XVII Legislatura

III Commissione

COMITATO PERMANENTE SUI DIRITTI UMANI

Resoconto stenografico



Seduta n. 27 di Giovedì 19 ottobre 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA TUTELA DEI DIRITTI DELLE MINORANZE PER IL MANTENIMENTO DELLA PACE E DELLA SICUREZZA A LIVELLO INTERNAZIONALE

Audizione del Dottor Federico Soda, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration (IOM).
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 3 
Soda Federico , Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della ... 3 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 7 
Soda Federico , Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della ... 8 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 9 
Soda Federico , Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della ... 9 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 10 
Soda Federico , Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della ... 10 
Locatelli Pia Elda , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Civici e Innovatori PER l'Italia: Misto-CIpI;
Misto-Direzione Italia: Misto-DI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-UDC-IDEA: Misto-UDC-IDEA;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI;
Misto-FARE!-PRI-Liberali: Misto-FARE!PRIL;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI) - Indipendenti: Misto-PSI-PLI-I.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE
PIA ELDA LOCATELLI

  La seduta comincia alle 14.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione del Dottor Federico Soda, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration (IOM).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla tutela dei diritti delle minoranze per il mantenimento della pace e della sicurezza a livello internazionale, l'audizione del Dottor Federico Soda, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration, che è accompagnato dal Dottor Flavio Di Giacomo, addetto alla comunicazione esterna della IOM. Saluto e ringrazio il Dottor Soda per la sua disponibilità a prendere parte ai nostri lavori.
  Desidero ricordare che già in occasione delle comunicazioni del Governo sull'evoluzione della situazione in Libia, svolte dalle Commissioni riunite III e IV della Camera e 3a e 4a del Senato il 1° agosto scorso, ho rappresentato al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale e alla Ministra della difesa la mia preoccupazione rispetto al trattamento dei e delle migranti in Libia, siano essi economici o titolari di diritto alla protezione internazionale.
  In quell'occasione il Ministro Alfano si dichiarò pronto per ogni ulteriore approfondimento anche per quanto riguarda la dimensione della presenza italiana in Libia a supporto delle organizzazioni internazionali di tipo umanitario che garantiscono la difesa dei diritti umani nei campi dei rifugiati.
  A tale proposito, ritengo estremamente importante l'audizione di oggi. Infatti, il Dottor Soda ci illustrerà le attività che la IOM porta avanti nel Mediterraneo e soprattutto in Libia, che, anche a causa della forte instabilità, è diventata uno dei Paesi di transito principali dei migranti che provengono dall'Africa centrale e dove non c'è garanzia, ad ora, che i loro diritti umani vengano pienamente rispettati.
  Do, quindi, la parola al Dottor Soda affinché svolga la sua relazione e, nuovamente, lo ringrazio per la sua presenza.

  FEDERICO SODA, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration. Grazie, onorevole Locatelli, per l'invito e per l'opportunità di parlare di questo tema estremamente attuale e complesso. Inizio la mia relazione illustrando brevemente la nostra presenza e le nostre priorità in Libia. Poi parlerò dei flussi, delle condizioni che stiamo osservando e delle questioni che ci preoccupano di più in questo periodo.
  L'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni è presente in Libia con circa 230 persone, quasi esclusivamente di nazionalità libica a causa del divieto da parte del sistema di sicurezza delle Nazioni Unite che non permette al personale internazionale di rientrare a Tripoli da Tunisi. Sottolineo questo fatto perché si tratta di un Pag. 4problema urgente per tutta la comunità internazionale. È ormai da mesi che si parla di un ritorno delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali a Tripoli. Sono stato Tripoli a marzo di quest'anno per identificare un ufficio e preparare il terreno per il rientro e adesso, quasi alla fine di ottobre, siamo ancora in attesa. Ci sono stati degli sviluppi ultimamente. Abbiamo speranze che, magari, entro la fine dell'anno riusciremo a rientrare in Libia, ma comunque questa rimane una questione estremamente urgente.
  Lo sottolineo anche perché, non essendo presenti con operazioni complete e con tutti gli elementi necessari, ciò limita moltissimo anche quello che sappiamo, conosciamo e possiamo osservare. Penso che nessuno abbia veramente gli occhi e le orecchie sul campo rispetto a tante questioni molto rilevanti.
  Passando ad illustrare le nostre attività, inizio dai punti di sbarco; infatti, la nostra organizzazione è presente nei punti di sbarco libici. Quest'anno la Guardia costiera libica ha già effettuato più di 18.400 soccorsi. Si tratta di un numero importante, visto che rappresenta un aumento di forse 8-9 volte rispetto a tutti i soccorsi effettuati durante il 2016. Nei punti di sbarco la nostra organizzazione è presente con squadre che, innanzitutto, possono identificare i rischi, le vulnerabilità e le priorità per i migranti e, poi, fornire assistenza o affidarli ad altri che possono fornire loro l'assistenza necessaria.
  Spesso c'è il rischio che, dopo essere state soccorse, le stesse persone cui abbiamo appena salvato la vita finiscano nei famosi centri di detenzione: quelli ufficiali sono 34 e, rispetto a questi, la nostra organizzazione ha accesso a una ventina di essi. In più, sappiamo che ce ne sono tanti altri non ufficiali, non collocati sotto l'autorità del Dipartimento che controlla l'immigrazione irregolare in Libia.
  La capacità totale stimata di questi centri è di circa 7.000 persone, ma sappiamo benissimo che i centri sono sovraffollati e che ospitano molte più persone. Penso che, però, sia importante anche evidenziarne la capacità; infatti, a volte la stampa dà l'impressione che ci siano decine di migliaia di persone in detenzione in Libia e che i migranti siano quasi tutti in detenzione. Fortunatamente, non è così. In realtà, c'è un turn over, un ciclo molto efficace di entrate e di uscite continue da questi centri, che genera praticamente una sorta di economia. Sappiamo che in questi centri i migranti vengono anche torturati per estorcere loro i soldi che devono arrivare dalle loro famiglie nei Paesi di origine per poter comprare la loro uscita dal centro.
  Io ho visitato uno di questi centri a Tripoli a marzo e non credo che le condizioni siano migliorate da allora: ho riscontrato numerosi casi in cui le condizioni sanitarie e igieniche erano pessime e problemi di sovraffollamento e malnutrizione, al punto che, anche se normalmente non è un nostro compito, in alcuni di questi centri distribuiamo anche cibo, perché è stata riscontrata questa esigenza e non c'è alcun altro attore presente che possa soddisfarla. Ovviamente, la situazione delle donne, dei bambini e dei neonati è ancora più grave. Dai racconti dei migranti sappiamo che durante il viaggio, durante il percorso verso il Niger e poi verso la Libia, moltissime donne subiscono violenze e abusi, che sicuramente continuano anche in Libia. Non solo le donne, anche gli uomini arrivano spesso feriti e sicuramente traumatizzati. Leggevo il rapporto su un giovane che è arrivato qualche giorno fa, il quale praticamente ha smesso di parlare, tanto è traumatizzato. All'inizio raccontava un po’ quello che gli era successo e, dopo un giorno o due, ha smesso di parlare. Adesso è in uno dei nostri centri d'accoglienza in Italia. Sono problemi molto, molto seri, che magari non si manifestano con ferite fisiche ma le ferite ci sono comunque.
  La nostra stima rispetto a quanti migranti siano presenti in Libia è di circa 800.000. Sicuramente non tutti hanno l'intenzione di raggiungere l'Europa. La Libia, come ben sappiamo, ha una lunga tradizione di migrazione: molte persone si sono spostate verso la Libia per ragioni di lavoro e continuano ancora oggi a spostarsi dall'Africa occidentale verso la Libia con queste speranze. Molti migranti, sia in Libia sia Pag. 5in Italia, ci raccontano che la maggior parte di loro non ha lasciato il Paese d'origine con l'intenzione di raggiungere l'Europa. Quindi, si tratta in gran parte di una situazione di fuga dal nord della Libia, da dove è difficilissimo tornare indietro. Innanzitutto è pericoloso e costoso e, comunque, i migranti tornerebbero indietro più che a mani vuote, perché hanno già investito per arrivare fin lì. Non possono stare dove sono a causa dei pericoli e dell'insicurezza, ragion per cui il loro prossimo tentativo è quello di attraversare il Mediterraneo e raggiungere la meta successiva, che all'inizio è l'Italia. Tuttavia, sono convinto che tanti di quelli che si trovano nel nostro Paese non si sarebbero mai aspettati di arrivare in Italia e sono convinto che tante persone accolte nei centri non sono neanche sicure di cosa stanno aspettando o delle conseguenze di una decisione positiva o negativa per quello che riguarda i loro diritti e le richieste che hanno avanzato.
  C'è, quindi, un movimento continuo nella regione, che è molto più importante della migrazione dalla Libia verso l'Europa. Sappiamo, per esempio, che lo spostamento dall'Egitto verso la Libia, anche di cittadini egiziani, è da sempre e continua ad essere notevole. Quest'anno abbiamo constatato, per esempio, un calo degli spostamenti dal Niger verso la Libia di circa il 35 per cento rispetto all'anno scorso, ma anche un aumento, sebbene non ancora ben quantificato, degli spostamenti dall'Egitto verso la Libia. Sappiamo anche, per esempio, che c'è un aumento degli spostamenti dal Niger verso l'Algeria e dall'Algeria, molto probabilmente, verso la Libia. Quindi, bisogna stare attenti con i dati, perché il calo di spostamenti dal Niger alla Libia è molto interessante e importante, ma non racconta tutta la storia. Bisogna osservare tutte le rotte e tutti i confini per avere un quadro un po’ più completo della situazione degli spostamenti verso la Libia.
  La nostra organizzazione lavora nei centri di detenzione cui ha accesso, con due funzioni. La prima è cercare di migliorare le condizioni nei centri. Dico questo con molta attenzione, perché non è nostra intenzione migliorare le condizioni dei centri in modo che la nostra azione possa contribuire alla giustificazione dell'esistenza di tali centri. La nostra linea rispetto a questa situazione è molto chiara: vorremmo soluzioni alternative alla detenzione. Le condizioni nei centri, però, sono talmente penose e gravi che siamo costretti a fornire assistenza umanitaria. Alle persone detenute in questi centri la nostra organizzazione offre anche l'opportunità di rientrare nel Paese d'origine tramite un programma di rimpatrio volontario, che, date le condizioni, è più simile a un'evacuazione. Tramite questo programma abbiamo già assistito più di 8.400 persone quest'anno, con rimpatri volontari assistiti, soprattutto verso l'Africa occidentale.
  Come ben sappiamo, in Libia sono presenti tantissime nazionalità. Qui in Italia, negli ultimi anni, registriamo la presenza di circa 60 nazionalità. I nostri rimpatri non sono effettuati verso tutti questi Paesi; la maggior parte è rivolta verso i Paesi dell'Africa occidentale, anche con buoni risultati con alcuni Paesi molto problematici, come la Nigeria oppure il Senegal.
  La nostra organizzazione è attiva anche nel sud della Libia, con attività di stabilizzazione, che puntano a sviluppare e a migliorare le condizioni sociali ed economiche, sia per i migranti, sia per le comunità che li ricevono. Questo è un lavoro a lungo termine, perché non è facilmente realizzabile. È un lavoro che è cominciato all'inizio di quest'anno ed è anche molto in linea non solo con gli obiettivi italiani, ma anche con tutti gli obiettivi europei per quanto concerne quella regione della Libia. L'approccio è quello di cercare di creare un'area in cui si possa lavorare meglio che in altre, in cui le persone in movimento possano trattenersi in luoghi più sicuri, in modo da rallentare lo spostamento verso il nord del Paese. Ho l'impressione che la situazione al sud potrebbe migliorare ed essere stabile prima che al nord. In un certo senso, si tratta anche di attività di prevenzione e di protezione simili alle attività che svolgiamo in Niger, anche nel nord del Niger, dove abbiamo la possibilità di accogliere i migranti che rientrano dalla Libia spontaneamente, oppure quelli che stanno ancora Pag. 6cercando di spostarsi verso la Libia. Già in quella regione svolgiamo attività di protezione, di prevenzione e di assistenza per il rientro nel Paese d'origine. Anche dal Niger quest'anno abbiamo già realizzato circa 7.000-8.000 rimpatri. Il numero dei rimpatri volontari dalla Libia e dal Niger è, quindi, notevole. Quest'anno speriamo di arrivare a circa 12.000-13.000 rimpatri dalla Libia.
  Negli ultimi giorni è stata evidenziata una situazione molto grave a Sabratha, dove adesso, dopo settimane di conflitto tra vari gruppi armati, abbiamo identificato più di 14.000 migranti detenuti in vari centri, soprattutto centri non riconosciuti e non ufficiali. Adesso le autorità libiche stanno spostando questi migranti verso Tripoli e verso altri centri in quella stessa zona. La nostra organizzazione si è occupata di questi migranti e abbiamo iniziato un lavoro di identificazione non solo delle vulnerabilità, ma anche delle nazionalità, per cercare di trovare soluzioni più sostenibili per loro che non siano i centri di detenzione. Si tratta di migranti di quasi 12 nazionalità diverse. Sappiamo che ci sono donne incinte, neonati, minori non accompagnati. La composizione non cambia: più o meno, è sempre la stessa. Le vulnerabilità e la composizione sia delle nazionalità, sia del genere e dei minori, accompagnati e non, più o meno sono sempre quelle.
  In questo momento ci sono tantissime esigenze rispetto a questa situazione. Ci stiamo impegnando e siamo anche in contatto con l'Ambasciata italiana, che praticamente sta finanziando tutte le attività che ho descritto. Stiamo organizzando con l'Ambasciata anche un sostegno a livello più operativo, magari con mezzi per portare queste persone in posti sicuri e cercare di realizzare i rimpatri, una volta che il loro status e i loro diritti sono stati determinati.
  Forse, l'osservazione delle condizioni dei migranti si svolge meglio in Italia che in qualsiasi altro posto, perché qui, ai punti di sbarco e nei centri, c'è la possibilità di capire veramente come, quando e perché i migranti si muovono, cosa succede durante il transito, quanto costano i viaggi e tutte le altre questioni. In Libia ciò è molto più difficile: in quel contesto spesso non si possono fare queste indagini.
  La nostra organizzazione ha già svolto un primo studio sul profilo socio-economico dei migranti che arrivano in Italia, registrati ai punti di sbarco. Da tale studio emergono le seguenti vulnerabilità. Negli ultimi diciotto mesi il pericolo in Libia è aumentato. Si riscontra anche un atteggiamento razzista nei confronti degli africani di pelle scura da parte di determinate comunità in Libia. Adesso che probabilmente l'85 per cento dei flussi dalla Libia verso l'Italia viene proprio da quella parte dell'Africa occidentale, anche questo aspetto contribuisce molto a ciò che subiscono i migranti.
  Dal punto di vista delle norme internazionali, sul fronte dei diritti chiunque può avere una valida richiesta individuale per motivi di persecuzione o altro, ma, rispetto alle nazionalità che hanno un alto tasso di riconoscimento di protezione internazionale, è stato registrato un calo negli ultimi anni. Per esempio, con riguardo agli eritrei, nel 2015 in Italia sono stati registrati poco più di 40.000 eritrei, nel 2016 poco più di 20.000 e quest'anno si arriverà a circa 7.000-8.000. Si registra un drastico calo non solo di eritrei, ma anche delle nazionalità del Corno d'Africa, che tendenzialmente hanno un tasso di riconoscimento più alto. Dei siriani, degli iracheni e delle nazionalità del Medio Oriente non parlo neanche, perché si tratta veramente di numeri quasi irrilevanti dal punto di vista dell'analisi della situazione, non certo dal punto di vista dei rischi.
  Le nazionalità dell'Africa occidentale, in generale, hanno un tasso molto basso di riconoscimento. È difficile riconoscere a questi migranti uno status legale che rispecchi quello che hanno passato e quello che hanno subìto. Spesso viene usata l'espressione «migranti economici». Io preferisco chiamarli «non rifugiati», perché definirli «migranti economici» semplifica un po’ troppo la questione. Ovviamente, nel momento in cui essi si trovano in un Paese sicuro e stabile e vedono delle opportunità, certamente vogliono lavorare. Pag. 7
  La nostra associazione ha pubblicato un rapporto sulle vittime di tratta. Questo problema persiste, con un aumento dal 2015, e riguarda soprattutto donne nigeriane. Non dico che non ci sia la possibilità che donne di altre nazionalità siano vittime di tratta; tuttavia, mentre tra i migranti di nazionalità nigeriana le donne rappresentano circa il 30 per cento del flusso, rispetto alle altre nazionalità spesso la percentuale delle donne non raggiunge neanche il 10 per cento. I numeri sono letteralmente esplosi dal 2014. Io sono in Italia dal 2014 e mi ricordo che nel 2015 erano già 5.600 e nel 2016 sono state 11.000. Nel 2017 siamo, più o meno, allo stesso livello dell'anno scorso. In questo caso, in base al lavoro che svolgiamo presso i punti di sbarco in Italia, con squadre specializzate sull'antitratta, grazie a un lavoro di lunga data, la nostra stima è che l'80 per cento delle donne nigeriane che arrivano sono già state spostate per motivi di tratta, oppure sono ad altissimo rischio di diventare vittime di tratta. Si tratta di una questione totalmente transnazionale. Infatti, non solo ci vuole una catena di controllo che vada dal villaggio in Nigeria all'Italia (sappiamo bene che i soggetti interessati sanno esattamente dove sono queste donne, come trovarle e dove vogliono portarle), ma, in più, tramite il lavoro della nostra organizzazione, sappiamo anche che queste donne sono destinate a quasi tutti gli altri Paesi europei. Abbiamo avuto notizia di alcune donne identificate che hanno rifiutato l'assistenza al punto di sbarco e che, in seguito, sono state identificate in Spagna o in Svezia.
  Continuiamo ad avere delle esigenze importanti che riguardano le case di fuga in Italia: vicino ai punti di sbarco non ci sono le strutture necessarie per accogliere le donne che vogliono usufruire dell'assistenza, che pure può essere fornita. Questo è un punto importante. Si tratta di un'esigenza che non è nuova: è da qualche anno ormai che si registra un notevole aumento di questo fenomeno, ma prima la situazione veniva gestita caso per caso, perché con i numeri più bassi, in un modo o nell'altro, si trovava un convento o la struttura di qualche associazione che poteva accogliere queste donne. Quando si tratta di numeri come quelli di quest'anno e dell'anno scorso, però, non si può più andare avanti con un sistema di emergenza. Pertanto, abbiamo già avanzato alcune richieste per avere, vicino ai punti di sbarco, strutture, le cosiddette «case di fuga», nelle quali si possa trasferire in ogni momento una donna che abbia bisogno di essere protetta e tutelata.
  Con riguardo allo sfruttamento, stiamo anche prestando molta più attenzione allo sfruttamento lavorativo in Italia. Si registra la crescita del numero di migranti irregolari che non avranno il diritto di rimanere sul territorio, ma che né partiranno volontariamente né saranno espulsi. Senza documenti e senza status legale, questi migranti sono ad altissimo rischio. Si tratta di un rischio che, ovviamente, non riguarda solo l'Italia. Alcune delle cose che ho descritto rappresentano difficoltà per tutta l'Europa. Tuttavia, a causa delle condizioni e del tipo di lavoro disponibile nel settore agricolo, nelle regioni in cui i migranti sbarcano, è molto facile che essi finiscano a lavorare in queste condizioni. Stiamo collaborando con alcune regioni e anche con il settore privato per cercare di migliorare le condizioni di lavoro, anche da un punto di vista economico, per avere filiere più pulite e libere dallo sfruttamento lavorativo. Questo non ha niente a che fare con l'audizione di oggi, ma è un tema, ovviamente, importantissimo per il Paese e per questi settori.
  Più o meno, ho descritto quello che pensavo sarebbe stato interessante per questo Comitato, ma, ovviamente, sarei più che contento di rispondere alle vostre domande.

  PRESIDENTE. La ringrazio, Dottor Soda, per questa relazione, che ha affrontato i diversi aspetti di una situazione per definizione complessa. Mi ha chiarito alcune questioni e mi ha fornito, invece, altre informazioni che non avevo. Quindi, vorrei porLe alcune domande.
  In primo luogo, ho trovato molto interessante la descrizione dei flussi, perché la conoscenza o l'idea diffusa dappertutto è che questi flussi vadano inevitabilmente dal Pag. 8sud verso il nord, ossia dal Ciad, ma soprattutto dal Niger, attraversino la Libia, nelle condizioni che tutti conosciamo, e arrivino al nord. L'idea diffusa è che tutti i migranti tentino di arrivare in Europa. La Sua relazione ci ha fatto capire che la situazione è molto più complessa e che non sono tantissimi, o non sono una buona parte, i migranti che si trovano in Libia e che vogliono arrivare in Europa. Questa è per me una novità considerevole. Sapevo che c'era una circolarità, ma non in questi termini, ossia che solo una minoranza di migranti aspira ad arrivare in Europa.
  La seconda domanda riguarda i flussi dall'Egitto. Anche questo aspetto mi ha lasciata allibita. Lei ha parlato di una presenza nei campi di 7.000 persone, proprio perché c'è un turn over. Il turn over si spiega chiaramente perché si è creato un ciclo economico, in quanto per uscire dai centri i migranti devono pagare. Quindi, è interesse di chi gestisce i campi far entrare e far uscire i migranti, perché il denaro circola più volte all'anno. Questo, per esempio, è un aspetto che avevo sottovalutato. Anch'io pensavo che le presenze nei campi fossero molto più numerose. A questo proposito, mi ha stupito il numero riferito alle recenti scoperte nella zona di Sabratha. Nei campi di Sabratha, che è una regione definita, c'è un numero doppio di persone rispetto ai 34 campi in tutto il resto della Libia. Anche questo dato è un'altra sorpresa. Essendo una zona così definita, come fanno i migranti a essere tanto numerosi rispetto al resto del nord della Libia? Peraltro, si tratta di una zona molto «vivace». Vorrei capire anche questo aspetto.
  Un'altra cosa che mi ha sorpreso, nel senso che non ne ero a conoscenza, riguarda l'idea che da fine agosto ad oggi ci sia stato, in entrata dal sud della Libia verso la Libia, un crollo robusto. Mi pare di capire dalle Sue parole che non sia esattamente così. C'è stata una riduzione del 30-35 per cento, ma i soccorsi in mare da parte della Guardia costiera libica sono stati 18.400 quest'anno. A questo punto, non riesco più a far funzionare i numeri, perché, se 18.400 persone sono state soccorse e se nei campi la permanenza media è di 7.000 persone, anche con un turn over rapido, non può trattarsi di numeri incredibili. Mi aiuti a capire meglio questo aspetto.
  Aggiungo ancora un'altra considerazione. Io credevo, e probabilmente lo credevo in modo sbagliato, che ci fossero i cosiddetti campi ufficiali e i campi gestiti – mi permetto questa espressione – dagli «scafisti di terra». Forse non è esatta questa netta distinzione. Io immaginavo che fosse il Governo Serraj a gestire i campi ufficiali e che fossero gli «scafisti di terra» a gestire i campi che noi consideriamo una sorta di inferno. Le chiedo di aiutarci a capire anche questo aspetto.
  Per quanto riguarda la tratta, mi ero informata e ho letto entrambi i vostri rapporti. Il problema è che le donne nigeriane sono tante proprio perché c'è questo pull factor dello sbocco «professionale». La percentuale delle donne nella comunità nigeriana è molto più alta che nelle altre comunità per questa ragione, perché è tutto finalizzato a uno scopo. Mi è capitato di visitare le case di fuga e spero che il loro numero possa essere aumentato.
  È arrivato un allarme da parte di una ong, qualche tempo fa, relativamente ad alcune donne nigeriane rimpatriate perché non hanno dichiarato chiaramente di essere vittime di traffico. È molto difficile distinguere tra le vittime di traffico, o le potenziali vittime di traffico, e loro stesse non sono molto consapevoli di questo rischio. Il personale che le accoglie deve essere, quindi, un personale particolarmente specializzato nell'individuare il tema. Questo non sempre è possibile e, a volte, quando è possibile, non ci sono le case di fuga. Quindi, si tratta di un problema complesso.
  Do la parola al Dottor Soda per la replica.

  FEDERICO SODA, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration. Innanzitutto, la questione della gestione dei centri è un'attività economica. Non solo si vogliono gestire i centri, ma si vuole anche essere sicuri che non ci siano altri che possano gestire centri o campi simili. Pag. 9
  Quanto alla questione di Sabratha e Zuwara, è importante anche la terminologia: ho fatto riferimento ai centri ufficiali, quelli sotto la responsabilità delle autorità, del dipartimento del Governo libico. Lì la capacità è quella di circa 7.000 persone, secondo la nostra stima. Questi centri sono sotto l'autorità di questo dipartimento, ma non necessariamente sono sotto il suo controllo o la sua gestione. Sappiamo bene che, dal punto di vista del governo del Paese, la situazione è talmente frammentata che forse, dato che girano molti soldi, i centri vengono gestiti da altri gruppi.
  In più, ci sono le cosiddette connection house, rispetto alle quali sappiamo pochissimo, perché non sono luoghi ufficiali e riconosciuti. Sappiamo che i trafficanti vi trattengono le donne destinate alla tratta, ma anche altri migranti. In questa zona di Sabratha ci sono tutti e due i tipi di centri. In quella zona, probabilmente solo in quella, ci sono almeno 6 o 7 centri ufficiali e, in più, tutti gli altri. Probabilmente si tratta anche di 14.000 persone. Non lo so per certo. Non possiamo essere certi dei numeri, ma sospetto che in quella regione ci siano anche migranti che non erano detenuti in alcun centro. Magari si trovavano in case private, facevano altro e, con l'esplodere del conflitto, si sono trovati in una situazione impossibile.
  Non sappiamo esattamente quanti siano i migranti in Libia, ma ce ne sono anche alcuni che si trovano in luoghi relativamente tranquilli. Io sono convinto che, se ci fosse un miglioramento delle condizioni di sicurezza in Libia, ci sarebbe immediatamente un calo nelle partenze, perché quando rischia la vita su un gommone la gente è in fuga.
  Per quello che riguarda la riduzione dei flussi, innanzitutto è vero che c'è stata una riduzione dal Niger alla Libia, ma abbiamo osservato e stiamo osservando altri trend, i flussi utilizzano altre rotte. In secondo luogo, c'è una questione legata alla tipologia dei migranti. In questo senso questa è una situazione molto, molto fluida. Le rotte cambiano rapidamente, molto rapidamente. È come se fossero degli interruttori: si accendono e si spengono le rotte al bisogno, visto che ce ne sono tante. Tutto dipende dai controlli, dalle questioni legate alla sicurezza. Ad esempio, se si tratta di persone che si spostano anche in aereo, riscontriamo che, se la Tunisia richiede un visto per i marocchini, in pochissimo tempo la rotta dei marocchini verso la Libia cambia. La nostra organizzazione è presente anche per osservare questi fenomeni, ma non si tratta di una scienza esatta.

  PRESIDENTE. Ho una domanda aggiuntiva, che avevo dimenticato e che è collegata al fatto che in questi centri, sia in quelli sotto il controllo del dipartimento libico, sia negli altri, la vostra organizzazione opera in base a una questione umanitaria, anche se non gradite, ovviamente, la presenza dei centri, perché la speranza è di trovare soluzioni alternative, ma questa è la situazione.
  Nell'audizione che abbiamo svolto a settembre il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha parlato di un progetto di gestione dei migranti e, quindi, anche di questi centri, prevedendo una collaborazione tra ong italiane e ong libiche. Lei sicuramente è più informato di noi, anche se non segue in modo particolare il tema dell'Italia. Vorrei sapere se ci sono delle ong italiane disponibili ad andare in Libia. Mi pare che l'ONU non abbia ancora risolto il problema dell'invio dei suoi operatori proprio perché non c'è sicurezza e sappiamo che questa è una delle condizioni che l'ONU pone per le sue operazioni in tutti i contesti.
  L'Italia ha avviato un lavoro finalizzato alla presenza delle ong italiane, ma esistono ong libiche? Io ho una grande preoccupazione, ossia che quelli che io chiamo «scafisti di terra» si trasformino improvvisamente in ong libiche, si mettano una bella etichetta e facciano esattamente quello che hanno fatto finora, ossia attuino comportamenti totalmente inaccettabili e, per di più, si prendano i soldi pubblici.

  FEDERICO SODA, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration. Per quello che riguarda la presenza e le Pag. 10capacità delle ong libiche, sinceramente non so molto e quello che so su questa questione riguarda l'entrata delle ong italiane per cercare di colmare il vuoto creato dall'assenza del resto del sistema internazionale, non solo delle Nazioni Unite ma anche di ong internazionali e di altri Paesi.
  Sono in contatto con alcune ong in Italia e so che vorrebbero muoversi in questa direzione ma mi risulta che neanche loro riescano a rientrare in Libia. La questione concerne quanto rischio si voglia assumere un direttore o un segretario generale di un'organizzazione, perché la mancanza di sicurezza è tale che bisogna andare estremamente preparati e con prudenza. Le Nazioni Unite parlano di forze di protezione di 300-400 Gurkha dal Nepal solo per una struttura abbastanza snella, penso, all'inizio. Comunque, neanche questo obiettivo fino adesso è stato realizzato. So, quindi, che la volontà c'è ed è forte. Anche la nostra organizzazione è pronta a tornare in Libia da mesi, ma deve assolutamente esserci un miglioramento nelle condizioni o un miglioramento nella sicurezza.
  Detto questo, ci sono altri Paesi con una situazione di sicurezza estremamente difficile. Abbiamo appena visto che cosa è successo in Somalia e anche in Yemen c'è una situazione terribile ormai da anni. Eppure le Nazioni Unite sono presenti in questi Paesi. Hanno trovato il modo per poter lavorare. Abbiamo, quindi, la speranza che anche in Libia si troverà il modo e si creeranno le condizioni per poter operare.

  PRESIDENTE. La ringrazio, Dottor Soda, per questa utile audizione. Vorrei chiederLe di mantenere i contatti con questo Comitato. Se, come speriamo, le condizioni dovessero cambiare per il meglio – potrebbero anche peggiorare, ma mi auguro di no – ci piacerebbe essere tenuti informati sull'evoluzione della situazione. Io stessa, che credo di seguire con una certa attenzione questi temi, su alcune questioni non avevo le informazioni che Lei ci ha fornito. Pensando a possibili interventi, se non si ha la conoscenza della situazione, si rischia di fare, se va bene, sciocchezze e, se va male, anche del danno. Pertanto, Le chiederei la possibilità di mantenerci in collegamento con un aggiornamento della situazione, sperando che l'aggiornamento offra qualche segno di speranza e non di peggioramento, perché la situazione è oggettivamente complessa.
  Abbiamo tenuto sulle nostre spalle italiane gran parte dello sforzo. Adesso so che si è discussa e votata la modifica del Regolamento di Dublino III, ma, poiché ero all'estero, non ho ancora gli elementi per valutare questo cambiamento. Spero che si vada nella direzione che noi sempre abbiamo indicato, che è quella della condivisione del peso di questo fenomeno, che non è un'emergenza ma è diventato un fenomeno stabile e strutturale. Mi ripropongo di andare a studiare le novità, ma Le chiedo davvero di mantenere questo collegamento sistematico, in modo che possiamo avere gli strumenti per elaborare politiche che possano essere utili.

  FEDERICO SODA, Direttore dell'Ufficio di Coordinamento per il Mediterraneo della International Organization for Migration. Se posso aggiungere una cosa ancora, c'è un solo punto che avrei voluto sollevare prima. In Libia ci sono anche circa 400.000 libici sfollati. Quando si parla di stabilizzazione e della creazione di condizioni per un percorso più stabile e più sicuro per il Paese, anche questo è un numero a cui dobbiamo prestare molta attenzione. Dobbiamo fare in modo che anche queste persone trovino le condizioni e l'assistenza necessarie per poter tornare nelle loro regioni o per potersi stabilizzare dove sono. Sollevo la questione anche perché parliamo spesso esclusivamente del tema della migrazione di coloro che transitano e che sono stranieri in Libia e sono in condizioni pessime, ma non parliamo quasi mai dei 400.000 libici che hanno enormi difficoltà nel loro Paese.

  PRESIDENTE. Grazie anche per questo dato, assolutamente sconosciuto per quanto mi riguarda. Davvero, è stata un'audizione molto utile. L'onorevole Sandra Zampa, che ha dedicato moltissimo del suo tempo e del suo impegno per i minori e per i minori Pag. 11migranti non accompagnati, mi ha comunicato che si scusa per non essere potuta intervenire in questa audizione. A volte, al di là della propria volontà, non è possibile essere presenti ed è proprio il caso dell'onorevole Zampa.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.10.