XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 6 di Giovedì 20 ottobre 2016

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Vazio Franco , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DEL DISEGNO DI LEGGE C. 3671-BIS GOVERNO, RECANTE LA DELEGA AL GOVERNO PER LA RIFORMA DELLE DISCIPLINE DELLA CRISI DI IMPRESA E DELL'INSOLVENZA

Audizione di Andrea Perini, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino, e di Nicola Alessandri, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna.
Vazio Franco , Presidente ... 3 
Perini Andrea , professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino ... 3 
Vazio Franco , Presidente ... 6 
Alessandri Nicola , docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna ... 6 
Vazio Franco , Presidente ... 11 
Amoddio Sofia (PD)  ... 11 
Perini Andrea , professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino ... 11 
Amoddio Sofia (PD)  ... 11 
Alessandri Nicola , docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna ... 11 
Vazio Franco , Presidente ... 12

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà- Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Sinistra Italiana-Sinistra Ecologia Libertà: SI-SEL;
Lega Nord e Autonomie - Lega dei Popoli - Noi con Salvini: (LNA);
Scelta Civica verso Cittadini per l'Italia-MAIE: (SCCI-MAIE);
Civici e Innovatori: (CI);
Democrazia Solidale-Centro Democratico: (DeS-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Alternativa Libera-Possibile: Misto-AL-P;
Misto-Conservatori e Riformisti: Misto-CR;
Misto-USEI-IDEA (Unione Sudamericana Emigrati Italiani): Misto-USEI-IDEA;
Misto-FARE! - Pri: Misto-FARE! - Pri;
Misto-Movimento PPA-Moderati: Misto-M.PPA-Mod.

Testo del resoconto stenografico

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE
FRANCO VAZIO

  La seduta comincia alle 13.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di Andrea Perini, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino, e di Nicola Alessandri, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame del disegno di legge C. 3671-bis Governo, recante la delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza, di Andrea Perini, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino, e di Nicola Alessandri, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna.
  Ringrazio il dottor Perini e il dottor Alessandri della loro presenza.
  Darei la parola al dottor Andrea Perini, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino.

  ANDREA PERINI, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino. Ringrazio la Commissione in primo luogo per quest'invito, del quale sono davvero onorato, e anche per la sensibilità che dimostra verso i temi penalistici della legge fallimentare.
  Come noto, le norme penali non sono previste come oggetto di riforma da parte di questo disegno di legge. È prevista l'introduzione di un'ipotesi di bancarotta semplice, sulla quale, peraltro, avrei qualche perplessità, soprattutto nella misura in cui sembrerebbe destinata a colpire non solo chi ostacoli il ricorso alle procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, ma chi semplicemente non ricorra a queste procedure. Temo che questo possa creare una pan-penalizzazione di tutti quei casi in cui vi sia una procedura concorsuale senza passare prima, appunto, dalla procedura di allerta.
  Al di là di questa fattispecie, le norme penali non vengono modificate, se non sotto il profilo terminologico, cosa che penso possa creare qualche problema. Andare semplicemente a cambiare i riferimenti al dissesto o al fallimento, sostituendoli con quella nuova terminologia che dovrebbe essere introdotta dalla nuova disciplina, credo che possa creare numerosi problemi di coordinamento interno delle norme penali.
  In realtà, quindi, credo che il legislatore potrebbe cogliere l'occasione di quest'intervento per andare a riformare, io auspico, le norme penali e fallimentari, che risalgono formalmente nella loro grande maggioranza al 1942. In realtà, le norme sulla bancarotta in buona parte derivano addirittura dal nucleo storico presente nel codice di commercio del 1882. Ci troviamo, quindi, di fronte a norme molto risalenti, che presentano grandi problemi applicativi – cercherò nel poco tempo che ho a disposizione Pag. 4 di citare almeno tre profili dedicati – ma sono anche norme molto applicate.
  A fronte di 14-15.000 fallimenti all'anno, ci sono oltre 1.000 procedimenti penali per reati concorsuali che giungono all'attenzione della Corte di cassazione penale. Circa un 15 per cento dei fallimenti, quindi, diventa oggetto di attenzione da parte della Corte di cassazione penale. La quinta sezione della Cassazione ha un 15 per cento della sua attività occupata dall'applicazione di norme penali concorsuali.
  Credo che questo sia un aspetto da tenere in considerazione, proprio per mettere mano a una riforma che vada nella direzione di svecchiare il sistema penale relativamente ai reati fallimentari.
  Qui credo che ci sia, ad esempio, un primo grosso tema che il legislatore dovrebbe andare a risolvere, che è quello del ruolo che esercita all'interno della fattispecie penale l'accertamento giudiziale dello stato di insolvenza. È pacifico che il rimprovero penale non sia per il fatto del fallimento in quanto tale, ma per condotte che sono state tenute – penso soprattutto alla bancarotta fraudolenta prefallimentare – in epoca antecedente alla declaratoria fallimentare, condotte che hanno un loro tasso di disvalore.
  Ebbene, il punto è: queste condotte devono mantenere questo tasso di disvalore, questa lesione, fino al momento della declaratoria fallimentare o no? Il tema è, secondo me, significativo.
  Occorre domandarsi se condotte di bancarotta che siano state in qualche modo riparate dall'imprenditore prima del fallimento possano o meno assumere rilevanza penale. Il tema non è risolto in modo univoco dalla Cassazione. C'è una famosa sentenza del 2012, la sentenza Corvetta, che ritiene che quest'offesa debba perdurare, ma l'orientamento prevalente della Cassazione, anche confermato con le sentenze relative alla vicenda Parmalat, è invece di segno contrario.
  Questo crea un problema interno alla normativa penale fallimentare di non poco conto: sicuramente vi sono delle ipotesi di bancarotta nelle quali il fatto riparato non dà luogo a bancarotta. Ad esempio, nei reati societari la modifica portata nel 2002 alla norma prevista dall'articolo 223, secondo comma, numero 1), della legge fallimentare, prevede che un reato societario divenga bancarotta soltanto nella misura in cui concorre a cagionare il dissesto.
  Ci troviamo, quindi, in una situazione, a mio modo di vedere, sicuramente connotata da una rilevante aporia, perché condotte che costituiscono reato societario divengono bancarotta solo se concorrono a cagionare il dissesto; altre condotte, come potrebbe essere un'appropriazione indebita, un classico fatto di distrazione, assumono rilevanza penale indipendentemente dal loro riflesso sul dissesto.
  A mio avviso il legislatore dovrebbe cercare una soluzione unitaria. Poi si potrà valutare quale dei due percorsi scegliere, ma credo che sia, quanto meno, necessario che la scelta sia compiuta in modo unitario per tutte le ipotesi di bancarotta. Ritengo che ciò comporti la necessità di riscrivere l'articolo 223 della legge fallimentare, ossia la normativa in materia di bancarotta societaria. Qui credo che non sia sufficiente un mero adattamento della norma alla luce delle nuove terminologie introdotte, ma che sia proprio necessario ripensare le scelte di politica criminale sottese.
  Il secondo tema è quello del concordato preventivo. La riforma ipotizza di mantenere il concordato preventivo, ma ipotizzata, soprattutto, di dare al concordato preventivo una particolare connotazione: dovrebbe essere un istituto che trova applicazione in un contesto di continuità dell'impresa. Dovrebbe venir meno, quindi, il concordato preventivo liquidatorio, che in realtà sappiamo nella prassi essere la forma più diffusa di concordato.
  Oggi, all'accesso di una procedura di concordato preventivo consegue la possibilità di applicare le norme penali in materia di bancarotta. Credo che questa sia una scelta che deve essere valutata con attenzione laddove si volesse fare, appunto, del concordato preventivo uno strumento applicabile soltanto a quelle imprese che hanno una prospettiva di continuazione. Pag. 5
  Non so quale possa essere la scelta migliore, se mantenere una rilevanza penale o togliere la rilevanza penale in caso di concordato ai fatti commessi in precedenza. Credo che sia, però, importante che il legislatore si ponga con attenzione questo problema, a mio giudizio forse mantenendo comunque la rilevanza penale dei fatti commessi in epoca antecedente, ma sapendo che questo potrà essere un disincentivo non piccolo al ricorso a questa procedura.
  Naturalmente, laddove fosse compiuta questa scelta di mantenere l'applicabilità delle norme in materia di bancarotta, in presenza di procedure di concordato preventivo, sarebbe comunque necessario riformulare le norme. Oggi, le norme in materia di bancarotta si applicano al concordato in virtù di un rinvio previsto dall'articolo 236, terzo comma, della legge fallimentare, che pone diversi problemi, perché è un rinvio fatto a norme scritte per fatti di bancarotta, che quindi presuppongono l'accertamento dello stato di insolvenza, e quindi sono norme che fanno riferimento per esempio a fatti di cagionamento del dissesto, a fatti di cagionamento del fallimento, evidentemente non applicabili in situazioni che hanno come presupposto semplicemente la crisi dell'impresa e non il dissesto o l'insolvenza.
  Poi, non sono applicabili le norme penali all'imprenditore individuale in materia di concordato proprio in conseguenza, anche qui, di un difetto di coordinamento. Credo che questo sia un profilo del quale sicuramente legislatore si dovrebbe far carico.
  Credo che debba essere mantenuta la figura dell'attestatore, e quindi che debba essere mantenuta la disposizione oggi contenuta nell'articolo 236-bis della legge fallimentare che va a punire le false attestazioni. Il disegno di legge prevede di fissare delle modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano, quindi mi pare che conservi la figura dell'attestatore, per cui credo che debba essere necessario garantire anche penalmente la veridicità di ciò che va ad attestare questo soggetto.
  Peraltro, va considerato il fatto che alle attestazioni non troverebbe applicazione la fattispecie di false comunicazioni sociali, in quanto fattispecie applicabile soltanto a comunicazioni rivolte ai soci o al pubblico, e quindi inapplicabile alle attestazioni.
  L'ultimo tema, sul quale concluderei queste piccolissime riflessioni, riguarda i gruppi di società, che nell'impianto del decreto dovrebbero essere espressamente riconosciuti anche in ambito fallimentare, pur mantenendo ferma l'autonomia patrimoniale delle masse attive e passive delle società. Credo che questa sia una scelta assolutamente condivisibile, che in qualche modo manterrebbe rilevanza penale a quelle forme di bancarotta che si manifestano all'interno dei gruppi, quando vi sono trasferimenti di ricchezza a vantaggio di società ormai decotte.
  Tuttavia, pur in questo contesto, il disegno di legge richiama opportunamente il tema dei vantaggi compensativi. All'interno della normativa fallimentare dovrebbe trovare riconoscimento quella disciplina oggi prevista dall'articolo 2497 del codice civile, che appunto attribuisce una rilevanza ai vantaggi compensativi, scelta che a mio avviso dovrebbe essere assolutamente condivisa, ma che merita di trovare una qualche eco anche in ambito penale.
  Oggi, il tema dei vantaggi compensativi filtra nel diritto penale del fallimento con grande difficoltà, perché filtra soltanto attraverso una fattispecie di reato societario, l'articolo 2634 del codice civile, che è richiamato all'interno della bancarotta societaria insieme a molte altre fattispecie di reato societario, e filtra perché questa norma, che va a punire il delitto di infedeltà patrimoniale, prevede che non è considerato ingiusto il profitto delle società collegate o del gruppo se compensato da vantaggi conseguiti o fondatamente prevedibili derivanti dal collegamento o dall'appartenenza al gruppo.
  In sostanza, oggi la giurisprudenza si trova nella necessità, per dare rilevanza al tema dei vantaggi compensativi, e quindi a manovre di riequilibrio che ci possono essere all'interno di un gruppo, di passare soltanto attraverso un reato societario, che Pag. 6peraltro ha una sua sfera applicativa abbastanza contenuta, la cui disciplina viene estesa sostanzialmente in via analogica alle norme in materia di bancarotta.
  È sicuramente uno sforzo interpretativo encomiabile quello che viene fatto dalla giurisprudenza in questo senso, ma è uno sforzo interpretativo che credo meriti da parte del legislatore un supporto attraverso l'introduzione, nell'ambito del diritto penale del fallimento, di una norma ad hoc che vada a riconoscere anche sul versante penale quello che in sostanza viene già riconosciuto oggi dal codice civile e il disegno di legge va nella direzione di mutuare anche in ambito fallimentare.
  Concludo questi minuti che mi sono stati concessi con l'auspicio che a sessant'anni di distanza possa trovare accoglimento la critica che aveva formulato, addirittura nel 1956, Francesco Carnelutti, quando già allora, commentando le norme penali fallimentari, ebbe a scrivere che queste erano piante selvatiche cresciute fuori dal recinto coltivato dai giardinieri del diritto penale.
  Quello del diritto penale e del fallimento è un tema critico, che il nostro legislatore si trascina da ormai molti decenni. Sarebbe bello se questa fosse l'occasione propizia per sfoltire questa boscaglia. Vi ringrazio per l'attenzione.

  PRESIDENTE. La ringraziamo. È stato molto interessante e utile il contributo che ci ha fornito. Credo che sia particolarmente importante farne tesoro nell'ambito della discussione che si aprirà in relazione all'esame di questo provvedimento. Potrebbe essere utile avere un appunto scritto.
  Do ora la parola al dottor Nicola Alessandri, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna.

  NICOLA ALESSANDRI, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni legali dell'Università degli studi di Bologna. Ringrazio anch'io per questa convocazione.
  Ovviamente, il mio punto di vista è un po’ distante da quello del professor Perini, in quanto, oltre a essere docente, sono, forse soprattutto, avvocato civilista in materia fallimentare, e quindi ho una prospettiva sul campo che credo possa essere utile portare in questa sede.
  Vorrei partire da una segnalazione semplicissima. Nel 2013, 10,2 miliardi di fatturato sono stati persi per i fallimenti. Questo è un dato Cerved che è stato pubblicato a inizio 2016. I creditori privilegiati di questi 10,2 miliardi di fatturato, secondo rilevazioni ISTAT, per la verità non coeve – si riferiscono al 2007; dopo il 2009 ISTAT non ha fornito ulteriori dati – sono il 64 per cento.
  Oltre a questo dato, sappiamo che in questo progetto di legge si affrontano e correttamente si tende a unificare tutte le procedure di gestione della crisi, quindi non soltanto quelle fallimentari, ma anche quelle del sovraindebitamento nei soggetti cosiddetti sotto soglia, o comunque nei privati e consumatori.
  È un dato, questo del sovraindebitamento in imprenditori sotto soglia o comunque consumatori, in particolare aumento se pensiamo ai dati che esistono sul mercato ormai relativi ai non performing loans, dietro i quali purtroppo ci sono molte famiglie e molti soggetti che dovranno accedere a queste procedure di sovraindebitamento.
  Per questo, ritengo che sia essenziale che venga licenziato questo disegno di legge delega. Nel settore si ha un'urgenza direi improrogabile di un'accelerazione delle procedure che attualmente sono purtroppo frammentate, particolarmente complesse e non omogenee. Inoltre, le attuali procedure arrivano quasi sempre tardi, e creano, quindi, sul mercato, in particolare sul mercato dei creditori chirografari, e quindi dei soggetti più deboli, costi talvolta esiziali per le imprese.
  In effetti, le mie esperienze professionali sono in questo senso. I fallimenti dichiarati quando ormai l'impresa non aveva più attivo e da tempo si era finanziata non pagando i creditori, sono la normalità dei casi, che purtroppo spesso coinvolge anche concordati, non solo fallimenti. Peraltro, i ritardi nell'emersione dello stato di crisi Pag. 7delle aziende creano dei problemi anche nelle azioni di responsabilità contro gli organi sociali.
  Dal lato civilistico, non penalistico, esiste un problema di definizione del momento in cui l'organo sociale o l'imprenditore può essere considerato responsabile. In questo senso, mi sembra che la Commissione Rordorf abbia dato un interessantissimo contributo, prevedendo la nuova definizione di stato di crisi, che si affianca all'insolvenza come la conosciamo.
  Accanto ai fenomeni patologici che vediamo tutti i giorni, ci sono purtroppo i cosiddetti piani concordatari attestati. Il professor Perini ha ricordato la figura dell'attestatore. Bene, purtroppo nella pratica di tutti i giorni vediamo spesso degli attestatori che, essendo anche scelti dall'imprenditore stesso, dall'impresa stessa, attestano la fattibilità di piani con un ottimismo decisamente eccessivo, o addirittura attestano la veridicità dei dati sulla base dei quali si fondano questi piani concordatari in situazioni borderline.
  Sappiamo che esistono delle sanzioni penali a questo proposito, ma a mio avviso è il momento ed è l'occasione, questa della legge delega in discussione, per modificare un punto che oggettivamente ha creato dei problemi.
  A questo punto, in un documento che vi ho già mandato ho individuato tre principali aree che a mio avviso avrebbero bisogno di qualche precisazione nel disegno di legge, che peraltro da non membro della Commissione ed estraneo ai lavori, trovo molto meritorio. D'altra parte, non poteva essere altrimenti con il professor Rordorf a presidente della Commissione. Ha fatto un lavoro veramente egregio.
  Dei punti che vorrei trattare velocemente, partirei dal processo. Giustamente, nella legge delega i princìpi sulla base dei quali il legislatore delegato dovrebbe operare sono quelli della semplificazione delle procedure attuali. Trovo che questo sia un obiettivo essenziale. Dobbiamo ridurre i costi, avere maggiore affidabilità. Il processo non deve essere un ospite ingombrante, ma un ospite invisibile, uno strumento, non un fine.
  L'unicità del modello processuale consente delle riduzioni a livello sia organizzativo degli stessi tribunali sia di preparazione degli operatori. Anche questo potrà non essere un elemento evidente o considerato particolarmente importante nella ricostruzione, ma è, invece, un elemento essenziale per avere una condivisione tra operatori del diritto (magistrati, avvocati e le stesse imprese), che possano lavorare su strumenti semplici, rapidi e non troppo complessi.
  Sotto questo profilo, mi sembra che la proposta legge delega già individui alcuni elementi molto importanti, tra cui, un po’ come è nel modello anglosassone, la deformalizzazione del processo, e quindi una responsabilizzazione del giudice per il governo del processo nei limiti del contraddittorio. Questo è già, del resto, l'orientamento che mi sembra stia seguendo anche la riforma del codice di procedura civile. Credo che sia un indirizzo corretto. Non possiamo avere dei processi troppo irrigiditi, e, tutto sommato, è meglio che ci sia, nell'ambito di poche regole fondamentali, una disponibilità nel processo, da parte del giudice, che possa adattare il processo al caso concreto.
  Una cosa che, però, non è presente nel progetto di legge delega è la previsione di norme transitorie, che a mio giudizio invece sarebbero essenziali nel nostro caso. Abbiamo già visto nel processo civile che un nuovo modello processuale, quanto meno per un certo numero di anni – sappiamo che le procedure fallimentari, per quanto veloci anche già secondo gli attuali modelli, sono però sempre tendenzialmente lunghe – con ancora l'arretrato di processi precedenti crea soltanto dei problemi di individuazione della procedura corretta, di organizzazione degli uffici, di individuazione dei magistrati competenti per la procedura pre-riforma e post-riforma. Nel contributo che ho lasciato mi sono permesso di indicare alcune possibilità di intervento su questo punto.
  Molto interessante, a mio avviso, è la definizione di stato di crisi. Trovo finalmente molto utile quest'appaiamento insieme all'insolvenza di una definizione dello Pag. 8stato di crisi, perché introduce nella materia fallimentare una cosa nota da tempo, e cioè che l'impresa non è soltanto un istituto da regolare soltanto sotto un profilo giuridico, ma anche una realtà economica.
  A livello internazionale, esistono ormai degli indici di stato di crisi. Su questo già nelle precedenti audizioni mi sembra sia stato fatto riferimento al famoso «Z-Score» di Altman, uno abbastanza semplice nel sistema statistico sulla base dei dati di bilancio, che individua il momento della crisi. Questa è, a mio avviso, un'occasione preziosa per inserire in questa legge delega l'indicazione al legislatore delegato di stabilire dei criteri semplici e, possibilmente, basati su evidenze statistiche.
  Questo consente, da un lato, di ridurre la conflittualità, i dubbi e, insieme ai dubbi, tutti i costi sociali e non sociali che l'allungamento dei tempi dell'accertamento dello stato di crisi si porta dietro; nello stesso tempo, di creare un preciso indice anche nelle azioni di responsabilità nei confronti degli organi di controllo, degli organi di gestione e dell'imprenditore, nei pochi casi ancora esistenti di imprenditore individuale, per poter individuare quello che noi chiamiamo l’an della responsabilità.
  Sulla base di dati statistici e di una ricostruzione dei dati dell'impresa, con semplici operazioni io devo essere in grado di dire: «quest'impresa era in crisi, tu imprenditore, o tu organo di controllo, o tu organo di gestione, non hai fatto ricorso nessuno strumento di composizione della crisi o di liquidazione, e a questo punto sei responsabile».
  Molto interessante ho trovato la previsione per i creditori qualificati. È vero, l'esperienza costante indica che i creditori qualificati, come possono essere INPS e Agenzia delle entrate, sono i primi ad avere la percezione dello stato di crisi dell'azienda. L'impresa, infatti, smette di pagare i contributi. Certe volte, può essere una scelta, nell'attuale sistema, più o meno ragionevole, perché costa meno finanziarsi non pagando i contributi che chiedendo finanziamenti a un sistema bancario, che magari non li dà.
  Sono soggetti che, tra l'altro, hanno dei privilegi, che a mio avviso è corretto, come giustamente prevede la riforma, che si portino dietro degli oneri, una sorta di obbligo di solidarietà nei confronti dei creditori privilegiati. È giusto, quindi, a mio avviso, che ci sia questa previsione di responsabilizzazione degli enti di questi creditori qualificati, che, nel caso in cui non si attivino per segnalare lo stato di crisi, perdono questi privilegi. È il principio che a un privilegio deve corrispondere anche un onere, non voglio dire un obbligo, ma un onere nei confronti del mercato, una sorta di applicazione dell'articolo 2 della Costituzione in materia di obbligo di solidarietà.
  Anche in questo caso, come ho scritto nel mio contributo, credo che però i creditori qualificati debbano essere messi in grado di avere degli elementi semplici per l'individuazione della crisi. Sotto questo profilo, in altre audizioni mi sembra che sia stata evocata la possibilità di individuare un numero di mesi, sei o nove, di mancato pagamento dei contributi o delle imposte.
  È essenziale, però, a mio avviso, qualunque sia la scelta del legislatore delegato, che il legislatore delegante individui la necessità di un criterio semplice. Semplicità vuol dire ridurre i rischi e i costi sociali di controversie su questo punto e, soprattutto, rendere non funzionale questo meccanismo invece molto interessante.
  Sulla fase d'allerta, a mio avviso manca un punto, o almeno non è del tutto chiaro. Si dice che la fase di allerta può essere innescata anche dagli organi di controllo. In materia fallimentare, conosciamo i problemi che ci sono stati nel capire se, nel caso di un organo collegiale, la decisione spettasse a tutto l'organo collegiale o ai singoli componenti.
  A mio avviso, sarebbe essenziale chiarire che questa legittimazione al ricorso, alla segnalazione agli organismi di composizione della crisi (OCC) venga fatta anche dal singolo componente dell'organo collegiale, proprio per consentire e privilegiare quest'emersione tempestiva della crisi e indurre Pag. 9 quello che negli Stati Uniti si chiama il whistleblower, il componente dell'organo, a farsi avanti per segnalare la crisi avendo, come giustamente previsto già nel progetto, delle misure premiali che dovranno essere individuate.
  Apro una piccola parentesi. In un'altra audizione, ho sentito parlare addirittura di esclusione del reato di bancarotta appunto in caso di whistleblower tempestivo, o comunque di imprenditore che abbia risarcito integralmente, cosa nella mia esperienza impossibile nella pratica, ma è giusto comunque prevederla.
  Mi sembra che, accanto a queste misure estreme di «non punibilità» in caso di comportamenti particolarmente virtuosi, ci possano essere anche quelle che si chiamano – qui, però, confesso il mio uscire dal campo in cui mi muovo normalmente – «attenuanti effetto speciale». Queste potrebbero consentire un doppio vantaggio: evitare la depenalizzazione, per intenderci, nella stragrande maggioranza dei casi; nello stesso tempo, avere un incentivo effettivo ed efficace all'emersione tempestiva della crisi.
  Sulla competenza territoriale degli OCC non è stato detto molto nel progetto. Anche qui, a mio avviso, c'è un punto che semplicemente dovrebbe essere, quanto meno, oggetto di delega da parte del legislatore delegante. Da poco, hanno cominciato a essere costituiti questi OCC, per una serie di motivi che mi sembra siano già stati esposti dai professori e magistrati che prima di me sono intervenuti in questa sede, però ce ne possono essere, e anzi ce ne sono già, in tante città più di uno. Bisognerebbe, allora, trovare un meccanismo di individuazione di quale, in caso di più ricorsi, sia l'OCC competente. Sotto questo profilo, a mio avviso anche qui la semplicità è necessaria.
  Sempre relativamente alla fase di allerta, è stata evidenziata da tutte le persone che sono state sentite nella vostra indagine conoscitiva la necessità che sia confidenziale. Sappiamo che la fuga di notizie del fatto che un'impresa faccia ricorso a una procedura più o meno concorsuale, normalmente, crea immediatamente una reazione di chiusura degli accessi al credito, o comunque un irrigidimento dei fornitori, dei soggetti che lavorano con l'impresa. Se questa fase di allerta deve servire ad accompagnare l'impresa alla soluzione negoziata della crisi, è necessario che rimanga confidenziale e che sia conveniente, poco costoso.
  Sotto questo profilo, personalmente non sono del tutto d'accordo con quello che è stato previsto nell'attuale formulazione del progetto di legge, cioè la possibilità che, in caso di mancato superamento della crisi, l'OCC faccia riferimento direttamente al presidente del tribunale, innescando un meccanismo di procedura concorsuale vera e propria.
  A mio avviso, esistono già nel sistema gli «anticorpi» utili a segnalare al tribunale competente l'eventuale situazione di crisi o insolvenza ai fini di una liquidazione. È, anzi, proprio questo che può consentire lo stimolo all'imprenditore a ricorrere a quei sistemi alternativi.
  Quanto al concordato preventivo, mi permetto di segnalare che sarebbe molto opportuno prevedere che il legislatore delegato indichi con chiarezza che cosa si intende per concordato in continuità o, per converso, concordato essenzialmente liquidatorio. Una definizione semplice aiuta a ridurre i casi davanti ai tribunali.
  Sul profilo del concordato non essenzialmente liquidatorio mi permetto di rilevare che, a mio avviso, era corretta e non vedo il motivo per eliminare quella possibilità che esisteva nell'originario documento della Commissione Rordorf di consentire un concordato essenzialmente liquidatorio nei casi in cui l'impresa riesca ad avere accesso a fonti di finanziamento esterne che consentano di garantire una percentuale, come oggi è, del 20 per cento.
  L'alternativa al concordato non essenzialmente liquidatorio è il fallimento – lo chiameremo liquidazione giudiziaria nel prossimo futuro – un procedimento nel quale il curatore non avrà accesso a quei finanziamenti esterni che eventualmente possono essere garantiti in qualche modo. Mi sembra che lo stesso presidente Rordorf abbia fatto riferimento, nell'audizione, ai Pag. 10soldi dati dai genitori, dai parenti, pur di evitare la liquidazione. Certamente, però, sono risorse finanziarie che verrebbero tolte al ceto creditorio, a mio avviso senza motivo.
  Un punto è sull'accertamento della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano. A mio avviso, bisognerebbe ripensare a questo punto. Sono già stati forniti dei dati statistici secondo me self-evident: abbiamo un costo per le attestazioni, le perizie e tutto il resto, non solo del piano concordatario, ma anche dei piani del 182-bis e del 182-septies, particolarmente elevato, che molto spesso assorbe una percentuale molto rilevante della liquidità dell'impresa, per avere poi dei risultati, come dicevo, purtroppo non particolarmente soddisfacenti.
  Dovremmo evidenziare due punti. Ho visto che nel disegno di legge si dice che il tribunale valuta nel concordato preventivo sia la fattibilità giuridica, come è oggi, sia quella economica. Mi verrebbe da dire che si prevede che l'impresa arrivi con un piano concordato già corredato da un'attestazione per poi avere un tribunale che comunque deve nominare un consulente. È inutile, infatti, che ci nascondiamo dietro un dito, ci sono dei magistrati bravissimi in materia economica, ma tendenzialmente non in tutti i tribunali e non tutti i magistrati potranno essere in grado di valutare la fattibilità economica.
  A questo punto, il magistrato dovrà nominare un consulente, ma è inutile avere un attestatore di «dubbia» indipendenza, visto che è scelto dall'imprenditore, che può fare, come si diceva per il forum shopping per la scelta del tribunale, l'attestatore shopping. Ritengo che questo vada superato. Evidentemente, non ha dato buona prova malgrado le sanzioni penali.
  Dicevamo con il professor Perini che, evidentemente, ci sono in alcuni tribunali delle esperienze importanti, ma io dico che è oggettivamente – lo vedo dal lato civilistico – un'esperienza fallimentare, visto che siamo in materia. Credo che a fare l'attestatore debba essere, quindi, un soggetto individuato dal tribunale.
  Con questo abbiamo una riduzione di costi, una compressione, anche un controllo dei costi. Il tribunale avrà, infatti, modo di individuare dei parametri che invece sul libero mercato non ci sono, che possono essere oggi o troppo bassi o eccessivamente alti, a seconda delle situazioni. Soprattutto, potrà ridurre i tempi. L'imprenditore farà il suo piano documentato, corredato dai dati, e lo porterà al tribunale; il tribunale nominerà il commissario, che dovrà attestare dal punto di vista contabile la veridicità e la completezza dei dati forniti, dal punto di vista economico-finanziario la fattibilità del piano; il tribunale, nella sua valutazione globale, se ritiene – come sempre succede, il giudice è peritus peritorum – potrà al limite anche dissentire dalle conclusioni del suo commissario, ma avremo un soggetto indipendente.
  Quanto alla meritevolezza, non c'è nessuna indicazione nel progetto di legge. Credo, invece, che non sarebbe sbagliato reintrodurla, proprio per responsabilizzare lo stesso imprenditore, l'impresa, a fornire dati completi sin dall'inizio, e a evitare quindi che il commissario nominato dal tribunale debba ricercare eccessivamente i documenti.
  Nello stesso tempo, nel 2005 è stata eliminata una previsione della regolare tenuta delle scritture contabili: a mio avviso, è un'altra faccia della stessa medaglia, ma in parte diversa. Ritengo che quell'elemento dovrebbe comunque essere mantenuto.
  Allo stesso modo, dovrebbe essere introdotta una previsione analoga a quella che esiste nel sovraindebitamento, e cioè il mancato ricorso – si dice nell'attuale normativa – a procedure concorsuali, o comunque di ristrutturazione del debito, nei cinque anni.
  Non mi perdo nel fatto che la giurisprudenza attuale sul termine «ricorso» ha creato dei dubbi, dicendo che allora anche solo il mero accesso con un ricorso non seguìto da ammissione preclude al soggetto, nei cinque anni successivi, la riproposizione di un piano sovraindebitamento. Sotto questo profilo, credo che si possa prevedere l'ammissione anziché il ricorso, come termine, e abbiamo tolto il dubbio a quella Pag. 11giurisprudenza che, attualmente, sembra in alcuni tribunali prendere piede.
  Ho un'ultimissima osservazione e concludo. Nella parte relativa alle azioni di responsabilità – mi riferisco agli articoli 6, comma 2, lettera a), e 7, comma 5, lettera a), del progetto di legge – sembrerebbe farsi riferimento esclusivamente all'azione di responsabilità sociale e dei creditori che sarebbe riconosciuta al curatore, in dissonanza rispetto all'attuale articolo 146, comma secondo, della legge fallimentare, che prevede non solo l'azione sociale e di responsabilità, l'azione dei creditori nei confronti degli organi amministrativi, ma anche quella nei confronti degli organi di controllo e degli organi revisori.
  Non vorrei che questa previsione – quella dell'articolo 7, comma 5, mi sembra particolarmente circostanziata, perché fa riferimento espressamente ed esclusivamente agli articoli relativi alla responsabilità degli amministratori – creasse delle interpretazioni a mio giudizio aberranti, per cui l'azione di responsabilità nei confronti degli amministratori la fa il curatore e i singoli creditori devono fare un'azione di responsabilità nei confronti dei sindaci.
  Va tenuto, poi, sempre presente che c'è una responsabilità solidale, che c'è un'importante necessità di accorpare questi accertamenti in un unico processo. Sappiamo che i sindaci sono gli unici soggetti che hanno qualche possibilità di dare, anche per l'obbligo per legge che hanno di assicurazione in quanto professionisti, qualche soddisfazione quando venga accertata la responsabilità.

  PRESIDENTE. Ringraziamo il professore per l'illuminata e dettagliatissima relazione, che ovviamente noi recepiamo, al pari dei suoi contributi scritti, che quindi diventeranno patrimonio di questa Commissione.
  Do ora la parola agli onorevoli colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  SOFIA AMODDIO. Ho una questione velocissima.
  All'articolo 4, comma 1, lettera g), la delega al Governo prevede misure sanzionatorie per l'imprenditore che ingiustificatamente la ostacoli o non vi ricorra. Mi sembra che il termine «ingiustificatamente» sia molto ampio e generico: volete darci un suggerimento su questo termine, che a me appare molto vago?

  ANDREA PERINI, professore associato di diritto penale commerciale presso l'Università degli studi di Torino. Concordo con la vaghezza della previsione. In realtà, come dicevo, io ho qualche perplessità proprio sul fatto di introdurre questa fattispecie.
  L'articolo 217 della legge fallimentare prevede già la responsabilità penale dell'imprenditore che, astenendosi dal ricorrere al fallimento o con altra grave colpa, aggravi il dissesto. Credo che questa norma sia già in grado di colpire l'imprenditore intempestivo nel reagire alla situazione di dissesto. Questa, quindi, forse non è un'ipotesi che valga davvero la pena di introdurre, soprattutto nella misura in cui, come dicevo, la norma colpirebbe non solo chi ostacoli ingiustificatamente – anche se un ostacolo giustificato mi sembra quasi una contraddizione in termini – ma dovesse colpire chi non ricorra a queste procedure di allerta.
  Come dicevo molto sinteticamente, non vorrei che, oltre a porsi tutti i problemi che già si pongono di potenziale rilevanza penale – dimenticavo prima di dire, guardando all'esperienza della procura della Repubblica di Milano, che per ogni procedimento concorsuale vi è un fascicolo penale – il fenomeno si dilatasse ulteriormente alimentato dal sospetto che dietro ogni procedura concorsuale non vi sia stata un'adeguata valorizzazione delle procedure di allerta.
  Credo che ci sia sicuramente un problema legato all'avverbio «ingiustificatamente», ma credo che forse, come dicevo e per tirare le fila, vi sia proprio la necessità di ripensare l'introduzione di una norma penale siffatta. Non so se ho risposto.

  SOFIA AMODDIO. Perfettamente.

  NICOLA ALESSANDRI, docente presso la Scuola di specializzazione per le professioni Pag. 12 legali dell'Università degli studi di Bologna. Se posso aggiungere un punto, a mio avviso la previsione di una sanzione per l'impresa, l'organo amministrativo che ostacoli le attività o, colpevolmente, per intenderci, non faccia ricorso agli strumenti messi a sua disposizione, dovrebbe esistere. Neanche io forse sono del tutto convinto – non sarei neanche in grado di valutare le conseguenze – della necessità della sanzione penale.
  È, invece, sicuramente utile questa previsione perché individua una responsabilità civile facilmente individuabile. Sull’«ingiustificatamente ostacola» probabilmente si può costruire qualche «colposamente». Senza, però, bisogno di ricorrere a delle sanzioni penali, abbiamo il discorso della responsabilità civile, che, se tempestiva, può essere molto rilevante come disincentivo e forse evitare di ingolfare i tribunali penali della Repubblica.

  PRESIDENTE. Ringrazio ancora i professori che sono intervenuti, che ci hanno fornito i loro contributi.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 14.35.