TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 836 di Martedì 18 luglio 2017

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interrogazione

   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Consulmarketing s.p.a. è un'azienda che gestisce servizi di rilevamento statistico per il colosso multinazionale Nielsen, unico committente effettivo;
   Consulmarketing s.p.a. ha rilevato le attività provenienti dai fallimenti di altre tre aziende (Consulmarketing srl, Marketing coop società cooperativa e Ricerche e promozioni di mercato srl);
   nel corso del 2016 si è già aperta una vertenza sindacale, con la proclamazione di 5 giorni di sciopero dal 30 al 4 giugno 2016, a causa della volontà aziendale di indurre un netto abbassamento di diritti e tutele per 465 dipendenti (su un totale di 1134 addetti) o, in alternativa, e sempre sotto la minaccia del licenziamento, di riassumere i lavoratori, diminuendo le retribuzioni e deregolamentando la normativa relativa al contratto nazionale di lavoro, a causa del mercato in flessione e di una denunciata perdita di fatturato di 1,5 milioni di euro nel 2015;
   la chiusura della vertenza – mai effettivamente digerita dall'azienda, nonostante il passato coinvolgimento dei Ministeri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali e la responsabilità dimostrata dai lavoratori, denunciano i sindacati – è deflagrata in questi giorni, quando Consulmarketing ha attivato la seconda procedura di mobilità in meno di un anno, questa volta per l'intero comparto dei rilevatori, ovvero 350 persone, con la motivazione che, qualunque cosa succeda della commessa Nielsen, si dovrà procedere alla «esternalizzazione» dell'attività del settore rilevamenti, affidandola a «professionisti» esterni;
   in questo quadro, i sindacati segnalano che: «I rilevatori Consulmarketing hanno dato l'opportunità all'azienda – sottoscrivendo un contratto di solidarietà e accettando una mobilità su base esclusivamente volontaria – di affrontare i nodi irrisolti di una cattiva organizzazione aziendale e di un'incapacità manageriale con una trattativa che l'azienda non ha mai voluto fare fino in fondo. Lo stesso contratto di solidarietà ha dimostrato che non è vero che ci sia un problema di esuberi, giacché a tutto o quasi il personale che ha accettato il licenziamento l'azienda ha provocatoriamente proposto di passare a collaboratori per continuare a svolgere senza diritti il proprio lavoro e nessun ricorso è stato fatto all'ammortizzatore sociale previsto dal contratto medesimo (la riduzione di orario e di salario corrispondenti)» –:
   come mai non siano state assunte efficaci iniziative, per quanto di competenza, rispetto alle segnalazioni riguardanti la scelta dell'azienda di utilizzare, stante il contratto di solidarietà, personale con contratto di collaborazione per svolgere le mansioni dei rilevatori dichiarati in esubero, considerato il fatto che detto personale era in molti casi personale licenziato dall'azienda perché «in esubero» ai sensi della procedura di licenziamento collettivo;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per dar seguito all'impegno a suo tempo preso in sede ministeriale – quando, con la partecipazione di rappresentanti dei Ministeri dello sviluppo economico e del lavoro e delle politiche sociali e della regione Lombardia, si avviò la conclusione in sede amministrativa della precedente procedura di mobilità – di convocare anche Nielsen, attivando un nuovo tavolo che richiami tutti i soggetti al rispetto della normativa e dei diritti contrattuali dei lavoratori del settore, da parte delle aziende che in quel settore operano in qualità di committenti e di realizzatori dei servizi, e al fine dunque di far sì che Nielsen si assuma le proprie responsabilità in quanto «stazione appaltante» monomandataria delle attività di rilevamento dati. (3-02738)
(25 gennaio 2017)

B) Interpellanza

   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   la crisi economica è ancora molto presente e si stanno facendo sempre più forti due tendenze: un declino della crescita della produttività e il persistere di disuguaglianze in termini di ricchezza, salari, benessere ed opportunità;
   un settore particolarmente importante è quello dell'istruzione e della formazione: le competenze che si acquisiscono nel percorso di istruzione hanno un impatto diretto sulle possibilità e sulle tipologie di occupazione e dunque sulla retribuzione e sull'autonomia delle persone;
   le donne continuano ad essere le più svantaggiate sul mercato del lavoro in termini sia di opportunità sia di retribuzione, dunque di autonomia;
   i dati dell'Osce mettono in luce che gli individui con più alta formazione e più alte competenze hanno maggiori possibilità di godere di buona salute, di avere un impatto sulle decisioni e sui processi politici e di partecipare ad attività associative o di volontariato: in una parola di partecipare e contribuire alla vita sociale, economica e politica del proprio Paese;
   il programma Pisa (The Program for international student assessment), con cui si valutano le competenze di studentesse e di studenti, prevede strumenti per misurare il benessere degli studenti (well-being) ed è pianificato un rapporto sulle politiche educative e sulle pratiche per diminuire le disuguaglianze sociali per il 2017;
   persiste inoltre un consistente gap nel dotare gli studenti di solide skills – il che è preoccupante;
   «The abc of gender equality in education» sottolinea che gli insegnanti e le scuole di molti Paesi debbono incoraggiare maggiormente le ragazze a vedere come le scienze e la matematica siano essenziali per la loro carriera e per le opportunità di vita. La raccomandazione del 2013 dell'Oecd sulla gender equality nell'educazione, nell'occupazione e nelle imprese ha messo in luce che le donne rimangono decisamente sottorappresentate negli studi e nei lavori nelle cosiddette stem, ossia nel campo delle scienze, dell'ingegneria e delle tecnologie –:
   quali iniziative la Ministra interrogata intenda mettere in atto per incoraggiare maggiormente le studentesse e gli studenti a intraprendere percorsi di formazione nelle stem (scienze, tecnologie, ingegneria e matematica) e, in particolare, per colmare il gap di rappresentanza delle studentesse.
(2-01506) «Centemero».
(14 ottobre 2016)

C) Interrogazione

   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il problema dell'abbigliamento consono delle studentesse e degli studenti nelle scuole è un problema sempre più di attualità e non riguarda una «moda», ma è inerente al comportamento e al rispetto che si devono avere a scuola;
   in quasi tutti gli istituti scolastici di primo e secondo grado vengono emanate circolari al fine di indicare un dress code cui gli studenti devono attenersi e nella maggior parte di questi è stato ormai adottato un regolamento di istituto che disciplina l'accesso alla scuola solo se adeguatamente vestiti;
   i concetti di «consono» e «decoroso» non attengono alla sfera interpretativa dei singoli, ma all'ambiente sociale e al luogo cui ci si riferisce e nelle circolari emanate i dirigenti scolastici sono soliti riportare un elenco degli indumenti non adatti;
   le stesse circolari e i regolamenti d'istituto prevedono le eventuali sanzioni conseguenti al mancato rispetto delle regole indicate, che possono andare dalla non ammissione a scuola a semplici richiami;
   alla fine di ogni anno scolastico si ripropongono criticità in merito alla questione della sobrietà dell'abbigliamento, con i conseguenti diverbi tra organi di dirigenza dei singoli istituti scolastici e studenti – che in alcuni casi chiedono rispetto delle regole riguardanti anche le altre componenti scolastiche – nonché tra genitori e le scuole;
   l'abbigliamento indossato è spesso oggetto di confronto tra le studentesse e gli studenti e può comportare anche discriminazioni o, nei casi peggiori, forme di denigrazione e rilevare anche il diverso status socio-economico della famiglia –:
   quali iniziative intenda assumere la Ministra interrogata, per quanto di competenza, per stabilire in maniera definitiva e a livello nazionale, un codice di comportamento o adottare un abbigliamento scolastico, come avviene in altri Paesi, che riservi alla scuola nel suo complesso il giusto rispetto e l'adeguato comportamento da parte di tutte le componenti. (3-03105)
(22 giugno 2017)

D) Interrogazione

   MALPEZZI, MAURI, COVA e FIANO. — Al Ministro della difesa e al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di tre anni fa la decisione di trasferire il presidio dei carabinieri della città di Cassano d'Adda, in provincia di Milano;
   il limitrofo comune di Pioltello ha già finanziato 1,2 milioni di euro per ampliare l'attuale tenenza attraverso l'applicazione di quota di avanzo di amministrazione;
   in tal senso, la giunta comunale di Pioltello, nel corso dell'ultimo consiglio comunale del 27 aprile 2017, ha presentato la variante di bilancio per l'ampliamento della caserma già presente;
   l'approvazione di tale variante dal parte del consiglio comunale ha dimostrato la volontà tangibile e concreta di trovare spazi affinché il presidio si trasformi da tenenza in compagnia;
   al trasferimento della caserma di Cassano avrebbe dovuto fare seguito il mantenimento nella città di almeno un presidio per la cittadinanza;
   per questa ragione, l'amministrazione comunale di Cassano ha presentato diverse soluzioni per mantenere un presidio sul territorio, tra cui la possibilità di usare i locali che sino a poco tempo fa ospitavano la pretura e attualmente non sono utilizzati, manifestando la volontà di dare una risposta seria e concreta al legittimo desiderio di sicurezza dei cittadini;
   appare quindi evidente la necessità di trovare una soluzione che consenta al comune di Cassano di mantenere un presidio e garantire al contempo il trasferimento della compagnia a Pioltello –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere le opportune iniziative per garantire la sicurezza dei cittadini di Cassano con la ricollocazione della stazione dei carabinieri e, nel frattempo, agevolare il trasferimento della compagnia nel comune di Pioltello. (3-03157)
(17 luglio 2017)
(ex 4-16482 del 4 maggio 2017)

MOZIONI IN MATERIA DI TRASPARENZA DEI CONTRATTI DERIVATI STIPULATI DAL MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni i contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con molteplici controparti bancarie hanno generato cospicue perdite effettive e potenziali per lo Stato;
    in base a dati pubblicati ad aprile 2016 dall'ISTAT nel 2015 i contratti derivati hanno generato perdite per complessivi 6,8 miliardi di euro;
    nella risposta all'interrogazione a risposta immediata n.  3-02802 del 21 febbraio 2017, il Ministro interrogato ha reso noto, tra l'altro, che:
     a) il valore di mercato della posizione complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 è di circa 37,8 miliardi di euro con segno negativo;
     b) nel corso del 2016 il saldo tra pagamenti e incassi del portafoglio swap è stato pari a circa 4,2 miliardi di euro;
     c) nel 2016 le banche-controparti hanno esercitato quattro swaptions con effetto complessivo sul debito contabile dello Stato pari a circa 3,2 miliardi di euro;
     d) nel 2016 lo Stato ha subìto altresì l'esercizio di una clausola di early termination inserita in un contratto di interest rate swap e, per effetto dell'estinzione anticipata del contratto, ha dovuto corrispondere alla banca-controparte un importo di un miliardo di euro circa;
    da alcuni articoli di stampa pubblicati lo scorso mese di febbraio e non smentiti dal Ministero, si è appreso che i contratti derivati chiusi anticipatamente da Morgan Stanley tra fine 2011 e inizio 2012 contenessero delle clausole di riservatezza (confidentiality) a beneficio della Banca, ma, derogabili da parte del «Tesoro» se a chiedere di conoscere i contratti siano alcune istituzioni, tra cui è compreso un ordine di un legislative body cioè un'entità legislativa tra cui – ad avviso degli scriventi – rientrano senza dubbio le Camere e le relative Commissioni,

impegna il Governo

1) al fine di innalzare il livello di trasparenza sull'operato in materia di derivati dello Stato – valendosi delle suddette deroghe contrattuali – a rendere pubblici i contratti derivati estinti anticipatamente da Morgan Stanley ed a rendere noti tutti i contratti derivati in essere o quanto meno estinti, anche con altre controparti bancarie, che non presentino clausole di riservatezza o che presentino clausole derogabili come quelle di Morgan Stanley.
(1-01594)
«Ruocco, Sibilia, Alberti, D'Uva, Pesco, Pisano, Villarosa».
(11 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il ricorso a strumenti finanziari quali i contratti derivati da parte dello Stato Italiano non è un fenomeno recente, bensì strutturale e di lungo periodo, che ha avuto inizio tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta. Finalità del ricorso agli strumenti di finanza derivata era essenzialmente quella di contrastare il rischio di cambio monetario in un periodo fortemente segnato da ampie fluttuazioni della lira;
    tali operazioni sono state di segno positivo, producendo dunque dei guadagni che hanno avuto effetti positivi di riduzione dell'indebitamento netto, nel periodo che va dal 1998 al 2005. Dopo tale anno si registra una netta inversione di tendenza, dovuta in gran parte a fattori di natura macro economica e al ciclo economico internazionale, con un aumento della spesa per interessi che ha prodotto effetti negativi sul debito;
    il ricorso agli strumenti finanziari derivati è stato molto ampio anche da parte degli enti locali a partire dalla metà degli anni Novanta con risultati in gran parte non positivi e che hanno successivamente indotto il legislatore ad intervenire più volte a partire dal 2001 proprio al fine di regolare e limitare il ricorso degli enti locali all'investimento in contratti derivati;
    la gestione dei contratti derivati è materia estremamente complessa in particolare da parte dell'amministrazione pubblica centrale, perché impone attente analisi al fine di valutare la remuneratività dell'investimento, ai fini dei conti pubblici e del bilancio statale, in un arco temporale molto esteso che va ben oltre il periodo di vigenza dell'amministrazione pro tempore che stipula il contratto o decide di avvalersi delle clausole o delle opzioni che alcuni strumenti derivati prevedono nel tempo;
    in tal senso, è estremamente indicativa la vicenda che nel 2012 vide il Governo italiano dover pagare 3,1 miliardi di euro alla banca Morgan Stanley per chiudere quattro contratti derivati e rinegoziare due coperture sulle valute. Il Governo dell'epoca, a quanto si apprese, non poté esimersi da tale ingentissimo esborso di risorse pubbliche in forza dell'applicazione di una clausola inserita nel 1994 nei contratti stipulati con Morgan Stanley e dell'esistenza della quale i membri del Governo e i dirigenti del Tesoro nel 2012 sembra non avessero piena contezza;
    proprio su tale vicenda è in corso un procedimento per danno erariale avviato dalla Corte dei Conti nell'ambito del quale la richiesta complessiva di danni ammonta a più di quattro miliardi di euro;
    al di là del procedimento giudiziario-contabile, del quale è doveroso attendere la conclusione definitiva, la vicenda del 2012 ha rappresentato un forte shock per l'opinione pubblica ed ha squarciato il velo che avvolgeva la materia relativi ai contratti derivati dello Stato;
    come rilevato da un documento redatto dall'Ufficio parlamentare di bilancio del 9 febbraio 2015 sull'utilizzo di strumenti finanziari derivati da parte dell'amministrazione centrale vi è stata e perdura un'assenza di informazione pubblica e di piena trasparenza sulla natura dei prodotti detenuti e sulle operazioni stipulate;
    gli elementi di rischio insiti nella natura degli strumenti finanziari derivati, la loro estensione temporale, e soprattutto l'utilizzo di risorse pubbliche e gli effetti che si possono produrre sul bilancio statale, richiedono di fornire un livello minimo di trasparenza, costituito da informazioni periodiche inerenti alle operazioni già stipulate e ancora in essere, quelli di nuova stipula, relativamente al valore nozionale del contratto e all'ammontare complessivo delle risorse coinvolte, alla durata, alle controparti, al loro merito di credito e al valore di mercato. Per gli strumenti di nuova stipula, dovrebbero essere fornite informazioni, almeno aggregate per tipologia e durata dei derivati, riguardanti il valore nozionale, il merito di credito delle controparti e il valore di mercato, come peraltro avviene in molti Stati europei, al fine di consentire una valutazione sulle scelte operate e sulle strategie poste in essere dal decisore pubblico;
    tale trasparenza è stata già da tempo prevista dal legislatore per gli enti locali in relazione ai contratti derivati detenuti;
    continua invece ad essere non adeguata per quanto riguarda il Governo, fatti salvi i dati forniti saltuariamente in occasione di risposte ad atti di sindacato ispettivo;
    appare condivisibile quanto sostenuto dal Ministro dell'economia e delle finanze sul livello di disclosure in riferimento agli strumenti derivati, anche in risposta ad atti di sindacato ispettivo, in ordine alla necessità di tutelare lo Stato da uno svantaggio competitivo che si potrebbe produrre nei confronti di altri operatori di mercato; purtuttavia, tale necessità può trovare un punto di equilibrio con l'esigenza di fornire strumenti basilari di conoscenza e trasparenza al fine di consentire ex post una valutazione ed un controllo sulla gestione di risorse pubbliche operata,

impegna il Governo

1) ad individuare gli strumenti e le forme di pubblicità che riterrà opportune al fine di fornire elementi di conoscenza e informazione di natura periodica in ordine alle operazioni in strumenti derivati che consentano ex post la possibilità di operare un controllo e una valutazione sulla gestione effettuata.
(1-01653)
«Melilla, Laforgia, Albini, Capodicasa, Ricciatti, Zoggia, Scotto, Kronbichler, Roberta Agostini, Zaccagnini».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi tempi l'attività in strumenti derivati dello Stato è stata oggetto di particolare attenzione da parte del Parlamento e degli organi di informazione;
    l'indagine conoscitiva avviata dalla VI Commissione della Camera il cui programma di audizioni si è concluso nella prima metà del 2015 ha posto in luce la necessità di maggiori informazioni in materia, su cui il livello di trasparenza risultava inferiore al resto delle attività legate alla gestione del debito pubblico;
    nel corso delle suddette audizioni è stata in larga parte colmata tale lacuna informativa e, al tempo stesso, è stato formalmente preso l'impegno da parte direttore generale del tesoro a rendere regolare il flusso informativo in un rapporto annuale sulla gestione del debito pubblico;
    si è apprezzato il rispetto di tale impegno, che ha visto una cospicua mole di dati fornita nel rapporto annuale sul debito pubblico, in cui si è dato conto delle strategie sottostanti all'utilizzo degli strumenti derivati nell'ambito della gestione complessiva e si sono illustrate in dettaglio le operazioni concluse nell'anno di riferimento, in modo tale da rendere chiari obiettivi perseguiti e risultati conseguiti in un contesto organico di integrazione delle varie attività gestionali;
    il livello di trasparenza raggiunto è ormai paragonabile a quello dei Paesi che divulgano il più ampio set di Informazioni al riguardo, senza che nessuno si spinga alla pubblicazione dei singoli contratti, viste le evidenti controindicazioni in termini di potenziali impatti di mercato;
    sono stati rispettati gli adempimenti richiesti dalla riforma della legge di contabilità (legge 4 agosto 2016, n. 163), con l'ottemperanza del dispositivo di cui all'articolo 10, comma 3, lettera f), della legge 31 dicembre 2009, n. 196, attraverso l'inserimento nella sezione II del documento di economia e finanza (DEF) di una disamina degli effetti dei flussi di cassa correlati alla gestione in strumenti derivati, sia con riferimento ai dati di consuntivo, sia esplicitando gli impatti attesi nell'orizzonte di previsione del DEF;
    permane, tuttavia, una difficoltà di lettura di taluni impatti, come recenti articoli di stampa hanno evidenziato, lasciando margini ad interpretazioni soggettive che rischiano di non essere del tutto corrette;
    il quadro complessivo richiede comunque ulteriori sforzi nel senso della trasparenza, che la rilevanza degli importi impone: in particolare, appare necessario spiegare meglio i diversi impatti non solo finanziari, ma anche di natura contabile secondo la normativa statistica europea, su saldi e stock di finanza pubblica, e utile la pubblicazione di chiarimenti su come si collegano fra loro le diverse pubblicazioni in materia, auspicabilmente integrandole ove la loro lettura non appaia di immediata comprensione,

impegna il Governo:

1) a rendere disponibile sul sito web del dipartimento del tesoro relativo al debito pubblico con maggiore frequenza, preferibilmente su base trimestrale, l'aggiornamento dei dati, oggi disponibili solo annualmente, relativi a: nozionali e valori di mercato del portafoglio derivati, stock dei titoli di Stato valorizzato non solo al valore nominale ma anche al valore di mercato, indicatori di rischio con e senza impatto dei derivati;

2) a chiarire nel rapporto annuale sul debito i legami fra le diverse pubblicazioni statistiche in materia di derivati, dando contezza dei relativi impatti su saldi e stock di finanza pubblica, integrando l'informazione ove necessario.
(1-01654)
«Marchi, Tancredi, Librandi, Tabacci, Locatelli, Gebhard, Giampaolo Galli, Boccadutri, Paola Bragantini, Cenni, Covello, Dell'Aringa, Fanucci, Cinzia Maria Fontana, Ginato, Giulietti, Guerra, Losacco, Marchetti, Melilli, Misiani, Parrini, Pilozzi, Preziosi, Rubinato».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    i contratti su strumenti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con controparti bancarie hanno generato, negli ultimi anni, perdite enormi per lo Stato italiano e che, in base a dati dell'Istat pubblicati nell'aprile 2016, nel solo 2015 i contratti su strumenti derivati hanno generato perdite per complessivi 6,8 miliardi di euro;
    la posizione negativa complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 ammonta a circa 37,8 miliardi di euro;
    la procura generale presso la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per il Lazio, ha recentemente aperto un procedimento istruttorio circa l'avvenuto pagamento da parte del Ministero dell'economia e delle finanze italiano di 2,5 miliardi di euro alla banca di affari americana Morgan Stanley per la chiusura di strumenti derivati, definiti «speculativi» dalla stessa Corte, conclusosi con l'invito a fornire informazioni alle parti interessate, in particolare, all'attuale direttrice della direzione debito pubblico del Tesoro, Maria Cannata, al suo predecessore e attuale direttore generale del tesoro, Vincenzo La Via e agli ex direttori generali del tesoro, Domenico Siniscalco e Vittorio Grilli, ai quali è stato contestato un danno allo Stato quantificabile in 4,1 miliardi di euro, dei quali circa 1 miliardo alla sola Cannata;
    nel suddetto atto di citazione, la Corte ha riconosciuto come il Tesoro abbia versato nelle casse della banca d'affari Morgan Stanley 3,1 miliardi di euro pubblici per chiudere quattro contratti derivati e rinegoziare due coperture sulle valute;
    come riconosciuto dalla predetta Corte, per una commissione di 47 milioni di euro nel 2004, Morgan Stanley nel 2012 ha incassato un miliardo di euro su un solo derivato;
    nel 2011, Morgan Stanley aveva 19 contratti derivati aperti con lo Stato italiano, in diverse valute, pari a oltre 10 miliardi di euro, 2,2 miliardi di sterline, 1,1 miliardi di franchi svizzeri e 2 miliardi di dollari, con maturity dai 10 ai 40 anni e, su alcuni di questi, la predetta Corte ha riconosciuto l'esistenza di «palesi violazioni dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione contrattuale»;
    dall'inchiesta della predetta Corte è emerso che il Tesoro non solo non era capace di predispone i collaterali sui contratti sottoscritti, ma aveva perfino «carenza di risorse strumentali e di personale adeguato», tanto da non essere in grado di ponderare il rischio dei contratti che andava sottoscrivendo;
    nel 2016 le controparti hanno esercitato quattro swaptions con effetto complessivo sul debito dello Stato pari a circa 3,2 miliardi di euro;
    nel 2016 lo Stato ha subìto altresì l'esercizio di una clausola di early termination inserita in un contratto di interest rate swap e, per effetto dell'estinzione anticipata del contratto, ha dovuto corrispondere alla controparte l'importo di un miliardo di euro circa;
    il decreto legislativo n. 97 del 2016 ha introdotto significative modifiche al decreto legislativo n. 33 del 2013, recante disposizioni in materia di trasparenza, e il nuovo articolo 5 del suddetto decreto ha disposto il diritto di accedere incondizionatamente a tutte le informazioni e dati che le amministrazioni sono tenute a rendere pubbliche tramite inserimento sui propri siti web, prevedendo che: «Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall'articolo 5-bis»;
    il decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 13 ottobre 1995, n. 561 – Regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell'ambito delle attribuzioni del Ministero del tesoro e degli organi periferici in qualsiasi forma da questi dipendenti sottratti al diritto di accesso all'articolo 3 non prevede che i contratti di diritto privato sottoscritti dal Tesoro con banche specialiste siano sottratti al diritto d'accesso,

impegna il Governo

1) a rendere pubblici, in versione integrale, tutti i contratti derivati in essere ed estinti dello Stato italiano, con tutte le controparti bancarie, nonché tutti gli accordi quadro («master agreement» e «schedules»), le conferme degli ordini («confirmation»), i decreti ministeriali autorizzativi e relativi all'apertura/ristrutturazione/novazione dei contratti, le attestazioni dei titoli sottostanti alle singole operazioni di copertura, i «term sheet» e il materiale illustrativo forniti dalle controparti, la documentazione che possa attestare contributori, soluzioni informatiche e modellistiche adottate per il «pricing», strutture dei tassi, di volatilità e curve di sconto «intraday», ovvero ogni documento che possa permettere o essere utile per la verifica di congruità puntuale dei prezzi negoziati con le controparti e, quindi, degli oneri e rischi preventivamente stimati dagli uffici del Ministero dell'economia e delle finanze.
(1-01655)
«Brunetta, Sandra Savino, Giacomoni, Laffranco, Alberto Giorgetti, Palese, Milanato, Prestigiacomo».
(3 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    è comunemente noto che la maggiore componente del debito, pari circa all'84 per cento, è costituita dai titoli obbligazionari, che includono titoli di Stato, ossia tutti i titoli obbligazionari emessi dal Ministero dell'economia e delle finanze, sia sul mercato interno (BOT, CTZ, CCT, CCTeu, BTP, BTP€I e BTP Italia), sia sul mercato estero (programmi Global, MTN e Carta commerciale);
    l'Italia accede ai mercati esteri con differenti modalità: attraverso il programma «Global bond», la modalità di finanziamento più importante, con il quale sono emessi titoli diretti ad investitori di ogni parte del mondo anche se il mercato di riferimento principale è quello degli Stati Uniti che consente di soddisfare la gran parte della propria provvista sui mercati internazionali; attraverso il programma di prestiti a medio termine, «Medium Term Note Program», attivato sin dal 15 luglio 1998, rivolto principalmente ad investitori europei ed asiatici; nonché attraverso il programma di carta commerciale, cui costantemente ha fatto ricorso il Dipartimento del tesoro negli ultimi anni che, grazie alle sue caratteristiche di estrema flessibilità, permette al nostro Paese di finanziarsi emettendo titoli a sconto, di durata inferiore all'anno;
    sul sito del Ministero dell'economia e delle finanze si legge che gli strumenti derivati, nonostante siano utilizzati per attività speculative – e questo uso è stato tra le cause della crisi, prima finanziaria e poi economica, cominciata nel 2007 – «possono però essere utilizzati come strumenti di protezione da rischi finanziari. Questo è l'uso che ne fa il Dipartimento del tesoro, che utilizza i contratti derivati per mettere il servizio di gestione del debito al riparo da eventi sfavorevoli sui mercati finanziari (per esempio, un'impennata dei tassi d'interesse) e sui mercati valutari (per esempio, una dinamica sfavorevole nei rapporti con altre valute di emissione di titoli di debito)»; in questa ottica, servirebbero a diversificare la base degli investitori internazionali per contenere il costo complessivo della provvista ed il rischio connesso al rifinanziamento del debito;
    in sede di audizione presso la Camera, nel febbraio 2015, il Dipartimento del tesoro ha spiegato che si sottoscrivono contratti derivati per assicurarsi una copertura che «minimizzi l'impatto di eventi sfavorevoli»: quest'ultima, però, presenta dei costi, come in tutte le assicurazioni, qualora non si verifichi l'evento sfavorevole. Sempre sul sito è riportato che «il valore di mercato di un contratto derivato non è, quindi, una perdita, ma una fotografia, date le condizioni di mercato del momento in cui la foto è scattata. Il costo effettivamente sostenuto anno per anno è registrato come costo di gestione del debito, al pari degli interessi pagati sui titoli di Stato»;
    sicuramente l'atteggiamento del Governo risulta altalenante: da un lato, si ammette che i derivati siano stati la causa della pesantissima crisi finanziaria, generata dal crollo dei mutui sub-prime nell'estate del 2008 – che portò al fallimento a catena di alcune banche d'affari, tra cui la celeberrima Lehman Brothers – e che poi si è riversata sull'economia reale del mondo intero ed in particolare, in Europa, del nostro Paese, con ripercussioni gravissime sui livelli occupazionali, sull'attività delle imprese e sullo stato di salute dei bilanci pubblici; dall'altro, però, si difendono i derivati, sostenendo che «una corretta valutazione nella gestione dei derivati può essere effettuata soltanto mettendo il costo sostenuto per i contratti in relazione con il costo sostenuto per gli interessi sul debito sottostante» e che «poiché il costo dei derivati tipicamente sottoscritti dal Tesoro cresce quando scendono i tassi di interesse, e diminuisce quando gli stessi crescono, il risultato conseguito grazie ai derivati è di contenere il costo della gestione del debito in un perimetro ragionevolmente pianificabile»;
    è opportuno, quindi, ricordare che la «bolla» finanziaria che ha poi portato alla conseguente crisi è stato il risultato di una ripetuta e globale pratica di speculazione finanziaria ad elevata rischiosità dovuta ad un utilizzo spropositato di alte leve finanziarie associate alla compravendita di titoli «tossici», al fine di moltiplicare i profitti di investitori desiderosi di accumulare immensi guadagni a fronte dell'investimento di un capitale di base minimo. Tra gli strumenti finanziari maggiormente usati si ritrovano proprio i derivati associati a leve finanziarie elevate, oggetto di contrattazione in molti mercati, soprattutto in mercati al di fuori dei centri borsistici ufficiali, ossia in mercati non regolamentati, i cosiddetti OTC;
    la tanto decantata autoregolamentazione del mercato si è rivelata fallimentare e rischiosa, in quanto il sistema finanziario, sottratto ad ogni tipo di controllo istituzionale, ha lasciato il passo a prassi speculative rischiosissime, in cui gli operatori si sono sottratti da qualsiasi responsabilità di ordine debitorio ed etico;
    nel caso di fallimento di uno solo di questi soggetti, l'elevata interconnessione del sistema bancario in questo gioco di speculazione espone al rischio di default dell'intero sistema finanziario e bancario di un Paese, con ripercussioni anche internazionali, e la conseguente necessità di intervento degli Stati con giganteschi piani di salvataggio e ricapitalizzazione, così come è avvenuto anche nel nostro Paese;
    i derivati causano inoltre altri effetti negativi sul debito pubblico: secondo quanto dichiarato dallo stesso Ministro dell'economia e delle finanze presso la Camera dei deputati nel febbraio 2017, in sede di risposta ad un atto di sindacato ispettivo, il Tesoro ha sborsato 5,2 miliardi di euro per contratti derivati in essere con le banche internazionali, ammettendo che le perdite e i debiti prodotti da tali strumenti finanziari erano in continuo peggioramento (alla fine del 2016 il flusso negativo era pari a 37,8 miliardi di euro a fronte di 36,6 miliardi alla fine del 2015). Inoltre, nello stesso anno, 3,2 miliardi di euro di aumento del debito è imputabile alla maturazione delle swaption, ossia dei contratti di opzione su un interest rate swap. Si rammenta che lo swap, appartenendo alla categoria degli strumenti derivati, consiste nello scambio di flussi di cassa tra due controparti e si presenta come un contratto nominato (ma atipico in quanto privo di disciplina legislativa), a termine, consensuale, oneroso e aleatorio. Quest'ultimo, pur essendo annoverato come uno dei più moderni strumenti di copertura dei rischi, è comunque irrazionalmente costoso;
    lo scorso anno, infatti, quando le banche hanno deciso di esercitare le proprie opzioni – perché gli swap erano loro convenienti – il Tesoro ha dovuto pagare nel tempo un flusso netto d'interessi pari a 3,2 miliardi di euro;
    tenuto conto che il valore di mercato dei derivati corrisponde al flusso netto dei pagamenti attesi in futuro, è presumibile che le perdite potenziali sui derivati, di cui, come detto, 5,2 miliardi di euro sono stati già pagati nel 2016, possano ulteriormente peggiorare. Infatti, il Ministro dell'economia e delle finanze, nella stessa sede della Camera, ha reso noto che le ristrutturazioni di nuovi swaption avrebbero comportato un incremento del debito superiore a quello registrato;
    in particolare, inchieste di autorevoli organi di stampa hanno rivelato che i contratti con clausola di riservatezza influenzerebbero in maniera corposa l'andamento negativo del debito pubblico; stando alle stesse inchieste, simili contratti, accordati con la Morgan Stanley, sono costati al bilancio del nostro Paese ben 3,1 miliardi nel 2012. Sulla vicenda si è anche espressa la Corte dei Conti che ha quantificato in 4,1 miliardi di euro i danni erariali che potrebbero essere chiesti all'istituto americano e ad alcuni dirigenti del Tesoro;
    ancor più esosi risultano i costi complessivi di tali strumenti: da un report pubblicato dal Tesoro nel 2015, su 2.199 miliardi di debito pubblico, 160 miliardi erano riconducibili ai derivati, per cui si presume, che dal 2012 al 2016 lo Stato italiano abbia sostenuto costi per 16,9 miliardi di euro (con una perdita potenziale di 40 miliardi) solo per questi contratti;
    nonostante il tentativo di rendere più trasparente l'operato del Governo in questo ambito, attraverso l'inserimento nella seconda sezione del documento di economia e finanza (Def), di informazioni di dettaglio sui risultati e sulle previsioni dei conti dei principali settori di spesa, almeno per il triennio successivo, con particolare riferimento a quelli relativi all’«ammontare della spesa per interessi del bilancio dello Stato correlata a strumenti finanziari derivati», sarebbe ancora necessario intervenire al fine di aumentare la responsabilità degli agenti contabili che si occupano di tali investimenti e di individuare con precisione i centri di responsabilità amministrativa a cui imputare eventuali gestioni poco oculate,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative in tema di trasparenza al fine di rendere noto l'ammontare degli stock in essere relativi ai contratti derivati stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze, da un lato, informando trimestralmente le Camere sui contratti che contengono clausole di riservatezza, compresi i relativi costi sostenuti dal bilancio dello Stato e l'incidenza di questi sul debito e, dall'altro, a fini conoscitivi generali dei cittadini, pubblicando semestralmente sul sito istituzionale del Ministero medesimo i dati relativi ai contratti derivati senza clausola di riservatezza, corredati, ugualmente, dai relativi costi sostenuti e dai dati sull'incidenza di questi sul debito;

2) ad adottare, tenuto conto che i derivati sono strumenti costosi e aleatori connessi al rischio di rifinanziamento del debito, maggiori misure di trasparenza in sede di scelta degli istituti con cui contrattare i derivati, anche sulla base di indirizzi espressi dalle commissioni parlamentari competenti, al fine di stabilire con certezza quale sia l'agenzia che offre le condizioni economiche più convenienti ed abbattere, nella maggior misura possibile, il costo delle commissioni.
(1-01658)
«Simonetti, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».
(4 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    in questa legislatura, la Commissione finanze ha svolto un'indagine conoscitiva sulle tematiche relative agli strumenti finanziari derivati, compiendo un monitoraggio ad ampio raggio, sia con riferimento al comparto pubblico, sia con riferimento al comparto privato, su un settore dei mercati finanziari che appare particolarmente articolato e controverso, in ragione della complessità dei meccanismi contrattuali con cui sono costruiti, del carattere speculativo caratterizzante alcuni di tali strumenti, nonché delle dimensioni della leva finanziaria ad essi sottostante;
    in questo contesto è emerso come il fenomeno del ricorso agli strumenti finanziari derivati, in particolare da parte dello Stato e degli enti locali, debba essere inquadrato anche all'interno del più ampio tema della complicata gestione della nostra finanza pubblica: in breve occorre «guardare la foresta, non solo l'albero», ovvero il tema rappresentato dagli strumenti finanziari derivati è a maggior ragione preoccupante se si considera il «contesto» del debito pubblico italiano; il debito italiano è infatti il terzo debito pubblico del mondo, con oltre 2 mila miliardi di euro, ed è questa la madre di tutte le anomalie: appare dunque con chiarezza come la gestione di una simile massa debitoria porti con sé tutta una serie di altre anomalie, tra cui appunto l'uso massiccio degli strumenti finanziari derivati, per valori e perdite ritenute «accettabili» non paragonabile all'uso che ne fanno gli altri Paesi europei;
    è questo primo aspetto, nella metafora, la «foresta», il vero e proprio fallimento della politica italiana, che chiama in causa partiti e classe dirigente sia della Prima Repubblica, per aver generato questa incredibile mole di debito pubblico, inseguendo il consenso di breve-medio termine ma scaricando sulle future generazioni (che non potevano votare, ne scioperare, né protestare) un fardello immenso, sia della Seconda Repubblica, per essersi limitati a gestire lo status quo, senza avere il coraggio e la forza di tentare operazioni per abbattere, o almeno ridurre significativamente, questo debito, nemmeno quando le condizioni politiche e macro-economiche erano più favorevoli, per esempio negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore dell'euro, quando i tassi di interesse sui titoli di Stato toccarono i minimi storici grazie all'implicita garanzia europea;
    dal confronto tra l'Italia e gli altri. Paesi dell'Unione europea nell'uso degli strumenti finanziari derivati emerge un'anomalia che non può che destare forti preoccupazioni, in quanto nessun Paese e esposto ai derivati come lo e l'Italia: l'Italia e il primo Paese in Europa per perdite potenziali da derivati, con un valore di mercato negativo per circa 42 miliardi di euro; anche in rapporto al prodotto interno lordo il valore di mercato dei derivati italiani è tra i peggiori (peggio di noi solo la Grecia); è vero che rispetto al debito pubblico le distanze si riducono, che le dimensioni del debito italiano spiegano almeno in parte il massiccio ricorso ai derivati, e che bisogna tener conto dei benefici ricevuti dall'assicurazione sui movimenti sfavorevoli dei tassi di interesse, ma tutto ciò non rende meno anomala e allarmante la situazione;
    desta altresì forte preoccupazione la presenza in alcuni contratti derivati attualmente in essere, o chiusi nel recente passato, di clausole particolarmente onerose, definite addirittura «uniche nel loro genere»;
    non si può inoltre ignorare che permane un quadro di estrema incertezza e debolezza della economia italiana e dei tassi di interesse sui titoli di Stato: in tale contesto, ci si deve chiedere se basteranno le decisioni assunte dalla BCE a mantenere bassi i tassi, anche di fronte a dati di crescita deludenti, oppure se essi torneranno ad alzarsi, e in tale caso di quanto;
    non ci si può permettere di sottovalutare – o comunque di non considerare come possibile scenario di « worst case» – l'eventualità che l'Eurozona precipiti in una nuova crisi finanziaria: al riguardo l'andamento dei credit default swap (CDS) sul debito italiano – in un momento, come oggi, di relativa calma – dimostra che l'Italia continua ad essere considerata come potenziale «anello debole» in caso di crisi; occorre dunque chiedersi cosa accadrà alla scadenza del Quantitative Easing, quando i mercati dovranno tornare a giudicare la sostenibilità del debito pubblico italiano in relazione alla salute e alle potenzialità della economia, al netto delle condizioni favorevoli del Quantitative Easing;
    di fronte a questo quadro però, non sarebbe né utile né responsabile abbandonarsi a un approccio scandalistico: al contrario, seguendo l'appropriato approccio già adottato dalla Commissione in occasione della richiamata indagine conoscitiva, occorre innanzitutto realizzare una seria analisi e una fotografia accurata e nitida della situazione e, in secondo luogo, individuare possibili piste di lavoro per uscire dall'emergenza;
    è innanzitutto inaccettabile l'idea che il Parlamento sia tenuto all'oscuro della gestione di strumenti finanziari così delicati come i derivati, in quanto la loro complessità e le comprensibili ragioni di cautela non possono far sì che il Parlamento sia l'ultimo a sapere quando in gioco ci sono la tenuta dei conti pubblici, il denaro dei contribuenti e il livello di benessere e servizi pubblici che lasceremo in eredità alle future generazioni;
    la posta in gioco è altissima: per comprendere meglio di quali grandezze si tratti, basti pensare che con quello che il Paese spende ogni anno sui derivati si potrebbe cancellare una rilevante massa di tassazione sui cittadini, per non parlare delle perdite potenziali;
    se, da un lato, non si possono dimenticare le competenze maturate in materia dal Ministero dell'economia e delle finanze, nella gestione sia del debito pubblico in generale sia in particolare di strumenti così complessi come i derivati, dall'altro non ci si può nemmeno cullare nell'illusione che tutto vada sempre per il meglio e che non possano, al contrario, verificarsi degli shock finanziari; ad esempio, e impari il confronto tra i desk delle maggiori banche (capaci di condurre analisi mark to market minuto per minuto) e un ufficio pubblico, per quanto preparato ed esperto; inoltre, appaiono molto meno trasparenti le modalità, e ancor più elevate le criticità, nella gestione degli strumenti finanziari derivati da parte delle autonomie locali,

impegna il Governo:

1) a presentare in Parlamento proposte normative volte ad un reale abbattimento del debito pubblico, di natura non «cosmetica», che avrebbe, tra i suoi effetti positivi, anche quello di riportare su livelli fisiologici il ricorso agli strumenti finanziari derivati;

2) a garantire piena accountability, nei confronti del Parlamento e dell'opinione pubblica, circa tali operazioni finanziarie, assicurando trasparenza, totale conoscibilità almeno delle operazioni in strumenti derivati concluse, nonché un quadro informativo completo, con rapporti semestrali per valutare nell'insieme il profilo di rischio di tali operazioni;

3) per il futuro, a presentare in Parlamento una proposta di linee-guida dettagliate, recanti soprattutto una netta distinzione tra operazioni finanziarie in derivati consentite allo Stato e agli enti territoriali (quelle di carattere essenzialmente «assicurativo» e di tutela), e quelle che non dovranno essere più consentite ai soggetti pubblici (quelle a carattere «speculativo» o eccessivamente rischiose);

4) a presentare in Parlamento una proposta di normativa-quadro relativa alla definizione di adeguate e fattibili procedure di controllo su tali operazioni finanziarie, sia interno alle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze sia esterno, da parte della Corte dei conti, sia preventivo che successivo alle operazioni stesse;

5) a presentare in Parlamento una proposta normativa per prevedere che le figure impegnate presso il Ministero dell'economia e delle finanze nella gestione degli strumenti finanziari derivati non possano, per un adeguato numero di anni successivo al cessare di questo loro impegno pubblico, trasferirsi presso le banche o le altre istituzioni private che siano state fino a quel momento loro controparti di tali tipo di operazioni.
(1-01659)
«Capezzone, Latronico, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Marti, Matarrese, Vargiu».
(4 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dagli inizi degli anni Novanta, il Governo italiano, per garantirsi l'ingresso nell'euro attraverso anticipazioni di cassa che gli avrebbero consentito di rientrare negli obiettivi di deficit fissati dalle autorità europee, ha sottoscritto contratti derivati per un valore di circa 159 miliardi di euro, un centinaio dei quali del tipo interest rate swap, cioè quelli attraverso i quali le due controparti si scambiano, a scadenze prefissate, flussi di interessi rispetto ad un medesimo capitale di riferimento;
    i suddetti contratti, che a loro volta avrebbero dovuto proteggere nel tempo il debito pubblico dalle oscillazioni valutarie e dei tassi di interesse, si sono nella realtà rivelati un salasso per la collettività continuando, a distanza di oltre trentacinque anni, a gravare sul bilancio pubblico. Secondo dati recentemente resi noti dalla Corte dei conti e rilevabili anche dall'ultimo bollettino della Banca d'Italia, la posizione negativa complessiva dello Stato in contratti derivati al 31 dicembre 2016 ammontava a circa 37,8 miliardi di euro, di cui 8,3 miliardi riferibili al solo anno 2016. Tra il 2013 ed il 2016, il mark-to-market (cioè l'attualizzazione dei flussi futuri in funzione di condizioni di mercato attuali), ossia l'impatto negativo dei derivati sul bilancio statale, pari a 24 miliardi di euro, è stato capace di annullare tutto il vantaggio che era derivato dal ribasso dei tassi di interesse correlato al Quantitative Easing della Bce;
    al cosiddetto « mark-to-market», valore peraltro non iscritto nel bilancio statale perché da corrispondere solo al momento dell'estinzione dei derivati, occorre aggiungere il valore dei depositi di liquidità, cioè di tutte quelle garanzie che lo Stato italiano deve offrire in sede di sottoscrizione di futuri contratti derivati, come prescritto dalla legge di stabilità 2015. L'articolo 33 di quest'ultima, infatti autorizza il Tesoro a stipulare accordi di garanzia bilaterale in relazione alle operazioni in strumenti derivati, costituita da titoli di Stato di Paesi dell'area euro oppure da disponibilità liquide gestite attraverso movimentazioni di conti di tesoreria o di altri conti appositamente istituiti. Si tratta di una clausola capestro nota come « Double way Credit Support Annex (CSA)», che obbliga la parte su cui grava la perdita potenziale a garantire i pagamenti futuri sui contratti derivati attraverso un deposito di garanzia. In una fase come quella attuale, caratterizzata da bassi tassi di interesse e conseguente « mark-to-market» negativo, il Ministero dell'economia e delle finanze è chiamato a garantire gli impegni assunti, al fine di immunizzare le banche dal rischio di controparte;
    quanto premesso evidenzia come attorno ai derivati di Stato sembra essersi compiuto un paradosso: originariamente stipulati per proteggere il debito pubblico da pericolosi rialzi dei tassi d'interesse, lo hanno avviluppato in una pericolosa e perversa spirale negativa incessantemente alimentata dalle costose rinegoziazioni che la direzione del Tesoro è stata costretta a sottoscrivere con le banche d'affari internazionali per tutelarsi dai rischi di mercato. Ciò, a sua volta, ha innescato un peggioramento della percezione degli operatori finanziari sulla solvibilità dello Stato italiano, che ha continuato a complicare lo stesso collocamento sul mercato dei titoli del suo debito;
    contrariamente a quanto accade oggi, negli anni Novanta, caratterizzati da un più alto grado di volatilità dei mercati, questi contratti erano assolutamente conoscibili tanto da essere pubblicati, periodicamente e con grande ricchezza di dettagli, sulla Gazzetta Ufficiale. Inoltre, nello stesso periodo cambiano le regole in materia e l'allora Ministero del tesoro viene investito di una più ampia facoltà di ristrutturare il debito pubblico interno ed estero, in relazione alle condizioni di mercato, avvalendosi di strumenti a disposizione dei mercati (articolo 2, comma 165, della legge n. 662 del 1996);
    i suddetti dati impongono un'esigenza di trasparenza e correttezza di quanto esposto in bilancio, soprattutto quando le risorse in gioco riguardano l'intera collettività. Inoltre l'operatività di quanto disposto dall'articolo 33 della legge di stabilità 2015 dovrebbe essere assicurata in un quadro di assoluta trasparenza di tutte le operazioni in finanza derivata condotte da tutte le articolazioni dello Stato, inclusi gli enti territoriali e locali, a maggior ragione di quelle dal profilo di rischio elevato, in alcuni casi addirittura speculativo, ad oggi note soltanto in termini sintetici e privi delle necessarie specifiche contrattuali che rendano possibile una valutazione piena dell'operato del Governo e facciano chiarezza su una questione avvolta da troppe zone d'ombra;
    altro aspetto non trascurabile è quello della posizione di potenziale conflitto di interesse ricoperta dal Tesoro, che di fatto si trova, da un lato, a pagare commissioni milionarie alle banche erogatrici di derivati, mentre dall'altro deve proporre alle stesse di acquistare i titoli che emette per garantire il debito pubblico italiano;
    sollecitato su più fronti, sia pubblico che parlamentare, ad un maggiore livello di disclosure e di trasparenza dei contratti derivati, soprattutto di quelli contenenti clausole di chiusura anticipata a beneficio della controparte e la cui applicazione può comportare gravi perdite economiche in pregiudizio dell'Erario (come peraltro avvenuto tra il 2011 ed il 2012 allorquando il Tesoro dovette sborsare circa 3,1 miliardi di euro all'istituto americano Morgan Stanley, che troppo esposto nei confronti del debito pubblico italiano, fece appello ad un codicillo che le consentiva di chiudere un contratto sottoscritto nel 1994), il Governo ha alzato, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, una cortina di opacità, invocando generiche esigenze di riservatezza e di tutela del proprio potere contrattuale ed appellandosi ai princìpi della legge n. 241 del 1990, che nega qualsiasi forma di accesso agli atti amministrativi che integri un controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione;
    ancora più gravi sono le motivazioni addotte dal Governo alla richiesta di ostensione più volte avanzata, nel corso dell'attuale legislatura, da parte di alcuni membri del Parlamento, avendogli contestato: 1) che non erano portatori di un «interesse diretto, concreto e attuale a conoscere il contenuto dei contratti»; 2) che la loro richiesta era finalizzata ad un «controllo generalizzato dell'operato della pubblica amministrazione» vietato dall'articolo 24 della richiamata legge n. 241 del 1990; 3) che la divulgazione avrebbe esposto lo Stato a turbolenze di mercato, oltre che ad uno svantaggio competitivo dell'Italia rispetto al sistema bancario ed agli altri Stati che ricorrono ai derivati;
    i suddetti rilievi ostativi, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, sono destituiti di qualsiasi fondamento giuridicamente rilevante. La stessa Commissione per l'accesso ai documenti amministrativi istituita, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nel 1991 a seguito dell'entrata in vigore della legge 7 agosto 1990, n. 241, sul procedimento amministrativo, ha sottolineato che nella legislazione vigente non esistono norme che contrastino con la divulgazione di questi contratti. Infatti, il diniego di ostensione e la sottrazione di documenti al diritto di accesso debbono essere considerati come eccezioni nell'attività della pubblica amministrazione che deve, in generale, ispirarsi alla regola della trasparenza come, peraltro, confermato dal Consiglio di Stato, (con sentenza n. 1370 del 17 marzo 2015), secondo cui «(...) il diritto di accesso (...) è collegato a una riforma di fondo dell'Amministrazione, ispirata ai princìpi di democrazia partecipativa, della pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa desumibili dall'articolo 97 Cost., che s'inserisce a livello comunitario nel più generale diritto all'informazione dei cittadini rispetto all'organizzazione e alla attività (...) amministrativa quale strumento di prevenzione e contrasto sociale ad abusi e illegalità (...)»;
    un'ulteriore conferma in questo senso arriva dalla cosiddetta riforma Madia della pubblica amministrazione che all'articolo 7, lettera h), delega il Governo ad espandere il diritto di accesso a favore della conoscibilità di informazioni rilevanti per la vita dei cittadini;
    di più, ai sensi dell'articolo 24, comma 2, della richiamata legge n. 241 del 1990, le singole pubbliche amministrazioni individuano le categorie di documenti da esse formati o comunque rientranti nella loro disponibilità e sottratti all'accesso. Nella fattispecie il Ministero delle finanze con proprio decreto ministeriale del 29 ottobre 1996, n. 603, recante regolamento per la disciplina delle categorie di documenti sottratti al diritto di accesso in attuazione dell'articolo 24, comma 4, della legge 7 agosto 1990, n. 241, non ha ritenuto di dover annoverare, all'articolo 5, tra le categorie di documenti inaccessibili per motivi attinenti alla riservatezza di persone, gruppi ed imprese, i contratti che lo Stato italiano possa aver stipulato con banche o istituti finanziari, i quali, pertanto, non possono pertanto essere sottratti al diritto di accesso;
    sulla base di quanto sopra riportato, il Governo avrebbe dovuto porre su questi documenti il segreto di Stato per poterne motivare la segretezza sulla base del diritto;
    l'accesso ai documenti amministrativi, inteso come il diritto degli interessati a prendere visione ed ad estrarre copia di documenti amministrativi, costituisce principio generale dell'attività amministrativa, al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza. Inoltre, l'articolo 22, comma 5, della legge n. 241 del 1990 stabilisce che l'acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici, debba essere informata al principio di leale cooperazione istituzionale. A parere dei firmatari del presente atto, al fine di poter espletare pienamente il loro mandato parlamentare i membri del Parlamento sono titolari di una legittimazione soggettiva all'accesso ai documenti amministrativi per esigenze conoscitive connesse ai compiti istituzionali, che trova però un limite nel tenore dell'articolo 24 della legge n. 241 del 1990, in base al quale sostanzialmente il parlamentare, al pari di qualsiasi soggetto, ha l'onere di indicare l'interesse qualificato all'ostensione degli atti, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata, nonché di motivare l'istanza in funzione di tale interesse;
    la ridda di notizie giornalistiche e di illazioni che si inseguono negli ultimi tempi sui derivati sottoscritti dal Tesoro, supportate dalla recente indagine della Corte dei conti, sta generando un clima pericoloso che rischia di minare la credibilità della gestione del debito pubblico, posto che la suddetta ed invocata riservatezza, ostativa alla richiesta di trasparenza da parte delle istituzioni parlamentari, convive con una costante fuga di notizie che rendono ingestibile ed opaca la realtà. Occorrerebbe, piuttosto, rassicurare il mercato portandolo a conoscenza di informazioni quali il valore nozionale, il risultato netto, la data di inizio e quella di chiusura, la controparte, di tutte le operazioni in derivati che si sono chiuse, incluse quelle per novazione del contratto,

impegna il Governo:

1) a migliorare la divulgazione delle informazioni relative ai contratti derivati, dando completa e puntuale informazione all'opinione pubblica in merito all'impiego dei predetti strumenti finanziari ed ai rischi per la finanza pubblica ad essi connessi, con particolare riguardo a quelli contenenti clausole di chiusura anticipata a beneficio dell'istituto, finanziario, la cui applicazione può comportare gravi perdite economiche in pregiudizio dell'erario;
2) ad assumere iniziative per elevare il livello di disclosure attualmente applicabile al Parlamento, anche nella prospettiva di introdurre un'informativa esaustiva e di maggiore trasparenza, trasmettendo anche a quest'ultimo il report semestrale sul dato aggregato che periodicamente il Governo consegna alla Corte dei conti;
3) ad abbattere quel muro di riservatezza che ha opposto fino ad oggi, rendendo pubblici tutti i rapporti economici attualmente in essere con il sistema finanziario, e fornendo, con riferimento ai contratti derivati, informazioni dettagliate relative alla porzione del proprio debito, al profilo temporale del portafoglio, ai relativi valori e commissioni;
4) ad assumere iniziative per apportare le dovute modifiche normative all'articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, al fine di riconoscere ai membri del Parlamento la legittimazione all'esercizio del diritto di accesso ai documenti amministrativi, fra cui i contratti derivati, per esigenze connesse allo svolgimento dei loro compiti istituzionali.
(1-01668)
«Paglia, Marcon, Fassina, Andrea Maestri».
(17 luglio 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE RELATIVE ALL'APPLICAZIONE DELLA COSIDDETTA DIRETTIVA BOLKESTEIN

   La Camera,
   premesso che:
    il 12 dicembre 2006 il Parlamento e il Consiglio europeo hanno approvato la direttiva 2006/123/CE, meglio nota come «direttiva Bolkestein», con lo scopo di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    l'Italia ha dato attuazione alla citata direttiva mediante il decreto legislativo n. 59 del 26 marzo 2010, che ne ha esteso l'applicazione anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche, secondo un'interpretazione estensiva dell'articolo 12 della direttiva, ai sensi del quale, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri devono applicare una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'Italia è l'unico Stato membro dell'Unione europea ad aver applicato la «direttiva Bolkestein» al commercio ambulante oltre alla Spagna, la quale ha tuttavia istituito un regime transitorio a tutela delle imprese già presenti della durata di settantacinque anni;
    lo stesso Parlamento europeo, con la risoluzione n. 2010/2109 (INI), ha preso atto della forte preoccupazione espressa dai venditori ambulanti in relazione all'ipotesi che la «direttiva Bolkestein» possa essere applicata negli Stati membri estendendo il concetto di «risorsa naturale» anche al suolo pubblico, producendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche che sarebbero gravemente dannose per l'occupazione, la libertà di scelta dei consumatori e l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali;
    il recepimento della «direttiva Bolkestein» nel settore dei mercati ambulanti significa inevitabilmente, fra le altre cose, l'apertura del settore a nuove imprese anche straniere e multinazionali e la possibilità che tali nuove imprese siano anche società di capitali, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi che rechino il divieto di favorire il prestatore uscente, come previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n.  59 del 2010;
    in data 5 luglio 2012, due anni dopo il recepimento della direttiva in Italia, la Conferenza unificata ha raggiunto un accordo in attuazione dell'articolo 70, comma 5, del decreto legislativo n. 59 del 2010, che prevede una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze della durata compresa tra nove e dodici anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la propria attività in tali mercati;
    nel dicembre 2016, tuttavia, un parere emesso dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha espresso delle perplessità sulle regole per i bandi, suscettibili di «dissimulare, nella sostanza, una forma di rinnovo automatico della concessione» ha creato nuove incertezze negli operatori economici del settore;
    da ultimo, il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, ha disposto la proroga delle concessioni in essere e in scadenza, in varie tappe, entro luglio 2017, fino al 31 dicembre 2018, prevedendo altresì che «le amministrazioni interessate, che non vi abbiano già provveduto, devono avviare le procedure di selezione pubblica, nel rispetto della vigente normativa dello Stato e delle regioni, al fine del rilascio delle nuove concessioni entro la suddetta data. Nelle more degli adempimenti da parte dei comuni sono comunque salvaguardati i diritti degli operatori uscenti»;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, la normativa italiana in materia di commercio al dettaglio sulle aree pubbliche riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione, finanziaria, fiscale ed operativa, tra operatori del medesimo settore;
    le misure previste dal decreto legislativo n. 59 del 2010, malgrado il regime transitorio approvato, non tengono conto, invece, delle peculiarità di queste attività, che difficilmente potrebbero competere in un mercato così aperto;
    il decreto legislativo fa, altresì, venire meno i requisiti di stabilità necessari per programmare investimenti in strutture e personale, nonché per recuperare gli investimenti già realizzati e indispensabili per garantire un'offerta migliore;
    non bisogna dimenticare, inoltre, che questa tipologia di mercati, che conta circa 195 mila imprese e 530 mila addetti a livello nazionale, fa parte del tessuto economico delle città italiane, nonché della loro immagine turistica e tradizionale, ed anche per questo necessita di maggior tutela;
    la regione Puglia, con la mozione n. 106/2016 e la regione Piemonte, con una proposta di legge approvata dalla III Commissione del consiglio regionale in sede legislativa e successivamente trasmessa al Parlamento (Atto Camera 3700), si sono impegnate a prevedere che l'Italia escluda il commercio ambulante dall'ambito di applicazione della «direttiva Bolkestein» per tutelare le piccole imprese del settore;
    la medesima situazione di incertezza normativa che affligge gli operatori del commercio ambulante ha investito anche quelli degli stabilimenti balneari, settore di punta dell'economia turistica nazionale che occupa duecentocinquantamila addetti e trentamila imprese, e la cui liberalizzazione è stata altresì prevista dalla direttiva 2016/123/CE;
    allo stato attuale la durata delle concessioni in essere è stata prorogata fino al 31 dicembre 2020, ma la recente presentazione di un disegno di legge delega da parte del Governo, su proposta del Ministro dello sviluppo economico, che prevede espressamente l'espletamento di «procedure selettive che assicurino imparzialità, trasparenza e pubblicità e che tengano conto della professionalità acquisita nell'esercizio di concessioni di beni demaniali marittimi, nonché lacuali e fluviali, per finalità turistico-ricreative», ha rimesso in allarme gli addetti al settore, soprattutto a causa della mancanza di una adeguata disciplina transitoria;
    oltre ai settori citati, l'attuazione della «direttiva Bolkestein» sta recando grave nocumento anche alla categoria delle guide turistiche, erroneamente inserita nella direttiva servizi invece che in quella relativa alle professioni, con la conseguenza che in Italia potranno operare anche le guide dell'Unione europea, o meglio, le persone qualificate come guide turistiche ai sensi della legislazione di altro Stato membro dell'Unione, purché operino in prestazione temporanea;
    tale grave situazione nasce dal problema di fondo che in Italia la figura della guida turistica è nettamente separata da quella di accompagnatore, mentre in molti altri Stati membri dell'Unione la figura di guida turistica e quella di accompagnatore coincidono, e i percorsi di abilitazione alla professione sono sensibilmente meno complessi e più brevi;
    le conseguenze di tale superficiale normazione, se non di vero e proprio vuoto legislativo, non potranno che essere estremamente negative sia per le guide che per i turisti, fruitori finali del servizio: abbassamento della qualità, diminuzione del lavoro per le guide abilitate, aumento dell'abusivismo, perché se è vero che le guide di altri Stati dell'Unione europea potrebbero esercitare in Italia solo in regime di prestazione occasionale, i controlli sono talmente scarsi che centinaia di guide straniere esercitano in violazione delle norme, con anche una conseguente diminuzione del gettito fiscale per lo Stato, posto che le guide straniere pagheranno le tasse nello Stato di appartenenza;
    tale confusionario quadro normativo si inserisce in un contesto di difficile congiuntura economica che caratterizza non solo il Paese, ma l'intero sistema produttivo globale, con ripercussioni negative sulle categorie più deboli, dagli agricoltori, ai tassisti, alle guide turistiche, solo per fare alcuni esempi, che si trovano quotidianamente ad affrontare la sfida dei mercati;
    un grave freno alla crescita degli Stati membri è stato rappresentato, poi, dalla politica economica e sociale portata avanti finora dalla stessa Unione europea, che non si è mai dimostrata all'avanguardia sulle politiche attive di sostegno alle eccellenze e peculiarità dei singoli Paesi membri, schiacciati dagli interessi delle realtà più potenti;
    liberalizzare e aumentare la concorrenza non vuol dire eliminare ogni regola e lasciare le città in mano a multinazionali che eludono le tasse grazie alla compiacenza di Stati europei partner che ci fanno concorrenza sleale: si deve liberalizzare e regolamentare, facendo rispettare le regole e tutelando le realtà più deboli;
    negli ultimi trent'anni purtroppo, i Governi europei, e l'Italia in primis, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo non hanno saputo trovare soluzioni efficienti, legiferando sotto ricatto dei poteri forti, senza alcuna libertà di scelta dei settori su cui puntare e da proteggere, a danno dei cittadini e delle specificità del nostro Paese;
    serve una nuova politica europea che parta da regole chiare, condivise e semplici, e nella quale tutti gli Stati membri svolgano il proprio ruolo fino in fondo, garantendo tutele soprattutto alle classi deboli: avere, ad esempio, accordi di protezione delle indicazioni geografiche, come la denominazione di origine protetta del parmigiano reggiano, significa poter tutelare fino in fondo il sistema, di qualità che c’è dietro la sua produzione, mentre senza regole vincono la contraffazione, l'omologazione e le grandi dimensioni di chi riesce a essere comunque sovranazionale;
    il ruolo della politica è proprio quello di dettare tali regole e non può essere ridotto a quello di un semplice spettatore ed è compito del legislatore e del Governo salvaguardare i settori strategici dell'economia nazionale, quali nella fattispecie il piccolo commercio e la piccola e media imprenditoria,

impegna il Governo:

1) a convocare appositi tavoli di confronto con gli operatori del commercio su aree pubbliche;

2) ad adottare iniziative volte a rivedere il decreto legislativo n. 59 del 2010, nel senso di escludere il commercio su aree pubbliche dal perimetro di applicazione della direttiva 2006/123/CE;

3) ad assumere le necessarie iniziative dirette, comunque, a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n.  59 del 2010, al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;

4) ad adottare le iniziative di competenza affinché la categoria delle guide turistiche sia ricondotta nell'ambito della direttiva sulle professioni, salvaguardando la professionalità e le specifiche competenze dei suoi operatori, e al fine di introdurre criteri più stringenti per l'esercizio dell'attività di guida turistica sul territorio nazionale;

5) ad assumere iniziative per prevedere, nell'ambito della direttiva servizi, una deroga in favore delle concessioni demaniali marittime, elementi essenziali di un settore strategico per l'economia nazionale, data la posizione geografica dell'Italia e la rilevanza turistica di buona parte delle coste della penisola e delle maggiori isole;

6) ad adottare le iniziative opportune, per quanto di competenza, volte ad allineare sotto il profilo temporale la pubblicazione dei bandi da parte dei comuni per il rinnovo delle concessioni.
(1-01582)
(Nuova formulazione) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(7 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la direttiva 2006/123/CE, nota come «direttiva Bolkestein», in materia di servizi nel mercato interno, è stata recepita dall'Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, che provvede a regolare anche i settori del commercio su aree pubbliche e del demanio marittimo;
    la direttiva Bolkestein ha irrigidito il sistema autorizzatorio prevedendo che, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali, i comuni applichino una procedura di selezione tra i potenziali candidati;
    l'articolo 16, del decreto legislativo n. 59 del 2010, sul commercio ambulante in aree pubbliche, oltre ad introdurre un limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili nella stessa area, stabilisce, al comma 4, il divieto di rinnovo automatico dei titoli scaduti, creando non poche difficoltà per il settore, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale;
    il citato articolo, equiparando la nozione di «risorse naturali» con quella di «posteggi in aree di mercato» ha avuto l'effetto di generare una forte concorrenza nel settore, questa non sostenibile per gli operatori del commercio ambulante. Infatti, esso fa rientrare il suolo pubblico, concesso per l'esercizio dell'attività di commercio ambulante, nella nozione di «risorse naturali», assoggettandolo quindi alla procedura di selezione pubblica;
    alle suddette criticità si aggiungono quelle relative all'applicazione dell'articolo 70 del citato decreto legislativo, il quale riconosce l'accesso al settore anche alle società di capitali, rischiando di mettere fuori dal mercato le piccole aziende a conduzione familiare, che fino ad oggi hanno operato nel settore rendendolo fortemente competitivo;
    il parere sullo schema di decreto legislativo di attuazione della direttiva 2006/123/CE, approvato dalle Commissioni II e X della Camera dei deputati, in data 11 marzo 2010, invitava il Governo, anche su proposta del gruppo della Lega Nord, a «escludere espressamente l'equiparazione dei posteggi in aree di mercato alle risorse naturali» al fine di «evitare interpretazioni estensive della nozione di »risorse naturali«», sia per ragioni di coerenza con la normativa comunitaria sia per non penalizzare il settore del commercio ambulante e su aree pubbliche;
    il medesimo parere invitava altresì il Governo a «escludere la possibilità di esercizio del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche da parte di società di capitali»;
    il 5 luglio 2012, ai sensi del comma 5, dell'articolo 70 del citato decreto legislativo n. 59 del 2010, è stata adottata un'intesa in sede di Conferenza unificata per la definizione della durata e del rinnovo delle autorizzazioni; in tale intesa, in particolare, viene stabilita la durata delle autorizzazioni da 9 a 12 anni, e soltanto in prima applicazione, viene data priorità al criterio della «professionalità acquisita». Essa, tuttavia, non supera del tutto le criticità di settore, continuando di fatto a far ricadere espressamente la fattispecie del commercio su aree pubbliche nell'ambito di applicazione dell'articolo 16, del citato decreto legislativo n. 59 del 2010;
    la suddetta intesa al fine di evitare eventuali disparità di trattamento tra i soggetti le cui concessioni di aree pubbliche sono scadute prima della data di entrata in vigore del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 (recante attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno) e che hanno, quindi, usufruito del rinnovo automatico ed i soggetti titolari di concessioni scadute successivamente a tale data, che non hanno usufruito di tale possibilità, stabilisce l'applicazione, in fase di prima attuazione delle seguenti disposizioni transitorie:
     a) le concessioni scadute e rinnovate (o rilasciate) dopo l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010 (8 maggio 2010) sono prorogate di diritto per sette anni da tale data, quindi fino al 7 maggio 2017 compreso;
     b) le concessioni che scadono dopo l'entrata in vigore dell'Accordo della Conferenza unificata (16 luglio 2015) e nei due anni successivi, sono prorogate di diritto fino al 15 luglio 2017 compreso;
     c) le concessioni scadute prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n.  59 del 2010 e che sono state rinnovate automaticamente mantengono efficacia fino alla naturale scadenza prevista al momento di rilascio o di rinnovo;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante proroga e definizioni di termini, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, all'articolo 6, comma 8, ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per il commercio su aree pubbliche al 31 dicembre 2018, ed ha stabilito l'obbligo per i comuni di avviare, qualora non abbiano già provveduto, le procedure di selezione pubblica per il rilascio delle nuove concessioni, entro il 31 dicembre 2018, nel rispetto della normativa vigente;
    il suddetto decreto non risolve tuttavia l'annosa questione legata all'opportunità di escludere la categoria dall'applicazione della direttiva comunitaria relativa ai servizi nel mercato interno, ed anzi rischia di generare profonda incertezza in merito all'espletamento delle gare già avviate dai comuni, che a giudizio dei proponenti, dovrebbero ritenersi nulle;
    con l'entrata in vigore della direttiva 2006/123/CE, anche la disciplina delle concessioni demaniali marittime è stata oggetto di una lunga contrattazione tra le istituzioni europee e quelle italiane circa l'assoggettabilità della stessa alla procedura della gara pubblica;
    nei confronti dell'Italia, che ha ritenuto di estromettere il settore demaniale marittimo dalla disciplina della gara pubblica, sono state aperte due procedure di infrazione comunitaria, sanate dal legislatore italiano dapprima, con l'abrogazione dell'articolo 37 del Codice della Navigazione nella parte inerente il «diritto di insistenza», ossia il diritto di preferenza accordato al cessionario uscente, e successivamente, con l'eliminazione del rinnovo automatico delle concessioni, previsto dall'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 400 del 1993;
    in questo arco temporale, le imprese balneari hanno potuto usufruire di un periodo di proroga della concessione, da ultimo rinnovato con il decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, che ha rinviato al 31 dicembre 2020, la scadenza delle concessioni in essere al 31 dicembre 2015. In conseguenza di tale disposizione sono state sollevate questioni interpretative da parte dei giudici italiani che hanno portato alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 14 luglio 2016 (C-458/14), con la quale la Corte medesima ha affermato che il diritto comunitario non consente la possibilità di prorogare in modo automatico e in assenza di qualsiasi procedura di selezione pubblica dei potenziali candidati, le concessioni relative all'esercizio di attività turistico-ricreative nelle aree demaniali marittime e lacustri;
    con l'articolo 24, commi 3-septies e 3-octies, del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, per evitare la nascita di eventuali contenziosi nelle more dell'adozione di una nuova disciplina di riordino del settore, il legislatore italiano ha riconosciuto la validità dei rapporti concessori già instaurati e pendenti in base alla proroga concessa al 31 dicembre 2020;
    in molti sostengono la necessità di escludere le concessioni demaniali dall'ambito di applicazione della stessa direttiva 2006/123/CE, rilevando che le autorizzazioni sono concesse in riferimento ai «beni» demaniali e non ai «servizi», e perciò riguardano il conferimento in uso di una superficie e non l'autorizzazione a svolgere un servizio; questo orientamento ha trovato conferme nelle recenti posizioni assunte da altri Paesi europei; la Spagna, ad esempio, con la legge sulla protezione del litorale e di modifica della legge costiera, ha elevato il termine massimo di durata delle concessioni da settanta a settantacinque anni, per quelle scadute o in scadenza nel 2018; il Portogallo, nel 2007, ha emanato una disciplina che accorda al concessionario uscente il diritto di prelazione in caso di riassegnazione della concessione,

impegna il Governo:

1) a chiarire, con apposita iniziativa normativa, che i posteggi utilizzati per l'esercizio del commercio ambulante su aree pubbliche non rientrano nella nozione di «risorse naturali» e che le relative concessioni non sono soggette all'applicazione del comma 4 dell'articolo 16 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59;

2) ad assumere le necessarie iniziative normative per la modifica dell'articolo 70 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, riservando l'attività del commercio al dettaglio su aree pubbliche esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone;

3) a promuovere tavoli di confronto con le associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche affinché siano al meglio risolte le problematiche da questi denunciate, anche al fine di mettere ordine nella normativa di settore per quanto concerne i criteri per il rilascio ed il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio dell'attività;

4) ad adottare opportune iniziative normative al fine di chiarire che sono nulle le procedure di gara avviate dalle amministrazioni comunali prima del 31 dicembre 2018, esonerando quindi le stesse dall'obbligo di avviare le procedure di selezione pubblica entro la medesima data;

5) ad attivarsi presso le istituzioni comunitarie per fare in modo che le concessioni demaniali marittime siano estromesse dall'applicazione della direttiva 2006/123/CE, anche alla luce del fatto che le stesse si riferiscono a «beni» e non a «servizi».
(1-01549)
(Nuova formulazione) «Allasia, Saltamartini, Gianluca Pini, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Rondini, Simonetti».
(20 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE (cosiddetta direttiva Bolkestein) relativa ai servizi nel mercato interno, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo e dal Consiglio dell'Unione europea al fine di facilitare la creazione di un libero mercato di servizi in ambito europeo;
    secondo quanto stabilito dalla direttiva Bolkestein all'articolo 12, qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali;
    il decreto legislativo n. 59 del 2010, in attuazione di quanto stabilito dalla direttiva Bolkestein, ha disposto all'articolo 16 l'obbligo di prevedere procedure selettive, la limitazione della durata delle autorizzazioni, il divieto di rinnovare automaticamente le concessioni e di accordare vantaggi al prestatore uscente;
    il citato provvedimento ha esteso l'applicazione della direttiva Bolkestein anche al settore del commercio ambulante su aree pubbliche, che costituiscono una «risorsa naturale» limitata, in particolare rinviando, all'articolo 70, comma 5, ad una intesa in sede di Conferenza unificata Stato-regioni-Autonomie locali l'individuazione dei criteri per il rilascio e il rinnovo della concessione dei posteggi per l'esercizio del commercio su aree pubbliche e le disposizioni transitorie da applicare, con le decorrenze previste, anche alle concessioni in essere;
    il decreto legislativo n. 59 del 2010, all'articolo 70, comma 1, ha inoltre esteso la possibilità di esercitare il commercio ambulante su area pubblica anche a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, oltre che a persone fisiche e a società di persone;
    l'accordo sancito in data 5 luglio 2012 in sede di Conferenza Unificata ha stabilito una proroga dell'attuale situazione fino al 7 maggio 2017, seguita da un regime transitorio di licenze, della durata compresa fra i 9 e i 12 anni, durante il quale i comuni potranno assegnare gli spazi secondo criteri che tengano conto dell'anzianità di servizio nell'esercizio del mercato su aree pubbliche, per tutelare le imprese che già svolgono la loro attività in tali mercati;
    il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, (cosiddetto «decreto milleproroghe»), ha da ultimo prorogato il termine delle concessioni per commercio su aree pubbliche in essere alla data di entrata in vigore del medesimo decreto-legge e con scadenza anteriore al 31 dicembre 2018, fino a tale data, al fine di allineare le scadenze delle concessioni e garantire omogeneità di gestione nelle procedure di assegnazione sull'intero territorio nazionale;
    il recepimento della direttiva Bolkestein, introducendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, ostacola la programmazione degli investimenti o il recupero di quelli già realizzati, danneggiando soprattutto i piccoli operatori del settore, già in difficoltà nel fronteggiare la maggior forza finanziaria delle società di capitali, in grado di detenere – anche indirettamente – un maggior numero di autorizzazioni;
    il decreto legislativo n. 59 del 2010 comporta, infatti, l'apertura del settore del commercio ambulante su area pubblica, che impiega circa 500.000 addetti a livello nazionale e che è tradizionalmente svolto da microimprese spesso a conduzione familiare, a nuove imprese straniere e multinazionali comprese società di capitali;
    le disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 59 del 2010 non sembrano tenere pienamente conto delle peculiarità e della eterogeneità del settore, che affianca attività di commercio svolte su posteggio fisso ad attività svolte in forma itinerante e con turnazioni, e che coinvolge non solo i centri storici e i tradizionali mercati rionali, ma anche aree periferiche meno qualificabili come limitate;
    considerato altresì che: già in altre occasioni, alcune associazioni di categoria hanno chiesto la disapplicazione della direttiva Bolkestein al commercio ambulante;
    la Commissione X della Camera, nel novembre 2015, ha approvato una risoluzione che impegnava il Governo a promuovere l'attivazione di un tavolo di lavoro con la partecipazione di tutti i livelli istituzionali ed amministrativi interessati, nonché delle associazioni di categoria delle imprese del commercio su aree pubbliche maggiormente rappresentative e a valutare l'opportunità di una rinnovata fase di approfondimento e discussione del quadro giuridico europeo in materia di posteggi su aree pubbliche;
    il 3 novembre del 2016 si è tenuto il primo incontro di questo tavolo presso il Ministero dello sviluppo economico per approfondire la tematica sulla base delle motivazioni esposte dalle rappresentanze di categoria,

impegna il Governo

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010, escludendo il commercio su aree pubbliche dall'applicazione della direttiva 2006/123/CE, ovvero stabilendone l'applicazione secondo modalità atte a contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale, anche mediante l'individuazione – per quanto di competenza – di criteri per la concessione delle autorizzazioni che tengano conto delle diverse caratteristiche e dimensioni degli operatori, segnatamente a tutela di chi è intestatario delle licenze e lavora direttamente o con dipendenti nei mercati, e dei luoghi in cui si svolge il commercio ambulante.
(1-01542)
«Donati, Becattini, Ermini, Paris, Impegno, Paola Bragantini, Barbanti, Dallai, Manfredi, Minnucci, Moscatt, Palladino».
(15 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la commissione bilancio del Senato ha deliberato la modifica della disposizione dell'articolo 6, comma 8, del decreto-legge n. 244 del 2016, il cui disegno di legge di conversione era all'esame, che proroga al 31 dicembre 2018 il termine delle concessioni per commercio su aree pubbliche. La proroga ora riguarda le concessioni in essere alla data di entrata in vigore della disposizione in esame, al fine di allineare le scadenze delle concessioni medesime, garantendo omogeneità di gestione delle procedure di assegnazione; essa prevede anche che, nelle more degli adempimenti da parte dei comuni, siano comunque salvaguardati i diritti degli operatori uscenti. Resta definito che le amministrazioni interessate, che non vi abbiano già provveduto, devono pertanto avviare le procedure di selezione pubblica, nel rispetto della vigente normativa dello Stato e delle regioni, al fine del rilascio delle nuove concessioni entro la suddetta data; con la disposizione suddetta il Governo, finalmente, ha preso atto delle difficoltà applicative della Direttiva Bolkestein.  Tant’è vero che lo stesso ex premier Renzi ha dichiarato: «A un passo dall'applicazione pratica delle nuove regole in materia, emergono forti criticità. Il Governo ha deciso di prendersi carico di queste criticità, ritenendo doveroso quantomeno un momento di approfondimento e riflessione»;
    lo stesso presidente dell'Anci De Caro ha dichiarato: «I Comuni stanno lavorando per non arrivare sprovvisti alla scadenza di luglio 2017, ma è evidente la necessità di un prolungamento adeguato dei tempi, in ragione dell'elevato numero di concessioni da assegnare tramite gara e della conseguente mole di verifiche e incombenze in carico agli uffici comunali ancora prima dell'indizione delle gare stesse»;
    inoltre, si fa presente che la regione Piemonte ha approvato all'unanimità una proposta di legge al Parlamento, per escludere il commercio ambulante dagli effetti della direttiva Bolkestein, così come la regione Puglia ha approvato una mozione del gruppo consiliare M5S sulla medesima linea e le amministrazioni comunali di Roma e Torino hanno deliberato di sospendere la pubblicazione dei bandi per i singoli posteggi;
    sul punto, infine, è intervenuta anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato che ha dato parere contrario e contestato i criteri e le procedure stabiliti dell'intesa Stato-regioni con i quali i comuni stavano provvedendo alla pubblicazione dei bandi per l'assegnazione delle concessioni nei mercati; si ricorda che il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha recepito la direttiva Bolkestein e si configura come una legge-quadro, che dispone norme di portata generale, nonché principi operativi, riconoscendo ai singoli Stati membri le modalità, nonché i tempi di applicazione degli stessi; in particolare, le disposizioni in questione, con l'obiettivo di salvaguardare l'impatto del commercio ambulante sulle aree pubbliche, introducono significativi limiti all'eccesso e all'operatività nel settore, basato sul principio della disponibilità di suolo pubblico destinata dagli strumenti urbanistici all'esercizio dell'attività stessa;
    l'articolo 16 del decreto legislativo n. 59 del 2010 irrigidisce il sistema autorizzatorio, in particolare, al comma 4, non viene riconosciuta la dinamica di proroga automatica ai titoli autorizzatori scaduti, creando delle oggettive difficoltà operative agli oltre 160.000 operatori ambulanti e microimprese operanti nel settore l'articolo suindicato; esso però interviene su una disciplina già ampiamente regolamentata, introducendo un ulteriore limite al numero delle concessioni di posteggio utilizzabili sullo stesso mercato o fiera;
    in particolare, emergerebbero criticità conseguenti all'equiparazione tra la nozione di «risorse naturali», citata dal suindicato articolo, e «posteggi in aree di mercato», tali da compromettere le possibilità e l'operatività degli operatori del commercio ambulante. Infatti, il decreto legislativo interpreta il suolo pubblico concesso per l'esercizio dell'attività di commercio su aree pubbliche, come rientrante nella nozione di «risorse naturali»;
    alle suindicate criticità, si aggiungono ulteriori relative al portato dell'articolo 70, comma 1, del medesimo decreto legislativo, in materia di riconoscimento di titoli autorizzatori alle società di capitali operanti nel settore del commercio ambulante;
    fino all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 59 del 2010, la normativa italiana in materia riconosceva specifiche forme di tutela alle piccole imprese a conduzione familiare, riservando il settore del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche, alle imprese individuali e alle società di persone, evitando in tal modo una oggettiva quanto deprecabile sperequazione – finanziaria, fiscale ed operativa – tra operatori del medesimo settore;
    le disposizioni in materia di regolamentazione del commercio al dettaglio sulle aree pubbliche introdotte dalla direttiva suindicata, creano un’impasse normativa rispetto a quanto già sancito dalla normativa nazionale e regionale in materia segnatamente sul versante della tutela delle piccole imprese, della chiarezza delle procedure operative e autorizzative e del rapporto con gli enti locali,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative in sede di Unione europea al fine di modificare la «direttiva Bolkestein» in modo tale da escludere gli operatori ambulanti e le microimprese operanti nel settore che rappresentano il tessuto tradizionale socio-economico dell'Italia;

2) ad assumere le necessarie iniziative dirette a modificare l'articolo 70 del decreto legislativo n. 59 del 2010 al fine di prevedere che l'attività di commercio al dettaglio su aree pubbliche sia riservata esclusivamente alle imprese individuali e alle società di persone.
(1-01565)
«Della Valle, Caso, Vallascas, Fantinati, Cancelleri, Crippa, Da Villa, D'Uva».
(29 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE, cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo, e dal Consiglio dell'Unione europea al fine di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    tra le categorie commerciali, per le quali è prevista l'applicazione della direttiva in Italia, rientra quella del commercio al dettaglio su aree pubbliche, per il quale sono introdotti l'obbligo di applicazione da parte delle autorità competenti di una procedura di selezione tra i candidati potenziali, la durata limitata delle autorizzazioni, il divieto del rinnovo automatico delle concessioni e il divieto di accordare vantaggi al prestatore uscente;
    l'attuale situazione, per il settore e per le amministrazioni interessate da mercati, appare ad avviso dei proponenti del presente atto di indirizzo ampiamente confusa, in quanto le norme di attuazione della direttiva non hanno ancora trovato piena applicazione. In sede di Conferenza unificata era stata stabilita una proroga delle concessioni al 7 maggio 2017, successivamente ridefinita con il decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 2017, n. 19, che prevede il termine delle concessioni in essere al 31 dicembre 2018, invitando poi le amministrazioni ad avviare le procedure di selezione pubblica;
    la direttiva Bolkestein, recepita nell'ordinamento italiano con il citato decreto legislativo n. 59 del 2010, introducendo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche ed estendendo l'esercizio del commercio su area pubblica anche a società di capitali regolarmente costituite o a cooperative, oltre che a persone fisiche e a società di persone, di fatto, ostacola la programmazione degli investimenti o il recupero di quelli già realizzati, danneggiando, soprattutto, i piccoli operatori del settore, già in difficoltà nel fronteggiare la maggior forza finanziaria delle predette società, in grado di detenere, anche indirettamente, un maggior numero di autorizzazioni;
    inoltre, le disposizioni della direttiva non tengono pienamente conto delle peculiarità e della eterogeneità del settore, costituito da attività di commercio, svolte su posteggio fisso ed attività svolte in forma itinerante e con turnazioni, svolte, non solo nei centri storici e nei tradizionali mercati rionali, ma anche nelle aree periferiche,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per modificare il decreto legislativo n. 59 del 2010, che ha recepito la direttiva 2006/123/CE, escludendo il commercio su aree pubbliche dall'applicazione della stessa, ovvero a delimitarne l'applicazione mediante l'individuazione di criteri per la concessione delle autorizzazioni, che tengano conto delle diverse caratteristiche e dimensioni degli operatori, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale, e a tutela dei luoghi in cui si svolge il commercio ambulante e degli operatori intestatari delle licenze e che lavorano direttamente o con personale dipendente nei mercati;

2) ad assumere iniziative per prevedere una proroga al 31 dicembre 2020 delle concessioni in essere, al fine di omogeneizzare la situazione su tutto il territorio nazionale.
(1-01610)
«Laffranco, Brunetta, Occhiuto, Bergamini, Alberto Giorgetti».
(20 aprile 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, ha dato attuazione alla direttiva 2006/123/CE, cosiddetta direttiva Bolkestein, approvata il 12 dicembre 2006 dal Parlamento europeo, e dal Consiglio dell'Unione europea, al fine di facilitare la creazione di un libero mercato dei servizi in ambito europeo;
    l'entrata in vigore della direttiva sui servizi n. 2006/123/CE istituisce un quadro giuridico generale per un'ampia varietà di servizi nel mercato interno, con l'obiettivo di assicurare la libertà di stabilimento e la libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri, e si applica ai requisiti che influenzano l'accesso all'attività di servizi o il suo esercizio;
    la direttiva è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, integrato dal decreto legislativo n. 147 del 2012. L'articolo 12 della direttiva prevede che qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un'adeguata pubblicità dell'avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento. In tali casi l'autorizzazione è rilasciata per una durata limitata adeguata e non può prevedere la procedura di rinnovo automatico né accordare altri vantaggi al prestatore uscente o a persone che con tale prestatore abbiano particolari legami;
    gli Stati membri possono, però, tener conto, nello stabilire le regole della procedura di selezione, di considerazioni di salute pubblica, di obiettivi di politica sociale, della salute e della sicurezza dei lavoratori dipendenti ed autonomi, della protezione dell'ambiente, della salvaguardia del patrimonio culturale e di altri motivi imperativi d'interesse generale conformi al diritto comunitario;
    tra le categorie commerciali, per le quali è prevista l'applicazione della direttiva in Italia, rientra quella delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative la cui disciplina risulta essere molto complessa, a causa dei numerosi interventi normativi che si sono succeduti negli anni, interventi, oltretutto, che si sono intrecciati, con la normativa e con le procedure di contenzioso aperte in sede europea, che hanno riguardato essenzialmente i profili della durata e del rinnovo automatico delle concessioni, oltre la liceità della clausola di preferenza per il concessionario uscente: il cosiddetto diritto di insistenza;
    nelle ultime due legislature, si è intervenuti sulla disciplina legislativa di tali concessioni, da ultimo con la proroga sino al 31 dicembre 2020 delle concessioni demaniali in essere alla data del 30 dicembre 2009 ed in scadenza entro il 31 dicembre 2015 (articolo 34-duodecies del decreto-legge n. 179 del 2012);
    nel nostro Paese, il settore dell'attività turistico-balneare conta oltre 30.000 imprese, soprattutto medio e piccole, con circa 300.000 persone occupate lungo tutto l'arco della penisola, ai quali vanno aggiunti gli occupati dell'indotto, ovvero degli esercizi pubblici e commerciali che vivono a stretto contatto con gli stabilimenti balneari. In sostanza, si tratta di imprese di tipo familiare, che hanno effettuato notevoli investimenti economici al fine di migliorare i servizi offerti ed elevando, in tal modo, gli standard qualitativi dell'accoglienza turistica a livelli di eccellenza, dando vita ad una realtà di fondamentale importanza per la creazione di ricchezza e di sviluppo turistico che si coniuga con un totale rispetto per l'ambiente ed il territorio;
    risulta evidente che in un quadro legislativo confuso le imprese del settore, da tempo, chiedano certezze normative e tutela dei lavoratori e degli investimenti;
    la Conferenza delle regioni e delle province autonome, in data 25 marzo 2015, ha approvato un documento sulla revisione e sul riordino della legislazione relativa alle concessioni demaniali marittime (12/22/CR09/C5), documento che riconosce la necessità di adeguare il quadro normativo italiano in materia di demanio marittimo ai principi comunitari in materia di trasparenza, non discriminazione, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi in modo da riformare l'intera materia per contemperare, al tempo stesso, anche le legittime esigenze delle varie categorie economiche che operano sul demanio marittimo;
    il documento, inoltre, contiene una serie di richieste, tra le quali: chiarezza con la Commissione europea sulla possibilità di un regime transitorio delle attuali concessioni demaniali marittime, così come già accaduto in altri Paesi europei dove le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 o 30 anni, a seconda della tipologia (Spagna), oppure sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente (Portogallo);
    entrando nello specifico, in Spagna e Portogallo, sono stati approvati provvedimenti che non tengono conto della direttiva 2006/123/CE; in Spagna, infatti, le attività degli stabilimenti balneari (denominati chiringuitos) hanno goduto di una lunga proroga delle concessioni e, nonostante ciò, la Spagna non ha subito, a differenza del nostro Paese, alcuna procedura d'infrazione. Con l'articolo 2, comma 3, della ley de Costas n. 2 del 29 maggio 2013, la Spagna ha modificato la legge n. 22 del 1988, prevedendo una proroga delle concessioni demaniali in essere di un massimo di 75 anni per quelle scadute o in scadenza nel 2018, prevedendo, inoltre, la possibilità di trasmissione delle stesse, oltre che per mortis causa, anche tra i viventi, il tutto con il tacito assenso dell'Unione europea. Il Portogallo, invece, nel 2007 ha emanato una disciplina che accorda al concessionario uscente il diritto di prelazione in caso di riassegnazione della concessione;
    l'Unione, in questi anni, non ha mai inteso riconoscere la specificità del caso italiano mantenendo l'intenzione di applicare la direttiva servizi agli stabilimenti balneari italiani;
    la medesima situazione di incertezza patita dai titolari degli stabilimenti balneari riguarda anche gli operatori del commercio ambulante, tenuto conto che il recepimento della direttiva «Bolkestein», nell'ambito dei mercati ambulanti, introduce non solo limitazioni temporali alle concessioni per l'esercizio del commercio su aree pubbliche, ma comporta anche l'apertura del settore a nuove imprese straniere e multinazionali, comprese le società di capitali, il divieto di rinnovo automatico delle concessioni e l'assegnazione degli spazi pubblici tramite bandi con lo specifico divieto di favorire il prestatore uscente, in base a quanto previsto dagli articoli 11, 16, comma 4, e 70, comma 1, del decreto legislativo n. 59 del 2010;
    in tal modo, oltre 200.000 piccole imprese italiane, soprattutto a conduzione familiare, attive nel settore dei venditori ambulanti nei mercati rionali, verrebbero messe a forte rischio perché obbligate a competere con le grandi società di capitali, le società di cooperative e le multinazionali dotate di un ovvio e fortissimo vantaggio competitivo, fiscale e organizzativo;
    tale situazione costituirebbe, inoltre, un forte rischio anche per l'esistenza stessa dei tradizionali mercati rionali che costituiscono parte dell'offerta e dell'immagine turistico-culturale di moltissime città italiane e che impiegano circa 500.000 addetti a livello nazionale,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010 in modo che le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative siano del tutto escluse dall'applicazione della «direttiva Bolkestein» o, in alternativa, vengano prorogate quelle in essere per almeno trent'anni a partire dal 2020, in considerazione degli ingenti investimenti sostenuti dagli attuali concessionari e, dall'altro lato, vengano affidate le nuove concessioni attraverso procedure ad evidenza pubblica, confermando, in sostanza, la possibilità di attivare un «doppio binario» che distingua le concessioni attualmente in vigore da quelle nuove, con una proroga di congrua durata per le prime, volta a tutelare gli investimenti sostenuti, e procedure di evidenza pubblica, di immediata applicazione, per le seconde;

2) ad attuare ogni iniziativa utile, nel rispetto dei princìpi di concorrenza e libertà di stabilimento, al fine di garantire l'esercizio, lo sviluppo, la valorizzazione delle attività imprenditoriali e di tutela degli investimenti del settore turistico-balneare-ricreativo, anche al fine di salvaguardare gli attuali livelli occupazionali;

3) ad assumere iniziative per riconoscere al concessionario attuale le competenze e la professionalità acquisite nell'esercizio dell'attività turistico-ricreativa;

4) a valutare, con la Commissione europea, le motivazioni del differente trattamento riservato al nostro Paese con riferimento alle concessioni demaniali marittime, soprattutto in rapporto a quanto verificatosi in altri Paesi europei nei quali le concessioni demaniali marittime sono state prolungate di 75, 50 e 30 anni, a seconda della tipologia, oppure sono state mantenute forme di preferenza in favore del concessionario uscente senza che ciò abbia comportato l'apertura di alcuna procedura di infrazione per mancato rispetto della direttiva sui servizi;

5) con riferimento al settore del commercio su aree pubbliche, ad adottare iniziative volte ad assicurare il rigoroso rispetto della proroga dei termini di attuazione della direttiva e ad attivare un tavolo di confronto con le parti interessate finalizzato a definire condizioni di applicazione della norma che, pur nel rispetto delle direttive europee, garantisca alle aziende già operanti la continuità e la necessaria agibilità economica ed occupazionale, non senza aver verificato, in ogni caso, la possibilità di escludere del tutto la categoria del commercio ambulante dall'applicazione della direttiva sui servizi.
(1-01640)
«Palese, Altieri, Bianconi, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(29 maggio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    a direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, è entrata in vigore il 28 dicembre 2006, dopo quasi tre anni di lavoro e un iter legislativo particolarmente complesso, per i contrasti politici che ha incontrato e che ne hanno modificato la formulazione iniziale;
    essa viene anche denominata «direttiva servizi» o «direttiva Bolkestein», dal nome del commissario europeo per il mercato interno, Fritz Bolkenstein, della Commissione presieduta da Romano Prodi, che ha curato e sostenuto questa direttiva. La direttiva «servizi» è basata sugli articoli 43-48 (Il diritto di stabilimento) e 49-55 (I servizi) del Trattato che istituisce la comunità europea e si pone l'obiettivo di facilitare la circolazione e la fruibilità dei servizi nell'Unione europea, secondo i criteri tracciati dalla Strategia di Lisbona;
    il comma 1 dell'articolo 1 chiarisce che la direttiva contiene «disposizioni generali che permettono di agevolare l'esercizio della libertà di stabilimento dei prestatori nonché la libera circolazione dei servizi, assicurando nel contempo un elevato livello di qualità dei servizi stessi». Questo obiettivo è declinato nelle seguenti azioni strategiche: 1) facilitare la libertà di stabilimento dei servizi nell'Unione europea. A tal fine, gli Stati membri si impegnano ad eliminare gli ostacoli che impediscono o scoraggiano gli operatori di altri Stati membri a stabilirsi sul loro territorio; 2) facilitare la libertà di prestazione dei servizi nell'Unione europea. Per potenziare l'offerta transfrontaliera di servizi, la direttiva precisa il diritto dei destinatari ad utilizzare servizi di altri Stati membri; 3) promuovere la qualità dei servizi. La direttiva mira a rafforzare la qualità dei servizi incoraggiando ad esempio la certificazione volontaria delle attività o l'elaborazione di carte di qualità e incoraggiando l'elaborazione di codici di condotta europei, in particolare da parte di organismi o associazioni professionali; 4) stabilire una cooperazione amministrativa effettiva tra gli Stati per favorire la crescita del mercato dei servizi, per garantire una protezione equivalente su questioni generali e per garantire un efficace controllo dei servizi;
    la direttiva servizi doveva essere recepita negli ordinamenti nazionali entro il 28 dicembre 2009. Il Consiglio medesimo ha riconosciuto che affinché il mercato dei servizi diventi una realtà, dovranno essere eliminati gli ostacoli legislativi, ma anche non legislativi presenti nei diversi Stati membri. Infatti, non è sufficiente una semplice legge per applicare la direttiva «servizi», ma sono necessari anche un impegno importante di razionalizzazione del diritto amministrativo e una serie di iniziative concrete, di carattere organizzativo e di sostegno delle azioni finalizzate ad assicurare le informazioni per i prestatori e per i destinatari;
    la direttiva «servizi» si presenta come una «direttiva quadro». Essa non mira a dettare norme specifiche per la regolamentazione della materia dei servizi, ma tratta le questioni con un approccio orizzontale, con l'obiettivo di perseguire l'armonizzazione della materia nel tempo;
    secondo la direttiva «servizi», gli Stati membri devono esaminare ed eventualmente semplificare le procedure e le formalità applicabili per accedere ad un'attività di servizi ed esercitarla. Le procedure autorizzative possono essere mantenute solo se rispettano i principi di non discriminazione e di proporzionalità; i requisiti richiesti per rilasciare le autorizzazioni possono essere mantenuti solo se siano giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di salute pubblica, di tutela dell'ambiente;
    con il decreto legislativo n. 59 del 2010, lo Stato italiano ha dato attuazione alla direttiva comunitaria per la liberazione dei servizi nel mercato interno. Il decreto è diviso in tre parti. Nella prima si stabiliscono i principi generali a cui tutte le pubbliche amministrazioni dovranno attenersi nell'applicazione del decreto: l'ambito di applicazione, le definizioni, le modalità di accesso, i regimi autorizzatori, la semplificazione amministrativa, la tutela dei destinatari, la qualità dei servizi e la collaborazione amministrativa fra Stati. Nella seconda parte si disciplinano alcuni procedimenti riconducibili alla competenza di indirizzo e vigilanza di alcuni ministeri, gestiti in buona parte dai comuni. Nella terza parte, oltre a modifiche e abrogazioni, viene normato il rapporto tra la legge statale e le leggi regionali, in materia di applicazione della direttiva «servizi»;
    nel difficile rapporto tra governo del territorio e libertà d'iniziativa economica che pone al centro la potestà di conformazione dei suoli attribuita ai pubblici poteri il recepimento della direttiva Bolkestein nel nostro ordinamento con particolare riferimento alle attività commerciali incontra ancora forti resistenze a livello regionale/locale nel favorire lì dove non vi siano limiti ambientali, culturali o della sicurezza pubblica l'impulso comunitario diretto all'affermazione della libertà del mercato e nel mercato;
    si tratta di resistenze non incomprensibili se si pensa alla forte connessione tra la presenza di concessioni demaniali o di altro tipo e la generazione di economie locali che rappresentano spesso una delle poche fonti di reddito capaci di mantenere la coesione socio-economica, in un momento di estrema difficoltà sociale ed economica per il contesto italiano;
    le tensioni che si vengono a creare ogni qualvolta si reintroduce il tema della concreta applicazione della direttiva «servizi» nei vari contesti territoriali italiani non possono dunque essere ridotte ad una mera rigida presa di posizione a tutela di interessi economici incancreniti, ma anche all'incapacità degli attori coinvolti di trovare il corretto bilanciamento tra interessi economici e interessi lato sensu pubblici, riguardando in particolare le modalità attraverso le quali le amministrazioni operano le loro scelte di conformazione dei suoli e la loro destinazione edificatoria e d'impresa;
    presso questo ramo del Parlamento sono in discussione una serie di provvedimenti l'applicazione della direttiva Bolkestein su vari rami dell'economia. Tra questi, il disegno di legge che reca una delega al Governo per la revisione e il riordino della normativa relativa alle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo;
    anche le guide turistiche stanno correndo il rischio di non vedere più riconosciuta la loro qualificazione professionale, a seguito del processo di revisione della direttiva Bolkestein. La guida turistica, per definizione, è specializzata nell'illustrazione del patrimonio di un territorio. Le conoscenze e competenze acquisite nel paese di origine non sono automaticamente trasferibili nel Paese ospitante. La guida turistica sembra l'unica professione che, perdendo la competenza territoriale, perde la sua competenza specifica. L'adozione della tessera professionale europea per professioni come quella di guida turistica, in cui la formazione è diversa tra lo Stato di origine e quello ospitante, rischia di eliminare le prove compensative. La qualificazione verificata dallo Stato di origine non è sufficiente. Una guida che esercita in una città d'Europa potrebbe effettuare visite guidate ed illustrare l'identità culturale di 27 paesi, senza dimostrare di possederne la conoscenza,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative volte ad una revisione del decreto legislativo n. 59 del 2010, garantendo l'estensione del regime del periodo di proroga transitoria con l'indicazione di un termine – delle concessioni demaniali, marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di contenere le ripercussioni negative sul tessuto economico e sociale;

2) ad avviare iniziative volte a censire tutte le strutture destinate a regime concessorio demaniale nelle zone marittime, lacuali e fluviali ad uso turistico-ricreativo, al fine di garantire la trasparenza, il regime di accesso e la tutela degli interessi pubblici e di valutare l'introduzione di una politica di revisione dei canoni concessori;

3) a valutare di assumere iniziative per l'esclusione del regime di applicazione della direttiva «servizi» per l'ambito professionale delle guide turistiche, a salvaguardia dell'interesse prevalente alla tutela del patrimonio artistico-culturale del Paese e delle alte competenze professionali che vi operano.
(1-01641)
(Nuova formulazione) «Ricciatti, Epifani, Ferrara, Bersani, Laforgia, Nicchi, Scotto, D'Attorre, Duranti, Sannicandro, Martelli, Albini, Fossati, Piras, Franco Bordo, Folino, Melilla, Quaranta, Carlo Galli, Zoggia, Matarrelli, Kronbichler, Zappulla, Mognato».
(1o giugno 2017)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE IN MATERIA DI RACCOLTA E DONAZIONE DEI FARMACI NON UTILIZZATI

   La Camera,
   premesso che:
    il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 – che dà attuazione alla direttiva 2001/83/CE relativa al codice comunitario concernente i medicinali per uso umano, nonché alla direttiva 2003/94/CE – stabilisce, all'articolo 157 (Sistemi di raccolta di medicinali inutilizzati o scaduti), che si adottino, tramite un decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministro dello sviluppo economico, previo parere della Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, misure dirette a predisporre idonei sistemi di raccolta per i medicinali inutilizzati o scaduti;
    lo stesso articolo 157 del suddetto decreto legislativo prevede la possibilità che tali sistemi si basino anche su accordi, a livello nazionale o territoriale, fra le parti interessate alla raccolta, specificando, infine, che con lo stesso decreto legislativo sono individuate modalità che rendono possibile l'utilizzazione, da parte di organizzazioni senza fini di lucro, di medicinali non utilizzati, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità;
    nel mese di dicembre 2015, nell'ambito del progetto pilota «Un farmaco per tutti», è stato stipulato un protocollo d'intesa tra l'arcidiocesi di Napoli, l'ordine dei farmacisti della provincia di Napoli, Federfarma Napoli e l'azienda ospedaliera Santobono Pausilipon, avente ad oggetto la creazione di una struttura di assistenza farmaceutica a fini umanitari;
    secondo il sistema stabilito dal protocollo d'intesa in parola, i farmaci, che provengono da una donazione spontanea da parte dei cittadini e aziende farmaceutiche, nonché di privati nei casi di cambio, fine terapia ovvero decesso di un congiunto malato, sono raccolti negli appositi contenitori posti nelle sedi delle farmacie aderenti all'iniziativa, ritirati periodicamente da vettori autorizzati ed alla presenza di un farmacista, trasportati e conservati presso la struttura allocata nei locali messi a disposizione dall'azienda sanitaria ospedaliera. Successivamente, il farmacista responsabile pro tempore del progetto, nominato dall'ordine professionale dei farmacisti della provincia di Napoli, dopo controllo dei requisiti fissati nel protocollo d'intesa dei farmaci raccolti e catalogazione sulla banca dati, provvede a consegnare tali farmaci sulla base del bisogno espresso dagli enti assistenziali che ne facciano richiesta, ferma restando la disponibilità dei farmaci in relazione all'entità delle donazioni ricevute;
    la legge 19 agosto 2016, n. 166, contiene disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi, adottata, tra le altre, con la finalità di favorire il recupero e la donazione di prodotti farmaceutici e di altri prodotti;
    l'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 interviene sulla precedente normativa in materia di raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti, modificando il citato articolo 157 del decreto legislativo n. 219 del 2006, mediante, in primo luogo, la soppressione del terzo periodo del comma 1, in tema di modalità di utilizzazione dei medicinali non scaduti da parte delle organizzazioni senza fini di lucro e, secondariamente, l'aggiunta di un ulteriore comma (comma 1-bis);
    il comma 1-bis introdotto dalla legge n. 166 del 2016 demanda ad un successivo decreto del Ministro della salute, da emanarsi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge, concernente:
     a) l'individuazione delle modalità che rendono possibile la donazione di medicinali non utilizzati a organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus), nonché l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte delle stesse;
     b) l'introduzione della previsione secondo cui tali medicinali debbano trovarsi all'interno di confezioni integre, siano correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie;
     c) la definizione dei requisiti, dei locali e delle attrezzature idonei a garantirne la corretta conservazione e le procedure necessarie per garantire la tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti;
     d) la possibilità di consentire alle onlus di poter effettuare la distribuzione gratuita di medicinali non utilizzati direttamente ai soggetti indigenti o bisognosi, dietro presentazione di prescrizione medica, ove necessaria, a condizione che esse dispongano di personale sanitario ai sensi di quanto disposto dalla normativa vigente;
     e) l'equiparazione, nei limiti del servizio prestato, degli enti che svolgono attività assistenziale al consumatore finale rispetto alla detenzione e alla conservazione dei medicinali;
    attualmente, non risulta che il Ministero della salute abbia approvato il decreto previsto dalla legge n. 166 del 2016, che dovrebbe disciplinare quanto sopra richiamato, introducendo, dunque, una compiuta normativa sul complesso della raccolta e distribuzione dei farmaci non utilizzati,

impegna il Governo:

1) ad assumere ogni opportuna iniziativa volta a dare seguito al dettato normativo di cui alla legge n. 166 del 2016, affinché sia emanato il decreto ministeriale di cui in premessa, allo scopo di individuare concretamente il sistema di raccolta e donazione dei farmaci non utilizzati;
2) ad assumere ogni opportuna iniziativa, attraverso l'emanazione della citata normativa ministeriale, diretta a prevedere una reale e decisa attuazione al diritto alla salute sancito costituzionalmente, anche nei confronti di quella parte della popolazione che, vivendo in uno stato di indigenza, si vedrebbe in tal modo riconosciuta la possibilità di poter accedere ai medicinali necessari per le proprie cure;
3) ad assumere ogni opportuna iniziativa di competenza che abbia la finalità di verificare il possibile adattamento del modello di raccolta e distribuzione farmaceutica per fini sociali messo in campo nel contesto partenopeo all'intero territorio nazionale, nell'ottica di garantire una piena uniformità di tali tipologie di interventi umanitari.
(1-01557)
«Carfagna, Lupi, Abrignani, Castiello, Cirielli, Chiarelli, Brunetta, Sarro, Palese, Bergamini, Biancofiore, Catanoso, Luigi Cesaro, Crimi, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Gelmini, Genovese, Giammanco, Giacomoni, Alberto Giorgetti, Gullo, Laffranco, Marotta, Martinelli, Milanato, Occhiuto, Polverini, Romele, Rotondi, Russo, Elvira Savino, Sisto, Valentini, Vito, Vella, Taglialatela».
(24 marzo 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    la legge 19 agosto 2016, n. 166, «Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi», pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 202 del 30 agosto 2016, è entrata in vigore il 14 settembre 2016;
    il provvedimento, che si compone di 18 articoli, è volto a ridurre gli sprechi nel circuito produttivo e distributivo, favorendo il recupero di eccedenze e prodotti non usati;
    in particolare, l'articolo 15 modifica e integra il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219 (il cosiddetto «codice dei farmaci»), in materia di raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti e donazione di medicinali;
    l'articolo affida a un decreto del Ministero della salute – che doveva essere emanato entro 90 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale – il compito di individuare e fissare le modalità per rendere possibile la donazione di medicinali non utilizzati a organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) e l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste, in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie;
    enti e associazioni che svolgono attività assistenziale sono equiparati nei limiti del servizio prestato al consumatore finale e, in base alla normativa, possono utilizzare i farmaci frutto di donazioni solo per la distribuzione gratuita, cioè direttamente ai soggetti indigenti o bisognosi, dietro presentazione di prescrizione medica, ove necessaria e a condizione che dispongano di personale sanitario ai sensi di quanto disposto dalla normativa vigente;
    tuttavia, ad oggi, il Ministero della salute non ha ancora provveduto ad emanare il decreto di cui alla legge n. 166 del 2016, finalizzato al sistema di raccolta e modalità di donazione dei farmaci non utilizzati;
    eppure i dati pubblicati dal banco del farmaco sono sconfortanti: meno della metà delle confezioni prescritte (49 per cento) sono state utilizzate del tutto e, nel caso dei farmaci prescritti ai bambini, la quota sprecata è del 65 per cento;
    i farmaci che più frequentemente avanzano sono gli antidolorifici-antinfiammatori, utilizzati comunemente contro dolori di vario tipo e contro la febbre; infatti, l'82 per cento delle confezioni non viene utilizzato interamente; ciò è dovuto al fatto che le scatole contengono più o meno pillole di quelle che servono per completare la terapia;
    con enormi danni ambientali e sul costo della sanità pubblica, il farmaco sprecato ha un costo di circa 1,6 miliardi di euro l'anno; il farmaco nell'89 per cento dei casi viene conservato fino alla scadenza, nell'8 per cento gettato nei contenitori per i farmaci scaduti delle farmacie, mentre nel 3 per cento, violando la normativa sui rifiuti sanitari, viene gettato nella spazzatura domestica;
    occorre quindi anche un maggior impegno da parte del Ministero a sensibilizzare la classe medica e i cittadini verso una maggiore «cultura» del farmaco, indirizzando a un acquisto intelligente che permetterebbe di evitare sprechi dovuti anche a confezionamenti industriali non sempre aderenti alle necessità terapeutiche;
    sarebbe inoltre auspicabile metter in campo iniziative normative che consentano la prescrizione e la vendita solo sulle effettive necessità terapeutiche al fine di evitare sperperi e inutilizzo dei farmaci, ma in attesa di norme che possano regolamentare lo spreco va evidenziato che i farmaci non scaduti rappresentano una risorsa preziosa per coloro che non hanno la possibilità economica per accedere alle cure;
    non è un caso se dall'ultimo rapporto sulla povertà sanitaria del Banco farmaceutico emerge che sempre più cittadini si rivolgono alle associazioni atte alla raccolta del farmaco non scaduto per avere medicine gratuite;
    infine, sarebbe opportuno che la raccolta di medicinali inutilizzati e non scaduti venisse estesa anche all'uso veterinario mediante appositi cassonetti posizionati presso gli ambulatori veterinari per poi essere raccolti dalle associazioni che gestiscono canili, gattili e rifugi che sotto lo stretto controllo veterinario potrebbero essere somministrati agli animali bisognosi di cure,

impegna il Governo:

1) ad assumere le iniziative di competenza per dar seguito a quanto stabilito dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, adottando il decreto ministeriale ivi previsto;
2) ad assumere iniziative per la raccolta e la distribuzione dei farmaci non scaduti anche mediante mirate campagne di sensibilizzazione allo scopo di agevolare il soddisfacimento dei bisogni dei meno abbienti;
3) ad individuare le modalità di recupero dei farmaci non scaduti, che per la maggior parte vengono conferiti negli appositi cassonetti e che, una volta scaduti, verrebbero gettati tra i rifiuti comuni;
4) ad assumere iniziative normative volte al confezionamento ottimale dei farmaci sulla base della durata della terapia al fine di evitare sprechi e costi inutili;
5) ad assumere iniziative per estendere la finalità sociale di raccolta e distribuzione dei farmaci inutilizzati non scaduti anche a quelli ad uso veterinario, mediante l'individuazione di modalità che rendano possibile la donazione di medicinali a organizzazioni non lucrative che gestiscono i canili, i gattili e i rifugi per animali.
(1-01661)
«Brignone, Civati, Andrea Maestri, Pastorino, Pellegrino, Marcon, Airaudo, Gregori, Fratoianni».
(12 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    con la legge del 19 agosto 2016, n. 166, sono state introdotte disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi;
    l'articolo 15 della succitata legge, in particolare, modificando l'articolo 157 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, ha novellato la disciplina concernente la raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti, la donazione di medicinali e il loro successivo impiego per finalità di solidarietà sociale;
    la legge citata ha demandato al Ministero della salute, attraverso l'emanazione di un decreto da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore della legge, il compito di definire le modalità che rendano possibile la donazione di medicinali inutilizzati ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) e il loro impiego in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie, con esclusione dei medicinali da conservare in frigorifero a temperature controllate, dei medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope e dei medicinali dispensabili solo in strutture ospedaliere;
    il decreto del Ministero della salute, non ancora emanato, deve definire inoltre i requisiti dei locali e delle attrezzature idonei a garantire la corretta conservazione dei suddetti medicinali nonché le procedure intese alla tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti;
    la distribuzione gratuita di medicinali non utilizzati da parte degli enti che svolgono attività assistenziali è consentita direttamente ai soggetti indigenti o bisognosi, dietro presentazione di prescrizione medica, ove necessaria, a condizione che dispongano di personale sanitario ed inoltre gli enti che svolgono attività assistenziale sono equiparati, nei limiti del servizio prestato, al consumatore finale rispetto alla detenzione e alla conservazione dei medicinali; la legge n. 166 del 2016 ribadisce, infine, che è vietata qualsiasi cessione a titolo oneroso dei medicinali oggetto di donazione;
    i recenti dati dell'Istat, relativi al 2016, confermano l'inesorabile crescita delle persone in condizioni di povertà; sono infatti un milione e 619 mila le famiglie residenti in condizione di povertà assoluta, famiglie nelle quali vivono 4 milioni e 742 mila individui; i numeri sono esattamente il doppio rispetto al 2007;
    anche i dati della spesa farmaceutica sono sintomatici e come si evince dal terzo rapporto dell'Osservatorio donazione farmaci (Odf) del 2016, in Italia si spendono in media 682 euro annui a persona per curarsi, ma per le persone indigenti questa spesa scende a 123 euro e rispetto al totale della spesa media mensile, nelle famiglie non povere si destina il 4,4 per cento del budget domestico per curarsi, in quelle povere si scende al 2,6 per cento. All'interno di questa spesa, le persone povere destinano 72,60 euro all'anno pro capite per comprare farmaci (in media se ne spendono 268,80). Dunque tra gli indigenti quasi 6 euro di spesa su 10 finiscono in farmaci, contro i meno di 4 medi. Le difficoltà non sono solo dei poveri: oltre 12 milioni di italiani hanno dovuto limitare il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico;
    al tempo stesso, non accenna a diminuire il fenomeno dello spreco dei medicinali e, secondo quanto emerge dal Rapporto sui rifiuti urbani dell'Ispra del 2016, sono migliaia le tonnellate di farmaci scaduti che finiscono nel rifiuti delle famiglie: secondo l'analisi che ha riguardato 1.968 comuni, corrispondenti a 14.300.153 abitanti, sono 1.270,6 tonnellate, costituite da 92,4 tonnellate di farmaci scaduti pericolosi (medicinali citotossici e citostatici) e da 1.178,2 tonnellate farmaci scaduti non pericolosi. I comuni analizzati rappresentano il 24,5 per cento dei comuni italiani e il 23,6 per cento degli abitanti. L'incidenza del costo della fase di raccolta e trasporto sul costo totale della raccolta differenziata di ciascuna frazione ammonta all'81,2 per cento per i farmaci pericolosi e al 72 per cento per i farmaci non pericolosi. I ricavi risultano trascurabili rispetto al costo complessivo di gestione della raccolta differenziata dei farmaci scaduti, in quanto per i medicinali scaduti la destinazione è essenzialmente un trattamento finalizzato allo smaltimento, generalmente in inceneritori per rifiuti speciali pericolosi;
    sulla base dei dati dell'Ispra succitati uno studio, pubblicato dall'Anaao e dal titolo «Costi riducibili e spese riducibili in sanità», fa una stima dei costi dello spreco dei farmaci evidenziando che «al termine del 2014 la spesa sostenuta per lo smaltimento dei farmaci è stata quantificata intorno a 2,3 milioni di euro. Una sottostima, questa, del volume totale andato nei rifiuti, se si pensa che lo studio ha interessato solo il 24,6 per cento dei comuni italiani», mentre, facendo una stima complessiva, si arriva a una cifra che supera i 9 milioni di euro l'anno;
    «Uno studio del British Medical Journal – scrive l'Anaao – affronta il problema del confezionamento di farmaci costosi, come quelli oncologici, distribuiti in fiale contenenti una quantità di principio attivo superiore a quella necessaria e quindi necessariamente sprecata, e calcola che il 10 per cento del volume dei farmaci erogati finirà nel cestino (l'equivalente di 1,6 miliardi di euro)»;
    tra le cause dello spreco dei farmaci c’è senz'altro l'inappropriatezza prescrittiva ed, infatti, secondo il rapporto OsMed 12, nel 2015 il consumo di antibiotici è diminuito del 2,7 per cento, ma il loro impiego inappropriato supera il 40 per cento, secondo i dati del Ministero della salute, nelle condizioni cliniche degli adulti prese in esame (infezioni acute non complicate delle basse vie urinarie e delle vie respiratorie). Quest'ultime, quand'anche nell'80 per cento dei casi si sia riscontrata una patogenesi virale, sono state trattate, in modo inappropriato, soprattutto con fluorochinoloni, cefalosporine e macrolidi. Anche per i farmaci antidiabetici rimane una percentuale non marginale di inappropriatezza;
    ogni anno tonnellate di medicinali non sono più utilizzabili e spesso si tratta di confezioni mai aperte e scadute (con stime che si aggirano intorno al 40 per cento) e spesso si tratta di farmaci autoprescritti o auto-sospesi; secondo l'Aifa, i medicinali che più sono sprecati sono gli antibiotici, gli analgesici, gli sciroppi, i farmaci per l'ipertensione e per lo scompenso cardiaco, gli antiaggreganti e gli anticoagulanti;
    i danni economici di questo spreco sono enormi, poiché per la maggior parte si tratta di medicinali posti a carico del servizio sanitario nazionale, risorse che sono state stimate in oltre 2 miliardi di euro e che ben potrebbero essere reinvestite in salute per i cittadini;
    peraltro, come già indicato nella mozione n. 1-01463, approvata il 24 gennaio 2017, a prima firma del deputato Mantero, l'uso inappropriato dei farmaci, come gli antibiotici, genera anche il cosiddetto fenomeno dell'antibiotico resistenza (l'uso improprio degli antibiotici che ne determina l'inefficacia terapeutica) che, secondo i dati diffusi dal rapporto « Review on Antimicrobial Resistance», pubblicato nel 2016, entro il 2050, potrà costituire la prima causa di morte al mondo, con un tributo annuo di oltre 10 milioni di vite, più del numero dei decessi attuali per cancro; uno scenario che ha condotto i Paesi membri dell'Onu ad impegnarsi per mettere in atto politiche e iniziative per contrastare l'antibiotico resistenza e, a riguardo, appare virtuosa l'esperienza dei Paesi Bassi che ha affrontato il problema con un differente sistema di confezionamento dei farmaci, consentendo di preparare dosi unitarie e pacchetti personalizzati;
    lo studio Antimicrobial Resistance and causes of Non-prudent use of Antibiotics in human medicine in European Union (Arna), finanziato dall'Unione europea e condotto da un team di ricerca olandese, ha concluso infatti che una delle principali cause del fenomeno dell'automedicazione con antibiotici sono i cosiddetti left-overs, ovvero quelle dosi che superano il numero di quelle prescritte dal medico curante e che rimangono nella disponibilità dei pazienti;
    l'abuso di farmaci non è correlato solo all'ambito ospedaliero o domestico, ma riguarda anche l'uso, ad esempio, degli antibiotici in veterinaria che dovrebbe essere limitato al trattamento delle patologie e non esteso alla prevenzione o alla profilassi di gruppo/allevamento e parimenti anche per i farmaci veterinari dovrebbero essere comunque garantiti e sollecitati un utilizzo più appropriato, nonché forme di donazione per i medicinali non utilizzati;
    evitare lo spreco dei farmaci appare dunque necessario per garantire una salute più equa e più appropriata per tutti i cittadini e, in tal senso, è importante in primis garantire una capillare informazione ed educazione sull'uso appropriato dei medicinali, attraverso il contributo e la collaborazione di tutti i soggetti coinvolti: medici prescrittori, industrie farmaceutiche, farmacie e consumatori, anche attraverso campagne di sensibilizzazione dell'opinione pubblica tutta;
    appare necessario che l'Italia introduca disposizioni normative efficaci sul confezionamento dei farmaci, sia ad uso umano e sia ad uso veterinario, così da evitare una vendita di medicinale che non sia commisurata alle necessità terapeutiche;
    i medicinali inutilizzati sono anche quei farmaci destinati a essere eliminati dal circuito commerciale per diversi motivi come, ad esempio, per difetti di confezionamento o di produzione dovuti al processo produttivo o distributivo oppure a intervenute variazioni dell'autorizzazione all'immissione in commercio (AIC), tali in ogni caso da non comprometterne l'idoneità di utilizzo in termini di qualità, sicurezza ed efficacia per il consumatore finale; tali medicinali donati a Onlus possono essere dispensati a consumatori finali in Italia oppure all'estero;
    è chiaro che per il trasferimento di tali medicinali non utilizzati è necessario un sistema di efficiente tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti, nonché un rigoroso procedimento di qualificazione degli operatori/soggetti coinvolti così da evitare qualsiasi traffico o commercio non conforme e rischioso per la salute dei beneficiari ed, in tal senso, l'atteso decreto del Ministero della salute, come previsto dalla legge n. 166 del 2016, appare necessario e non ulteriormente procrastinabile;
    le disposizioni concernenti la donazione di medicinali non utilizzati sottendono quindi diverse questioni e problematiche, non solo specificatamente riferibili alla solidarietà sociale ma anche alla tutela della salute e alla tutela ambientale, nonché alla correlata economicità del sistema sanitario, la cui spesa si contraddistingue per un'esponenziale e inappropriata crescita della spesa farmaceutica, da un lato, e per una sperequazione tra le popolazioni diversamente abbienti, dall'altro, sperequazione che uno Stato civile ha comunque il dovere di superare non già e non solo attraverso la cosiddetta filantropia ma con misure dirette a garantire sia il reddito sia l'accesso a tutte le cure necessarie e appropriate;
    le donazioni di quei medicinali che sono sottratti dal circuito commerciale o non sono utilizzati, dunque, sono condivisibili nella misura in cui si atteggiano a strumento sussidiario dei doveri dello Stato, doveri che contemplano le risorse necessarie per assicurare ai cittadini meno abbienti un pieno accesso alle cure;
    solo nel contesto appena esposto, dunque, le donazioni dei farmaci non utilizzati devono essere sollecitate, agevolate e garantite, attraverso procedure che siano trasparenti e soprattutto tutelanti per i soggetti che ne beneficeranno,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative efficaci che mirino alla raccolta e alla donazione dei medicinali non utilizzati e, contestualmente, alla riduzione dell'acquisto e del consumo inappropriato dei farmaci sia in ambito domestico e ospedaliero sia in ambito veterinario, attraverso efficaci programmi di formazione dei professionisti della salute nell'ottica di garantire l'appropriatezza prescrittiva;
2) ad assumere le iniziative di competenza per assicurare, al più presto possibile, la predisposizione di un differente sistema di confezionamento dei farmaci, che preveda l'introduzione di dosi unitarie o pacchetti personalizzati al fine di evitare autoprescrizioni da parte dei cittadini;
3) ad assumere iniziative, attraverso campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria sull'uso prudente e appropriato dei farmaci, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre sia lo spreco delle risorse sia i rischi per la salute;
4) ad assumere iniziative per incrementare i controlli e la tracciabilità sulla distribuzione, sulla prescrizione e sull'uso di medicinali, ivi inclusi i medicinali non utilizzati o eliminati dal circuito commerciale;
5) ad assumere le iniziative previste dalla legge n. 166 del 2016, ovvero ad emanare il prescritto decreto ministeriale al fine di definire una compiuta ed efficace disciplina per la raccolta e la donazione di medicinali non utilizzati o scaduti e il loro successivo impiego per finalità di solidarietà sociale;
6) ad assumere iniziative per ridurre lo spreco dei farmaci attraverso la coordinata sensibilizzazione di tutti i cittadini sia ad un uso appropriato dei farmaci, sia alla donazione, per finalità di solidarietà sociale, di quelli non utilizzati, anche al fine di ridurre la quantità di medicinali che non confluisce nel sistema di raccolta all'uopo adibito per il corretto reimpiego e utilizzo.
(1-01665)
«Silvia Giordano, Lorefice, Grillo, Mantero, Colonnese, Nesci, Baroni, Cecconi».
(17 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    lo sperpero di alimenti e di farmaci determina un fortissimo impatto dal punto di vista sociale, economico ed ambientale;
    per la prima volta con la legge «Disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi» (legge 19 agosto 2016, n. 166) si definiscono, in Italia, i termini come «spreco» o «eccedenza alimentare» e si interviene al fine di indirizzare il recupero e la donazione di tali beni all'interno di un programma più vasto di politiche contro la povertà;
    l'Italia è il primo Paese europeo ad essersi dotato di una legge organica che riguarda il recupero e la donazione per solidarietà sociale nell'intera filiera economica: è stato possibile raggiungere tale obiettivo grazie alla collaborazione fattiva degli enti caritativi impegnati da anni in questo ambito e alle imprese dei settori coinvolti;
    la riduzione degli sprechi nelle varie fasi di produzione, trasformazione, distribuzione e somministrazione di prodotti alimentari, farmaceutici o di altri prodotti, è divenuto un obiettivo prioritario da perseguire attraverso alcune buone pratiche che la legge n. 166 del 2016, approvata dal Parlamento a larghissima maggioranza, intende agevolare;
    tra queste si evidenzia, oltre al recupero e alla donazione delle eccedenze alimentari, la donazione dei farmaci ai fini di solidarietà sociale destinandole in via prioritaria all'utilizzo umano;
    l'approvazione della legge sulla donazione e sulla limitazione degli sprechi, in particolare per quanto riguarda il settore farmaceutico, si è resa necessaria dai dati sempre più preoccupanti sulla povertà sanitaria che purtroppo riguarda anche il nostro Paese;
    secondo l'Osservatorio nazionale sulla donazione farmaci, organo scientifico della Fondazione Banco farmaceutico onlus, che annualmente promuove la pubblicazione di dati finalizzati alla comprensione del fenomeno della «povertà sanitaria», utilizzando i dati provenienti dalla giornata di raccolta del farmaco annuale (GRF), dalle donazioni delle aziende farmaceutiche e dai sistemi di monitoraggio degli oltre 1.600 enti caritativi che fanno parte della rete servita da Banco farmaceutico, ha evidenziato che nel 2016 è cresciuta la richiesta di medicinali da parte degli enti assistenziali sostenuti dalla Fondazione;
    in particolare, quanto emerge dal rapporto 2016 «Donare per curare: Povertà sanitaria e Donazione Farmaci», promosso dalla Fondazione Banco farmaceutico onlus con il supporto del comitato scientifico composto da Ufficio nazionale per la pastorale della salute CEI, ACLI, Associazione medicina e persona, UNITALSI, Caritas Italiana, presentato all'Aifa il 10 novembre 2016 rispetto al 2015, la povertà sanitaria in Italia registra un forte aumento: nel 2016 è cresciuta dell'8,3 per cento la richiesta di medicinali da parte dei 1.663 enti assistenziali (+1,3 per cento rispetto allo scorso anno) sostenuti da Banco farmaceutico. Le confezioni donate in occasione della giornata di raccolta del farmaco (GRF) di sabato 13 febbraio sono state pari a 944 mila unità. Il raccolto generato dalla GRF, pari a quasi 354 mila confezioni, ha consentito di coprire il 37,5 per cento del fabbisogno espresso. A queste vanno poi aggiunte 1,2 milioni di confezioni raccolte nei primi 8 mesi del 2016 attraverso il sistema delle donazioni aziendali;
    in 3 anni la richiesta di farmaci è salita del 16 per cento, a fronte del costante aumento degli indigenti assistiti: gli utenti complessivi sono cresciuti nel 2016 del 37,4 per cento (nel 2016, gli enti sostenuti da Banco farmaceutico hanno aiutato oltre 557 mila persone, il 12 per cento dei poveri italiani). Gli aumenti maggiori si evidenziano al Nord-ovest (+90 per cento) e al Centro (+84 per cento). La crescita più significativa è tra gli stranieri (+46,7 per cento), i maschi (+49 per cento) e le persone sopra i 65 anni di età (+43,6 per cento). Le difficoltà non riguardano solo i poveri: risulta da tale indagine che oltre 12 milioni di italiani e 5 milioni di famiglie hanno limitato il numero di visite mediche o gli esami di accertamento per motivazioni di tipo economico;
    sempre lo stesso rapporto evidenzia come nel 2016 le donazioni di farmaci sembrano assestarsi su un numero pari a quelle del 2015 così come le donazioni aziendali, mentre sembrano crescere le donazioni derivanti dal recupero farmaci validi. Se, infatti, l'anno scorso questo canale rappresentava il 5 per cento del totale del raccolto, nel 2016 si stima che si possa arrivare a coprire il 6,5 per cento di tutti i farmaci donati (si toccava appena il 2 per cento solo nel 2013);
    ai dati raccolti dal Banco farmaceutico, si devono aggiungere le esperienze virtuose di moltissimi altri enti caritativi diffusi capillarmente nell'intero territorio nazionale, che con professionalità ed impegno svolgono un servizio importante per le persone più fragili;
    nonostante il 14 settembre 2016 sia entrata definitivamente in vigore la legge n. 166 del 2016, manca ancora ad oggi, il decreto attuativo del Ministro della salute previsto dall'articolo 15 che, modificando l'articolo 157 del decreto legislativo n. 219 del 2006, predispone misure di semplificazione burocratica e incentivi per la donazione di medicinali non utilizzati, correttamente conservati e non scaduti;
    l'approvazione immediata di tale decreto si rende quanto mai necessaria,

impegna il Governo:

1) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 delle legge n. 166 del 2016 e dalle disposizioni previste dalla legge n. 155 del 2003 in essa richiamata, e che equipara gli enti che svolgono attività assistenziale, nei limiti del servizio prestato, al consumatore finale in termini di responsabilità civile rispetto alla detenzione e alla conservazione dei medicinali, ad assumere iniziative affinché i requisiti di tracciabilità del annuo siano coerenti con la finalità perseguite della citata legge n. 166 del 2016, adeguati alle norme e alla tutela della salute pubblica, nonché proporzionati rispetto alle attività a fini di solidarietà sociale e ai costi che un ente caritativo può ragionevolmente sostenere per l'adempimento di tale attività;
2) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 a prevedere, ai fini di una migliore tracciabilità del farmaco a cura dei donatori, l'aggiornamento della «banca dati centrale» mediante definizione della specifica causale «donazione»;
3) ad assicurare, nella stesura del decreto applicativo di cui all'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, il pieno rispetto delle disposizioni previste dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 2, comuni 350, 351, 352, poiché operano in ambiti differenti e non sovrapponibili;
4) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, a prevedere le specificità legate allo differenti tipologie di soggetti, donatari esistenti, le associazioni che svolgono attività di pura distribuzione di confezioni integre e nel periodo di validità e le associazioni che ricevono in donazione tali beni e li somministrano disponendo di personale sanitario in genere e svolgendo quindi attività di tipo assistenziale;
5) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, in coerenza con le finalità espresse dall'articolo 1 della medesima legge, a favorire il recupero e la donazione di prodotti farmaceutici a fini di solidarietà sociale in tutte le fasi della filiera, comprendendo quindi i medicinali cedibili dal produttore, così come i medicinali già regolarmente inseriti nel circuito commerciale della distribuzione e della somministrazione, purché siano in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità;
6) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 a definire in via preliminare quali siano i medicinali inutilizzati e quindi cedibili comprendendo fra questi i medicinali soggetti a prescrizione, i medicinali senza obbligo di prescrizione, i medicinali da banco e i relativi campioni gratuiti, oggetto di donazione o destinati a essere eliminati del circuito commerciale o a non esservi immessi a causa, a titolo esemplificativo e non esaustivo, di difetti di confezionamento o di produzione dovuti al processo produttivo e logistico, tali in ogni caso da non compromettere l'idoneità di utilizzo in termini di qualità, sicurezza ed efficacia per il consumatore finale;
7) nella stesure del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 e dalle disposizioni finali della legge medesima, a ribadire, ai fini della fiscalità, che trattasi di cessioni a titolo gratuito che non richiedono la forma scritta per la loro validità, che alle stesse non si applicano le disposizioni del titolo V del Libro secondo del codice civile;
8) nella stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, a ribadire, a tutela dei donatori e degli enti caritativi donatari, che è vietata qualsiasi cessione a titolo oneroso dei medicinali oggetto di donazione;
9) a coordinare la stesura del decreto applicativo così come previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016, con quanto previsto dal testo del decreto legislativo di prossima pubblicazione «Codice del Terzo settore, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106».
(1-01666)
«Gadda, Lenzi, Amato, Argentin, Paola Boldrini, Burtone, Capone, Carnevali, Carocci, D'Incecco, Marco Di Maio, Galperti, Manfredi, Miotto, Moretto, Patriarca, Piazzoni, Piccione, Valeria Valente, Vazio».
(17 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    il tema dell'appropriatezza prescrittiva dei farmaci rappresenta oggi in Italia una delle frontiere di sostenibilità della spesa;
    in particolare, le difficoltà nel comprimere la parte inappropriata della complessiva spesa per la farmaceutica, rappresentano un vincolo diretto ed indiretto nella maggior disponibilità di risorse economiche per l'innovazione tecnologica e per la rapida dispensabilità dei nuovi farmaci da parte del Servizio sanitario nazionale (SSN);
    oltre alle problematiche relative all'appropriatezza della prescrizione, il nostro Paese sconta le difficoltà culturali negli adeguamenti delle abitudini della popolazione e della produzione delle case farmaceutiche che rende difficile il confenzionamento dei farmaci in monodose oppure in confezioni adeguate ai più comuni cicli terapeutici;
    nel nostro Paese esiste un'ulteriore distorsione culturale rappresentata dalla tendenza delle famiglie a costituire veri e propri «armadi farmaceutici» domestici, con accumulazione di farmaci che spesso non vengono utilizzati;
    contemporaneamente, secondo i dati diffusi dal Censis, aumenta negli anni il numero degli italiani «in difficoltà», che sarebbero costretti a privarsi di prestazioni sanitarie importanti (o addirittura essenziali) per motivi economici, mentre cresce la quantità delle persone che si rivolge ad organizzazioni assistenziali per ottenere la pronta disponibilità dei farmaci;
    in risposta a tali criticità di contesto, è stata approvata la legge n. 166 del 19 agosto 2016, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 202 del 30 agosto dello stesso anno, contenente «disposizioni concernenti la donazione e la distribuzione di prodotti alimentari e farmaceutici a fini di solidarietà sociale e per la limitazione degli sprechi»;
    l'articolo 15 di tale legge supera e compendia il decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, che regolava le attività di raccolta e di donazione di medicinali, attribuendo ad un successivo decreto del Ministero della salute l'individuazione delle modalità che consentano «la donazione di medicinali non utilizzati ad organizzazioni non lucrative di utilità sociale (onlus) e l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste, in confezioni integre, correttamente conservati e ancora nel periodo di validità, in modo tale da garantire la qualità, la sicurezza e la validità originarie»;
    è del tutto evidente che la nuova normativa appare finalizzata ad un riutilizzo virtuoso dei farmaci già in possesso dei pazienti, contribuendo ad una svolta culturale che ostacoli le tendenze all'accumulo immotivato e consentendo il recupero in condizioni di sicurezza delle confezioni farmaceutiche inutilizzate per vari motivi;
    tale esigenza appare certificata dalla ricerca del 2009 pubblicata dall'Istituto Mario Negri di Milano che ribadiva come il 49 per cento delle confezioni di farmaci per adulto e addirittura il 65 per cento delle confezioni pediatriche non venisse effettivamente utilizzato, contribuendo a consolidare uno spreco vieppiù intollerabile nelle attuali condizioni di sofferenza del finanziamento del nostro sistema sanitario pubblico;
    nello stesso senso depone l'esperienza della Fondazione Banco farmaceutico che, in un solo anno, con un progetto partito a Roma nel 2013, che peraltro coinvolgeva soltanto 43 delle 800 farmacie romane, è riuscita a raccogliere ben 23.000 confezioni di farmaci non scaduti e riutilizzabili, per un valore commerciale di 300.000 euro;
    dando seguito a tali esperienze, ogni anno, la Fondazione Banco farmaceutico organizza la giornata nazionale della donazione con la partecipazione di migliaia di volontari e di una rete di farmacie nazionali che partecipa all'iniziativa che consente la donazione di farmaci senza obbligo di ricetta medica, soprattutto antinfiammatori, antidolorifici, antipiretici, che vengono trasferiti per il riutilizzo agli enti assistenziali territoriali;
    il recupero del farmaco non utilizzato, non scaduto è sicuramente un'operazione eticamente auspicabile per l'azione di risparmio di risorse comuni, ma è anche un'attività di apprezzabile valenza ambientale, perché evita la produzione di rifiuti inquinanti;
    spesso le norme di garanzia della sicurezza dell'utilizzo appaiono talmente complesse e di difficile interpretazione da disincentivare ogni attività di recupero;
    attualmente, la legge n. 166 attribuisce una grande responsabilità nelle procedure di riutilizzo al medico di medicina generale (Mmg), che meglio di chiunque altro dovrebbe conoscere le buone condizioni di conservazione del prodotto, garantite dal detentore del farmaco;
    che – per poter davvero essere efficace – tale ruolo centrale del Mmg necessita di affiancamento e supporto nella individuazione dei protocolli e nella condivisione delle responsabilità da parte dei produttori e degli operatori delle farmacie e dei servizi farmaceutici;
    in tal senso, appare paradigmatica la pubblica denuncia del padre di Alessandro Pibiri, il caporal maggiore della Brigata Sassari morto a Nassiriya il 5 giugno del 2006 che, volendo restituire i farmaci oncologici e salvavita non più utili alla moglie morta di cancro, si senti rispondere dalle strutture della ASL competente e dalla regione che avrebbe dovuto provvedere a distruggerli o a donarli ad una non meglio specificata associazione umanitaria;
    all'entrata in vigore della legge n. 166 del 2016 c'era dunque grande aspettativa per i decreti attuativi, attesi entro il dicembre 2016;
    in particolare, l'attesa riguardava la individuazione dei canali di donazione alle Onlus e le procedure di verifica, di conservazione e di utilizzo dei farmaci da parte delle organizzazioni non lucrative, nonché le modalità attraverso cui garantire la consegna ai richiedenti;
    all'interno dei decreti attuativi possono altresì essere previste norme per il coinvolgimento delle farmacie al pubblico nelle attività di raccolta e di verifica dell'utilizzabilità dei farmaci, anche attraverso l'attivazione delle strutture di volontariato e di protezione civile già presenti nel contesto della stessa professione farmacista;
    che appare comunque indispensabile un radicale intervento sui temi dell'appropriatezza nel settore del farmaco, destinato al contenimento degli sprechi, ma anche al raggiungimento delle migliori finalità terapeutiche,

impegna il Governo:

1) ad emanare al più presto il decreto attuativo previsto dalla legge n. 166 del 2016 dettando le norme che, nel rispetto delle esigenze di sicurezza, consentano di attivare ogni procedura di sensibilizzazione della popolazione e dei prescrittori sul corretto utilizzo del farmaco, sulla raccolta dell'inutilizzato, sulla sua conservazione in condizioni di correttezza e di sicurezza e sul riutilizzo virtuoso da parte delle Onlus, a favore delle fasce più deboli della popolazione;
2) a verificare che le norme inserite nel decreto di cui sopra, nel rispetto delle esigenze di sicurezza di riutilizzo, siano della massima semplicità attuativa, al fine di favorire la massima affermazione possibile della cultura del recupero e del riuso del farmaco non utilizzato;
3) ad attivare un tavolo tecnico tra produttori, medici di medicina generale e farmacie di comunità, finalizzato a definire protocolli di riutilizzo del farmaco più rispettosi della tutela dagli sprechi e delle esigenze di sicurezza;
4) ad attivare un'azione virtuosa di educazione dei prescrittori e dei consumatori dei farmaci che tenda ad evitare gli incomprensibili fenomeni di «accaparramento» e di «accumulo in scorta» che spesso sono una delle più potenti spinte all'inutilizzo e allo spreco;
5) a stimolare ogni iniziativa tendente alla centralizzazione dei magazzini farmaceutici regionali, finalizzata al miglior utilizzo di scorte e giacenze;
6) a stimolare la crescita della cultura della «dose unitaria» finalizzata a personalizzare prescrizioni e terapie, quanto meno in ambito ospedaliero;
7) a promuovere azioni di collaborazione tra prescrittori, farmacisti e aziende produttrici, finalizzate alla disponibilità di confezioni industriali sempre più coerenti rispetto alle necessità terapeutiche.
(1-01667)
«Vargiu, Latronico, Altieri, Capezzone, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Marti, Matarrese».
(17 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    l'esigenza di favorire e incentivare il recupero e la donazione per fini di solidarietà, di farmaci non più utilizzati, è per prima cosa un dovere sociale, e questo ancora di più in una perdurante crisi economica quale quella attuale, nella quale si è fatto più acuto il disagio di una fascia sempre più larga di popolazione, e la povertà sanitaria è sempre più una emergenza con la quale troppe persone devono fare i conti quotidianamente. Sono raddoppiati i cittadini che hanno difficoltà ad acquistare medicinali, anche quelli con prescrizione medica, e questo colpisce in modo profondo il diritto alla salute e l'accesso alla cura dei cittadini più deboli. Peraltro, sono proprio di queste ore i dati comunicati dall'Istat che indicano come nel 2016, la povertà assoluta in Italia ha visto coinvolte ben 4 milioni e 742 mila persone, pari a 1,619 milioni di famiglie residenti;
    con la legge del 19 agosto 2016, n. 166, il nostro Paese si è dotato di un'importante strumento legislativo finalizzato alla riduzione degli sprechi di prodotti alimentari, farmaceutici o di altri prodotti, attraverso la realizzazione di alcuni obiettivi prioritari quali quello di favorire il recupero e la donazione delle eccedenze alimentari, e di prodotti farmaceutici ed altri prodotti a fini di solidarietà sociale, nonché di ridurre la produzione di rifiuti anche promuovendo il riuso e il riciclo con l'obiettivo di estendere il ciclo di vita dei prodotti;
    per quanto riguarda in particolare i prodotti farmaceutici, l'articolo 15 della citata legge, apportando alcune modifiche all'articolo 157 del decreto legislativo 24 aprile 2006, n. 219, interviene sulla normativa vigente in materia di raccolta di medicinali non utilizzati o scaduti e di donazione di farmaci, introducendo disposizioni dirette ad incentivare la donazione alle organizzazioni non lucrative di utilità sociale onlus di medicinali non utilizzati. Alle onlus è consentita la distribuzione a titolo gratuito dei farmaci direttamente ai soggetti indigenti;
    peraltro il citato articolo 15, prevedeva che entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della norma, e quindi entro novembre 2016, il Ministero della salute avrebbe dovuto emanare un proprio decreto al fine di individuare le diverse modalità che rendono possibile la donazione di medicinali non utilizzati a organizzazioni non lucrative di utilità sociale, e l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste, garantendone la qualità, la sicurezza e l'efficacia originarie. Il medesimo decreto avrebbe dovuto altresì definire i requisiti dei locali e delle attrezzature idonei a garantirne la corretta conservazione e le procedure volte alla tracciabilità dei lotti dei medicinali ricevuti e distribuiti;
    peraltro, va sottolineato negativamente il fatto che la medesima legge n. 166 del 2016, prevede complessivamente l'emanazione di ben otto diversi provvedimenti attuativi in capo al Governo, e, in particolare, al Ministero della salute, al Ministero dell'economia e delle finanze, al direttore dell'Agenzia delle entrate. A un anno di distanza dall'entrata in vigore della legge n. 166 del 2016, di questi otto, solamente un decreto ministeriale è stato emanato. Tutto ciò impedisce di fatto al provvedimento di poter essere pienamente reso operativo, lasciando conseguentemente sulla carta molte delle principali previsioni normative contenute, compresa, come si è visto, quella relativa ai medicinali non utilizzati;
    così come non risulta che, a distanza di un anno, abbiano avuto alcun seguito concreto – e a tutt'oggi rimangono di fatto mere previsioni «manifesto» – le attività di promozione, formazione e sensibilizzazione in materia di riduzione degli sprechi, introdotte dall'articolo 9 della medesima legge n. 166, e che a vario titolo vedono coinvolti il servizio pubblico radiotelevisivo, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, i Ministeri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dell'istruzione, dell'università e della ricerca, nonché le stesse regioni. Previsioni che riguardano campagne di promozione di modelli di consumo e di acquisto improntati a criteri di solidarietà; forme di sensibilizzazione per incentivare il recupero e la redistribuzione per fini di beneficenza e la prevenzione della produzione di rifiuti alimentari; la promozione nelle scuole di percorsi mirati all'educazione a una sana alimentazione e a una produzione alimentare ecosostenibile, nonché alla sensibilizzazione contro lo spreco degli alimenti. Nulla di tutto questo risulta ancora essere stato fatto dal Governo;
    si ricorda che nel nostro Paese vengono vendute migliaia di tonnellate di farmaci, e molti di questi non vengono utilizzati e scadono;
    lo spreco enorme legato ai farmaci non più utilizzati e in particolare a quelli scaduti, è stato ben evidenziato dai dati pubblicati nel rapporto sui rifiuti urbani 2016 prodotto dall'Ispra. Dati riguardanti 1.968 comuni (il 24,5 per cento dei comuni italiani) e il 23,6 per cento dei cittadini, e che indicano una quantità di rifiuti farmaceutici di circa 1.270 tonnellate, delle quali 92,4 tonnellate di farmaci scaduti pericolosi, e 1.178,2 tonnellate di farmaci scaduti non pericolosi;
    questa quantità elevatissima di medicinali scaduti che finiscono troppo spesso nell'indifferenziata, oltre a rappresentare una ulteriore grave fonte di inquinamento e di possibile contaminazione per l'ambiente, rappresentano anche uno spreco e un costo, sia per l'impossibilità di poterli donare, sia per il valore in sé dei prodotti non più utilizzati, sia per i costi di raccolta e smaltimento. Gran parte dei medicinali vengono infatti gestiti e smaltiti a parte e con procedure diverse rispetto alla gran parte degli altri rifiuti;
    un contributo alla riduzione dell'uso non controllato dei farmaci e dello spreco di medicinali non più utilizzati o scaduti, può venire oltre che da una maggiore informazione e consapevolezza dei cittadini nell'acquisto corretto dei medicinali, anche promuovendo efficacemente la produzione e la vendita di farmaci sfusi o monodose, e quindi tarati in relazione alla terapia o alle diverse esigenze, o incentivando comunque le aziende farmaceutiche a proporre una diversa modulazione delle quantità contenute nelle confezioni;
    sotto questo aspetto, si ricorda che la legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015), all'articolo 1, comma 591, al fine della razionalizzazione e del contenimento della spesa farmaceutica, aveva positivamente previsto che con decreto del Ministro della salute, venissero individuate le modalità per la produzione e la distribuzione in ambito ospedaliero, in via sperimentale per un biennio, di medicinali in forma monodose. Anche in questo caso, ancora una volta, e similmente con quanto precedentemente segnalato in merito alla legge n. 166 del 2016, non risulta che sia mai stato emanato il decreto ministeriale attuativo della suddetta previsione,

impegna il Governo:

1) ad emanare in tempi brevi il decreto del Ministero della salute previsto dall'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 al fine di consentire la donazione di medicinali non utilizzati alle onlus, l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste, per finalità sociali;
2) ad assumere iniziative per prevedere esplicitamente che le disposizioni previste dal suddetto articolo 15 in materia di cessione a titolo gratuito di farmaci non utilizzati, siano estese anche ai farmaci ad uso veterinario;
3) ad attivarsi al fine di garantire la rapida emanazione dei provvedimenti attuativi in materia previsti dalla citata legge n. 166 del 2016, dei quali solamente uno risulta ad oggi essere stato emanato, consentendo così che una legge importante come quella richiamata, volta a favorire, per quanto rileva in questa sede, la donazione dei prodotti farmaceutici a fini di solidarietà sociale possa essere pienamente attuata;
4) ad attuare quanto già previsto dal comma 591, dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014, provvedendo a tal fine all'emanazione del previsto decreto del Ministero della salute che deve individuare le modalità per la produzione e la distribuzione in ambito ospedaliero, in via sperimentale per un biennio, di medicinali in forma monodose;
5) al fine di agevolare il conferimento da parte dei cittadini di farmaci non più utilizzati, ad assumere le opportune iniziative, in coordinamento con gli enti territoriali, affinché siano implementate sensibilmente le farmacie che possono ricevere detti farmaci, garantendo la separazione tra farmaci scaduti e quindi destinati allo smaltimento, e quelli non utilizzati ma in corso di validità e quindi in condizione di poter essere recuperati.
(1-01669)
«Fossati, Murer, Fontanelli, Nicchi, Laforgia».
(17 luglio 2017)

MOZIONI CONCERNENTI LA SITUAZIONE DI CRISI NELLO YEMEN, CON PARTICOLARE RIFERIMENTO ALL'EMERGENZA UMANITARIA E ALL'ESPORTAZIONE DI ARMI VERSO I PAESI COINVOLTI NEL CONFLITTO

   La Camera,
   premesso che:
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato più risoluzioni sullo Yemen, in particolare le risoluzioni 2216 (2015), 2201 (2015) e 2140 (2014), che qui si intendono richiamate;
    l'attuale crisi nello Yemen è il risultato dell'incapacità dei Governi che si sono succeduti di rispondere alle legittime aspirazioni del popolo yemenita alla democrazia, allo sviluppo economico e sociale, alla stabilità e alla sicurezza; tale incapacità ha creato le condizioni per lo scoppio di un violento conflitto, in quanto non si è riusciti a dare vita a un Governo inclusivo e a garantire un'equa ripartizione dei poteri e sono state sistematicamente ignorate le numerose tensioni tribali, la diffusa insicurezza e la paralisi economica del Paese;
    l'intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal Presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l'uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato a una situazione umanitaria disastrosa che interessa la popolazione in tutto il Paese, ha gravi implicazioni per la regione e costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale; membri della popolazione civile yemenita, già esposta a condizioni di vita terribili, sono le principali vittime dell'attuale escalation militare;
    i ribelli houthi hanno in passato posto sotto assedio la città di Ta'izz, la terza città dello Yemen, ostacolando la fornitura di aiuti umanitari; una situazione per cui secondo Stephen ÒBrien, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d'emergenza, i circa 200.000 civili intrappolati nella città hanno un disperato bisogno di acqua potabile, cibo, cure mediche e altri tipi di assistenza di primo soccorso e protezione;
    dall'inizio del conflitto sono state uccise oltre 10.000 persone (delle quali circa 4.700 civili) e 40.000 sono rimaste ferite (oltre 8.000 civili); tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; l'impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell'interruzione della fornitura dei servizi essenziali ha raggiunto proporzioni intollerabili;
    2 milioni di persone sono attualmente sfollate internamente ai confini a causa dei combattimenti; 2 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola; 18,8 milioni di persone, tra cui 9,6 milioni di bambini, necessitano di assistenza umanitaria, compresi cibo, acqua, rifugio, carburante e servizi sanitari. Oltre a questo, circa 1500 bambini sono stati reclutati come soldati;
    secondo molteplici segnalazioni, gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel Paese;
    il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale finanziato da Medici senza frontiere e ciò ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale di Medici senza frontiere, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; questo è l'ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche, nonché a numerosi monumenti storici e siti archeologici che sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente;
    stando all'organizzazione Save the children, in almeno 18 dei 22 governatorati del Paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni;
    secondo l'Unicef, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull'accesso dei bambini all'istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3.584 scuole, ossia una su quattro; 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati;
    la situazione nello Yemen comporta gravi rischi per la stabilità della regione, in particolare nel Corno d'Africa, nel Mar Rosso e nel resto del Medio Oriente; al-Qaeda nella penisola araba (Aqap) è riuscita a sfruttare il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nello Yemen, espandendo la propria presenza e aumentando il numero e la portata dei propri attacchi terroristici; il cosiddetto Stato islamico Isis/Daesh ha consolidato la propria presenza nello Yemen e ha sferrato attacchi terroristici contro moschee sciite, uccidendo centinaia di persone;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l'Arabia Saudita dopo l'inizio della guerra; tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri, laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali;
    il 27 gennaio 2017 è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il «Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen» che evidenzia che «I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell'alleanza houthi-Saleh di continuare il conflitto». E soprattutto riporta che «Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall'Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale»;
    nel medesimo rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dimostra il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana'a nel settembre 2016, di più di cinque «bombe inerti» sganciate dall'aviazione saudita contrassegnate dalla sigla «Commercial and Government entity (Cage) code A4447». Quest'ultima è riconducibile all'azienda Rwm Italia s.p.a. del gruppo tedesco Rheinmetall, con sede legale in Via Industriale 8/D a Ghedi, in provincia di Brescia. Secondo gli esperti delle Nazioni Unite «l'utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili». Gli esperti spiegano inoltre che «una bomba inerte del tipo Mk 82 ha un impatto pari a quello di 56 veicoli da una tonnellata lanciati a una velocità di circa 160 chilometri all'ora» (si confrontino le pagine 171-172 del rapporto);
    secondo recenti notizie di stampa (riportate in particolare dall’Ansa e da Avvenire) e grazie alle informazioni trasmesse dall'organizzazione non governativa yemenita Mwatana è stato recuperato in Yemen un frammento di ordigno con sigla «A4447», che indica la provenienza dalla Rwm Italia. Il numero di matricola, trasmesso all'ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nordoccidentale di Hodeida, teatro di un attacco aereo condotto alle 3 di notte dell'8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini;
    negli scorsi mesi sono stati esportati materiali di armamento per 257.215.484 euro (tra cui, in particolare, bombe Rwm MK82) verso l'Arabia Saudita, a capo della coalizione composta da Eau, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco, Kuwait. Come si evince nella relazione al Parlamento, ai sensi dell'articolo 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185, nel solo 2016 l'Italia ha venduto armi all'Arabia Saudita per un valore di 427,5 milioni di euro, con un incremento del 66 per cento rispetto al 2015. All'Arabia Saudita sono stati venduti aeromobili, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, apparecchiature per la direzione del tiro, esplosivi e combustibili militari, apparecchiature elettroniche, apparecchiature specializzate per l'addestramento militare o per la simulazione di scenari militari, tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione delle armi. Nello stesso anno 2016 ai Paesi del Medio Oriente l'Italia ha venduto armi per un valore di 8,5 miliardi di euro, pari a oltre il 50 per cento delle esportazioni italiane totali;
    nell'ultima relazione al Parlamento ex legge n. 185 del 1990, per l'anno 2016, depositata in Parlamento il 26 aprile 2017, si legge che Rwm Italia è salita al terzo posto per giro d'affari nel settore difesa in Italia. Dal 1o gennaio al 31 dicembre 2016 Rwm ha ottenuto 45 nuove autorizzazioni per l'esportazione di armamenti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, per un totale di 489,5 milioni di euro: 460 milioni di euro in più rispetto al 2015, quando la società aveva ricevuto nuove autorizzazioni per 28 milioni di euro. La relazione del Governo italiano mette in evidenza in particolare una commessa di Rwm, per un totale di 411 milioni di euro, che riguarda l'esportazione di 19.675 bombe in totale (Mk 82, Mk 83 ed Mk 84). Non è però indicato il committente. Non si sa quindi verso quale Paese siano state esportate le bombe. Nella relazione finanziaria di Rheinmetall per l'anno 2016 si legge che c’è stato un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione Mena (Medio Oriente e Nord Africa)». Di queste 19.675 bombe autorizzate nel 2016 (e di quelle relative ad altre licenze precedenti) ne sono già state effettivamente esportate solo nel 2016 circa 2.150 per controvalore di 32 milioni di euro;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP)) contiene, in particolare, l'invito «al VP/AR ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008»;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2017/2727(RSP)) richiama la precedente del 25 febbraio 2016 in merito alla proposta di embargo sulle armi e invita ad una soluzione negoziale del conflitto, riaffermando «la necessità che tutti gli Stati membri dell'Unione applichino rigorosamente le disposizioni sancite nella posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sull'esportazione di armi»;
    il sito «Viaggiare sicuri» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a proposito dello Yemen, affermava fino ad alcuni mesi fa che «le condizioni umanitarie stanno divenendo insostenibili per larga parte della popolazione civile, come indicato nei report delle Nazioni Unite, che hanno documentato anche arresti arbitrari e violazioni del diritto umanitario da ambe le parti coinvolte nello scontro armato»,

impegna il Governo:

1) ad esprimere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentanti di Paesi stranieri:
   a) la profonda preoccupazione dell'Italia per l'allarmante deterioramento della situazione umanitaria nello Yemen, caratterizzata da una diffusa insicurezza alimentare e una grave malnutrizione in alcune parti del Paese, da attacchi indiscriminati contro civili, personale medico e operatori umanitari e dalla distruzione delle infrastrutture civili e mediche a causa del preesistente conflitto interno, dell'intensificarsi degli attacchi aerei ad opera della coalizione guidata dall'Arabia Saudita, dei combattimenti a terra e dei bombardamenti, nonostante i ripetuti appelli per una nuova cessazione delle ostilità;
   b) l'angoscia per la perdita di vite umane causata dal conflitto e per le sofferenze delle persone rimaste coinvolte negli scontri, esprimendo altresì il cordoglio dell'Italia alle famiglie delle vittime;
   c) l'impegno dell'Italia a continuare a sostenere lo Yemen e il popolo yemenita;
   d) la grave preoccupazione per gli attacchi aerei da parte della coalizione a guida saudita e il blocco de facto da essa imposto allo Yemen, che hanno causato la morte di migliaia di persone, hanno ulteriormente destabilizzato il Paese, stanno distruggendo le sue infrastrutture fisiche, hanno creato un'instabilità che è stata sfruttata dalle organizzazioni terroristiche ed estremiste, quali l'Isis/Daesh e l'Aqap, e hanno aggravato una situazione umanitaria già critica;
   e) la ferma condanna delle azioni destabilizzanti e violente condotte dai ribelli houthi, che sono sostenuti dall'Iran, compreso l'assedio della città di Ta'izz, che ha avuto, tra l'altro, conseguenze umanitarie disastrose per gli abitanti;
   f) il convincimento che soltanto una soluzione al conflitto politica, inclusiva e negoziata può ripristinare la pace, nonché l'esortazione a tutte le parti a impegnarsi quanto prima, in buona fede e senza condizioni preliminari, in un nuovo ciclo di negoziati di pace sotto l'egida delle Nazioni Unite, anche superando le loro divergenze attraverso il dialogo e le consultazioni, rifiutando gli atti di violenza finalizzati al raggiungimento di obiettivi politici e astenendosi da provocazioni e da tutte le azioni unilaterali volte a compromettere la soluzione politica;

2) a richiedere, in ogni consesso internazionale o sede di confronto con rappresentati di Paesi stranieri:
   a) un'azione umanitaria coordinata sotto la guida delle Nazioni Unite e la partecipazione di tutti i Paesi alle iniziative volte a far fronte alle esigenze umanitarie;
   b) a tutte le parti di consentire l'ingresso e la distribuzione di generi alimentari, farmaci e carburante di cui vi è un urgente bisogno nonché di altre forme di assistenza necessaria, tramite le Nazioni Unite e i canali umanitari internazionali, al fine di soddisfare le necessità impellenti dei civili colpiti dalla crisi, secondo i princìpi di imparzialità, neutralità e indipendenza;
   c) una tregua umanitaria affinché l'assistenza di primo soccorso possa essere fornita con urgenza alla popolazione yemenita, anche facilitando ulteriormente l'accesso delle navi mercantili allo Yemen;
   d) a tutte le parti di rispettare il diritto umanitario internazionale e il diritto internazionale in materia di diritti umani, di garantire la protezione dei civili e di astenersi dall'attaccare direttamente le infrastrutture civili, soprattutto le strutture sanitarie e gli impianti idrici;
   e) un'indagine imparziale e indipendente su tutte le accuse di abusi, torture, uccisioni mirate di civili e altre violazioni del diritto internazionale in materia di diritti umani e del diritto umanitario internazionale, come pure sui recenti attacchi che hanno preso di mira le infrastrutture e il personale umanitario;
   f) il rispetto dei diritti umani e delle libertà di tutti i cittadini yemeniti e l'importanza di migliorare la sicurezza di tutti coloro che lavorano per le missioni umanitarie e di pace nel Paese, compresi gli operatori umanitari i medici e i giornalisti;

3) ad assumere iniziative affinché tutte le parti coinvolte garantiscano che gli ospedali e il personale medico siano tutelati come previsto dal diritto umanitario internazionale, tenendo conto che un attacco deliberato contro i civili e le infrastrutture civili costituisce un crimine di guerra;

4) a chiedere nelle competenti sedi dell'Unione europea di promuovere con efficacia il rispetto del diritto umanitario internazionale, come stabilito nei pertinenti orientamenti dell'Unione europea, tenendo conto in particolare della necessità che l'Italia e l'Unione europea mettano in evidenza, nel proprio dialogo politico con l'Arabia Saudita, l'esigenza di rispettare il diritto umanitario internazionale e che, qualora tale dialogo risulti infruttuoso, occorre definire ulteriori misure in conformità degli orientamenti dell'Unione europea volti a promuovere l'osservanza del diritto umanitario internazionale;

5) ad assumere iniziative per bloccare l'esportazione di armi e articoli correlati prodotti in Italia o che transitino per l'Italia, destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita nello Yemen, come prevedono recenti risoluzioni del Parlamento europeo, la normativa nazionale (legge n. 185 del 1990) e il Trattato internazionale sul commercio di armamenti;

6) ad avviare un'iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;

7) ad assumere iniziative affinché l'Arabia Saudita e l'Iran, Paesi che rappresentano la chiave di volta per risolvere la crisi, operino in modo pragmatico e in buona fede per porre fine ai combattimenti nello Yemen.
(1-01662)
«Marcon, Duranti, Marazziti, Sberna, Mattiello, Airaudo, Bossa, Brignone, Civati, Carlo Galli, Costantino, Lacquaniti, Daniele Farina, Fassina, Fossati, Martelli, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Melilla, Gregori, Andrea Maestri, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Piras, Pastorino, Pellegrino, Ricciatti, Placido, Zaccagnini».
(12 luglio 2017)

   La Camera,
   premesso che:
    già con la risoluzione n. 7-00677 dell'8 maggio 2015 – non discussa – il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle della Camera dei deputati poneva il problema della gravissima situazione nello Yemen e del «contributo» italiano a quel conflitto tramite l'invio di bombe prodotte da stabilimenti ubicati sul territorio nazionale; peraltro, su questo argomento, o a esso afferente, sono stati anche depositati svariati atti sia di sindacato ispettivo che di indirizzo (tra gli altri: 5-09723; 3-02546; 3-01874; 7-00677; 7-01043; 4-11199; 3-02584; 5-08939);
    il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato più risoluzioni sullo Yemen, in particolare le risoluzioni 2216 (2015), 2201 (2015) e 2140 (2014), ma nessuna di queste ha contribuito all'abbassamento della violenza e a una soluzione equa e negoziata del conflitto;
    il processo di transizione sostenuto a livello internazionale nello Yemen ha iniziato a mostrare tutta la sua fragilità a partire dal settembre 2014 quando gli houthi, guidati da Abdul-Malik al-Houthi, sono entrati nella capitale Sana'a, capitalizzando le proteste e la rabbia diffusa dopo l'annuncio del Governo di un forte aumento dei prezzi del carburante, accrescendo il loro sostegno anche in aree non sciite grazie all'aver fatto propri i temi che avevano animato le rivolte contro Saleh nel 2011 (lotta alla corruzione delle vecchie élite di regime e ad al-Qaeda) e costringendo il Primo ministro Salem Basindwa alle dimissioni. Il rafforzamento degli houthi nel nord del Paese e la rapida presa della capitale sono state possibili anche grazie all'allineamento tattico con tribù, comandanti militari e alcune unità d’élite della Guardia repubblicana rimaste fedeli all'ex Presidente Saleh e contro nemici comuni, come il partito islamista sunnita Islah, i salafiti e la potente famiglia tribale degli Al-Ahmar;
    l'intervento militare a guida saudita nello Yemen, richiesto dal Presidente yemenita Abd Rabbuh Mansur Hadi, compreso l'uso di bombe a grappolo bandite a livello internazionale, ha portato alla drammatica attuale situazione umanitaria. L’escalation del conflitto, con la partecipazione diretta di potenze regionali, costituisce una minaccia per la pace e la sicurezza a livello internazionale. La stessa attuale crisi tra il mondo sunnita e il Qatar – che pur faceva parte della coalizione anti houthi – è segnata da evidenti approcci diversi tra Doha e Riad su come risolvere il conflitto;
    i ribelli houthi hanno in passato posto sotto assedio la città di Ta'izz, la terza città dello Yemen, ostacolando la fornitura di aiuti umanitari; una situazione per cui secondo Stephen ÒBrien, Sottosegretario generale delle Nazioni Unite per gli affari umanitari e coordinatore degli aiuti d'emergenza, i circa 200.000 civili intrappolati nella città hanno un disperato bisogno di acqua potabile, cibo, cure mediche e altri tipi di assistenza di primo soccorso e protezione;
    dall'inizio del conflitto sono state uccise oltre 10.000 persone (delle quali circa 4.700 civili) e 40.000 sono rimaste ferite (oltre 8.000 civili); tra le vittime si contano centinaia di donne e bambini; l'impatto umanitario sulla popolazione civile degli attuali scontri tra le diverse milizie, dei bombardamenti e dell'interruzione della fornitura dei servizi essenziali ha raggiunto proporzioni intollerabili;
    2 milioni di persone sono attualmente sfollate internamente ai confini a causa dei combattimenti; 2 milioni di bambini non hanno la possibilità di andare a scuola; 18,8 milioni di persone, tra cui 9,6 milioni di bambini, necessitano di assistenza umanitaria, compresi cibo, acqua, rifugio, carburante e servizi sanitari. Oltre a questo, circa 1500 bambini sono stati reclutati come soldati;
    gli attacchi aerei della coalizione militare a guida saudita nello Yemen hanno più volte colpito bersagli civili, tra cui ospedali, scuole, mercati, magazzini cerealicoli, porti e un campo di sfollati, danneggiando gravemente infrastrutture essenziali per la fornitura degli aiuti e contribuendo alla grave carenza di generi alimentari e di carburante nel Paese;
    il 10 gennaio 2016 è stato bombardato nello Yemen settentrionale un ospedale gestito da Medici senza frontiere e ciò ha provocato la morte di almeno sei persone e il ferimento di una dozzina, tra cui membri del personale dello stessa organizzazione Medici senza frontiere, oltre a danneggiare gravemente le strutture mediche; questo è l'ultimo di una serie di attacchi ai danni di strutture mediche, nonché a numerosi monumenti storici e siti archeologici che sono stati distrutti o danneggiati irrimediabilmente;
    stando all'organizzazione Save the children, in almeno 18 dei 22 governatorati del Paese gli ospedali sono stati chiusi o gravemente danneggiati a causa dei combattimenti o della mancanza di carburante; in particolare, sono stati chiusi 153 centri sanitari che in precedenza fornivano nutrimento a oltre 450.000 bambini a rischio, insieme a 158 ambulatori che erogavano servizi di assistenza sanitaria di base a quasi mezzo milione di bambini al di sotto dei cinque anni;
    secondo l'Unicef, il conflitto nello Yemen ha avuto pesanti ricadute anche sull'accesso dei bambini all'istruzione, che ha smesso di funzionare per quasi 2 milioni di minori, con la chiusura di 3.584 scuole, ossia una su quattro; 860 di tali scuole sono danneggiate oppure sono utilizzate come rifugio per gli sfollati;
    la situazione nello Yemen comporta gravi rischi per la stabilità della regione, in particolare nel Corno d'Africa, nel Mar Rosso e nel resto del Medio Oriente; al-Qaeda nella penisola araba (Aqap) è riuscita a sfruttare il deterioramento della situazione politica e di sicurezza nello Yemen, espandendo la propria presenza e aumentando il numero e la portata dei propri attacchi terroristici; il cosiddetto Stato islamico Isis/Daesh ha consolidato la propria presenza nello Yemen e ha sferrato attacchi terroristici contro moschee sciite, uccidendo centinaia di persone;
    alcuni Stati membri dell'Unione europea hanno continuato ad autorizzare il trasferimento di armi e articoli correlati verso l'Arabia Saudita dopo l'inizio della guerra; tali trasferimenti violano la posizione comune 2008/944/PESC sul controllo delle esportazioni di armi, che esclude esplicitamente il rilascio di licenze relative ad armi da parte degli Stati membri, laddove vi sia il rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate per commettere gravi violazioni del diritto umanitario internazionale e per compromettere la pace, la sicurezza e la stabilità regionali;
    il 27 gennaio 2017 è stato trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite il «Rapporto finale del gruppo di esperti sullo Yemen» che evidenzia che «I bombardamenti aerei condotti dalla coalizione guidata dall'Arabia Saudita hanno devastato le infrastrutture civili in Yemen, ma non sono riuscite a scalfire la volontà politica dell'alleanza houthi-Saleh di continuare il conflitto». E soprattutto riporta che «Il conflitto ha visto diffuse violazioni del diritto umanitario internazionale da tutte le parti in conflitto. Il gruppo di esperti ha condotto indagini dettagliate su questi fatti ed ha motivi sufficienti per affermare che la coalizione guidata dall'Arabia Saudita non ha rispettato il diritto umanitario internazionale in almeno 10 attacchi aerei diretti su abitazioni, mercati, fabbriche e su un ospedale»;
    nel medesimo rapporto trasmesso al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si dimostra il ritrovamento, a seguito di due bombardamenti a Sana'a nel settembre 2016, di più di cinque «bombe inerti» sganciate dall'aviazione saudita contrassegnate dalla sigla «Commercial and Government entity (Cage) code A4447». Quest'ultima è riconducibile all'azienda Rwm Italia s.p.a., costola del gruppo tedesco Rheinmetall defence, colosso tedesco degli armamenti, con sede legale in via Industriale 8/D a Ghedi, in provincia di Brescia (mentre nella località di Domusnovas dal 2010 si trova la sede operativa dello stabilimento della Rwm Italia, fabbrica di bombe);
    secondo gli esperti delle Nazioni Unite «l'utilizzo di queste armi rivela una tattica precisa, volta a limitare i danni in aree in cui risulterebbero inaccettabili». Gli esperti spiegano inoltre che «una bomba inerte del tipo Mk 82 ha un impatto pari a quello di 56 veicoli da una tonnellata lanciati a una velocità di circa 160 chilometri all'ora» (si confrontino le pagine 171-172 del rapporto);
    secondo recenti notizie di stampa (riportate in particolare dall'agenzia Ansa e dal quotidiano Avvenire) e grazie alle informazioni trasmesse dall'organizzazione non governativa yemenita Mwatana è stato recuperato in Yemen un frammento di ordigno con sigla «A4447», che indica la provenienza dalla Rwm Italia. Il numero di matricola, trasmesso all'ufficio Ansa di Beirut, è stato rinvenuto a Der al Hajari, nella regione nord-occidentale di Hodeida, teatro di un attacco aereo condotto alle 3 di notte dell'8 ottobre 2016: almeno sei civili uccisi, tra cui 4 bambini;
    negli scorsi mesi sono stati esportati materiali di armamento per 257.215.484 euro (tra cui, in particolare, bombe Rwm MK82) verso l'Arabia Saudita, a capo della coalizione composta da EAU, Oman, Bahrain, Egitto, Qatar, Marocco, Kuwait. Come si evince nella relazione al Parlamento ai sensi dell'articolo 5 della legge 9 luglio 1990, n. 185, nel solo 2016 l'Italia ha venduto armi all'Arabia Saudita per un valore di 427,5 milioni di euro, con un incremento del 66 per cento rispetto al 2015. All'Arabia Saudita sono stati venduti aeromobili, bombe, siluri, razzi, missili ed accessori, apparecchiature per la direzione del tiro, esplosivi e combustibili militari, apparecchiature elettroniche, apparecchiature specializzate per l'addestramento militare o per la simulazione di scenari militari, tecnologia per lo sviluppo, produzione o utilizzazione delle armi. Nello stesso 2016 ai Paesi del Medio Oriente l'Italia ha venduto armi per un valore di 8,5 miliardi di euro, pari a oltre il 50 per cento delle esportazioni italiane totali;
    secondo l'ultima relazione al Parlamento ex legge n. 185 del 1990 per l'anno 2016, depositata in Parlamento il 26 aprile 2017, si legge che Rwm Italia è salita al terzo posto per giro d'affari nel settore difesa in Italia. Dal 1o gennaio al 31 dicembre 2016 Rwm ha ottenuto 45 nuove autorizzazioni per l'esportazione di armamenti dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale italiano, per un totale di 489,5 milioni di euro: 460 milioni di euro in più rispetto al 2015, quando la società aveva ricevuto nuove autorizzazioni per 28 milioni di euro. La relazione del Governo italiano mette in evidenza in particolare una commessa di Rwm, per un totale di 411 milioni di euro, che riguarda l'esportazione di 19.675 bombe in totale (Mk 82, Mk 83 ed Mk 84). Non è però indicato il committente. Non sappiamo quindi verso quale Paese siano state esportate le bombe. Nella relazione finanziaria di Rheinmetall per l'anno 2016 si legge che c’è stato un ordine «molto significativo» di «munizioni» per 411 milioni di euro da parte di un «cliente della regione Mena (Medio-Oriente e Nord Africa)». Di queste 19.675 bombe autorizzate nel 2016 (e di quelle relative a altre licenze precedenti) ne sono già state effettivamente esportate solo nel 2016 circa 2.150, per un controvalore di 32 milioni di euro;
    la risoluzione del Parlamento Europeo del 25 febbraio 2016 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2016/2515(RSP) contiene in particolare l'invito «al VP/AR ad avviare un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen e del fatto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe pertanto la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008»;
    la risoluzione del Parlamento europeo del 15 giugno 2017 sulla situazione umanitaria nello Yemen (2017/2727(RSP)) richiama la precedente del 25 febbraio 2016 in merito alla proposta di embargo sulle armi e invita ad una soluzione negoziale del conflitto, riaffermando «la necessità che tutti gli Stati membri dell'Unione europea applichino rigorosamente le disposizioni sancite nella posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio sull'esportazione di armi»;
    il sito «Viaggiare sicuri» del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, a proposito dello Yemen, affermava fino a alcuni mesi fa che «le condizioni umanitarie stanno divenendo insostenibili per larga parte della popolazione civile, come indicato nei report delle Nazioni Unite, che hanno documentato anche arresti arbitrari e violazioni del diritto umanitario da ambe le parti coinvolte nello scontro armato»,

impegna il Governo:

1) a chiedere alle forze belligeranti l'immediato cessate il fuoco e l'interruzione di ogni iniziativa militare nello Yemen;

2) ad assumere iniziative per impedire, con tutti gli strumenti disponibili, il transito di armi e materiale bellico verso lo Yemen in porti, aeroporti, stazioni ferroviarie, acque territoriali e spazio aereo italiani, da qualsiasi parte essi provengano;

3) a rendere disponibili i dati relativi a quante e quali armi usate in questo momento dall'Arabia Saudita nei suoi feroci bombardamenti sullo Yemen (Paese sovrano) siano di provenienza italiana;

4) ad adoperarsi, di concerto con la comunità internazionale, per:
   a) la convocazione di una conferenza internazionale di pace, per giungere a una soluzione politica inclusiva nello Yemen, affinché si possa riprendere al più presto la via della democratizzazione e prevenire un'ulteriore diffusione del terrorismo;
   b) l'avvio di un'iniziativa umanitaria sotto la guida delle Nazioni Unite tesa a portare soccorso e sostegno alla popolazione civile;
   c) l'avvio di un'inchiesta internazionale sui crimini di guerra contro le infrastrutture civili e sulle responsabilità degli attacchi agli ospedali e al personale medico e di soccorso;

5) ad assumere iniziative per dare seguito alle richiamate risoluzioni del Parlamento europeo bloccando l'esportazione di armi e articoli correlati prodotti in Italia o che transitino per l'Italia, destinati all'Arabia Saudita e a tutti i Paesi coinvolti nel conflitto armato in Yemen, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte dell'Arabia Saudita nello Yemen in conformità alle recenti risoluzioni del Parlamento europeo, alla normativa nazionale (legge n. 185 del 1990) e al Trattato internazionale sul commercio di armamenti;

6) ad assumere questa posizione anche in assenza di una formale dichiarazione di embargo sulle armi da parte delle organizzazioni internazionali;

7) ad avviare un'iniziativa finalizzata alla previsione da parte dell'Unione europea di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto che il continuo rilascio di licenze di vendita di armi all'Arabia Saudita violerebbe la posizione comune 2008/944/PESC del Consiglio dell'8 dicembre 2008;

8) ad assumere le iniziative per favorire e supportare la riconversione in produzioni civili delle attività delle aziende attualmente interessate alla produzione di armi destinate al conflitto con lo Yemen o comunque a Paesi in guerra, anche attraverso l'istituzione di un fondo ad hoc e il rifinanziamento degli incentivi per la ristrutturazione e la riconversione dell'industria bellica e la riconversione produttiva nel campo civile e duale, destinati alle imprese che operano nel settore della produzione di materiali di armamento ai sensi dell'articolo 6, commi 7, 8, 8-bis e 9, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 149, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993 n. 237.
(1-01663)
«Corda, Frusone, Scagliusi, Basilio, Manlio Di Stefano, Del Grosso, Rizzo, Grande, Paolo Bernini, Di Battista, Tofalo, Spadoni».
(13 luglio 2017)