CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 21 aprile 2016
630.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Finanze (VI)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La VI Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso);
   evidenziato come nel 2015, dopo tre anni consecutivi di contrazione, l'economia italiana sia tornata a crescere e come si preveda che nel 2016 tale dinamica di crescita prosegua e si rafforzi;
   rilevato in particolare come il DEF segnali l'aumento dell'occupazione e la diminuzione della disoccupazione, nonché il miglioramento dei conti pubblici e la diminuzione della pressione fiscale;
   sottolineata positivamente l'intenzione del Governo di perseguire una politica rigorosa di consolidamento della finanza pubblica e di riduzione del debito che, al tempo stesso, prevede una serie di riforme strutturali e di misure espansive le quali, anche attraverso la riduzione del carico impositivo, sostengano la spesa di imprese e famiglie, rilancino l'economia del Paese e incentivino l'occupazione, anche per contrastare alcuni segnali di debolezza emersi negli ultimi mesi del 2015 nel quadro economico internazionale, dovuti alla fase di difficoltà dell'Eurozona, al progressivo rallentamento delle economie emergenti e alla minaccia terroristica;
   rilevato come la realizzazione degli interventi di riforma prospettati dal Governo dipenderà in parte dai margini di flessibilità rispetto ai vincoli del Patto di testabilità e di crescita che saranno autorizzati dalla Commissione europea e sottolineato, in tale contesto, come occorra proseguire, nelle sedi europee, le azioni per portare proprio i temi della crescita e dello sviluppo al centro dell'agenda europea, anche al fine di ripristinare presso i cittadini la credibilità delle istituzioni europee, scossa dalle vicende della crisi economico – finanziaria;
   evidenziato, con riferimento al quadro di finanza pubblica, come i dati del DEF relativi al 2015 indichino un livello di indebitamento netto pari al 2,6 per cento del PIL, in linea con l'obiettivo programmatico esposto nelle stime contenute nella Nota di aggiornamento del DEF 2015, e come tale valore dell'indebitamento netto sia previsto ridursi ulteriormente, nel 2016, al 2,3 per cento del PIL;
   rilevato altresì come il DEF indichi, negli anni considerati, una prima, seppur modesta, riduzione, dopo otto anni di aumento, del rapporto tra debito e PIL, che è previsto ridursi nel 2106 al 132,4 per cento, per scendere ulteriormente nel 2017 al 130,9 per cento, al 128 per cento nel 2018 e al 123,8 per cento nel 2019;
   evidenziato, con riferimento ai temi della politica tributaria, come il Governo abbia opportunamente dichiarato di voler proseguire nel processo di progressiva riduzione della pressione fiscale, la quale è scesa nel 2015 al 43,5 per cento in rapporto al PIL, ovvero al 42,9 per cento al Pag. 54netto del bonus degli ottanta euro, reso permanente nel medesimo anno, ed è prevista ridursi ulteriormente nel 2016 e 2017, passando rispettivamente al 42,8 per cento e al 42,7 per cento;
   sottolineato come tale indirizzo programmatico del Governo si sia già tradotto in numerose misure di riduzione della pressione fiscale adottate dal Governo, quali l'esenzione totale dell'Imposta municipale unica (IMU) per alcune categorie di soggetti e per particolari tipologie di terreni agricoli e l'esenzione della prima casa dalla TASI;
   evidenziato in particolare come l'azione di politica tributaria del Governo si sia articolata anche attraverso una serie di misure specifiche a sostegno del settore produttivo, quali l'istituzione della categoria delle piccole e medie imprese (PMI) innovative; l'ampliamento del regime opzionale di tassazione agevolata per i redditi derivanti dalle opere di ingegno (cosiddetto patent box); l'introduzione di un credito d'imposta per incentivare la spesa in ricerca e sviluppo; l'aumento del 40 per cento dell'ammortamento per l'acquisto di tutti i beni strumentali nuovi da parte di imprese e professionisti e la riduzione da dieci a cinque anni dei tempi di ammortamento fiscale dell'avviamento commerciale; le misure tributarie per incentivare l'internazionalizzazione delle imprese; le agevolazioni fiscali e contributive per incentivare le assunzioni a tempo indeterminato, particolarmente intense nelle Regioni del Sud; l'estensione della deducibilità del costo del lavoro dall'imponibile IRAP; il credito d'imposta in favore delle imprese che acquistano beni strumentali nuovi destinati a strutture produttive ubicate nelle zone assistite delle regioni del Sud Italia; l'intervento sulla determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione produttiva e industriale (cosiddetti «imbullonati»);
   evidenziato, in tale contesto, come nel 2015 si sia registrata una riduzione sia delle entrate totali, che si attestano al 47,9 per cento in rapporto al PIL, sia delle entrate correnti, che scendono al 47,6 per cento;
   considerati, in particolare, nell'ambito delle imposte dirette, il positivo andamento delle ritenute IRPEF sui redditi da lavoro dipendente, la crescita del gettito IRES e il calo del gettito IRAP, derivante dall'esclusione del costo per lavoro dipendente dalla base imponibile dell'imposta;
   evidenziato altresì l'incremento, pari allo 0,5 per cento, del gettito delle imposte indirette, legato in particolare al positivo andamento dell'IVA sugli scambi interni, che ha beneficiato dell'introduzione del meccanismo di scissione dei pagamenti (cosiddetto split payment) e dell'estensione del sistema dell'inversione contabile (cosiddetto reverse charge), il quale ha più che compensato la riduzione dell'IVA sulle importazioni, influenzata dalla progressiva contrazione del prezzo del petrolio;
   rilevato in quest'ambito come il DEF preannunci l'intenzione del Governo di voler intervenire, nell'ambito della prossima manovra finanziaria di fine anno, per la sterilizzazione delle clausole di salvaguardia ancora sussistenti, dopo aver già disattivato la clausola di salvaguardia introdotta dalla legge di stabilità 2014 che agiva sulle cosiddette tax expenditures (eliminando i prospettati aumenti di 3,272 e 6,272 miliardi di euro), aver disattivato l'aumento di accisa previsto dalla legge di stabilità 2015, già posticipato al 2016 (pari a 728 milioni di euro), e aver rinviato al 2017 gli aumenti predisposti dall'ulteriore clausola, introdotta dalla legge di stabilità 2015, volta ad incrementare le aliquote IVA ordinaria e ridotta e le accise su benzina e gasolio;
   sottolineato come l'azione di riduzione della pressione fiscale dovrà procedere di pari passo con il proseguimento e il rafforzamento dell'attività di contrasto all'evasione e all'elusione fiscale, nonché con il miglioramento della fedeltà fiscale, aumentando il gettito fiscale a parità di aliquote;Pag. 55
   rilevato, a tale proposito, come negli ultimi dieci anni si registrino dati costantemente in aumento per quanto riguarda i risultati delle attività di contrasto all'evasione fiscale, che hanno consentito nel 2015 di recuperare maggior gettito per 14,9 miliardi, grazie anche alle misure introdotte dalla legge di stabilità 2015 per contrastare l'evasione e le frodi IVA;
    evidenziato come il DEF rechi indicazioni di notevole rilevanza per quanto riguarda la strategia di politica tributaria che il Governo intende perseguire nella seconda parte della legislatura in corso, la quale corrisponde in buona misura ai contenuti della delega per la riforma del sistema fiscale in parte realizzata durante la prima fase della legislatura stessa;
   sottolineata l'esigenza di perseguire con decisione, anche per rispondere alla Raccomandazione n. 2 formulata dalla Commissione europea, l'obiettivo della revisione delle agevolazioni fiscali (cosiddette tax expenditures), la quale porterà notevoli benefici non solo in termini di entrate, ma soprattutto in quanto essa consentirà di realizzare un'azione di armonizzazione dell'imposizione indiretta che potrà avere importanti effetti sull'efficienza dell'intero sistema tributario;
   sottolineata altresì l'opportunità di portare a compimento la revisione dei valori catastali, in un'ottica di razionalizzazione del sistema, di perequazione tra i contribuenti, di salvaguardia della capacità fiscale degli enti locali e di tutela rispetto ad ulteriori inasprimenti dell'imposizione immobiliare;
   evidenziati i positivi risultati raggiunti attraverso l'attuazione, sia pure parziale, della predetta delega per la riforma del sistema fiscale, che ha consentito di migliorare in modo significativo il quadro delle norme tributarie, la certezza del diritto in tale ambito e il rapporto tra fisco e contribuenti, in particolare attraverso: numerose semplificazioni, tra cui l'introduzione della dichiarazione precompilata per i lavoratori dipendenti e per i pensionati e l'introduzione della fatturazione elettronica; la ridefinizione dell'abuso del diritto secondo le linee dell'OCSE; il rafforzamento del ruolo del fisco a sostegno delle imprese con attività internazionali; la revisione del contenzioso tributario e degli interpelli; la revisione delle sanzioni penali e amministrative; l'efficientamento della riscossione; l'introduzione di nuove regole per definire una metodologia stabile e imparziale di rilevazione, calcolo e pubblicazione dei risultati delle strategie di contrasto all'evasione fiscale;
   condivisa l'intenzione del Governo di promuovere una riforma complessiva della giustizia tributaria, al fine di garantire ai cittadini una giurisdizione più efficiente e celere, anche mediante misure che rafforzino la professionalità dei giudici tributari;
   rilevato, per quanto riguarda il settore creditizio, il quale costituisce uno snodo essenziale per la ripresa economica, come il DEF segnali un graduale miglioramento delle condizioni di erogazione del credito, anche grazie alla strategia adottata in materia dalla Banca centrale europea, evidenziando: la tenuta dei prestiti al settore privato, dopo tre anni di contrazione; la riduzione dei tassi d'interesse praticati alla clientela e il loro avvicinamento a quelli praticati dai Paesi europei; il tendenziale allentamento dei criteri di offerta di credito; l'espansione della domanda di prestiti da parte delle imprese e delle famiglie;
   evidenziato come le misure poste in essere dal Governo, in sinergia con le iniziative di natura privata adottate in questo campo, abbiano posto le condizioni per affrontare e risolvere positivamente la questione dei crediti deteriorati, che comunque dovrà essere oggetto di ulteriori interventi, secondo un approccio multisettoriale coordinato che consenta di liberare risorse finanziarie da dedicare al finanziamento dell'economia reale e delle famiglie;
   richiamati positivamente, a tale ultimo riguardo: gli interventi già adottati per la riduzione dei tempi per la deducibilità delle perdite sui crediti; la predisposizione Pag. 56di un sistema di garanzia sulle tranche senior dei crediti cartolarizzati (GACS); le disposizioni per semplificare le procedure concorsuali ed esecutive; la riduzione delle imposte di registro e ipocatastali sui trasferimenti di immobili in esito a procedure esecutive e giudiziarie;
   richiamato inoltre come, anche in risposta alle sollecitazioni in tal senso pervenute dagli organi comunitari, dalle autorità di vigilanza e dagli organismi internazionali, il Governo abbia posto in essere, a partire dal 2015, una serie di interventi per affrontare talune criticità di fondo del sistema bancario italiano, il quale, sebbene sostanzialmente solido, ha subito più di altri gli effetti della grave crisi economica, in ragione del suo stretto legame con il tessuto produttivo nazionale;
   segnalati, a tale proposito, gli interventi per il rafforzamento del governo societario delle banche, il raggiungimento di condizioni di parità concorrenziale con gli altri istituti bancari europei e il miglioramento della qualità e dell'efficienza dell'attività bancaria, realizzati attraverso: la riforma delle banche popolari di cui al decreto-legge n. 3 del 2015, che ha già favorito alcune importanti operazioni di ristrutturazione del settore; la complessiva riforma del credito cooperativo di cui al decreto-legge n. 18 del 2016; il processo di autoriforma delle fondazioni bancarie, realizzato con il sostegno del Ministero dell'economia e delle finanze in qualità di autorità di vigilanza del settore;
   rilevato, in tale ambito, come il Governo si sia fatto carico di affrontare, con il decreto-legge n. 183 del 2015, confluito nella legge di stabilità 2016, il problema, reso più complesso a causa dei ritardi accumulati in precedenza, della grave situazione di crisi in cui versavano la Cassa di risparmio di Ferrara Spa, la Banca delle Marche Spa, la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e la Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa, definendo, nel quadro dei vincoli e delle procedure stabiliti dalle direttive europee in materia di crisi e risoluzione degli istituti bancari, una tempestiva ed efficace soluzione della questione, che ha consentito di salvaguardare la continuità operativa e occupazionale delle banche, nonché di ridurre il più possibile gli oneri a carico degli investitori, anche attraverso l'istituzione di un meccanismo di ristoro, basato su un Fondo di solidarietà, la cui applicazione sarà ampliata e resa più automatica a seguito della lunga interlocuzione svolta tra il Governo italiano e la Commissione europea;
   evidenziata l'esigenza di proseguire ulteriormente nelle iniziative per ampliare i canali di finanziamento alle imprese alternativi a quello bancario, tema sul quale già sono state adottate alcune importanti misure, quali: la riforma della disciplina sui cosiddetti mini bond e sui project bond; la nuova disciplina delle società di investimento immobiliare quotate (SIIQ); le norme in materia di equity crowdfunding, che consentono la raccolta di capitali mediante portali online; le semplificazioni per la quotazione delle PMI; l'introduzione nel Testo unico della finanza (TUF) della disciplina della maggiorazione del voto; la possibilità per fondi di credito, assicurazioni e società di cartolarizzazione di concedere finanziamenti alle imprese; il regime di aiuto per la crescita economica (ACE) e le misure che ne hanno esteso l'applicazione; il rafforzamento del Fondo centrale di Garanzia per le PMI, destinando almeno il 20 per cento delle risorse disponibili del Fondo alle imprese e agli investimenti localizzati nelle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna;
   rilevato, a tale ultimo riguardo, il ruolo positivo che potranno svolgere per sostenere gli investimenti delle piccole e medie imprese il Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), nel quadro del Piano Junker di investimenti per l'Europa, la Cassa Depositi e Prestiti, cui la Legge di Stabilità 2016 ha attribuito a il ruolo di istituto nazionale di promozione nell'ambito dei progetti per il predetto Pag. 57Piano Juncker, il Fondo centrale di Garanzia per le PMI, e i consorzi di garanzia collettiva, oggetto dell'intervento di riforma previsto dalla proposta di legge C. 3209, già approvata in prima lettura dal Senato, attualmente all'esame in sede referente presso la Commissione Finanze,
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PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 2

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DALLA DEPUTATA SANDRA SAVINO

  La VI Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso);
   premesso che:
    in oltre due anni il Governo ha dimostrato di non essere in grado di risolvere i problemi strutturali del Paese;
    non si è «cambiato verso» con il Jobs Act, non si è «cambiato verso» con la riforma della pubblica amministrazione, non si è fatto nulla con la spending review, per citare i provvedimenti più pubblicizzati, ma soprattutto nulla è stato fatto per combattere alla radice i due veri freni dell'economia italiana: bassa produttività e pochi, insufficienti investimenti produttivi;
    il Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri venerdì 8 aprile 2016 purtroppo conferma per il terzo anno consecutivo questa tendenza;
    evitiamo di entrare nella discussione sui decimali in più o in meno di deficit: non entusiasma polemizzare sulla sempre annunciata riduzione del debito pubblico in percentuale del PIL, naturalmente anch'essa per uno «zero virgola», ottenuta con previsioni che hanno uno scarto di errore ben superiore agli obiettivi propaganda;
    il problema del debito è enorme e non viene scalfito con qualche gioco contabile né, ancor peggio, con masochistiche vendite, a prezzi spaventosamente bassi, dei «gioielli di famiglia» (Eni, Enel, Poste, ecc.), che, se danno un momentaneo risultato in termini di stock di debito, riducono, però, di pari ammontare, gli incassi da dividendi, per erodere furbescamente e di poco uno stock di quasi il 133 per cento, crescente di mese in mese;
    avremmo voluto avviare una discussione seria, dal punto di vista economico e della stabilità finanziaria, sui problemi strutturali dell'economia italiana; la nostra visione al riguardo è condivisa all'unanimità anche da analisti indipendenti del calibro di Banca d'Italia, Ufficio Parlamentare di Bilancio, ISTAT e Corte dei Conti, le cui audizioni sul DEF dei giorni scorsi hanno fatto emergere un quadro totalmente negativo e che non corrisponde in alcun modo allo scenario idilliaco descritto dal Ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan;
    sono sette i punti essenziali su cui riflettere:
     1) sulla base delle ultime stime pubblicate dalle principali organizzazioni nazionali ed internazionali sull'andamento del PIL e dell'inflazione in Italia, nel 2016 avremo una crescita nominale (data da crescita reale più inflazione) nel nostro Paese pari, se va bene, all'1,3 per cento;Pag. 59
    la crescita reale del PIL italiano nel 2016, che il Governo colloca all'1,2 per cento, nei fatti sarà al massimo dell'1 per cento: sempre nel 2016, inoltre, l'inflazione sarà, come dicono le stime, al massimo dello 0,2 per cento – 0,3 per cento; parliamo quindi di una crescita nominale, ovvero quella che conta ai fini del rispetto dei parametri europei, attorno all'1,2 per cento-1,3 per cento, lontano dall'ambizioso 2,2 per cento indicato nel Documento di Economia e Finanza di Renzi e Padoan;
     2) un altro nodo riguarda il debito pubblico: secondo le previsioni dell'Esecutivo il debito comincerà a scendere già a partire da quest'anno, con un trend confermato anche per il 2017, 2018 e 2019; ma c’è sentore di trucco contabile: la diminuzione del rapporto debito/PIL è, infatti, dovuta all'aumento del denominatore; il Governo prevede una crescita sovrastimata del prodotto interno lordo a partire da quest'anno e per gli anni a venire, prospettiva che, senza la spending review, senza un piano di privatizzazioni credibile, senza crescita e con deficit in aumento, è difficile, se non impossibile, che si realizzi;
     3) della spending review non vi è traccia: anzi, nei prossimi 4 anni le uscite dalle casse dello Stato cresceranno sempre, con un incremento complessivo di oltre 22 miliardi di euro; la spesa pubblica passerà dagli 826 miliardi del 2015 ai quasi 849 miliardi di euro del 2019;
     4) inevitabilmente, a maggiori uscite dovranno corrispondere maggiori entrate e purtroppo a pagare il conto saranno, come sempre, i contribuenti: in base a quanto scritto nel DEF, tra il 2016 e il 2019, è prevista una stangata fiscale di quasi 72 miliardi di euro; nei prossimi 4 anni le tasse aumenteranno sistematicamente e il gettito complessivo supererà quota 855 miliardi rispetto ai 784 miliardi del 2015;
     5) che dire poi della produttività ?: la sua crescita, da cui dipendono i redditi e il benessere dei cittadini, si è ridotta con continuità nei decenni scorsi fino ad avere segno negativo negli ultimi anni, con differenziali tra i vari settori, ma con questa dinamica media;
    è diminuita la produttività totale dei fattori, il che vuol dire che il prodotto cresce meno dell'aumento dell'uso dei fattori produttivi, ed è diminuita la produttività del lavoro, da cui dipende la sua remunerazione;
    è vero che la produttività del lavoro difficilmente aumenta in periodi di recessione, almeno nella fase iniziale, perché la caduta della produzione per assenza di domanda è in genere superiore alla riduzione immediata di occupazione, ma, dopo otto anni di crisi e un massiccio aumento della disoccupazione, il fatto che la produttività continui a non aumentare è preoccupante;
    mentre nel periodo 2007-2011, cioè con l'impatto violento della crisi, la produttività del lavoro è rimasta stagnante, essa è poi crollata successivamente, e negli ultimi due anni è diminuita di circa un punto percentuale: questo non avviene quasi mai nelle fasi di ripresa, per questo è un segnale inquietante;
    il dato strutturale è che rispetto al 2007 la produttività del lavoro oggi è ancora inferiore di quasi il 2 per cento (che tra l'altro è solo la metà della riduzione conseguita negli ultimi due anni), e il tasso di occupazione è diminuito, sempre rispetto al 2007, di oltre il 5 per cento: dietro questo trend c’è essenzialmente la caduta degli investimenti ed è questo l'altro problema di fondo;
     6) in Italia sono diventati ormai negativi anche gli investimenti al netto degli ammortamenti: ciò significa che si riduce lo stock di capitale e non solo la sua variazione; non sorprende quindi che i dati Eurostat indichino una caduta anche del prodotto potenziale italiano, cioè la sua capacità produttiva;
    la questione è europea: se non ripartono gli investimenti non aumenta la domanda interna e soprattutto non aumenta la produttività; tutti ormai invocano Pag. 60gli investimenti pubblici, dalla BCE al Fondo monetario internazionale, perché, soprattutto quelli in infrastrutture materiali e immateriali, servono ad aumentare anche il rendimento, cioè la produttività degli investimenti privati, contribuiscono a rilanciarli;
    in Italia nei due anni di Governo Renzi è stato fatto il contrario: gli investimenti pubblici, che pur nel pieno della crisi si erano mantenuti intorno al 3 per cento del PIL (poi scesi al 2,6 per cento nel corso della crisi del debito del 2012), sono crollati al loro minimo nel 2014 e nel 2015, tra il 2,2 per cento e il 2,3 per cento, e così si manterranno nei prossimi anni, secondo le ultime previsioni della Commissione europea;
    da queste due gravi debolezze dell'economia italiana (bassa produttività e scarsi investimenti) deriva anche la debolezza del nostro paese nelle trattative con gli altri partner europei, i quali comprendono certamente che la produttività non cresce per decreto governativo, ma anche che l'uso di risorse scarse per finanziare bonus di vario tipo non rappresenta una politica di sostegno all'innovazione tecnologica e alla formazione del capitale umano per fare la rivoluzione necessaria;
    quando il tema è l'Italia, tra gli economisti europei non si parla d'altro, mentre il Governo continua a propagandare le sue false riforme e i suoi falsi risultati strabilianti di politica economica e finanza pubblica: è evidente che non solo i conti nel nostro Paese non sono in ordine, anzi sono pericolosamente a rischio, ma produttività e investimenti sono temi da cui non si può prescindere se si vuole davvero cambiare il paese.
     7) il giudizio è infine pesantemente negativo in merito all'atteggiamento dell'Esecutivo sul tema della cosiddetta «flessibilità» di bilancio: l'Italia, con il Governo Renzi, la chiede per il terzo anno consecutivo, ma le regole europee consentono ai Paesi di fare maggior deficit solo una volta e sulla base delle riforme effettuate, che nel nostro caso non solo non sono state ancora completate, ma anche la loro efficacia è tutta ancora da verificare: su questo, valgono le parole di Mario Draghi, secondo cui l'abuso di «flessibilità», vale a dire una politica economica tutta in deficit, porta alla perdita di credibilità dei paesi che ne abusano; e la credibilità del sistema Paese è quella che orienta le decisioni dei mercati e degli investitori internazionali, con le relative ricadute sull'economia reale e sull'assorbimento dei nostri titoli del debito pubblico;
    ottobre sarà un mese chiave per il Governo in carica: nello stesso periodo, si concentreranno, da un lato, il referendum sulla riforma costituzionale e, dall'altro, la recessione economica, che si evidenzierà proprio nel momento in cui l'Esecutivo sarà chiamato a risponderne all'Europa con la Legge di stabilità;
    a questo si aggiunga che, già da gennaio, quando sono stati dimezzati gli incentivi, ha cominciato a manifestarsi l'effettiva natura di quello che potremmo definire un vero e proprio «Flop Act», metafora del riformismo renziano, simbolo dell'imbroglio strategico del Presidente del Consiglio e di tutta la sua politica economica, fatta di bonus e di incredibili e false riduzioni delle tasse in deficit: politica economica volta alla sopravvivenza di breve periodo del Governo piuttosto che ispirata dalla volontà di cambiare il Paese, tagliando drasticamente il debito e la cattiva spesa pubblica e rilanciando gli investimenti,
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PARERE CONTRARIO
Sandra Savino.

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ALLEGATO 3

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAI DEPUTATI PAGLIA E FASSINA

  La VI Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso);
   premesso che:
    sul fronte delle entrate, tra le brutte sorprese nascoste tra le pieghe del Documento di economia e finanza 2016 salta agli occhi un imprevisto aggravio fiscale per i prossimi quattro anni per famiglie ed imprese che, stando alle previsioni, dovrà garantire alle casse dello Stato un extragettito di 71 miliardi di euro (+ 9,15 per cento), portandolo dai 784 miliardi di euro incassati nel 2015 agli 855 miliardi di euro previsti per l'anno 2019;
    nello specifico, ad aumentare saranno sia le imposte dirette sia quelle indirette: nel primo caso il Governo stima una crescita del gettito pari a 11,8 miliardi di euro (+4,90 per cento), mentre nel secondo caso pari a 33,3 miliardi (+13,39 per cento): tutto questo nonostante la millantata ulteriore riduzione della pressione fiscale, sbandierata fino ad oggi come un mantra dallo stesso Presidente del Consiglio, confermata anche nella premessa al Documento, che sarebbe consentita, secondo le parole del Governo, da quello «spazio di bilancio addizionale che verrà generato da risparmi di spesa, realizzati mediante un ampliamento del processo di revisione della spesa, ivi incluse le spese fiscali, e da tutti quegli strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di elusione.»: i previsti aumenti, che secondo il Governo (e non si capisce come) manterranno complessivamente la pressione fiscale invariata portandola dal 43,5 per cento al 42,9 per cento, deriveranno, in assenza di manovre alternative, dall'innesco automatico a decorrere dal 2017, delle cosiddette clausole di salvaguardia, che da sole rappresentano circa lo 0,9 per cento del PIL (valendo circa 16,8 miliardi di euro) e che comporteranno un incremento delle aliquote Iva (sia la ridotta che quella ordinaria) e delle accise sugli olii minerali;
    invero il Governo, nell'ambito della Legge di Stabilità 2016, aveva disattivato, per l'anno in corso, le suddette clausole, rinviando a data da destinarsi quelle relative al triennio successivo (2017-2019), compiendo in tal modo quello che buona parte della stampa italiana allora aveva descritto come un vero e proprio miracolo;
    intento dichiarato nel DEF dallo stesso Governo è quello di sterilizzare le clausole impostando, a partire dalla prossima legge di stabilità, una manovra del tutto diversa che verrà definita nei prossimi mesi e che dovrebbe garantire il raggiungimento di un indebitamento netto pari all'1,8 per cento del PIL nel 2017 grazie ad un mix di interventi di revisione della spesa pubblica, ivi incluse le spese Pag. 62fiscali, e di strumenti che accrescano la fedeltà fiscale e riducano i margini di evasione ed elusione, tutto ciò «ferma restando la prosecuzione, compatibilmente con gli equilibri di bilancio, del processo di riduzione del carico fiscale che grava sui redditi delle famiglie e delle imprese.»;
    dunque, la neutralizzazione sarà possibile attraverso un'operazione di revisione, peraltro socialmente molto sensibile, di tutte quelle agevolazioni fiscali (le cosiddette tax expenditures), cioè l'insieme di detrazioni, deduzioni ed esenzioni fiscali il cui ammontare complessivo, secondo la Corte dei Conti, determina un mancato gettito pari a 313 miliardi di euro in ragione annua, ma che consentono al contribuente, in sede di dichiarazione dei redditi, di sottrarsi parzialmente all'eccessiva pressione fiscale abbattendo sensibilmente il totale dell'imposta dovuta: molti contribuenti saranno perciò costretti a rifare nuovamente i propri conti eliminando alcune detrazioni già calcolate (come a le spese mediche e quelle relative alle ristrutturazioni);
    lo stesso DEF precisa che «nell'ambito delle tax expenditures, l'attuazione della delega fiscale ha previsto annualmente la predisposizione di uno specifico Rapporto programmatico di ricognizione delle agevolazioni in essere. Questo costituirà la base per valutare in autunno gli interventi volti a ridurre, eliminare o riformare le spese fiscali, che dovranno poi essere resi operativi nella manovra di finanza pubblica.»: la revisione sarà quindi volta ad eliminare o rivedere quelle non più giustificate sulla base delle mutate esigenze sociali ed economiche o quelle che duplicano programmi di spesa pubblica; verrebbe, in particolare previsto che trascorsi cinque anni dall'adozione le spese fiscali siano oggetto di un esame specifico, corredato da un'analisi degli effetti microeconomici e sociali e delle ricadute sul contesto sociale;
    Tax expenditures è un termine che suona come un inglesismo tecnico, ma che pare destinato a divenire protagonista nel futuro dibattito politico, con importanti ricadute sui contribuenti, trattandosi, come si è visto, di tagli a tutte quelle agevolazioni fiscali tese, nella loro originaria concezione, a ridurre il carico fiscale su cittadini ed imprese, e negli ultimi anni tornate alla ribalta perché protagoniste di un progetto virtuoso della «creatività» dell'allora Ministro Tremonti, che pensò di sfrondarle per ampliare la base imponibile dei contribuenti e finanziare, attraverso il maggiore gettito che ne sarebbe derivato, la riduzione delle aliquote nominali d'imposta; la galassia delle tax expenditures contempla voci di agevolazioni la cui quota maggiore si concentra su casa e famiglia, come le spese per mutui, per la sanità, per l'assegno di mantenimento, o per le erogazioni liberali: pertanto la loro revisione si tradurrà in un inesorabile aumento della pressione fiscale;
    l'ipotesi di un intervento di revisione delle spese fiscali non è nuova; anzi è da anni all'attenzione dell'agenda degli ultimi governi; il loro ridimensionamento rappresenta un obiettivo della politica fiscale, soprattutto da quando si è diffuso il convincimento che, analogamente all'evasione, si sia in presenza di un «tesoretto» cui attingere per soddisfare le necessità di finanza pubblica, «tesoretto» che, secondo le stime formulate sul finire del 2011 dalla cosiddetta Commissione Ceriani, contava oltre settecento regimi agevolativi, suscettibili di intaccare il gettito per oltre 250 miliardi: una cifra pari a quasi un terzo delle entrate complessive della P.A.;
    in base a quanto si legge nel PNR allegato al DEF 2016 la suddetta ridefinizione troverà spazio nella prossima nota di aggiornamento del DEF da approvarsi nel prossimo autunno, tra gli indirizzi programmatici che diventeranno vincolanti per il Governo ai fini della predisposizione della manovra di bilancio;
    l'aspetto ancora più paradossale è che, come del resto affermava il Presidente del Consiglio solo alcuni mesi fa, cancellare le agevolazioni significa, de facto, aumentare la pressione fiscale, anche se in Pag. 63base al citato PNR, le maggiori entrate derivanti dalla «rimodulazione» saranno in parte destinate al fondo per ridurre la pressione fiscale: insomma, tutto ed il contrario di tutto;
    a fronte di un saldo primario stimato all'1,7 per cento, la pressione fiscale è prevista al 42,8 per cento valore, quest'ultimo, che risente sia degli effetti delle misure contenute nella Legge di Stabilità 2016 – come l'abolizione delle imposte sull'abitazione principale e la proroga delle decontribuzioni per le nuove assunzioni a tempo indeterminato – sia delle maggiori entrate attese dalla voluntary disclosure;
    in concomitanza con la presentazione del DEF 2016 il governo è tornato, inoltre, a parlare del cosiddetto «bonus degli 80 euro», (considerato dallo stesso Documento come la misura che avrebbe la riforma strutturale del sistema fiscale), ipotizzando di estenderlo ai percettori delle pensioni più basse; anche se al momento nulla è definito, l'esperienza tuttavia maturata con riferimento al bonus per i lavoratori dipendenti permette alcune considerazioni: stante la perdita di potere d'acquisto dei salari e la elevatissima evasione fiscale esso appariva dovuto e comunque positivo, è pertanto innegabile che lo stesso abbia avuto un impatto significativo sulla disponibilità di reddito dei lavoratori, con un incremento del 12 per cento per chi, partendo da un reddito di 8.000 euro, lo ha percepito per intero, e del 4 per cento per chi percepiva un reddito pari a 24.000 euro;
    il bonus, così come è attualmente in vigore, è sostanzialmente criticabile, per tre principali motivi: 1) esclude gli incapienti; 2) è limitato solamente ai lavoratori dipendenti; 3) è stato assegnato in una proporzione rilevante anche a individui che appartengono a nuclei familiari con redditi elevati, essendosi utilizzato come condizione di eleggibilità (cosiddetto means-testing) solo il reddito individuale; quest'ultima criticità ha evidenziato che se l'obiettivo era quello di stimolare i consumi (considerata l'evidenza empirica che chi ha redditi bassi tende a consumare una quota maggiore del proprio reddito disponibile) e di ridurre l'incidenza della povertà, il trasferimento di reddito è avvenuto nelle tasche sbagliate;
    l'ultima legge di Stabilità ha inoltre previsto per il 2017 la riduzione dell'aliquota IRES al 24 per cento, dimostrando come il Governo, attraverso una diminuzione generalizzata dell'imposta sui profitti delle imprese, voglia continuare ad affidarsi al mercato nonostante le ripetute prove di inefficacia di questa strategia; è profondamente ingiusto, in un Paese ancora stretto dalla morsa della crisi e con un tasso di disoccupazione oltre l'11 per cento, ridurre in maniera generalizzata un'imposta sui profitti, scelta che, rispetto alle misure su IRAP e decontribuzione che almeno intervenivano sui costi seppur in modo non elettivo, appare un ingiustificato «regalo alle imprese»;
    allo stesso modo l'abolizione indiscriminata delle imposte su tutte le prime case appare una soluzione semplicistica e populista rispetto alla necessità reale di riordinare le imposte sul patrimonio per far concorrere alle finanze pubbliche anche i detentori di quelle grandi ricchezze ingessate, mobiliari e immobiliari, che, se fossero destinate ad investimenti produttivi, darebbero una spinta decisiva alla ripartenza dell'economia reale;
    il PNR del DEF descrive inoltre le tappe della delega fiscale di cui alla legge n. 23 del 2014, senza individuare nella lotta all'evasione fiscale (che produce un mancato gettito erariale stimato tra i 90 ai 180 miliardi di euro annui nonostante il governo non si esime dal «vantare» il trend positivo del recupero, pari nel 2015 a 14,9 miliardi, omettendo peraltro di dire che più della metà di queste somme derivano da tributi dichiarati e non, versati e da errori materiali) ed in una strategia organica per la riduzione strutturale della stessa, la vera «chiave di volta» per contrastare il debito pubblico ed uscire dal guado;Pag. 64
    non si può, in questa sede, non stigmatizzare come, da un lato, l'imposizione della fatturazione elettronica e, dall'altro, l'incentivo all'uso del contante più che della moneta elettronica e tracciabile, appaia assai contraddittorio: il contante è infatti il principale strumento di evasione, quando non di corruzione e attività illecite, per cui la scelta, adottata con la legge di stabilità 2016, di innalzare la soglia massima a 3.000 euro continui a essere, senza mezzi termini, un favore agli evasori;
    sempre per richiamare la delega fiscale, anche il rallentamento della revisione del catasto rappresenta un grosso limite, così come la nuova disciplina dell'abuso del diritto (meglio chiamarlo elusione fiscale) debba essere giudicata negativamente soprattutto perché ha cancellato una giurisprudenza ormai sedimentata che considerava il principio antielusivo immanente nella Costituzione e quindi equiparando, di fatto, l'elusione all'evasione;
    di contro, qualsiasi rivendicazione che faccia appello ad una nuova politica dei redditi che, a sua volta, abbia come asse centrale la crescita e lo sviluppo delle capacità produttive e competitive del Paese, con un marcato segno redistributivo verso il lavoro dipendente ed a sostegno delle fasce sociali più esposte, che le ristori ma che faccia anche ripartire i consumi, non può prescindere dal ricorso alla leva fiscale, da utilizzare non solo per far emergere le diverse capacità economiche dei contribuenti, ma anche, e soprattutto, come strumento di sostegno allo sviluppo, di redistribuzione del reddito e di lotta al lavoro sommerso;
    larga parte dei redditi che non derivano da lavoro dipendente o pensione, e in particolare quelli da capitale, quelli derivanti da cespiti patrimoniali o dall'esercizio di lavoro autonomo e professionale, riescono ad evadere e/o eludere la tassazione personale, sottraendosi così alla progressività e alla funzione/azione redistributiva del prelievo tributario, e costituendo solo un enorme giacimento di risorse indebitamente sottratto alla collettività, che alimenta quelle attività speculative i cui risultati perversi sono sotto gli occhi di tutti; in queste condizioni, in cui i titolari di redditi diversi da quelli da lavoro dipendente hanno ampi margini di discrezionalità e di valutazione soggettiva della loro base imponibile da utilizzare in sede di tassazione, il principio della progressività del prelievo fiscale (di cui all'articolo 53 della Costituzione) rischia di confinarsi all'imposizione sui redditi delle persone fisiche sostanzialmente dei lavoratori dipendenti e dei pensionati;
    in questo stato di cose l'obiettivo, non più rinviabile per la tenuta della coesione sociale, di ridurre il prelievo fiscale sui redditi di lavoratori e pensionati e di assumere il sostegno alla famiglia come fattore di una maggiore equità distributiva, va intrapreso, ferma restando la tenuta complessiva dei conti pubblici, modificando la composizione del prelievo, compensando il minore gettito con una revisione dei tributi che colpiscono rendite e consumi, un percorso complementare che conduca ad una revisione delle modalità di tassazione del patrimonio e della proprietà, al fine di ricondurre a tassazione tutte quelle basi imponibili che oggi, per svariati motivi, risultano sfuggenti;
  esprime

PARERE CONTRARIO
Paglia, Fassina.

Pag. 65

ALLEGATO 4

Documento di economia e finanza 2016. Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso.

  PROPOSTA ALTERNATIVA DI PARERE PRESENTATA DAL DEPUTATO PESCO E ALTRI

  La VI Commissione,
   esaminato il Documento di economia e finanza 2016 (Doc. LVII, n. 4, Allegati e Annesso);
   premesso che:
    per quanto riguardo la materia di competenza della Commissione Finanze, sul piano fiscale si può affermare che, ad eccezione dell'annunciata riduzione dell'IRPEF (senza però l'indicazione di alcun criterio programmatico), le scelte programmatiche del Governo non introduco alcuna novità rispetto agli obiettivi già programmati nel precedente anno, tra cui riduzione IRES, fatturazione elettronica e revisione del catasto. Anzi, emerge con evidenza come a distanza di ben due anni, il Governo non sia stato in grado di attuare riforme importanti, peraltro già oggetto della scaduta delega fiscale di cui alla legge 23 del 2014. Il programma nazionale di riforme rappresenta, dunque, più un arido manifesto pubblicitario delle misure di politica fiscale già approvate che (come dovrebbe essere) un documento di programmazione per gli anni avvenire;
    sarebbero auspicabili scelte di politica fiscale più incisive ed efficaci per la concreta riduzione della pressione fiscale, la certezza del prelievo e il rilancio del settore produttivo e dei consumi. Si ritiene infatti prioritario e indispensabile, per la crescita ed il miglioramento dello stato di benessere del Paese, il perseguimento dei seguenti obiettivi:
     a) una riforma strutturale del sistema fiscale con rideterminazione dei carichi fiscali tra imposte dirette e indirette, finalizzata ad una progressiva riduzione della pressione fiscale sul reddito e redistribuzione della ricchezza: il livello di pressione fiscale in Italia – pari al 43,6 per cento nel 2014 e 42,9 nel 2015 – è infatti ancora elevato, essendo superiore di 0,4 punti al massimo storico raggiunto nel 1997, in prossimità dell'avvio dell'Unione economica e monetaria, e di 1,8 punti alla media ponderata degli altri paesi che attualmente appartengono all'area dell'euro; particolarmente elevata rispetto agli altri Paesi europei è la tassazione del sui redditi da lavoro: in base ai dati OCSE – per un lavoratore single senza figli che percepisce la retribuzione media – il peso dell'IRPEF (incluse le addizionali) è pari al 22 per cento della retribuzione, un valore significativamente più elevato di quello rilevato nei principali Paesi europei (19,1 per cento in Germania, 16,6 per cento in Spagna, intorno al 14,5 per cento in Francia e nel Regno Unito); se si analizzano i bilanci delle famiglie italiane, nell'ultimo biennio il reddito familiare annuo al netto delle imposte sul reddito e dei contributi sociali è stato in media pari a 30.500 euro. Pag. 66Il 20 per cento delle famiglie ha un reddito netto annuale inferiore a 15.000 euro, mentre la metà ha un reddito superiore ai 25.000; solo il 10 per cento delle famiglie a più alto reddito percepisce più di 55.000 euro annui; nel 2014, 1 milione e 470 mila famiglie (5,7 per cento di quelle residenti) è in condizione di povertà assoluta, per un totale di 4 milioni 102 mila persone (6,8 per cento della popolazione residente); la situazione reddituale delle famiglie non è migliorata nel 2015; analizzando i dati delle dichiarazioni dei redditi 2015, emerge che oltre il 90 per cento dei contribuenti percepisce un reddito lordo non superiore a 40.000 euro; è chiaro che la pressione fiscale elevata, incidendo direttamente sulla capacità economica delle famiglie, grava inevitabilmente sui consumi, con standard quantitativi e qualitativi inferiori. In tal senso ha gravato significativamente l'aumento dell'aliquota IVA, aumentata di ben due punti percentuali nell'ultimo quinquennio; trattandosi di un'imposta non progressiva, l'incidenza percentuale dell'aumento dell'IVA, non accompagnato dalla riduzione delle imposte dirette, ha pesato ancor di più sulle retribuzioni più basse; a parità di reddito, inoltre, i nuclei famigliari più numerosi hanno subito gli aggravi maggiori;
    non diversa è la situazione dal lato delle imprese: la pressione totale a carico delle imprese si attesta, infatti, al 65,4 per cento, un valore molto elevato che ne riduce significativamente la competitività se considerano i livelli degli altri Paesi europei (la Spagna ha un Total tax rate pari al 58,2 per cento dei profitti; la Germania il 48,8 per cento; il Regno Unito il 33,7 per cento); i costi e gli oneri a carico delle imprese aumentano poi se si valutano i costi indiretti legati alla gestione degli obblighi tributari; si stima che per l'adempimento degli obblighi contabili e tributari, le aziende italiane impiegano in media 269 ore all'anno, che si traducono in rilevanti costi a carico dell'impresa;
    tale contesto richiede misure di politica fiscale molto più incisive di quelle messe in pratica nel corso degli ultimi anni dai vari Governi in carica: basti pensare al tanto pubblicizzato bonus fiscale previsto dal decreto – legge n. 66 del 24 aprile 2014, destinato ai lavoratori dipendenti con un reddito annuo complessivo compreso tra circa 8.100 e 26.000 euro; i dati confermano infatti che la misura avviata dal Governo Renzi, messa poi a regime con la stabilità 2015, se ha generato un aumento dei consumi delle famiglie, dall'altro lato tale effetto positivo è stato compensato con riduzioni di spesa e tagli che di fatto hanno rallentato la crescita; se si analizzano ancora più nel dettaglio gli effetti del bonus degli 80 euro, si scopre che di fatto esso ha contribuito a migliorare la situazione finanziarie delle famiglie con redditi medio-alti e con evidenti disparità di trattamento tra famiglie con un solo percettore del bonus e famiglie con più percettori (le prima rappresentano il 14,8 per cento delle famiglie totali beneficiarie del bonus, contro il 43,7 per cento delle famiglie con 4 percettori e più);
    è giunto il tempo di una riforma strutturale dell'attuale sistema impositivo, non più idoneo a rappresentare la complessa realtà economica del nostro Paese: appare necessaria una revisione dei carichi fiscali tra imposte dirette e indirette, finalizzata ad una progressiva riduzione della pressione fiscale sul reddito delle persone fisiche e giuridiche, nell'ottica di una redistribuzione della ricchezza che tenga effettivamente conto del principio della capacità contributiva e dei doveri di solidarietà economica e sociale previsti dalla nostra Costituzione; la riduzione della pressione fiscale sul reddito rappresenta l'unico strumento per garantire alle famiglie e imprese una capacità di spesa nel tempo (che vada oltre la quota di risparmio), la quale si traduce in aumento di consumi e investimenti, e quindi crescita economica e miglioramento dello stato di benessere; Pag. 67
    inoltre, sempre sul piano della riforma fiscale, gli interventi di riforma devono tener conto anche dei parametri di carattere ambientale affinché il cosiddetto sviluppo sostenibile e la transizione verso un'economia diventino obiettivi concreti e raggiungibili: si propone, al riguardo, l'istituzione di una «Tassa ambientale» (TA) aggiuntiva all'imposta sul valore aggiunto e calcolata in relazione ad un indice sintetico di efficienza di prodotto (desumibile dalle cosiddette «dichiarazioni ambientali di prodotto» – EPD – Evironmental Product Declaration), confrontato con un indice di efficienza standard, incentivando in tal modo la produzione entro standard eco sostenibili;
     b) la riduzione dei tempi di pagamento della P.A.: alla precarietà finanziaria delle imprese e dei professionisti, conseguente alla crisi economica degli ultimi anni, ha contribuito senz'altro il progressivo aumento dei tempi di pagamento dei crediti verso la pubblica amministrazione; il picco è stato raggiunto nell'anno 2012 ove si è registrato un debito da saldare pari a circa 90 miliardi di euro; attualmente, si è ancora lontani dall'integrale assorbimento del debito e, soprattutto, dall'osservanza dei tempi di pagamento fissati dalla legge in 30 giorni; se, da un lato, dunque, non può negarsi che le politiche messe in atto dagli ultimi tre governi hanno segnato una timida inversione di tendenza nei pagamenti, è altrettanto vero che tale risultato è stato conseguito attraverso temporanee iniezioni di liquidità, reperita attraverso un maggior indebitamento dello Stato, con aggravio dei saldi di finanza pubblica: per di più, gli strumenti apprestati non risolvono definitivamente i ritardi nei pagamenti, trattandosi di misure emergenziali praticate più per arginare il fenomeno che per risolverlo; sarebbe certamente più efficace, invece, l'introduzione di strumenti che, messi a regime, consentano di realizzare una normalizzazione dei pagamenti nel lungo periodo, a tutto vantaggio delle imprese e senza oneri aggiuntivi per lo Stato: in tale ottica si propone l'introduzione dell'istituto della compensazione «universale» dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione con i debiti erariali di natura tributaria, previdenziale e assicurativa; la misura favorisce non solo il recupero del credito, superando la problematica dei ritardi nei pagamenti, ma anche rendere le amministrazioni più virtuose nella gestione delle risorse;
     c) l'introduzione della fatturazione elettronica obbligatoria e riduzione del costo degli adempimenti: tra gli strumenti idonei a garantire un'adeguata semplificazione fiscale degli adempimento e, al tempo stesso, un'efficiente livello di contrasto all'evasione, si ritiene infatti indispensabile la fatturazione elettronica obbligatoria;
    come evidenziato nel PNR, l'attuale Governo in carica è già intervenuto al riguardo prevedendo, a decorrere dal 1o gennaio 2017, la facoltà per i soggetti passivi IVA di comunicare telematicamente al Fisco le fatture emesse e ricevute e i dati dei corrispettivi di operazioni rilevanti ai fini IVA svolte con soggetti privati. Si tratta di un'opzione facoltativa che offre il vantaggio, per chi la eserciti, di non dover effettuare adempimenti quali spesometro, black list e modelli Intra sugli acquisti; tuttavia, le misure predisposte appaiono aderenti più ai sistemi contabili e alle esigenze adempimentali delle micro-imprese che non a quelle delle piccole e medie imprese (PMI), in quanto queste ultime sono già dotate di una propria infrastruttura tecnologica; a differenza delle grandi imprese, dotate di risorse interne dedicate allo sviluppo, alle PMI risulterebbe eccessivamente oneroso adeguare la propria infrastruttura tecnologica, necessitando, pertanto, del coordinamento e di integrazione con gli strumenti che saranno messi a loro disposizione dall'Amministrazione finanziaria, con la conseguenza, che eventuali carenze nell'integrazione e nell'interfacciamento tra gli strumenti tecnologici implementati dall'Amministrazione finanziaria e i gestionali avanzati utilizzati dalle piccole e medie Pag. 68imprese potrebbe indurre queste ultime a non optare per la comunicazione telematica dei dati rilevati ai fini IVA pregiudicando in tal modo le previsioni di adesione al sistema di fatturazione elettronica;
    obiettivo prioritario, dunque, è la riduzione dell'onere e del costo degli adempimenti fiscali a carico delle imprese favorendo il processo di automazione e telematizzazione obbligatoria di tutte le operazioni contabili in materia di determinazione dell'imposta sul valore aggiunto (IVA): emissione, ricezione e registrazione delle fatture, liquidazione e versamento del tributo, redazione ed invio dei dichiarativi fiscali, attraverso la predisposizione di software gratuiti che agevolino i contribuenti nella esecuzione dei menzionati adempimenti e nella comunicazione delle informazioni all'Amministrazione finanziaria in una ottica di normalizzazione, riduzione dei costi della compliance e di progressiva sostituzione delle attuali, obsolete modalità cartacee di tenuta delle citate operazioni; messa a regime, la piattaforma tecnologica per la trasmissione telematica potrebbe addirittura essere utilizzata per consentire ai contribuenti di comunicare i dati relativi a costi e ricavi che rilevano ai fini delle imposte sui redditi, onde consentirne l'agevole annotazione ai fini della deducibilità dal reddito imponibile e sopprimendo gli obblighi contabili previsti dalla vigente normativa;
     d) la revisione del sistema di riscossione: se è vero che il recupero dei crediti erariali rappresenta l'interesse primario dello Stato, essendo direttamente connesso alla finanziamento della spesa pubblica, è al contempo vero che la sua attuazione deve comunque contemperare l'interesse del cittadino al pagamento di quanto dovuto con il minor aggravio possibile, sia in termini di oneri finanziari sia sotto il profilo psicologico, evitando ogni forma di pressione tale da ingenerare nei cittadini uno «stato di paura» nei confronti delle istituzioni e dei soggetti preposti al perseguimento dei relativi interessi;
    dai dati pubblicati dal Ministero dell'economia e delle finanze nel Rapporto sull'evasione fiscale allegato alla Nota di aggiornamento al DEF 2015, emerge che il 5,1 per cento delle entrate complessivamente riscosse deriva da ruoli. Nel 2015, gli incassi da rateazione hanno rappresentato circa il 50 per cento del totale degli incassi, un dato sostanzialmente in linea con quello dell'anno precedente; la «sanatoria» della cartelle di Equitalia disposta della legge di Stabilità 2014, che ha dato ai contribuenti la possibilità di pagare in un'unica soluzione, senza interessi, le cartelle e gli avvisi di accertamento esecutivi affidati entro il 31 ottobre 2013 a Equitalia, ha consentito alle casse dello Stato di incassare un gettito pari a 725,5 milioni di euro; nell'anno 2014, la possibilità data per legge ai contribuenti di essere riammessi in rateazione anche se avevano perso il beneficio perché non in regola con i pagamenti, ha portato nuove rateazioni per un importo di circa 1,3 miliardi di euro dilazionati; i dati riportati sono significativi dell'efficacia degli strumenti agevolativi del pagamento rispetto alle procedure di esecuzione forzata;
    è allora necessario un radicale cambio di rotta nelle politiche volte alla riscossione dei crediti erariali: l'intervento che si propone mira a riformare l'attuale sistema di riscossione mediante ruolo, locale e nazionale, sia sul piano delle procedure finalizzate al recupero del credito, con riduzione dei costi a carico dei contribuenti, sia degli strumenti posti a tutela del cittadino di fronte ad illegittimità e irregolarità commesse nella gestione della riscossione, che spesso si traducono in danni patrimoniali non più recuperabili; sotto il primo profilo, gli obiettivi non possono essere perseguiti se non attraverso una progressiva attribuzione dell'attività della riscossione direttamente all'Ente Impositore (ADE, Ministero, Enti locali) nonché mediante il rafforzamento e la razionalizzazione degli attuali strumenti di riduzione dell'indebitamento, riducendo così l'aggravio di costi (aggi e mora) a carico dei contribuenti. In tale ottica, si propone altresì la revisione della disciplina delle Pag. 69esecuzioni forzate, contemperando l'interesse del debitore alla preservazione del proprio patrimonio, e sancendo l'inderogabile principio dell'assoluta impignorabilità dell'abitazione principale, oggi mitigato dai limiti applicativi delle vigenti disposizioni; quanto alla tutele, le misure adottabili consistono nell'introduzione di procedure volte al risarcimento diretto dei danni cagionati dall'attività illegittima dell'amministrazione finanziaria (sia in fase di accertamento sia in fase di riscossione), nonché il rafforzamento del principio della responsabilità patrimoniale e personale dei funzionari pubblici per i danni erariali cagionati allo Stato;
   e) il rafforzamento della compliance con il contribuente e contrasto all'evasione fiscale: l'efficienza e l'efficacia dell'azione amministrativa e delle politiche di indirizzo del Governo si misurano soprattutto in funzione del rapporto di fiducia reciproca tra istituzioni e collettività; sul piano fiscale, tali parametri si sostanziano nei principi di buona fede e collaborazione tra amministrazione finanziaria e contribuenti, sanciti dall'articolo 10 dello Statuto dei diritti del Contribuente, a cui si affiancano i principi di buona andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione costituzionalmente previsti dall'articolo 97 della Costituzione; l'intervento di riforma deve anzitutto migliorare l'azione dell'Agenzia delle entrate puntando essenzialmente sulla qualità del controllo e la revisione degli obiettivi di budget in tema di accertamenti dell'Agenzia delle entrate diventa allora un passaggio fondamentale;
    nel corso degli ultimi anni l'Agenzia delle entrate ha subito un processo di riorganizzazione finalizzato al miglioramento dell'azione nella lotta all'evasione, ma che purtroppo non ha condotto ai risultati sperati; da ultimo, l'accorpamento all'Agenzia delle entrate dell'Agenzia del territorio disposto con il decreto – legge n. 95 del 2012: si è cercato di ottimizzare i controlli fiscali sia attraverso una redistribuzione dei ruoli e delle funzioni all'interno degli Uffici dell'Agenzia delle entrate (suddivisi in «Ufficio controlli», «Ufficio Territoriale» e «Ufficio Legale») sia mediante la differenziazione dell'attività di accertamento in base al tipo di contribuente, distinguendo a tal fine diverse macro tipologie di contribuenti (grandi contribuenti, medie e piccole imprese, lavoratori autonomi, enti non commerciali, persone fisiche);
    gli obiettivi programmati non sono stati al contempo supportati dalla revisione dei criteri di determinazione dei compensi incentivanti, basati sul raggiungimento di meri obiettivi quantitativi in tema di controlli e riscossione, che inaspriscono l'azione dell'amministrazione finanziaria a danno del contribuente; l'interesse fiscale e la frenetica ricerca del gettito programmato, spesso finisce addirittura per prevalere sul principio della «giusta imposizione fiscale» dettato dall'articolo 53 della Costituzione, oltre a compromettere l'affidabilità ed efficacia degli stessi strumenti preventivi di controllo che il legislatore, soprattutto degli ultimi anni, ha introdotto al fine di favorire il confronto preventivo con il contribuente e la riduzione del contenzioso;
    il risultato conseguito è strettamente connesso agli obiettivi numerici di budget fissati nel 2014 su livelli compatibili con il massimo sforzo delle risorse disponibili, in costante diminuzione; la costruzione di un solido rapporto tra amministrazione e contribuente, basato sulla reciproca collaborazione e buona fede, presuppone necessariamente la revisione dei criteri di determinazione dei compensi incentivanti, che non possono più essere ancorati al mero perseguimento di meri budget quantitativi di riscossione e controlli ma devono mirare ad ottimizzare gli esiti dei singoli controlli indirizzandoli sulle situazioni a maggior rischio fiscale e improntando l'azione amministrativa all'efficacia, efficienza ed economicità: in tal senso, sarebbe senz'altro proficua l'attivazione e lo sviluppo di attività ispettiva interna, tesa alla verifica della corretta applicazione delle leggi d'imposta da parte dei dipendenti uffici esecutivi;Pag. 70
    sempre nell'ottica di un rafforzamento e della concreta attuazione dei richiamati principi, sarebbe altresì auspicabile il progressivo abbandono degli strumenti standardizzati di determinazione della ricchezza tassabile, che da strumenti di controllo sono diventati nel corso degli anni strumento di indirizzo del contribuente in fase dichiarativa; gli strumenti standardizzati di accertamento (tra cui gli studi di settore) hanno assunto nel corso degli anni una funzione propriamente deterrente o, meglio ancora, «condizionante» delle scelte del contribuente, il quale, spesso, pur di non di esporsi ad un potenziale controllo dell'amministrazione finanziaria, decide di «adeguarsi» alle risultanze dello studio di settore, sebbene esse siano superiori ai ricavi o compensi effettivamente conseguiti; viceversa, gli stessi strumenti standardizzati di accertamento rappresentano allo stesso tempo un vero e proprio «scudo» (a danno delle casse dello Stato) per quei contribuenti che, pur conseguendo ricavi o compensi superiori a quelli desumibili dalle risultanze statiche, si adeguano scontando un'imposta minore a quella effettivamente dovuta; tali distorsioni hanno di fatto compromesso il rapporto di fiducia tra Fisco e contribuenti, soprattutto le fasce deboli, sempre più oppresse dalla necessità di adeguarsi ai ricavi predeterminati dall'amministrazione;
    per il miglioramento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti, dunque, si propone la progressiva abolizione degli strumenti standardizzati di accertamento quali strumenti di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano l'instaurazione di un dialogo costante con i contribuenti. Indispensabile è poi il potenziamento e l'intensificazione della lotta all'evasione internazionale mediante il rafforzamento degli strumenti di cooperazione internazionale, con particolare riguardo all'invio di richieste di assistenza amministrativa e di scambi informativi spontanei, nonché all'attivazione dei controlli multilaterali, anche in conseguenza delle molteplici convenzioni stipulate con gli Stati della comunità europea ed internazionale in materia di scambio di informazioni e rimozione del segreto bancario; anche in questo caso l'azione dell'amministrazione finanziaria deve essere finalizzata alla repressione preventiva delle condotte di evasione ed elusione; si ritiene utile inoltre l'introduzione di misure a sostegno del «contrasto d'interesse», quali l'introduzione (già sperimentata positivamente in altri paesi europei) di concorsi a premi (erogazioni di denaro o beni in natura) estratti sulla base dello scontrino fiscale, nonché mediante il riconoscimento di agevolazioni fiscali (ad esempio crediti d'imposta) in settori caratterizzati da elevati indici di evasione fiscale;
   f) la riforma della giustizia tributaria: la riforma fiscale del sistema tributario non può trascurare le tutele che lo Stato deve garantire ai cittadini contribuenti; si impone pertanto la necessità di riformare l'attuale assetto della giustizia tributaria;
    la relazione sul monitoraggio dello stato del contenziosi tributario e sull'attività delle commissioni tributarie, predisposta dal MEF, attesta che nel corso del 2014 sono state depositate complessivamente 261.155 sentenze (213.612 in CTP e 47.543 in CTR), delle quali il 95,7 per cento è stato depositato entro sei mesi dalla data dell'ultima udienza, il 3,9 per cento è stato depositato dopo sei mesi ma prima di un anno e lo 0,4 per cento dopo che sia trascorso un anno dall'ultima udienza; in ordine ai tempi del processo, espresso in giorni, che tiene conto del periodo intercorrente tra la data di deposito della controversia presso la Commissione adita e la data di spedizione del dispositivo alle parti processuali, l'analisi ha rilevato che nel 2014 sono trascorsi in media 961,3 giorni (2 anni e 8 mesi) per le CTP e 729,4 giorni (2 anni) per le CTR; rispetto ai dati dell'anno precedente si riscontra un miglioramento di 2 mesi del tempo medio del processo nel primo grado Pag. 71di giudizio (il valore medio nel 2013 è stato pari a 1.043,1 giorni – pari a 2 anni e 10 mesi), mentre nel secondo grado di giudizio è rimasto pressoché invariato (il valore medio nel 2013 è stato pari a 730,0 giorni – pari a 2 anni); dal raffronto di tali dati con quelli relativi ad altre giurisdizioni (civile e penale soprattutto), emerge, contrariamente a quanto si sostiene nel PNR, l'efficienza della giurisdizione tributaria rispetto a quella ordinaria in termini di celerità dei procedimenti e al competenza tecnico giuridica delle attuali commissioni tributarie; il processo tributario è tuttavia ancora lontano dal realizzare il «giusto processo» garantito dall'articolo 111 della Costituzione che, oltre alla ragionevole durata, individua tra gli elementi indefettibili l'imparzialità, terzietà e indipendenza dei giudici;
    pertanto, preservando gli attuali punti di forza della giurisdizione tributaria (celerità e competenza), l'intervento di riforma deve mirare a garantire l'imparzialità e terzietà dei giudici tributari, oggi carente; l'attuale composizione strutturale delle commissioni tributarie provinciale e regione è sottoposta, finanziariamente, al Ministero dell'economia e delle finanze; al riguardo è emblematico l'articolo 13 del decreto legislativo n. 545 del 1992, che regola la composizione delle CTP e CTR: la norma, infatti, rimette al Ministro delle finanze la determinazione del compenso fisso mensile spettante ai componenti delle commissioni tributarie nonché del compenso aggiuntivo determinato per ogni ricorso definito; lo stesso Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, organo di autogoverno delle commissioni tributarie, è nominato su proposta del MEF; appare evidente, dunque, che tale sistema di dipendenza politica e finanziaria lede, almeno sotto il profilo formale, l'imparzialità delle commissioni tributarie considerato che tra le parti in causa dei contenziosi tributari figura quasi sempre l'amministrazione finanziaria;
    non meno importante è poi la necessità garantire un adeguato grado di professionalità della magistratura tributaria, realizzabile solo attraverso l'istituzione di giudici di ruolo a tempo pieno, nominati mediante pubblico concorso: dai dati esposti nella Relazione annuale sul contenzioso tributario 2014, emerge che ogni giudice di primo grado, ha celebrato nel 2014, in media, 23,4 udienze (meno di due al mese) ed ha trattato 140,6 ricorsi; nel secondo grado, rispettivamente 18,4 udienze e 64,2 appelli; pesano poi le vigenti modalità di determinazione e quantificazione dei compensi dei giudici tributari (retribuiti «a sentenza»), per di più rimesse alle valutazioni del Ministro delle Finanze;
   considerato che:
    sul piano delle politiche bancarie, nel DEF 2016 si dichiara che il sistema bancario e finanziario italiano sia sostanzialmente solido nonostante un elevato livello di crediti in sofferenza: al fine di rafforzare il sistema, evitare il sorgere di ipotetiche crisi e gestire al meglio le medesime il Governo intende ridurre i tempi di recupero dei crediti ed in particolar modo semplificare l'escussione delle garanzie; sicuramente lo stock di crediti deteriorati incide negativamente sulla redditività delle banche, ma la crisi che investe l'economia reale non è l'unico fattore che incide negativamente sulla redditività delle banche: infatti il Governo non prende minimamente in considerazione la speculazione finanziaria e le ingenti perdite accumulate dalle banche negli ultimi anni derivanti da investimenti in strumenti finanziari derivati e speculativi in genere; piuttosto che velocizzare le procedure di escussione delle garanzie soprattutto per il tramite di accordi stragiudiziali che inevitabilmente riducono la tutela giudiziale dei cittadini, sarebbe opportuno procedere alla separazione delle banche di investimento dalle banche tradizionali e prevedere per quest'ultime rigidi limiti di indebitamento ed un divieto di utilizzo di strumenti finanziari derivati e speculativi in genere; in questo modo si eviterebbe, da un lato, la necessità di predisporre piani di risanamento del sistema bancario e finanziario che incidono, direttamente o indirettamente, sulle risorse Pag. 72erariali, come ad esempio la modifica della disciplina delle svalutazioni e delle perdite su crediti degli enti creditizi e finanziari e delle imprese di assicurazione che ha consentito la deducibilità (sulle imposte dirette) in un unico esercizio rispetto ai precedenti 5 anni, e, dall'altro, la necessità di predisporre piani di gestione e risoluzione delle crisi che possono sfociare, come già accaduto, con l'applicazione del bail in al fine di assorbire le perdite e ricapitalizzare banche che hanno operato senza ragionevoli limiti all'indebitamento e soprattutto senza alcun genere di divieto di investimento in strumenti finanziari derivati e speculativi in genere; è paradossale, infatti, che le banche investano il risparmio dei propri clienti in strumenti finanziari con elevato grado di rischio perdita del capitale investito e procedano, successivamente al verificarsi della perdita, all'utilizzo di ulteriore risparmio dei clienti della propria banca per coprire le perdite e ricapitalizzare la banca: tale logica di operatività è del tutto irragionevole e non conforme ai principi del diritto commerciale, infatti si ricorda che i clienti non partecipano ai risultati di gestione della banca, soprattutto se trattasi di una società per azioni, ma nonostante ciò sono costretti a farsi carico delle perdite generate dagli organi di amministrazione e controllo della società, tra l'altro remunerati con elevate retribuzioni;
    considerato che il DEF non prevede misure volte a:
     1) riformare il sistema fiscale mediante rideterminare i carichi fiscali tra imposte dirette e indirette, al fine di attuare una progressiva riduzione della pressione fiscale sul reddito e redistribuzione della ricchezza, garantendo una maggiore disponibilità economica in capo alle famiglie e imprese, indispensabile per il rilancio dei consumi e dell'economia nazionale;
     2) attuare politiche fiscali a tutela dell'ambiente e per la promozione dello sviluppo sostenibile, anche attraverso l'istituzione di una «Tassa ambientale» (TA) aggiuntiva all'imposta sul valore aggiunto, incentivando in tal modo la produzione ed i consumi entro standard eco sostenibili;
     3) agevolare i tempi di pagamento dei debito della PA con l'introduzione dell'istituto della compensazione «universale» dei crediti vantati nei confronti della pubblica amministrazione con i debiti erariali di natura tributaria, previdenziale e assicurativa, favorendo il celere recupero del credito e una maggiore efficienza nella gestione delle risorse pubbliche;
     4) riformare l'attuale sistema di riscossione mediante ruolo, locale e nazionale, attuando una progressiva attribuzione dell'attività della riscossione direttamente all'Ente Impositore (ADE, Ministero, Enti locali) nonché mediante il rafforzamento e la razionalizzazione degli attuali strumenti di riduzione dell'indebitamento, riducendo così l'aggravio di costi (aggi e mora) a carico dei contribuenti ed agevolando il recupero dell'indebitamento;
     5) revisionare i criteri di determinazione dei compensi incentivanti delle Agenzie fiscali, disancorandoli dal mero perseguimento di budget quantitativi di riscossione controlli, e mirando viceversa ad ottimizzare gli esiti dei singoli controlli, indirizzandoli sulle situazioni a maggior rischio fiscale e improntando l'azione amministrativa all'efficacia, efficienza ed economicità;
     6) rafforzare gli strumenti posti a tutela del cittadino di fronte ad illegittimità e irregolarità commesse nella gestione della riscossione con l'introduzione di procedure volte al risarcimento diretto dei danni cagionati dall'attività illegittima dell'amministrazione finanziaria (sia in fase di accertamento che riscossione) nonché sancendo il principio della responsabilità patrimoniale e personale dei funzionari pubblici per i danni erariali cagionati allo Stato;
     7) implementare e migliorare le procedure volte al controllo ispettivo interno Pag. 73all'amministrazione finanziaria, per la compiuta verifica della corretta applicazione delle leggi d'imposta da parte dei dipendenti uffici esecutivi;
     8) per il miglioramento della collaborazione tra amministrazione e contribuenti, avviare una progressiva abolizione degli strumenti standardizzati di accertamento quali strumenti di rilevazione statistica del reddito favorendo, viceversa, sistemi di controllo che incentivino una compliance preventiva tra contribuenti ed amministrazione finanziaria, anche attraverso la predisposizione di strumenti informatici gratuiti che consentano l'instaurazione di un dialogo costante con i contribuenti;
     9) intensificare la lotta all'evasione internazionale sia attraverso il potenziamento degli strumenti preventivi di contrasto all'evasione ed elusione internazionale sia mediante il rafforzamento degli strumenti di cooperazione internazionale, con particolare riguardo all'invio di richieste di assistenza amministrativa e di scambi informativi spontanei, nonché all'attivazione dei controlli multilaterali, anche in conseguenza delle molteplici convenzioni stipulate con gli Stati della comunità europea ed internazionale in materia di scambio di informazioni e rimozione del segreto bancario;
     10) introdurre misure a sostegno del «contrasto d'interesse», quali l'introduzione di concorsi a premi (erogazioni di denaro o beni in natura) estratti sulla base dello scontrino fiscale, nonché mediante il riconoscimento di agevolazioni fiscali (es. crediti d'imposta) in settori caratterizzati da elevati indici di evasione fiscale;
     11) al fine di garantire l'efficienza, l'imparzialità e l'indipendenza della magistratura tributaria, riformare la giustizia tributaria garantendo la professionalità della giurisdizione tributaria attraverso l'istituzione di giudici di ruolo a tempo pieno;
     12) ad introdurre disposizioni di carattere normativo, con annesse sanzioni, al fine di vietare allo Stato, alle Fondazioni bancarie, alle imprese bancarie, finanziarie ed assicurative di effettuare investimenti in strumenti finanziari derivati o speculativi che implichino il rischio di perdite patrimoniali e siano pregiudizievoli per le risorse erariali e per il risparmio dei cittadini;
     13) predisporre nuovi criteri e limiti di indebitamento per le imprese bancarie, finanziarie ed assicurative, riducendo in tal modo i potenziali rischi di perdite patrimoniali;
     14) promuovere la separazione tra banche commerciali e banche d'investimento, favorendo l'istituzione di banche, anche di natura pubblica, preposte al finanziamento dell'economia reale, a cui sia posto l'esplicito divieto di investire in strumenti finanziari derivati, speculativi o rischiosi per l'integrità patrimoniale ed il risparmio dei cittadini;
     15) sollecitare la Banca d'Italia ad avviare indagini e controlli nei confronti delle banche caratterizzate da consistenti volumi di sofferenze al fine di individuare le cause ed i responsabili della non corretta gestione;
     16) incentivare forme alternative di accesso al credito tra cui l'istituto del «crowfunding», rivedendo l'attuale regolamento che non ha permesso in questi ultimi anni un adeguato sviluppo e utilizzo di questo strumento di finanziamento ed estendendone l'accesso anche a società di nuova costituzione. Altresì, estendere l'utilizzo del Fondo di garanzia per le piccole e medie imprese alle operazioni di «crowfunding»;
     17) rafforzare le sanzioni penali in materia di usura bancaria ed attuare le opportune modifiche normative e procedurali al fine di assicurare la corretta ed effettiva applicazione delle sanzioni penali;
     18) introdurre disposizioni normative volte ad impedire l'applicazione di ogni forma di anatocismo a prescindere da ogni possibile modalità di determinazione; Pag. 74
     19) rivedere la procedura di risoluzione delle crisi bancarie escludendo ogni genere di riduzione del valore degli strumenti finanziari posseduti dai risparmiatori;
     20) annullare la procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara Spa, la Banca delle Marche Spa, la Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e la Cassa di risparmio della Provincia di Chieti Spa ed a restituire il risparmio ai cittadini,
  esprime

PARERE CONTRARIO
Pesco, Alberti, Villarosa, Ruocco, Pisano.

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ALLEGATO 5

5-08450 Villarosa: Iniziative per annullare gli effetti della procedura di risoluzione della Cassa di Risparmio di Ferrara, della Banca delle Marche, della Banca popolare dell'Etruria e del Lazio e della Cassa di Risparmio di Chieti.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Villarosa ed altri chiedono «se si intendano assumere iniziative per annullare immediatamente gli effetti della procedura di risoluzione» di Cassa di Risparmio di Ferrara, Banca delle Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio e Cassa di Risparmio di Chieti «e gli effetti delle disposizioni di cui al decreto legge n. 183 del 2015, inserite successivamente nella legge di stabilità 2016, al fine di evitare che una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale possa arrecare maggiori oneri per la finanza pubblica».
  Al riguardo, sentita anche la Banca d'Italia, con i provvedimenti assunti a novembre 2015, il Governo e l'istituto di vigilanza, in stretta collaborazione, hanno dato soluzione alla crisi delle quattro banche assicurando la continuità operativa delle banche stesse, tutelando i depositanti e preservando i rapporti di lavoro, senza l'ausilio di risorse pubbliche.
  Le perdite accumulate nel tempo da queste banche, valutate con criteri estremamente prudenti, sono state assorbite innanzi tutto dagli strumenti di investimento più rischiosi: le azioni e le «obbligazioni subordinate», che per loro natura sono esposte al rischio d'impresa.
  L'interrogazione solleva dubbi di incostituzionalità, per violazione degli articoli 42 e 47 della Costituzione, della disciplina recata dal decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, di recepimento della direttiva 2014/59/UE, cosiddetto BRRD, che consente di azzerare e ridurre le riserve e il capitale rappresentato da azioni, gli altri strumenti finanziari computabili nel capitale primario di classe 1, gli strumenti di capitale aggiuntivo di classe 1 nonché di azzerare, ridurre o convertire gli elementi di classe 2 (articoli 27 e 28, decreto legislativo 180/2015).
  In via preliminare si ritiene opportuno chiarire che nei casi di specie i provvedimenti di avvio alla risoluzione non contemplano l'utilizzo dello strumento di risoluzione denominato «bail-in», previsto all'articolo 52 del decreto legislativo 180/2015 e divenuto efficace solo il 1o gennaio 2016.
  La Banca d'Italia ha invece fatto uso dei poteri di cui ai citati articoli 27 e 28, decreto legislativo 180/2015 (cosiddetto write-down), che recepiscono gli articoli 59 e 60 della BRRD: questi ultimi non sono coperti dalla facoltà di poterne rinviare l'entrata in vigore al 1o gennaio 2016, come consentito, sempre dalla normativa comunitaria, per il solo strumento del bail-in. I poteri di write-down delle azioni e degli strumenti di capitale di classe 1 e 2 non sono neanche strumenti di risoluzione poiché possono essere utilizzati anche indipendentemente da una procedura Pag. 76di risoluzione, e la BRRD obbliga gli Stati membri a dotare le Autorità di risoluzione di tali poteri.
  Il bail-in è invece uno strumento di risoluzione e ha un ambito di applicazione molto più ampio (sostanzialmente tutte le passività non garantite della banca tranne i depositi coperti dal sistema di garanzia dei depositi di cui alla direttiva 2014/49/UE).
  Dal punto di vista dell'analisi costituzionale si tratta in entrambi i casi di misure che implicano un intervento autoritativo su rapporti di diritto privato della cui costituzionalità non sembra potersi dubitare.
  Esse, peraltro, risultano pienamente conformi alla giurisprudenza e ai principi del diritto dell'Unione in tema di tutela della proprietà azionaria.
  Infatti, la disciplina di BRRD e del decreto legislativo 180/2015 è totalmente conforme alla giurisprudenza e ai principi del diritto dell'Unione in tema di tutela della proprietà azionaria: la direttiva e il decreto legislativo 180/2015 prevedono infatti, a fronte di tools il cui esercizio da parte delle autorità può determinare pesanti interferenze sul pieno e pacifico godimento dei diritti connessi alla partecipazione azionaria, una serie di salvaguardie volte ad assicurare, da un lato, i) che l'azione delle autorità trovi adeguata giustificazione nell'interesse pubblico alla stabilità sistemica; ii) che non si impongano agli azionisti sacrifici sproporzionati; iii) che, infine, le esigenze di tutela dei diritti si concilino con le esigenze di celerità e di stabilità degli effetti che la gestione delle crisi bancarie richiede.
  Con riferimento, infine, al caso Tercas di cui è cenno nell'interrogazione, il paragone ipotizzato non tiene conto che la vicenda Tercas risale al 2014, ben prima dell'entrata in vigore del citato decreto legislativo. Peraltro la decisione della Commissione è stata impugnata.

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ALLEGATO 6

5-08451 Pelillo: Equivalenza nel trattamento tributario delle perdite relative a partecipazioni non qualificate in caso di default dell'emittente dei titoli tra i risparmiatori che si avvalgono del regime dichiarativo o amministrato e i risparmiatori che si avvalgono del regime gestito.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il documento in esame, gli Onorevoli interroganti chiedono al Governo di ripristinare l'equivalenza di trattamento, ai fini fiscali, tra risparmiatori che detengono partecipazioni non qualificate che si trovano a dover sopportare una «perdita» in caso di default dell'emittente nell'ambito dei tre regimi previsti per la tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria (regime dichiarativo, amministrato e gestito).
  In particolare, gli Onorevoli evidenziano che il regime dichiarativo – di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461 – e il regime del risparmio amministrato – di cui al successivo articolo 6 del medesimo decreto legislativo – consentono di compensare le eventuali minusvalenze, derivanti dalla cessione a titolo oneroso di attività finanziarie realizzate, dalle plusvalenze aventi la medesima natura realizzate nel medesimo periodo d'imposta e nei quattro successivi.
  Nel regime del risparmio gestito di cui all'articolo 7 del medesimo decreto legislativo n. 461 del 1997 risulta, invece, sottoposto a tassazione il risultato netto di gestione maturato alla fine di ciascun periodo d'imposta con automatica compensazione non solo delle minusvalenze realizzate nel corso del periodo d'imposta, ma anche di quelle solamente iscritte che derivano dalla valutazione delle attività finanziarie detenute alla fine del periodo d'imposta.
  Al riguardo, sentiti i competenti Uffici dell'Amministrazione finanziaria, giova preliminarmente evidenziare che il regime del risparmio gestito di cui all'articolo 7 del decreto legislativo del 21 novembre 1997, n. 461, ha caratteristiche del tutto particolari che non consentono un giudizio di comparazione con gli altri due regimi precedentemente menzionati.
  Inoltre, l'applicazione del regime del risparmio gestito deriva da un'espressa opzione che è rimessa alla libera scelta del contribuente.
  Ciò posto, l'articolo 67, comma 1, lettera c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R) prevede la possibilità dei titoli azionari di generare redditi diversi di natura finanziaria (plusvalenze e minusvalenze) per effetto della sola cessione a titolo oneroso dell'attività finanziaria, e non già per effetto della valutazione o del rimborso dell'attività stessa.
  Le «perdite» cui fanno riferimento gli Onorevoli interroganti non traggono la loro origine da una cessione a titolo oneroso dei titoli, o da un'operazione ad essa fiscalmente assimilata (ad esempio permuta, conferimento, costituzione di un Pag. 78diritto reale), bensì da un'operazione di valutazione, ancorché legata ad eventi certi ed obiettivi, quali possono essere il fallimento della società o l'esistenza di un'altra procedura concorsuale.
  Pertanto, a tali operazioni non può essere riconosciuta alcuna rilevanza nella determinazione dei redditi diversi di natura finanziaria.
  Tali «perdite» sono da considerarsi sostanzialmente delle perdite di capitale.
  Tuttavia, fattuale modalità di tassazione dei redditi di capitale di cui all'articolo 45, camma 1, del TUIR prevede che i suddetti redditi sono costituiti dall'ammontare degli interessi, utili o altri proventi percepiti nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione. Pertanto, al fine della determinazione di tali redditi non è riconosciuta rilevanza ad alcun onere o altro differenziale negativo. Ciò vale sia per le «perdite» che emergono dal rimborso delle azioni sia per eventuali «perdite» che dovessero emergere da una valutazione delle stesse attività.
  Pertanto, tenuto conto dell'attuale sistema di tassazione delle rendite finanziarie, derivante dai principi contenuti nell'articolo 3, comma 160 della legge 23 dicembre 1996, n. 662 e recepiti dal decreto legislativo n. 461 del 1997, l'attribuzione di un'apposita rilevanza fiscale alle «perdite» in esame, necessita di adeguati approfondimenti relativi anche all'opportunità di un'eventuale modifica normativa.

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ALLEGATO 7

5-08452 Sottanelli: Rapporto tra le garanzie statali sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (GACS) e le garanzie già rilasciate dai consorzi di garanzia collettiva fidi.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con l'interrogazione a risposta immediata in Commissione l'onorevole Giulio Cesare Sottanelli, con riferimento all'accordo raggiunto dal Ministro dell'Economia e delle Finanze con la Commissione europea, chiede se il rilascio da parte dello Stato della garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze (GACS) di cui al Capo II del decreto-legge 18 del 2016 sia sostitutiva (e non integrativa) delle garanzie eventualmente già rilasciate dai Consorzi di garanzia collettiva dei fidi (Confidi).
  Al riguardo, sentita anche la Banca d'Italia, si fa presente che ai sensi del decreto legge n. 18 del 2016, convertito nella legge 8 aprile 2016, n. 49 il MEF può concedere la garanzia dello Stato sulle passività emesse nell'ambito di operazioni di cartolarizzazioni effettuate ai sensi della legge n. 130 del 1999 a fronte della cessione di crediti classificati in sofferenza da parte di banche e intermediari finanziari iscritti nell'albo di cui all'articolo 106 TUB. In particolare, è previsto che:
   la cartolarizzazione sia effettuata mediante cessione del portafoglio ad una società cessionaria come definita dalla legge n. 130 del 1999 (ossia la società veicolo per la cartolarizzazione);
   sia prevista l'emissione di titoli di almeno due classi diverse (senior e junior);
   il titolo senior deve aver ottenuto una valutazione del merito di credito (rating) pari almeno ad «investment grade»;
   la garanzia dello Stato può essere rilasciata esclusivamente a favore dei portatori dei titoli di classe senior e diviene efficace se la società cedente (banca/intermediario finanziario) realizzi l'effettivo trasferimento dei rischi e benefici del portafoglio, con conseguente cancellazione dello stesso dal proprio bilancio.

  Per quanto riguarda le garanzie rilasciate dai Confidi, il decreto legislativo 385 del 1993 (TUB), come modificato dal decreto legislativo 141 del 2010, individua due «categorie» di Confidi:
   1) i Confidi iscritti nell'albo ex articolo 106 TUB e vigilati dalla Banca d'Italia;
   2) i cosiddetti Confidi «minori», non soggetti a forme di vigilanza prudenziale e destinati ad essere vigilati dall'Organismo per la tenuta dell'elenco dei confidi, secondo quanto previsto dall'articolo 112-bis TUB.

  Tutti i Confidi (sia quelli iscritti nell'albo ex articolo 106 sia quelli minori) svolgono l'attività di garanzia collettiva dei fidi.
  Il rilascio di garanzie da parte di un Confidi può configurarsi in vario modo e, pertanto, diverse sono le regole di natura prudenziale dettate dalla disciplina comunitaria, nonché da quella nazionale. Limitando l'esame ai soli casi di «interazione» Pag. 80con operazioni di cartolarizzazione, è possibile identificare essenzialmente i seguenti casi:
   a) il Confidi ha rilasciato una garanzia sui crediti poi classificati in sofferenza e successivamente inclusi nel portafoglio oggetto di cessione alla società veicolo per la cartolarizzazione. In tal caso, si è dell'avviso che non sussista relazione alcuna tra la garanzia rilasciata dal confidi – che rimane valida ed efficace secondo lo specifico regime contrattuale – rispetto a quella eventualmente rilasciata dallo Stato sul titolo senior della successiva cartolarizzazione; la garanzia rilasciata dal confidi potrà eventualmente essere tenuta in considerazione nella valutazione del profilo di rischio del portafoglio ceduto nonché del rating assegnato alle diverse tranches;
   b) il Confidi ha rilasciato una «garanzia» sulle tranches di una cartolarizzazione. Tenuto conto che la garanzia dello Stato può essere rilasciata solo su titoli senior emessi e che i Confidi di norma rilasciano garanzie sulle tranches diverse da quella senior anche in questo caso, non si ravvisa alcuna sostituzione/sovrapposizione tra la garanzia rilasciata dallo Stato e quella rilasciata dai Confidi.

  Pertanto, la società di cartolarizzazione, alla quale l’originator ha ceduto i crediti, emette titoli la cui remunerazione dipende esclusivamente dagli incassi rivenienti dai crediti ceduti.
  Nel caso delle GACS la struttura tipica dell'operazione di cartolarizzazione non è derogata.
  La garanzia dello Stato assiste i detentori dei titoli, o meglio i detentori dei titoli della classe senior, quella che gode della priorità nel pagamento degli interessi e nel rimborso del capitale. Qualora gli incassi rivenienti dai crediti non siano sufficienti a remunerare i titoli senior, subentra il garante pubblico.
  Nulla muta, invece, nelle caratteristiche del credito in sofferenza ceduto: la garanzia pubblica non integra, né sostituisce le eventuali garanzie che lo assistono, che quindi rimangono efficaci, ferme restando le diverse pattuizioni contrattuali.

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ALLEGATO 8

5-08453 Busin: Chiarimenti circa la detraibilità delle spese sostenute per la mensa scolastica.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame gli Onorevoli interroganti chiedono chiarimenti interpretativi in merito alla recente modifica dell'articolo 15 del T.U.I.R, da parte della legge 107 del 2015 che ha introdotto la detraibilità «delle spese sostenute per la frequenza di scuole dell'infanzia del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione, per un importo non superiore a 400 euro per alunno o studente (lettera e-bis).
  In particolare, gli Onorevoli sottolineano che nonostante l'Agenzia delle entrate nella circolare n. 3 del 2 marzo 2016 abbia precisato che rientrerebbero nella previsione della lettera e-bis) le spese sostenute per la mensa scolastica, sono pervenute segnalazioni in cui si denuncia la resistenza di alcuni CAF ad inserire dette le spese per la mensa scolastica tra le spese detraibili, in quanto non si riconoscono validi documenti di certificazione le ricevute di pagamento e la certificazione del Comune che gestisce la mensa scolastica.
  Pertanto, gli Onorevoli chiedono «se non ritenga opportuno provvedere al più presto, attraverso una circolare dell'amministrazione finanziaria o attraverso qualsiasi altro strumento che si ritenga appropriato, affinché si chiarisca che le spese per la mensa scolastica rientrano in maniera certa ed incontestabile nelle spese detraibili per la frequentazione scolastica e che, ai fini certificativi per la compilazione del modello 730 Unico, sia sufficiente la sola ricevuta in possesso del contribuente».
  Al riguardo l'Agenzia delle entrate fa presente che, come evidenziato dagli Onorevoli interroganti, nella citata circolare n. 3/E del 2016 è stato già chiarito che le spese sostenute per la mensa scolastica possono essere comprese tra quelle «per la frequenza di scuole dell'infanzia, del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado», per le quali spetta la detrazione ai sensi dell'articolo 15, comma 1, lettera e-bis) del T.U.I.R nel limite massimo di spesa annua di 400 euro per alunno o studente a partire dal 1o gennaio 2015.
  L'Agenzia ritiene, pertanto, che le indicazioni sul punto siano state fornite con chiarezza.
  Comunque, tenuto conto delle criticità segnalate dagli Onorevoli interroganti, l'Agenzia delle entrate rappresenta che con una circolare di prossima emanazione saranno fornite ulteriori indicazioni in ordine alla documentazione necessaria per certificare il sostenimento della spesa in questione.

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ALLEGATO 9

5-08454 Laffranco: Iniziative in merito ai dati contenuti nei cosiddetti «Panama Papers».
5-08455 Paglia: Utilizzo dei dati contenuti nei cosiddetti «Panama Papers» ed iniziative in merito al rientro dei capitali dall'estero.

TESTO DELLA RISPOSTA

  Con il question time in esame l'Onorevole interrogante fa riferimento all'inchiesta giornalistica, conosciuta con il nome di «Panama Papers», che ha portato alla luce una rilevante mole di documenti comprovanti la costituzione, da parte dello studio legale Mossack e Fonseca di Panama, di migliaia di società offshore, fondazioni, trust e società ubicate in paradisi fiscali, allo scopo di consentire ai propri clienti in tutto il mondo di sottrarre a tassazione nei paesi di residenza ingenti flussi finanziari tra il 1975 e il 2015.
  L'interrogante chiede in particolare di quali documenti siano in possesso il Governo e l'Agenzia delle Entrate in merito all'inchiesta in argomento e se e quali azioni il Ministro interrogato intende intraprendere in proposito.
  Al riguardo, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si rappresenta quanto segue.
  Come dichiarato dal Direttore, l'Agenzia delle entrate sta lavorando in sintonia con tutta l'Amministrazione finanziaria, sotto la guida dell'Autorità politica, per utilizzare al meglio le informazioni.
  Il primo obiettivo dell'Agenzia sarà senz'altro la verifica delle istanze presentate per la voluntary disclosure. I benefici ricollegabili all'emersione, infatti, possono essere riconosciuti solo se l'autodenuncia dei capitali esteri è stata completa.
  Con riferimento alla gestione ed alla utilizzabilità dei dati in questione, come ordinariamente accade per le segnalazioni qualificate prima facie da un fumus di fondatezza, i dati ritraibili dall'inchiesta saranno esaminati al fine di verificare eventuali risvolti in merito alla reale capacità contributiva dei soggetti interessati ed al corretto adempimento da parte degli stessi degli obblighi fiscali.
  Deve inoltre osservarsi che l'Italia partecipa ai lavori del Joint International Tax Shelter Information and Collaboration (JITSIC), istituito in seno al «Forum of Tax Administrations» dell'OCSE. Il Gruppo si compone di una rete di esperti fiscali nazionali, cui è demandato il compito di scambiare informazioni e prassi operative finalizzate all'individuazione di soluzioni politiche per il contrasto dell'evasione fiscale internazionale.
  Nell'ultima riunione svoltasi il 13 aprile scorso, cui hanno eccezionalmente partecipato i rappresentati di 35 paesi tra cui l'Italia, si sono analizzate in particolare, le opportunità di collaborazione per l'acquisizione e lo scambio di informazioni fiscali e finanziarie alla luce delle rivelazioni dei cosiddetti «Panama Papers».
  Nel corso dell'incontro è stato concordato un impegno comune volto a rafforzare le iniziative di cooperazione internazionale finalizzare a limitare il ripetersi di fenomeni evasivi di così grande rilevanza.Pag. 83
  In merito ai documenti dell'inchiesta in argomento il Comando Generale della Guardia di Finanza riferisce che, nell'imminenza della pubblicazione delle suddette notizie, il Comando Provinciale di Torino ha diramato un comunicato stampa in cui si evidenzia che il Nucleo di polizia tributaria del capoluogo piemontese è stato delegato dalla locale Procura della Repubblica ad acquisire dati e informazioni in ordine ai contenuti della lista.
  Nel dettaglio, il comunicato specifica che l'attività delegata si inserisce nell'ambito di indagini di polizia giudiziaria, coordinate dalla Procura della Repubblica di Torino e già avviate nel corso del 2015 per il reato di riciclaggio, per le quali sono in corso di approfondimento, da parte del citato reparto della Guardia di finanza, le posizioni relative a numerose società panamensi riconducibili allo stesso studio legale «Mossack e Fonseca».
  Il Comando Generale della Guardia di Finanze rileva altresì che tra i nominativi dei soggetti ricompresi negli elenchi diffusi dagli organi di informazione compaiono alcune persone fisiche già emerse nell'ambito di diverse attività operative e di controllo eseguite dalla Guardia di finanza in differenti settori di servizio.
  A tal proposito, il Comando Generale fa presente che è in corso un monitoraggio per verificare presso i reparti dislocati sul territorio nazionale, previo nulla osta delle Autorità Giudiziarie interessate, eventuali iniziative d'indagine autonomamente assunte dalle competenti Procure della Repubblica.