XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 2 maggio 2017

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 4220 GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLA DISCIPLINA SANZIONATORIA IN MATERIA DI REATI CONTRO IL PATRIMONIO CULTURALE

Audizione della professoressa Paola Severino, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma.
Ferranti Donatella , Presidente ... 2 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 2 
Ferranti Donatella , Presidente ... 10 
Amoddio Sofia (PD)  ... 10 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 10 
Amoddio Sofia (PD)  ... 10 
Berretta Giuseppe (PD)  ... 10 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 10 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 11 
Vazio Franco (PD)  ... 11 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Severino Paola , Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 

(La seduta termina alle 14.30) ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Articolo 1 - Movimento Democratico e Progressista: MDP;
Alternativa Popolare-Centristi per l'Europa-NCD: AP-CpE-NCD;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà-Possibile: SI-SEL-POS;
Scelta Civica-ALA per la Costituente Liberale e Popolare-MAIE: SC-ALA CLP-MAIE;
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-UDC: Misto-UDC;
Misto-Alternativa Libera-Tutti Insieme per l'Italia: Misto-AL-TIpI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 2

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE
DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 13.35.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione della professoressa Paola Severino, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 4220 Governo, recante la delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale, della professoressa Paola Severino, rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma.
  Ringrazio la professoressa Severino per aver accettato la nostra richiesta di audizione, proposta dal relatore Berretta e condivisa dall'Ufficio di presidenza, sul testo del disegno di legge riguardante la delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale.
  È un tema molto delicato e anche sentito. Nel frattempo, dati i tempi della legislatura, si sta anche lavorando su una possibile trasformazione della delega in articolato. Su questo diventa ancora più incisivo il contenuto delle audizioni.
  Iniziamo oggi con la prima audizione e completeremo giovedì con il professore Stefano Manacorda e Fabrizio Parrulli, generale di brigata dell'Arma dei carabinieri. Per la Cassazione, invece, non faremo audizioni. Abbiamo chiesto, e il presidente Canzio le ha già trasmesse, le osservazioni scritte sul disegno di legge, che poi saranno messe a disposizione.
  Do la parola alla professoressa Severino per lo svolgimento della sua relazione.

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Grazie, presidente. Ringrazio la Commissione per avermi invitata a parlare di un tema che considero estremamente importante. Io credo che la tutela del nostro patrimonio artistico, culturale e storico sia di primaria rilevanza. Pertanto, il fatto che l'importanza di questo bene venga sottolineata da una legislazione ad hoc, che sia destinata cioè a tutelare questo bene meritevolissimo di tutela penale, mi sembra un'iniziativa estremamente apprezzabile.
  Mi sembra apprezzabile in maniera particolare soprattutto considerando il carattere transnazionale che adesso sta assumendo questa tutela; non solo per la coincidenza di iniziative europee – tutti sapete che vi è un'iniziativa europea sollecitata fortemente dall'Italia su questo settore – ma anche perché la protezione del patrimonio artistico e culturale, cioè dei beni artistici e soprattutto archeologici, rappresenta una tutela importante anche come forma di prevenzione del finanziamento al terrorismo.
  Tutti noi sappiamo, o per aver visto direttamente o per aver saputo, che nelle vetrine di alcuni importanti antiquari di Paesi europei possono trovarsi beni la cui origine è certamente siriana o comunque di Paesi intorno a quella linea di guerra e che la predazione di questi beni rappresenta Pag. 3una delle forme di finanziamento del terrorismo.
  Dunque, ben venga la trattazione di questo argomento specifico sia sotto il profilo della sua omogeneità e della sua vicinanza anche cronologica agli sforzi che il Consiglio d'Europa sta facendo per arrivare a una legislazione di settore omogenea e armonizzata tra i Paesi sia perché si determinano interferenze con un fenomeno transnazionale molto grave che è quello del finanziamento al terrorismo.
  Questa constatazione richiederebbe normative sempre più armonizzate tra di loro. Io credo che l'armonizzazione delle norme debba rappresentare una delle mete verso le quali i nostri Paesi, almeno quelli europei, devono rivolgere la loro attenzione. Infatti, solo attraverso l'armonizzazione delle norme si potrà condurre una battaglia comune contro i fenomeni transnazionali, tutti quei fenomeni che travalicano i confini nazionali per diffondersi in Europa.
  Certamente il traffico di questi beni è per definizione un traffico internazionale, dunque sarebbe auspicabile avere norme armonizzate tra i due gruppi di Paesi, se li possiamo così distinguere, che sono i Paesi importatori e i Paesi esportatori di beni artistici e culturali, e cercare di mettere insieme due tendenze che sono ovviamente contrapposte.
  I Paesi massimamente importatori di beni artistici e culturali tendono ad avere una difesa molto bassa soprattutto sul piano penale, mentre i Paesi esportatori come l'Italia, giustamente, reclamano una tutela di livello più alto.
  Oggi la ricerca di un punto di accordo è resa più agevole dal fenomeno transnazionale del finanziamento al terrorismo, perché, se vi è un interesse comune dell'Europa, su cui tutta l'Europa deve certamente lavorare, è la lotta al terrorismo attraverso le intercettazioni di finanziamenti, cioè attraverso quella forma di lotta preventiva alla criminalità transnazionale che noi per tradizione abbiamo configurato in tema di mafia attraverso le famose prescrizioni di Falcone: tagliare l'erba sotto i piedi, tagliare soprattutto le vie di finanziamento delle grandi organizzazioni criminali transnazionali. Si tratta di un interesse comune che potrebbe portare a legislazioni armonizzate.
  A me sembra che in questo disegno e anche nella bozza di articolato che ho, sia pure molto sommariamente, potuto vedere ci sia questa propensione al riferimento al dibattito europeo.
  D'altra parte, l'attenzione che c'è stata in Parlamento e nel Governo negli ultimi anni al tema della tutela del patrimonio si è avvertita anche con alcuni altri provvedimenti, per esempio con il decreto-legge n. 91 del 2013 di natura amministrativa per la tutela, la valorizzazione e il rilancio dei beni e delle attività culturali e del turismo, oppure con la legge finanziaria dello scorso anno, che ha segnato una netta inversione di tendenza rispetto al passato, destinando risorse economiche a un settore che spesso in altri casi era stato tralasciato e disponendo lo stanziamento di nuovi e consistenti fondi per il ministero.
  Devo dire che i primi risultati già si vedono. Si nota infatti sul piano internazionale l'apprezzamento che c'è stato per alcune forme di intervento del ministero sull'esposizione dei nostri beni attraverso mostre o attraverso sistemi museali che sono andati incontro a un forte rinnovamento.
  Ovviamente, a coronamento di questi interventi riformatori in chiave protezionistica, ritengo che un livello irrinunciabile di tutela sia quello del diritto penale. Oggi vi sono numerose norme che prendiamo in prestito per la tutela di questi beni. L'idea di una riforma della disciplina sanzionatoria in materia di reati contro il patrimonio culturale mi sembra assolutamente da condividere.
  L'iter legislativo che è qui in atto si inserisce in un filone più ampio che vede oltre i confini nazionali, come già accennavo, e precisamente in seno al Consiglio d'Europa lo studio e l'elaborazione di una draft convention, la cui iniziativa, come dicevo, è stata italiana, sulla tutela dei beni artistici e culturali, proprio con l'intento di assicurare uno standard uniforme di criminalizzazione delle condotte offensive del Pag. 4patrimonio culturale e che è di prossima adozione.
  A me sembra opportuno analizzare le disposizioni dell'articolato e del disegno richiamando di volta in volta le posizioni espresse nel corso dei lavori della Commissione e del Consiglio d'Europa, in modo da vedere quale allineamento o disallineamento ci possa essere.
  Lo farò partendo dalla definizione stessa di bene culturale, che viene espressa dall'articolo 1, comma 2, lettera a), del disegno di legge al vostro esame. Io ho apprezzato moltissimo lo sforzo di concretizzazione di questa definizione, perché vuole essere una definizione che con puntualità individua gli estremi sulla base dei quali un bene può essere definito come culturale. A me, peraltro, sotto un profilo garantista questo tipo di definizione piace, perché puntualizza quali sono gli estremi di una definizione difficile da delineare.
  Rilevo, però, che esiste una nozione più condivisa di bene culturale, che è quella della Convenzione UNESCO del 1970, che definisce il bene culturale come qualsiasi oggetto che sia, in campo religioso o secolare, classificato, definito o comunque specificamente indicato dagli Stati d'importanza archeologica, preistorica, cronologica, storica, letteraria o scientifica e che appartenga a una delle categorie indicate.
  È l'articolo 2 della draft convention che richiama l'articolo 1 della Convenzione UNESCO, facendo propria questa definizione.
  Ripeto che come penalista garantista mi piace di più una definizione specifica come quella che avete coniato, però rilevo che in sede europea si è trattato di prendere atto di una situazione inevitabile, cioè del fatto che alcuni Paesi importatori, come per esempio il Regno Unito e la Svezia, non hanno istituito sistemi nazionali di designazione specifica dei beni di interesse culturale. Noi, quindi, possiamo permetterci il lusso di una definizione che fa riferimento alle qualificazioni ottenute in sede di archiviazione dei dati, ma altrettanto non accade negli altri Paesi.
  Ovviamente questo è un profilo imprescindibile per l'Europa, ma mi sono chiesta se non sia un profilo di cui è opportuno che teniamo conto anche noi, per prevenire le sicure questioni transnazionali che vi saranno sull'applicazione della legge.
  Visto che stiamo parlando di un fenomeno che spesso attraversa i confini, l'idea di partire da una definizione condivisa è da tenere in considerazione; si tratta di una definizione che fin dal 1970 è fornita dalla Convenzione UNESCO: non essendo stata oggetto di questioni interpretative degne di nota, ci aiuterebbe a prevenire questioni internazionali quando dovessimo reclamare l'esistenza di un reato da parte di un Paese importatore. Una definizione che sia comune anche agli altri certamente faciliterebbe la preventiva soluzione di problemi che possano scaturire dall'applicazione della legge italiana.
  Magari poi in sede di applicazione, rispetto alla norma di carattere più generale, l'indicazione che potrebbe dare lo Stato, avuto riguardo a quella richiamata proprio nella Convenzione UNESCO, potrebbe essere più specifica, però come norma generale la definizione della Convenzione UNESCO potrebbe stigmatizzare molte delle condotte in grado di danneggiare questo bene giuridico e potrebbe avere una portata anche europea.
  Peraltro, il ricorso a elementi normativi di fattispecie, che potrebbero poi essere specificati in altra sede secondaria, consentirebbe di coniugare l'esigenza internazionale con quella nostra, di una cultura molto più volta alle garanzie, attraverso una tipicizzazione delle fattispecie più accentuata.
  Tra le condotte che gli Stati dovranno incriminare la convenzione – parto sempre dal piano europeo per arrivare a noi – si occupa innanzitutto del furto e delle altre forme di appropriazione indebita per le quali suggerisce la creazione di norme ad hoc.
  Devo dire che l'articolo 1, comma 3, lettera b), del disegno sembra aver preconizzato l'introduzione di una fattispecie autonoma di reato sulla scia di quanto fatto, ad esempio, in relazione all'articolo 624-bis.
  Nel corso delle riunioni che c'erano state in Commissione la delegazione italiana aveva Pag. 5avanzato una proposta di modifica della disposizione, rappresentando l'opportunità di costruire l'incriminazione «furto e appropriazione indebita di beni culturali» come una forma aggravata del reato base.
  Quale era stata l'obiezione in sede europea? Esistono alcuni Paesi per i quali non è possibile configurare un aggravamento di pena semplicemente sulla base della natura del bene tutelato, in questo caso del bene culturale o di un bene di altro valore. La proposta italiana, per questo motivo, non ha trovato accoglimento.
  Riterrei che la particolare conformazione della lettera b) del terzo comma sia in linea con l'evoluzione del dibattito in sede internazionale, cioè con la creazione di vere e proprie fattispecie di reato autonome da inserire all'interno del codice penale.
  D'altra parte, anche l'aspetto più giuridico di teoria generale sarebbe rispettato. Infatti, io credo che i reati si costruiscano sulla base dell'esistenza di un oggetto giuridico autonomo e diverso rispetto ad altri oggetti. Io credo che i beni culturali abbiano una loro oggettività giuridica diversa dagli altri beni che sono tutelati nei delitti contro il patrimonio. Per esempio, non sono ricostruibili e non sono rimpiazzabili. Il furto di denaro è una cosa, il furto di un pezzo artistico unico e irriproducibile è un'altra. L'oggettività giuridica consente una tutela specifica. Pertanto, io suggerirei che a ciascuna delle figure che vengono prese in considerazione si dia un'autonoma configurazione come reato piuttosto che come aggravante dei reati comuni contro il patrimonio.
  D'altra parte, direi che questo è in linea con l'intitolazione che avete ritenuto di dare a questa normativa e al suo inserimento all'interno del codice penale. Si inseriscono norme all'interno del codice penale proprio perché si riconosce un'oggettività giuridica specifica.
  Mentre per il furto non ci sono problemi, perché viene costruita una fattispecie ad hoc di furto di questi beni, tra le modifiche previste dall'articolato di delega rilevo che manca un riferimento alle altre condotte di appropriazione indebita di beni culturali, ossia non c'è una specifica norma che colpisca l'appropriazione indebita di beni culturali.
  È vero che l'appropriazione indebita di beni culturali verrebbe comunque punita più gravemente dell'appropriazione indebita comune quando ricorrano le circostanze di cui alla lettera o) della delega, che prevedono una serie di casi di aggravanti in cui sarebbe sicuramente inclusa anche l'appropriazione indebita di beni culturali.
  Tuttavia, a mio avviso, piuttosto che affidare la tutela più intensa rispetto all'appropriazione indebita a una circostanza a così ampio spettro come quella della lettera o), che mi sembrerebbe un po’ residuale, sarebbe forse preferibile costruire una fattispecie autonoma di appropriazione indebita di beni culturali.
  La lettera a) del comma 3 dell'articolo 1, detta i criteri per la riforma dell'ipotesi di danneggiamento dei beni culturali. Anche questa è una novità assoluta nel nostro patrimonio giuridico, perché i reati di danneggiamento nel nostro ordinamento sono sempre e soltanto delle ipotesi dolose, mentre qui si vuole costruire, a mio avviso correttamente, una fattispecie di danneggiamento anche colposa dei beni culturali.
  Episodi di incuria o peggio che si sono verificati rispetto al nostro patrimonio culturale aggredito da turisti, vagabondi o persone che volevano semplicemente mostrarsi come degli esibizionisti, secondo me, richiedono una replica anche normativa. Anche il danneggiamento colposo di un bene così importante come un bene artistico, storico e culturale richiede un ampliamento delle forme di tutela anche a quella colposa.
  Non si può essere negligenti, non si può essere trascurati di fronte a un bene di così palese importanza artistica com'è il nostro elefantino di piazza della Minerva o com'è la fontana di Piazza Navona. Infatti, è evidente a tutti, anche a un bambino, che si tratta di un patrimonio di immenso valore che richiede un livello di attenzione anche da parte del cittadino e che può richiedere una sanzione penale.
  L'unica notazione critica rispetto alla fattispecie di danneggiamento potrebbe riguardare Pag. 6 il trattamento sanzionatorio. Qui si propone la riduzione non inferiore alla metà se il fatto è commesso con colpa. Penso che sarebbe preferibile strutturare il criterio direttivo fissando un limite edittale più preciso, per esempio prevedere una pena non superiore a due anni se le condotte di danneggiamento sono commesse con colpa. Ho detto due anni solo per fare un esempio di come la norma potrebbe essere strutturata dando un carattere di autonomia alla fattispecie del danneggiamento colposo, proprio per sottolinearne la peculiarità.
  Ripeto che è la prima volta che nel nostro codice viene introdotta una fattispecie di danneggiamento colposo. Secondo me questo reato meriterebbe una pena autonoma, anche perché – è inutile che ve lo dico, voi siete parlamentari – il discorso della misura della pena è un discorso delicatissimo, perché segna l'importanza del bene giuridico tutelato e del modo con cui il legislatore, cioè voi, l'ha voluto tutelare. La distribuzione delle sanzioni in modo non meditato non funziona mai bene, perché poi crea delle discrasie anche sotto il profilo della percezione del disvalore sotteso alla norma.
  Pertanto, una misura della pena che sia autonoma e che non preveda delle forbici troppo ampie, come accadrebbe nell'ipotesi della riduzione non inferiore alla metà se il fatto è commesso con colpa, mi sembra che darebbe maggiore pregnanza all'intervento normativo.
  Sono perfettamente d'accordo poi sull'inserimento dell'ipotesi di cui alla lettera c), cioè il saccheggio in tempo di pace.
  Lo scorso gennaio peraltro la delegazione del nostro Paese ha presentato una proposta di riforma del testo europeo finalizzata a inserire, in parallelismo con la Convenzione dell'Aja del 1954 sulla protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato, l'ipotesi di saccheggio in tempo di pace tra le condotte contemplate dalla norma. Di conseguenza, mi sembra che sia in linea con i comportamenti che l'Italia ha tenuto anche sul versante europeo.
  Seguono le previsioni sull'alienazione e importazione di beni culturali, che mi sembrano totalmente in linea con gli articoli 5 e 6 della bozza di convenzione, che impongono l'adozione di sanzioni penali per arginare i fenomeni di importazione ed esportazione di beni mobili di interesse culturale.
  È stata un'enorme fatica per la Commissione europea far accettare queste norme. Mi sembra che la sponda italiana debba fare da sostegno e da muro di appoggio a queste importanti iniziative.
  Ritengo, invece, problematico il principio dettato dalla lettera e) finalizzato all'introduzione del delitto di illecita detenzione di beni culturali. Si tratta di un principio che, così com'è scritto, rischia di dar vita a una fattispecie criminosa che si espone a rilievi sotto il profilo del principio di precisione, ma che soprattutto rischia di determinare un eccessivo arretramento della soglia di rilevanza penale.
  Inoltre, potrebbe porre problematiche notevoli rispetto all'applicazione dell'articolo 2 del codice penale, perché dovrebbe essere l'imputato a giustificare il possesso del bene e comunque a provare di aver acquistato la disponibilità in data precedente l'entrata in vigore della legge delegata.
  Dico questo perché si è formata già una giurisprudenza su punti analoghi di fattispecie nelle quali si è ribaltato l'onere probatorio sul detentore o sul possessore del bene, il quale deve dimostrare la liceità del possesso.
  Teniamo presente che si può trattare di beni tra l'altro presenti in casa o nei luoghi in cui vengono esposti da molto tempo e, dunque, ricostruirne l'origine può risultare difficile, Sappiamo tutti poi a quali fattispecie ci riferiamo: al piccolo pezzo artistico ereditato dai nonni del quale si farebbe certamente fatica a ricostruirne l'origine lecita.
  Dunque, secondo me, la limitazione alla fattispecie di ricettazione potrebbe essere sufficiente e sufficientemente forte.
  Riprenderò il tema quando analizzerò la singola norma, perché qui sto parlando in linea generale.
  Merita poi particolare plauso la scelta di introdurre il reato di attività organizzata Pag. 7finalizzata al traffico di beni culturali. Il trattamento sanzionatorio forse potrebbe però essere inasprito portando fino a otto anni il limite edittale massimo per la pena detentiva, così parificando la pena a quanto previsto per le ipotesi di ricettazione. A me sembra che queste ipotesi siano tanto gravi quanto le altre.
  Esigenze di coerenza con lo spirito della riforma potrebbero condurre ad aggravare la pena nel caso di commissione del delitto in forma associativa, attraverso la previsione di una circostanza aggravante nel corpo degli ultimi due commi dell'articolo 416 del codice penale.
  Credo che l'apice della gravità si tocchi quando queste tipologie di traffico assumono una forma associativa.
  Altrettanto lodevole – la collego proprio alla forma associativa – è la previsione che per il delitto in questione siano chiamate a rispondere anche le persone giuridiche. Tuttavia, mi permetto di segnalare che a questa previsione dovrebbe far seguito l'espressa menzione della necessità di prevedere misure interdittive nel caso in cui il sodalizio criminoso costituisca l'attività prevalente dell'ente.
  Questo aspetto adesso emerge dall'articolato predisposto e comunque si può ritenere coperto dalla delega nella misura in cui si richiamano in generale le sanzioni interdittive previste nella sezione seconda del capo primo del decreto legislativo n. 231 del 2001, quindi credo si sia fatto benissimo a richiamarla. Non è fuori delega, perché nella delega c'è comunque il richiamo a tutte le ipotesi sanzionatorie che sono già nel decreto legislativo n. 231 del 2001.
  A me sembra che una fattispecie di traffico così configurata, in forma associativa, gestita da una persona giuridica, meriti, una volta che sia stata accertata, il massimo della sanzione che si può irrogare a una persona giuridica.
  Forse, però, la limitazione dell'applicabilità alle persone giuridiche della responsabilità connessa alla commissione di un reato potrebbe anche essere allargata ad altre ipotesi di reato configurate da questa delega. Sì, perché, anche alla luce del fiorente dibattito in seno al Consiglio d'Europa ed esaminando la bozza di convenzione, vediamo che la previsione di responsabilità nella draft convention comporta l'assicurazione che tutte le ipotesi di reato previste siano assunte a presupposto della responsabilità delle persone giuridiche.
  Vi dico anche che tutto questo va collocato nel quadro europeo, in cui l'Italia ha la più severa legislazione in materia di responsabilità della persona giuridica, tant'è che la draft convention prevede che «subject to the legal principles of the party, the liability of legal persons may be criminal, civil or administrative», perché negli altri Paesi la responsabilità delle persone giuridiche si limita spesso al piano civile o amministrativo.
  Noi, con il decreto legislativo n. 231 del 2001 abbiamo configurato una forma di responsabilità che io assimilo senza mezzi termini a quella penale. Dunque, comprendo la prudenza del legislatore italiano nell'estendere i reati alle forme di responsabilità della persona giuridica, però forse per i più gravi di questi reati un'estensione di responsabilità, considerando che questo rappresenta comunque un salto di qualità nella repressione delle prassi illecite, attraverso l'introduzione di un profilo preventivo, mi sembra molto importante.
  Voi sapete benissimo che le società di import-export e le case d'asta svolgono delle attività commerciali che sono a rischio da questo punto di vista e, dunque, renderle responsabili di una politica di prevenzione dei reati è importante. Sicuramente lo fanno già le case d'asta più serie e le società di trasporti più serie, ma estendere a tutti coloro che operano in territorio italiano la necessità di creare un modello organizzativo idoneo a prevenire questo tipo di reati e, quindi, renderle compartecipi di attività di prevenzione molto importanti rispetto al traffico di beni culturali, secondo me, rappresenterebbe un salto di qualità sia nella legislazione che nella tenuta di carattere preventivo delle norme.
  Io credo sempre che l'aspetto preventivo si colleghi molto bene all'aspetto repressivo e che debbano rappresentare due versanti di una stessa medaglia. Questo mi induce a Pag. 8dire che forse un ripensamento su una maggiore estensione delle fattispecie potrebbe essere opportuno.
  Abbiamo poi le ipotesi aggravate con un aumento della pena fino alla metà, anche con riferimento ai delitti di ricettazione di cui alla lettera d) e di riciclaggio qualora il comportamento delittuoso abbia per oggetto un bene culturale. Sono sicuramente finalizzate a incrementare l'efficacia dissuasiva nei confronti di condotte che destano un particolare allarme sociale.
  Certamente il più severo trattamento sanzionatorio per i delitti di cui agli articoli 648 e 648-bis consentirà di contrastare più efficacemente il fenomeno. Su questo farò un'osservazione quando esaminerò le singole norme.
  La volontà del legislatore di apprestare una tutela anticipata dei beni culturali emerge infine dalla previsione del reato di possesso ingiustificato di strumenti per il sondaggio del terreno o di apparecchiature per la rilevazione dei metalli, qualora il soggetto possessore si trovi in aree o zone di interesse archeologico, in parchi archeologici o in aree interessate da lavori in corso per la verifica preventiva dell'interesse archeologico.
  Mi pare che qui sia stato fatto un notevole sforzo, apprezzabile, per individuare la soglia di rilevanza penale di condotte inequivocabilmente connesse e preordinate alla commissione del fatto. Un reato di pericolo così generico sarebbe stato in contrasto con i princìpi costituzionali. Una norma parametrata, invece, a specifiche situazioni che possono essere preordinate alla commissione del fatto mi sembra molto più robusta e anche idonea a superare eventuali critiche sotto il profilo costituzionale.
  Su questo punto io suggerirei anche di rivedere tutta la giurisprudenza costituzionale in materia di possesso ingiustificato di chiavi, grimaldelli o altri arnesi da scasso, perché è una norma che è stata sottoposta al vaglio della Corte costituzionale e dalla quale possono derivare dei princìpi di costruzione della norma estremamente utili.
  Comunque, mi sembra che il Parlamento abbia colto nel segno nel cercare di individuare dei parametri di pericolosità concreta e non solo astratta.
  Mi pare che il criterio direttivo di una condotta che sarà punita solo se commessa nell'ambito di aree la cui rilevanza archeologica è riconoscibile per caratteristiche obiettive e/o per l'esistenza di atti di individuazione sia fondamentale per dare un parametro di concretezza al pericolo.
  Infine, mi sembra che siano degne di apprezzamento la previsione di misure premiali – mi riservo di dire qualcosa nello specifico sulla formula usata – per i collaboratori di giustizia nonché di norme per il rafforzamento dei poteri investigativi, oltre alle misure amministrative di prevenzione della commissione di reati in materia di beni culturali, tra cui la confisca speciale.
  Sono delle iniziative già sperimentate a proposito di altri gruppi di beni giuridici ritenuti di particolare rilevanza e, dunque, anche in questo caso queste previsioni sono certamente da apprezzare.
  Procedo a un rapidissimo esame della bozza di articolato. Mi pare sicuramente apprezzabile la scelta di edificare un apposito titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale, che si colloca in una linea di continuità con l'opzione compiuta in materia ambientale e segna un certo ritorno di centralità del codice.
  Sia l'importanza del bene sia la similitudine con altri beni per i quali è stata fatta analoga scelta mi sembra che giustifichino un titolo dedicato ai delitti contro il patrimonio culturale.
  Invece, come dicevo, mi lascia qualche perplessità residua la previsione di un aumento di pena rispetto ai fatti di ricettazione e riciclaggio allorché abbiano a oggetto beni culturali, essendo tali previsioni già assistite da pene di notevole spessore, ma non solo.
  A ogni modo, andrebbe comunque rivista la formulazione adoperata, compiendosi così una scelta chiara tra previsione di una figura autonoma, come sembrerebbe desumersi dalla rubrica della norma, e circostanza aggravante, soluzione che parrebbe supportata dalla costruzione per relationemPag. 9 del tipo criminoso e dalle modalità di determinazione della pena.
  Nella giurisprudenza è fuor di dubbio che, se io richiamo interamente la norma e dico che, se il fatto descritto da quella norma è commesso su questo oggetto, la pena è aggravata, questa è una circostanza aggravante e non è un reato autonomo.
  Sia, come dicevo, per l'importanza del bene tutelato sia per gli aspetti che richiamavo prima riguardo la configurabilità per alcuni ordinamenti di fattispecie aggravate in ragione del bene giuridico tutelato, si potrebbe creare qualche problema applicativo soprattutto a livello europeo.
  Allora forse la scelta di orientarsi direttamente verso tutte figure autonome, come è stato fatto per il furto, in cui la descrizione del reato è stata compiutamente svolta e si è data una specifica pena, piuttosto che richiamare la fattispecie principale e dire «è aggravata» potrebbe condurre a una lettura internazionale e a un confronto più semplici. Questo vale per tutte le ipotesi nelle quali la norma è strutturata con questo tipo di tecnica.
  Sul fronte del delitto di detenzione illecita di beni culturali, ho già detto qual è il mio dubbio e ho suggerito di far ricadere tutto nella ricettazione.
  A ogni modo, non mi convince tanto la previsione di un massimo edittale uguale a quello della ricettazione. Si potrebbe rientrare nella ricettazione e questo sottolineerebbe degli elementi di dolo necessario, ma la delega sul punto, all'articolo 1, lettera e, laddove parla di punizione con la pena della reclusione non superiore nel massimo a otto anni, mi sembra consentire una diversa modulazione.
  Risulterebbe comunque eccessiva la forbice edittale, atteso che la previsione della reclusione fino a otto anni fa sì che a trovare applicazione sia quale cornice di partenza il minimo edittale di quindici giorni ex articolo 23 del codice penale. Partire da quindici giorni per arrivare a otto anni mi sembra che dia una forbice dimostrativa del fatto che in questa fattispecie possono venir sussunti comportamenti estremamente eterogenei tra di loro.
  Pertanto, o si ricostruisce la descrittività di questa fattispecie, evitando il ribaltamento dell'onere della prova, o la si inserisce direttamente nella fattispecie di ricettazione. Questa perlomeno è la mia impressione rispetto a una variabilità del disvalore che potrebbe essere critica.
  Naturalmente le stesse considerazioni farei anche per la formulazione di cui all'articolo 649-octies sotto il profilo del dato circostanziale o autonomo e della configurazione della pena, perché anche in questo caso è ambigua la scelta se si voglia costruire una figura autonoma di reato oppure una circostanza aggravante. Nella prima direzione depongono l'autonoma collocazione e la rubrica della norma, nella seconda il riferimento alla procedibilità d'ufficio, che non avrebbe significato qualora si trattasse di figure autonome di reato. Solo per l'aggravante ha un senso parlare di perseguibilità d'ufficio, altrimenti la si dà per scontata salva l'eccezionale previsione della perseguibilità a querela.
  Nell'ipotesi in cui si optasse per la costruzione di una figura autonoma, sarebbe allora preferibile indicare espressamente le condotte incriminate all'interno della disposizione e non attraverso il richiamo degli articoli 635 e 639, come d'altra parte questo Parlamento ha fatto per il furto in abitazione.
  Sarebbe infine preferibile collocare in un'autonoma previsione l'ipotesi colposa, che la nostra tradizione penalista prevede sempre come qualcosa di diverso, che va espressamente ed autonomamente indicato come ipotesi da differenziare da quella dolosa.
  Le stesse considerazioni valgono per l'articolo 649-novies su devastazione e saccheggio di beni culturali quanto alla loro portata autonoma.
  Infine, quanto al ravvedimento operoso di cui all'articolo 649-quaterdecies sarebbe preferibile una scrittura della previsione maggiormente in linea con le formulazioni solitamente adoperate nel codice anche in occasioni recenti di riforma, per esempio in tema di corruzione con l'articolo 323-bis del codice penale o in materia di autoriciclaggio Pag. 10 con l'articolo 648-ter1 del codice penale.
  Dico questo perché si tratta di formule premiali già sottoposte a un vaglio giurisprudenziale. È sempre difficilissimo costruire delle formule premiali, perlomeno per noi che siamo abituati alle sanzioni più che ai premi, però la sponda di riferimento a un'ipotesi già costruita può essere più tranquillizzante.
  Ho comunque apprezzato molto anche nel ravvedimento operoso lo sforzo di parametrarlo a delle circostanze che sono specifiche di questa tipologia. Alludo più che altro al linguaggio tecnico usato, che potrebbe ispirarsi ad altre forme di ravvedimento operoso già previste, già configurate e già serenamente accolte dalla giurisprudenza.
  Mi sembra che sia veramente tutto, ma esprimo ancora una volta il mio apprezzamento per l'opportunità di questa iniziativa per il momento in cui si colloca e per la rilevanza dei beni che vengono a essere oggetto della vostra attenzione.

  PRESIDENTE. Ringraziamo la professoressa Severino. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SOFIA AMODDIO. Ho una domanda che è anche un dubbio. Vista la novità giuridica dell'introduzione del delitto colposo nell'ambito della protezione dei beni culturali, mi domando se non sia un rischio estendere la punizione a titolo colposo, visto che spesso la distruzione dei beni culturali è dovuta oggi anche a una pseudo-incuria da parte di amministratori comunali, per esempio, o provinciali. Non è certamente un'incuria a titolo di dolo, ma è a titolo di colpa, spesso non riconducibile ad atteggiamenti personali degli amministratori che devono gestire un patrimonio che in Italia è immenso.
  Penso a un bene non circondato da una rete metallica. Faccio delle ipotesi concrete. A Siracusa abbiamo avuto concretezza di questi eventi. Vanno a finire sotto processo penale gli amministratori, che, a mio avviso, a volte non hanno nemmeno quei profili di colpa.
  La mia domanda è: non rischiamo di estendere la punibilità anche a casi in cui la colpa è al confine?

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Sì, non posso darle torto. Perché è chiaro: noi siamo influenzati dal fatto di considerare il danneggiamento comunque come una condotta attiva, mentre quelle che lei evidenzia sono condotte omissive.
  Non so se da questo punto di vista non si possa descrivere meglio il comportamento di danneggiamento limitandolo a forme attive, perché la forma omissiva, che è quella che comporta l'obbligo giuridico di impedire l'evento, associata alla colpa certamente porterebbe alle conseguenze che lei correttamente sottolinea. Non so se si possa fare lo sforzo di costruire nella descrizione della condotta di danneggiamento un comportamento attivo. Questo salverebbe quelle situazioni che lei correttamente sta evidenziando.

  SOFIA AMODDIO. Grazie. Mi sembra che questa potrebbe essere anche una soluzione nell'inserimento del parere.

  GIUSEPPE BERRETTA. Desidero ringraziare molto la professoressa Severino e chiedere una precisazione. Confesso i miei limiti: non ho capito bene quando faceva riferimento all'onere probatorio, nel senso che nell'illecita detenzione si dice «consistente nel fatto di detenere un bene conoscendone la provenienza illecita». Lei dice che questo elemento di conoscenza è il presupposto del reato, quindi la prova deve essere fornita dall'autorità inquirente.

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Nella prospettiva della sua lettura sì. C'è, però, un precedente nel quale – se trovo il riferimento glielo dico anche – la giurisprudenza, nell'interpretare e nell'applicare la norma, ha considerato come rovesciato l'onere della prova.
  Avevo preso un appunto più specifico: mi riferivo al rischio che si determini una situazione analoga a quella registratasi in Pag. 11giurisprudenza avuto riguardo all'ipotesi di cui all'articolo 176 del codice dei beni culturali (l'impossessamento illecito di beni culturali appartenenti allo Stato), presumendosi l'illegittimità dei beni in questione, salvo che il detentore non dimostri di averli legittimamente acquistati in epoca antecedente all'entrata in vigore della legge n. 364 del 1909.
  È una costruzione che mi sembra abbastanza analoga a quella che voi avete ipotizzato per l'illecita detenzione di beni culturali.
  Certamente l'avverbio «consapevolmente» è un grande parametro di limitazione, però incentrando tutto su un elemento psicologico l'illiceità del fatto può diventare di difficile applicazione.

  PRESIDENTE. Forse la domanda che le pongo deriva da una non esatta comprensione su una questione che a mio avviso è molto importante capire: la definizione di bene culturale. Questa ci interessa particolarmente, perché è emersa anche nei primi approfondimenti che abbiamo fatto con il Ministero dei beni culturali.
  Se ho capito bene, il richiamo del disegno di legge delega riguarda il decreto legislativo n. 42 del 2004, mentre lei nel suo intervento dice che, sebbene questo riferimento vada bene, meglio sarebbe riportarci alla definizione che deriva dalla Convenzione UNESCO. È questo il punto?

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Sì, era questo, ma non perché la nostra sia peggiore, anzi io la trovo decisamente migliore e più garantista. Infatti, se la vado a leggere, trovo i beni culturali, le raccolte dei musei, gli archivi, quelli dichiarati dall'articolo 13, le raccolte librarie, le collezioni o serie di oggetti. C'è un'elencazione specifica, che mi piace molto e trovo più garantista, che però non si sposa con la definizione che è stata accolta in questa draft convention, che all'articolo 2 richiama, invece, l'articolo 1 della Convenzione UNESCO.
  Ovviamente nell'assoluta autonomia del legislatore italiano tutto si può fare, però noi avremmo una definizione molto più specifica che non verrebbe condivisa da Paesi nei quali si può applicare, invece, la definizione che verrebbe data in sede europea.
  Pertanto, io suggerivo un approfondimento per valutare se non si potesse far riferimento alla Convenzione UNESCO. Poiché questa Convenzione si riferisce a qualsiasi soggetto che sia, in campo religioso o secolare, classificato, definito o comunque specificamente indicato dagli Stati di importanza archeologica, si potrebbe completare questa definizione con il riferimento al decreto legislativo n. 42 del 2004. Infatti, noi abbiamo già fatto quello che altri Paesi europei non hanno fatto o non hanno voluto fare, cioè un elenco più preciso dei beni.
  Questo ci consentirebbe di allinearci alla definizione UNESCO ed europea dal punto di vista formale e al contempo di avere dal punto di vista sostanziale nell'applicazione dei punti di riferimento molto più precisi.

  FRANCO VAZIO. Mi riferisco alla penultima riflessione che faceva riguardo ai beni culturali rinvenuti antecedentemente. A me pare di ricordare che in realtà la giurisprudenza ritenga che vi sia legittimamente un mercato lecito anche successivamente a quella data, perché, non essendoci una mappatura dei beni culturali rinvenuti prima di quella data, non può escludersi che colui che ha ipoteticamente scavato, come si dice in gergo, quel bene culturale o quel ritrovamento archeologico lo possa aver lecitamente trasferito successivamente a quella data.
  Con questo criterio, se procedessimo nel senso da lei indicato, noi stabiliremmo un sostanziale capovolgimento della prova, trasformandola in una sorta di presunzione di colpevolezza, nel senso che è colui che avrebbe acquistato o ricevuto il bene mortis causa o per effetto di trasferimenti plurimi dalla data del 1900 in avanti a dover dimostrare, con una prova diabolica, di averlo ricevuto legittimamente.
  Se io mi trovassi un oggetto «culturale», una statuetta etrusca o comunque un oggetto antico nella casa di mio padre, non sarei legittimamente sicuro che, a fronte di un'indagine fatta dopo vent'anni, questo bene Pag. 12non sia qualificato nei termini da lei indicati e, quindi, mi troverei sotto processo e condannato perché non ho provato e non posso provare che la provenienza di quel bene sia legittimamente attribuibile a un effetto di ritrovamento antecedente al 1908.

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Era questo il timore che io esprimevo, ossia il timore che il «consapevolmente», pur molto bene collocato, perché è proprio l'avverbio che vuole evitare che accada questo – consapevolmente vuol dire non nel dubbio che mio nonno se lo sia andato a scavare nella tomba etrusca, ma nella consapevolezza che lo abbia fatto – possa venire in qualche modo bypassato da una giurisprudenza che magari ricorre a indici sintomatici, com'è accaduto in tanti altri casi.
  Io ho richiamato la norma del 1909 perché è richiamata in sede applicativa, ma c'è poi la legge del 1935, che è stata quella sulla quale si sono basati dei processi abbastanza clamorosi nei confronti dei musei americani. Li ricorderete, perché erano i più grandi musei americani (il Metropolitan Museum, il Paul Getty Museum) che furono oggetto di procedimenti penali proprio sul tema della liceità dell'origine del bene che avevano acquistato da un mercante d'arte.
  In quel caso la consapevolezza dell'aver acquistato con un titolo illegale era un tema difficile, fatto sta che comunque ci si avviò verso un processo negativo. Credo che alcuni di questi musei furono condannati, mentre altri in via preventiva restituirono i beni.
  Si studiò un apposito modello di convenzione con il Ministero, che secondo me andrebbe rispolverato e che a volte è molto più efficace dell'intervento del processo penale, come lo fu in quel caso. Il Metropolitan Museum siglò una convenzione con il Ministero dei beni culturali per dei prestiti a rotazione di beni. Restituì gli argenti di Morgantina e il vaso di Eufronio, che erano gli oggetti sui quali incideva il procedimento penale, e si ottenne una convenzione di rotazione quadriennale dei beni esposti tra musei italiani e musei americani.
  Secondo me, è una soluzione straordinaria, perché consente agli oggetti italiani di avere un'eccezionale visibilità all'estero in grandi e prestigiosi musei e a quelli americani di far tornare, sia pure temporaneamente, in Italia degli oggetti legittimamente acquistati ma di provenienza italiana.
  Anche queste soluzioni concordate con la pubblica amministrazione rappresentano uno straordinario capitale sul quale si potrebbe e si dovrebbe lavorare.
  Capisco che ci siamo allontanati dal tema oggetto dell'iniziale domanda, però, ogni qualvolta si è fatto riferimento a norme dalla cui cronologia di entrata in vigore si dovrebbe desumere la consapevolezza o meno, se ne è fatto un uso in chiave di rovesciamento dell'onere della prova. Questo è quello che mi dice la prassi. È vero che voi avete costruito una norma nella quale con l'avverbio «consapevolmente» avete cercato di limitare la portata di questi effetti di rovesciamento, però richiamavo particolare attenzione su questo rischio.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto la professoressa Severino a nome di tutta la Commissione anche per questo contributo su un tema che speriamo di poter chiudere quanto prima.

  PAOLA SEVERINO, Rettore dell'Università LUISS Guido Carli di Roma. Grazie mille a voi e buon lavoro.

  PRESIDENTE. Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.30.