XVIII Legislatura

Commissioni Riunite (VII e XI)

Resoconto stenografico



Seduta n. 4 di Martedì 14 gennaio 2020

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Frassinetti Paola , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MATERIA DI LAVORO E PREVIDENZA NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO

Audizione di rappresentanti delle associazioni 100 Autori, Movimento Spettacolo dal Vivo, Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co), gruppo «Facciamolaconta» e Documentaristi italiani (DOC/IT).
Frassinetti Paola , Presidente ... 3 
Gulino Concetta , direttore dell'Associazione 100 Autori ... 3 
Frassinetti Paola , Presidente ... 6 
Zingaro Vincenzo , Coordinatore nazionale del Movimento Spettacolo dal Vivo ... 6 
Frassinetti Paola , Presidente ... 8 
Pellegrini Elina , membro del direttivo del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co) ... 8 
Stumpo Giulio , promotore del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co) ... 9 
Frassinetti Paola , Presidente ... 10 
Nardi Laura , gruppo «Facciamolaconta» ... 10 
Frassinetti Paola , Presidente ... 12 
D'Ambrosio Ivan , membro del consiglio direttivo dell'associazione dei Documentaristi italiani (DOC/IT) ... 12 
Frassinetti Paola , Presidente ... 14 
D'Ambrosio Ivan , membro del consiglio direttivo dell'associazione dei Documentaristi italiani (DOC/IT) ... 14 
Frassinetti Paola , Presidente ... 15 
Mollicone Federico (FDI)  ... 15 
Aprea Valentina (FI)  ... 17 
Carbonaro Alessandra (M5S)  ... 17 
Sgarbi Vittorio (Misto-NI-USEI-C!-AC)  ... 18 
Anzaldi Michele (IV)  ... 19 
Frassinetti Paola , Presidente ... 19 
Palmarini Giacinto , gruppo «Facciamolaconta» ... 19 
Nicoletti Nicola , Associazione 100 Autori ... 20 
Sungani Mvula Alessandro , coordinatore nazionale del Movimento Spettacolo dal vivo ... 20 
Pellegrini Elina , membro del direttivo del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co) ... 20 
Palmarini Giacinto , gruppo «Facciamolaconta» ... 21 
Frassinetti Paola , Presidente ... 21 

Allegato 1: Documentazione depositata dai rappresentanti delle associazioni 100 Autori ... 22 

Allegato 2: Documentazione depositata dai rappresentanti del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co) ... 115 

Allegato 3: Documentazione depositata dai rappresentanti del gruppo «Facciamolaconta» ... 206

Sigle dei gruppi parlamentari:
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Lega - Salvini Premier: Lega;
Forza Italia - Berlusconi Presidente: FI;
Partito Democratico: PD;
Fratelli d'Italia: FdI;
Italia Viva: IV;
Liberi e Uguali: LeU;
Misto: Misto;
Misto-Noi con l'Italia-USEI-Cambiamo!-Alleanza di Centro: Misto-NI-USEI-C!-AC;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Centro Democratico-Radicali Italiani-+Europa: Misto-CD-RI-+E;
Misto-MAIE - Movimento Associativo Italiani all'Estero: Misto-MAIE.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA VICEPRESIDENTE
DELLA VII COMMISSIONE
PAOLA FRASSINETTI

  La seduta comincia alle 11.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata, oltre che dal resoconto stenografico, anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti delle associazioni 100 Autori, Movimento Spettacolo dal Vivo, Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co), gruppo «Facciamolaconta» e Documentaristi italiani (DOC/IT).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo, l'audizione di rappresentanti delle associazioni: 100 Autori, Movimento Spettacolo dal Vivo, Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co), gruppo «Facciamolaconta» e Documentaristi italiani (DOC/IT).
  Sono presenti: per l'Associazione 100 Autori, Concetta Gulino, direttore, Francesca Marciano, membro del consiglio direttivo, e Nicola Nicoletti, consulente esperto di previdenza e lavoro; per il Movimento Spettacolo dal Vivo, Mvula Alessandro Sungani, coordinatore nazionale, Vincenzo Zingaro, coordinatore nazionale, e Paride Orfei, consigliere nazionale; per il Coordinamento delle realtà della scena contemporanea, Elina Pellegrini, membro del direttivo, e Giulio Stumpo, promotore; per il gruppo «Facciamolaconta», Laura Nardi, Simone Faucci e Giacinto Palmarini; per i Documentaristi italiani, Ivan d'Ambrosio, membro del consiglio direttivo.
  Saluto i nostri ospiti, li ringrazio della loro presenza e, come di consueto, darò la parola prima agli auditi, quindi ai colleghi che la chiederanno per porre questioni e, da ultimo, di nuovo agli auditi, per le risposte ai chiarimenti richiesti. Avendo tempo fino alle 13, invito i nostri ospiti a contenere le loro relazioni nel limite di otto minuti per ciascuna associazione, in modo da lasciare tempo per il dibattito con i deputati. Naturalmente, relazioni e memorie più dettagliate potranno essere depositate agli atti delle Commissioni e saranno trasmesse a tutti i commissari.
  Comunico che le memorie pervenute sono già pubblicate su GeoCom.
  Do la parola, per l'Associazione 100 Autori, a Concetta Gulino, direttore. Prego.

  CONCETTA GULINO, direttore dell'Associazione 100 Autori. Grazie, Presidente. 100 Autori, per chi non ci conoscesse, in Italia è la più grande fra le associazioni di autori professionisti del settore audiovisivo; rappresenta la parte più consistente del mercato italiano, in termini sia di presenza professionale sia di fatturato complessivo. Rappresentiamo in Italia registi e sceneggiatori di cinema, serialità, documentario e animazione. La nostra è un'associazione autorevole, non solo per il numero, ma anche per il prestigio culturale e professionale dei nostri iscritti. Siamo membri della FERA (Federazione europea dei registi dell'audiovisivo), con sede a Bruxelles, attraverso la quale gestiamo i rapporti con le Commissioni del Parlamento europeo; abbiamo preso parte a diverse consultazioni, Pag. 4non ultima quella promossa dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) sullo schema di regolamento in materia di obblighi di programmazione e investimento a favore di opere europee e di opere di produttori indipendenti; a livello istituzionale, stipuliamo intese con le associazioni dei produttori (ANICA e APA) che, sappiamo, avete già audito; collaboriamo, ovviamente, con il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT), in particolare, con la Direzione generale cinema, con il Centro sperimentale di cinematografia, con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) per quanto riguarda gli aspetti della formazione degli autori, con il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale, in quanto siamo impegnati in un progetto di promozione del cinema italiano all'estero, e, ovviamente, con la SIAE, essendo noi membri della commissione cinema. Questo per dare un'idea di quello che rappresentiamo oggi Italia.
  In questa audizione vogliamo offrire il nostro contributo, soffermandoci sugli aspetti inerenti al lavoro degli sceneggiatori e dei registi. Lavoro che si rivela di difficilissima misurazione per numerosi motivi. Intanto, il settore culturale autoriale è caratterizzato da una situazione chiamata in inglese «multiple job holding»: credo che l'INPS abbia già utilizzato questa espressione durante la sua audizione, espressione che indica la gestione da parte della stessa persona di più occupazioni contemporaneamente. Questa condizione, infatti, è molto frequente fra sceneggiatori e registi italiani e anche europei che, proprio per far fronte alla saltuarietà e alla precarietà dell'attività autoriale, molto spesso la affiancano ad altre attività, come quella didattica, ad esempio. Quindi, intermittenza e saltuarietà sono divenuti denominatori comuni e la loro prevalenza come modello dell'occupazione culturale è stata osservata anche in ambito europeo. Abbiamo depositato agli atti delle Commissioni una ricerca che abbiamo commissionato alla Federazione europea dei registi dell'audiovisivo (FERA), realizzata in ben ventisei Paesi europei; è una ricerca molto corposa, di oltre cento pagine. I livelli retributivi in media ascrivibili al settore sono poi valutati molto spesso senza una corretta parametrazione tra compensi e periodo temporale. Provo a spiegarmi meglio in altri termini. Compensi che, in termini meramente numerici, possono apparire anche molto elevati, se solo vengono parametrati al periodo temporale necessario affinché quel dato lavoro sia ultimato e dia, quindi, diritto a percepire il saldo, risultano, in realtà, pari ad un compenso medio per lavoro ora/uomo a dir poco allarmante. Il rapporto FERA parla di 0,70 euro l'ora per un autore europeo. Non mi dilungo sulla ricerca, però vorrei farvi notare solamente alcune percentuali particolarmente allarmanti: il 75 per cento degli autori e dei registi lavora come free-lance; il 38 per cento dei registi non riceve alcun compenso, e neanche gli autori, per le prestazioni professionali di sviluppo dei progetti che sono chiamati a realizzare. Pensate al lavoro di mesi, se non di anni, per la stesura di una serie televisiva o di un film. Il 65 per cento non riceve alcun compenso per la promozione di quel progetto già realizzato. Potrei andare avanti ancora, ma un altro dato allarmante è questo: l'81 per cento di giovani autori e registi dichiara che è difficile ottenere un contratto equo e il 56 per cento dei professionisti affermati dichiara di avere le stesse difficoltà. Quindi, la situazione in Italia non è dissimile da quella che vi ho appena raccontato in riferimento all'Europa.
  Invece, il lavoro non retribuito, in forma di prestazioni volontarie, sviluppo progetti, pre-produzione e post-produzione, pur essendo oggetto di studi recenti, resta al di fuori del campo di osservazione e non è riassumibile in dati precisi di cui possiamo fare uso. Per questo motivo, rispondere alla domanda: «quanti giorni lavora uno sceneggiatore o un regista ad un prodotto audiovisivo, che sia cinema, che sia una serie, un documentario o un film di animazione?» comporta una serie di passaggi non banali e alcuni caveat. Tra l'altro, ci preme segnalarvi che 100 Autori, in verità, ha già lavorato ed elaborato diverse tabelle con dei minimi stabiliti di giorni di lavoro Pag. 5per prodotto audiovisivo che, se avrete piacere, in una successiva audizione potremmo illustrarvi nel dettaglio.
  Le informazioni sono tante. L'INPS ha inquadrato il fenomeno, e credo anche la CGIL, che, con la sua ricerca, vi ha dato un'idea del mercato dell'audiovisivo in generale. Ma tutte queste ricerche documentano come le condizioni di sceneggiatori e registi siano caratterizzate da un lavoro fortemente instabile, perché, per definizione, basato sull'andamento del mercato dell'audiovisivo, che, in questo momento, segue un trend estremamente positivo, ma che è ancora segnato da un notevole gender gap – e, a questo proposito, io credo che siamo gli unici a rilevare, almeno nel settore della sceneggiatura, un profondo divario tra uomini e donne.
  Molto sta cambiando nel mercato dell'audiovisivo ed è naturale che un'aumentata richiesta di contenuti con un maggior valore, sia sul piano qualitativo sia su quello quantitativo, richieda adesso un cambiamento delle condizioni di lavoro di tutte le componenti della filiera, a partire dagli autori, che sono al centro di qualunque processo produttivo. Non ci sarebbero film e non ci sarebbero serie, se non ci fossero idee, se non ci fossero gli autori, se non ci fossero le loro storie. Quindi, vorrei ringraziarvi, perché siamo felici di constatare che voi, come legislatori, per primi abbiate compreso e preso atto della necessità di fare una profonda analisi di questo contesto, perché i registi e gli sceneggiatori oggi portano sulle spalle una responsabilità culturale cruciale per il futuro, anche economico, del nostro Paese.
  Negli ultimi anni, con lo sviluppo esponenziale dell'economia digitale, il settore audiovisivo è stato oggetto di enormi cambiamenti. Lo stiamo vedendo. C'è l'ingresso di nuovi player, ne parlano tutti. Chi di noi non ha ormai un abbonamento a Netflix o ad Amazon? Presto entreranno nel mercato la Disney e la Apple. Quindi, adesso si rende necessario anche un corretto impianto normativo giuslavoristico, adatto alla nostra realtà in evoluzione, perché con l'aumento dei canali di offerta si è generato un aumento della domanda di opere audiovisive e, in un mercato che si vorrebbe virtuoso, obiettivo a cui mira il Ministro Franceschini con la legge di riforma che porta il suo nome, il miglioramento della qualità del lavoro autoriale potrebbe e dovrebbe portare a un'importante implementazione delle politiche di promozione e valorizzazione del prodotto audiovisivo italiano, conseguendo l'auspicato risultato che l'ingresso di questi nuovi player non si traduca necessariamente in un aumento di prodotto audiovisivo estero, ma in un innalzamento, sia qualitativo sia quantitativo, della produzione italiana.
  Altro aspetto fondamentale – qui vi chiedo un po’ di attenzione – è il riequilibrio del trattamento riservato agli autori rispetto a tutte le altre professioni dello spettacolo, quindi l'allineamento agli stessi diritti degli altri lavoratori dello spettacolo. Non mi soffermo sull'ambito negoziale, abbiamo già depositato una nota molto precisa, però è chiaro che soltanto gli autori di chiarissima fama hanno più potere contrattuale. È chiaro, sono lavoratori autonomi. Però crediamo che sia di immediata percezione che un autore oggi si debba confrontare con un'enorme difficoltà a maturare le giornate contributive annue necessarie per ottenere una annualità rilevante ai fini contributivi e computabile ai fini pensionistici. L'INPS, che dal 2011 è subentrata all'ENPALS, impone ai datori di lavoro di versare gli stessi contributi dei lavoratori subordinati anche per i lavoratori autonomi. Anche per quanto riguarda il calcolo contributivo, l'Istituto tiene conto della natura non standard di gran parte del lavoro del settore dello spettacolo, calcolando i contributi su base giornaliera, come è giusto, ma non opera alcun controllo sul numero delle giornate dichiarate.
  In definitiva, la nostra Associazione è decisamente favorevole a una riorganizzazione legislativa del settore e condivide dal punto di vista giuridico la conclusione che anche agli autori debba essere garantito l'accesso ad ammortizzatori sociali, quali la copertura in caso di maternità e la disoccupazione. Pertanto, è necessario definire con la maggior precisione possibile l'impegno lavorativo professionale dell'autore, Pag. 6espressa in giornate lavorative non consecutive. È un elemento necessario per costruire e tutelare il trattamento previdenziale e il futuro trattamento pensionistico degli autori. Per questo, la nostra Associazione ha già elaborato delle tabelle di riferimento e punta alla stipula di un contratto di lavoro per la categoria autoriale, da concertare con la parte datoriale.
  Insieme a me oggi ci sono la sceneggiatrice Francesca Marciano, membro anche del consiglio dell'Associazione, e il dottor Nicola Nicoletti, che è a disposizione per rispondere alle eventuali vostre domande tecniche.

  PRESIDENTE. Passiamo adesso al Movimento per lo Spettacolo dal Vivo, a nome del quale ha chiesto di parlare Vincenzo Zingaro. Ne ha facoltà.

  VINCENZO ZINGARO, Coordinatore nazionale del Movimento Spettacolo dal Vivo. Grazie, Presidente. Vi ringraziamo dell'attenzione che avete voluto concederci con questo incontro. Il Movimento Spettacolo dal Vivo è un movimento apolitico che raccoglie le adesioni degli operatori culturali, delle figure professionali di tutti gli ambiti dello spettacolo dal vivo a livello nazionale. Esso intende esprimere con forza la necessità, ormai inderogabile, di riconsiderare la materia dei contributi del Fondo unico per lo spettacolo (FUS) in una prospettiva autenticamente democratica e pluralista, sottraendola ai giudizi eccessivamente discrezionali che hanno contribuito a creare un regime di concorrenza sleale all'interno dell'intero sistema dello spettacolo dal vivo.
  Il Movimento, in data 28 agosto 2018, alla presenza dell'allora Ministro Alberto Bonisoli e di alcuni membri della Commissione cultura della Camera, ha denunciato i gravi danni provocati ai vari settori dello spettacolo (teatro, danza, musica e circo) dalle Commissioni consultive competenti in materia di riparto delle risorse del FUS per il triennio 2018-2020, le quali hanno azzerato in maniera ingiustificata oltre cento imprese storiche di riconosciuto valore, creando un danno occupazionale per migliaia di lavoratori fra artisti e tecnici. Con l'entrata in vigore del decreto ministeriale 27 luglio 2017, infatti, viene sancito un fatto gravissimo: l'accesso ai contributi ministeriali in favore delle imprese dello spettacolo viene sottoposto, prima di ogni valutazione dei dati quantitativi (oneri sociali, paghe, giornate lavorative, recite, piazze, e via dicendo), ad un preventivo e insindacabile giudizio di qualità personalistico di cosiddetti «esperti del settore» che, nonostante la loro carente conoscenza della maggior parte delle realtà su cui sono chiamati ad esprimersi, hanno pieno potere di annientare una struttura in maniera del tutto arbitraria. È evidente che un tale strumento di sbarramento attribuisce alle Commissioni un potere spropositato e privo di controllo, che mette a rischio l'intero sistema culturale del Paese, con conseguenze disastrose anche per l'economia. Infatti con le decisioni delle attuali Commissioni sono state cancellate da un giorno all'altro, senza alcun motivo, realtà storiche di comprovato valore artistico nonché di ineccepibile continuità gestionale e amministrativa. Altrettante strutture erano state cancellate nel triennio precedente. Si è trattato di una vera e propria «mattanza» culturale e occupazionale senza precedenti!
  Se il lavoro è alla base della nostra Repubblica, come sancito dall'articolo 1 della Costituzione, non può essere trattato in un modo così superficiale e sconsiderato. Queste imprese rappresentano una risorsa culturale e occupazionale preziosa per il Paese. Sono imprese serie, che hanno attraversato la crisi epocale degli ultimi anni resistendo tenacemente, affrontando enormi sacrifici e sostenendo ingenti investimenti, ristrutturando teatri e spazi, offrendo un servizio socioculturale fondamentale per la comunità, assumendo personale, promuovendo l'innovazione artistica e tecnologica, valorizzando siti archeologici, affrontando un mercato nazionale sempre più paralizzato, riuscendo, nonostante tutto, ad avvicinare al teatro intere generazioni di giovani, creando un nuovo pubblico consapevole, dando la possibilità a tanti artisti di esprimersi, a tanti Pag. 7lavoratori e a moltissimi giovani di trovare una collocazione professionale. A fronte di tutto questo, c'è un pubblico, ci sono centinaia di migliaia di cittadini, istituti scolastici, università, comuni, territori, che vengono di colpo privati dei loro punti di riferimento culturale e di aggregazione sociale. Come può un Paese civile, che nella cultura ha la sua più orgogliosa bandiera, permettere tutto questo?
  Le intenzioni che hanno portato all'istituzione del FUS nel 1985 e che, paradossalmente, sono state ampiamente ribadite nella legge n. 175 del 2017 sono espresse chiaramente dal riconoscimento del valore educativo e sociale dello spettacolo, come fondamento per lo sviluppo della cultura e dell'identità nazionale, attraverso i principi della pluralità e della diversità di espressione. Tali intenzioni sono state ampiamente disattese, portando ad un eccessivo sbilanciamento del sistema culturale a favore di potentati intoccabili, che assorbono ingenti risorse, sempre maggiori, mentre vengono abbandonate a se stesse piccole e medie imprese culturali virtuose, che svolgono, nella loro molteplicità e attraverso uno sforzo incessante, un ruolo fondamentale nel sistema culturale italiano, tanto da costituirne il vero motore, senza il quale le grandi strutture diverrebbero gusci vuoti. Senza considerare che diverse fra le cosiddette piccole imprese culturali sono delle eccellenze in campo nazionale e internazionale, alle quali, nonostante gli importanti riconoscimenti ottenuti, è stata impedita, nel tempo, una crescita adeguata, in termini di contributo ministeriale e, conseguentemente, di attività, stritolate in un regime di concorrenza sleale provocato da una inspiegabile e inaccettabile politica discriminatoria da parte dell'amministrazione pubblica, che, tradendo il suo ruolo di garante dei principi sopra elencati, si è trasformata in direzione artistica di Stato, andando a ledere ogni principio di pluralismo culturale promosso dalla Costituzione e arrecando gravi danni all'economia nazionale. Concentrare, infatti, tutte le risorse del FUS nelle mani di poche strutture, in un processo di continua espoliazione, significa, non solo distruggere il tessuto sociale e culturale del Paese, ma anche metterne a repentaglio l'intera economia. Bisogna tener presente, infatti, che ogni impresa assegnataria del contributo ministeriale restituisce, in termini economici, molto più di quello che riceve, considerando gli ingenti versamenti a titolo di oneri sociali all'INPS e all'INAIL, di IRPEF sulle paghe, di IRAP, di IVA sugli incassi e tutto l'enorme indotto generato dalle attività negli innumerevoli ambiti.
  Il Movimento Spettacolo dal Vivo, quindi, vuole lanciare un allarme, che spera venga accolto da questo Governo. La scelta di cancellare imprese culturali per presunti concetti artistici, espressi dal giudizio assolutamente arbitrario delle Commissioni, sta generando un impoverimento culturale ed economico preoccupante, interrompendo definitivamente la filiera formativa e produttiva di tutto lo spettacolo dal vivo in Italia. Se si continua a determinare la chiusura di teatri, compagnie, orchestre, corpi di ballo, dove potranno mai trovare una collocazione professionale le migliaia di giovani provenienti dalle scuole di formazione? Per non parlare del livello di disoccupazione generale fra artisti e maestranze dello spettacolo dal vivo, alimentato da una politica che promuove l'azzeramento, piuttosto che l'incremento, del tessuto culturale. Un esempio negativo in questo senso è stata la chiusura dei corpi di ballo delle fondazioni lirico-sinfoniche, che interrompe le aspettative di lavoro di migliaia di giovani danzatori, depotenziando i territori e mortificando intere generazioni di operatori. Un esempio che spicca nell'ambito della danza, ma riguarda tutti gli ambiti dello spettacolo dal vivo, tanto da spingere il maestro Riccardo Muti a dichiarare che in Italia la cultura non deve essere affidata solo ai grandi nomi di fama internazionale, ma, soprattutto, alla salvaguardia e alla promozione di una filiera che garantisca una continuità fra dimensione della formazione e quella della produzione, lanciando un accorato appello a non permettere più che chiudano teatri, spazi culturali e realtà produttive, in quanto fondamentali per la crescita dell'Italia in ogni senso. Pag. 8
  Pertanto, noi del Movimento Spettacolo dal Vivo chiediamo a questo Governo di intervenire urgentemente, adottando misure volte a ripristinare condizioni più eque di distribuzione dei fondi a sostegno dello spettacolo dal vivo, prima fra tutte chiediamo l'eliminazione dello sbarramento qualitativo attribuito alle Commissioni consultive, in quanto strumento assolutamente arbitrario e antidemocratico, inadeguato a costituire un parametro di accesso preventivo; chiediamo che il fulcro della valutazione da parte della pubblica amministrazione sia la valutazione quantitativa, secondo parametri oggettivi inequivocabili, e che la valutazione qualitativa concorra come volano per la crescita o meno di una struttura e non come una tagliola, da usare a piacimento dai commissari di turno. Tale fondamentale misura sarebbe il primo passo volto a riqualificare l'intervento pubblico nel settore, garantendo trasparenza e oggettività nei criteri di assegnazione dei contributi del FUS, restituendo dignità alle imprese culturali e credibilità al Ministero per i beni e le attività culturali e il turismo. Chiediamo che la filiera «formazione-produzione-promozione», che nel mondo dello spettacolo dal vivo è fondamentale ed è l'unico strumento che garantisce alle nuove generazioni di artisti e tecnici una prospettiva di lavoro futuro, venga salvaguardata e potenziata con interventi di sostegno ai soggetti in grado di garantire con strutture adeguate, teatri e spazi, una fondamentale presenza sul territorio, che già costituisce il tessuto di promozione nazionale dello spettacolo dal vivo; chiediamo che per l'emergenza occupazionale e per il grave problema del precariato nel mondo dello spettacolo dal vivo venga istituito un tavolo di confronto con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali per la ricerca di rapide soluzioni, con l'intento di individuare anche altre forme di finanziamento, incentivi o defiscalizzazioni, a favore della spettacolo dal vivo; chiediamo che per le meritevoli imprese storiche, ingiustamente escluse dal riparto delle risorse del FUS nel triennio in corso, l'intervento di salvaguardia del Governo Conte attraverso l'assegnazione di risorse a progetti speciali, disposta nel 2018 e, in misura, purtroppo, estremamente ridotta, nel 2019, possa aver seguito nel 2020, con contributi adeguati al valore dei progetti presentati, permettendo la salvaguardia di queste imprese virtuose, che stanno continuando stoicamente l'attività, in attesa dell'auspicata riforma del FUS. Infine, riteniamo che l'imminente scadenza del 31 gennaio 2021, data in cui si chiuderà l'ennesimo bando triennale per la distribuzione delle risorse del FUS, imponga due linee di operatività: una, per l'approvazione della nuova legge sullo spettacolo dal vivo e l'altra, di particolare urgenza, per la modifica del decreto ministeriale 27 luglio 2017.
  Ci rendiamo disponibili a partecipare a un tavolo di lavoro e di proposte insieme ai membri delle Commissioni cultura di Camera e Senato, ai rappresentanti del Governo e ad altri rappresentanti del settore, con l'auspicio di riuscire a concordare, finalmente, una riforma davvero emblematica di quel respiro e di quel cambiamento che tutta l'Italia ha chiesto a viva voce in ogni ambito.

  PRESIDENTE. Adesso passiamo al Coordinamento delle realtà della scena contemporanea. Elina Pellegrini, prego.

  ELINA PELLEGRINI, membro del direttivo del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co). Grazie, Presidente. Siamo contenti di trovarci in questa sede e di poter esporre le proposte di C.Re.S.Co (Coordinamento delle realtà della scena contemporanea) in merito all'indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello spettacolo.
  C.Re.S.Co è una realtà che rappresenta sia lavoratori sia imprese dello spettacolo e, in questo senso, noi abbiamo una duplice visione, anche perché accade che, molto spesso, soprattutto nella scena contemporanea, il lavoratore sia anche datore di lavoro di se stesso.
  Una delle prime azioni promosse da C.Re.S.Co dopo la sua costituzione è stata un'indagine conoscitiva («Rispondi al futuro»), la più grande indagine statistica sullo spettacolo dal vivo mai promossa in Pag. 9Italia, perché sino ad allora si parlava, sì, delle condizioni e delle problematiche del settore, ma senza renderle esplicite attraverso l'evidenza dei numeri. La ricerca è servita ad evidenziare il lavoro sommerso, a quantificare la discrepanza tra la realtà dei fatti e i dati ufficiali diffusi da ENPALS e SIAE, che, naturalmente, non tenevano conto del lavoro sommerso e di tutto quel lavoro che non viene considerato tale (il lavoro di ricerca, il lavoro di formazione, il lavoro delle prove) e che, per la mancanza di fondi purtroppo endemica nel settore, non viene retribuito, essendo considerato lavoro gratuito, quando, effettivamente, lavoro è.
  Questa condizione grava, quindi, sui lavoratori, che sono costretti a sommare su di loro più lavori e anche più tipologie di contratto, di lavoro subordinato e di lavoro autonomo; dalla ricerca si è anche evidenziato che, molto spesso, viene utilizzata la prestazione occasionale, per la quale non è effettuato il versamento di alcun tipo di contributo, né per quanto riguarda l'assicurazione obbligatoria per invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS) né per quanto riguarda i benefici socioassistenziali. Per questo, il lavoratore non riesce mai a raggiungere i minimi contributivi per accedere alle forme di tutela (quale, la pensione, l'assistenza, la malattia, la maternità), che sono appannaggio delle altre tipologie di lavoratori.
  Noi poniamo all'attenzione dei commissari una risoluzione del Parlamento europeo del 7 giugno 2007 sullo statuto sociale degli artisti, nella quale, tra le altre cose, il Parlamento europeo invita gli Stati membri a sviluppare o applicare un quadro giuridico e istituzionale al fine di sostenere la creazione artistica, mediante l'adozione e l'attuazione di una serie di misure coerenti e generali, che riguardino la situazione contrattuale, la sicurezza sociale, l'assicurazione contro la malattia, la tassazione, diretta e indiretta, e la conformità alle norme europee. Sottolinea, inoltre, che occorre considerare la natura atipica del lavoro dell'artista e di tutte le professioni sceniche nella formulazione di una legge-quadro che preveda gli istituti previdenziali e assistenziali adeguati. In questo senso, l'invito di C.Re.S.Co a questo Parlamento è di prendere atto della tipicità del lavoro nel mondo dello spettacolo e della cultura in generale, di considerarne gli elementi che non consentono a questi lavoratori di accedere alle tutele e, quindi, di provvedere a fare in modo che anch'essi, attraverso una normativa ad hoc, possano accedervi.
  Questo è lo statuto sociale degli artisti, ma noi, invece, pensiamo che debba essere considerato come lo statuto sociale dei lavoratori dello spettacolo, in quanto tutte le figure professionali dello spettacolo dal vivo (organizzative, tecniche e amministrative) soffrono le stesse problematiche. Quindi, è opportuno tenere conto delle specificità del lavoro nel settore dello spettacolo e della sua natura flessibile e mobile, tra imprese oltre che sul territorio, fornendo gli strumenti normativi necessari a colmare le lacune in termini di diritti e sostenibilità, dovute soprattutto alla natura del processo produttivo, che è a termine. Infatti, la natura incerta della professione deve essere necessariamente compensata dalla garanzia di una protezione sociale sicura, che si sostanzi nella possibilità di maturare i requisiti per l'IVS, di raggiungere i minimi di attività per le garanzie socioassistenziali.
  Adesso veniamo alle proposte di C.Re.S.Co. Proprio per il motivo prima illustrato, in base al quale ciascun lavoratore si trova a dover essere contrattualizzato con contratti di natura diversa, è necessario prevedere un unico inquadramento del lavoratore dello spettacolo, indipendentemente dalla tipologia di contratto, subordinato o autonomo che sia, per la tipicità del lavoro svolto, e quindi fare in modo che tutti i lavoratori possano trovarsi a svolgere mansioni diverse, contrattualizzate differentemente, godendo tutti delle stesse tutele, sia pensionistiche che socioassistenziali. Teniamo conto che l'ex ENPALS imponeva di versare la stessa quota di contributi, sia per i lavoratori autonomi sia per i lavoratori subordinati.
  Passo ora la parola a Giulio Stumpo.

  GIULIO STUMPO, promotore del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co). Le altre proposte che Pag. 10C.Re.S.Co ha elaborato – io mi occupo anche di welfare, in quanto insegno all'Università de L'Aquila – sono: creare un «cassetto previdenziale e socioassistenziale» unico, secondo il principio della portabilità dei diritti, che, quindi, anche in questo caso, sia riferibile al lavoratore e non all'attività che viene svolta; adottare un sistema di sostegno al reddito, quindi, una sorta di ammortizzatore di continuità, sul modello dell'intermittenza francese; facilitare l'accesso dei lavoratori alle informazioni sulle loro condizioni di lavoro. Non tutti hanno informazioni su come si accede alla indennità di malattia, a quella di maternità, e via dicendo. Tutte queste informazioni sono difficili da reperire. Proprio nel contesto della scena contemporanea, nella quale le imprese sono micro o piccolissime, bisogna agevolare questo tipo di attività e, quindi, semplificare questo tipo di procedure. Sarebbe utile, quindi, anche operare un taglio del cuneo fiscale, a favore sia dei lavoratori sia delle imprese, e prevedere un sostegno diretto alla mobilità, sia attraverso i contributi sia attraverso la fiscalità pubblica.
  Per questo settore abbiamo la necessità di un'azione riformatrice, che cerchi di coniugare le tutele con la semplificazione, la flessibilità e il sostegno al reddito; che snellisca i modelli contrattuali, garantendo una maggiore fluidità di inquadramento e di orari, la flessibilità e, allo stesso tempo, le tutele per quei lavoratori che agiscono in un ambito economico caratterizzato da una carenza strutturale di risorse.

  PRESIDENTE. Adesso è la volta di «Facciamolaconta», con Laura Nardi, che ha chiesto di intervenire. Ne ha facoltà.

  LAURA NARDI, gruppo «Facciamolaconta». Grazie, Presidente. Ringraziamo le Commissioni VII e XI per aver avviato questa indagine conoscitiva. Siamo un gruppo di attrici e attori professionisti, al momento più di 1.300, che si è riunito spontaneamente sotto la denominazione di «Facciamolaconta», per studiare ed entrare nel merito, attraverso un monitoraggio e proposte, delle molte problematiche di sistema che riguardano la nostra categoria.
  Condividiamo le premesse espresse nel programma di questa indagine e segnaliamo, per cominciare, i dati forniti al riguardo dalla ricerca «Vita d'artista» del 2017, curata dalla Fondazione Di Vittorio e FLC CGIL, ricerca che restituisce, in termini di numeri e dati, una fotografia drammatica, ma veritiera, della realtà lavorativa nello spettacolo dal vivo, una copia della quale abbiamo già depositato agli atti delle Commissioni.
  Formalizziamo in questa sede la richiesta che vengano assunti dalla politica e dai suoi rappresentanti in queste Commissioni impegni certi a incrementare le risorse destinate al FUS per il teatro, in misura adeguata alla funzione centrale che le arti dello spettacolo dal vivo hanno nello sviluppo di un Paese democratico, e che venga colmato il vuoto legislativo che penalizza in modo insostenibile gli attori nel teatro e nell'audiovisivo. Siamo qui per affermare il nostro diritto ad essere riconosciuti giuridicamente e tutelati come lavoratori altamente specializzati. Nello specifico, chiediamo con urgenza una norma che separi i professionisti dagli amatoriali, definendo lo status di attore secondo i principi dello statuto sociale europeo dell'artista – appena citato dai nostri colleghi di C.Re.S.Co – e ricordando ai membri di queste Commissioni che anche l'Italia ha l'obbligo di tenere presente quanto previsto in questo documento in tutti i provvedimenti riguardanti i settori dell'arte e dello spettacolo. Chiediamo, in virtù di questo riconoscimento professionale, norme che regolino l'accesso al mercato del lavoro e alle tutele specifiche, che tengano conto della natura di questo lavoro precario, a tempo determinato e svolto per committenti diversi.
  I dati resi noti dalla ricerca «Vita d'artista», che noi siamo qui a illustrare, forniscono un quadro economico tutt'altro che gratificante: un attore in Italia, svolgendo il mestiere per il quale si è formato, guadagna in media 5 mila euro all'anno e lavora in media trentaquattro giornate in teatro, nel cinema molte meno. Il nostro è un mestiere a tutti gli effetti, non un gratificante Pag. 11 passatempo, come spesso si preferisce – ahimè anche da parte delle istituzioni – immaginarlo.
  Come è possibile che, ancora oggi, ci si debba trovare di fronte a tipologie di assunzioni non previste dal contratto nazionale del lavoro; compensi inferiori al già esiguo minimo sindacale giornaliero lordo di 72,78 euro; forfettizzazione di alcune prestazioni, come le prove, e scritture sempre più brevi? Sottolineiamo anche che, a fronte di un contratto nazionale per lo spettacolo dal vivo, non esiste un contratto nazionale per l'audiovisivo, perché le parti datoriali continuano a rifiutare di sedere ai tavoli di contrattazione sindacale. Visto che il settore audiovisivo è considerato Industria, ma su esso è competente, in deroga al principio generale, il Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo (MiBACT), come è possibile che la politica, in rappresentanza dello Stato, non pretenda che le parti datoriali si confrontino con le organizzazioni sindacali, visto che i finanziamenti al cinema sono denaro pubblico? Appare, quindi, chiaro che, in un sistema dove mancano i controlli sul rispetto delle norme e dove i lavoratori sono attori precari, costantemente costretti ad accettare, anche sotto ricatto, condizioni lavorative insostenibili, sia necessario un ordinamento del settore che parta dalla politica.
  Nella passata legislatura, il Ministro Franceschini ha dato impulso alla regolamentazione normativa in materia, dimenticandosi però, sia nella legge per il cinema sia nel decreto ministeriale 22 dicembre 2015 per i teatri, di fare un qualsiasi riferimento ai lavoratori. In conseguenza, inoltre, del suddetto decreto del 2015, che ha mal compreso la natura itinerante e intergenerazionale del teatro, il sistema teatrale italiano si è visto soffocare dalla triennalità, dai finanziamenti under 35, dall'ipertrofia delle produzioni. Ricordiamo in questa sede l'urgenza di rimettere mano ai decreti attuativi del codice dello spettacolo dal vivo (legge n. 175 del 2017), che avrebbero dovuto correggere il decreto ministeriale 22 dicembre 2015 e ridare ossigeno al settore. Ribadiamo che aver tolto la necessità di far «circuitare» gli spettacoli ha enormemente penalizzato e sclerotizzato il sistema del teatro italiano, che è sempre stato orgogliosamente itinerante. Questo ha notevolmente diminuito l'impiego di forza lavoro e il periodo di tempo per il quale questa forza lavoro viene impiegata, nonché, cosa da non sottovalutare, ha comportato un ridimensionamento di competenze complesse che, in una logica di tempi di produzione dimezzati e di impiego di lavoratori a basso costo attinti dal bacino di allievi attori delle troppe scuole di recitazione istituzionalizzate, penalizza la qualità culturale dei prodotti, con il rischio di farli diventare mediocri. E alla mediocrità – come sappiamo – ci si abitua fin troppo facilmente. Non dobbiamo perdere l'identità e il patrimonio di cultura e competenza che il nostro teatro ha sempre avuto, per rispetto nei confronti dei cittadini, ultimi fruitori del prodotto culturale, e, naturalmente, di noi stessi.
  Il decreto ministeriale del 2015 voleva ispirarsi a un sistema europeo, del quale però ha tentato di ricalcare la forma ma non la sostanza. Le cose quindi sono peggiorate anziché migliorate: quantità a discapito di qualità. Chiediamo quindi che ci si impegni a dare attuazione ai decreti in modo virtuoso e lungimirante, ascoltando con impegno tutte le parti in causa, lavoratori compresi.
  Il nostro sistema è ormai al collasso: teatri stabili che rischiano la chiusura per deficit; compagnie e fornitori non pagati; ritardi nei pagamenti che inficiano la stessa natura del lavoro; poca trasparenza delle modalità di distribuzione delle risorse economiche all'interno delle imprese teatrali; e soprattutto – questo è importantissimo – ritardi nell'erogazione dei finanziamenti da parte delle istituzioni ai teatri. Tutto questo crea un circolo vizioso che si ripercuote, alla fine, solo sul lavoratore, che perde in termini di guadagno e di giornate di lavoro.
  Le centoventi giornate lavorative richieste in un anno a fini contributivi sono privilegio di pochi, e nessuno può prevederne la realizzabilità in modo continuativo. L'attuale sistema non ammette neanche la possibilità per gli attori di ricongiungere i contributi ex ENPALS e INPS. Per Pag. 12esempio, tutte le contribuzioni degli attori derivanti dall'insegnamento finiscono nella gestione separata e si perdono; si tratta, quindi, di contributi versati ma non riscattabili. Gli attori versano alle casse dell'INPS più di quello che riprenderanno in termini di trattamento pensionistico, questa è la ragione per cui si forma sempre un tesoretto con i contributi dei lavoratori ex ENPALS, che non dovrebbe essere inglobato dall'INPS, ma che dovrebbe essere ridestinato virtuosamente a chi lo ha versato, tanto più dopo il passaggio all'attuale sistema contributivo.
  Abbiamo bisogno di più tutele quando lavoriamo, anche in termini di pari opportunità o uguaglianza di genere. Anche questi sarebbero argomenti assai importanti da approfondire.
  Per finire, non abbiamo neanche garanzie di una pensione che si possa definire dignitosa. È arrivata l'ora che la politica si impegni a occuparsi di questa nostra categoria, piccola (siamo circa settantacinquemila attori in Italia) ma fondamentale per l'identità culturale e sociale di una nazione che possa definirsi civile. Saremo sempre disponibili a rispondere alle domande che ci vengono continuamente poste sulla nostra condizione, però, da oggi, ci aspettiamo, anche e soprattutto, delle risposte da parte delle istituzioni.
  È assolutamente necessario per rilanciare il nostro Paese investire nello spettacolo dal vivo, nella cultura in genere, nell'istruzione e nella ricerca. Senza un investimento in questi settori non possiamo pensare che vi sia una ripresa strutturale del Paese. Sono tutti soldi che ritroveremo moltiplicati esponenzialmente nel futuro.

  PRESIDENTE. Adesso l'ultimo intervento sarà, per i Documentaristi italiani, di Ivan d'Ambrosio. Prego.

  IVAN D'AMBROSIO, membro del consiglio direttivo dell'associazione dei Documentaristi italiani (DOC/IT). Grazie, Presidente. A nome di DOC/IT vi ringraziamo particolarmente, perché ci date l'opportunità di dare il nostro contributo alla lettura di questo momento storico del cinema e dell'audiovisivo in Italia.
  Per questa audizione, abbiamo scelto di non dare niente per scontato e di dare conto delle condizioni e delle caratteristiche del lavoro nel settore dell'audiovisivo, perché, alla base di tutto, ci sono le persone che scelgono il cinema e l'audiovisivo non come passatempo – come giustamente sentivo dire prima – o come gratificazione personale, ma perché è un lavoro. Quindi, chiederò agli onorevoli commissari uno sforzo di immaginazione per comprendere meglio le dinamiche con cui si confrontano ogni giorno i lavoratori dell'audiovisivo e del documentario in Italia.
  Immaginate di aver studiato e lavorato sodo per acquisire nel tempo una competenza specifica di carattere tecnico o creativo e di avere costruito su quella competenza il vostro percorso professionale nel settore audiovisivo, perché è in quel mondo che volete costruire il vostro progetto di vita. Immaginate che il vostro lavoro dipenda da una telefonata costantemente in arrivo, da un progetto costantemente in partenza, dall'incastro tra le date di ripresa che vi propongono e quelle del progetto in cui siete ancora impegnati, dal «passaparola» positivo sulle vostre capacità professionali e, soprattutto, dall'esistenza di un pubblico interessato alla storia per raccontare la quale qualcuno ha chiesto la vostra competenza professionale. Immaginate di dover partire da un giorno all'altro per un lavoro che, per sua natura, vi richiede disponibilità di spostamenti, duttilità operativa, grande capacità di adattamento, flessibilità di orari, una spiccata attitudine a lavorare insieme agli altri e la sensibilità necessaria a capire come comportarvi nei più vari contesti con cui entrerete in contatto nel fare il vostro lavoro. Immaginate un luogo di lavoro che può cambiare ogni giorno scenario, temperatura, condizioni atmosferiche, lingua, indirizzo, collocazione geografica, latitudine e altitudine. Immaginate un luogo che tutti chiamano set, ma che nessuno sa perimetrare con certezza, perché mobile, come lo sguardo che lo esplora, un luogo in cui le abitudini non esistono e i colleghi sono sempre compagni di strada intermittenti e a breve percorrenza. Immaginate di essere pagati sulla Pag. 13base del numero di giornate lavorate, di essere assunti e licenziati ogni volta che un progetto inizia e finisce, di sapere che i contributi che versano per voi difficilmente diventeranno una pensione e che oggi i livelli salariali rendono il periodo di tranquillità tra un lavoro e l'altro sempre più breve, che le indennità di disoccupazione per i periodi in cui siete fermi sono sempre più basse e la necessità di trovare un nuovo progetto su cui lavorare è sempre più impellente. Immaginate di essere orgogliosi di fare la vita che avete scelto e anche di avere ogni giorno il dubbio di avere fatto la scelta sbagliata; di non avere paura dell'incertezza, ma di aspettare con impazienza elementi di conforto sul futuro; di sapere che il vostro lavoro non può essere solo passione, almeno quanto siete certi che non è mai stato solo denaro.
  Se siete riusciti a immaginare tutto questo, siete stati per un attimo una qualunque delle figure professionali che lavorano nell'audiovisivo e nella realtà produttiva del documentario in particolare; siete stati operatori di ripresa, fonici, autori, direttori della fotografia, montatori, direttori di produzione, assistenti operatori, aiuto registi. È di loro che si parla, quando si cerca di capire lo stato di salute complessivo del lavoro e della previdenza, in un settore che rappresenta oggi non più e non solo la testimonianza di un passato illustre, ma il presente e il futuro di un'industria importante e in continua evoluzione.
  DOC/IT, l'associazione che ho l'onore di rappresentare, è l'Associazione Documentaristi italiani riconosciuta in Italia e all'estero come l'ente di rappresentanza ufficiale dei produttori e degli autori del documentario italiano. L'obiettivo di DOC/IT è promuovere il cinema del reale, sostenerne lo sviluppo e operare per la sua più ampia diffusione, perché raccontare la realtà è l'unico modo che conosciamo per scoprirla, per capirla, per valorizzarla e anche per provare a cambiarla, quando è necessario. Questo fanno i documentaristi italiani nel loro impegno quotidiano e questo fanno tutte le figure professionali che lavorano con loro, a cominciare dai vari produttori: divulgare, approfondire, raccontare, analizzare, spiegare, condividere.
  Il nostro contributo all'analisi in questa rapida panoramica sulle modalità di lavoro dell'intero settore audiovisivo si sofferma, dunque, con maggiore attenzione sulle prassi in materia di lavoro e di previdenza in uso nel settore del documentario. In termini generali, un lavoratore del cinema e dell'audiovisivo viene attualmente assunto all'inizio di un progetto e licenziato al termine del periodo convenuto nel contratto stipulato con la produzione. Che si tratti di lavoratore autonomo o dipendente, la produzione versa i contributi INPS e INAIL calcolati sul suo compenso lordo in una percentuale forfettizzata, nella misura approssimativa del 32 per cento. Alla busta paga lorda del lavoratore si applicano le ritenute previdenziali residue e l'IRPEF, calcolata secondo le aliquote in vigore, oltre che il calcolo del TFR. Si tratta, dunque, di una modalità di rapporto lavorativo estremamente peculiare, perché inserisce le caratteristiche proprie del lavoro dipendente all'interno di un rapporto di lavoro a termine. Uno degli aspetti su cui si può certamente lavorare per alleggerire il carico di burocrazia e dei costi connessi ai rapporti di lavoro nel nostro settore è immaginare modalità semplificate, sia dal punto di vista burocratico sia da quello contributivo, per i rapporti di lavoro occasionali, che si sostanziano in un numero molto basso di giornate di impegno. Questo nell'ambito del documentario sarebbe un bel passo in avanti.
  I livelli minimi sindacali di remunerazione delle varie categorie di lavoratori dell'audiovisivo sono fissati nel contratto collettivo nazionale di lavoro, in vigore ormai esattamente da vent'anni. In merito all'attuale livello dei contributi previdenziali, sollecitiamo l'attenzione su un punto critico: l'incidenza degli oneri sociali sul costo del lavoro, che appare, in termini assoluti, molto alta. La natura intermittente del lavoro, propria del settore, il progressivo decremento dei livelli salariali medi e il conseguente abbassamento del livello e della durata dei contributi maturati hanno avuto la conseguenza di rendere Pag. 14sempre più bassa, nelle generazioni più giovani di lavoratori dell'audiovisivo, l'aspettativa che i contributi versati si possano concretizzare in un reale vantaggio differito nel tempo e possano effettivamente tradursi in una pensione a livelli minimi di sopravvivenza. Questo rende ancora più evidente l'incongruità percepita del livello dei contributi previdenziali ed è il fondamento dei casi in cui produzione e lavoratore decidono di regolare diversamente il rapporto di lavoro, ricorrendo in modo improprio alle ricevute di prestazione occasionale o a modalità alternative di retribuzione.
  Il recente assorbimento dell'ENPALS (l'Ente nazionale previdenza dei lavoratori dello spettacolo) all'interno dell'INPS non ha avuto effetti migliorativi, anzi, ha modificato le prassi precedentemente in uso in materia di disoccupazione e ha generato la sensazione diffusa di una tutela ancora meno attenta alle generazioni di lavoratori dell'audiovisivo più esposte al rischio di difficoltà a maturare un trattamento pensionistico accettabile.
  Sempre in termini generali e per l'intero settore audiovisivo, proprio in questi mesi sta prendendo forma il nuovo contratto collettivo nazionale di lavoro per le troupe (il precedente contratto collettivo è del 1999), grazie al quale siamo alle soglie di un nuovo assetto generale destinato probabilmente a condizionare per molto tempo il futuro davanti a noi.
  Al termine del laborioso processo di negoziazione tra le parti, saranno definite importanti modifiche con riferimento a nuovi livelli salariali minimi, all'inserimento di nuove categorie professionali, ai criteri di rilevazione degli orari di lavoro, alla regolazione dei rapporti tra datori di lavoro e lavoratori. Un processo che vede coinvolte le organizzazioni sindacali e le principali associazioni di categoria, tra cui CNA (Confederazione nazionale dell'artigianato), a cui DOC/IT è affiliata dallo scorso anno. Il settore del documentario si aspetta dalla negoziazione in corso tra le parti l'affermazione di un principio di corrispondenza proporzionale tra i livelli minimi salariali e le tipologie di progetti da realizzare, un principio che distingua, in ambito cinema, i film di costo industriale dai film difficili e che dedichi alla produzione dei documentari una sua specificità culturale e produttiva, con la definizione dei minimi sindacali compatibili con i costi di produzione.
  L'altro passaggio strategico che definirà il quadro di riferimento del sistema audiovisivo prossimo venturo è la definizione normativa del nuovo profilo del produttore indipendente, sul quale CNA sta sviluppando, insieme a DOC/IT, una proposta, la cui idea di fondo è quella di declinare i produttori in due livelli. Secondo questa ipotesi di declinazione, al produttore indipendente di primo livello sarà consentito l'accesso a tutte le tipologie di aiuti in deroga e a maggiore intensità, in quanto queste imprese si configurano come PMI, individuate dalle direttive europee, non in grado di attrarre sufficienti risorse sul mercato, dedite, perlopiù, alla realizzazione del prodotto unico e ai prototipi fortemente caratterizzati dall'eccezione culturale e dalla diversità culturale. Per i produttori indipendenti di secondo livello, quelli più strutturati finanziariamente e non corrispondenti ai requisiti delle PMI, sarebbero invece consentiti aiuti in deroga solo per alcune tipologie di intervento e in maniera modulare, con modalità di sostegno, in un'ottica più industriale, in un fondo speciale presso il Ministero dello sviluppo economico.
  Se è vero che la regolazione dei livelli di retribuzione dipende da fattori endogeni e dalla stessa capacità del sistema audiovisivo di autoregolarsi, è altrettanto vero che le condizioni di lavoro non possono essere affrontate separatamente dagli ordini di grandezza dei valori di acquisto dei prodotti a cui quel lavoro si riferisce...

  PRESIDENTE. Dovrebbe cortesemente avviarsi alla conclusione.

  IVAN D'AMBROSIO, membro del consiglio direttivo dell'associazione dei Documentaristi italiani (DOC/IT). Vado a concludere. Una parte molto importante nella determinazione delle condizioni generali del sistema Pag. 15 è rivestita dal servizio televisivo pubblico, il cui ruolo di principale committente delle produzioni audiovisive italiane induce a una particolare attenzione al rispetto di valori medi di acquisto, compatibili con costi di produzione congrui.
  In sintesi, cercando di riepilogare le questioni che riguardano, in particolare, il cinema del reale, riteniamo di poter dire che le modalità di produzione dei documentari rendono possibile un'interazione tra le figure professionali coinvolte, basata su una diffusa complicità artistica e produttiva. Il numero ridotto delle persone mediamente coinvolte nelle troupe dei documentari, la caratteristica di racconto sempre in itinere, i budget più contenuti rispetto alla produzione cinematografica industriale mantengono più a misura d'uomo l’habitat produttivo del documentario, ma mostrano con maggiore evidenza quanto le condizioni retributive dipendano dal valore di partenza attribuito a quel prodotto. Per questo riteniamo che da parte della RAI, Radiotelevisione italiana, debba esserci un rinnovato slancio in direzione del cinema documentario, in sintonia con una crescente attenzione al cinema del reale da parte del pubblico di tutto il mondo. La recente costituzione di RAI Doc, annunciata proprio in occasione di un evento organizzato da DOC/IT, è senz'altro un primo passo in questa direzione.
  Vi chiediamo quindi, in questo momento di profonda evoluzione in corso, di prestare grande attenzione agli aspetti che, a nostro modo di vedere, limitano il pieno sviluppo dei livelli occupazionali, valutando l'opportunità di interventi che vadano nella direzione di introdurre procedure di assunzione semplificate per specifiche qualifiche e impegni di durata molto breve o occasionale; di ridurre l'incidenza degli oneri previdenziali sul costo del lavoro; di monitorare le condizioni e i parametri a cui il servizio televisivo pubblico deve attenersi nel suo ruolo di principale industria culturale del Paese. Questo sarà il modo in cui potremo salvaguardare, proteggere e tramandare quell'immenso patrimonio di conoscenza e di esperienza che ogni lavoratore dell'audiovisivo di questo Paese rappresenta.

  PRESIDENTE. Autorizzo la pubblicazione della documentazione depositata, in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegati).
  Do, quindi, la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre questioni o formulare osservazioni.

  FEDERICO MOLLICONE. Grazie, presidente. Ringrazio i rappresentanti delle associazioni e la collega Fornaro che presentò la proposta di indagine conoscitiva che Fratelli d'Italia ha sostenuto, perché ci sta dando modo, audizione dopo audizione, di conoscere uno spaccato assolutamente importante, ma anche allarmante di quello che viene considerato, nelle arti e mestieri dello spettacolo dal vivo – abbiamo sentito per ultimo anche i documentaristi dell'audiovisivo – sicuramente un lavoro bello, gratificante, appassionato, fatto da chi ha passione. Si tratta però di un lavoro che, in realtà, in Italia, non viene considerato tale: gli aspetti previdenziali sono sicuramente ridicoli per chi decide di fare di questo lavoro una scelta di vita.
  Abbiamo ascoltato alcune proposte che, a mio parere, sono interessanti dal punto di vista sia previdenziale sia di sistemi analoghi a quello francese, anche se quello francese, purtroppo, è diventato una sorta di esilio professionale per gli artisti italiani che vanno in Francia – molti, non tutti, ci sono anche quelli onesti – per iscriversi, fare qualche giornata di lavoro e ottenere il sostegno. Ovviamente questi sono escamotage necessari a sopravvivere, svolgendo un lavoro difficilissimo. Auspico che l'Italia, essendo la patria delle arti, diventi una nazione dove gli artisti possano esercitare con dignità questo mestiere senza doversi vergognare, invece, perché dichiarano un reddito di 5 mila euro. Il reddito di 5 mila euro è simbolico, ma anche questa è una disfunzione del sistema, è una difesa. Ci sono purtroppo anche casi di degenerazione di questo aspetto, non per responsabilità degli artisti, ma di un sistema che non li garantisce. Pag. 16
  Per quanto concerne che cosa fa lo Stato, che cosa fa il Governo per gli artisti italiani, ricordo che abbiamo il Fondo unico per lo spettacolo che, già a cominciare dal nome, dà il senso di una univocità assolutamente inquietante. È talmente unico che nell'ultima edizione c'è stata l'esclusione di centinaia di compagnie di spettacolo, di danza, di spettacolo dal vivo, di circhi, valutati in modo arbitrario. Da questo, addirittura, è nato un movimento – lo ricordo ai colleghi della maggioranza – che si incontrò con l’ex Ministro Bonisoli, il quale riconobbe questa eccessiva arbitrarietà nella scelta dei progetti culturali. Pertanto, per la prima volta nella storia del FUS, vennero fatti alcuni progetti speciali per dare la possibilità a queste aziende di non chiudere. Questo impegno si è interrotto. C'è stata una prima annualità e non sono seguite altre forme di sostegno, se non meramente simboliche, mentre continuiamo a vedere, purtroppo, mega progetti speciali, di grandi personaggi, grandi nomi che danno lustro e onore all'arte italiana, che beneficiano di corridoi speciali per progetti di danza o di musica da mezzo milione o da 750 mila euro. Tutto questo penalizza quel tessuto culturale che Fratelli d'Italia chiede al Governo e al Parlamento di difendere. Per questo è necessaria, è fondamentale – è l'allarme lanciato anche dal Movimento Spettacolo dal Vivo – una riforma radicale del Fondo unico per lo spettacolo, a cominciare dal nome. Abbiamo presentato una proposta di legge perché diventi un Fondo nazionale per le arti e lo spettacolo dal vivo e cambi anche il criterio di assegnazione dei fondi. Ci sono alcune Commissioni che si definiscono consultive – e qui accanto a me il collega Sgarbi, maestro di oratoria, sa bene il significato del termine «consultive» – che stabiliscono e decidono il merito e la qualità del progetto artistico. Già questa è una aporia assolutamente inaccettabile.
  Noi abbiamo presentato una proposta di legge, ma facciamo un appello alla Commissione: poiché a breve incardineremo un'altra proposta di legge della maggioranza sullo spettacolo, pensiamo che potrebbe essere quella l'occasione per introdurre anche una modifica di questi criteri. Dobbiamo modificare il Fondo unico per lo spettacolo per due motivi: il primo di questi è che abbia più fondi e che non vadano sempre e solo alle polarizzazioni, al finanziamento dei grandi poli culturali. A tale riguardo, faremo anche un appello trasversale alla maggioranza perché venga finanziato il Teatro nazionale che sta morendo, così come stanno chiudendo i grandi teatri, le compagnie teatrali, le compagnie di danza, i corpi di ballo. C'è uno scenario inquietante dal punto di vista culturale dello spettacolo dal vivo italiano. Siamo la nazione europea che dà meno soldi allo spettacolo dal vivo: è inaccettabile. Per cui recepiamo questo allarme per trasformarlo in un movimento trasversale all'interno della Commissione, anche per sollecitare i colleghi della maggioranza affinché vengano utilizzati tutti gli strumenti normativi, a cominciare dal decreto-legge «mille proroghe», oltre a quelli che presto inizieranno il loro iter in Commissione, per il raggiungimento di questo obiettivo. Quindi, da una parte un maggiore finanziamento del Fondo unico per lo spettacolo e un suo radicale riordino, prevedendo, possibilmente, l'abolizione delle Commissioni consultive per sostituirle con Commissioni tecniche che si limitino a valutare i requisiti tecnici e artistici dei progetti in maniera trasparente, come non è stato in passato. Dall'altra parte, la riforma della tutela previdenziale. Siamo qui con i colleghi della Commissione lavoro, questo è un argomento fondamentale. Va bene battersi per i riders – noi pure lo abbiamo fatto – i nuovi lavori a somministrazione temporanea, anche volontaria, attraverso i nuovi apparati tecnologici, le nuove applicazioni; ma bisogna tutelare il mestiere dell'artista, dell'attore, perché sta scomparendo, si sta precarizzando, si sta nascondendo nella cortina fumogena dell'amatorialità che esiste non perché siano diventati tutti amatoriali, ma perché permette una semplificazione dei costi e una loro riduzione, quando non un azzeramento. Ma non è questa la nazione delle arti. Diamo un senso e un orgoglio e investiamo sull'arte italiana.

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  VALENTINA APREA. Grazie, presidente. Intanto mi ha raggiunto Vittorio Sgarbi, a testimoniare una volta di più che Forza Italia da sempre vuole essere a fianco di questa categoria di lavoratori oltre che di artisti. Siete artisti perché l'avete qui dichiarato, ma anche lavoratori.
  Ricordo che negli anni abbiamo avuto più proposte di legge, a cominciare da quelle della Carlucci, della Ceccacci ed altri. Già in quegli anni era emersa la difficoltà di conciliare il vostro modo di esprimere talento, che diventa lavoro, con le norme che regolano i rapporti di lavoro, a causa di tutta una serie di aspetti che sono stati qui richiamati da voi e dal collega Mollicone. Conosciamo ormai purtroppo molto bene la situazione, vediamo che cosa si potrà fare.
  Ringrazio i colleghi che hanno voluto insieme a noi questa indagine e cercheremo di trovare soluzioni. Nel frattempo, se è possibile, la situazione si è aggravata – come avete detto voi – non solo per alcuni settori che storicamente vi hanno rappresentato e che sono, non dico caduti in disgrazia, ma hanno una nuova collocazione; ma, anche, per l'emergere di nuovi settori dove invece voi ritornate ad essere protagonisti: l'audiovisivo e altro – come è stato detto molto bene dai colleghi, soprattutto più giovani, che sono intervenuti – che, però, ancora una volta, vedono la componente italiana svantaggiata rispetto al resto del mondo. Ci sono produzioni globali, internazionali e, quando cerchiamo noi di fare queste cose, con il vostro aiuto e con il vostro protagonismo, non c'è un riconoscimento che possa dirsi ugualmente professionale.
  Noi siamo qui per capire – e Vittorio Sgarbi in questo potrà sicuramente aiutarci – come individuare, identificare la professionalità di questi mestieri, quelli vecchi e i nuovi, del mondo dello spettacolo in tutte le sue forme, fino a quelle proprie del terzo millennio, e capire come è possibile dare una copertura contrattuale e pensionistica, una serenità nel lavoro che siete chiamati a fare, che avete scelto: scelta per la quale vi ringraziamo perché consentite la continuità in una tradizione che ci fa onore. Lo spettacolo dal vivo, in particolare, è più fragile. Tutte queste categorie di artisti, di persone con talento che hanno fatto tantissimo e fanno ancora tanto per le nostre tradizioni più nobili sono le più sacrificate.
  Forza Italia c'è, quindi noi lavoreremo. Anche se siamo forze di opposizione, in questo caso lavoreremo tutti insieme perché abbiamo bisogno insieme, come Commissioni cultura e lavoro, di affermare l'importanza e la priorità degli interventi.
  In chiusura ringrazio la collega che ha fortemente voluto questa indagine, e insieme a lei e alle forze di maggioranza, lavoreremo.

  ALESSANDRA CARBONARO. Grazie, presidente. Ringrazio le associazioni che sono intervenute oggi. Ho fortemente voluto questa indagine conoscitiva congiunta con la Commissione lavoro e ringrazio tutte le forze di maggioranza e di opposizione che l'hanno supportata, perché si tratta, come sappiamo, di un argomento estremamente trasversale.
  Il gruppo «Facciamolaconta» ha citato l'indagine svolta dalla Fondazione Di Vittorio: quell'indagine è stato uno dei campanelli d'allarme. Un po’ perché conosco quel mondo, venendo dalla produzione teatrale, quindi dalla circuitazione, dall'esperienza anche come tour manager, ho bene a mente cosa vuol dire quando ci si muove con le compagnie teatrali, quando si parla di giornate lavorative, di contributi sia statali che privati. Quell'indagine lanciava un allarme fortissimo. Parliamo di un dato: 5 mila euro annui costituisce quanto prendono oggi in media, più o meno, le categorie. È sufficiente pensare a quello che c'è dietro al lavoro di un artista, di un musicista, di un attore: sono anni di studio. Vengo dal conservatorio: ci mettiamo dieci anni per poterci diplomare, per poi essere immessi in un mercato lavorativo che di lavorativo ha ben poco, perché, a mio avviso, il lavoro su base volontaria non è lavoro. Bisogna lavorare ed essere correttamente retribuiti, avendo tutele previdenziali che permettano una pensione che si possa definire tale.
  Possiamo dire che questa indagine conoscitiva – credo che manchino poche altre Pag. 18 audizioni – stia giungendo a compimento. La mia idea era di svolgerla con la Commissione lavoro perché unire le competenze, quelle culturali che vengono dalla VII, di cui faccio parte, con quelle più tecniche legate al mondo dei sistemi pensionistici e lavorativi della Commissione lavoro, poteva dare origine a una proposta di legge che vedesse le associazioni chiamate prima e non successivamente, come molte volte è accaduto negli anni. Ho sentito prima alcune proposte che sarebbe bene mettere nero su bianco in una proposta scritta, condivisa, per fare politica in modo più partecipato, in modo trasversale, proprio perché ci sono tematiche che vanno da destra a sinistra. Quando si parla di tutela del lavoro nel mondo dello spettacolo, noi che siamo quelli che abbiamo scritto in Costituzione all'articolo 9 che la Repubblica deve tutelare il nostro patrimonio, capiamo che non può farlo prescindendo dal mondo del lavoro, perché è quello che più ci rappresenta. Credo che al Senato ci sia una proposta di legge concernente i professionisti dei beni culturali: si tratta di un'altra tematica delicata, perché ci troviamo in situazioni paradossali anche in quel settore.
  Vi ringrazio. Terremo conto della documentazione depositata e cercheremo di portare a compimento l'indagine conoscitiva includendovi il maggior numero di istanze pervenute. Ho spinto molto sul tema del lavoro e della riforma delle pensioni, ma chiaramente c'è il tema ampissimo, già citato, del FUS della revisione dei suoi meccanismi. Ma è ora, secondo me, di mettere nero su bianco una proposta condivisa sul lavoro e sulla previdenza nello spettacolo dal vivo.
  Sull'audiovisivo, accogliamo quanto è stato detto. È incredibile e increscioso pensare che ancora non ci sia un contratto perché le parti in causa non si siedono ad un tavolo. Bisogna trovare il modo, e su questo ci facciamo portavoce con il nostro Ministero di riferimento, affinché questo avvenga, perché lo dobbiamo agli attori, lo dobbiamo anche, secondo me, al sistema Paese, perché c'è un problema endemico che non è solamente di norma, è un problema culturale, rinvenibile nella domanda che tante volte ci siamo sentiti rivolgere «ma di lavoro cosa fai?». Abbiamo innescato un circolo vizioso che si sostanzierà nel problema, da qui a venti o a trent'anni, di non trovare più giovani che si iscrivono ai conservatori, soprattutto se la retorica, quello che raccontiamo, è che con questo lavoro non si può vivere. Invece con questo lavoro si deve vivere, lo dobbiamo soprattutto alle nuove generazioni.
  Veniamo dal sistema dell'alta formazione musicale, importiamo tantissimi studenti dall'estero che vengono qui a studiare nei nostri conservatori: credo che sia venuto il momento, al termine di questa indagine, di provare a dare una risposta a un settore che l'aspetta da moltissimo tempo.

  VITTORIO SGARBI. Mi sembra che ciò che il Movimento Spettacolo dal Vivo chiede è che non vi sia un'inquisizione che, al di là della realtà artistica, stabilisca con parametri, regole, metodi quelli che sono ammessi e quelli che non sono ammessi. È l'opposto dello spirito dell'arte.
  Mi sono occupato di molte cose e, come assessore a Milano, mi sono molto appassionato alla vita dei teatri milanesi che sono i più vivi d'Italia, piccoli e grandi, e, oltre ai contributi ai grandi teatri come La Scala e il Piccolo, mi sono occupato di Out Off e ho visto quanta energia e vitalità vi sia, che è ingiudicabile. Il principio stesso di una Commissione che stabilisca i parametri è la negazione della creatività. Chi può stabilire i parametri per dire se Klimt o Schiele siano artisti? Quelli che vengono dall'accademia? Qual è il criterio? C'è un errore di fondo che sottopone a un giudizio ciò che è legato alla creatività: uno pensa ad Antonio Rezza, per esempio, artista, chi deve giudicarlo, chi deve dire se va bene? Oppure tutti quelli da Carmelo Bene a Dario Fo. Nella storia stessa della creatività, nel principio che indicava Brecht («se vuoi diventare una guida, devi dubitare delle guide»), è chiaro che ciò che uno fa nello spirito creativo non può essere inteso da una commissione di quattro imbecilli che sono messi lì per ragioni politiche, per ottenere il solo risultato di tagliare i fondi. Pag. 19
  Mi pare che vada eliminata la Commissione consultiva. È chiaro che l'accesso a un finanziamento deve essere garantito da capacità, a giudicare le quali il primo è il pubblico. Il pubblico ha una voce più importante. Come in una classe si dovrebbero far votare gli allievi per sapere se il professore è capace e non il contrario, qui siamo di fronte a un fenomeno analogo.
  Mi pare che poche volte in questa Commissione ho visto una richiesta così limpida di richiamo alla dignità intesa come libertà creativa. Quando fu processato per eresia Paolo Veronese a Venezia, lui disse «noi artisti siamo come i bambini e come i matti, non dobbiamo essere giudicati». Se vuole che l'Ultima Cena invece di avere tredici persone ne abbia magari ventiquattro, ne avrà ventiquattro, è la sua Ultima Cena, non possiamo stabilire come deve essere fatta. Quindi, quando leggo qui che cento realtà sono state escluse da una Commissione consultiva nel triennio 2018/2020, penso che quelle cento escluse hanno dignità e decoro per essere ammesse. Quindi occorre trovare gli spazi in cui la creatività si manifesti.
  È evidente che ciò che avviene nel teatro avviene nel circo, dove c'è stata l'inutile battaglia contro gli animali, come se fossero più protetti nella libertà. Anche nella televisione: l'anno che abbiamo davanti è l'anno di Raffaello e le televisioni nazionali fanno qualunque cosa meno che diffonderne la conoscenza, come la televisione potrebbe fare. Un tempo il teatro stesso passava per la televisione, dove si poteva vedere quello che non si vedeva a teatro. È chiaro che deve essere stabilito un rapporto stretto fra la principale impresa culturale italiana, che è la televisione, e il teatro e l'arte. È un monito che consegue a quello che leggo qui.
  Mi pare che avere convocato le Commissioni, per mettere insieme lavoro e cultura su questo tema, sia restituire agli artisti la loro libertà, la loro dignità, il loro decoro. Non è assolutamente accettabile che ci sia una Commissione, e me ne rendo conto perché vedo molti esperti che vengono chiamati dai magistrati a fare le perizie sulle opere d'arte dichiarate false: i veri falsari sono gli esperti! Loro sono falsi. Vi ricordate i Modigliani famosi? Di quei Modigliani almeno la metà sono buoni, ma gli esperti chiamati a giudicarli sono totalmente incapaci. Ora il magistrato, come il Ministro – magister e minister – chiama esperti che, sulla base di non so quale principio, diventano arbitri di una vicenda che li vuole tutto meno che arbitri. Quindi, credo che questa istanza poggi su un dato certo: l'inadeguatezza di quelle Commissioni che non hanno il titolo per stabilire chi di voi e quanti di voi debbano entrare all'interno di quello che si chiama FUS. Potrebbe chiamarsi in un altro modo, il FUS sembra quasi una minaccia: è una cosa pericolosa.
  Sono felice di essere arrivato anche all'ultimo momento, perché il potere spropositato e privo di controllo delle Commissioni è una realtà legata all'ignoranza e non alla cultura, e occorre battere quella forma di ignoranza.

  MICHELE ANZALDI. Grazie, presidente. Ringrazio anche gli auditi. Vorrei, se è possibile, avere dati sia sugli acquisti sia sulle collaborazioni della principale azienda italiana di cultura che è la RAI. Qual è la situazione, quanti ci lavorano, in che forma ci lavorano, con quale forma contrattuale, per quale periodo, se le fiction vengono commissionate, comprate, studiate, se vi sono anche forme di sperimentazione, se hanno sentore o hanno saputo che la RAI ha chiesto, ad esempio, alcune sperimentazioni con testi scritti, addirittura pensati, in inglese o spagnolo per una possibile vendita su altre piattaforme come Netflix, Prime e altre. Se loro hanno i dati della principale e soprattutto ricchissima azienda per cui io, anzi, ho addirittura fatto una raccolta firme per ridurne il canone. Se ci fossero dei dati e si potessero avere, si potrebbe fare un lavoro per cercare di capire come viene utilizzato questo canone.

  PRESIDENTE. Sono rimasti dieci minuti, quindi lascio la parola ai nostri ospiti per le risposte.

  GIACINTO PALMARINI, gruppo «Facciamolaconta». Possiamo portare soltanto Pag. 20come testimonianza, per quello che riguarda la RAI, il fatto che le fiction vengono subappaltate ad aziende, che poi sono sempre le stesse. Quello che succede nel mondo dell'audiovisivo è veramente allarmante: non è possibile che un'azienda, l'azienda di Stato (RAI), tolleri che ci siano agenti privati che prendono questi appalti e che poi trattino gli attori in questo modo. Agli attori viene chiesto in contratto un periodo di disponibilità, che può essere dai due ai quattro mesi, per due o tre giornate lavorative. Tra l'altro, queste giornate lavorative non vengono pagate 3 o 4 mila euro, vengono pagate da 250 a 450 euro. Significa che, secondo loro, noi dovremmo campare con 450 euro al mese. Questa è una cosa capitata a me.
  Il discorso è proprio questo: in assenza di un contratto nazionale del lavoro per l'audiovisivo, non esiste assolutamente nessuna regolamentazione sui minimi sindacali, né viene riconosciuto il cosiddetto sinallagma, quel principio secondo cui bisogna pagare i lavoratori anche per il periodo in cui sono disponibili.

  NICOLA NICOLETTI, Associazione 100 Autori. Vorrei riallacciarmi al ragionamento fatto dall'onorevole Sgarbi e dall'onorevole Mollicone in merito al FUS per quanto riguarda lo spettacolo dal vivo. Mi chiedo se una soluzione aggiuntiva potrebbe essere l'introduzione del tax credit che ha portato tanto giovamento al settore del cinema e dell'audiovisivo in generale. Questo tax credit permette di compensare i crediti d'imposta con i debiti fiscali, incentivando e stimolando le aziende del settore teatrale – ma potrebbe essere allargato a tutto il settore dello spettacolo dal vivo – a crescere. Quindi, questo sistema del tax credit, introdotto nel cinema e nelle fiction, ha portato tanto giovamento. L'idea, da qualche anno, è quello di introdurlo, insieme a un FUS revisionato, anche nel settore dello spettacolo dal vivo, almeno in quello teatrale.

  MVULA ALESSANDRO SUNGANI, coordinatore nazionale del Movimento Spettacolo dal vivo. Ho sentito parlare molto di attori, di audiovisivo e quant'altro: c'è una situazione molto allarmante per quanto riguarda, invece, il mondo della danza, che è un'arte molto antica, è un'arte italiana. Le grandi istituzioni stanno chiudendo, però esistono teatri stabili e fondazioni lirico-sinfoniche. L'unica cosa che è successa qui in Italia è gravissima: di quattordici fondazioni lirico-sinfoniche che nei loro statuti hanno anche il corpo di ballo come maestranza ne sono rimaste tre. Sono stati chiusi, negli ultimi due anni, due corpi di ballo, interrompendo di fatto una filiera culturale mostruosa. Sono migliaia e migliaia le scuole di danza in Italia e, anche se non tutti diventano artisti, a livello culturale potrebbero diventare persone migliori, invece di passare tutto il tempo sullo smartphone. Questo significa per uno Stato decidere di chiudere una maestranza, una componente artistica. Adesso è successo alla danza, ma potrebbe succedere alle orchestre o ad altre maestranze. Quello che dovremmo fare, invece, è cercare di potenziare i posti di lavoro.
  Qui ci sono la Commissione cultura e la Commissione lavoro: si parla di centinaia di operatori, artisti che sono stati privati della possibilità di andare in pensione. È giusto pensare ai contratti collettivi. Io sono un esimio pensionato della danza: con 700 euro a fronte di centinaia di migliaia di euro di contributi versati, non si può campare.
  Il concetto fondamentale è che la riforma va fatta non solo per i contratti; lo Stato, che determina il mercato dello spettacolo dal vivo e dell'audiovisivo – sentivo parlare di RAI –, dovrebbe anche tenere conto di chi è stato estromesso dal lavoro, come gli artisti dell'Arena di Verona o del Maggio musicale fiorentino o di quelle Fondazioni di tutta Italia dove non c'è possibilità di trovare lavoro.

  ELINA PELLEGRINI, membro del direttivo del Coordinamento delle realtà della scena contemporanea (C.Re.S.Co). Secondo noi il problema sta a monte. Se si riconoscesse nella cultura non soltanto la tradizione, ma anche la possibilità di essere un volano economico per questo Paese e lo si considera un comparto economico a tutti Pag. 21gli effetti, come gli altri, credo che anche i lavoratori assumerebbero una maggiore attrattività e avrebbero veramente dignità. Questa però è una scelta politica che si fa a monte, e significa soprattutto investire nel settore.
  Il problema endemico: perché non vengono pagati i professionisti? Perché le risorse sono scarsissime e si considera il settore come residuale, invece non lo è. Credo che sia uno dei primi settori, perché la cultura non è solo tramandare le tradizioni, ma è anche proiettarsi nel futuro, è anche stimolo per l'attrattività del turismo, che è invece considerato un comparto economico. Forse una visione che integri cultura e turismo e consideri a trecentosessanta gradi questi due aspetti, ponendoli all'attenzione dell'agenda politica, al pari degli altri settori economici, potrebbe capovolgere la situazione.

  GIACINTO PALMARINI, gruppo «Facciamolaconta». C'è un altro problema: quello dei ritardi con cui i teatri pagano gli attori. Bisogna considerare che gli enti locali, che per la maggior parte finanziano i teatri, accumulano ritardi spaventosi nei pagamenti, per cui i teatri, anche se hanno i conti e i bilanci in ordine, hanno costanti crisi di cassa. Prima si trattava di situazioni abbastanza isolate, adesso questo problema si sta generalizzando. Gli enti fanno fatica a dare i soldi, per cui bisognerebbe inventare qualcosa per cercare di far sì che questo meccanismo non si inceppi, perché poi a rimetterci sono sempre gli attori.

  PRESIDENTE. Ringrazio gli auditi per i loro contributi, e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.10.

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