e collegarla ad altri Paesi dove c'erano sindacati indipendenti che avevano un ruolo importante Pag. 218 tra i lavoratori e così via. Lui ha preso in considerazione entrambi i commenti e li ha inseriti.
  Giulio ha fatto domanda, ed è stato accettato per il dottorato a Cambridge e in altre università. Gli ho fornito una lettera di referenze, come anche il professor Nolan, che era stato il suo docente. C'era anche una lettera di referenze del suo capo all'UNIDO del Cairo, che parlava molto bene di lui e della sua conoscenza politica e di come gli venivano affidati compiti di rilievo, lavori da fare, quindi la sua era una domanda molto solida che è stata accettata in diversi posti. Ho accettato di lavorare con Giulio, ma non era una decisione definitiva. Non è un accademico a poter decidere di ammettere uno studente all'università. Ci sono commissioni di ammissione e vari passaggi per il trattamento di una domanda, ma Giulio ce l'ha fatta.
  Pur venendo accettato a Cambridge e in altre università, purtroppo, Giulio non ha ottenuto finanziamenti, quindi stava proseguendo la sua esperienza di lavoro e risparmiando, pensando ai piani futuri. Nel nostro dipartimento, al Centro di Studi sullo Sviluppo, occasionalmente otteniamo alcuni finanziamenti per le borse di studio dalla School of Humanities and Social Sciences, e una di queste opportunità era disponibile. Ero venuta a saperlo da un mio collega, capo della direzione per i dottorati. Abbiamo avuto una discussione durante la riunione della commissione d'ammissione in cui abbiamo concordato che avremmo proposto i nomi dei dottorandi di tutti noi che erano già stati accettati ma non avevano ottenuto il finanziamento. Ho proposto due nomi. Uno era Giulio, l'altro una donna che alla fine non è mai arrivata, ma ho messo entrambi i nomi. Il mio collega mise due nomi. C'era anche un quinto. Dovevano poi essere classificati in base a criteri accademici, e Giulio e un altro studente erano in cima alla graduatoria.
  Quindi la decisione della commissione è stata che avremmo diviso la somma. Invece di finanziare completamente una persona, potevamo dividere l'importo, pagare tutte le quote di due persone e aiutare la terza persona con un piccolo fondo. Così distribuiamo il finanziamento e abbiamo più studenti che possono integrare le loro spese di sussistenza. Così ho scritto a Giulio e gli ho chiesto: «Ti interessa?». All'inizio ho detto: «Ti interessa?» e lui ha risposto: «Sì, molto». E ho messo il suo nome con quelli degli altri studenti, e poi ha ricevuto il finanziamento, ed era felicissimo, è venuto e ha iniziato il suo dottorato a Cambridge, nel 2014, nell'ottobre 2014. È stato allora che Giulio è arrivato e ha iniziato il suo programma di dottorato. Il dottorato può essere un processo solitario, ma noi ci adoperiamo per rendere gli studenti parte di una comunità. Così, quando Giulio arriva e durante il suo primo anno, lui, come tutti gli altri studenti di dottorato del primo anno, frequentava un seminario due volte a settimana con tutti gli altri studenti. C'era un seminario sui metodi e gli approcci di ricerca, coordinato da uno dei miei colleghi, in cui molti accademici insegnavano diversi metodi e approcci per introdurre lo studente a questi approcci, ma anche per creare una comunità in cui gli studenti potessero parlare tra loro e ricevere riscontri dagli accademici. C'era anche un seminario settimanale in cui ogni dottorando doveva presentare il proprio lavoro, parlare del proprio progetto e ricevere un riscontro dai docenti e dagli altri studenti. Quindi c'era una comunità.
  Giulio era uno studente molto proattivo, direi. Contattava diversi accademici che lavoravano nel suo campo. Posso citare il professor Will Brown, che era uno dei più importanti economisti industriali di Cambridge e che gli fu di grande aiuto fornendogli dei contatti in Egitto. All'epoca non lo sapevo, non sapevo tutto, ma più tardi seppi che il professor Brown aveva fornito a Giulio dei contatti nell'ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), nella Federazione Internazionale dei Sindacati e in altre ONG che avevano contatti al Cairo e Giulio ci teneva molto a presentare il suo lavoro e ad avere un riscontro.
  Naturalmente, il rapporto più importante per uno studente di dottorato è quello con il supervisore, e io ero il supervisore di Giulio, per cui abbiamo avuto molti contatti durante il primo anno. Ci sono diversi Pag. 219stili di supervisione del dottorato. Alcuni supervisori hanno date fisse. Devi incontrarli una volta ogni quattro settimane. Devi presentare una data cosa a una data scadenza, oppure ora ci si incontra una volta a trimestre e tanto basta. Io sono più accomodante perché so che gli studenti hanno esigenze diverse. Quindi alcuni ti chiedono molto. Altri possono lavorare in modo indipendente. Non ho un elenco, ma potrei dire facilmente che io e Giulio ci incontravamo ogni due o tre settimane, a volte per un tempo molto breve. Giulio faceva continuamente domande per finanziamenti e borse di studio, domande per conferenze. A volte semplicemente bussava alla mia porta e mi chiedeva una firma.
  Era molto curioso. Scriveva un pezzo e diceva: «Ora sto pensando a questo tema, il ruolo dello stato nello sviluppo, e ho buttato giù qualche pagina. Possiamo discuterne?» e io dicevo: «Certo», e poi lui voleva discutere diversi dettagli di un articolo che voleva scrivere. Abbiamo avuto molte discussioni su ciò che pensava, su quale sarebbe stata la sua ricerca e, naturalmente, sul dottorato stesso.
  Così, durante il primo anno di dottorato, ci si aspetta che gli studenti producano due elaborati. Il primo è un elaborato di metodologia. Come ho detto, c'è un corso che frequentano e devono scrivere che tipo di metodologia useranno e soprattutto quali sono i limiti e le criticità che questa metodologia presenta. Quindi bisogna spiegare quali sono i lati negativi e quali le criticità da affrontare e sono sicura che avete visto questo elaborato in cui Giulio evidenzia un paio di punti. Uno riguarda la sua incapacità di parlare l'arabo correntemente. Il secondo è che le persone che voleva intervistare, con cui voleva condurre le interviste, potevano sentirsi a disagio a parlare con lui di sindacati indipendenti e di questioni politiche. Ha dovuto pensare ai modi migliori per affrontare questi problemi. Lo scopo di questo elaborato è di anticipare qualsiasi cosa che potrebbe andar male, esserne consapevole e ragionarci sopra.
  L'altro elaborato è la relazione del primo anno, che è un testo scritto corposo, in cui lo studente deve scegliere un obiettivo per mostrare la sua capacità di impegnarsi nella ricerca accademica e specificare più chiaramente quali saranno i temi della ricerca, quali saranno i loro sotto-temi, in che modo realizzerà la ricerca. Se si concentra su casi di studio particolari, quali sono? Nel caso di Giulio questo non è cambiato dalla sua prima presentazione di una proposta. Riguardava i sindacati indipendenti in Egitto. Stava esaminando due tipi di sindacati indipendenti; uno per il settore formale, che era il sindacato indipendente degli esattori delle imposte. Quanto alla scelta dell'altro tipo, che è nel mercato informale, qualcosa a cui Giulio era molto interessato. Abbiamo discusso diverse opzioni, e lui si stava documentando su varie opzioni. A un certo punto stava pensando al sindacato dei trasporti pubblici, ma poi ha deciso di concentrarsi sui venditori ambulanti perché ce ne sono tantissimi ed erano molto attivi, e c'è stata qualche ricerca su di loro, limitata ma c'è stata. Così ha terminato la sua relazione del primo anno. È stato esaminato, valutato, ed è stata approvata. Una volta che questo accade, diamo inizio al processo che prepara lo studente a andare sul terreno.
  Come ho spiegato, Giulio conosceva molto bene l'Egitto. Aveva vissuto lì. Ci aveva lavorato. Aveva studiato lì. Aveva una rete di amicizie e di ex colleghi.
  Era vissuto un anno in Egitto studiando, poi ci è vissuto, credo, altri quattro mesi quando aveva questo lavoro, e anche se non ne sono proprio sicura, c'è stato anche per dei brevi soggiorni.
  Quindi sì, Giulio conosceva il paese, conosceva la situazione politica, conosceva i sindacati, aveva contatti. Fin dalla sua proposta di ricerca del 2012, cita i nomi delle varie organizzazioni con cui intendeva entrare in contatto e che lo aiuteranno, come l'Egyptian Center for Economic and Social Rights [Centro egiziano per i diritti economici e sociali], la Independent Trade Union Federation [Federazione sindacale indipendente], il Democratic Council for Independent Unions [Consiglio democratico dei sindacati indipendenti] e tante altre. Quindi era davvero consapevole del Pag. 220tipo di contesto verso il quale stava andando.
  Nel corso di questa procedura è assai opportuno che gli studenti siano affiliati localmente a un'istituzione accademica o a un centro studi e noi avevamo già iniziato a parlarne forse in aprile o maggio per avviare la procedura. La scelta più ovvia è stata l'Università americana del Cairo. È la migliore università d'Egitto. Ha una grande biblioteca, molti studiosi che vanno e vengono e fa molta ricerca. L'importanza di un'istituzione locale è che hai una persona di contatto, un contatto accademico con cui puoi discutere, e l'istituzione può fornirti lettere di raccomandazione, lettere di presentazione, facilitare l'accesso e così via. Quindi è molto importante.
  Ho lavorato all'Università americana. Avevo molti colleghi e amici, ho suggerito un paio di accademici del Dipartimento di sociologia dove lavoravo, e ho sentito la preside di Antropologia sociale. Sono sicura che avete visto la e-mail di contatto in cui le chiedo dei posti per studenti in visita, e lei risponde: «Sì, li abbiamo. Abbiamo molti studenti stranieri. Costa parecchio però. Deve pagare le tasse d'iscrizione, ma sì, fagli fare domanda. Ecco il link». Così ho inoltrato il link a Giulio e gli ho chiesto di iniziare a fare domanda.
  Discutendo fra noi sono venuti fuori altri nomi di studiosi, tra cui la professoressa Rabab Al-Mahdy, che alla fine è diventata il suo supervisore locale. Giulio ammirava il lavoro di Rabab Al-Mahdy da molto tempo. L'ha citata e ha usato il suo lavoro nella sua tesi di master nel 2011 e nel 2012, e ha detto che sarebbe stato interessato ad averla come supervisore sul campo. Ho detto che era un'ottima scelta. Lei lavora esattamente sull'argomento della sua ricerca di dottorato. È un'accademica molto stimata, ma è impegnatissima. Ha molti studenti. Lavora a diversi progetti e non ero sicura che sarebbe stata d'accordo.
  Poi è venuto il momento di iniziare a richiedere la valutazione del rischio e il permesso per lavorare fuori, che è una ampia procedura a livello universitario, e in questa procedura, questa in realtà è la fase finale. Abbiamo parlato di tutti i rischi, di tutti i problemi potenziali, di tutte le questioni di cui Giulio doveva essere consapevole, di come si proponeva di affrontarle e io ne ho menzionate alcune.
  Giulio quindi ha fatto domanda di permesso per attività fuori sede e per la valutazione del rischio, menzionando le cose di cui era preoccupato e come intendeva affrontarle. Per capirci, questa valutazione del rischio si basa sulle indicazioni date dal Ministero degli esteri alle università circa quali regioni, quali paesi siano classificati con uno dei tre colori del semaforo: rosso, giallo e verde. L'Egitto era verde, salvo alcune parti del Sinai dove c'erano scontri con gruppi terroristici, e questo era quanto. Così il modulo è stato firmato. L'ho firmato perché sapevo cosa c'era scritto ed ero d'accordo, ed è passato attraverso una serie di commissioni che lo hanno esaminato e approvato, questo succede a ogni studente, a ogni accademico che fa ricerca fuori dal Regno Unito e anche dentro il Regno Unito. Quindi non so quanto dovrei andare in dettaglio. Forse non in questa fase. Chiedetemi pure.

*****

  Con Giulio, la prima volta che abbiamo parlato delle difficoltà che si potevano incontrare nella ricerca è stato molto presto, quando stava ancora redigendo la sua proposta, e gli ho detto che la situazione in Egitto nel 2012 era instabile e che stava diventando difficile avere accesso ad alcune informazioni e che doveva essere preparato a questo. La situazione in Egitto era molto fluida. Nel 2011 c'è stata la rivolta egiziana. C'era un governo provvisorio guidato dal consiglio militare, poi ci sono state le elezioni presidenziali, le elezioni parlamentari, la stesura della costituzione, in seguito le proteste di massa contro il presidente eletto, la cacciata del presidente, il presidente ad interim, la stesura della seconda costituzione, le elezioni parlamentari e così via. Era una situazione fluida in cui soprattutto la burocrazia non funzionava molto bene, quindi il fatto di aspettarsi di andare a trovare persone che ti dessero il tempo di intervistarle e ti fornissero dati, Pag. 221grafici e cifre stava diventando problematico.
  Questa era la cosa principale di cui parlavo nelle mie comunicazioni con lui, ma anche questo si è stabilizzato nel 2015 dopo la cacciata di Morsi e l'arrivo di Sisi. Non ci sono state più proteste. Non ci sono state manifestazioni di massa e così via.
  Un'altra questione era che c'era una crescente preoccupazione per gli studiosi che venivano interrogati sulla natura delle loro ricerche accademiche. C'erano alcuni argomenti che stavano diventando sensibili, e alcuni ricercatori venivano interrogati e sottoposti a domande su di essi. I principali argomenti sensibili erano la Fratellanza Mussulmana e i gruppi islamici, i gruppi fondamentalisti islamici. E alcuni accademici egiziani, ma principalmente giornalisti, furono interrogati e arrestati. Non era un'atmosfera molto incoraggiante per studiare questi argomenti. Perciò dovevamo continuamente parlare di queste cose.
  Tuttavia, c'erano molti ricercatori stranieri ed egiziani che studiavano esattamente quello che stava studiando Giulio. Le questioni del lavoro, sì, sono questioni politiche e i sindacati lo sono, ma non hanno mai creato alcuna preoccupazione circa la sicurezza delle persone che li studiavano. In effetti, all'epoca c'erano tantissimi studenti di Cambridge, di altre università del Regno Unito, dal Nord America, contemporaneamente, che facevano esattamente lo stesso tipo di ricerca la quale in seguito è stata pubblicata. Con una semplice ricerca, possiamo trovare le liste di tutte le pubblicazioni dedicate ai sindacati indipendenti, ai venditori ambulanti. Il fatto è che lavoriamo in una comunità accademica. Sì, ci sono rischi, moduli da riempire, ma il nostro lavoro principale è quello di continuare a parlare di queste cose, guardare cosa sta succedendo, e non c'era nessuna indicazione dell'esistenza di motivi di preoccupazione per la sicurezza o l'incolumità di nessuno degli studenti e su questa base, la decisione e la discussione sono andate nel senso che lo studente poteva andare in Egitto in quel momento.

*****

  Non c'è mai stato nulla che potesse allertare me o Giulio o chiunque altro nei confronti del destino cui è andato incontro. Noi dovevamo anticipare i rischi. Dovevamo anticipare le difficoltà. E lo scenario peggiore che conoscessimo era che non ottenesse il visto o che qualcuno dicesse: «Cosa stai facendo? Questo argomento non ci piace. Perché non te ne vai?» Questo era lo scenario peggiore, ma non è mai successo né prima né dopo che un ricercatore fosse preso di mira con un tale grado di brutalità. Ma occorre notare che in Egitto ci sono studenti e ricercatori che fanno diversi tipi di ricerca.
  Alcuni stanno ancora studiando i sindacati. Altri stanno ancora studiando i Fratelli musulmani. Come facciano ciò, non lo so e non voglio saperlo, per me questo ambito è traumatico, ma tutto quello che so è che non c'è mai stata un'università o un'istituzione accademica che dicesse a uno studente, non andare in Egitto, è pericoloso. Non andare a fare ricerca sull'Egitto.
  So di istituzioni accademiche che hanno studenti che ancora si recano in Egitto e fanno il loro lavoro lì. Quindi quello che sto cercando di dire è che no, non c'è niente che in base all'argomento della ricerca di Giulio, alla valutazione dei rischi che avrebbe corso, potesse allarmare chiunque fino a dire, no, non andare, non fare questo tipo di ricerca.
  Quindi riprenderò dall'ultimo punto quando Giulio è andato in Egitto. Lì doveva rimanere per fare il suo lavoro sul campo tra settembre 2015 e marzo 2016. Abbiamo avuto diversi scambi con Giulio, di nuovo, sempre in linea con lo stile di supervisione che adottavo con lui quando era a Cambridge. Mi scriveva per darmi un aggiornamento, mi chiedeva una lettera di raccomandazione, mi chiedeva di suggerirgli delle letture e io rispondevo a queste richieste via via che arrivavano.
  Ho anche incontrato Giulio a settembre e a gennaio mentre lui era lì. In entrambe le occasioni ero andata a trovare la mia famiglia e i miei amici. Volevo incontrarlo e discutere di come si stava ambientando, a settembre. Era troppo presto per parlare di Pag. 222lavoro perché era appena arrivato. Non aveva ancora iniziato, ma solo per assicurarmi che stesse bene, era molto soddisfatto, aveva iniziato un corso di arabo.
  Ha fatto tutte le carte per l'Università americana. Ha avuto un alloggio perché uno degli argomenti che abbiamo discusso era la sicurezza dell'alloggio. Doveva vivere in un quartiere sicuro e così via. Così mi ha aggiornato su questo. Ci siamo scambiati molte, non molte in verità, ma alcune e-mail. Ora le avete viste, sono alcune e-mail in cui mi dava un paio di aggiornamenti sui progressi del suo lavoro.
  La prima era molto positiva, nel senso che diceva che il suo arabo era molto buono. Non aveva bisogno di un interprete. Così era molto meglio, aveva un buon rapporto con le persone che stava intervistando, l'ECESR, la ONG erano molto disponibili. Lo hanno presentato a molti venditori ambulanti. Nell'email successiva, diceva che stava dedicando più tempo e che stava andando molto bene.
  Diceva che stava facendo più osservazione partecipativa. Forse occorre chiarire questo punto, se non è abbastanza chiaro. Avete ascoltato abbastanza. Comunque, mi ha chiesto delle letture e io gliele ho suggerite. L'ho incontrato di nuovo a gennaio. Di nuovo, a dicembre era in vacanza. Tornò in Egitto e ci incontrammo prima della mia partenza. Mi disse di nuovo che le cose stavano andando molto bene. Pensava di aver quasi finito tutte le sue interviste con i venditori ambulanti. Aveva ancora altre interviste da fare con altri sindacati indipendenti, quelli degli esattori delle imposte e così via.
  Tornai a Cambridge e quella fu l'ultima volta che incontrai Giulio. Poi arrivò la notizia della sua scomparsa. Ho ricevuto una mail da una sua amica, una studentessa di Cambridge che si trovava al Cairo nello stesso periodo, che mi informava che la sera prima Giulio era uscito per andare da un amico e non si era presentato e il suo cellulare era spento. Mi diceva che lei e un caro amico di Giulio, uno studioso italiano che aveva vissuto e lavorato in Egitto, avevano contattato l'ambasciata italiana al Cairo e avevano informato il suo supervisore sul campo, Rabab Al-Mahdy. Ero inorridita e molto preoccupata. Mi sono venute in mente ogni sorta di idee, di scenari, che cosa poteva essere andato storto, ma la mia preoccupazione principale era quella di accertarmi che tutte le istituzioni coinvolte nel lavoro di Giulio fossero consapevoli di ciò che stava accadendo e potessero portare la cosa in alto e intervenire.
  Così ho passato quel giorno e i giorni successivi a fare da tramite con quante più persone possibile in diverse istituzioni, a volte non direttamente, ma indirettamente. Ho informato i miei colleghi, il direttore del centro, il presidente del dipartimento, che a sua volta ha informato l'agenzia assicurativa dell'università, che è responsabile della sicurezza e del benessere degli studenti.
  Sono stata messa in copia negli scambi tra il suo supervisore sul campo, il vicepresidente dell'Università americana del Cairo e l'ufficio di sicurezza dell'Università americana del Cairo. Il professor Nolan, che era il direttore del centro, era in comunicazione con le persone dell'Università americana del Cairo sopra citate, ma soprattutto, sia Rabab Al-Mahdy che Gennaro, cioè l'amico di Giulio, erano in contatto con l'ambasciata italiana al Cairo, che sembrava aver preso la guida di tutto.
  Una volta passate le 24 ore e fatta una denuncia alla polizia, hanno detto che avrebbero cominciato a fare le loro indagini e sembra che abbiano fatto proprio questo. Sapevo, tramite Rabab e Gennaro, che la cosa era salita molto in alto, che a un certo punto ha raggiunto l'ufficio del Ministro degli esteri, che l'ambasciata era molto coinvolta.
  Avevano comunicazioni dirette con le agenzie di sicurezza statali in Egitto. A un certo punto ho sentito che ci sarebbe stato un incontro tra l'ambasciatore e il ministro stesso. Il consiglio che ho ricevuto è stato che doveva essere l'ambasciata italiana a prendere l'iniziativa in qualsiasi indagine e nella ricerca di Giulio, che le altre organizzazioni, ad esempio Cambridge, non dovevano essere così coinvolte.
  Ero in frenetico contatto con tutti cercando di capire se si poteva fare qualcosa, Pag. 223immaginando ogni sorta di scenari truci, parlando con quante più persone possibile. Sapevo di non poter fare molto personalmente, ma volevo che tutti sapessero. Così ho parlato con i colleghi. Mi chiedevo se le autorità britanniche dovessero fare qualcosa. I miei colleghi del Dipartimento mi hanno messo informalmente in contatto con alcuni ex membri del Foreign Office. Ho scritto a loro e ho ricevuto lo stesso consiglio avuto dall'ambasciata italiana al Cairo.
  Giulio era un cittadino italiano. Era l'Ambasciata italiana al Cairo a dover seguire le indagini, il Foreign Office qui non ci poteva far nulla. Ancora, ero frenetica. Il tempo passava, tutti i primi scenari che avevo congetturato dovevano finire con la ricomparsa di Giulio e lui non ricompariva. Così ho iniziato a pensare a tutte le possibilità. Dovremmo rivolgerci ai media, fare una campagna, ma poi mi è pervenuta una reazione, secondo cui l'ambasciata italiana non pensava che fosse una buona cosa, che doveva essere tenuta confidenziale per il momento fino a quando loro non l'avessero resa pubblica.
  Cercavo di mettermi in contatto con la famiglia di Giulio, di fare da tramite con i suoi amici per avviare le campagne. Ma alla fine, la decisione è stata quella di mantenere un basso profilo fino a quando l'Ambasciata italiana non avesse svolto le sue indagini.
  La cosa che è successa dopo è stata l'arrivo della notizia di Giulio... L'annuncio è stato fatto dall'Ambasciata italiana, mi pare. Poi, è molto difficile dirvelo, il mio mondo è crollato. Non mi sarei mai aspettata che accadesse questo. Non succede mai. Non aveva senso. Ho avuto una specie di reazione, un crollo in cui niente aveva più senso.
  Non sapevo cosa fare. Voglio dire, non volevo fare nulla. Non aveva più senso fare nulla. C'era... non so, e ora cosa faccio?

*****

  Circa la notizia del ritrovamento del cadavere di Giulio, ho ricevuto un messaggio di posta elettronica dalla dottoressa Al-Mahdy dal Cairo perché aveva molti contatti con l'ambasciata italiana e aveva ricevuto la notizia che c'era un ricevimento all'ambasciata e che era stato fatto un annuncio in tal senso. Ma bisognava che la notizia fosse confermata il giorno dopo, cosa che è successa.
  Quindi, è così che ho ricevuto la notizia. Ho dovuto comunicare la notizia ad altri, il che è stato molto difficile. Ho dovuto informare i miei colleghi, le università, il college e così via. È toccato a me, durante questo periodo molto difficile, informare concretamente le persone e poi c'è stata una discussione sul funerale e sui preparativi per andarci.
  Ma io in quel periodo stavo davvero malissimo. Stavo andando da un terapeuta. Prendevo dei farmaci, in seguito sono stata in cura per depressione e ho preso congedo per malattia. È stata l'università a consigliarmi di andare in malattia. C'era già un'enorme attenzione dei media sul caso. Ricevevo molte richieste da parte dei media. C'erano tanti giornalisti che bussavano alla mia porta. Così mi sono trasferita nei Paesi Bassi con mio marito per la durata di questo congedo per malattia.

*****

  Quando sono venuta a sapere della scomparsa di Giulio, avevo 700 scenari che mi passavano per la testa allo stesso tempo, cambiavano ogni minuto. Uno dei primi a venirmi subito in mente è stato che era scomparso il 25 gennaio, che è l'anniversario della rivolta.
  Quell'anno non ci furono molte proteste. Normalmente ogni anno c'erano state proteste, ma quell'anno non ne era stata annunciata nessuna. Quindi non pensavo, e una delle cose principali che avevamo discusso con Giulio era che lui doveva evitare qualsiasi posto dove ci fossero proteste. Comunque, quella sera ci sarà stata una presenza di sicurezza molto forte nelle strade del Cairo e la prima cosa che mi è venuta in mente è che Giulio potesse esser stato preso per essere interrogato. Era semplicemente la persona sbagliata nel posto sbagliato al momento sbagliato e sarebbe stato preso per essere interrogato. Pag. 224
  In un certo senso ciò è ovviamente molto allarmante, ma è anche rassicurante perché se lo fosse stato, sarebbe stato rilasciato una volta che l'ambasciata italiana fosse intervenuta e avesse fatto una o due telefonate, si sarebbe saputo dove si trovava e sarebbe stato rilasciato, e nel peggiore dei casi sarebbe stato espulso dal paese. Dunque questa è stata la prima cosa che ho pensato, forse a causa della sua ricerca, è la prima volta che ho detto che, forse a causa della sua ricerca, è stato preso per essere interrogato da alcune autorità a cui non piaceva quello che stava facendo e le domande che stava facendo. Lo prendevano per chiedergli cosa stesse facendo esattamente e perché e questo era già abbastanza brutto. Ma di nuovo, lo scenario peggiore era che una volta che lo avessero interrogato gli dicessero: prendi il tuo passaporto, lascia il paese e non tornare più. Niente in alcun modo avrebbe potuto prepararmi al pensiero che questo era il destino di Giulio.
  La mia preoccupazione è aumentata enormemente dopo due o tre giorni, quando ancora non si avevano notizie di Giulio. Allora ho pensato che c'era qualcosa che non capivo. Questo non era affatto un caso del tipo di quelli che avrei potuto prevedere o lo scenario peggiore che avrei potuto immaginare, perché se si fosse verificata l'ipotesi A, B o C, ne avremmo sentito parlare. Lo scopo di qualsiasi interrogatorio, di qualsiasi indagine da parte delle autorità di sicurezza, è di dire a qualcuno non ci piace quello che stai facendo, vai via di qua.
  Ma più passava il tempo e meno l'Ambasciata italiana riusciva ad avere notizie, l'Università americana del Cairo non riusciva ad avere notizie, nessuno riusciva ad avere notizie, io ero sopraffatta dalla sensazione che ci fosse qualcosa che non capivo. Ed è stato allora che ho avuto un'autentica sensazione di panico.

*****

  Quanto a me, che Giulio fosse stato arrestato, è stata la prima cosa che mi è venuta in mente, prima di parlare con chiunque. Ho ricevuto una mail il 26 mattina, in cui si diceva che Giulio era uscito la sera prima e non era ricomparso. Questa è la prima cosa che mi è venuta in mente. Era l'anniversario, poteva esser stato preso. Quando il giorno dopo non è riapparso, ho pensato a diversi scenari, ma uno di questi era, e se fosse stato preso per interrogarlo? Non è un qualcosa a cui sono dovuta arrivare dopo una lunga discussione con qualcuno. È semplicemente una cosa che mi è venuta in mente, così come il rapimento e le bande criminali, e tante altre cose.

*****

  Lei mi chiede se Giulio abbia mai espresso preoccupazioni circa il fatto che la professoressa Rabab Al-Mahdy fosse politicamente esposta in Egitto. Mai. Di nuovo, vorrei ribadire la mia precedente esposizione del fatto che lei non era stata scelta per lui. In realtà era lui che ci teneva a che il supervisore fosse lei. Ricordo molto chiaramente che diceva, è una delle migliori nel suo campo, quando più tardi farò domanda di lavoro, la sua lettera di raccomandazione farà la differenza, e così via. Non mi ha mai manifestato alcuna preoccupazione su Rabab Al-Mahdy in alcun modo, in relazione al suo lavoro, o al suo profilo politico. Di questo tra noi non si è mai discusso.
  Posso aggiungere che la professoressa Al-Mahdy era prima di tutto un'accademica? Aveva un profilo politico, come tanti altri accademici. Aveva molti studenti. Continua a supervisionare molti studenti, a svolgere le sue attività nel paese, e a creare nuove istituzioni. Non c'è mai stato nulla che potesse suscitare qualsivoglia preoccupazione per qualcuno dei suoi studenti.

*****

  Torno a ripeterlo, Giulio non ha mai espresso alcuna preoccupazione in merito a Rabab Al-Mahdy. Non sono al corrente di questa comunicazione. Non l'ho mai vista. Non so a chi fosse destinata. E non posso davvero commentare quello che Giulio stava dicendo a qualcun altro. Penso che ci sia Pag. 225un po' di confusione qui, perché Rabab Al-Mahdy non ha mai avuto uno studente che sia stato espulso dall'Egitto. Ma ora lei cita questa storia di un libro proveniente da Israele, che riecheggia un'altra storia di cui sono a conoscenza e di cui ho parlato in precedenza, in un'altra intervista.
  Un'altra studentessa di Cambridge stava facendo una ricerca in Egitto, una ricerca di dottorato in Egitto, e non è mai stata espulsa. Si sentiva a disagio per il fatto di essere pedinata. Era una delle mie studentesse, non la studentessa di Rabab, mi ha chiamato e mi ha detto: «Ho quasi finito il mio lavoro sul campo, non mi sento a mio agio, può darsi che qualcuno mi stia pedinando, ho prenotato un biglietto e sto tornando» e io le ho detto: «Ottimo, torna indietro».
  Non è successo assolutamente nulla. Non è mai stata fermata. Non è mai stata espulsa. Non è mai stata indagata, niente e quando le ho chiesto: cosa pensi che sia successo? Perché pensi di aver avuto questa sensazione? Perché qualcuno dovrebbe essere interessato a te? Lei ha risposto: «Beh, forse ho ricevuto questo libro da un amico in Israele», con un titolo così, Conspiracy Theory, o qualcosa del genere. Quindi il fatto che ciò avesse potuto indurre qualcuno a pedinarla era una congettura. Non sappiamo se qualcuno l'abbia pedinata, lei aveva questa sensazione, ma non c'è mai stato nessuno che sia stato espulso, nessuno studente mio, né di Rabab, che sia stato espulso dal paese. Deve essere stato nel 2014, e Giulio conosceva questa persona, devono aver avuto molti contatti, erano nello stesso dipartimento e devono aver discusso di tutto. Quindi non è che questa cosa sia stata tenuta nascosta a qualcuno. Non era successo nulla, è tutto quello che posso continuare a dire. E Giulio ne era molto bene al corrente, perché conosceva la persona.

*****

  Questa domanda mi è stata fatta altre volte e la risposta è no, non ho mai ricevuto alcuna documentazione da Giulio in una qualsiasi forma scritta, manoscritta o come allegato o altro. Come ho spiegato, quando mi è stato chiesto in precedenza, non me lo sarei aspettato, perché sarebbero stati gli appunti grezzi del suo lavoro sul campo, presumo. Questa è l'impressione che ho avuto, ma poiché non ho mai visto nulla né mi è stato detto di cosa si trattasse esattamente, non lo so e poi sarebbe stato insolito e assai poco interessante. I supervisori non leggono gli appunti dei loro studenti. Sarebbe tornato, avrebbe scritto, me ne avrebbe parlato e alla fine avrebbe condiviso il tutto con me, il che è normalissimo. Ma no, non ho ricevuto nulla di scritto da lui.

*****

  So che Noura era un'amica molto intima di Giulio. Passavano molto tempo insieme. Avevano molti scambi, a livello sociale, accademico e così via, ma non ho assolutamente motivo di pensare in questi termini. Conosco Noura come studentessa e poi l'ho conosciuta meglio dopo la tragedia di Giulio. Ho saputo di questi sospetti, ma non ho assolutamente nessuna conoscenza o ragione per pensare che stesse succedendo qualcosa del genere.
  Ho letto queste affermazioni nei media, sì.

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  Ricordo che Noura, in uno degli scambi di email, disse che aveva contattato qualcuno che lavorava per la sicurezza, per chiedere dove fosse Giulio, se sapesse qualcosa, se ci fossero novità, e che lui le disse che non lo sapeva. Ciò non mi aveva spinto a dar credito a questi sospetti, perché quasi ogni persona in Egitto ha un parente o un amico di famiglia che lavora per le forze di sicurezza. È un settore enorme ed è ciò che si fa quando si ha un problema, si chiama lo zio o l'amico di famiglia che lavora con le forze di sicurezza e si chiede loro se hanno qualche informazione.
  Quindi, essendo egiziana, avrei letto questa comunicazione in quest'ottica, e questo fa parte della nostra vita quotidiana, non ha suscitato, e ancora non suscita in me Pag. 226alcun sospetto. Potrebbe aver parlato, mi ha detto, cioè, sappiamo che conosceva persone che avevano legami con la sicurezza, ma come lei altri 90 milioni di egiziani. Per me questo non vuol dir nulla che possa dar adito a sospetti. Questo vale per me. Voglio dire, io non sono lei. Sto parlando di quello che penso io. Sto facendo delle congetture in tal senso.

*****

  Ho letto di tutto questo e mi è stato già chiesto. Antipode è una nota rivista accademica di geografia, che tratta questioni di lavoro e così via. È così che l'ho conosciuta. Non avevo capito che c'era una fondazione vera e propria, ma sono andata a cercare. È una fondazione pubblica che finanzia ricercatori e istituzioni. Non ricordo di averne parlato con Giulio, e so che ci sono state critiche, ma continuo a non ricordare. Non ho trovato nessun contatto e-mail e non ricordo di averne discusso con Giulio.
  Ma ora vorrei soffermarmi su un punto, ed è che i dottorandi sono esseri umani completi. Non sono solo studenti. Hanno una vita. Fanno altre cose. Possono avere un lavoro, un lavoro retribuito. Possono dedicarsi al giornalismo. Alcuni fondano le loro ONG mentre fanno ricerca. Alcuni creano imprese legate alla ricerca e così via.
  Quindi sarebbe stata la cosa più normale del mondo, se Giulio avesse avuto altre attività che stava progettando, concependo, o cominciando, di cui non sono a conoscenza. Non che io neghi, non ho avuto nulla a che fare con questo. Forse ho passato un link. Sono un'accademica. Ho centinaia di studenti e colleghi. Ci scambiamo continuamente raccomandazioni, suggerimenti, opportunità di finanziamento. Ecco perché dico che non mi ricordo, perché voglio essere onesta. Sinceramente non mi ricordo. Ma detto questo, non vedo perché ci fosse qualcosa di insolito che avrebbe dovuto indurmi a preoccuparmi, se avessi mai saputo di ciò. Voglio dire, nessuna organizzazione finanziatrice dà soldi a singoli individui. Devono passare attraverso un'istituzione, un'organizzazione, ed essere approvati, e ci deve essere trasparenza e chiarezza.
  Giulio era una persona indipendente. Era un adulto forte che svolgeva diverse attività. Da quello che ho capito, questa organizzazione non aveva nulla di sospetto. Era perfettamente correlata alla ricerca accademica. Ora so per certo che c'è stato un problema con questa persona, il capo dell'organizzazione sindacale, ma non posso commentare quello che è successo, o come mai possa esserci stato un problema. Perché tutto ciò avrebbe dovuto concludersi con questo orribile omicidio? Anche se ci fosse stata una conversazione, una discussione, un disaccordo, come ciò poteva concludersi con questo omicidio insensato? Sono di nuovo congetture, mi dispiace, ma questa è la mia opinione personale. Non vedo il nesso.

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  Mi chiede se la ricerca professionale o l'argomento del dottorato di Giulio potessero interessare a un servizio di intelligence in Europa o in Egitto. Questa è una domanda molto difficile, e non sono sicura di come posso rispondere per essere perfettamente onesta con lei. Non so come funzionano i servizi di intelligence, l'unica cosa che posso dire è che il lavoro degli accademici è aperto al pubblico. Si fa ricerca per condividere le proprie scoperte, le proprie idee, le proprie analisi con il più vasto pubblico possibile. Voglio dire, questo è ciò che vogliamo fare, ed è ciò che siamo pagati per fare. Otteniamo posti e promozioni in base a quanto pubblichiamo, a quanta ricerca facciamo, e così via.
  Quindi mi dispiace, non capisco bene la domanda, ma non c'è nulla in quello che faccio io, o in quello che fa Giulio, o in quello che fa la maggior parte degli altri accademici che sia segreto o non condiviso, che non sia sui nostri siti web e accessibile a chiunque voglia leggere e capire. Quindi mi dispiace, ma non so come posso spiegarlo meglio.

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  Mi chiede di esprimere le mie impressioni al riguardo. Non credo. Scrivo su Pag. 227argomenti su cui scrivono altri. Non sono mai stata, non ho mai avuto alcuna preoccupazione per il tipo di lavoro che faccio e per le ricerche che faccio. Quindi, no, non ho mai avuto in vita mia alcuna preoccupazione per questo. Né l'ho avuta per Giulio, altrimenti, non ha senso. Se avessi avuto qualche preoccupazione per Giulio, non ci sarebbe stato alcun motivo per incoraggiarlo, per sostenerlo nella sua ricerca.

*****

  Quando mi è giunta la notizia dell'assassinio di Giulio, niente ha più avuto senso. Niente aveva più senso. Non riuscivo a trovare alcuna ragione o significato in quello che era successo, o in quello che succedeva intorno a me. Ho vissuto un grave trauma, e sì mi sono state diagnosticate depressione e ansia, ho assunto farmaci e sono in cura da allora. Sono tornata al lavoro e riesco a lavorare come meglio posso. Anche se i primi due o tre anni in particolare sono stati molto difficili, non riuscivo a funzionare al 100%. La mia vita è cambiata per sempre. Non c'è giorno in cui non mi svegli la mattina e la prima cosa che mi viene in mente non è la mia famiglia, non è il mio lavoro, è Giulio e quello che gli è successo. Penso a lui, ripercorro ogni dettaglio della nostra comunicazione, della nostra relazione. Cerco di pensare dove avrei dovuto fermarlo, dove avrei potuto fare qualcosa di diverso.
  Anche se ho fatto questo percorso tante volte, e razionalmente so che sì, tutto è stato fatto secondo il protocollo, secondo quanto si confà a una comunità accademica più grande, non posso che sentirmi responsabile e colpevole. So che suona male, non dovrei dirlo, ma è così. È così. È questo, semplicemente, il nocciolo della vicenda. È così ogni giorno della mia vita, e non credo che cesserà mai e non credo di volere che cessi. Quindi, trovo davvero difficile rispondere a questa domanda, ha cambiato la mia vita per sempre e non riesco nemmeno a immaginare quale sia l'effetto sulle persone più vicine a Giulio e come affrontano tutto questo.

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  Questo è molto gentile e umano, un trattamento che non ho ricevuto prima. Quindi io, sì, ho taciuto, ho perso la capacità di parlare dopo la morte di Giulio e sono stata in terapia per riuscire a trovare un po' di voce con cui parlare, ma lo trovo ancora molto difficile. Ho cercato di tenere tutto insieme dal giorno in cui ho saputo della scomparsa di Giulio. Volevo tenere insieme tutto, mi sono attribuita il ruolo di fulcro che doveva comunicare con la gente, rassicurarla, cercare un modo per trovarlo, e così via.
  Sarà irrilevante, ma visto che mi avete invitato, penso che è quello che fanno le donne. Tieni duro, cerca di portare a termine il lavoro nel miglior modo possibile, e di non infastidire gli altri con i tuoi problemi e i tuoi guai. Tieni duro, vai avanti e non parli di te stessa. E dal primo giorno sono consapevole che non si tratta di me, ma di Giulio. Quindi dimenticate me, non fate domande a me, perché parlate con me? Scopriamo cosa è successo a Giulio.

*****

  Apprezzo molto la vostra gentilezza e la vostra umanità ed è qualcosa che non ho ricevuto finora in relazione al caso di Giulio. Apprezzo la vostra preoccupazione di far sì che io dia la mia versione della storia e non rimanga in silenzio. So che ciò dà adito a tante interpretazioni e accuse, e sì, forse ho sbagliato, ma la cosa non era nelle mie mani. Ha creato, so che ha creato un sacco di percezioni in diversi ambienti su chi sono io, quali sono le mie responsabilità e quale è stato anche il mio livello di cooperazione con le indagini finora.
  So che i media hanno, alcuni settori dei media – odio generalizzare – ma alcuni settori dei media hanno lanciato parecchie accuse rivolte a me per molti versi. Compreso il fatto che non ho cooperato adeguatamente con l'indagine. Forse questa è per me una buona occasione per spiegare che questo, il fatto che io non abbia cooperato, non è successo. Ma forse bisogna approfondire un po' il contesto in cui questa cooperazione ha avuto luogo. Pag. 228
  Vorrei dire che voglio sapere cosa è successo a Giulio. Ne ho davvero bisogno per poter andare avanti con la mia vita, non ho avuto problemi a collaborare con qualsiasi indagine o inchiesta e ho risposto a tutte le domande che mi sono state fatte.
  Ma vi farò la cronistoria di quello che è successo. Sono stata ascoltata dai magistrati per la prima volta in Italia il giorno del funerale di Giulio. È stato uno dei giorni più difficili della mia vita. Era il giorno del funerale, ma è stato anche il giorno in cui ho incontrato per la prima volta la sua famiglia e gli amici con cui ero stata in comunicazione quando lui era scomparso. È stato un giorno di grande commozione per tutti. Non immaginavo che sarei stata ascoltata, non c'era stato alcun preavviso.
  Sono stata avvicinata subito dopo la funzione e seguita con i miei compagni di lutto venuti da Cambridge nel corteo che portava al cimitero, poi fermata al cimitero e mi è stato detto che mi volevano per essere ascoltata dai magistrati. Stavo andando con altre persone, quindi ci sono stati ritardi e sì, cose del genere, ma alla fine sono andata a deporre. Non c'era un traduttore, uno dei poliziotti ha fatto la traduzione. Mi hanno fatto molte domande ed ero molto angosciata. Non ho mai visto una trascrizione di questa testimonianza, quindi non ricordo tutto, ma poi ho visto un paragrafo che la riassumeva e sono inorridita.
  Ho dato informazioni sbagliate, come data dell'incontro con Giulio ho dato il 2009 anziché il 2011. Ero così travolta dalle circostanze che non avevo, così su due piedi, i dati chiari e fondamentali da dare. Non riuscivo a ricordare i nomi, né le date esatte, e così via. Come ho detto, non sapevo che c'era una trascrizione in italiano e mi è stato detto: «C'è scritto questo e questo, per favore lo firmi». Così ho firmato. Il mio passaporto è stato preso per le fotocopie, ma non mi è stato chiesto nient'altro. Non mi è stato chiesto il mio cellulare, non mi è stato chiesto il mio portatile, non mi è stato chiesto nient'altro.
  Due giorni dopo, il 14 e 15 febbraio 2016, sono rimasta davvero scioccata nel vedere i resoconti della mia testimonianza su alcuni mezzi di comunicazione italiani. Questa non è la normale prassi nel Regno Unito, credo. Prassi per cui il nome di uno specifico testimone viene discusso nei media con un commento in diretta e anche con alcune accuse che venivano fatte, non era solo un resoconto, c'erano diverse cose e ne ho rimosso la maggior parte. Ma c'era qualcosa nel senso che Cambridge stesse facendo pressione su Giulio perché intensificasse la sua ricerca sul campo e altre cose nella stessa linea. Era estremamente snervante e angosciante, e avevo l'impressione di non essere una testimone, ma accusata di qualcosa, e questo mi ha reso molto angosciata e spaventata da quel momento in poi.
  La volta successiva che mi è stato chiesto di rispondere a delle domande è stata di nuovo durante una cerimonia commemorativa per Giulio all'università, nel suo college, in giugno. Ero in Olanda, come ho detto, ma sono tornata in aereo per tre giorni appositamente per esserci e per incontrare la famiglia.
  Poi ho ricevuto una comunicazione dalla polizia di Cambridge che diceva che le autorità italiane erano qui e volevano parlare con me. Era il fine settimana e volevano parlare con me. Quello è stato di nuovo un momento molto difficile per me. Non stavo affatto bene, ero sotto farmaci, ero ancora in malattia e non potevo affrontare un'altra testimonianza. Il mio avvocato dell'epoca ha detto che si sarebbe informato se potevo rispondere alle domande per iscritto, e gli è stato assicurato che si poteva fare. Mi sono state fornite le domande, che erano le stesse che mi erano state già rivolte e ho fornito risposte scritte. Mi è stato detto che andava bene, che la cosa era stata accettata e che non c'erano altre questioni da trattare.
  Di nuovo, ovviamente c'erano i media, ma non vi voglio annoiare dicendovi che il concetto era ancora che non collaboro, che sto nascondendo delle cose, e così via. C'è poi stato un silenzio totale per più di un anno ormai, mi pare sedici mesi, in cui non ho ricevuto nessuna richiesta di domande o risposte. Fino all'ottobre 2017, quando l'università Pag. 229 ha ricevuto l'ambasciatore italiano nel Regno Unito che ha detto che volevano che io collaborassi. L'università ha ribadito la mia posizione, che naturalmente avrei collaborato. È stato solo quel giorno che non ho potuto, durante la commemorazione non ero in grado. Ma sarò lieta di rispondere volontariamente a qualsiasi domanda in qualsiasi momento, o di parlare con chiunque.
  Così, nel novembre 2017, leggo di nuovo sui media che le autorità italiane hanno emesso, o sono in procinto di emettere, un ordine europeo di indagine perché io risponda a delle domande. L'ho letto sui giornali, ne ero all'oscuro, c'era stato un silenzio totale per un periodo di 16 mesi. Ero d'accordo, naturalmente, sono sempre stata disposta a rispondere alle domande. A fine novembre è arrivata la richiesta formale ed era una richiesta per un incontro a dicembre, cosa che io non potevo fare e il mio avvocato nemmeno. Avevo piani di viaggio prenotati con tre mesi di anticipo e così il mio avvocato. Quindi abbiamo chiesto un incontro all'inizio di gennaio. Naturalmente i media ne hanno fatto di nuovo una questione, che stavo prendendo tempo, che non volevo collaborare. Ad ogni modo alla fine ci siamo accordati per una data a gennaio, inizio gennaio, e abbiamo avuto un esame testimoniale a Cambridge.
  È stata la prima volta che si è svolta un esame testimoniale davvero somigliante a un esame testimoniale, per quanto ne so. Era una data concordata in anticipo, ho avuto il tempo di ricordarmi le cose, quello che 16 mesi prima mi sarei aspettata costituisse il formato. C'erano molte persone, membri di diverse unità di polizia, compreso l'antiterrorismo e altre. Mi sono state poste molte domande e io ho risposto. C'era una traduzione formale, c'era un'adeguata traduzione nei due sensi. Per lo più mi sono state poste molte delle stesse domande, ma c'erano alcuni nuovi aspetti e questioni che gli investigatori volevano trattare con me.
  Alla fine della giornata ce ne siamo andati. Siamo tornati il giorno seguente per firmare la dichiarazione. Non entrerò in troppi dettagli, ma mi è stato detto che c'era un mandato di perquisizione della mia casa e del mio ufficio e la polizia, sia quella di Cambridge sia quella italiana, sono venute nel mio appartamento e hanno raccolto alcuni oggetti sebbene durante l'esame testimoniale abbia ripetutamente detto: «Sarò molto lieta di condividere il mio computer, le mie email, i miei telefoni, tutto ciò di cui avete bisogno». Ma avevano già un mandato per venire a perquisire la mia casa, hanno raccolto diversi oggetti, alcuni personali, altri no. È stato molto angosciante, davvero angosciante. Penso che questo abbia avuto sul mio stato un impatto maggiore che qualsiasi altra cosa, avere una perquisizione in casa che andava oltre il fatto di testimoniare o fornire informazioni. Anche il mio ufficio è stato perquisito, ovviamente, e sono stati acquisiti altri oggetti. E sì, tanto per finire, c'è stata, di nuovo, una copertura mediatica secondo cui non avevo cooperato, avevo fatto perdere tempo a tutti, non ero stata utile in nessun modo. Tutto questo ha avuto un effetto enorme su di me. Sono stata disposta in ogni fase a rispondere alle domande che mi venivano rivolte, ma in alcuni casi le circostanze sono state problematiche.

*****

  Mi chiede se nel gennaio 2018 sia stata una mia decisione quella di non rispondere direttamente alle domande degli investigatori italiani ma attraverso la polizia britannica. Niente affatto. Non ho avuto voce in capitolo sul formato dell'esame testimoniale, o su chi faceva le domande a chi. Ero seduta lì, mi venivano fatte delle domande e io rispondevo. Non era qualcosa su cui avevo voce in capitolo.

AVV. NICK VAMOS

  È una procedura assolutamente standard per le richieste di assistenza giudiziaria reciproca, quindi un ordine europeo di indagine o simili.

MAHA ABDELRAHMAN

  Non lo sapevo. Mi è stato chiesto di presentarmi quel dato giorno e di rispondere Pag. 230 alle domande che mi venivano rivolte, cosa che ho fatto.

*****

  Mi chiedete cosa io pensi sia successo a Giulio, apprezzo che comprendiate che si tratta di congetture. Non sono al corrente di altre informazioni oltre a quelle che ho condiviso. Ho detto di non ritenere che la sua ricerca sia stata responsabile, in quanto erano molte le persone che facevano lo stesso tipo di ricerca. La portavano avanti, la concludevano, la pubblicavano. Non è mai successo niente del genere, né prima né dopo, a nessun ricercatore accademico, specie se straniero.
  Giulio era trasparente sotto ogni punto di vista, per quanto l'ho conosciuto. Era un essere umano molto onesto, diretto, gentile, interessato alla ricerca e alla società. Era una persona molto sensibile. Non era immaturo. Aveva esperienza, era una persona di esperienza che aveva esperienza di lavoro e aveva già assunto in precedenza delle responsabilità. Per nessun motivo vorrei affermare che una cosa che Giulio può aver fatto, o un modo in cui ha agito, può aver portato al suo omicidio.
  So che tutti noi vogliamo trovare una ragione. Il vostro lavoro di trovare i colpevoli e dare una spiegazione è molto difficile, ma davvero non ne ho la minima idea.

*****

  Ho sentito parlare dell'incontro con il sindacalista Abdallah e della foto che era stata scattata, soltanto dopo, dai suoi amici. Non ne ero al corrente. Lui non me l'ha riferito, né mi ha riferito alcuna preoccupazione su questioni di sicurezza le volte che ho parlato con lui, o che gli ho scritto nei mesi in cui era in Egitto. C'erano molte cose di cui non ero a conoscenza, che ho saputo solo dopo il fatto dai suoi amici e colleghi, e questo non mi sorprende. Gli studenti condividono con i loro amici più di quanto non condividano con i loro supervisori, come si può intuire. Non sapevo tante cose della sua vita sociale, di questa richiesta. Non sapevo di questa foto che gli era stata scattata.
  Quindi non ero al corrente, ma avevo abbastanza fiducia nel fatto che Giulio sapesse come agire, come comportarsi, come valutare le situazioni e come reagire e chi contattare, avevo fiducia nel fatto che fosse giudizioso e facesse cose sensate. Ma no, non lo sapevo. Non posso fare congetture. Non so davvero cosa Giulio si stesse proponendo di fare, o come l'abbia comunicato a questa persona, e quali siano state le ripercussioni o altro. Davvero non lo so. So il suo nome perché ho scritto un pezzo molto tempo fa, un breve pezzo sui venditori ambulanti, in cui lui ha rilasciato un'intervista a un giornale e io l'ho citato. Quindi so che nel mondo esiste questa persona, ma non sapevo che ci fosse questa cosa in corso, immaginavo, ha perfettamente senso che Giulio lo abbia incontrato, ma non lo sapevo.

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  Certamente. Non credo esista una procedura chiara per cui chiunque faccia ricerca in Egitto è necessariamente messo sotto sorveglianza, ma c'è stata una crescita del livello di sorveglianza di alcuni ricercatori e accademici. Penso che sia più arbitrario che organizzato. Non tutti quelli che fanno ricerca sono identificati, pedinati e schedati, ma è possibile dire che alcuni ricercatori potrebbero essere messi sotto sorveglianza e ciò si collega a quanto ho detto prima, che ci sono stati ricercatori che sono stati fermati, interpellati e arrestati per essere interrogati, ad alcuni è stato negato il visto, negato l'ingresso in Egitto. Questa è la prova che c'è un certo livello di sorveglianza, arbitrario in quanto non sistematico. Quindi sì, è una possibilità. È sull'altro lato che non posso fare il collegamento o commentare, cioè che possa essere successo qualcosa che da questo ha portato a un omicidio, un omicidio feroce. Non posso fare questo salto o dare qualche indicazione su come da una cosa si sia passati all'altra.

Pag. 231

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  Ho ripensato a tutte queste cose, cercando di trovare un senso, trovare un senso è ciò che intendo fare. Davvero non posso congetturare così tanto. Ho risposto dicendo ciò che penso, ciò che so essere vero, ciò che penso sia successo, ma fino a un limite. Non so cosa ci fosse di specifico rispetto a Giulio, alla sua ricerca, ai suoi contatti, alla sua personalità. Sono davvero congetture in cui non posso inoltrarmi. Mi dispiace.

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  Per quanto riguarda la tesi, Giulio aveva una serie di domande e argomentazioni molto interessanti che voleva fare sui sindacati. Alla fine del XX secolo c'è stata una tendenza dei sindacati a usare il loro potere a livello globale, ma nel XXI secolo ci sono stati casi che mostrano un ritorno di questi sindacati in varie parti del mondo, in modo interessante nei paesi in via di sviluppo, non in Europa o in Nord America. Ecco a cosa era interessato. Perché i sindacati stavano tornando, diventando soggetti politici? In particolare, era interessato al loro ruolo nello sviluppo economico. Come possono i sindacati organizzare i lavoratori, rappresentarli e interagire con le diverse istituzioni burocratiche e statali nell'elaborazione della politica industriale e della politica economica? Così, per esempio, la questione dei sindacati informali era centrale per il suo lavoro, in quanto la maggior parte dell'economia in un paese come l'Egitto si concentra nel settore informale, dove non c'è un'organizzazione dei lavoratori. Cosa significa, se c'è un sindacato che organizza i lavoratori informali? Cosa significa per l'economia in termini di pagamento delle tasse, in termini di regolamentazione delle piramidi del lavoro? e via dicendo. Si trattava quindi della rinascita dei sindacati e della possibilità che avessero un ruolo attivo nella politica economica e come istituzioni democratiche. Fin dal primo giorno, si era concentrato sui sindacati verticisti e sui sindacati di base legati alle ONG, erano questi i principali argomenti della sua tesi.
  Davvero non posso fare ipotesi. Non sono un'esperta di relazioni internazionali o di relazioni fra Europa e Medio Oriente. So che l'Egitto e l'Italia hanno ottimi rapporti diplomatici, commerciali, educativi. Ci sono accademici e istituzioni accademiche italiane in Egitto che continuano a funzionare, le relazioni commerciali continuano a funzionare, le relazioni diplomatiche continuano a funzionare. Niente prima di questo avrebbe permesso di pensare che fosse... c'erano dei negoziati, ma i negoziati commerciali non possono essere usati, il corpo di un essere umano non può essere usato per nessuno scopo. Quindi non lo so.

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  No. Non ho avuto contatti con le autorità egiziane, né comunicazioni né problemi di sorta con i miei familiari. Quando è successa la tragedia, ero molto spaventata e preoccupata e ho immaginato tutti i tipi di scenari paranoici rispetto a ciò che poteva accadere, ma non è successo nulla.
  Sono state formulate così tante accuse nei media, sia italiani sia egiziani e altri. Sono stata dipinta in tantissimi modi, uno dei quali era che fossi un membro di spicco della Fratellanza Mussulmana. Vi posso assicurare che non lo sono. Non ho mai avuto nessuna affiliazione politica a nessuna organizzazione, in particolare non alla Fratellanza Mussulmana. Non ho nessun legame ideologico o religioso in questo senso che possa in qualche modo far ragionevolmente supporre a qualcuno che sia così. Quindi no, non lo sono.
  Vorrei soltanto ripetere quanto sia grata a voi tutti per essere venuti qui oggi e per il trattamento che mi avete riservato. Di nuovo grazie molte.

7. GLEN RANGWALA, Lecturer in Politics (Trinity College)

  Grazie per le presentazioni e grazie a tutti per essere qui. Spero che le sessioni svolte fino a questo momento siano state utili. Insegno politica a Cambridge dal 2002. Mi occupo di politica del Medio Oriente e, dal 2004, seguo molti dottorandi e altri Pag. 232studenti laureati che hanno lavorato in Medio Oriente. Ho seguito più di 20 dottorandi che hanno fatto ricerca sul campo nella regione. Quasi tutti hanno condotto ampie ricerche sul campo. Hanno dedicato molti mesi, a volte anni, all'argomento della loro ricerca e quindi, per questa ragione, conosco la procedura con cui, in primo luogo, l'Università ammette gli studenti che si presentano per studiare una certa materia in un paese del Medio Oriente e conosco il processo che consiste nel progettare il lavoro sul campo in modo collaborativo con uno studente, durante il primo e talvolta anche il secondo anno. Inoltre, conosco il processo di mantenersi in contatto con gli studenti, successivamente, e di aiutarli a indirizzare il loro lavoro mentre svolgono la ricerca sul campo.
  Da questo punto di vista, pertanto, sono forse la persona con maggiore esperienza qui a Cambridge su come funziona il lavoro sul campo in Medio Oriente, e sono molto lieto di potervene parlare. Sono anche lieto di illustrarvi quale sia stato l'effetto dell'omicidio di Giulio su Cambridge, sull'Università e sul Dipartimento presso cui studiava Giulio. Non lo conoscevo molto bene. Mi aveva contattato prima di cominciare. Avevamo parlato brevemente e poi ci siamo seduti a tavolino una sola volta, seriamente, per parlare del suo progetto di ricerca proprio prima che partisse per il lavoro sul campo. Pertanto, ho avuto una significativa conversazione con Giulio circa il suo lavoro, le sue intenzioni e le future ambizioni professionali e sono rimasto in contatto con lui per poco tempo dopo, ma non lo conoscevo molto bene. Credo pertanto che altri potranno parlarvi di lui come persona e del suo lavoro a Cambridge molto meglio di me.
  In seguito, naturalmente, ho letto il suo resoconto di primo anno e ho analizzato alcuni dei materiali che aveva elaborato in quanto dottorando. Se volete, posso parlarvene senz'altro. La mia esperienza in merito al caso di Giulio, però, riguarda più il livello istituzionale che quello personale.

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  Giulio ha iniziato a lavorare presso il Center of Development Studies che fa parte del mio Dipartimento, il POLIS. Si tratta di una sezione in un certo senso indipendente del POLIS poiché ha il proprio programma di ammissioni, il proprio programma di formazione per i dottorandi del primo anno e il proprio gruppo di supervisori. Pertanto, almeno per questo motivo, non sono stato direttamente coinvolto nell'ammissione di Giulio al Dipartimento, di cui si è invece occupato il Center of Development Studies. Tuttavia, poiché Giulio si occupava di Medio Oriente, dell'Egitto in particolare, un paese che mi interessa, lo avevo incoraggiato a venire da me e a parlarmi della sua ricerca. Ci fu quindi una breve chiacchierata all'inizio del suo primo anno, in cui abbiamo parlato delle sue idee e dei suoi programmi. All'epoca, lavoravamo nello stesso edificio, una struttura relativamente piccola sulla West Road di Cambridge, dunque mi capitava di vederlo. Giulio lavorava nel mio stesso edificio tutti i giorni, ecco perché spesso ci incontravamo e ci scambiavamo qualche parola, parlavamo degli eventi recenti in Medio Oriente, questo tipo di cose, non necessariamente accademiche, ma anche solo sociali.
  Giulio partecipava anche ad alcuni seminari che organizzavamo in Dipartimento. In quelle occasioni, invitavamo spesso oratori e tenevamo dibattiti sui temi del Medio Oriente, e Giulio spesso vi partecipava. Ma come ho detto, ci siamo seduti realmente a parlare della sua ricerca in dettaglio soltanto una volta.
  L'unica volta in cui abbiamo parlato in modo approfondito della sua ricerca risale al periodo successivo al completamento della sua relazione del primo anno, nel 2015. Si stava preparando a partire per l'Egitto e voleva parlare con qualcun altro delle sue idee, di quello che avrebbe fatto sul campo e di quella che riteneva essere la finalità del suo dottorato, delle tesi generali che stava provando a strutturare nei suoi studi di dottorato. Ecco, questi sono stati i miei rapporti con Giulio.

Pag. 233

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  Per quanto riguarda le prospettive della sua carriera accademica, abbiamo parlato un po' del suo progetto specifico, delle sue idee e delle cose che avrebbe voluto fare durante il dottorato, ma lui era anche interessato a fare esperienza di insegnamento. Molti dei nostri dottorandi, infatti, insegnano agli studenti non laureati, supervising è il termine che si usa a Cambridge e Giulio voleva diventare supervisore nel 2016, originariamente. Dato che sono io a organizzare i corsi per gli studenti non laureati, Giulio venne da me, almeno in parte, perché voleva ottenere un ruolo nel nostro programma didattico per il 2016. Voleva farlo perché stava pensando a una futura carriera accademica, e dunque maturare esperienza come insegnante è un buon modo per capire se questa carriera ti possa piacere, se tu vorrai diventare un lecturer o un supervisor nella tua carriera futura.
  Abbiamo quindi parlato ampiamente di cosa volesse dire insegnare, di quali fossero i vantaggi e le difficoltà di insegnare a una generazione più giovane di studenti. Abbiamo anche parlato delle opportunità post-dottorato. Cambridge offre molte opzioni alle persone che hanno completato il dottorato e che vogliono continuare con la carriera accademica, lavorando come ricercatori per tre o quattro anni dopo aver completato il PhD e Giulio voleva parlare anche di queste possibilità post-dottorato a Cambridge.

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  Sì, penso che Giulio fosse un buon candidato per diventare un docente. Abbiamo parlato delle sue conoscenze generali di politica del Medio Oriente, non solo dell'Egitto e non solo dell'argomento della sua ricerca, ma più in generale del campo di studi e Giulio aveva dimostrato di conoscere bene la letteratura e le prospettive di questo generale ambito di studi. È per questo che avevo raccomandato la sua ammissione all'insegnamento per il 2016, qualora lo avesse voluto, dopo aver completato il suo lavoro sul campo e lui ne era entusiasta. Anche questo mi sento di dirlo. Giulio voleva essere coinvolto in questo tipo di attività poiché la vedeva come un ponte verso la sua carriera futura.

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  Sono venuto a conoscenza della scomparsa di Giulio in Egitto come tutti gli altri, ovvero quando Maha non è riuscita a contattarlo, quando attendeva di avere sue notizie e non le ha avute. Non ricordo il giorno esatto né la persona che mi ha dato la notizia, ma ricordo che c'era conoscenza in Dipartimento che Giulio non si era fatto sentire come previsto, che non aveva fatto ritorno al suo alloggio e quindi a quel punto ne ho avuto notizia.

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  Di quei giorni a Cambridge ricordo che mi fu chiesto di rivedere le carte di Giulio. Così, rividi la sua relazione del primo anno, quella che aveva presentato alla fine del suo primo anno a Cambridge, e mi fu chiesto di leggere i documenti per vedere se ci fosse un'indicazione e se, dai suoi documenti, potessi capire in qualche modo cosa potesse essergli accaduto. La risposta fu negativa. Non vi era alcuna indicazione nei documenti, nella sua proposta di ricerca, nella sua relazione del primo anno, di ciò che potesse essergli accaduto. Non ricordo le discussioni, ma ricordo che questo è ciò che mi fu chiesto di fare in quel momento.

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  Dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, su richiesta della professoressa Abdelrahman, penso che la prima cosa che feci sia stata scrivere un articolo su Giulio per il sito web del POLIS. Ho scritto del suo lavoro, di quelli che avevo compreso essere i suoi interessi e di quelle che mi erano parse le sue future ambizioni, di ciò che voleva fare una volta completato il dottorato. Volevo semplicemente far emergere che Giulio era un accademico serio, che teneva alla sua ricerca, che teneva all'argomento Pag. 234 dei suoi studi e che stava studiando, e che era un giovane uomo perbene con enormi potenzialità in termini di carriera accademica. Volevo che passasse questo messaggio nel necrologio che scrissi per lui sul sito web del Dipartimento e ho provato a trasmetterlo in quel testo. Quando venivamo contattati spesso rimandavamo i giornalisti a quel necrologio sul sito web perché potessero ottenere quella descrizione di cosa fosse il lavoro di Giulio.
  Sono state pubblicate molte storie sui giornali, come sapete, su come egli stesse lavorando su un tema fortemente controverso dal punto di vista politico. Ho voluto semplicemente rendere noto che Giulio stava lavorando nel campo degli studi sullo sviluppo, analizzando il rapporto tra sindacati dei lavoratori e sviluppo economico, che era un tema importante ma che non riguardava l'alta politica. Non riguardava la rivoluzione, riguardava lo sviluppo economico come suo interesse primario e volevo far passare questo messaggio nel necrologio che scrissi, così che chi lo avesse letto avrebbe potuto capire meglio qual era il campo di interesse di Giulio.

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  Circa la questione se l'Università abbia fatto tutto ciò che poteva per sostenere la richiesta di verità e giustizia per l'omicidio di Giulio Regeni, è per me molto difficile rispondere giacché, naturalmente, all'epoca vi erano molte cose che non sapevo e che erano conosciute da altri nell'Università, per quello che comprendo. C'erano molte sensibilità politiche, e volevamo risposte dal governo egiziano. Dunque se l'Università avesse fatto sentire forte la sua voce, sarebbe stato quello il modo migliore per ottenere risposte dal governo egiziano? Mi resi conto di non conoscere la risposta a quella domanda e sì, furono fatte circolare petizioni, questo genere di cose, che io in genere non firmo. In linea di massima non partecipo a questo tipo di dichiarazioni, in cui si condanna qualcuno o cose del genere. Questo non l'ho fatto. Ho pensato che dovessimo trovare il modo per ottenere le migliori risposte dal governo egiziano rispetto a quanto era accaduto a Giulio e a volte si ottiene di più attraverso la diplomazia piuttosto che attraverso le dichiarazioni pubbliche. In linea generale, quindi, non ho partecipato alle critiche.
  Ho però incontrato l'ambasciatore egiziano a Londra, insieme con un certo numero di altri miei colleghi. Dev'essere stato un mese dopo il ritrovamento del corpo di Giulio. Abbiamo parlato di ciò che ritenevamo necessario da parte del governo egiziano, di cosa dovesse chiarire affinché potessimo capire cos'era accaduto a Giulio. Questa è stata l'unica azione che abbiamo intrapreso più a livello diplomatico e non mi sembra che l'abbiamo resa pubblica. La nostra intenzione era quella di mantenere una discussione aperta con l'ambasciatore egiziano. Ecco, questo è un altro aspetto di quello che ho fatto.

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  L'ambasciatore egiziano si sentì offeso dalle nostre affermazioni. Tentammo di metterla in termini diplomatici. Cercai di essere diplomatico, ma lui vide le mie affermazioni come un'accusa personale. Non sono sicuro che lo pensasse veramente o se volesse soltanto creare uno scontro, dunque non lo considerai un incontro particolarmente produttivo. Gli dicemmo che volevamo mantenere un dialogo con lui su Giulio ma lui ritenne che lo stessimo accusando e, di conseguenza, non volle rispondere alle nostre domande più circostanziate né volle impegnarsi sul programma dettagliato che volevamo portare avanti con lui. Disse che avrebbe trasmesso le nostre preoccupazioni al governo egiziano, ma non so se mai l'abbia fatto.

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  Ho incontrato l'ambasciatore insieme a un dottorando che si occupava dell'Egitto nel mio Dipartimento, al professor Willie Brown, che purtroppo è venuto a mancare un paio di anni fa, un professore di economia molto interessato ai movimenti sindacali e che conosceva un po' anche Giulio, e a un nostro collega della London School Pag. 235of Economics, un professore di studi sul Medio Oriente che non conosceva Giulio ma che aveva una lunga esperienza di lavoro in Egitto. Credo dunque che fossimo quattro o cinque. Questi sono gli unici che io ricordi e comunque non Maha Abdelrahman. Lei non fu coinvolta in questo incontro.

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  Circa le ripercussioni dell'omicidio di Giulio Regeni sulla ricerca sul campo, le rispondo che nella nostra storia avevamo avuto pochissime esperienze in cui agli studenti impegnati in ricerche sul campo era stato fatto del male a causa degli studi che stavano facendo. Dopo quanto accaduto a Giulio, dunque, abbiamo dovuto riflettere su come trovare un nuovo punto di equilibrio tra rischio e ricerca. Noi facciamo calcoli continuamente, abbiamo sempre calcolato i rischi. Quando consigliamo gli studenti, quando li ammettiamo all'Università, quando parliamo con loro delle loro proposte di ricerca, quando diamo loro il permesso di fare ricerca sul campo, pensiamo sempre ai rischi. Ma queste valutazioni dei rischi si basano sull'esperienza e, naturalmente, l'esperienza con Giulio ha avuto un effetto profondissimo sul modo in cui calcoliamo il rischio.
  Uno dei modi in cui lo abbiamo fatto è stato istituire questo nuovo organismo di ricerca, il SARAC, che effettua le valutazioni dei rischi all'interno dell'Università, a livello senior, rispetto a situazioni in cui vi è un alto potenziale di rischio in determinati paesi. Il SARAC funge ora da ampio organo universitario di valutazione dei rischi. Più in particolare, per quanto riguarda l'Egitto, attualmente il mio Dipartimento è molto riluttante ad ammettere studenti che necessitano, in ragione della loro ricerca, di fare ricerca sul campo in Egitto. Questo è ancora un tema di grande rilevanza politica e pertanto, almeno, dobbiamo poter dire agli studenti, con il cappello del POLIS, che andare a fare ricerca in Egitto li espone a un livello di rischio intensificato. Di conseguenza, in generale non abbiamo potuto ammettere studenti che avessero necessità di fare ricerca in Egitto o non abbiamo dato il permesso agli studenti in corso di fare ricerca in Egitto perché là vi è un problema di rischio.

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  Dall'omicidio di Giulio non credo vi sia stato alcuno studente impegnato in ricerche sul campo in Egitto nell'ambito del POLIS, il Dipartimento che comprende il Center of Development Studies. Una delle nostre attuali studentesse, l'ho citata prima, che venne all'incontro all'Ambasciata d'Egitto a Londra aveva programmato di tornare in Egitto. Era in Inghilterra all'epoca della morte di Giulio e aveva programmato di tornare in Egitto. Non le abbiamo dato il permesso di tornare in Egitto per la seconda fase della sua ricerca e da allora non credo vi sia stato alcun altro studente. Attualmente ho due dottorandi che si occupano dell'Egitto. Entrambi sono riusciti a fare le loro ricerche senza dover andare sul posto, ad esempio facendo interviste da remoto anziché andandovi essi stessi e questo è molto triste perché molti studenti di Cambridge, in passato, hanno condotto ricerche molto produttive in Egitto, da una varietà di differenti dipartimenti e discipline. Al momento, però, il mio Dipartimento non lo consente.

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  Circa la domanda se Giulio sia stato percepito come una potenziale minaccia dalle forze di sicurezza egiziane, per come stava realizzando la sua ricerca, credo che la ricerca di Giulio non avesse una natura specialmente politica. Abbiamo molti studenti che nel tempo hanno fatto ricerca in Egitto, soprattutto dopo il 2011, dopo la rivoluzione in Egitto del 2011. Molti studenti si sono recati nel paese e hanno lavorato su temi politicamente rilevanti in Egitto, sia dal POLIS che da altri dipartimenti del mondo. Avevamo molti studenti che andavano a fare ricerca lì prima. E per tornare al punto da lei sollevato, molti di essi erano europei, parlavano arabo e provenivano da un'università come Cambridge. Pag. 236Molti dei nostri studenti hanno anche seguito corsi di lingua sul posto, quindi avevamo ottimi legami con l'Egitto anche per quanto riguarda l'apprendimento della lingua e molti dei nostri studenti facevano dei soggiorni in Egitto per un certo periodo per migliorare il loro arabo. In questo contesto, Giulio era uno dei molti studenti che trascorrevano un periodo di tempo in Egitto, per studiare temi che riguardavano la società, l'economia e la cultura dell'Egitto moderno.
  Non vi era niente di specialmente politico nel lavoro di Giulio. Dopo tutto, stava lavorando su un gruppo di sindacati legalizzati. Si occupava di sindacati che l'Egitto aveva legalizzato nel 2008. Non si occupava di movimenti illegali o di movimenti politici. Lavorava su un gruppo di istituzioni legalizzate all'interno del paese. Nei suoi programmi rientravano anche colloqui con imprenditori e ministri, dunque non vi era nulla di clandestino o segreto in quello che faceva. Egli era trasparente circa le finalità della sua ricerca. Tutti questi elementi conducono a un rischio abbastanza basso nel contesto in cui si trovava Giulio.
  Se fosse andato in giro a fare domande sulle forze di sicurezza, allora sì, quella sarebbe stata una categoria ad alto rischio, ma così non era. Le domande di Giulio riguardavano l'organizzazione dei venditori ambulanti, che si stavano costituendo legalmente in sindacato. Questo non sembrava un tema particolarmente controverso dal punto di vista politico nel 2015 o 2016. Era un argomento che, in qualche modo, si collocava al di sotto di tale categoria di sicurezza. E quindi, almeno per questo motivo, ritengo che la valutazione che il lavoro di Giulio fosse a basso rischio era all'epoca plausibile.

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  Sul fatto che l'attività di Giulio possa essere stata percepita come una minaccia, magari perché si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, quello che posso dire è che, in generale, la risposta più comune a una situazione del genere, da parte dei governi, è sempre stata la revoca del visto dello studente. Ci sono capitate situazioni del genere in passato, non necessariamente con l'Egitto ma con altri paesi del Medio Oriente, in cui a uno studente è stato revocato il visto o non gli è stato concesso il visto per tornare nel Paese per ricerche future. In un numero limitato di casi, so di studenti che sono stati di fatto condotti in aeroporto e messi su un aereo affinché lasciassero il Paese. Questa è stata, fino al caso di Giulio, la reazione usuale avuta dai governi nei confronti di persone, ricercatori stranieri, percepiti in un certo senso come un rischio per la sicurezza. In questo senso quindi sì, c'è un rischio, ma è il rischio di essere espulsi dal Paese, non di essere assassinati, quello che siamo abituati a vedere in Politics and international studies.

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  Credo che una cosa che possiamo sapere solo retrospettivamente è come ben organizzate erano le forze di sicurezza egiziane. Dunque le forze di intelligence egiziane, le forze di sicurezza egiziane sono strumenti potenti nel Paese e lo erano anche dopo la caduta di Mubarak. Quello che secondo me molti di noi hanno compreso nel 2015 o nel 2016 è che queste stesse forze sono state sottoposte a un nuovo potere, quello di Abdel Fattah al-Sisi, che aveva assunto il controllo di queste istituzioni. Credo che sia legittimo chiedersi quanto solido era effettivamente il suo controllo su queste istituzioni nel 2015-2016? Queste istituzioni operavano sostanzialmente in autonomia oppure rispondevano a un qualche comando centralizzato? All'epoca, pensammo fosse un nuovo leader che voleva migliorare la sua reputazione agli occhi dell'Occidente, instaurare legami solidi con gli Stati Uniti e i Paesi europei e che avesse il controllo di questo apparato. Credo che, nel 2015, questa valutazione fosse plausibile. Ora, naturalmente, sono meno fiducioso che quella fosse una comprensione plausibile di come fosse il regime egiziano a quel tempo.

Pag. 237

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  Circa la domanda su quali pressioni esercitare sull'autorità egiziana affinché collabori per la ricerca della verità e della giustizia, temo che quello che sto per dirle le risulterà scontato, ma è comunque importante che questo resti un problema nelle relazioni tra i paesi europei e il governo egiziano. Se si permette che svanisca, se si permette che venga dimenticato, non ci sarà responsabilità. La migliore speranza perché ci sia responsabilità è che esso continui a rimanere un problema significativo nelle relazioni internazionali tra i paesi europei, non solo l'Italia ma anche altri paesi europei, e il governo egiziano. L'Egitto resta un paese la cui economia è ancora fortemente dipendente dalle sue relazioni estere. È un paese che rimane in una posizione che lo rende bisognoso di investimenti esteri, di prestiti esteri, di investimenti esteri provenienti da un'ampia gamma di fonti. L'Egitto presterà attenzione alla sua immagine nel mondo ed evidentemente questo è un problema che pregiudica gravemente l'immagine dell'Egitto nel mondo.

8. SUSAN SMITH, Mistress del Girton College

  Forse sarebbe più semplice formulare delle domande, perché questo è il formato che avevo preparato, ma posso iniziare delineando il contesto. Avete già parlato di come il college si articola nell'ambito dell'Università? In tal modo potrete comprenderne la struttura perché è un sistema inusuale. Secondo me, l'elemento fondamentale è che un corso di studi a Cambridge è residenziale, è un'esperienza educativa. Per questo gli studenti devono stare qui per ottenere il titolo accademico e devono far parte di un college per completare gli studi universitari a Cambridge. È un sistema molto interconnesso.
  Giulio era dunque membro del nostro college quando è venuto la prima volta all'università per seguire il Master nel 2011, e poi ancora quando è tornato per svolgere il suo dottorato di ricerca, il PhD.
  I college per gli studenti post-laurea si occupano di tutto quello che non è istruzione specialistica su una materia specifica (a meno che il supervisore sia un collega del college, ma non era il caso di Giulio). Un college come il Girton serve a costruire l'esperienza educativa generale degli studenti che hanno l'opportunità di praticare sport, fare musica e attività artistiche. Incoraggiamo il pensiero multidisciplinare e lo scambio tra i nostri laureati. Ci occupiamo di competenze trasferibili, capacità di comunicazione e di una serie di altre cose, ma non delle materie specialistiche, perché accettiamo studenti di praticamente tutte le materie che si insegnano all'Università di Cambridge. Essendo una piccola istituzione non avremmo ovviamente le competenze necessarie per affrontare la materia specialistica. Questa è la divisione dei compiti. Giulio era membro del nostro Middle Combination Room, come viene chiamato, ovvero la comunità post-laurea. Questo era il senso della sua appartenenza alla comunità.
  Per quanto riguarda il suo periodo di studi fuori sede per la ricerca per il PhD, il nostro ruolo è stato veramente limitato. Quando uno studente è a Cambridge presso il proprio college ha un tutor personale per il suo benessere. Il tutor è disponibile, ad esempio, se uno studente ha – ed è molto comune tra gli studenti, anche se non è successo nel caso di Giulio, per quanto a mia conoscenza – problemi di salute mentale, il tutor gli trova un aiuto e si accerta che abbia la migliore assistenza possibile. In tal caso, il tutor ha questo ruolo. Un ruolo del tutor è anche quello di assicurare che gli studenti abbiano il sostegno finanziario sufficiente per mantenersi o nell'aiutarli a procurarselo e i tutor del college li aiutiamo a cercare borse di studio o altri fondi speciali per studenti in difficoltà economiche o analoghi tipi di supporto. Credo che in realtà abbiamo aiutato Giulio a cercare dei fondi per mantenersi nel periodo in cui avrebbe effettuato la sua ricerca all'estero.
  Questa è la nostra funzione principale qui.
  Probabilmente avete già parlato del processo di valutazione del rischio. Anche in questo abbiamo avuto un ruolo limitato, Pag. 238ovvero abbiamo solo firmato l'autorizzazione alla richiesta di permesso di lavoro fuori sede. Abbiamo chiesto un parere al suo tutor e abbiamo fatto alcune domande, ad esempio se ci fossero ristrettezze finanziarie tali da poter creare problemi economici sul campo, se ci fossero problemi di salute mentale o disabilità che avrebbero potuto interferire con il lavoro sul campo e di cui il Dipartimento non fosse a conoscenza. Insomma, questo tipo di informazioni. Quando non emergono né problemi finanziari pressanti né problemi psicologici, normalmente siamo ben contenti di firmare il modulo di autorizzazione. Dobbiamo firmarlo perché dobbiamo sapere che quello studente non sarà residente a Cambridge per quel periodo. Perché se gli studenti non sono residenti a Cambridge e vanno via senza permesso potrebbero non ottenere il titolo accademico, dato che gli studenti sono tenuti a essere residenti nei periodi in cui studiano a Cambridge. Pertanto, dobbiamo sempre sapere quando sono fuori e perché sono andati fuori.
  Non ho da aggiungere altro per descrivere il contesto, ma sarò lieta di rispondere se ci sono particolari aspetti di vostro interesse.

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  Per quanto riguarda la prima domanda, ovvero come uno studente arriva in un college a Cambridge, si tratta di un aspetto interessante. Alla gente piace capire come funziona. Per uno studente già laureato, l'ammissione all'università e a un college, per studiare e ottenere un titolo accademico, è fatta dal Dipartimento. La procedura è invece diversa per chi non è laureato. Una volta che uno studente è ammesso a frequentare un corso all'università, viene assegnato a un college. Gli studenti già laureati possono indicare, al momento dell'iscrizione, una preferenza sul college o meglio, due preferenze.
  Supponendo che questa procedura potesse interessarvi, ho fatto una verifica e, di fatto, Giulio, in entrambe le occasioni in cui è venuto a Cambridge, aveva scelto altri college. Non ne sono certa, ma credo che la ragione di questa scelta diversa, come spesso accade con gli studenti già laureati, è perché i college che aveva scelto dispongono di maggiori risorse finanziarie. Gli studenti già laureati quasi sempre hanno bisogno di borse di studio extra, di un ulteriore sostegno finanziario. I finanziamenti per gli studenti universitari sono difficili da ottenere nel Regno Unito. Non mi sorprende affatto, quindi, che il Girton non sia la prima scelta, perché non disponiamo per il supporto alle ricerche post-laurea delle stesse risorse finanziarie di altri grandi college del centro città.
  Ciò che sarà successo dopo la sua ammissione è che, per una qualche ragione, non è stato assegnato ai college che aveva indicato e anche questo non mi sorprende. Ci sono tantissime richieste, molti studenti che si mettono in lista per gli stessi college. C'è un responsabile delle assegnazioni che, la prima volta, lo avrà assegnato al Girton in maniera più o meno casuale. Nel secondo caso, quando è tornato per il PhD, avendo già studiato al Girton in precedenza, il responsabile delle assegnazioni lo avrà assegnato di preferenza allo stesso college. C'è un margine di casualità nel sistema. Questa è la procedura.
  Rispetto a cosa è cambiato nel college, una tragedia come questa non è paragonabile a nulla di quello che ho mai vissuto nella mia carriera. Una volta che uno studente è in un college, ovviamente diventa molto coinvolto con esso. È una grande comunità di amici. Non è una cosa che si possa superare. In termini di impatto sullo stato d'animo del college, penso che questa esperienza rimarrà per molto tempo. Commemoriamo sempre la sua scomparsa e il suo omicidio. Ogni anno dedichiamo del tempo al suo ricordo.
  Credo che davvero ci ricordi che comunità affiatata è un college. Ovviamente abbiamo passato in rassegna le nostre procedure. Ci siamo accertati di aver fatto tutto quello che poteva e doveva essere fatto. Penso che le procedure che avevamo al tempo e che erano solide siano rimaste praticamente le stesse, ad eccezione delle procedure dell'università sul lavoro di ricerca Pag. 239 fuori sede che sono cambiate e noi ci siamo adattati, come è normale.
  Se state pensando a qualche aspetto in particolare, cercherò di rispondere in maniera più esauriente.

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  Certo, come immaginerete, dopo l'omicidio di Giulio, abbiamo rivisto tutto. Il principale cambiamento ha riguardato il processo di valutazione del rischio che, penso, è oggetto dell'interesse delle persone quando si pensa all'autorizzazione per svolgere il lavoro di ricerca all'estero. Al riguardo, il principale cambiamento è avvenuto a livello dell'università, dove è stata creata una nuova commissione, sicuramente ne avrete sentito parlare, per la gestione del rischio elevato.
  Dal nostro punto di vista, non abbiamo però la competenza necessaria per valutare se uno studente dovrebbe realizzare un progetto specifico in un'area specifica. Penso che creeremmo più difficoltà di quante non ne risolveremmo se provassimo ad avventurarci in questo campo. Quindi le nostre procedure sono realmente chiedere, c'era qualcosa che, a nostra conoscenza, poteva impedirgli di andare all'estero o di lavorare in questo campo? Su questo ci sono stati molti controlli incrociati. Aveva un tutor personale che avrebbe saputo, si spera, se ci fossero stati problemi di benessere o finanziari. Abbiamo un ufficio che controlla tutte le carte e si accerta che sia tutto a posto, ma non c'è nient'altro che un college possa fare in questa procedura, credo.

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  Il college e l'università hanno lavorato congiuntamente su questo aspetto, ovvero esercitare pressioni per ottenere la collaborazione delle autorità egiziane per la ricerca della verità. La prima cosa che abbiamo fatto nel college, tra la scomparsa di Giulio e il ritrovamento del suo corpo, è stato vedere se c'era qualcosa che potessimo fare. Secondo alcuni, fare pubblicità poteva essere la soluzione, ma ci hanno assicurato, attraverso il Dipartimento per la comunicazione dell'università, che legalmente e in termini di protocollo diplomatico, il processo doveva essere guidato dagli italiani e che non sarebbe stato fruttuoso pubblicare comunicati stampa o scrivere lettere per conto nostro. Penso che questa fosse anche la posizione dei genitori, soprattutto dopo il ritrovamento del corpo. Quindi abbiamo continuato a discutere su quale fosse la cosa migliore da fare. Dopo aver parlato con l'università, ho contattato l'ambasciatore britannico al Cairo per ottenere rassicurazioni se ci fosse qualunque cosa d'altro che potessimo fare, ma anche per chiedere quali fossero le intenzioni del governo britannico.

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  Ho contattato personalmente l'ambasciatore John Casson, all'epoca in Egitto. La mia preoccupazione era se, dato che Giulio era stato uno studente di una università britannica per alcuni anni, il governo britannico dovesse fare di più. Lui mi ha ribadito che, legalmente e in termini di protocollo diplomatico, il suo ruolo era quello di supportare le autorità italiane, ma ha anche aggiunto che, dietro le quinte, stava facendo tutto il possibile per dare un sostegno. Il college ha intrapreso questi passi e questa è stata la risposta ricevuta.
  Gli avevo scritto di nuovo dopo quanto avvenuto al Cairo, non ricordo esattamente i dettagli temporali, allorché fu ventilato che Giulio potesse essere stato ucciso da una gang, e gli ho scritto, poiché non lo ritenevo credibile, chiedendogli nuovamente cosa potesse fare il governo britannico. L'ambasciatore mi ha detto di scrivere al ministero degli Esteri, dove ho preso contatto con il signor Ellwood. Avrei dovuto incontrarlo, ma c'erano stati dei cambiamenti al Foreign Office e allora questo caso è stato preso in carico dalla pro vice-chancellor Eilís Ferran, che probabilmente ha parlato con loro.

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  Per ricordare la figura di Giulio, facciamo una commemorazione ogni anno. La Pag. 240prima cerimonia commemorativa è stata a giugno del primo anno, ma da allora teniamo un evento commemorativo o veglia ogni anno, tra il 25 gennaio e il 3 febbraio. Quest'anno era il quinto anniversario, ma a causa del COVID in suo ricordo abbiamo tenuto accesa una candela per tutto il periodo. Poi lo ricordiamo sempre sul nostro sito web.
  Quello che vorremo fare è creare una borsa di studio in suo nome, ma, come forse saprete, i genitori preferiscono che noi si aspetti. All'inizio erano entusiasti dell'idea, ma poi penso che abbiano deciso di aspettare la conclusione della vicenda processuale. Spero comunque che ci permettano di farlo perché mi sembra la cosa più giusta da fare creare una borsa di studio per qualcuno che lavori nel settore dei diritti umani. Abbiamo già destinato dei fondi a tale scopo e pensiamo di istituirla quando i genitori saranno a proprio agio con ciò, visto che al momento non vogliono che noi lo si faccia.

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  Circa le iniziative che l'Università e il college hanno assunto, abbiamo pubblicato numerosi comunicati chiedendo verità e giustizia per Giulio, di regola firmati sia da me sia dal vice-chancellor. Ce n'è tutta una serie sul sito dell'università e penso possiate scaricarli. Lo scorso anno accademico, in vista del quinto anniversario, abbiamo anche lanciato una petizione, che ha ottenuto moltissime firme.
  Penso che siamo stati sempre assolutamente coerenti nel chiedere al governo egiziano di cooperare con le autorità italiane e di fare spazio alla verità, trovare una strada verso la giustizia e permettere alla famiglia di Giulio di trovare un po' di pace, almeno sapendo chi sono i responsabili e che sono stati assicurati alla giustizia.

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  La credibilità dell'università dipende dalla sua capacità di svolgere ricerca in maniera libera e indipendente sui temi che ritiene importanti. Credo che tutto il mondo universitario chieda libertà nello svolgimento della ricerca, una ricerca che deve essere legittima, su un argomento credibile e effettuata utilizzando standard professionali. Gli studenti di dottorato frequentano un corso di ricerca, ma sono ricercatori professionisti che svolgono una ricerca indipendente e professionale, con il sostegno dell'istituzione a cui appartengono. Penso che il successo o il fallimento di tutto il settore universitario dipenda dalla capacità di affermare questo principio. Credo che siamo tutti schietti sul punto. Come è giusto che sia.

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  Non conoscevo benissimo Giulio. All'epoca probabilmente, sto cercando oggi di ricordare, avevo forse 250 studenti del corso post-laurea. Essendo a capo della struttura, li incontravo tutti prima o poi. Viveva a Wolfson Court, una specie di comunità satellite che non si trova nella sede principale del college e quindi non ho interagito con lui con la stessa frequenza degli studenti che abitavano nel corpo centrale. Quello che so per certo è che era molto amato, un membro molto popolare del MCR (Middle Combination Room). Era un amico cordiale. Era molto apprezzato dalla comunità di Wolfson Court dove viveva ed era una risorsa per il college.

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  Circa il documentario egiziano diffuso recentemente sui social media di cui mi parla, non ricordo se l'università abbia emesso un comunicato in proposito, ma comunque per me è una tesi veramente fantasiosa. Davvero, sono qui da oltre 12 anni e non ho mai incontrato nessuno che potesse dare la benché minima impressione di essere reclutato da una qualche agenzia di spie del governo. Mi sembra veramente una storia inventata, assolutamente incredibile. Niente di simile è mai arrivato sulla mia scrivania. Non posso proprio vedere nessuna particolare ragione. Non ho mai visto nulla che possa suggerire che sia un Pag. 241minimo credibile. Non perché non abbiamo studenti che vanno all'estero, ne abbiamo tanti, e tanti studenti dell'università in passato hanno fatto ricerca in Egitto e in altri Paesi, ma le vecchie storie sulla guerra fredda sono ormai un retaggio del passato.

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  Mi chiede se l'Università avrebbe dovuto reagire alle illazioni diffuse nel documentario secondo cui Cambridge sarebbe un luogo di reclutamento di spie. È difficile per me rispondere, perché non ho visto il documentario e dunque non ho visto nessuno degli elementi riguardo ai quali l'Università potrebbe voler agire. Se ci fosse qualcosa che riguarda il college, sarei pronta a vederlo e a fare una valutazione, ma non posso parlare a nome dell'Università e quindi non posso rispondere a questa domanda. Se l'Università si fosse direttamente confrontata con ciò, penserei che sarebbe stata felice di negare, ma non è di mia competenza.
  Quello che posso dirle è che non ho visto il documentario e non so esattamente cosa dicesse, non ho letto la stampa italiana e non posso parlare a nome dell'università per dire cosa avrebbero dovuto fare. Sono disponibile a vederlo, soprattutto se si fa in qualche modo riferimento al college, e a fare un intervento.

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  Non ho mai avuto esperienze del fatto che agenzie di intelligence orientassero qualche campo di ricerca perché interessate all'analisi teorica. L'unica cosa che posso aggiungere è che ai sensi della legge «UK Prevent legislation», nel college e nell'università dobbiamo sempre stare attenti a chi parla in ambito accademico, ma io non ho conoscenza dell'attività di agenzie di intelligence nel college o nell'università.

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  No, non ho avuto relazioni dirette con le autorità italiane rispetto alla vicenda di Giulio. Solo attraverso la relazione stabilita nell'ambito universitario, che ha incluso, attraverso i legali dell'Università, che il college ha fornito un file completo di informazioni rilevanti al Pubblico Ministero italiano al fine di aiutare la loro indagine.
  Giusto prima del ritrovamento del corpo di Giulio ho chiamato l'Ambasciata italiana al Cairo e ho parlato brevemente con qualcuno che sembrava non sapere che Giulio fosse uno studente di Cambridge. Non ricordo come ci siamo lasciati sul punto (è possibile che io abbia lasciato i miei contatti), ma poco tempo dopo il corpo di Giulio è stato ritrovato e io non avevo titolo per interagire con l'Ambasciata dopo ciò.
  Come tutti, desidero veramente che venga fatta piena luce su questa tragedia. Sto cercando di pensare se ci sia qualcos'altro che possa esservi utile, ma non mi sembra. Mi dispiace, ma non ho altri elementi utili da aggiungere.

9. ANNE ALEXANDER (contributo scritto)

  Gentile presidente Palazzotto e onorevoli membri della Commissione, sono la dottoressa Anne Alexander e sono ricercatrice associata presso l'Università di Cambridge.
  Ho avuto soltanto un'unica vera e propria conversazione con Giulio e l'ho brevemente incontrato un altro paio di volte. Tutti questi incontri hanno avuto luogo all'Alison Richard Building di Cambridge, dove entrambi lavoravamo durante l'anno accademico 2014-15. Ricordo che in un'occasione abbiamo parlato per circa mezz'ora, mentre le altre volte ci siamo brevemente rivolti un saluto incrociandoci. Giulio mi ha contattato in quanto avevamo interessi di ricerca comuni. Mi ha invitato ad assistere alla sua presentazione propedeutica per il passaggio dal master al dottorato, ma purtroppo non sono riuscita a parteciparvi. L'unica conversazione che abbiamo avuto si è incentrata sul quadro teorico della sua ricerca: Giulio era interessato a comprendere la burocrazia sindacale. Non abbiamo assolutamente affrontato la parte pratica del suo progetto: dove potesse andare in Egitto e chi avrebbe Pag. 242potuto incontrare. Non ho avuto alcun ruolo formale o informale nella supervisione di Giulio e non ho avuto alcun ruolo nel determinare la sua proposta di ricerca, o aiutarlo a pianificare e preparare il lavoro sul campo. In egual misura, non abbiamo avuto nessun contatto sul piano dell'attivismo politico o di conoscenze condivise.
  È stato un fortissimo shock leggere sui social media della sua scomparsa e successivamente apprendere della sua uccisione dagli articoli di giornale. Ricordo di essermi sentita sconvolta rispetto al fatto che fosse stato ucciso un giovane collega il cui lavoro accademico desideravo di poter leggere non appena fosse stato pubblicato. Non oso immaginare la sofferenza che la sua famiglia, i suoi amici più cari e i colleghi devono aver patito quando hanno appreso la notizia e come possano sentirsi ancora oggi. È stato scioccante anche sapere come è stato ucciso, perché, nonostante le violazioni dei diritti umani e della libertà d'espressione messe in atto dal regime egiziano siano state documentate dalle organizzazioni per i diritti umani, nessun ricercatore straniero era mai stato colpito in un simile modo, per quanto ne sapessi.
  La dottoressa Maha Abdelrahman, la relatrice di Giulio, è una studiosa e una ricercatrice i cui lavori ho sempre tenuto in grande considerazione. Siamo state colleghe per parecchi anni, anche se principalmente accomunate dagli stessi interessi di ricerca piuttosto che dall'aver lavorato insieme in modo diretto. Non lavoro nello stesso dipartimento o centro della dottoressa Abdelrahman e così ci incontravamo tre o quattro volte all'anno in caffetteria o a un seminario, ma non si trattava di interazioni regolari concernenti il lavoro. Non abbiamo mai discusso i propositi di Giulio per il suo lavoro sul campo o per la progettazione della sua ricerca. Inoltre, non ho avuto alcun contatto con il tutor universitario di Giulio.
  Dopo il ritrovamento del corpo di Giulio, ho contattato alcuni colleghi di Amnesty International, visto che grazie al mio attivismo come sindacalista ero a conoscenza del loro lavoro nel documentare le violazioni dei diritti umani in Egitto. Ho sostenuto la campagna collegata alla scomparsa e uccisione di Giulio che Amnesty International ha organizzato attraverso le sue sedi in Italia e nel Regno unito nel corso di svariati anni. La campagna consisteva in firmare petizioni, partecipare a veglie e incoraggiare altri colleghi accademici e sindacalisti, a Cambridge e non solo, a sostenere la campagna. Una delle principali strutture a sostegno di questa campagna nel Regno unito è stato il mio sindacato UCU che rappresenta oltre 110 mila accademici e membri del personale accademico nelle università e in altre strutture educative. Ho contattato rappresentanti locali e nazionali della UCU chiedendo di collaborare con Amnesty UK per sostenere la campagna per Giulio. Il segretario generale di UCU e il presidente della sezione UCU di Cambridge hanno scritto all'ambasciatore egiziano a Londra per spronare le autorità egiziane alla piena collaborazione alle indagini sull'omicidio di Giulio. La sezione di Cambridge di Amnesty e UCU hanno organizzato con regolarità eventi commemorativi per Giulio a Cambridge ogni anno a partire dal 2017, coordinandosi con le veglie e le proteste in Italia (l'evento del 2021 si è svolto online a causa delle restrizioni per il Covid-19). Rappresentanti dell'ufficio nazionale britannico di Amnesty e la leadership nazionale di UCU hanno inoltre coordinato una protesta annuale fuori dall'ambasciata egiziana fino a quest'anno. I delegati al congresso annuale di UCU, in svariate occasioni, hanno preso parte alle attività a sostegno della campagna di Amnesty e le informazioni su di essa sono state fatte circolare tra gli iscritti al sindacato.

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ALLEGATO 3

DELIBERA SULLA PUBBLICITÀ DI ATTI E DOCUMENTI FORMATI
O ACQUISITI DALLA COMMISSIONE.

  La Commissione delibera di rendere pubblici i documenti formati o acquisiti fino alla data di cessazione della sua attività, ad eccezione di:

   1. atti e documenti attinenti a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini, qualora permangano le ragioni della segretezza, in relazione allo stato del procedimento;

   2. atti formalmente classificati (da riservati in su) dall'autorità amministrativa o di Governo che li ha trasmessi e la cui classificazione non sia stata modificata dall'autorità predetta entro 60 giorni dalla comunicazione inviata a tal fine;

   3. atti su cui la Commissione ha posto il segreto funzionale;

   4. documenti anonimi o apocrifi;

   5. atti provenienti da privati (persone fisiche, persone giuridiche ed enti di fatto) che abbiano fatto richiesta di uso riservato;

   6. documenti il cui contenuto non è direttamente connesso all'oggetto dell'inchiesta.

  Sono altresì pubblici i resoconti stenografici delle sedute della Commissione con esclusione di quelli (o delle parti di quelli) sottoposti a regime di segretezza.
  La pubblicità degli atti formati dall'autorità giudiziaria, da organi di polizia giudiziaria, da autorità amministrative o di governo sarà preceduta in ogni caso da una verifica sull'esistenza o sul permanere di eventuali vincoli di segretezza o ragioni di riservatezza.
  La Commissione stabilisce di mantenere segreti i processi verbali delle sedute della Commissione e delle riunioni dell'Ufficio di presidenza.
  La Commissione stabilisce che gli atti per i quali si sia accertato il permanere del vincolo di segretezza o di riservatezza resteranno assoggettati al proprio regime di classificazione per anni venti, decorrenti dalla data di cessazione dell'attività della Commissione (cioè dal giorno antecedente a quello della prima riunione delle Camere della XVIII legislatura), salvo che la normativa vigente non preveda limiti ulteriori.
  Si dà mandato agli Uffici di segreteria della Commissione di custodire gli atti e i documenti formati o acquisiti e di provvedere al loro versamento – in forma cartacea e digitale – all'Archivio storico della Camera dei deputati.
  La Commissione stabilisce inoltre che la documentazione pervenuta oltre tale termine sia restituita al mittente.
  Le sopradette attività dovranno essere svolte nel rispetto del regime degli atti entro e non oltre il 30 giugno 2022.
  Allo scopo di rendere la documentazione fruibile nei tempi più brevi, la Commissione dispone di trasferire la documentazione all'Archivio storico della Camera dei deputati con versamenti parziali, iniziando da atti e documenti classificati come liberi o già desecretati.
  Per l'attuazione di quanto stabilito nella presente delibera collaboreranno con la Segreteria della Commissione, a supporto di tale attività, il luogotenente cariche speciali Aldo Baldi, il luogotenente cariche speciali Fabio Panacci e il maresciallo aiutante Giovanni Maceroni, nonché il sostituto commissario coordinatore della Polizia di Stato Rosa Simone.
  Collaborerà inoltre con la segreteria della Commissione il consulente Federico Picca Orlandi, che prosegue pertanto il proprio incarico di collaborazione con la Commissione.
  Tutti gli altri incarichi di collaborazione cessano a far data dall'approvazione della presente delibera.