TESTI ALLEGATI ALL'ORDINE DEL GIORNO
della seduta n. 602 di Martedì 5 aprile 2016

 
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INTERPELLANZA E INTERROGAZIONI

A) Interpellanza e interrogazioni

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni nella città e nella provincia di Bari vi è stata una grave recrudescenza di atti criminali che suscitano legittima preoccupazione nei cittadini e chiamano in causa le capacità di prevenzione e contrasto da parte dello Stato;
   particolarmente grave è stato l'assalto, avvenuto il 19 ottobre 2015 nella zona industriale di Bari, ad un furgone portavalori scortato da guardie giurate ad opera di un commando composto da una ventina di persone che hanno fatto ricorso a tattiche da vera e propria guerriglia;
   l'assalto è stato organizzato in ogni dettaglio ed è stato estremamente violento, tanto che subito dopo si è alzato l'allarme degli imprenditori locali e di Confindustria per i rischi quotidiani a cui ogni giorno, nella zona industriale di Bari, sono sottoposti le attività economiche e i lavoratori in esse impiegati tra furti, rapine e autisti sequestrati;
   come emerso sulla stampa locale, vi è il paradosso legato al fatto che proprio nella zona industriale, utilizzando fondi europei, è stato installato un moderno impianto di sorveglianza, collegato a una nuova sala operativa delle forze dell'ordine, che però non è ancora operativo;
   sempre il 19 ottobre 2015, nel quartiere Libertà, cioè nel pieno della città di Bari, da un'auto in transito, a pochi passi da una scuola, sono stati esplosi in aria tre colpi di pistola;
   il giorno prima, nel territorio della provincia metropolitana, a Bitonto, durante la festa dei Santi Medici, era avvenuta una sparatoria che aveva lasciato a terra due feriti e scatenato il panico nella popolazione;
   a parere degli interpellanti questa escalation criminale deve essere affrontata con forza, oltre che dagli organi preposti sul territorio (il sindaco di Bari, che guida anche la città metropolitana, il prefetto e il questore), anche dal vertice politico del Ministero dell'interno che non può assistere, senza attivarsi, al deterioramento delle condizioni di sicurezza in cui vivono i cittadini di Bari e provincia –:
   se non ritenga necessario, come auspicato dagli interpellanti, garantire in tempi immediati la sua presenza a Bari per lo svolgimento di un comitato provinciale per la sicurezza e l'ordine pubblico, con il quale assumere decisioni operative e, al tempo stesso, inviare un concreto segnale ai cittadini sulla presenza dello Stato e ai criminali sulla presenza delle istituzioni nel territorio;
   in che modo intenda garantire, già nell'immediato, vere ed efficaci politiche per la prevenzione alla criminalità nel barese, a partire da una maggiore dotazione, in termini numerici e organizzativi, della polizia di Stato, dei carabinieri e della guardia di finanza, unitamente a uomini delle forze armate;
   quali ulteriori iniziative intenda assumere per contrastare la recrudescenza del fenomeno criminale.
(2-01133) «Distaso, Altieri, Fucci».
(21 ottobre 2015)

   LOSACCO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   il 19 ottobre 2015 intorno alle ore 8,30 nei pressi della zona industriale di Bari un commando composto da una decina di persone ha assaltato, con tecniche militari, due portavalori;
   secondo una prima ricostruzione fatta dagli investigatori un componente del commando pare abbia atteso sdraiato sull'asfalto l'arrivo del furgone che prestava servizio per conto della Banca d'Italia;
   quindi, da altri mezzi sono scesi i complici dando fuoco ad auto, mezzi pesanti e pneumatici in 5 differenti punti di accesso in tangenziale, punti bloccati anche da mezzi messi di traverso proprio per inibire il traffico e l'accesso alle forze dell'ordine;
   sono stati esplosi molti colpi d'arma da fuoco e presumibilmente anche da mitragliatrici;
   dopo aver aperto uno dei blindati, hanno preso una parte del denaro non ancora quantificata dileguandosi a bordo di tre diverse autovetture;
   due guardie giurate dipendenti dell'istituto di vigilanza sono rimaste ferite nel corso della rapina;
   considerata la consistenza del commando e le tecniche adoperate è assolutamente indispensabile rafforzare il controllo del territorio e predisporre un più attento monitoraggio del trasporto valori, anche perché purtroppo non è la prima volta che si verificano simili assalti sulle strade pugliesi –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, convocando immediatamente una seduta straordinaria del comitato della sicurezza e dell'ordine pubblico presso la prefettura di Bari alla sua presenza, al fine di predisporre un potenziamento delle forze dell'ordine in termini di mezzi e di uomini per assicurare un maggiore controllo del territorio nonché, per quanto di competenza, una più incisiva attività investigativa. (3-01776)
(20 ottobre 2015)

   LOSACCO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane la città di Bari è stata purtroppo teatro di sanguinosi fatti di cronaca, con agguati, omicidi e sparatorie;
   Bari è una delle dieci città metropolitane del nostro Paese e ha attualmente in servizio solo quattro, al massimo cinque pattuglie della «Volante» con due agenti a pattuglia;
   la stessa Arma dei carabinieri risulta essere sotto organico, considerata la complessità dell'area metropolitana barese;
   si parla di una realtà con oltre 300 mila abitanti;
   le organizzazioni sindacali di polizia hanno manifestato più volte il disagio e le difficoltà, considerate le carenze di mezzi e di uomini nello svolgimento del proprio lavoro;
   il Governo prevede l'immissione di 2.550 uomini nel comparto sicurezza e la fine dell'Expo dovrebbe consentire di poter liberare risorse e mezzi per il territorio nazionale;
   recentemente a seguito di una recrudescenza di fenomeni criminali sul territorio dell'area metropolitana di Napoli il Ministro interrogato ha immediatamente consentito il potenziamento degli organici del comparto sicurezza in servizio presso la città partenopea –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, con la massima urgenza, per rafforzare le dotazioni di mezzi e uomini in servizio presso la questura di Bari al fine di consentire un maggiore e più efficace controllo del territorio. (3-01827)
(9 novembre 2015)

B) Interrogazioni

   IACONO, ZAMPA, LAFORGIA, ALBINI, PREZIOSI, FOSSATI, IORI, SCUVERA, MONGIELLO, LA MARCA, GRASSI, AMODDIO, CULOTTA, MANZI, TULLO, OLIVERIO, CARRESCIA, ROSTELLATO, GRIBAUDO e GIULIANI. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   sono 3.707 su 14.243 i minorenni non accompagnati che arrivati in Italia nel 2015 hanno fatto perdere le proprie tracce;
   si tratta, da quanto emerso da alcuni dati emersi da fonti giornalistiche, di giovani, per lo più, di nazionalità eritrea o afghana che, per raggiungere al più presto i propri familiari in altre regioni d'Europa e temendo di essere bloccati, fanno perdere le proprie tracce rischiando in tal modo di finire nella rete dei trafficanti;
   da uno studio elaborato da Save the children il 26 per cento dei minori che sbarcano nel nostro Paese scompaiono;
   su quattro minori stranieri non accompagnati, che arrivano sul nostro territorio, uno fa perdere le proprie tracce e finisce a rischio sfruttamento;
   gli stessi dati forniti dal Ministero dell'interno, in occasione della seduta della Commissione parlamentare antimafia della Sicilia, sono più che allarmanti;
   tali dati infatti parlano di circa 3.707 minori stranieri non accompagnati scomparsi nell'anno 2014 dai centri di prima o seconda accoglienza, su un totale di 14.243 giunti in Italia, ovvero, per l'appunto il 26 per cento. Il record negativo delle scomparse, il 40 per cento, avviene in Sicilia: 1.882 dispersi su 4.628 registrati;
   secondo il «Rapporto Italia», condotto da Eurispes e presentato qualche giorno fa, il numero di minori stranieri non accompagnati presenti in Italia che richiedono protezione internazionale è in crescita. I dati di Eurispes sono aggiornati al 31 agosto 2015 e dicono che la quota di minori stranieri non accompagnati è cresciuta rispetto all'anno precedente dell'8,6 per cento;
   è soprattutto il Sud ad accogliere i minori stranieri non accompagnati con, al primo posto, la Sicilia seguita da Calabria e Lazio. Quasi la metà delle persone minorenni registrate in Sicilia (1.734 su 3.878) risultano però irreperibili dopo la registrazione;
   da quanto emerso da uno studio realizzato da diverse organizzazioni non governative italiane la principale causa della fuga dei minori risiede nell'inadeguatezza e nella carenza strutturale di numerose strutture di prima accoglienza;
   molti giovani migranti rimangono spesso «parcheggiati» a lungo senza un supporto psicologico e di mediazione culturale adeguata e molti scappano per paura di non potere poi lasciare l'Italia (in base al regolamento «Dublino III») o perché capiscono di non potere essere utili economicamente alla famiglia di origine, che ha pagato loro il viaggio;
   dopo la fuga spesso s'accompagna il pericolo concreto di cadere nelle mani degli sfruttatori;
   le leggi in vigore permettono a un minore di segnalare la presenza di parenti all'estero per l'eventuale ricongiungimento, ma i tempi sono spesso troppo lunghi per le necessità dei minori e delle proprie famiglie rimaste nella terra d'origine;
   almeno 10 mila minori non accompagnati che sono arrivati in Europa tra il 2014 e il 2015 durante la cosiddetta «crisi dei migranti» sono scomparsi dopo essere stati registrati dalle varie autorità statali;
   a proposito di legislazione, l'accordo del mese di luglio 2015 tra Ministero dell'interno ed enti locali ha portato a un bando pubblico per strutture più adeguate rispetto a buona parte di quelle utilizzate nei picchi dell'emergenza, ovvero palestre, hotel o edifici di fortuna;
   attualmente, infatti, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati non richiedenti asilo è gestita dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali attraverso i comuni. Questi ultimi troppe volte non hanno risorse e strumenti per far fronte al loro pronto trasferimento, per cui si produce uno stallo del sistema le cui conseguenze sono pagate ancora una volta dai minori migranti –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per riformare il sistema di accoglienza dei minori stranieri non accompagnati anche attraverso l'individuazione di nuovi standard strutturali al fine di dotare le strutture di servizi più accoglienti al di là della gestione delle emergenze;
   se si intendano proporre politiche di controllo atte a garantire la sicurezza degli stessi minori al fine di prevenire la fuga dei minori, prevedendo in tal senso il rischio che questi vengano risucchiati nelle perverse reti del traffico di droga o della malavita organizzata;
   se si intenda predisporre una banca dati che dia certezza sul fenomeno della scomparsa di minori stranieri non accompagnati e sulla sorte degli stessi. (3-02011)
(16 febbraio 2016)

   IACONO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   un recente articolo di stampa, pubblicato il 24 febbraio 2016 dal Giornale di Sicilia, mette in luce la drammatica situazione che riguarda diversi minori non accompagnati giunti in Italia e di cui attualmente non si hanno più notizie;
   in particolare, la percentuale sul totale dei minori stranieri non accompagnati, giunti, con imbarcazioni di fortuna, sulle coste italiane che risultano attualmente scomparsi sarebbe del 72 per cento e ciò emerge, anche da dichiarazioni fatte alla stampa da diverse questure siciliane; tali minori sarebbero finiti, nella maggior parte dei casi, nella rete della prostituzione e del lavoro nero;
   i numeri di tale fenomeno sarebbero agghiaccianti e drammatici: infatti, sarebbero all'incirca 3.500 i ragazzi e le ragazze, sbarcati in Italia e regolarmente segnalati dalle autorità preposte dal secondo semestre 2014 al 9 gennaio 2015, che risultano ad oggi irreperibili;
   in questo senso il rischio, palesato e testimoniato da recenti studi, è quello che la stragrande maggioranza di questi giovani finiscano nelle mani della criminalità organizzata, delle organizzazioni che gestiscono il traffico della prostituzione e della droga;
   secondo uno studio dell'Eurostat, nel nostro Paese, nel triennio che va dal 2010 al 2012, i casi di tratta sarebbero stati ben 6.572, ovvero ben il 22 per cento sul totale europeo, ma tale fenomeno è del tutto invisibile nei fascicoli dell'autorità giudiziaria competente;
   a questo si aggiungono i dati diffusi da Save the children i quali testimoniano che nel solo 2014 un'altissima percentuale di casi di tratta umana riguardano giovani in minore età;
   inoltre, l'Italia unitamente ad altri otto Stati membri dell'Unione europea ha avviato il progetto «Catch and sustain» con il preciso obbiettivo di studiare a fondo il problema e prevenirne alla radice le conseguenze, ma dai dati pubblicati dallo stesso programma la realtà che emerge è assolutamente drammatica; emerge, infatti, una indeterminatezza del fenomeno con una sottostima dei numeri e del fenomeno stesso dovuta per esempio all'assenza di una banca dati certa ed affidabile ed una sostanziale inadeguatezza delle normative di riferimento, non in grado, così come più volte testimoniato e dichiarato da alcuni magistrati facenti capo al tribunale minorile di Palermo, di affrontare seriamente il problema e quindi di arginarlo –:
   se e quali provvedimenti il Governo intenda assumere al fine di contrastare in modo più efficace il fenomeno della tratta e dello sfruttamento di minori stranieri arrivati in Italia;
   se sia intenzione del Governo predisporre un censimento del fenomeno ed una banca dati in grado di censire tutti i minori stranieri arrivati nel nostro Paese;
   se sia intenzione del Governo proporre una piattaforma comune al resto dei Paesi dell'Unione europea in grado di fronteggiare in modo coeso ed unitario la tratta e lo sfruttamento di donne e minori. (3-02152)
(4 aprile 2016)
(ex 5-04852 del 26 febbraio 2015)

   NICCHI, PALAZZOTTO e MATARRELLI. – Al Ministro dell'interno e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato, nel corso della recente seduta della Commissione parlamentare antimafia della Sicilia, ha affermato che sono 3.707 i minori stranieri scomparsi nel 2014 dai centri di accoglienza, su un totale di 14.243 sbarcati sulle coste italiane. Solo in Sicilia i minori stranieri non accompagnati scomparsi dai centri sono 1.882 su 4.628 registrati;
   come dichiarato da Carlotta Sami, portavoce Unhcr per il Sud Europa, le cifre comunicate dal Ministro interrogato rappresentano un dato allarmante, che si aggiunge a quello del numero clamoroso di minori stranieri non accompagnati arrivati in Italia l'anno scorso: quasi il 10 per cento del totale degli sbarchi;
   quello che preoccupa è la sorte di chi scompare dai centri. Il presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir), Christopher Hein, ha sottolineato come questi minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale, «lo Stato italiano nei loro confronti ha una grande responsabilità: è grave che ne scompaiano più di 10 al giorno. Il rischio è che finiscano sfruttati o in mano alla criminalità»;
   il presidente della Commissione regionale antimafia della Regione siciliana, Nello Musumeci, ha denunciato che negli ultimi anni dai centri di accoglienza della Sicilia sono scomparsi circa 1.300 bambini e che solo una minima parte di questi ragazzi – si calcola più o meno il venti per cento – raggiunge i genitori nel Nord Italia o nel Nord Europa;
   il Ministro interrogato ha annunciato di aver siglato un accordo con regioni e comuni per dare maggiore efficienza all'unità di missione per la tutela dei minori non accompagnati –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per contrastare l'elevatissima percentuale di minori stranieri scomparsi dai centri di accoglienza;
   se non si intenda intensificare e rendere efficaci le misure volte a rintracciare e ricondurre i minori nei centri di accoglienza, anche al fine di evitare che detti minori finiscano sfruttati o in mano alla criminalità;
   quali siano le indicazioni contenute nell'accordo con le regioni ed i comuni dato che i minori hanno diritto a una protezione rafforzata sia in base alla legge nazionale che a quella internazionale. (3-02153)
(4 aprile 2016)
(ex 4-07540 del 15 gennaio 2015)

C) Interrogazione

   FIANO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che il figlio del procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri sarebbe stato messo sotto tutela a seguito di un episodio dai contorni ancora non del tutto chiari, ma che non è stato sottovalutato dalle forze dell'ordine;
   la decisione, secondo quanto riportato, sarebbe stata presa in sede di comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica dopo che due persone incappucciate avrebbero suonato al campanello dell'edificio in cui abita a Messina, qualificandosi al citofono come agenti di polizia, una circostanza questa che non è stata sottovalutata dagli investigatori, essendo questo il corpo che cura la scorta del magistrato;
   i due soggetti, una volta giunti al piano del figlio di Gratteri, sarebbero poi fuggiti, forse perché resisi conto che davanti alla porta d'ingresso dell'appartamento si trovava un cancello metallico chiuso;
   a seguito di questo episodio sarebbero state altresì rafforzate anche le misure a tutela dello stesso procuratore aggiunto di Reggio Calabria Nicola Gratteri, da anni sotto scorta per le tante minacce ricevute nel corso della sua attività di magistrato impegnato nella lotta alla ’ndrangheta e ai traffici internazionali di droga, nonché sui particolari rapporti di tali traffici con i cosiddetti colletti bianchi;
   al momento gli investigatori non avrebbero escluso alcuna ipotesi, in attesa di capire se effettivamente l'episodio sia da considerarsi come un «avvertimento» da parte della ’ndrangheta stessa, spesso abituata ad operare con simili modalità intimidatorie, o se tale gesto non tendesse ad esiti ben più gravi di una mera finalità intimidatoria;
   se fosse confermata tale ultima ipotesi, essa getterebbe una luce inquietante su un possibile innalzamento del livello di allerta, tale da coinvolgere non più e non solo il magistrato in prima persona, ma anche la sua più ristretta cerchia familiare –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti riportati e se e quali ulteriori iniziative intenda adottare al fine di garantire l'incolumità non solo degli uomini duramente impegnati al servizio delle istituzioni dello Stato, ma anche dei loro familiari. (3-02119)
(16 marzo 2016)

D) Interrogazione

   NACCARATO e D'ARIENZO. – Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   negli ultimi mesi in Veneto e nella vicina provincia di Pordenone ci sono stati numerosi incendi ai danni di aziende che operano nel settore della raccolta, dello smaltimento e del trattamento dei rifiuti;
   il 18 febbraio 2014 a San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, un incendio è divampato in un capannone della Bigaran servizi ambientali, azienda che si occupa di trattamento e recupero di rifiuti;
   soltanto otto giorni più tardi, il 26 febbraio 2016, un altro incendio ha distrutto cinque camion della stessa azienda in circostanze ancora oggetto di accertamenti;
   il 16 dicembre 2014 ad Aviano (Pordenone) un incendio ha colpito un capannone dell'impianto di trattamento rifiuti della Snua, azienda che si occupa di servizi di igiene ambientale;
   l'11 marzo 2015 a Bussolengo, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento industriale dell'azienda Sogetec, che si occupa di gestione e smaltimento di rifiuti industriali;
   il 21 marzo 2015 a Sant'Angelo di Piove di Sacco, in provincia di Padova, un incendio ha colpito un magazzino della Intercommercio di Coccarielli Guerrino & C, azienda che si occupa di riciclo di rifiuti;
   il 26 maggio 2015 a San Pietro di Legnago (Verona) è scoppiato un incendio all'interno dell'impresa Ecologica Tredi che si occupa di rifiuti speciali;
   il 4 giugno 2015 a Este, in provincia di Padova, un incendio ha colpito un nastro trasportatore all'interno dell'impianto di compostaggio della Sesa, che si occupa della raccolta, trattamento e smaltimento rifiuti;
   l'11 giugno 2015 a Ponte di Piave (Treviso) un incendio ha parzialmente danneggiato un deposito di materie plastiche;
   il 4 luglio 2015 a Zevio (Verona) un incendio è scoppiato in un capannone contenente rifiuti industriali presso l'azienda Transeco, controllata da Amia e Agsm, che si occupa di trattamento di rifiuti;
   l'11 luglio 2015 un incendio ha colpito i mezzi parcheggiati all'interno della Mangimi Veronesi a Ospedaletto Euganeo (Padova);
   il 1o agosto 2015 ad Aviano, in provincia di Pordenone, un nuovo incendio ha colpito un capannone della Snua, che, come ricordato, si occupa di raccolta e smaltimento rifiuti;
   il 25 settembre 2015 a Villa Bartolomea, in provincia di Verona, è scoppiato un incendio all'interno dello stabilimento della Fertitalia srl, azienda di compostaggio rifiuti;
   il 26 settembre 2015 a Castelfranco (Treviso) un incendio ha colpito un capannone della Ceccato Recycling, che si occupa di recupero e riciclaggio di rifiuti;
   il 3 ottobre 2015 a Bovolone, in provincia di Verona, un incendio ha colpito l'area esterna della Alf, azienda specializzata nello stoccaggio di materiale di scarto delle acciaierie;
   il 5 ottobre 2015 a San Pietro di Legnago (Verona), dopo soli 5 mesi dall'episodio precedente, un incendio ha colpito nuovamente la sede della Ecologica Tredi, che si occupa di rifiuti speciali;
   il 27 ottobre 2015 a Villorba (Treviso) un incendio è scoppiato all'interno della DLF group, ex De Longhi giocattoli;
   come si evince dall'elenco precedente questi numerosi eventi hanno coinvolto in prevalenza aziende attive nei servizi di raccolta, trattamento e smaltimento di rifiuti;
   secondo le analisi della direzione nazionale antimafia il settore dei rifiuti è al centro degli interessi economici delle organizzazioni criminali;
   secondo gli interroganti gli incendi devono essere valutati con particolare attenzione dall'autorità giudiziaria e di pubblica sicurezza perché possono essere gli indicatori di azioni di intimidazione e di condizionamento da parte di gruppi criminali;
   gli interroganti esprimono forte preoccupazione per gli episodi sopra elencati e per il rischio che siano sottovalutati –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza, anche per il tramite degli uffici territoriali del Governo, intenda adottare per accertare le cause e la matrice degli episodi citati. (3-02138)
(29 marzo 2016)

E) Interrogazione

   DAL MORO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2013 all'assemblea dei soci della società Aeroporto Valerio Catullo viene presentato il bilancio 2012 che presenta un passivo di 14 milioni di euro, che si somma alla perdita del precedente esercizio, con 26 milioni di perdite;
   nel luglio 2013, l'assemblea degli azionisti della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca Spa approva un nuovo piano industriale che prevede circa 130 milioni di euro di investimenti in 10 anni e importanti misure occupazionali per ricollocare i lavoratori in cassa integrazione;
   contestualmente alla presentazione del piano industriale i soci iniziano a valutare un piano di intervento straordinario in grado di poter assicurare il rilancio del sistema aeroportuale con almeno 50 milioni di euro di investimento nei primi tre anni;
   vengono valutate tre possibili soluzioni:
   a) un nuovo aumento di capitale da sottoporre ai soci (soluzione difficile per le restrizioni legate al patto di stabilità degli enti);
   b) l'ingresso di un «partner industriale» o «partner finanziario» per lo sviluppo del sistema aeroportuale del Garda che investa immediatamente nella infrastruttura;
   c) una gara a evidenza europea per la vendita totale o parziale della Catullo spa;
   l'assemblea dei soci opta per la soluzione b): «partner industriale» o «partner finanziario» per lo sviluppo del sistema aeroportuale del Garda con particolare riguardo a Brescia con il settore cargo e Verona con lo sviluppo passeggeri;
   nel mese di agosto 2013 Save spa, società di gestione aeroportuale che gestisce gli scali di Venezia, Treviso e partecipa all'azionariato dell'aeroporto di Charleroi, Belgio, fa pervenire alla presidenza della Catullo spa un'offerta per entrare nella Catullo. La Catullo spa viene valutata da Save circa 70 milioni di euro come enterprise value; la proposta Save ha 30 giorni di validità. Nel settembre 2013, viene convocata una nuova assemblea dei soci per decidere sulla proposta Save;
   l'assemblea dei soci delibera di accettare la proposta Save consentendo di avere un'esclusiva per mettere in atto una formale due diligence per finalizzare la proposta definitiva alla Catullo spa;
   nel periodo settembre 2013 - aprile 2014 è applicata una due diligence sui conti della Catullo da parte di Save e allo stesso tempo i soci Catullo, insieme a Save, lavorano anche sugli aspetti legali, su come operare considerato che il 91 per cento della Catullo è in mano a soci pubblici e secondo la normativa vigente sarebbe necessario fare una gara ad evidenza europea per venderne le quote;
   da inizio 2014 viene presentato ai soci il risultato del gruppo di lavoro costituito da professionisti legali individuati dalla società dove si determina che l'ingresso di Save può avvenire senza gara ad evidenza pubblica sulla base di due condizioni indispensabili e non prescindibili:
    a) che il controllo della società Catullo sia in termini operativi che di governance societario rimanga in mano ai soci pubblici;
    b) che la società SAVE abbia visionato e sottoscritto il piano industriale senza condizioni e problemi;
   nel periodo marzo 2014 - luglio 2014 vengono convocati dei consigli di amministrazione per approvare le modifiche allo statuto della Catullo per consentire l'ingresso di Save; tra i documenti portati in consiglio di amministrazione non risulta all'interrogante ci fosse la presentazione di un piano industriale, né tantomeno la condivisione del piano industriale Catullo approvato all'assemblea di luglio 2013;
   non risulta all'interrogante sia stato mai presentato al consiglio di amministrazione un documento di approvazione dell'operazione Catullo-Save, da parte di Enac, né tanto meno alcuna nota di approvazione da parte del Ministero;
   in data 6-10 giugno 2014, alcuni soci pubblici di maggioranza della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca Spa (camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Verona, comune di Verona, provincia di Verona e provincia autonoma di Trento) sottoscrivono un accordo di investimento con Save spa, società di gestione degli aeroporti di Venezia e Treviso, per consentirne l'ingresso nella compagine sociale attraverso l'acquisto di una quota di azioni cedute da uno dei soci pubblici o attraverso la sottoscrizione da parte di Save spa delle azioni inoptate derivanti da un aumento di capitale;
   con delibera il comune di Villafranca, socio minoritario della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, cede a mezzo di trattativa privata circa il 2 per cento della partecipazione societaria alla società Save spa;
   quindi, nonostante le disposizioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 163 del 2006, l'ingresso di un socio privato nella gestione del servizio aeroportuale dello scalo di Verona avviene attraverso la cessione della partecipazione azionaria di un ente locale senza prevedere una procedura di evidenza pubblica;
   con assemblea straordinaria dei soci del 30 luglio 2014, la società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca delibera un aumento di capitale tale da consentire a Save spa di vedere aumentata la propria partecipazione sociale sino al 35 per cento;
   nel dicembre 2014, con un'ulteriore operazione di capitalizzazione, la partecipazione di Save spa aumenta sino al 40,3 per cento;
   per effetto di tale partecipazione, Save spa incide in modo determinante sulla governance della società aeroportuale, indicando 4 consiglieri di amministrazione su 9 membri effettivi, oltre a nominare il nuovo amministratore delegato;
   ad oltre un anno dall'ingresso di Save spa nella società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa non risulta effettuato alcuno degli importanti investimenti previsti dal piano industriale approvato nel 2013, né risulta approvato un piano industriale alternativo in grado di garantire lo sviluppo dell'aeroporto di Verona;
   in nessuno degli atti deliberativi degli organi di indirizzo dei soci pubblici, autorizzativi dell'accordo di investimento e dell'alienazione di azioni della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa, si rinviene la sottoscrizione del piano industriale approvato nel 2013 o di un qualsiasi piano industriale;
   inoltre in questi giorni 28 lavoratori del gruppo Catullo sono stati messi in mobilità. Di fronte ai continui proclami di espansione la società riduce il proprio personale licenziando dei lavoratori –:
   se nella fattispecie Enac abbia dato parere favorevole alla cessione a trattativa privata senza procedura ad evidenza pubblica di una quota di partecipazione nella società Valerio Catullo;
   se alla luce delle informazioni raccolte l'ingresso di Save in Catullo spa nelle modalità sopra descritte sia da considerarsi in linea con la normativa vigente;
   se risulti che l'accordo di investimento sottoscritto tra i soci pubblici della società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca spa e la società Save prevedesse un piano industriale e se tale piano sia stato approvato o ritenuto idoneo da Enac e fosse vincolante per Save;
   in caso affermativo, quali e quanti investimenti Save spa si sia obbligata a realizzare e con quali tempi di realizzazione;
   in caso negativo, in assenza di un reale piano industriale allegato all'accordo di investimento, come sia stato possibile realizzare l'operazione di dismissione di una partecipazione pubblica di una società di trasporti in assenza del controllo di Enac sui piani di sviluppo dello scalo aeroportuale di Verona;
   cosa intenda fare il Governo per salvaguardare i posti di lavoro dei dipendenti messi in mobilità dalla società Catullo. (3-01824)
(6 novembre 2015)

F) Interrogazioni

   CRIVELLARI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 434 «Transpolesana» è un'importante strada statale italiana che collega Verona a Rovigo;
   il percorso, che inizia a Verona allacciandosi alla tangenziale Sud tra le uscite dell'autostrada A4 di Verona Sud e Verona Est, attraversa i comuni della bassa veronese, entra in provincia di Rovigo nel comune di Giacciano con Baruchella, attraversa Badia Polesine, Lendinara, Villamarzana (dove è stato costruito uno svincolo dell'autostrada A13 noto come Rovigo Sud, attivo dal 2008) per terminare in una rotatoria in località Borsea del comune di Rovigo;
   l'importante arteria viaria è usata dal traffico leggero, vista la densità dei centri urbani che vi si affacciano e dal traffico pesante per i diversi snodi autostradali presenti;
   la strada statale n. 434 è stata spesso teatro di incidenti a volte dall'esito mortale;
   anche in questa ultima fase, si è segnalato da più parti il cattivo stato del manto stradale: una condizione di rischio tale da far intervenire le forze dell'ordine, come nel caso della vera e propria «voragine» che si è aperta nei giorni scorsi, nel tratto compreso in provincia di Rovigo, costringendo la polizia stradale ad intervenire con urgenza per chiudere parte della carreggiata al traffico –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario assumere iniziative con assoluta urgenza per l'esecuzione degli interventi per la messa in sicurezza della strada statale n. 434 «Transpolesana», al fine di ridurre i fattori di rischio ed il numero di incidenti, che ancor oggi si verificano. (3-02154)
(4 aprile 2016)
(ex 5-07802 del 17 febbraio 2016)

   CRIVELLARI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la strada statale n. 434, già strada statale «Legnaghese» e oggi comunemente conosciuta come «Transpolesana», è un'importante via di comunicazione del Nordest;
   la strada in questione collega le città capoluogo di Rovigo e di Verona e per la città di Verona essa rappresenta, tra le altre cose, una via d'accesso prioritaria al mare;
   da molto tempo residenti e utenti della strada senza eccezioni, pendolari e turisti, lamentano all'unisono il cattivo stato del manto stradale, interessato nel tempo da diversi interventi di rifacimento, nessuno dei quali peraltro definitivo per la soluzione del problema;
   in special modo nei giorni di pioggia e di altre precipitazioni, e quindi per buona parte dei mesi autunnali e invernali, il rischio di chi percorre la strada con un proprio veicolo si acuisce, con conseguente aumento delle probabilità di incidente: poco o nulla pare incidere il limite massimo di velocità imposto, in diversi punti addirittura i 70 chilometri orari, limite che appare peraltro non congruo con le caratteristiche di una strada di scorrimento a due corsie per senso di marcia con spartitraffico centrale;
   le condizioni di difficoltà riguardano in particolare la porzione di territorio che interessa l'area polesana (provincia di Rovigo) da Badia Polesine fino a Rovigo;
   la strada statale n. 434 sembrerebbe comunque essere destinata al recupero e al rilancio della propria funzione, considerato che il progetto di trasformazione in autostrada (strada Nogara-Mare) che la interessa, da tempo inserito – per esempio – nella programmazione regionale, è in dirittura di arrivo (fase esecutiva);
   oltre a collegare il Lago di Garda all'Adriatico, questa strada è destinata a segnare il futuro del territorio del Polesine e del Veneto meridionale con l'innesto della Valdastico sud e con il casello di Rovigo sud-Villamarzana, che permette l'accesso diretto all'autostrada A13 Bologna-Padova –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per intervenire al più presto sulla situazione della strada in questione e, in particolare, per porre fine a una realtà non solo di disagio, ma anche e soprattutto di effettivo rischio per l'utenza. (3-02155)
(4 aprile 2016)
(ex 4-02185 del 16 ottobre 2013)

MOZIONI CONCERNENTI INIZIATIVE VOLTE AL RICONOSCIMENTO DELLA FIBROSI POLMONARE IDIOPATICA COME MALATTIA RARA E A GARANTIRE UNA PIÙ EFFICACE E OMOGENEA ASSISTENZA SANITARIA IN RELAZIONE A TALE PATOLOGIA

   La Camera,
   premesso che:
    si stima che in Europa il numero di soggetti affetti da malattie rare sia compreso tra i 25-30 milioni;
    in Italia, si ritiene che il numero delle persone colpite da malattie rare sia intorno ai 2 milioni. Appare dunque evidente come le «malattie rare», che non sono affatto tali quando vengono viste nel loro complesso per le peculiarità che di norma rendono difficoltosa la loro diagnosi e il loro trattamento, costituiscono un tema cruciale nella sostenibilità delle politiche di sanità pubblica;
    assolutamente speciale è poi la condizione dei pazienti affetti da malattie rare residenti nelle aree insulari del Paese, dove l'incidenza è di gran lunga superiore a quella delle altre regioni italiane per via della stretta correlazione tra la condizione di segregazione geografica e la ridotta circolazione del patrimonio genetico. Per quanto attiene in particolare alla regione Sardegna, la componente genetica alla base delle malattie rare conferisce all'Isola un triste primato negativo;
    le malattie rare hanno un elevato costo di gestione e incidono in modo significativo sulla spesa del sistema sanitario regionale, specie nelle aree del Paese particolarmente svantaggiate. Tale condiziona genera il rischio di creare vere e proprie «malattie orfane», prive di adeguata risposta sanitaria, con conseguente «sensazione di abbandono» dei malati e delle famiglie e accentuazione della triste consuetudine dei «viaggi della speranza» verso il sistema sanitario di regioni diverse da quella di residenza, se non verso altri Paesi europei;
    il 29 febbraio 2016 si è celebrata la IX giornata delle malattie rare: il più importante appuntamento nel mondo per i malati rari, i familiari, gli operatori medici e sociali del settore. Questa ricorrenza persegue fondamentalmente tre obbiettivi: superate le disuguaglianze dell'accesso alle cute e ai farmaci nei diversi Paesi Ue (e, talvolta, all'interno di uno stesso Paese); diffondere tra i cittadini e tra gli stessi operatori la più ampia consapevolezza sulle malattie rare e sollecitare nuovi fondi per la ricerca;
    tra le numerosissime malattie rare, è annoverata la fibrosi polmonare idiopatica (Idiopatic Pulmonary Fibrosis – IPF): patologia cronica, progressiva ed irreversibile ad esito infausto, che determina la formazione di tessuto fibrotico-cicatriziale a livello polmonare con conseguente declino della sua funzionalità. Il decorso di questa malattia provoca nel tempo ingravescente insufficienza respiratoria con intolleranza allo sforzo e dispnea intensa, sino all’exitus. Il periodo di sopravvivenza dalla diagnosi, mediamente non supera i 2 -5 anni, con una progressiva limitazione della funzionalità respiratoria che costringe al ricorso sistematico all'ossigenoterapia;
    attualmente, in Europa si stima che il numero di soggetti affetti da IPF sia compreso tra 80.000 e 111.000, ma tali cifre sono destinate ad aumentare dal momento che ogni anno la IPF viene diagnosticata a circa 35.000 nuovi pazienti nell'ambito dell'Unione europea. In Italia, la prevalenza di questa patologia è di circa 30-40 casi ogni 100.000 abitanti. Sono colpiti soprattutto gli uomini tra i 50 e 70 anni, ma si registrano anche diversi casi in età precoce;
    l'eziologia di questa patologia è tuttora sconosciuta (per tale ragione viene classificata come «idiopatica») e la stessa diagnosi è spesso ritardata sia a causa della sua origine oscura, che per la particolare complessità di identificazione dei sintomi iniziali da parte del personale sanitario. Per molti anni la fibrosi polmonare idiopatica è rimasta incompresa, proprio poiché la sintomatologia era spesso sovrapponibile a quella di molte altre malattie polmonari, soprattutto dell'anziano. Ancora o l'assenza del corretto «dubbio diagnostico» porta il paziente ad effettuare innumerevoli e defatiganti esami prima di giungere ad una diagnosi certa, per la quale sono talora necessari diversi anni;
    per una persona affetta da fibrosi polmonare idiopatica i più semplici atti quotidiani della vita diventano via via più difficili con il decorso della malattia e le limitazioni alla conduzione di una normale vita lavorativa, familiare e relazionale sempre più pesanti. È pertanto fondamentale una diagnosi precoce finalizzata sia ad un rapido accesso ad un centro specializzato in grado di offrire la presa in carico globale del paziente che all'affiancamento psicologico del malato e dei suoi familiari;
    in tale quadro, un modo centrale è attualmente svolto dalle associazioni di pazienti e dalle molteplici azioni di awarness che queste ultime svolgono, spesso sostituendosi alle istituzioni sanitarie, riuscendo a garantire una migliore aderenza alla terapia;
    la scarsità di informazioni e la carenza di consapevolezza del pubblico (e degli stessi operatori sanitari) verso questa malattia rara ha favorito la nascita di network tra i malati ed i principali stake holders del settore (medici, ricercatori, industria farmaceutica). Il risultato tangibile di tale collaborazione è rappresentato dalla nascita della Federazione europea per la fibrosi polmonare idiopatica e i disturbi correlati – European Idiopathic Pulmonary Fibrosis e Related Disorders Federation – EU-IPFF, costituita da 11 associazioni di pazienti (tra le quali l'italiana AMA Fuori dal Buio), afferenti a 9 Paesi europei;
    la EU-IPFF è diventata portavoce e punto di riferimento dei malati, ma anche strumento per il sostegno e l'avanzamento di programmi europei e nazionali volti a potenziare e rendere più efficaci le modalità di accesso ai trattamenti sanitari e a promuovere la ricerca sulle nuove opzioni terapeutiche. Alla EU-IPFF si debbono importanti iniziative, quali la «IPF World Week» e la Carta europea del paziente con FPI (consultabile sul portale www.ipfcharter.org), presentata per la prima volta al Parlamento europeo il 30 settembre 2014;
    la gravità, l'incidenza e la mortalità di questa rara patologia è stata fatta oggetto di specifiche azioni parlamentari a livello europeo e nazionale, attraverso le quali sono state portate all'attenzione delle autorità dell'Unione europea e del Ministero della salute diverse criticità, quali: le modalità stabilite dalla Unione europea per un accesso agevolato ai medicinali orfani; l'individuazione in Italia di criteri omogenei per la produzione e la commercializzazione delle apparecchiature e degli accessori necessari all'ossigenoterapia; la disponibilità in Italia del farmaco Nintedanib quale inibitore di tirosin-chinasi (TKI) avente come bersaglio i recettori del fattore di crescita coinvolti nella patogenesi della fibrosi polmonare;
    nonostante ad oggi non esista ancora una cura per l'IPF, la comunità scientifica ha messo a punto procedure di auto-gestione per favorire la respirazione e terapie farmacologiche in grado di rallentare il decorso e alleviarne e ritararne il progressivo peggioramento. L'estrema opzione disponibile resta il trapianto di polmone, che costituisce tuttavia un trattamento possibile solo per coloro i quali presentino complessive condizioni fisiche ottimali per sottoporsi all'intervento e non abbiano comunque superato i 65 anni (limite imposto in numerosi centri italiani);
    tra le malattie rare del polmone, l'IPF rappresenta in definitiva una delle patologie con il maggior impatto finanziario per frequenza ed elevato carico di bisogni assistenziali: dalla diagnosi, alla gestione delle terapie, al follow up;
    in Italia, la fibrosi polmonare idiopatica non è ancora riconosciuta a livello nazionale come «malattia rara»; solo le autorità sanitarie della regione Piemonte e della regione Toscana hanno inserito l'IPF nell'elenco delle malattie rare e hanno identificato un codice di esenzione che permette l'accesso gratuito a tutte le prestazioni diagnostiche, gli esami di controllo, le terapie ed i supporti socioassistenziali;
    tale situazione rappresenta un'inaccettabile compressione dei livelli essenziali di assistenza per i pazienti non residenti in Piemonte e in Toscana ed una discriminante disparità di trattamento tra cittadini affetti dalla stessa patologia che si vedono costretti a farsi carico degli altissimi costi associati al monitoraggio costante e alle cure dell'evoluzione di questa gravissima patologia,

impegna il Governo:

   ad assumere, per quanto di propria competenza e ferme restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria, tutte le iniziative necessarie volte al riconoscimento della fibrosi polmonare idiopatica come malattia rara e a prevedere omogenei livelli essenziali di assistenza su tutto il territorio nazionale;
   ad adottare le necessarie determinazioni volte a superare le note disomogeneità regionali e ad assicurare, indipendentemente dall'età del paziente, l'accesso a carico del servizio sanitario nazionale di tutti i trattamenti di diagnosi e cura sia in termini clinici (ivi incluse le cure palliative e di fine vita), che di affiancamento psicologico per i pazienti e per le loro famiglie, altrimenti destinati a sentirsi abbandonati nel dramma;
   a prevedere iniziative, per quanto di competenza, volte a favorire il supporto e la formazione del personale sanitario, garantendo un approccio «olistico» alla cura della fibrosi polmonare idiopatica che coinvolga ogni possibile esigenza del paziente: dalla diagnosi precoce, al trattamento e alla riabilitazione, dall'accesso a team multi-disciplinari per la gestione di tale patologia, ai servizi di fornitura di ossigeno ambulatoriali e domiciliari;
   a promuovere campagne informative volte a diffondere la conoscenza e la consapevolezza in ambito sanitario e presso l'intera popolazione della fibrosi polmonare idiopatica quale malattia rara, cronica e irreversibile, formando le risorse professionali dedicate e fornendo cognizioni esaustive e di alta qualità, comprese le informazioni sulle cure disponibili, il trapianto ed il supporto psicologico disponibile a pazienti e famiglie;
   a promuovere l'integrazione dei centri di riferimento italiani nelle reti europee delle malattie, con l'obiettivo di consentire la crescita delle conoscenze e delle capacità diagnostiche e terapeutiche specifiche e la libera circolazione dei pazienti verso le risposte più adeguate alla propria patologia;
   ad attivarsi, per quanto di propria competenza e ferme restando le attribuzioni esclusive delle regioni in materia sanitaria, per promuovere azioni di monitoraggio sull'effettiva operatività dei centri di riferimento regionale per le malattie rare, nonché a prevedere dei censimenti aggiornati circa l'incidenza e la mortalità di tale patologia.
(1-01191) «Vargiu, D'Incecco, Gullo, Binetti, Matarrese, Galgano, Capua, Quintarelli, D'Agostino, Bombassei, Catania, Librandi, Vezzali».
(9 marzo 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    in Europa il numero di soggetti affetti da malattie rare è di circa 30 milioni;
    è evidente che le malattie rare costituiscono una questione di rilevanza sociale ed un grande problema circa la sostenibilità della sanità pubblica;
    le malattie rare rappresentano delle difficoltà obiettive per giungere ad una diagnosi precisa ed ad un corretto trattamento terapeutico;
    oltre due milioni di cittadini in Italia risultano essere affetti da malattie rare;
    a causa della disomogenea presenza dell'offerta sanitaria nelle regioni del nostro Paese dal punto di vista strutturale, professionale e tecnologico spesso in alcune aree sorgono difficoltà enormi per questi pazienti sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico;
    tale situazione di fatto genera la mancanza di una risposta sanitaria adeguata;
    tra le malattie rare più insidiose e spesso letali è annoverata la fibrosi polmonare idiopatica: patologia cronica che gradatamente provoca la fibrosi cicatriziale con conseguente distruzione del parenchima polmonare e dispnea intensa sino a comportare la morte del paziente affetto da questa terribile patologia;
    sono colpiti quasi sempre gli uomini tra i 50 e 70 anni ed attualmente si riscontrano in maniera sempre più frequente anche casi in età precoce. In Italia si registrano circa 30-40 casi ogni 100.000 abitanti che risultano essere affetti da fibrosi cistica polmonare;
    tale malattia provoca una invalidità cronica, permanente che non consente il normale svolgimento degli atti fisiologici e funzionali della vita;
    più volte sono state portate all'attenzione del Ministero della salute diverse criticità: le difficoltà per la produzione e la commercializzazione delle apparecchiature e degli accessori necessari all'ossigenoterapia; la reperibilità in Italia del farmaco Nintedanib quale inibitore di tirosin-chinasi avente come bersaglio i recettori come fattore di crescita coinvolti nella patogenesi della fribrosi cistica;
    tutti i pazienti affetti da fibrosi polmonare provocano grandi disagi ai familiari per la complessa gestione dei suddetti pazienti soprattutto negli ultimi due anni di vita;
    nel nostro Paese, la fribrosi polmonare idiopatica non è ancora riconosciuta a livello nazionale come malattia rara; solo le regioni Piemonte e Toscana hanno inserito la fibrosi polmonare idiopatica nell'elenco delle malattie rare e hanno identificato un codice di esenzione permanente a tutte le prestazioni sanitarie di cui necessitano questi pazienti;
    tale situazione comporta una disparità di trattamento nei confronti di tutti gli altri pazienti del Paese affetti da fibrosi polmonare che non risiedono in Piemonte o in Toscana, determinando fra le altre una violazione del principio costituzionale di dover assicurare uniformi livelli di assistenza a tutti i cittadini,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere con urgenza tutte le iniziative necessarie per il riconoscimento della fibrosi polmonare come malattia rara e ad assicurare uniformi livelli di assistenza per tutto il territorio nazionale ai pazienti affetti da questa terribile patologia;
   a valutare l'opportunità di promuovere un apposito e puntuale monitoraggio dei centri di riferimento delle malattie rare nel nostro Paese, onde verificare l'effettiva operatività degli stessi;
   a valutare l'opportunità di predisporre apposite linee guida, con il coinvolgimento delle regioni, inerenti a diagnosi, cura, omogeneo accesso alle prestazioni sanitarie e informazioni sulle cure disponibili per i pazienti affetti da fibrosi polmonare.
(1-01207) «Palese, Altieri, Bianconi, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».
(4 aprile 2016)

MOZIONI CONCERNENTI PRESUPPOSTI E MODALITÀ DI RISCOSSIONE DEL CANONE DI ABBONAMENTO PER LA DETENZIONE DI APPARECCHI ATTI O ADATTABILI ALLA RICEZIONE DI TRASMISSIONI RADIOTELEVISIVE

   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 ha apportato modifiche all'articolo 1, comma 2, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, stabilendo che, ai fini della debenza del canone di abbonamento alla televisione per uso privato: «La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»;
    tale presunzione può essere superata, a decorrere dall'anno 2016 esclusivamente tramite una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico;
    l'articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938 n. 246, dispone che il canone tv dev'essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo (sentenza della Corte costituzionale 12 maggio 1988, n. 535. – sentenza della Corte di Cassazione 3 agosto 1993, n. 8549);
    con nota del Ministero dello sviluppo economico del 22 febbraio 2012 è stato chiarito che solo gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale audio/video attraverso la piattaforma del digitale terrestre e/o satellitare sono assoggettabili a canone Tv con esclusione, pertanto degli apparecchi che consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi attraverso la rete Internet (streaming);
    con sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 26 giugno 2002 e con sentenza della Corte di Cassazione del 3 agosto 1993 n. 8549 è stato acclarato che il canone tv ha natura di imposta il cui pagamento è dovuto in ragione della mera detenzione dell'apparecchio atto alla ricezione e in misura indipendente dalla quantità e qualità del relativo utilizzo;
    il rapido sviluppo tecnologico dei dispositivi di comunicazione ha reso disponibili sul mercato, a costi largamente accessibili, molteplici device che integrano, nativamente, funzioni di ricezione della radiodiffusione pur essendo concepiti e strutturati per un uso completamente differente, smartphone, tablet, riproduttori multimediali di ultima generazione sono sovente dotati di antenna atta a captare questi segnali ancorché non vengano acquistati dai consumatori con tali finalità e risultino oggettivamente inadatti all'uso in parola;
    la nota del Ministero dello sviluppo economico-dipartimento per le comunicazioni – Prot. n. 12991 del 22 febbraio 2012, include, tra le tipologie di apparecchiature adattabili alla ricezione della radiodiffusione la cui detenzione comporta l'assoggettamento al canone, anche dispositivi come la chiavetta Usb dotata di sintonizzatore radio/Tv, la scheda per computer dotata di sintonizzatore radio/Tv e persino il lettore di musica digitale dotato di sintonizzatore radio/Tv;
    la qualificazione del canone Rai come imposta – operata dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità – ha ingenerato molteplici dubbi e perplessità sul presupposto del tributo che se da un lato risulta avulso da ogni nesso sinallagmatico con l'effettivo godimento del servizio radiotelevisivo, dall'altro viene riconnesso alla mera detenzione di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del segnale, la cui presenza nelle abitazioni dei contribuenti è a sua volta presunto in forza dell'allaccio delle stesse alla rete elettrica;
    il prelievo impropriamente denominato «canone abbonamento RAI» possiede i caratteri dell'imposta senza tuttavia essere improntato al criterio della capacità contributiva di cui all'articolo 53 della Costituzione, che impone la ripartizione delle spese pubbliche secondo criteri di progressività e con la garanzia, per il contribuente, di non essere sottoposto alla tassazione, se non in presenza di fatti che esprimono capacità contributiva;
    è indiscutibile che la mera detenzione di dispositivi informatici o di telefonia mobile atti o adattabili alla ricezione della radiodiffusione non sia di per sé espressione di alcuna particolare capacità contributiva e che tali strumenti, progettati e acquistati per un uso differente dalla ricezione dei programmi radio-televisivi non siano in grado di garantirne un'adeguata fruizione tale da giustificarne la tassazione in ossequio al principio del beneficio;
    la presunzione legale di detenzione degli apparecchi atti o adattabili alla ricezione della radiodiffusione nelle dimore dotate di utenza elettrica, tenuto conto delle incertezze normative e interpretative attualmente imperanti e della rapida evoluzione tecnologica del comparto, espone il cittadino ai rischi involontari di dichiarazioni mendaci e comporta per l'erario verifiche sulla mendacità delle dichiarazioni i cui costi e le cui complessità procedurali non devono essere trascurati,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di carattere normativo al fine di:
    a) fornire una definizione esaustiva di quali apparecchi sono soggetti al pagamento del tributo, escludendo dall'imposizione quelli il cui uso è destinato a finalità differenti dalla visione dei programmi televisivi e le cui caratteristiche strutturali sono tali da non renderne possibile un apprezzabile godimento;
    b) abrogare la presunzione legale di cui all'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, escludendo altresì che la riscossione del tributo avvenga tramite l'inclusione nella bolletta dell'energia elettrica;
    c) introdurre, in sostituzione della vigente presunzione legale, l'obbligarietà di una dichiarazione, attestante la detenzione o la non detenzione di un apparecchio atto o adattabile alla ricezione del segnale radiotelevisivo, la cui mendacia comporti gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, prevedendo che tale dichiarazione sia nuovamente rilasciata solo in caso di mutamento delle condizioni.
(1-01140) «Ruocco, Fico, Pesco, Cariello, Brescia, Pisano, Vacca, Di Benedetto, D'Uva, Marzana, Luigi Gallo, Simone Valente, Dall'Osso, Corda, Basilio, Paolo Bernini, Rizzo, Alberti, Fantinati, Sorial, Caso, Castelli, Villarosa».
(5 febbraio 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 2016, come stabilito dall'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), il canone Rai verrà addebitato sulla bolletta elettrica con l'aggiunta, rispetto al passato, che d'ora in poi sarà presunta la detenzione dell'apparecchio nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica;
    l'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 interviene modificando l'articolo 1, comma 2, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, stabilendo che, ai fini della corresponsione del canone di abbonamento alla televisione per uso privato, «la detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»;
    tale presunzione contrasta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo con la ratio affermata nel citato regio decreto-legge, in base al quale l'imposta si applica solo a chi effettivamente, e non presuntivamente, possieda un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano;
    il citato articolo 1, comma 153, della legge di stabilità 2016, prevede anche che: «Allo scopo di superare le presunzioni di cui ai precedenti periodi, a decorrere dall'anno 2016 è ammessa esclusivamente una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico. Tale dichiarazione è presentata all'Agenzia delle entrate – Direzione provinciale I di Torino – Ufficio territoriale di Torino I – Sportello S.A.T., con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, e ha validità per l'anno in cui è stata presentata»;
    si fa, quindi, riferimento ad un'autocertificazione, una dichiarazione sostitutiva, con la quale il cittadino deve certificare di non possedere alcun apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive;
    la possibilità data agli utenti di poter presentare, con cadenza annuale, un'autocertificazione, in cui si dichiari il non possesso di alcun apparecchio radiotelevisivo inverte indebitamente il principio dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 del codice civile, secondo il quale «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento»;
    risulta decisamente spropositata e draconiana secondo i firmatari del presente atto la previsione della sanzione penale, ex articolo 76 del citato decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, a fronte di autocertificazioni mendaci relative al possesso del televisore;
    l'Agenzia delle entrate, con il provvedimento pubblicato il 24 marzo 2016, ha definito, in termini che a loro volta presentano per i firmatari del presente atto di indirizzo numerosi profili di quantomeno dubbia legittimità, le modalità e i termini di presentazione della dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla televisione per uso privato ai sensi del richiamato articolo 1, comma 153, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e approvazione del relativo modello;
    il legislatore ha espressamente stabilito, all'articolo 1, comma 154, della legge di stabilità 2016, che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti termini e modalità per il riversamento all'Erario, e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica»;
    il 15 febbraio 2016 è scaduto il termine fissato dall'esecutivo, senza che sia stato, ancora oggi, emanato il decreto ministeriale che dovrebbe definire nel dettaglio termini e modalità di riscossione del canone Rai;
    da recenti notizie di stampa, si apprende che il decreto ministeriale in questione sarebbe stato trasmesso dal governo all'attenzione del Consiglio di Stato;
    la nuova normativa sull'esazione del canone Rai, all'articolo 1, comma 156, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, al fine di individuare gli intestatari delle bollette e gli esenti, prevede che siano incrociate le banche dati dell'Anagrafe tributaria, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, l'Acquirente unico spa, il Ministero dell'interno, i comuni, nonché non meglio identificati «altri soggetti pubblici o privati» che, peraltro, saranno anche autorizzati allo scambio e all'utilizzo di queste informazioni;
    l'incrocio delle banche dati di innumerevoli soggetti pubblici e privati ed il continuo flusso di informazioni sensibili costituisce un problema di privacy per molte famiglie e singoli cittadini, ed aumenta notevolmente il rischio di commettere errori nell'identificazione dei soggetti intestatari delle bollette del canone radiotelevisivo;
    inoltre, le cosiddette domiciliazioni bancarie sono state spesso oggetto di controversie, causate da problemi tecnici, talvolta piuttosto significativi, relativi a difficoltà di comunicazione e di connessione tra i sistemi informatici della banca di riferimento del consumatore e quella della società energetica, con ritardi o inadempienze nell'aggiornamento dei database di quest'ultima;
    la disposizione in questione ha poi previsto che gli importi del canone Rai e dell'energia elettrica, seppur nella stessa fattura, restino distinti e separati, ma, contrariamente a questo principio, stabilisce anche, di fatto e sin da subito, un pagamento unico di entrambi gli importi, ponendo gli utenti nella condizione di subire, già dalla prima bolletta, un prelievo automatico delle somme relative al canone radiotelevisivo e, in caso di contestazioni, dover tentare di rientrare in possesso di tali importi solo in una fase successiva, con tutte le oggettive difficoltà che questo comporta;
    la sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 26 giugno 2002 e la sentenza della Corte di cassazione del 3 agosto 1993 n. 8549 hanno acclarato che il canone tv ha natura di imposta il cui pagamento è dovuto in ragione della mera detenzione dell'apparecchio atto alla ricezione e in misura indipendente dalla quantità e qualità del relativo utilizzo;
    se il canone Rai rappresenta un'imposta e non una tariffa per un servizio, come stabilito dalla Consulta, esso si configura però per i firmatari del presente atto di indirizzo come una sorta di «imposta espropriativa», dal momento che la corresponsione dell'importo annuo stabilito in 100 euro, genererebbe un effetto paradossale: in pochi anni, l'imposta supererebbe il valore stesso del bene tassato;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel parere del 28 ottobre 2015, espresso in tema di inserimento del canone Rai nell'utenza elettrica ha precisato che, se da un lato il servizio pubblico può essere finanziato da una combinazione di risorse pubbliche e proventi commerciali, dall'altro occorre «certamente evitare che le risorse pubbliche siano utilizzate per il finanziamento di attività commerciali, situazione che determinerebbe un'evidente distorsione concorrenziale»;
    tuttavia, la Rai, in quanto «soggetto ibrido» coniuga obiettivi pubblicistici e commerciali a loro volta finanziati sia da risorse pubbliche (il canone) sia da attività commerciali. La Rai, inoltre, a differenza delle altre tv europee si finanzia attraverso risorse pubblicitarie molto consistenti, anche rispetto alle altre televisioni pubbliche europee; circa il 46 per cento delle risorse Rai provengono dagli introiti pubblicitari, contro il 13 per cento di pubblicità della tv pubblica tedesca Zdf-Adr, mentre la tv pubblica inglese Bbc, non manda in onda pubblicità;
    la prima rata del canone Rai, inclusa nella bolletta elettrica sarà emessa a partire dal 1 luglio 2016, ma ancora oggi sono molte le criticità per i cittadini circa i termini e le modalità di riscossione del canone. Il gruppo Forza Italia, attraverso una serie di atti di sindacato ispettivo depositati a prima firma dell'onorevole Simone Baldelli, e sottoscritte dal capogruppo e dai deputati membri delle Commissioni attività produttive e finanze della Camera dei deputati, ha già avuto modo di sollevare le diverse questioni poste dall'introduzione della nuova normativa in materia di riscossione del canone Rai, che non hanno ancora trovato una risposta compiuta da parte del Governo;
    tali criticità, abbinate alla poca chiarezza e all'esasperazione fiscale che già grava sui contribuenti, rischiano di creare un ulteriore cortocircuito nel rapporto tra cittadini e fisco, con conseguenti ripercussioni dannose anche dal punto di vista erariale,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi della nuova normativa, anche alla luce della necessaria tutela della privacy che deve essere garantita agli utenti e contribuenti, attraverso la protezione dei dati sensibili;
   a fornire, senza ulteriori ritardi, i chiarimenti necessari, attraverso il decreto del Ministero dello sviluppo economico, tali da definire, in modo esaustivo, quali apparecchi sono soggetti al pagamento del tributo, escludendo dall'imposizione quelli il cui uso è destinato a finalità differenti dalla visione dei programmi televisivi;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad evitare il rischio di eventuali cortocircuiti del sistema di domiciliazione bancaria, e di ogni altro effetto che possa ripercuotersi negativamente su consumatori e contribuenti, con particolare riferimento alle ipotesi di errori o ritardi nel riversamento all'Erario delle somme incassate da parte delle imprese elettriche e alle eventuali indebite conseguenze negative, compreso l'onere della prova o vario genere di aggravi, sugli utenti consumatori;
   ad assumere iniziative normative per definire specifici mezzi a disposizione degli utenti per tutelarsi in caso di errori, abusi o comportamenti contrari al codice del consumo nell'ambito della riscossione del canone Rai in bolletta elettrica;
   a riferire, attraverso una specifica relazione alle Camere, in merito ai dati e all'applicazione della nuova normativa in materia di riscossione del canone Rai, e, alla luce del quadro rilevato, a valutare il superamento della previsione normativa contenuta all'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, attraverso il ripristino dello status quo precedente alle disposizioni contenute nella legge n. 208 del 2015, ovvero attraverso l'individuazione di un nuovo meccanismo di riscossione del canone, che superi le criticità organizzative e fiscali riscontrate, e che non ravvisi profili di rischio per la necessaria tutela degli utenti e contribuenti.
(1-01206) «Brunetta, Baldelli, Occhiuto, Gelmini, Polidori, Giammanco, Squeri, Sandra Savino, Giacomoni, Laffranco».
(1o aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    come noto, già prima dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, l'importo del canone televisivo in Italia, pari a 113,50 euro annui, si attestava sotto la media europea, pari a 127,6 euro. Ben 12 Paesi europei avevano importi decisamente superiori al canone italiano. Ciò nonostante, il tasso di evasione stimato per il 2014, si attestava intorno al 27 per cento – per un importo complessivo non inferiore a 500 milioni di euro – contro una media europea, inclusa l'Italia, che si attesta attorno al 10 per cento;
    le significative innovazioni relative all'introduzione di un'ulteriore ipotesi presuntiva del possesso di un apparecchio televisivo in corrispondenza di un contratto di fornitura di energia elettrica e il conseguente inserimento dell'onere del canone nella bolletta sui consumi di energia elettrica, introdotte dalla citata disposizione della legge di stabilità 2016, consentiranno un decisivo recupero dell'evasione e, per tale via, un sensibile ridimensionamento dell'importo a carico dei contribuenti rispettosi della legge;
    con successivo decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, in via di emanazione e, a quanto risulta ai firmatari del presente atto di indirizzo, già inviato al Consiglio di Stato per il necessario parere, verranno definiti termini e modalità per il riversamento all'Erario dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica, le procedure di controllo sulla regolarità dei pagamenti, nonché le eventuali misure tecniche che si dovessero rendere necessarie all'introduzione di tale innovativo sistema di riscossione;
    nell'ambito della nuova disciplina sono regolate le ipotesi di esenzione e le procedure di autocertificazione relative al mancato possesso di apparecchi televisivi (che, secondo i dati Istat, riguarderebbe solo il 3 per cento degli italiani) pur in costanza della titolarità di un contratto di fornitura di energia elettrica, regolate secondo il regime ordinario previsto al riguardo dal decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 (testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa);
    per quanto attiene all'individuazione delle tipologie di apparecchiature che fanno scattare l'obbligo del pagamento del canone, già la nota del Ministero dello sviluppo economico n. 12991 del 22 febbraio 2012, aveva chiarito che il pagamento del canone riguarda solo gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale audiovisivo attraverso la piattaforma digitale terrestre o satellitare, rimanendo esclusi gli altri dispositivi che utilizzano la rete internet;
    ulteriori chiarimenti e precisazioni riguardo alla questione delle tipologie di apparecchiature assoggettate all'obbligo del pagamento del canone potranno essere fornite con l'emanando decreto interministeriale di attuazione della citata disposizione di cui all'articolo 1, comma 135, della legge di stabilità 2016;
    il nuovo sistema di esazione del canone presuppone il coinvolgimento e la collaborazione di diversi soggetti, pubblici e privati, detentori di banche dati significative ai fini della puntuale applicazione delle nuove disposizioni, ai sensi dell'articolo 1, comma 156, della legge n. 208 del 2015, profilo che dovrà vedere un ruolo attivo di indirizzo e verifica da parte dell'Autorità garante per la tutela dei dati personali;
    alla luce delle suddette innovazioni normative, una situazione meritevole di specifica attenzione riguarda il caso dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero, e quindi iscritti all'Aire, i quali, non solo non hanno la residenza negli immobili posseduti in Italia, ma non usufruiscono per la maggior parte del periodo di imposta delle trasmissioni radio-televisive italiane nei suddetti immobili,

impegna il Governo:

   ad adottare con la massima sollecitudine il decreto interministeriale attuativo del nuovo regime di pagamento del canone Rai, chiarendo i punti sinora rimasti incerti e sui quali si stanno montando campagne allarmistiche e di disinformazione;
   ad assumere iniziative per chiarire ai cittadini che il canone è dovuto per il possesso di un apparecchio TV in grado di ricevere il segnale digitale terrestre o satellitare, direttamente o tramite uno strumento esterno;
   a valutare la possibilità per i prossimi anni, tenendo anche conto che è necessaria una modifica legislativa, di assumere iniziative normative volte a considerare a favore dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero ed iscritti all'Aire l'esenzione o la riduzione del canone Rai sugli immobili da essi posseduti in Italia, ove siano presenti le presunzioni fissate dal regio decreto-legge n. 246 del 1938, a condizione che non siano locati o dati in comodato d'uso, così come proposto con apposito ordine del giorno nel corso dell'esame della legge di stabilità 2016;
   ad informare periodicamente il Parlamento sull'andamento del nuovo sistema di applicazione ed esazione del canone radio-televisivo, in particolare con riferimento agli effetti sul contrasto del fenomeno dell'evasione del medesimo e alle procedure di condivisione delle diverse banche dati, nel rispetto del diritto alla privacy degli utenti.
(1-01208) «Peluffo, Bonaccorsi, Anzaldi, Boccadutri, Garofani, Ginoble, Coscia, Tullo, Benamati, Tacconi, Martella».
(4 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    ai sensi dell'articolo 1, comma 152, della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) chiunque detiene nel luogo in cui ha la sua residenza anagrafica un apparecchio atto od adattabile alla ricezione delle trasmissioni televisive è tenuto a pagare il canone Rai a partire dal 1o luglio 2016 mediante addebito nella fattura relativa alla propria utenza elettrica. Il successivo comma 153 del medesimo articolo, aggiungendo, nel novellare la normativa vigente, una nuova presunzione di detenzione, stabilisce infatti che: «La detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»;
    pertanto, dal combinato disposto dei due suddetti commi, l'addebito scatterebbe sull'assunto che l'esistenza di un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo di residenza anagrafica del contribuente presuma la detenzione da parte sua di un apparecchio televisivo. Allo scopo di superare tali presunzioni, a decorrere dall'anno 2016, incomberebbe in capo allo stesso contribuente l'onere di dimostrare annualmente il contrario tramite la presentazione di un'autocertificazione all'Agenzia delle entrate – direzione provinciale I di Torino, resa ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, con modalità da definirsi con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate;
    l'articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938, n. 246 (disciplina degli abbonamenti alle radioaudizioni), come novellato dalla legge di stabilità 2016, dispone che il canone di abbonamento dev'essere corrisposto da chiunque detenga uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo, e che lo stesso è, in ogni caso, dovuto una sola volta in relazione agli apparecchi detenuti, nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora, dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica;
    il medesimo articolo inoltre stabilisce che: «la presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente». A tal proposito è intervenuto il Ministero dello sviluppo economico, dipartimento per le comunicazioni, che, con una nota del 22 febbraio 2012 ha precisato che l'evoluzione tecnologica non può prescindere dal dettato normativo e che quest'ultimo, riferendosi al servizio di radiodiffusione, non include altre forme di distribuzione del segnale audio/video, come per esempio Web Radio, Web TV, IPTV (streaming), basate su portanti fisici diversi da quello radio. La stessa nota chiarisce che la normativa circoscrive il campo alla ricezione di segnali televisivi su piattaforma terrestre, inclusi i videofonini (standard DVB-H) e su piattaforma satellitare, poiché il requisito fondamentale è che l'apparecchio possieda un sintonizzatore atto alla ricezione di segnale che operi nelle bande destinate al servizio di radiodiffusione, e che lo stesso apparecchio sia sufficiente ad erogare un servizio di radioaudizione (includendo quindi i videotelefonini ed i lettori mp3 con radio FM integrata);
    a ribadire la natura tributaria ed obbligatoria del canone è stata una recente sentenza della sesta sezione civile della Cassazione, che con l'ordinanza n. 1922 del 2016 ne ha chiarito la natura di «prestazione tributaria fondata sulla legge e non commisurata alla possibilità effettiva di usufruire del servizio de quo», negando perciò uno «specifico rapporto contrattuale di natura sinallagmatica che leghi il contribuente al concessionario del servizio pubblico». Tale pronunciamento si muove nel solco della sentenza n. 284 del 2002 della Corte costituzionale che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento al sopracitato articolo 1 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, in riferimento agli articoli 2, 3, 9 e 21 della Costituzione nella parte in cui collega, ai fini dell'impostazione del canone, il cosiddetto «dominio dell'etere» da parte dello Stato al semplice possesso dell'apparecchio, indipendentemente dalla effettiva fruizione dei servizi, e a favore del solo concessionario del servizio pubblico (RAI) e nella parte in cui prevede una disparità di trattamento fra chi riceve le trasmissioni televisive attraverso l'apparecchio televisivo e chi le riceve con altri mezzi tecnici, quali il computer con l'apposita scheda, oppure non le riceve affatto. Da ciò ne discende che il canone radiotelevisivo avrebbe natura di vera e propria «imposta» (di scopo), il cui presupposto impositivo è correlato alla mera detenzione di un apparecchio atto a captare le trasmissioni via etere dei programmi radiotelevisivi pubblici, indipendentemente dalla loro effettiva fruizione o dalla concreta possibilità di riceverli, non potendosi configurare tale indice come irragionevole;
    con provvedimento del 24 marzo 2016 (Prot. n. 45059) l'Agenzia delle entrate ha comunicato l'approvazione del modello di dichiarazione sostitutiva al quale sono affidati tutti quei casi in cui ricorrano le condizioni per l'esenzione dal pagamento del canone, da rendere ai sensi dell'articolo 47 del sopracitato decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, e mediante il quale, esclusivamente il titolare di utenza per la fornitura di energia elettrica per uso domestico residenziale, consapevole delle conseguenze anche penali per la non veridicità previste dagli articoli 75 e 76 del medesimo decreto, presenta alternativamente:
     a) una dichiarazione sostitutiva di non detenzione di un apparecchio televisivo da parte di alcun componente della famiglia anagrafica in alcuna delle abitazioni per le quali il dichiarante è titolare di utenza di fornitura di energia elettrica;
     b) una dichiarazione sostitutiva di non detenzione, da parte di alcun componente della famiglia anagrafica in alcuna delle abitazioni per le quali il dichiarante è titolare di utenza di fornitura di energia elettrica, di un apparecchio televisivo ulteriore rispetto a quello per cui è stata presentata entro il 31 dicembre 2015 una denunzia di cessazione dell'abbonamento radio-televisivo per suggellamento di cui all'articolo 10, primo comma, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246;
     c) una dichiarazione sostitutiva che il canone di abbonamento alla televisione per uso privato non deve essere addebitato in alcuna delle utenze elettriche intestate al dichiarante in quanto il canone è dovuto in relazione all'utenza elettrica intestata ad altro componente della stessa famiglia anagrafica, di cui il dichiarante comunica il codice fiscale;
     d) una dichiarazione sostitutiva per il venir meno dei presupposti di una dichiarazione sostitutiva di cui alle lettere a), b) e c) precedentemente resa;
    vi sono però ulteriori fattispecie che non sembrano rientrare in alcuna delle suddette previsioni dell'Agenzia delle entrate come ad esempio il caso del mancato possesso dell'apparecchio quando due utenze elettriche servano un'unica abitazione, quando vi è un'utenza elettrica di una pertinenza rispetto ad una dimora, oppure il caso dell'unificazione di due abitazioni servite da due diversi contatori dell'energia elettrica;
    il principio chiarito dall'Agenzia delle entrate è pertanto quello per il quale non sarà più possibile essere esentati dal pagamento del canone attraverso il suggellamento dell'apparecchio;
    soltanto chi non possiede e non detiene apparecchi TV potrà esserne esentato senza incorrere nel rischio di vedersi contestata l'evasione fiscale;
    lo stesso provvedimento stabilisce che a regime, la dichiarazione sostitutiva di cui ai casi sub le lettere a) e b) presentata entro il 31 gennaio dell'anno di riferimento, a partire dal 1o luglio dell'anno precedente, ha effetto per l'intero canone dovuto per l'anno solare di riferimento, senza però chiarire se essa ha effetto anche per gli anni successivi. Quanto alla dichiarazione sostitutiva resa per il caso sub la lettera c) essa ha effetto per l'intero canone dovuto per l'anno di presentazione, mentre per quella relativa alla variazione dei presupposti di una dichiarazione sostitutiva precedentemente resa, di cui alla lettera d) ha effetto per il canone dovuto dal mese in cui è presentata. Ciò significa che ogni dichiarazione di variazione per avere effetto va presentata esclusivamente in un preciso arco temporale, pena la sua inefficacia;
    invero, fino ad oggi la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi del richiamato articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, non è mai stata obbligatoria, ben potendo il cittadino difendersi dalle periodiche lettere di richiesta del pagamento del canone, rispondendo con una semplice raccomandata. Peraltro, a differenza di una normale comunicazione, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà mendace espone, come ricordato dalla stessa Agenzia delle entrate, a responsabilità penali, circostanza che la rende poco raccomandabile nel caso fosse spontanea;
    da quanto premesso deriva che la novella introdotta dalla legge di stabilità 2016 in materia di pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo non ha modificato il presupposto impositivo, cioè il «fatto economico» che fa sorgere l'obbligo di corrisponderlo, quanto piuttosto il regime probatorio ed i meccanismi di riscossione dello stesso, accollando al contribuente l'onere di provare ai sensi dell'articolo 2697 del codice civile, la non debenza dello stesso, e quindi spostandolo dallo Stato (Agenzia delle entrate) al contribuente;
    viene inoltre meno il principio di presunzione di innocenza fissato dalla Costituzione e per il quale la prova della contestazione dell'evasione deve restare a carico dell'Agenzia delle entrate;
    la suddetta novità legislativa ha dato luogo, già dall'indomani della sua divulgazione, ad un'infinità di discussioni riguardanti soprattutto le possibili situazioni intricate, per chiarire le quali si dovrà attendere il decreto attuativo o una successiva circolare ministeriale. Inoltre, ad alimentare gli allarmismi erano state alcune dichiarazioni, apparse sui media, rilasciate da ambienti vicini al Governo secondo le quali il corretto pagamento a partire dal 2016 del canone di abbonamento, alla stregua di un'autodenuncia e di ammissione del debito, non equivarrà a sanare le evasioni degli anni precedenti che, senza alcuna opposizione, risulteranno pienamente sanzionabili, facendo in tal modo diffondere il timore che lo stesso pagamento diventi l'occasione per l'Agenzia delle entrate di pretendere la riscossione degli anni arretrati, a meno che non si sia fatta opposizione inviando le suddette comunicazioni relative all'esistenza di un intestatario diverso, o al mancato possesso di apparecchi televisivi;
    come chiarito anche dalla Cassazione la richiesta di arretrati non potrà spingersi oltre i 10 anni anteriori, essendo la prescrizione del canone. Infatti, sebbene il codice civile stabilisca che tutto ciò che deve essere pagato almeno una volta all'anno (o per periodi più brevi) si prescrive in cinque anni, la giurisprudenza ha da sempre riconosciuto al canone Rai la natura di imposta e, come tale, ne segue la disciplina, ivi compreso il prolungamento a dieci anni della prescrizione;
    le nuove modalità di pagamento del canone televisivo hanno comportato anche una completa rivisitazione dell'attuale processo di gestione del tributo, nonché la definizione e la realizzazione di un sistema di interscambio delle informazioni tra i diversi enti coinvolti nel processo di riscossione del canone che vede coinvolti, oltre all'Agenzia delle entrate ed alla Rai, nuovi attori quali l'impresa elettrica, Acquirente unico S.p.A. – società pubblica interamente partecipata dal gestore dei servizi energetici – e l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, tutti soggetti autorizzati allo scambio ed all'utilizzo di tutte le informazioni utili a consentire il corretto addebito del canone nelle fatture elettriche, con tutti i connessi rischi di violazione della privacy;
    una volta individuati, grazie alla collaborazione delle imprese elettriche, i soggetti potenzialmente destinatari dell'addebito del canone in fattura sarà necessaria da parte dell'Agenzia delle entrate, al fine di evitare errori e duplicazioni nell'addebito del canone, verificare la presenza di eventuali dichiarazioni di non possesso dell'apparecchio tv o di pagamenti eseguiti con altre modalità o dei soggetti esentati dal pagamento. A questo punto assume cruciale importanza la corretta individuazione della famiglia anagrafica che, in modo del tutto peculiare rispetto alle diverse imposte del nostro sistema tributario, costituisce di fatto il soggetto passivo del tributo, individuazione che, allo stato attuale, in attesa della costituzione della nuova Anagrafe nazionale della popolazione residente, risulta particolarmente complessa anche se risulta indispensabile per gestire correttamente sia le seconde case, evitando doppi addebiti, sia i casi di esenzione. Infatti, al fine di superare tale criticità, fino al completo avvio dell'Anagrafe nazionale della popolazione residente, i comuni hanno cominciato a trasmettere i dati all'Agenzia delle entrate per i relativi riscontri;
    il coinvolgimento nella gestione del canone anche delle imprese di fornitura elettrica risulta per le stesse estremamente complesso, oneroso, oltreché sostanzialmente impraticabile, tenendo conto anche del fatto che i clienti finali possono cambiare fornitore, anche più volte, nel corso dell'anno. Tale aspetto comporterebbe una serie di problematiche gestionali legate alla corretta applicazione del canone in tutti i casi di cosiddetto switching o anche nei semplici casi di voltura, ovvero di variazione degli intestatari della fornitura. Inoltre, l'implementazione della riforma necessiterebbe in ogni caso di una completa ristrutturazione dei sistemi di fatturazione delle società elettriche, con conseguenti investimenti significativi oltre che di nuove strutture organizzative per la gestione di informazioni, reclami e possibili contenziosi con i clienti. È presumibile che per tale aggravio di impegno i gestori del servizio elettrico pretenderanno dal concessionario pubblico un aggio per ogni pratica trattata che al momento è lecito chiedersi se sera estrapolato dall'importo del canone oppure distribuito con qualche diabolico stratagemma contabile sulla fatturazione agli utenti dell'energia elettrica;
    in un mercato libero le fatture delle forniture energetiche devono corrispondere a prestazioni effettivamente erogate e non possono quindi essere veicolo di imposizioni fiscali completamente estranee per materia e finalità;
    nel corso di un question time svolto presso la commissione finanze, il rappresentante del Governo ha dichiarato che relativamente all'operatività della presunzione di possesso ai fini dell'accertamento di annualità precedenti al 2016, l'Agenzia delle entrate ritiene che la richiamata presunzione di possesso dell'apparecchio opera solo a partire dal 2016 e non può quindi essere utilizzata per eventuali azioni di controllo relative a periodi precedenti, fatte salve le azioni di recupero già intraprese sulla base della normativa in vigore anteriormente alla legge di stabilità per il 2016;
    per eccessiva tutela dell'autodichiarazione la nuova normativa prevede che, in caso di violazione degli obblighi di comunicazione e di versamento dei canoni si applichino, rispettivamente, le sanzioni di cui agli articoli 5, commi 1 e 13, comma 1, dal decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, e successive modificazioni. La stessa normativa, nel richiamare gli articoli 75 e 76 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che a loro volta rimandano all'articolo 482 del codice penale in tema di falsità materiale commessa dal privato, stabilisce una sanzione, peraltro già prevista, aldilà dei casi di autocertificazione falsa, per tutti gli evasori del canone ovvero per tutti coloro che sarebbero tenuti al pagamento ma non versano il tributo corrispondente, a giudizio dei firmatari del presente atto di indirizzo spropositata rispetto ad altre analoghe previste per ben più gravi reati tributari. Infatti, mentre l'evasione fiscale per omessa dichiarazione è sanzionata penalmente con una soglia minima di 30 mila euro, in caso di dichiarazione infedele resa ad un'autorità, nella fattispecie all'Agenzia delle entrate, pur se senza un impianto fraudolento, ma comunque consapevolmente e volontariamente «falsa», si rischia una pena detentiva con privazione della libertà da un minimo di uno ad un massimo di tre anni;
    il pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo a mezzo di fatturazione dell'energia elettrica, quale misura anti-evasione capace di dare più certezza di risorse alla società concessionaria pubblica Rai, comporterebbe, per i firmatari del presente atto, come si è visto, oltre alle molte criticità sia giuridiche che applicative, anche l'introduzione di ulteriori costi e rischi aggiuntivi per i fornitori di elettricità, che inevitabilmente non potranno non riflettersi sull'importo nelle bollette,

impegna il Governo:

   a superare, in sede di attuazione della normativa di cui all'articolo 1, commi da 152 a 159, della legge n. 208 del 2015, tutte le criticità evidenziate in premessa, assumendo iniziative di carattere normativo atte:
    a) ad escludere espressamente dalla presunzione legale di detenzione ai fini dell'assoggettamento al canone di abbonamento radiotelevisivo di cui all'articolo 1 del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, tutti gli apparecchi che, pur essendo corredati da accessori indispensabili per ricevere e decodificare i segnali radiotelevisivi, sono nella realtà destinati ad un uso prevalente che escluda la visione o l'ascolto di programmi radiotelevisivi;
    b) a comprendere nel novero dei reali depenalizzati anche la dichiarazione infedele resa all'Agenzia delle entrate al fine di eludere il pagamento del canone Rai;
    c) ad esentare il contribuente dal presentare annualmente, qualora non dovessero intervenire variazioni di possesso in capo allo stesso, la dichiarazione di non detenzione dell'apparecchio di cui l'articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938, n. 246, facendo gravare sull'Agenzia delle entrate il compito di accertare, attraverso l'incrocio dei dati forniti da diversi attori istituzionali, l'effettiva debenza del tributo;
    d) a consentire al contribuente di poter presentare in qualunque momento e con effetto retroattivo l'autodichiarazione con la quale comunicare le variazioni di possesso dell'apparecchio, utili al fine del superamento della presunzione legale di cui all'articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938, n. 246;
    e) a prevedere la presentazione al Parlamento di una relazione semestrale sullo stato di attuazione e sui risultati della normativa sulla nuova modalità di corresponsione del canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo.
(1-01209) «Paglia, Fassina, Franco Bordo, Scotto, Ricciatti, Ferrara».
(4 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    il Trattato sull'Unione europea (versione consolidata), preambolo articolo 1, capo 2, recita: «il presente trattato segna una nuova tappa nel processo di creazione di una Unione sempre più stretta fra i popoli dell'Europa, in cui le decisioni siano prese nel modo più trasparente possibile ed il più vicino possibile ai cittadini»;
    vanno richiamati altresì l'articolo 2, articolo 11, nn. 2,3,4; il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (versione consolidata); il Titolo I articolo 6c; il Titolo XII articolo 165 nn. 2 e 4; il Titolo XIII articolo 167 nn. 1, 2, 3, 5; la direttiva 2007/65/CE; il decreto legislativo 31 luglio 2005 n. 177 e in particolare l'articolo 45; il Contratto nazionale di servizio tra il Ministero dello sviluppo economico e la RAI — radiotelevisione italiana s.p.a. per il triennio 2010/2012, approvato con decreto del Ministro dello sviluppo economico del 27 aprile 2011, la cui scadenza è fissata al 31 dicembre 2012; la delibera 587/12/CONS dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni;
    le misure prese per rendere più rigoroso ed esatto il pagamento del canone RAI richiedono un più puntuale ed efficace svolgimento delle funzioni di servizio pubblico che il contratto di servizio assegna alla RAI ed una loro più chiara definizione: il contratto di servizio è scaduto da tempo e deve essere rinnovato;
   la RAI ha svolto nel tempo una funzione straordinaria nella creazione in Italia di una coscienza popolare, nazionale e sociale diffondendo non solo l'uso corrente della lingua ma anche un insieme di valori comuni che sorreggono il sentimento della identità nazionale, in questo consiste primariamente la funzione di servizio pubblico che è propria della RAI e che giustifica il pagamento del canone;
    la RAI ha svolto questa funzione attraverso programmi di intrattenimento che hanno aiutato gli italiani delle diverse regioni a conoscersi vicendevolmente ed a guardare con simpatia alle peculiarità delle diverse culture regionali, attraverso programmi di spettacolo che hanno popolarizzato i classici della cultura nazionale e fatto conoscere gli avvenimenti fondamentali della storia nazionale, attraverso programmi giornalistici che hanno aiutato i cittadini a comprendere i problemi e le dinamiche della politica locale e nazionale in uno spirito di pluralismo che ha abituati a rispettare e comprendere il punto di vista di chi pensa in modo diverso;
    in questo modo si è cresciuti nella coscienza di essere cittadini responsabili e non sudditi;
    la RAI ha avuto certamente molti difetti e manifestato molte insufficienze. Lo spirito del servizio pubblico si è affievolito a causa della competizione con le televisioni commerciali. La preoccupazione degli ascolti, soprattutto negli ultimi anni, ha sovrastato quella del servizio pubblico. È venuta meno, almeno in parte, la voglia di spiegare cose difficili che richiedono un minimo di sforzo, sostituita dalla preoccupazione della efficacia immediata che fa ascolti ma non aiuta a capire. Le nomine talvolta sono state fatte non sulla base del merito ma su quello della appartenenza politica, vi sono giustificate lamentele per ciò che riguarda la assegnazione degli appalti;
    tutto questo, tuttavia, non inficia la validità della categoria di servizio pubblico ma chiede piuttosto che si torni al suo spirito autentico ed originario;
    l'Unione europea è divenuta sempre più il centro delle decisioni che influenzano in modo penetrante il nostro futuro. Si può governare la globalizzazione e difendere la sicurezza ed il benessere dei popoli nella epoca della globalizzazione solo con politiche che hanno una dimensione continentale. Le opinioni pubbliche e le politiche sono però rimaste solo nazionali;
    i popoli, di conseguenza, non si sentono protagonisti dei processi decisionali della Unione europea ed hanno anche la sensazione di non poterli controllare. Questa è causa non secondaria del diffondersi di un sentimento populista ed antieuropeo;
    tempo addietro lord Ralph Dahrendorf sosteneva che il difetto principale del progetto europeo è il fatto che non esiste un demos, cioè un popolo, europeo. Di conseguenza non esisterebbe una demo/crazia europea. Se questo fosse vero si sarebbe costretti a scegliere fra un potere europeo efficiente ma burocratico ed una democrazia dei piccoli stati sostanzialmente impotente. Quello di demos, però, non è un concetto razziale o naturalistico. Quello di demos è un concetto eminentemente culturale. Il demos degli ateniesi nacque dalla scelta di etnè (tribù) diverse di diventare una cosa sola. È il sinecismo (da sin oikein, abitare insieme);
    la Roma di Romolo aveva tre tribù: i Titii (Sabini), i Ramnii (Latini) ed i Luceres (Etruschi). La città nasce dal convergere di tre stirpi, con tre lingue diverse;
    la principale questione dalla quale dipende il futuro della democrazia e della Unione europea è esattamente quella della formazione del demos europeo. Questo è un processo culturale. Non a caso poco prima di morire Jean Monnet ebbe a dire che, se avesse dovuto intraprendere di nuovo il cammino della unificazione europea, avrebbe iniziato dalla cultura e non dall'economia. In un linguaggio moderno il concetto di popolo coincide, almeno in parte, con quello di opinione pubblica;
    il principale strumento di cui i Parlamenti ed i Governi dispongono per favorire la formazione di una opinione pubblica europea sono le televisioni di servizio pubblico europee;
    al riguardo, è opportuno sottolineare l'importanza della funzione di controllo che l'opinione pubblica deve esercitare verso i responsabili politici, la giusta considerazione dei punti di vista e delle esigenze fondamentali degli altri popoli europei, la partecipazione alla formazione delle sintesi culturali e politiche di cui l'Europa ha bisogno, facendo valere in esse in modo equilibrato le ragioni e gli interessi dell'Italia;
    il contratto di servizio deve poter contenere l'impegno a promuovere la collaborazione in Europa con enti televisivi similari e in particolare con quelli sottoposti ad analoghi doveri di servizio pubblico, al fine di cooperare ad una migliore informazione e formazione dei popoli europei ed allo sviluppo di una comune coscienza civile europea;
    sarebbe alquanto opportuno che la Commissione europea proponga al Consiglio una raccomandazione ai sensi dell'articolo 167 n. 5 del Trattato sul funzionamento della Unione europea (versione consolidata), sulla promozione della conoscenza del funzionamento delle istituzioni dell'Unione, della comune cultura europea e di una educazione civica europea in tutti i Paesi dell'Unione;
    sarebbe altrettanto auspicabile che la Commissione europea proponga al Parlamento ed al Consiglio una direttiva sul riordino del sistema dell'audiovisivo europeo, che tenga nel debito conto il formidabile apporto educativo che essi possono dare alla conoscenza delle istituzioni democratiche europee, al loro controllo democratico da parte dei popoli europei, all'affratellamento dei popoli europei ed alla crescita di una loro comune coscienza civile;
    in data 2 dicembre 2014, il gruppo parlamentare di Area Popolare ha presentato una mozione con la quale si chiedeva al Governo di valutare l'opportunità di trasformare il canone RAI in una imposta collegata alla progressività del reddito;
    la legge di stabilità per il 2016, che il gruppo parlamentare di Area Popolare ha votato, ha previsto che il canone RAI venga pagato in dieci rate mensili, comprese nell'importo della bolletta dell'energia elettrica;
    il canone RAI, in seguito all'approvazione della legge di stabilità, avrà un costo di 100,00 euro, invece dei 113,00 euro degli anni passati. Ciò permetterà di ridurre l'evasione del pagamento del canone, dando certezza di risorse alla concessionaria radio televisiva;
    il comma 156 dell'articolo 1 della legge di stabilità per il 2016, prevede l'emanazione di un decreto attuativo che individui anche i soggetti che devono pagare il canone RAI;
    in tale quadro, sarebbe auspicabile che le risorse ottenute dal pagamento del canone RAI siano destinate anche a porre il tema della formazione della coscienza del cittadino europeo sempre più al centro del prossimo contratto di servizio della RAI, in modo da offrire ai cittadini italiani la possibilità di comprendere effettivamente il funzionamento dei meccanismi istituzionali europei, conoscere tempestivamente i dibattiti e le decisioni, avere un quadro più ampio e consapevole della cultura, della politica, della società europea,

impegna il Governo

a valutare l'opportunità, dopo la prima fase di attuazione della norma relativa alla riscossione del canone RAI prevista dalla legge di stabilità per il 2016, di riconsiderare l'entità del canone RAI collegandolo alla progressività del reddito e di assumere iniziative per ridurlo o escluderlo per le fasce più deboli della popolazione.
(1-01211) «Buttiglione, Garofalo, Sammarco, Bosco».
(4 aprile 2016)

   La Camera,
   premesso che:
    in base al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, che ha disciplinato il pagamento del canone per il servizio pubblico radiotelevisivo, lo stesso è dovuto per la semplice detenzione di uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle diffusioni televisive, indipendentemente dai programmi ricevuti;
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208, legge di stabilità per l'anno 2016, ha modificato il citato regio decreto-legge, aggiungendo alla presunzione della ricezione dei programmi anche la presunzione del possesso di un apparecchio radioricevente, ponendola in capo a qualunque soggetto che sia intestatario di una utenza per la fornitura di energia elettrica;
    per superare le due presunzioni, a decorrere dall'anno 2016, il contribuente che non voglia pagare il canone dovrà presentare una apposita dichiarazione all'Agenzia delle entrate con la quale dichiara la non detenzione di un apparecchio televisivo da parte di alcun componente della famiglia in alcuna delle abitazioni per le quali il dichiarante è titolare di utenza di fornitura di energia elettrica;
    l'eventuale mendacia delle informazioni fornite con la dichiarazione sostitutiva comporta sia l'applicabilità di una sanzione amministrativa pecuniaria, sia gli effetti penali connessi al rilascio di dichiarazioni false;
    in base alle nuove norme il pagamento del canone dovrà avvenire in dieci rate mensili che saranno addebitate sulle fatture emesse dall'impresa fornitrice di energia elettrica, ma in prima applicazione i primi pagamenti delle rate del canone saranno cumulativamente addebitate nella prima fattura successiva al 1o luglio 2016;
    le somme riscosse dalle imprese fornitrici di energia dovranno essere riversate direttamente all'Erario, secondo modalità la cui individuazione la legge di stabilità demanda ad un decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, che avrebbe dovuto essere adottato entro la metà del mese di febbraio 2016;
    il medesimo decreto dovrebbe anche disciplinare l'individuazione e la comunicazione dei dati utili ai fini del controllo e le altre misure di attuazione della norma;
    l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, intervenendo in merito alla nuova modalità di pagamento del canone ha definito l'inserimento del canone nella bolletta della fornitura elettrica un «uso improprio» della medesima bolletta;
    la necessità di incrociare i dati del titolare del contratto di fornitura di energia elettrica con le altre banche dati necessarie a verificare la sua assoggettabilità al pagamento del canone RAI configura possibili violazioni della normativa sulla privacy;
    pretendere il pagamento di un tributo in forza di una doppia presunzione contravviene a qualunque regola di legittimità d'imposizione fiscale e, con l'obbligo in capo al contribuente di dimostrare la sua eventuale non assoggettabilità al pagamento del canone, realizza anche una pericolosa inversione dell'onere della prova come disciplinata dal codice civile;
    vincolare il pagamento del canone ad una bolletta, infatti, non garantisce il verificarsi della condizione essenziale per il pagamento dell'imposta, ossia il possesso di un televisore o altro apparecchio atto a ricevere frequenze tv;
    il servizio pubblico radiotelevisivo nasce dall'esigenza di garantire il diritto all'informazione e quello ad essere informati, che nel nostro ordinamento discendono dall'articolo 21 della Costituzione, e in merito la Corte costituzionale ha ribadito più volte la necessità che sia garantita a tutti i cittadini la parità di accesso ai mezzi d'informazione;
    dalla configurazione del canone quale imposta data dalla giurisprudenza costituzionale dovrebbe derivare anche la sua progressività in base alle capacità contributive del soggetto chiamato a corrisponderla;
    il fatto che in base alle nuove norme la dichiarazione sostitutiva avrà validità per un solo anno, e, di conseguenza, il contribuente dovrà ripetere la procedura ogni anno, costituisce un pesante aggravio burocratico a fronte di tutte le tanto sbandierate iniziative che dovrebbero ridurre gli adempimenti burocratici a carico dei cittadini;
    stando alla relazione tecnica che ha accompagnato le norme sulle nuove modalità di pagamento del canone, dalle stesse non è atteso alcun incremento di gettito;
    il contrasto all'evasione rispetto al pagamento del canone radiotelevisivo, di recente sollecitato anche dalla Corte dei Conti, e che sinora ha privato l'azienda concessionaria di circa il trenta per cento degli introiti a tale titolo, non può passare attraverso iniziative o misure che danneggino il cittadino, o, addirittura, ledano i suoi diritti;
    l'accorpamento del pagamento di due voci del tutto estranee l'una all'altra nell'ambito della medesima procedura di fatturazione rischia di determinare confusione nell'intestazione dell'importo corrisposto laddove questo sia inferiore a quello richiesto con la bolletta, perché se è vero che le due voci in bolletta saranno distinte è egualmente vero che il pagamento sarà unico;
    il previsto decreto di attuazione delle nuove norme per il pagamento del canone non è ancora stato emanato;
    attraverso il canone la RAI incassa annualmente circa 1,8 miliardi di euro, voce alla quale si aggiungono gli introiti derivanti dalle pubblicità che sono assai elevati anche rispetto a quanto incassato dalle reti televisive pubbliche degli altri Paesi europei, e ciononostante l'azienda persiste nella sua incapacità di ripianare i propri bilanci e di mettere in atto una efficace politica di contenimento dei costi,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per correggere la normativa di cui in premessa al fine di assoggettare il pagamento del canone a presupposti certi e non a mere presunzioni di godimento del servizio;
   ad adottare con urgenza il decreto attuativo di cui in premessa al fine di scongiurare i rischi derivanti dall'unificazione del pagamento di due voci di spesa di natura completamente differente e, in tale ambito, ad adottare le disposizioni necessarie a tutelare la privacy di tutti gli utenti;
   a elaborare un progetto di riforma del canone per il servizio radiotelevisivo pubblico che determini il contributo richiesto in base alle capacità reddituali dei singoli utenti, salvaguardando le esenzioni già previste e riducendo gli adempimenti previsti a carico dei contribuenti;
   ad intervenire, per quanto di competenza, affinché l'azienda concessionaria realizzi un piano di contenimento dei costi, ai fini della progressiva riduzione del canone.
(1-01212) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».
(4 aprile 2016)