TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 671 di Martedì 13 settembre 2016

 
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INTERROGAZIONI

A)

   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni in Veneto è allarme pfas ovvero allarme per l'inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche – si tratta di sostanze chimiche di sintesi utilizzate principalmente per rendere resistenti ai grassi e all'acqua vari materiali come tessuti, tappeti, carta, rivestimenti per contenitori di alimenti;
   tali sostanze sono ampiamente utilizzate in applicazioni civili e industriali e la loro presenza può essere riscontrata nell'aria, nel suolo e nell'acqua in relazione alla produzione, all'uso e allo smaltimento dei prodotti che li contengono; si parla, inoltre, di composti dotati di elevata persistenza nell'ambiente, che possono essere trasportati a distanza dall'acqua e se presenti nell'aria ricadono al suolo;
   tra le possibili e diverse modalità di assorbimento per l'uomo, che le aziende sanitarie locali hanno messo in rilievo, vi sono le vie orali e il consumo di acqua potabile e di alimenti «contaminati»;
   non vi è ancora provata sintesi scientifica sugli effetti di tali sostanze, ma esistono indicazioni sulla loro nocività e sul potenziale cancerogeno;
   nella provincia di Rovigo l'Arpav ha già censito 35 siti «potenzialmente contaminati»;
   i dati dell'Arpav, recentemente comunicati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, hanno delineato il quadro complessivo di un Veneto inquinato e da tenere sotto controllo;
   in uno studio del 2013 condotto dal Cnr si erano già individuate concentrazioni anomale nell'acqua fra le province di Vicenza, Verona e Padova;
   sembrano essere stati individuati nel territorio rodigino diversi siti da bonificare, ovvero con alte concentrazioni di pfas;
   il Polesine possiede quattro centri di potabilizzazione sull'Adige e sei sul Po, rispetto ai quali non si hanno informazioni riguardo ad eventuali controlli o piani di monitoraggio;
   i pfas rappresentano un potenziale problema per la salute dei cittadini soprattutto in zone a vocazione agroalimentare o di allevamento;
   è in fase di partenza un primo screening su 25.000 cittadini veneti;
   vi sono attualmente inchieste in atto e, tra le altre cose, le procure di Vicenza e Verona sulla base degli esposti presentati da vari comitati hanno aperto fascicoli di indagine –:
   quali siano, per quanto di competenza, il piano, la metodica e il programma dei controlli sul territorio veneto e, in particolare, nella zona della provincia di Rovigo in merito all'emergenza pfas;
   quali iniziative di competenza siano allo studio per garantire prevenzione e sicurezza per la salute della popolazione locale. (3-02223)
(28 aprile 2016)

   BRUGNEROTTO, D'INCÀ, SPESSOTTO, BUSINAROLO e DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende di una allarmante situazione che riguarda l'inquinamento del fiume Fratta, dovuto alla presenza di sostanze perfluoroalchiliche che vi sarebbero state sversate;
   la presenza di tali sostanze, i famigerati pfas (che normalmente vengono prodotti per rendere impermeabili stoviglie, carta e stoffe), porrebbero ad alto rischio di inquinamento i corsi d'acqua e conseguentemente la potabilità della risorsa idrica, per tutti quei comuni, in particolare della «bassa padovana» e del «basso Veneto» interessati dall'inquinamento del corso del «Fratta-Gorzone». Infatti, nel comune di Lonigo, in provincia di Vicenza, starebbero per cominciare gli esami a campione previsti dal programma di biomonitoraggio voluto dalla regione Veneto e dall'Istituto superiore di sanità proprio per valutare l'incidenza dei pfas sulla salute dei cittadini del basso Veneto. Nello specifico, sarà effettuato un prelievo di sangue a 80 cittadini delle aziende sanitarie locali 5 e 6, precisamente nei comuni di Brendola, Lonigo e Sarego, a pochi chilometri dai confini padovani, dove sono concentrati aziende e allevamenti agricoli che utilizzano pozzi con valori di pfas superiori a quelli indicati dall'Istituto superiore di sanità. Una seconda fase coinvolgerà successivamente altre 160 persone dell'azienda sanitaria locale 5 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;
   se e come intendano assicurare, per quanto di competenza, che siano state adottate tutte le opportune iniziative a salvaguardia del territorio, dell'ambiente e soprattutto della salute dei cittadini, al fine di scongiurare il rischio di disastro ambientale;
   con quali modalità e tempi intendano attivarsi, per il tramite della competente autorità di bacino, al fine di scongiurare il pericolo a cui è esposta la salute dei cittadini residenti nei territori sopra indicati. (3-02470)
(12 settembre 2016)
(ex 4-08502 del 20 marzo 2015)

   BRUGNEROTTO e D'INCÀ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   già nel mese di maggio 2013 il Ministero della salute informava la regione Veneto e il dipartimento provinciale dell'Arpav di Vicenza che uno studio dell'Irsa-Cnr aveva evidenziato la presenza di sostanze perfluoroalchiliche (pfas) nelle acque potabili di alcuni comuni della provincia di Vicenza, raccomandando gli accertamenti necessari all'individuazione delle fonti di immissione delle sostanze in oggetto e l'attivazione delle conseguenti iniziative di tutela delle acque;
   la regione Veneto chiedeva quindi al Ministero della salute ed all'Istituto superiore di sanità informazioni su eventuali rischi per la popolazione dovuti alla presenza dei pfas nelle acque;
   il Ministero della salute nel mese di luglio 2013 inviava alla regione Veneto il parere dell'Istituto superiore di sanità, dal quale emergeva che, anche se non vi era un rischio immediato per la popolazione, in applicazione del principio di precauzione, era necessario adottare adeguate misure per ridurre i rischi e controllare la contaminazione delle acque da destinare e destinate al consumo umano nei territori interessati;
   a seguito di tali indicazioni, l'Arpav procedeva ad effettuare dei campionamenti, volti all'individuazione dei possibili responsabili della contaminazione, così come evidenziata nello studio Irsa-Cnr. I campionamenti svolti hanno interessato il collettore fognario Arica che recapita, nel corso d'acqua Fratta-Gorzone a Cologna Veneta, i reflui dei 5 depuratori della zona ovest del vicentino; lo scarico di 5 impianti di depurazione (Trissino, Montecchio Maggiore, Arzignano, Montebello Vicentino e Lonigo) e gli esiti analitici portavano poi ad effettuare campionamenti anche allo scarico industriale, recapitante al depuratore di Trissino, della società Miteni spa;
   dalle risultanze dello studio dell'Arpav, a quanto risulta agli interroganti sarebbe emerso che l'impianto di depurazione di Trissino, a cui è allacciata la Mitemi spa, contribuisce per il 96,98 per cento all'apporto totale di pfas scaricati nel Fratta-Gorzone e sarebbe stato evidenziato che tali impianti di depurazione non erano in grado di abbattere questo tipo di sostanze, nonostante la Mitemi avesse installato un impianto di filtrazione mediante assorbimento a polimeri con capacità di abbattimento dichiarata di circa il 99 per cento. Appare, quindi, agli interroganti di tutta evidenza il nesso causale tra gli scarichi della Mitemi spa e la contaminazione della falda acquifera;
   nel frattempo si è venuto a delineare uno scenario inquietante che assume le caratteristiche di un vero e proprio disastro ambientale, allargatosi ad ampie aree del Veneto e che coinvolgerebbe 350 mila veneti in 78 comuni (tra le province di Verona, Vicenza e Padova), dove sono a rischio inquinamento i corsi d'acqua e, conseguentemente, la potabilità della risorsa idrica per tutti i comuni interessati;
   dal punto di vista ambientale, l'Arpav sta effettuando controlli senza soluzione di continuità su tutto il territorio veneto, che è stato valutato e suddiviso in diverse aree a seconda della presenza o meno e dell'entità degli inquinanti rilevati. Dal punto di vista sanitario i controlli pare che dovranno durare una decina d'anni per verificare nel tempo gli eventuali effetti sulla salute e farne una valutazione epidemiologica, con costi stimati in oltre 100 milioni di euro l'anno, da effettuarsi su tutti i residenti dell'area «di massima esposizione» delineata nei comuni di Albaredo d'Adige, Alonte, Arcole, Asigliano Veneto, Bevilacqua, Bonavigo, Boschi Sant'Anna, Brendola, Cologna Veneta, Legnago, Lonigo, Minerbe, Montagnana, Noventa Vicentina, Poiana Maggiore, Pressana, Roveredo di Guà, Sarego, Terrazzo, Veronella, e Zimella, per un totale di 109.029 persone. La sorveglianza è stata organizzata per tutti ed esente ticket e prevede l'effettuazione di una serie di esami: colesterolo totale, hdl, ldl; glicemia, emoglobina glicata; creatinemia e filtrato glomerulare; enzimi epatici: alt e aat; ormoni tiroidei: ths; acido urico; esame urine: microalbuminuria; pressione arteriosa. Il secondo livello prevede i necessari approfondimenti rivolti a coloro che dovessero presentare anomalie negli esami. Saranno poi chiamati a sottoporsi alla valutazione tutti i cittadini compresi tra 14 e 65 anni ed i controlli verranno ripetuti ogni 12 mesi;
   i fatti sopra esposti, dovuti all'emissione di dette sostanze, precludono i servizi naturali delle singole risorse coinvolte e determinano un evidente danno ambientale ed una vera e propria emergenza –:
   se i Ministri interrogati intendano adottare iniziative normative volte ad assicurare la più ampia tutela della salute e dell'ambiente, così come previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, obbligando in modo stringente l'operatore, ritenuto responsabile del danno ambientale, ad adottare immediatamente tutte le iniziative praticabili per controllare, circoscrivere ed eliminare ulteriori pregiudizi ambientali ed effetti nocivi per la salute umana e ad adottare le misure immediate di ripristino necessarie. (3-02471)
(12 settembre 2016)
(ex 4-14043 del 5 agosto 2016)

B)

   PARENTELA, NESCI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze e al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha messo a disposizione un sito web in cui è possibile visualizzare e avere informazioni sulle aree di balneazione, attraverso un monitoraggio delle coste italiane. Per la regione Calabria sono emerse delle criticità soprattutto nel tratto tirrenico della provincia di Cosenza e in quello di Reggio Calabria. Il problema della balneabilità sarebbe collegato, oltre all'inquinamento, anche al malfunzionamento dei depuratori che non permettono sempre una completa rimozione dei contaminati dalle acque reflue, i quali si riversano nei torrenti più vicini per poi sfociare nei mari;
   diciassette campionamenti sui venticinque eseguiti tra il 1o ed il 4 luglio 2015 lungo le coste della Calabria da Goletta Verde – la storica campagna di Legambiente dedicata al monitoraggio ed all'informazione sullo stato di salute delle coste e delle acque italiane – presentano una carica batterica elevata, superiore alle soglie stabilite dalla legge. Per 15 di questi punti, principalmente alle foci di fiumi, torrenti e scarichi, il giudizio è di «fortemente inquinato»;
   i campionamenti eseguiti lungo le coste calabresi hanno dato i seguenti risultati:
    a) sei i prelievi effettuati in provincia di Reggio Calabria, quattro dei quali giudicati «fortemente inquinati»: si tratta dei campionamenti eseguiti alla foce del torrente Menga (località Sabbie bianche) e presso lo sbocco dello scarico vicino al lido comunale entrambi a Reggio Calabria (per quest'ultimo punto va specificato che nonostante il «temporaneo» divieto di balneazione la zona è altamente frequentata da bagnanti); alla spiaggia presso lo scarico sul lungomare Cenide a Villa San Giovanni; alla foce del fiume Mesima a San Ferdinando. Carica batterica entro i limiti quella riscontrata, invece, alla spiaggia di fronte piazza Porto Salvo a Melito Porto San Salvo e alla foce del fiume Petrace a Marina di Gioia Tauro;
    b) dei cinque prelievi effettuati nel cosentino è risultato nei limiti di legge soltanto quello effettuato alla spiaggia del lido Diamante in località Torricella di Diamante. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per i prelievi alla foce del canale sulla spiaggia libera di Villapiana Lido; alla foce del fiume Crati in località Laghi di Sibari a Cassano allo Ionio; alla foce del fiume Parise a Bonifati e alla foce del fiume San Francesco a Paola;
    c) quattro i campionamenti nel crotonese, due dei quali fortemente inquinati: alla foce del fiume Esaro, a Crotone, e in prossimità del canale sulla spiaggia a destra del Castello a Isola di Capo Rizzuto. Entro i limiti invece l'altro prelievo a Crotone, sulla spiaggia del lungomare Magna Grecia, e alla foce del fiume Tacina a Steccato di Cutro;
    d) in provincia di Catanzaro ha dato esito positivo soltanto il campionamento eseguito alla spiaggia di Caminia a Stallettì. Fortemente inquinato, invece, il giudizio per le acque prelevate alla foce del fiume Fiumarella a Catanzaro Lido e alla foce del torrente Zinnavo a Lamezia Terme. Inquinato, invece, quello alla foce del torrente nei pressi del faro di Capo Suvero a Gizzeria;
    e) sei i prelievi effettuati in provincia di Vibo Valentia. Fortemente inquinati sono stati giudicati quelli compiuti alla foce del torrente Mandricelle, nella frazione Corrorino-Porticello di Joppolo; alla foce della fiumara Ruffa in località La Torre di Ricardi e alla foce del fiume Sant'Anna di Vibo Valentia. Inquinato il giudizio del prelievo agli scogli alla foce del torrente Britto a Marina di Nicotera. Entro i limiti quello alla foce del fiume Angitola, in località Calamaio di Pizzo Calabro. I tecnici di Legambiente – dopo diverse segnalazioni di cittadini attraverso il servizio Sos Goletta – hanno inoltre esaminato un campione d'acqua prelevato presso la spiaggia libera contrada di Riaci a Ricadi, anch'esso entro i limiti di legge. I bagnanti continuano in ogni caso a segnalare chiazze sospette in acqua in determinati orari e per questo si richiede all'amministrazione di effettuare ulteriori controlli per verificare la provenienza di questa criticità;
   dal dossier di Legambiente «La depurazione in Calabria: un contributo per affrontare il problema dello smaltimento dei fanghi» emerge come la regione Calabria abbia una potenzialità di depurazione pari all'81 per cento degli abitanti equivalenti totali, ma analizzando la reale capacità di trattare adeguatamente gli scarichi, il dato si abbassa notevolmente. Infatti, secondo l'Istat (dati al 2012) ad essere trattati in maniera adeguata è il 51,5 per cento del totale del carico generato;
   le sopra citate criticità sono state evidenziate anche nell'ultima procedura d'infrazione aperta dall'Unione europea nei confronti dell'Italia che comprende anche 130 agglomerati calabresi. Inadeguatezza che è già costata alla regione una condanna da parte della Commissione europea nel 2012 e che, secondo i calcoli del Governo, comporterebbe, a partire dal 2016 e fino al completamento degli interventi di adeguamento richiesti, una multa di 38 milioni di euro all'anno. Per far fronte alla prima condanna del 2012 era stato stimato un fabbisogno per questa regione di circa 243 milioni di euro e di questi la delibera Cipe 60/2012 ne stanziava 160 milioni (più altri 83 milioni da altre risorse). Per ora sono state, però, sbloccate opere solo per 104 milioni di euro (8 interventi) e rimangono ferme ancora 10 opere per circa 140 milioni di euro a causa della mancanza di progetti concreti e immediatamente realizzabili a cui destinare i fondi, com’è ammesso dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dal presidente Oliverio che ha chiesto un «programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della regione Calabria» che riguarderà 100 amministrazioni comunali per 8 milioni di euro di interventi;
   oltre l'adeguamento degli impianti rimane anche il problema del loro sottoutilizzo. Infatti dall'analisi dei dati forniti alla regione Calabria emerge che alcuni impianti risultano utilizzati in maniera molto ridotta. Tra il 2012 e il 2013 gli impianti negli elenchi della regione sono aumentati, passando da 541 a 548; il numero di controlli è diminuito da 289 a 239 così come il numero di impianti controllati, passato dal 35,67 per cento al 26,64 per cento; il numero di controlli risultati conformi è aumentato passando dal 28,37 per cento al 58,58 per cento. Attualmente si nota che su circa 500 depuratori presenti sul territorio calabrese solo il 25 per cento dei comuni trasmette le informazioni sui fanghi di depurazione. Dai dati emerge inoltre che le quantità di fanghi prodotti sono, nella gran parte dei dati disponibili, non congruenti con i dati di letteratura che riportano una produzione di fanghi di circa 2-6 chilogrammi per metro cubo di acqua trattata;
   a quanto sinora asserito si aggiunga la cattiva gestione degli impianti di depurazione e del collettamento. Da notizie a mezzo stampa, infatti, gli interroganti apprendono che grave è soprattutto la presenza, diffusa lungo la costa, di scarichi a cielo aperto o mediante condotte, spesso non segnalate o addirittura volutamente occultate. Se l'apporto inquinante estivo dei corsi d'acqua è scarso, tranne che in occasione di piogge, assumono, invece, una certa importanza l'entità degli scarichi ed i flussi delle condotte, soprattutto se raccolgono le acque di scarico di insediamenti turistici, seconde case ed aree residenziali non collettate;
   non ci vorrà molto prima che il Governo firmi il decreto che porta al commissariamento della regione Calabria nel settore del trattamento delle acque e della depurazione. Al termine del periodo fissato, il Governo attiverà i poteri commissariali sostitutivi previsti dallo «sblocca Italia» facendo ripiombare la regione Calabria, di nuovo, in una gestione commissariale che dal 1998 al 2008 ha avuto solo esiti fallimentari come evidenziato nella relazione finale dell'Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf), in merito alla gestione dei finanziamenti ricevuti dall'Ufficio del commissario delegato nell'ambito del por Calabria 2000-2006, del 2010: gravi irregolarità amministrative, assoluta mancanza di controlli, appalti in deroga alle leggi violando le prescrizioni sul cofinanziamento dei programmi comunitari, assenza di collaudi, mancanza di relazioni sulla conclusione o sullo stato dei lavori, varianti e aumenti di spesa non giustificati;
   l'articolo 7, comma 6, del decreto-legge n. 133 del 2014, cosiddetto «sblocca Italia», prevede: «Al fine di garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, è istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Il fondo è finanziato mediante la revoca delle risorse già stanziate dalla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (cipe) 30 aprile 2012, n. 60/2012, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 160 dell'11 luglio 2012, destinate ad interventi nel settore idrico per i quali, alla data del 30 settembre 2014, non risultino essere stati ancora assunti atti giuridicamente vincolanti e per i quali, a seguito di specifiche verifiche tecniche effettuate dall'Ispra, risultino accertati obiettivi impedimenti di carattere tecnico-progettuale o urbanistico ovvero situazioni di inerzia del soggetto attuatore. Per quanto non diversamente previsto dal presente comma, restano ferme le previsioni della stessa delibera del Cipe n. 60/2012 e della delibera del Cipe 30 giugno 2014, n. 21/2014, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 220 del 22 settembre 2014, relative al monitoraggio, alla pubblicità, all'assegnazione del codice unico di progetto e, ad esclusione dei termini, alle modalità attuative. I presidenti delle regioni o i commissari straordinari comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'elenco degli interventi, di cui al presente comma, entro il 31 ottobre 2014»;
   gli nterroganti hanno appreso dalla risposta del Sottosegretario di Stato per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare all'atto di sindacato ispettivo n. 5/05774, presentato in data 10 giugno 2015 dal MoVimento 5 Stelle, che: «sebbene la disposizione rimandi all'emanazione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri la fissazione di criteri, modalità ed entità delle risorse da destinare al finanziamento degli interventi sempre in materia di adeguamento dei sistemi depurativi, la stessa norma non ha previsto l'assegnazione delle risorse revocate in “entrata di bilancio dello Stato”». Quindi, in sostanza, il fondo attivato dallo «sblocca Italia» appare bloccato dallo stesso Governo;
   il sopra citato deficit depurativo non risparmia nessuna provincia calabrese e rischia di compromettere la stessa economia turistica –:
   se si intendano assumere iniziative per creare un sistema di coordinamento strutturato che sia fuori dalla logica del commissariamento con un mandato chiaro e limitato nel tempo che porti quanto prima ad attivare una gestione ordinaria delle risorse idriche che risponda a criteri di efficacia ed efficienza e garantisca trasparenza nelle procedure di affidamento degli interventi e nell'utilizzo dei fondi a disposizione;
   se si intenda consentire ai comuni interessati, in via del tutto eccezionale, a fronte della situazione emergenziale in termini di tutela della salute, l'allentamento dei vincoli del patto di stabilità al solo fine di attuare il programma di efficientamento e rifunzionalizzazione degli impianti di depurazione nei comuni costieri della regione Calabria, onde evitare che la carenza di risorse impegnabili comprometta l'efficacia dell'azione intrapresa;
   se non ritenga necessario ed urgente, per superare le procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, accelerare, per quanto di competenza, la realizzazione degli interventi, piuttosto che revocare le relative risorse, per le quali ad ora manca anche un intervento normativo specifico, o quantomeno colmare immediatamente la lacuna normativa relativa al fondo istituito dall'articolo 7, comma 6, del decreto-legge «Sblocca Italia»;
   se non intendano adoperarsi, per quanto di competenza, affinché venga eseguita una mappatura subacquea completa che permetta di individuare la presenza di condotte non segnalate o addirittura volutamente occultate. (3-02464)
(12 settembre 2016)
(ex 5-06207 del 29 luglio 2015)

C)

   LOCATELLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da oltre un anno il Burundi si trova in una drammatica crisi politica innescata dalla decisione dell'attuale Presidente Pierre Nkurunziza di candidarsi per la terza volta alle elezioni presidenziali, violando le disposizioni della Costituzione burundese, nata dagli accordi di Arusha che hanno posto fine alla guerra civile durata vent'anni, che prevedeva che il Capo dello Stato non potesse rimanere in carica per più di due mandati;
   tale annuncio ha provocato l'esplosione di proteste, manifestazioni, violenti scontri e un tentativo di colpo di Stato, repressi dall'esercito e dalle forze di sicurezza con atti di repressione di inaudita violenza: radio e giornali chiusi, raid nell'università, arresti, omicidi, sparizioni;
   l'Alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Zeid Ra'ad Hussein, ha di recente definito sconvolgente l'aumento delle pratiche di tortura e maltrattamenti in Burundi, dove solo nel 2016 i casi registrati sono circa 400 (dall'inizio della crisi il numero è di quasi 600);
   le repressioni hanno prodotto un consistente flusso di rifugiati verso i campi profughi dei Paesi confinanti: oltre 250.000 persone hanno infatti trovato rifugio in Tanzania, Ruanda, Uganda e Congo, alloggiando in strutture drammaticamente inadeguate ad accogliere una folla di tali proporzioni;
   torture e sparizioni sono all'ordine del giorno e sono giunte testimonianze in ordine all'esistenza di fosse comuni nelle quali sarebbero stati accatastati i cadaveri delle vittime, che, secondo i racconti pervenuti, sarebbero in prevalenza di etnia tutsi, circostanza che suscita molte preoccupazioni per il fatto che la crisi in atto possa innescare una guerra civile come quella che si è consumata in Ruanda tra il 1993 e il 1994;
   i tentativi per la composizione del conflitto in atto, ad opera del Presidente ugandese Museveni e della Comunità dell'Africa orientale (Eac) sono purtroppo falliti;
   il Burundi ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione onu contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Convenzione sui diritti del fanciullo, lo statuto della Corte penale internazionale;
   nel rapporto presentato nel mese di aprile 2016 al Consiglio di sicurezza, il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, definendo allarmante la situazione del Burundi, ha avanzato una serie di proposte, tra cui l'ipotesi di inviare una missione di pace nel Paese, con l'invio di fino a tremila uomini, ovvero agenti di polizia da affiancare ai funzionari dell'Onu e dell'Unione africana allo scopo di garantire la tutela dei diritti umani;
   i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty international sul Burundi mettono in evidenza episodi di repressione, violazione delle libertà di espressione e di manifestazione, arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo;
   il 25 aprile 2016 la procuratrice Fatou Bensouda della Corte penale internazionale ha annunciato un'indagine sulle violenze compiute in Burundi;
   la Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica e il Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei deputati, hanno incontrato il 10 maggio 2016 Marguerite Barankitse, una delle principali figure di impegno civile e umanitario del Paese, e Leonidas Hatungimana, già portavoce del Presidente Nkurunziza, entrambi costretti a riparare all'estero, il secondo essendosi espresso contro il terzo mandato;
   Marguerite Barankitse e Leonidas Hatungimana hanno voluto sottolineare di essere l'una di etnia tutsi, l'altro di etnia hutu, ad indicare che quello in atto in Burundi non è un conflitto di tipo etnico; hanno inoltre descritto e documentato le violenze perpetrate contro la popolazione civile dalle autorità burundesi, in particolare quelle contro donne e minori, confermando la presenza di fosse comuni;
   la signora Barankitse ha denunciato la chiusura da parte del Governo dell'ospedale Rema della «Maison Shalom», da lei fondata quindici anni fa, destinato in particolare alle donne in gravidanza, con conseguenze gravissime per le donne stesse e i bambini; l'interruzione forzata dell'erogazione di energia elettrica avrebbe portato alla morte di numerosi bambini in incubatrice –:
   alla luce della prima conferenza ministeriale Italia-Africa, tenutasi a Roma mercoledì 18 maggio 2016, alla quale ha partecipato il Ministro degli esteri del Burundi, Alain Aimé Nyamitwe, e dell'eventualità che le autorità italiane abbiano chiesto di essere informate su quanto sta avvenendo nel Paese e abbiano affrontato con il Ministro burundese il tema della violazione dei diritti umani, invocandone il rispetto, e della libertà di espressione e di manifestazione, quali iniziative intenda adottare il Governo, anche d'intesa con i partner dell'Unione europea, perché la condotta delle Autorità burundesi sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che il Burundi ha sottoscritto; in coordinamento con gli altri Paesi dell'Unione europea e con le Nazioni Unite, per scongiurare il rischio di nuovi massacri in Burundi, per promuovere sanzioni economiche della comunità internazionale contro il Burundi sino a quando non verrà ripristinata la legalità e verrà posto termine alla repressione e per agevolare il percorso formale che potrebbe portare all'incriminazione del Presidente del Burundi Pierre Nkurunziza dinanzi alla Corte penale internazionale. (3-02465)
(12 settembre 2016)
(ex 5-09201 del 19 luglio 2016)

D)

   GALGANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «perdere il passato significa perdere il futuro» – Wang Shu – nessuna espressione può rendere al meglio l'importanza della scoperta a cui si è da poco giunti;
   a Volterra un anfiteatro romano, che gli esperti collocano presumibilmente nel I secolo dopo Cristo e di cui si era persa memoria, è affiorato dalla terra dopo secoli di buio;
   la scoperta a Volterra dove, tra le rovine della porta etrusca Diana, a ovest del cimitero comunale e a sud della necropoli etrusca del Portone, sono emerse file di gradinate del secondo ordine – sotto le quali si celano quelle del primo, ancora in fase di recupero – che fanno pensare alla presenza di un edificio pubblico romano di eccezionale rilevanza, probabilmente a carattere ludico;
   grazie ad un'operazione di bonifica condotta nel mese di luglio 2015, sono dapprima state scoperte delle strutture murarie dallo sviluppo lineare di oltre 20 metri: si trattava di pochi filari, dall'andamento spiccatamente curvilineo, che ricordavano la stessa tecnica costruttiva del teatro romano di Volterra;
   successivamente, lo scavo ha consentito di mettere in evidenza ulteriori resti della medesima muratura, ad andamento curvilineo costante, che orientava la pianta verso uno sviluppo ellittico, ora leggermente più tondeggiante di quanto inizialmente immaginato;
   il ritrovamento, di dichiarata straordinaria levatura e di grandi dimensioni, richiede necessariamente un'accurata opera di restauro e di valorizzazione, nonché una collocazione in un contesto urbanistico adeguato;
   la scoperta appena citata concorre, infatti, a riscrivere la storia della città di Volterra che fino ad oggi si pensava esser stata certamente uno dei centri più importanti dell'età etrusca ma minore per l'epoca romana: l'anfiteatro dimostra, invece, che all'epoca di Augusto, la cittadina toscana è stata anche un'importante sito romano –:
   se l'urgenza delle attività sopra esposte figuri tra le idee ed i progetti del Governo, così da riportare adeguatamente alla luce questo importante sito e consegnarlo al patrimonio storico-culturale della comunità presente e delle generazioni future;
   come il Ministro interrogato intenda gestire la necessità di ulteriori fondi per favorire il recupero del sito, reso particolarmente complesso dalla grandezza e dal posizionamento al di sotto di una collina, così da evitare che la scoperta venga archiviata tra le «tante occasioni perdute» di cui l'Italia è, purtroppo, ricca;
   quali iniziative intenda portare avanti al fine di celebrare e valorizzare questa significativa scoperta che rappresenta non solo un importantissimo arricchimento del patrimonio dell'umanità, ma costituisce anche una grande opportunità per l'economia del territorio, se resa debitamente fruibile e visitabile. (3-02287)
(7 giugno 2016)

E)

   DISTASO, ALTIERI, CIRACÌ e FUCCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da numerosi articoli di stampa (recentemente sul quotidiano la Repubblica, la Repubblica-Bari, Corriere del Mezzogiorno-Bari) si apprende della esistenza di 181 ricorsi nei confronti della fondazione lirica Teatro Petruzzelli di Bari da parte di dipendenti assunti con contratto a tempo determinato, per i quali vi sono state già 21 sentenze a favore;
   analoga sorte dovrebbe certamente riguardare i restanti 160 ricorsi pendenti;
   laddove ciò si verificasse, ovvero la condanna della fondazione a riassumere i lavoratori ed a pagare i relativi danni da quantificarsi, l'ente lirico subirebbe un danno stimato in circa sei milioni di euro, con conseguente rischio di liquidazione;
   alla pagina V del quotidiano la Repubblica, cronaca di Bari, in data 1o giugno 2016, l'attuale sovrintendente al Teatro dell'Opera di Roma, Carlo Fuortes, già commissario della fondazione Teatro Petruzzelli (anno 2012), dichiara espressamente: «l'articolo 3, comma 8-bis, della legge n. 100 del 2010 prevedeva espressamente una pianta organica concordata (con il Ministero, ndr) e l'autorizzazione alle assunzioni (a tempo determinato o indeterminato), a patto che queste avvenissero attraverso procedure di evidenza pubblica»; ed ancora: «per questo motivo il Ministero mi autorizzò a farle mentre prima erano state sempre rifiutate»;
   nello stesso articolo, lo stesso commissario dichiara espressamente: «Quando sono arrivato (al Teatro Petruzzelli) ho trovato una situazione non conforme alle regole o, per dire meglio, ho trovato una situazione determinata da scelte arbitrarie, dunque illegali»;
   sempre su la Repubblica, cronaca di Bari, in data 3 giugno 2016 il dottor Salvo Nastasi, già capo di gabinetto e successivamente direttore generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ricorda come sin dal 2010 vigeva l'obbligo, per le assunzioni di personale delle fondazioni liriche, delle procedure di evidenza pubblica, come stabilite dal contratto nazionale di lavoro;
   in particolare, a partire dal 2010 (con la legge n. 100 del 2010) venne consentita la possibilità di deroga al blocco per le assunzioni a tempo indeterminato, a condizione che venissero espletate procedure ad evidenza pubblica;
   pertanto, lo stesso dottor Nastasi afferma che la fondazione Teatro Petruzzelli avrebbe dovuto procedere attraverso l'espletamento delle procedure concorsuali, anziché ricorrere, com’è invece successo, alla stipula di contratti a tempo determinato «(...) Che non dovevano essere autorizzati, poi rinnovati più e più volte (...)»; ed ancora afferma «(...) Una scelta di Michele Emiliano e del sovrintendente dell'epoca che ovviamente ha illuso i lavoratori e creato forti aspettative, oltre ad aver indebolito la fondazione nelle difesa (in seguito) delle sue posizioni»;
   sempre nel citato articolo, il dottor Nastasi dichiara altresì che «(...) La morsa del sindacato (Cgil, ndr) sul Petruzzelli è stata fortissima; è la cronaca e se ne parla da anni. Le pressioni su di loro (regione e comune) furono conseguentemente enormi; si volevano assunzioni dirette senza limiti o controlli (...)» –:
   se la ricostruzione dei fatti, riguardante le assunzioni effettuate (a partire dall'anno 2008), dalla fondazione Teatro Petruzzelli di Bari, come si evince anche dalle dichiarazioni citate del dottor Fuortes e del dottor Nastasi, corrisponda al vero, secondo la documentazione in possesso del Ministro interrogato;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda promuovere alla luce dei contenziosi pendenti e delle sentenze già emesse nei confronti della fondazione Teatro Petruzzelli di Bari;
   se il Ministro interrogato ritenga di intervenire finanziariamente a sostegno della fondazione, ai fini del rilancio delle attività della stessa e non già per consentire una sanatoria di attività e procedure ormai acclarate come illegittime, tenuto conto che un'eventuale e non auspicabile mancanza di intervento ministeriale, a fronte di atti e provvedimenti ritenuti illegittimi (che rischiano di produrre concreti danni finanziari, e probabilmente erariali alla fondazione Petruzzelli), rischierebbe di minare la credibilità stessa dell'istituzione e di coprire, in tal modo, quelle che appaiono agli interroganti responsabilità, personali ed amministrative, del presidente e del sovrintendente della fondazione, in particolare negli anni dal 2008 al 2011. (3-02306)
(8 giugno 2016)

F)

   BUSTO, PARENTELA, BENEDETTI, DAGA, DE ROSA, MICILLO, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il glifosato è il principio attivo dei diserbanti chimici più venduti al mondo e ampiamente impiegati in ambito agricolo, ma anche nel trattamento degli spazi urbani e nel giardinaggio, nonostante le numerose evidenze scientifiche ne riconoscano i rischi per la salute e per l'ambiente;
   il glifosato è il pesticida che più di ogni altro determina il superamento degli standard di qualità ambientale nelle acque superficiali. Il rapporto nazionale pesticidi nelle acque dell'Ispra, edizione 2014, relativo ai dati 2011-2012, riporta che il glifosato sia una delle sostanze più vendute a livello nazionale e la sua presenza nelle acque viene confermata anche da dati internazionali. Il suo monitoraggio è tuttora effettuato solo in Lombardia, dove la sostanza è presente nel 31,8 per cento dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e il suo metabolita, Ampa, nel 56,6 per cento, superando gli standard di qualità ambientali delle acque superficiali;
   uno studio pubblicato su The Lancet oncology, dopo tre anni di ricerche coordinate da 17 esperti in 11 Paesi, rivela una forte correlazione epidemiologica tra l'esposizione al glifosato e il linfoma non-Hodgkin. Ciò, in aggiunta ai già noti aumenti di ricorrenza di leucemie infantili, malattie neurodegenerative e Parkinson in testa. Dagli anni ’80, il glifosato è anche classificato come interferente endocrino, rivelando negli ultimi anni una serie di gravi pericoli, non ultimo una forte correlazione con l'insorgenza della celiachia (studi del Mit, 2013-2014);
   l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (Iarc), facente parte dell'Organizzazione mondiale della sanità, a marzo 2016 ha pubblicato, in «Iarc monographs volume 112: evaluation of five organophosphate insecticides and herbicides», una sintesi della valutazione di cancerogenicità di cinque pesticidi organofosforici, tra cui il glifosato. Il risultato dello studio ha inserito il diserbante nella classe 2A – che precede quella dei «cancerogeni certi» – come «probabilmente cancerogeno per gli esseri umani»;
   a seguito della nuova classificazione dell'Organizzazione mondiale della sanità, molti Governi, associazioni ambientaliste e cittadini hanno avviato, a livello mondiale, azioni legislative e proteste per bandire immediatamente il glifosato o per limitarne l'uso con norme severe;
   le nazioni che attualmente risulta abbiano ottenuto il divieto di usare il glifosato sono: Colombia, Bermuda, Danimarca, Russia, Tasmania, Messico, Sri Lanka e, di recente, anche Olanda. Il divieto sarà operativo nel prossimo futuro anche: nelle Fiandre, dal 2015; in Francia dal 2016; nei Paesi Bassi dal 2017 e in Vallonia dal 2019;
   in Italia, allo stesso modo degli altri Paesi, diversi enti territoriali si stanno adoperando per intraprendere azioni legislative finalizzate a vietare l'uso del glifosato e di prodotti affini in ambito pubblico. Tra questi, la provincia autonoma di Bolzano, con una mozione del MoVimento 5 Stelle, e la regione Toscana sono riuscite a vietarne l'utilizzo come diserbante finalizzato al decoro delle strade pubbliche;
   alcuni membri del gruppo del MoVimento 5 Stelle hanno presentato, il 9 settembre 2013, una proposta di legge, a prima firma di Patrizia Terzoni, su «Limiti all'impiego di sostanze diserbanti chimiche», finalizzata alla tutela della salute umana, dell'ambiente naturale, dell'ambiente acquatico e delle acque potabili, della biodiversità, degli ecosistemi, delle attività agricole condotte con metodi biologici e naturali e dei consumatori, nonché alla riduzione del rischio idrogeologico e alla promozione dell'uso di tecniche alternative all'impiego di prodotti chimici, di prodotti tossici e di soluzioni saline di qualsiasi genere nelle operazioni di gestione della vegetazione spontanea;
   il gruppo del MoVimento 5 Stelle ha presentato il 22 gennaio 2015 alla Camera dei deputati la mozione 1-00720, a prima firma di Silvia Benedetti, accolta dal Governo in data 27 ottobre 2015 e che impegna lo stesso a vietare il glifosato, rendendo obbligatoria l'indicazione in etichetta dell'identità e della quantità non solo dei principi attivi di questo agente tossico, ma anche di tutte le altre sostanze utilizzate nella composizione dei pesticidi presenti sul mercato, includendole gradualmente nei programmi di monitoraggio;
   il Governo, in sede di discussione alla Camera dei deputati della citata mozione a prima firma di Silvia Benedetti, si è altresì impegnato a «incentivare, agevolare e sostenere pure attività agricole alternative come quella biologica e quella integrata, con tecniche colturali che possono essere sempre più sostenibili in un quadro complesso anche in termini ambientali»;
   l'autorizzazione alla vendita di prodotti a base di glifosato è scaduta il 31 dicembre 2015 ed è in corso a livello europeo un processo di valutazione per una sua «ri-autorizzazione», che vede coinvolti lo Stato membro rapporteur, l'Efsa e la Commissione europea, la quale dovrà valutare l'orientamento degli Stati membri per la nuova autorizzazione della sostanza il 7 marzo 2016;
   in sede di valutazione del glifosato per una sua «ri-autorizzazione», l'istituto valutatore (Bfr) dello Stato membro rapporteur (Germania) dichiara che per la predisposizione del proprio parere (sostanzialmente difforme da quello dello Iarc) si sia affidato anche alla «glifosate task force», che si è basata su studi promossi dalle stesse ditte che producono e commercializzano il prodotto a base di glifosafo, dichiarando un parere favorevole alla commercializzazione del glifosato giudicato come «non cancerogeno»;
   risulta che la Global 2000 umweltorganisation, un'organizzazione ambientale, riconosciuta dal Ministero federale dell'Austria, Ministero per la politica agraria e le foreste, l'ambiente, le acque, abbia denunciato la Monsanto per aver adottato metodi per ottenere autorizzazioni e metodi commerciali non corretti, nonché per la manipolazione di studi scientifici e la falsificazione degli esiti, nonché l'Istituto federale tedesco per la valutazione di rischi (Bfr) per non essere sufficientemente indipendente da interessi economici da parte di società industriali ed infine l'Efsa, in considerazione del fatto che i propri dirigenti collaborano in maniera stretta con società industriali e hanno incarichi in grandi società commerciali e industriali non garantendone l'indipendenza;
   l'ordine del giorno della riunione fissata per il 7 e l'8 marzo 2016 del «Standing committee on plants, animals, food and feed», sezione fitosanitaria della Commissione europea, in cui sarà presente una rappresentanza italiana, prevede un punto dedicato alla valutazione dell'eventuale riapprovazione del glifosato –:
   se il Governo non ritenga che, visti gli impegni presi con l'approvazione della mozione n. 1-00720 e le evidenti indicazioni dei danni alla salute e in considerazione di una classificazione Iarc della cancerogenicità del glifosato, non sia opportuno assumere iniziative in sede europea per giungere all'espressione di un parere contrario in merito alla nuova autorizzazione dell'uso del glifosato;
   quali siano le iniziative che il Governo, in applicazione del principio di precauzione, intenda assumere per vietare definitivamente e in maniera permanente la produzione, la commercializzazione e l'impiego di tutti i prodotti a base di glifosato, nell'interesse primario della salute degli agricoltori, dei cittadini e della tutela dell'ambiente e delle acque;
   se non ritengano opportuno promuovere politiche di limitazione all'agricoltura intensiva comportante l'utilizzo del glifosato e di altri pesticidi, i quali contribuiscono ad aggravare l'inquinamento idrico da fonti puntuali e non puntuali, assumendo iniziative normative volte ad introdurre disposizioni più severe sui pesticidi e sui fitosanitari e incentivi mirati per i piccoli produttori locali, nonché incentivi finanziari all'agroecologia, considerato che la stessa, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresenta un modello alternativo all'agricoltura convenzionale, per la sostenibilità, l'assenza dell'uso di fitofarmaci e la tutela dell'ambiente;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative volte a disincentivare l'impiego dei pesticidi di sintesi, favorendo invece l'utilizzo di mezzi manuali, fisici, meccanici e biologici, tenendo conto che l'uso dei fitofarmaci per l'esercizio dell'agricoltura integrata è necessariamente soggetto ai limiti di convivenza con i metodi di produzione biologica, nel rispetto del regolamento (CE) n. 834/2007 del Consiglio del 28 giugno 2007, relativo alla «produzione biologica e etichettatura dei prodotti biologici e che abroga il regolamento (CEE) n. 2092/91». (3-02079)
(3 marzo 2016)

G)

   TENTORI, TERROSI, TARICCO, ZANIN, CENNI, COVA, MARIANI, FOSSATI e SCUVERA. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali e al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 a Castellanza, in provincia di Varese, è stato identificato per la prima volta il coleottero chiamato Ophraella communa originario del Nord America, introdotto in Oriente sul finire dello scorso secolo, che si è rapidamente diffuso in tutta la Lombardia, oltre che nel Canton Ticino, in particolare rinvenendo la specie nelle province di Como, Varese, Milano, Lecco e Pavia;
   i primi campioni sono stati affidati al laboratorio fitopatologico del servizio fitosanitario regionale e, dopo essere stati identificati a livello specifico su base morfologica, tale determinazione è stata confermata attraverso l'analisi del dna;
   dalle prime informazioni e dalle notizie comparse sugli organi di stampa si apprende che si tratta di una specie oligofaga associata alle Asteraceae Heliantheae, sottotribù Ambrosiinae ed Helianthinae, ma con preferenza per Ambrosia artemisiifolia (pianta erbacea infestante che provoca allergie), che compie più generazioni all'anno, svolge gran parte del suo ciclo sulla parte aerea della pianta e le cui larve e i cui adulti si alimentano principalmente delle foglie, sulle quali vengono anche deposte le uova, ma non trascurano i fiori;
   il coleottero ha localmente causato sull’Ambrosia gravi defogliazioni e un generale intristimento delle piante colpite, che risultano aver subito danni rilevanti nelle condizioni d'infestazione più severe e in alcuni casi l'effetto in pieno campo è paragonabile a un diserbo selettivo;
   i rilievi aerobiologici condotti nelle stazioni di monitoraggio dei pollini d'interesse allergologico di Legnano, Magenta e Rho (Milano) hanno evidenziato una notevole diminuzione delle concentrazioni di Ambrosia;
   l’Ophraella communa è stata posta in passato all'attenzione in diversi Paesi per un possibile utilizzo come agente di controllo biologico dell’Ambrosia;
   se la diffusione dell’Ophraella communa sul territorio italiano sarà confermata, la presenza dell’Ambrosia e i danni che essa produce potrebbero ridursi considerevolmente, sollevando le pubbliche amministrazioni locali da pesanti oneri per il controllo dell'infestante;
   la bibliografia riguardante le specie cosiddette «aliene» introdottesi in Italia comprende numerosi insetti causa di gravi danni agli ecosistemi locali, oltre che al comparto agricolo, come, ad esempio, il cinipide che danneggia fortemente la produzione di castagne;
   i cicli biologici sono complessi e, quindi, un insetto come l’Ophraella communa, apparentemente utile e con ricadute inizialmente positive, potrebbe essere fonte di ulteriori problemi, ad esempio in merito all'impatto sugli ecosistemi del territorio, all'equilibrio con la pianta ospite o alle altre specie erbacee che eventualmente potrebbero essere attaccate una volta terminata l’Ambrosia –:
   se siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se sia intenzione del Governo valutare il possibile utilizzo della Ophraella communa come agente di controllo biologico dell’Ambrosia, procedendo ai dovuti approfondimenti su eventuali effetti collaterali legati all'ingresso di questo nuovo coleottero nell'ecosistema del territorio;
   se il Governo intenda approfondire il problema dei controlli alle frontiere per mettere in campo provvedimenti volti a limitare gli indesiderati ingressi di specie cosiddette «aliene» negli ecosistemi locali.
(3-02466)
(12 settembre 2016)
(ex 5-02479 del 27 marzo 2014)

H)

   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   recentemente la Germania ha annunciato che, dal 2017, i pulcini maschi nati negli allevamenti di ovaiole – circa 30 milioni – non saranno più uccisi a meno di 24 ore dalla nascita, come attualmente avviene;
   l'eliminazione dei maschi degli allevamenti di ovaiole è prevista dall'Unione europea, in quanto tali esemplari, per le loro particolari caratteristiche (sono infatti più piccoli e con un livello di accrescimento più lento rispetto agli altri), non possono essere destinati alla produzione di carne e risultano quindi poco interessanti per il mercato avicolo; tuttavia, il metodo di eliminazione utilizzato (appena nati e riconosciuto il sesso da figure specializzate del settore, vengono soffocati o tritati in un macchinario a lame rotanti) non rientra certamente in quelli che garantiscono il benessere animale;
   l'idea della Germania, alla quale hanno già fatto eco altri Stati europei, tra i quali la Francia, sarebbe quella di determinare il sesso del pulcino già nella fase embrionale, prima della schiusa, così da poter poi destinare le uova ad altri usi. Il costo aggiuntivo di questa operazione si aggirerebbe intorno ai due centesimi a uovo;
   anche in Svizzera si stanno sperimentando altri metodi di allevamento per evitare questa strage di pulcini maschi, ad esempio quello di sviluppare una razza di polli in cui il maschio possa essere allevato come animale da carne e la femmina utilizzata per la produzione di uova;
   secondo la Ciwf (Compassion in world farming), al momento non sono ancora disponibili dati su questo particolare aspetto per il nostro Paese, né sui costi di eliminazione dei pulcini e sul successivo smaltimento delle carcasse;
   relativamente agli allevamenti di ovaiole, sempre in Germania si stanno studiando metodi per vietare, sempre a partire dal 2017, il debeccaggio delle galline negli allevamenti di ovaiole, praticato per evitare situazioni di cannibalismo attraverso allevamenti in cui le condizioni degli animali sono di stress e sovraffollamento –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e quali siano i numeri in Italia dei pulcini maschi soppressi negli allevamenti di galline ovaiole;
   se, in base all'esempio fornito dalla Germania, ma anche da altri Paesi europei, intenda portare avanti iniziative, anche normative, per modificare lo stato degli allevamenti di ovaiole;
   quali siano i costi di queste uccisioni e dello smaltimento delle carcasse;
   se intenda intervenire anche con riferimento al metodo del debeccaggio, al fine di una maggiore garanzia del benessere animale negli allevamenti italiani.
(3-02467)
(12 settembre 2016)
(ex 5-07345 del 13 gennaio 2016)

I)

   CASTRICONE, D'INCECCO, BRAGA, AMATO, MELILLA e FUSILLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la testata de Il Fatto Quotidiano riporta in forma anonima le dichiarazioni virgolettate di due giudici popolari al processo presso la corte di assise di Chieti concernente la mega discarica di Bussi e l'inquinamento legato agli impianti ex Montedison;
   la procura di Pescara aveva chiesto la condanna per i 19 imputati a pene che variavano da 4 a 12 anni per avvelenamento doloso delle acque e inquinamento doloso;
   la sentenza della corte d'assise, pronunciata in data 19 dicembre 2014, ha invece assolto tutti dal primo reato perché il fatto non sussiste e derubricato il secondo a colposo, cosa che ha comportato una riduzione della pena a 5 anni poi prescritta;
   nelle dichiarazioni al giornale viene affermato testualmente che in un caso un giudice «non era serena quando hanno emesso la sentenza» e aggiunge «ma le dico di più: non abbiamo mai letto gli atti del processo» e nell'altro che «soprattutto nelle motivazioni proprio non mi riconosco»;
   secondo la loro versione i giudici popolari non hanno letto un solo atto del processo in quanto affermano testualmente: «Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula»;
   sempre le due intervistate hanno rivelato che durante una cena con il giudice Romandini questi avrebbe spiegato loro che sempre come riportato testualmente «se avessimo condannato per dolo, se poi (gli imputati ndr) si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarci personalmente chiedendoci i danni e avremmo rischiato di perdere tutto quello che avevamo»;
   è evidente che tali dichiarazioni necessitano di un approfondimento in considerazione della delicatezza della questione che riguarda una comunità e un territorio profondamente segnati e sulle ombre che vengono a palesarsi sul giudizio e sull'intero processo;
   i due giudici popolari, come riportato nell'articolo, hanno affermato di essere «disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici e se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità». Il giudice Romandini, presidente della corte d'assise, nello stesso articolo contattato risponde di non poter commentare le dichiarazioni dei giudici popolari – che si assumono la responsabilità di ciò che dicono – perché tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio ed afferma che i giudici «sono stati messi nelle condizioni di poter decidere. E nella massima correttezza e trasparenza» –:
   alla luce di quanto riportato in premessa, se e quali iniziative, nell'ambito delle proprie prerogative, il Ministro interrogato intenda adottare in relazione alla vicenda ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (3-01500)
(15 maggio 2015)

   COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la sentenza in merito alla discarica di Bussi e ai veleni prodotti dalla Montedison si è svolta a porte chiuse nel tribunale di Chieti il 19 dicembre 2014 e i 19 imputati sono stati tutti assolti dal reato di avvelenamento delle acque mentre, per il disastro ambientale, la corte ha derubricato il capo d'imputazione in disastro colposo, per il quale è stata dichiarata la prescrizione. L'accusa, sostenuta dai pubblici ministeri Annarita Mantini e Giuseppe Bellelli, aveva chiesto condanne, per gli ex dirigenti e tecnici di Montedison, che andavano dai 4 ai 12 anni. I pubblici ministeri sostengono che alcuni imputati sapessero che l'acquedotto Giardino, a partire dal 1992, fosse stato inquinato. E l'acquedotto riforniva acqua a un bacino di 700 mila persone in tutta la Val Pescara. Inoltre, nel processo erano stati depositati documenti sul mercurio ritrovato nel 1972 nei pesci e nei capelli dei pescatori del porto di Pescara, a cui si aggiungevano le dichiarazioni di una dirigente dell'Arpa, messe a verbale dal comandante della Guardia forestale, Guido Conti: «(...) è stata accertata la presenza di sostanze potenzialmente a rischio per la salute umana (...) Sarebbe stato necessario vietare l'erogazione e la distribuzione delle stesse acque (...)»;
   da fonti di stampa si è appreso che 2 dei 6 giudici popolari che hanno emesso la sentenza in oggetto hanno poi dichiarato a Il Fatto Quotidiano di non aver mai letto gli atti del processo: «Ci siamo rifatte alle slide viste in udienza e alle parole sentite in aula. Siamo disposte a confermare tutto dinanzi ai giudici se un magistrato ci chiama racconteremo la nostra verità»;
   i 2 giudici hanno inoltre raccontato che il 16 dicembre 2014 alcuni dei 6 giudici popolari hanno cenato insieme con il presidente della corte d'assise, Camillo Romandini, e il giudice a latere, Paolo di Geronimo, in un locale pubblico di Pescara e che, a loro dire, il presidente Romandini avrebbe spiegato che, se avessero condannato per dolo gli imputati e se poi questi ultimi si fossero appellati e avessero vinto la causa, avrebbero potuto citarli personalmente, chiedendogli i danni, con il rischio di perdere tutto quello che avevano. In riferimento a tali dichiarazioni e avvenimenti il presidente Romandini ha semplicemente dichiarato: «Non posso commentare perché sono tenuto alla segretezza di quanto accaduto in camera di consiglio»;
   l'idea che i giudici popolari non abbiano letto neanche gli atti appare una mancanza ancor più grave, aggravata dal fatto dalla circostanza, ancora tutta da provare, del timore che sembra sia stato in loro ingenerato nell'intravedere il rischio di poter essere citati per danni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda promuovere un'ispezione ministeriale presso il tribunale di Chieti in relazione ai fatti esposti in premessa. (3-02468)
(12 settembre 2016)
(ex 5-05613 del 14 maggio 2015)

L)

   GALGANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da giorni sono in corso manifestazioni e proteste (anche sui social network) contro le motivazioni dell'assoluzione in secondo grado di sei ragazzi (tra i 20 e 25 anni) accusati di aver stuprato il 26 luglio 2008 una ragazza di Firenze: si tratta del caso che viene citato dai giornali come «stupro della Fortezza da Basso», con riferimento al luogo dove avvenne la presunta violenza;
   dopo la denuncia per stupro (presentata quattro giorni dopo i fatti), gli accertamenti medici e le indagini, gli imputati vennero arrestati, rimanendo un mese in carcere e circa due mesi ai domiciliari; il processo (nel quale il comune di Firenze si era costituito parte civile) terminò nel gennaio 2013 con una sentenza di condanna a 4 anni e 6 mesi di reclusione;
   secondo il pubblico ministero, benché non l'avessero fatta bere per abusare di lei, quando però si erano accorti che la ragazza non era più in sé a causa dell'abbondante quantità di alcol assunto, ne avevano approfittato per fare sesso a turno in un'auto: un comportamento che, anche senza costrizione o minaccia fisica, configurava lo stesso per il codice penale il reato di violenza sessuale di gruppo;
   i sei furono condannati per violenza sessuale di gruppo aggravata dal fatto che la vittima era ubriaca, cioè dal fatto che i violentatori avevano approfittato delle sue «condizioni di inferiorità fisiche e psichiche» a causa dell'alcol;
   la pronuncia della corte di appello è arrivata nel marzo 2015 e ha completamente rovesciato la condanna in primo grado: i sei imputati sono stati tutti assolti con formula piena perché «il fatto non sussiste»;
   la procura generale di Firenze non ha presentato ricorso in Corte di cassazione e i termini sono scaduti il 18 luglio 2015: la sentenza è diventata quindi definitiva;
   le proteste si devono al fatto che il giudizio sulla vita privata e sessuale della ragazza sembrerebbero le motivazioni principali che hanno indotto i giudici a mettere in dubbio la sua versione e la condanna di primo grado;
   i giudici di appello hanno infatti dubitato della credibilità della giovane donna (e dato credito alla versione dei sei ragazzi), basandosi su diverse contraddizioni che ci sarebbero state nella testimonianza di lei e sulla ricostruzione della sua vita privata e delle sue abitudini sessuali, sia in generale, sia con riferimento a quella sera stessa: la ragazza «maggiorenne e acculturata» non sarebbe stata in uno stato di inferiorità psichica, essendo «un soggetto femminile fragile, ma al tempo stesso disinibito, creativo, in grado gestire la propria (bi)sessualità, di avere rapporti fisici occasionali, di cui nel contempo non era convinta»;
   la corte di appello, nelle quattro pagine della sentenza, ha rilevato che il caso in questione deve essere scremato «innanzitutto dal deviante contorno inquinato dall'impatto emozionale e mediatico che evidentemente ha connotato i fatti nell'immediatezza, perché nel caso che qui occupa, al di là di giudizi moralistici o pregiudizi etici, l'unica attenzione da porre, seguendo il rigore dell'impugnata sentenza, è quella al reato contestato ed alla sussistenza dei suoi connotati essenziali, soggettivi ed oggettivi», aggiungendo poi che la vicenda è stata «incresciosa», «non encomiabile per nessuno», ma «penalmente non censurabile»;
   in sostanza, secondo i giudici, la ragazza voleva con la sua denuncia «rimuovere» quello che considerava un suo «discutibile momento di debolezza e fragilità», ma «l'iniziativa di gruppo» non venne da lei «ostacolata»;
   dopo le motivazioni della sentenza, la ragazza (che a sette anni di distanza è ancora vittima di una forte depressione) ha scritto una lettera in cui sostiene di essere stata messa lei stessa sotto processo per le sue scelte di libertà;
   sentenze come questa, che a parere dell'interrogante presenta profili di abnormità, riportano il nostro Paese culturalmente indietro di decenni: non si comprende perché la magistratura dell'accusa, dopo la condanna di primo grado, non abbia ritenuto che ci fossero i presupposti per il ricorso in Corte di cassazione avverso l'assoluzione in appello –:
   se non ritenga doveroso per quanto di competenza fare chiarezza sull'accaduto, valutando anche l'opportunità di un'ispezione al riguardo. (3-01667)
(4 agosto 2015)