XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 27 gennaio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO RECANTE DISPOSIZIONI IN MATERIA DI NON PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO, A NORMA DELL'ARTICOLO 1, COMMA 1, LETTERA M), DELLA LEGGE 28 APRILE 2014, N. 67 (ATTO DEL GOVERNO N. 130)

Audizione di Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Palazzo Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Palazzo Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 6 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 6 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 9 
Petrelli Francesco , Segretario dell'Unione delle Camere penali italiane ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Molteni Nicola (LNA)  ... 11 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Bonafede Alfonso (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Bonafede Alfonso (M5S)  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Dambruoso Stefano (SCpI)  ... 13 
Amoddio Sofia (PD)  ... 13 
Chiarelli Gianfranco Giovanni (FI-PdL)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Chiarelli Gianfranco Giovanni (FI-PdL)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Palazzo Francesco , Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze ... 14 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 16 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 17 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 18 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 18 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 19 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 19 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 19 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 19 
Ferranti Donatella , Presidente ... 19 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Migliucci Beniamino , Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Area Popolare (NCD-UDC): (AP);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia-Centro Democratico: (PI-CD);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 12.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame dello schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto, a norma dell'articolo 1, comma 1, lettera m), della legge 28 aprile 2014, n. 67 (Atto del Governo n. 130), di Francesco Palazzo, ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze, di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati e di rappresentanti dell'Unione delle Camere penali italiane.
  Sono presenti, per l'Associazione nazionale magistrati, Rodolfo Maria Sabelli, presidente, accompagnato da Valerio Savio, vicepresidente, e, per l'Unione delle Camere penali italiane, Beniamino Migliucci, presidente, accompagnato da Francesco Petrelli, segretario.
  Do la parola, come abbiamo stabilito anche con gli altri auditi, al professor Palazzo per lo svolgimento della relazione. Ha una decina di minuti. Oggi non abbiamo particolare fretta.

  FRANCESCO PALAZZO, Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze. La mia intenzione, compatibilmente con le esigenze di tempo, sarebbe di svolgere tre rapidissimi ordini di considerazioni, uno di carattere molto generale, uno di carattere sistematico e uno a proposito dei criteri di valutazione dell'irrilevanza del fatto.
  Sotto il profilo generale io credo che siano comprensibili le diffidenze che si possono nutrire nei confronti dell'istituto dell'irrilevanza del fatto, perché questo istituto nasce, in sostanza, da alcune imperfezioni congenite del sistema. Se il sistema fosse perfetto, se fosse capace di selezionare correttamente tutti i fatti meritevoli di tutela penale, espungendo dunque fin dalla previsione legislativa quelli bagatellari, se fosse in grado di perseguire tutte le notitiae criminis, non ci sarebbe bisogno dell'irrilevanza del fatto.
  Si tratta, dunque, di un istituto che non credo susciti l'innamoramento di nessuno, ma che si è reso ormai necessario. È necessario perché le imperfezioni di cui dicevo prima sono imperfezioni congenite non solo nel sistema italiano, ma in tutti i sistemi e si vanno accentuando con le caratteristiche della modernità.
  Questo giustifica che della tenuità del fatto si parli a livello anche legislativo e teorico-dottrinale in Italia da più di venti anni e spiega come l'istituto abbia ormai preso piede nella maggioranza dei Paesi Pag. 4europei di più solida tradizione giuridica, dagli ordinamenti di tradizione giuridica davvero nobilissima, come quelli della Germania e dell'Austria, ad altri che nei codici più recenti si sono dati questo istituto, quali quelli di Portogallo, Slovenia, Croazia e Olanda, senza contare i Paesi di common law in cui l'istituto non ha bisogno di essere previsto, essendovi il principio di opportunità dell'azione penale.
  A me pare, formulando un'impressione molto distaccata, che non siano giustificate, allo stato dei fatti, previsioni allarmistiche sulla possibile futura utilizzazione di questo istituto in Italia. Credo piuttosto che esso potrà recare, se dovesse entrare in vigore, un contributo a una gestione più razionale e trasparente delle notitiae criminis, per la verità caratterizzata oggi forse da una certa opacità e da una mancanza di totale trasparenza.
  Mi pare che un giudizio consimile, in termini molto equilibrati, sia stato espresso molto recentemente dal primo presidente della Cassazione a proposito sia del testo di legge delega, sia dello schema.
  Detto questo, svolgo una considerazione di sistema, sulla quale credo e spero di essere rapidissimo.
  Lo schema di decreto delegato mi pare caratterizzato da un intento di scrupolosa osservanza dei princìpi della legge delega, peraltro particolarmente analitici e stringenti in materia di irrilevanza del fatto, a differenza di quanto capita in altre parti della delega contenuta nella legge n. 67 del 2014. Probabilmente, è questo scrupolo che ha portato lo schema di decreto delegato a non toccare l'irrilevanza del fatto davanti al giudice di pace. La delega non fa riferimento a questo aspetto e lo schema di decreto non ne parla.
  Certamente, se dovesse entrare a regime una sorta di doppia previsione per il giudice di pace, quale quella prevista oggi dall'articolo 34, e per il diritto comune, con riferimento a quella dello schema di decreto delegato, si creerebbe nel sistema una dissimmetria. Io credo che sarebbe molto opportuno, invece, poter realizzare una disciplina unitaria. Ovviamente, questa disciplina unitaria non potrebbe essere che nel senso dello schema di decreto delegato.
  Penserei, inoltre, che, nonostante il rigore che caratterizza la giurisprudenza della Corte costituzionale in materia di esercizio di potere legislativo delegato, non dovrebbero esserci problemi di vizio di un eccesso di delega. Questo per due buone ragioni.
  La prima è che la formulazione della legge n. 67 del 2014 suona come la formulazione di un istituto di carattere generale. Esso sembra concepito come un istituto di carattere generale, esclusi naturalmente i minori, che ha una sua peculiarità a sé.
  La seconda ragione, più testuale, è che nel secondo comma dell'articolo 1 della delega il delegante autorizza il delegato al necessario coordinamento. Qui il coordinamento potrebbe essere realizzato nel modo più lineare e sistematico attraverso l'abrogazione dell'articolo 34, con l'applicazione, dunque, generalizzata del nuovo istituto.
  A questo punto passerei, sempre che il presidente me lo consenta, al terzo ordine di considerazioni, scusandomi se dovrò necessariamente scendere un po’ più nel tecnico. Queste considerazioni riguardano essenzialmente i criteri di valutazione della tenuità del fatto.
  Ripeto, la delega su questo punto pare piuttosto stringente. Ci sono dei margini di discrezionalità, che non paiono, però, consistenti al punto da consentire stravolgimenti di un'identità che esce sufficientemente chiara dalla delega.
  Fatta questa premessa, i criteri di valutazione della tenuità del fatto sono sostanzialmente due: quello relativo al fatto e quello della famosa non abitualità. Dico «famosa» perché non si è capito bene perché non si parli, invece, di occasionalità, il che sarebbe stato, anche da un punto di vista lessicale, forse più chiaro, ma tant’è.
  Distinguiamo allora i due ordini di criteri, ossia tenuità del fatto oggettivo e non abitualità, e cominciamo dalla tenuità del fatto.Pag. 5
  In linea di principio, in via astratta e teorica, possono venire in considerazione per la valutazione della tenuità del fatto una serie di criteri diversi, che io ordinerei in una scala idealmente crescente per la vastità dei criteri impegnati: la componente esclusivamente oggettiva del fatto, ossia il fatto nella sua materiale oggettività; il fatto considerato anche nella sua componente soggettiva, ossia la colpevolezza, per intenderci; il complesso degli indici previsti dall'articolo 133 del Codice penale; il ruolo eventuale delle circostanze che accompagnassero il fatto.
  Mi permetto di sottolineare all'onorevole presidente e agli onorevoli deputati che è un dato acquisito, sul quale non posso trattenermi perché il tempo scorre, quello per cui, via via che crescono gli indici di valutazione che si mettono a disposizione del giudice, proporzionalmente cresce la discrezionalità che gli si conferisce.
  Questo per una ragione molto semplice: si introducono criteri ed elementi che possono essere fra di loro di segno eterogeneo, obbligando, per la natura delle cose, il giudice a effettuare giudizi di ponderazione comparativa tra i vari indici che non sono disciplinabili. La disciplina di questo giudizio di comparazione è un'impresa ardua, nella quale non è riuscito nessuno, nemmeno l'espertissimo e abilissimo legislatore tedesco. Pertanto, una certa cautela è necessaria.
  Quanto all'utilizzazione degli indici dell'articolo 133, si badi: un eventuale richiamo a tale articolo in toto non sarebbe in sé illogico o contrastante con qualche principio di sistema. Certamente, però, il richiamo all'articolo 133 in toto potrebbe rivelarsi, per un verso, improprio e, per l'altro, controproducente.
  Potrebbe rivelarsi improprio perché il richiamo all'articolo 133 in toto è un richiamo alla capacità a delinquere. La capacità a delinquere è qualcosa di intrinsecamente eterogeneo rispetto alla tenuità obiettiva del fatto. La capacità a delinquere si rivela eccentrica rispetto ai criteri di delega, che sono tutti incardinati sull'obiettività del fatto.
  Controproducente potrebbe rivelarsi per la ragione che ho detto prima, ossia perché, introducendo la capacità a delinquere tra i criteri, si costringerebbe il giudice a effettuare una ponderazione comparativa tra criteri eterogenei. Questo significherebbe aprire uno spazio di discrezionalità che diventerebbe difficilmente controllabile.
  Presidente, se ho ancora tempo, passerei alla valutazione delle circostanze. Qui forse il discorso diventa ancora più dettagliato. Le circostanze possono venire in gioco su due piani diversi: possono venire in gioco ai fini della determinazione della pena in astratto, per accertarne la ricomprensione nell'ambito di applicazione previsto dallo schema di decreto, oppure possono venire in gioco in concreto, come fatti storici che contribuiscono a caratterizzare il fatto nella sua consistenza concreta.
  Sotto il primo profilo, dunque, in astratto, è chiaro che, nel caso – mi scuso per il tecnicismo – di concorso fra circostanze eterogenee, la presenza di un'aggravante che fosse per disposizione di legge non bilanciabile (come si dice nel gergo, «blindata»), impedirebbe naturalmente il giudizio di bilanciamento e la valutazione delle eventuali attenuanti prevalenti. Questo effetto discenderebbe dalla disciplina propria della circostanza che viene in gioco.
  Prevedere che tutte le circostanze aggravanti ad effetto speciale – tutte, indipendentemente da quale sia la loro specifica disciplina – diventino non bilanciabili per il solo fatto che siamo in sede di tenuità del fatto potrebbe comportare dei dubbi di costituzionalità.
  La Corte costituzionale non mostra grande favore verso le circostanze non bilanciabili, sottratte al bilanciamento. Creare una disciplina che renda non bilanciabili tutte le circostanze ad effetto speciale, indipendentemente da quale sia la loro disciplina specifica ad altri effetti, creerebbe un doppio regime, la cui ragionevolezza potrebbe essere messa in dubbio dalla Corte.Pag. 6
  Il secondo piano su cui operano le circostanze è il piano concreto, come abbiamo detto. Non c’è dubbio che, anche stando al tenore attuale dello schema di decreto delegato, la presenza concreta di circostanze aggravanti renda molto più disagevole il giudizio sulla tenuità del fatto. È chiaro che, se un fatto è aggravato, ci vorrà del bello e del buono per giustificare che si superi la presenza di una circostanza.
  Pertanto, è già implicita forse nello schema la possibilità di escludere la tenuità in presenza di circostanze aggravanti. Una disposizione che esplicitasse la non tenuità in presenza di determinate aggravanti sarebbe, dunque, del tutto ragionevole e plausibile perché non farebbe altro che esplicitare qualcosa che è già implicito.
  Se ho ancora un minuto, presidente, mi soffermerei sull'occasionalità o non abitualità. A me pare che il testo dello schema, che fa riferimento testualmente, per l'applicazione della tenuità, al fatto che il comportamento risulta non abituale già di per sé escluda dall'ambito di applicazione dell'istituto i reati che siano, in astratto o in concreto, reati a condotta reiterata. Forse addirittura con un'interpretazione particolarmente rigorosa si potrebbe dire che si potrebbe arrivare fino alla recidiva specifica, da considerare già inclusa.
  Pertanto, anche in questo caso un'eventuale disposizione che espliciti questo contenuto normativo sarebbe del tutto plausibile e coerente con la delega e fornirebbe forse un chiarimento ulteriore.
  Il problema riguarda un altro aspetto, cioè quello delle figure qualificate di pericolosità sociale, ossia abitualità, professionalità e tendenza. Non ci sono ostacoli di principio a far sì che abitualità, professionalità e tendenza diventino ostative all'applicazione della tenuità del fatto. Certo è, però, che, se in questa direzione si andasse, l'istituto subirebbe una forte torsione in chiave soggettivistica di pericolosità, una torsione molto forte e forse non del tutto coerente con lo spirito della delega, che sembra, per la verità, chiarissimo.
  Va dato atto, secondo me, per la delega alla volontà del Parlamento di aver configurato un istituto dalla fisionomia molto ben delineata, forse meglio delineata di altri istituti consimili che si trovano negli ordinamenti europei.
  In sostanza, la rilevanza di abitualità, professionalità e tendenza introdurrebbe un germe di diritto penale d'autore, anche questo guardato sempre con maggior sospetto non dalla riflessione teorica, che lascia il tempo che trova, ahimè, ma dalla Corte costituzionale, che è sempre più guardinga.

  PRESIDENTE. Bene. La ringraziamo molto anche per tutti gli argomenti illustrati, peraltro con molta sinteticità. Lei, professore, deve andare via ?

  FRANCESCO PALAZZO, Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze. Tra non molto, ma posso trattenermi.

  PRESIDENTE. Se ci fa questa cortesia, completiamo gli interventi e svolgiamo un unico dibattito.
  Do la parola al Presidente dell'Associazione nazionale magistrati (ANM), Rodolfo Maria Sabelli.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Grazie, presidente. Io ho ascoltato con molta attenzione l'esposizione del professor Palazzo. Noi ci riconosciamo pressoché in tutte le considerazioni che ha fatto il professore, il che agevola molto anche la mia esposizione. Le considerazioni che ha svolto il professor Palazzo, infatti, costituiscono anche in larghissima parte il contenuto della nostra relazione, che ho già depositato.
  Il parere dell'Associazione nazionale magistrati sull'istituto è assolutamente favorevole. Pag. 7Noi vi esprimiamo la nostra piena adesione. Io non mi soffermo più di tanto sulle ragioni di inquadramento, perché, come dicevo, mi riporto integralmente all'esposizione del professore.
  Va detto, però, a fronte di alcune critiche che vi sono state e di cui hanno dato atto anche i mezzi di informazione, che questo intervento non costituisce affatto una depenalizzazione di alcuna categoria di reati. Come già detto, esso consente semplicemente di espungere dal sistema quelle situazioni e quei fatti veramente di carattere bagatellare che altri strumenti non sono stati in grado di assegnare all'area dell'irrilevanza penale.
  Va anche detto, così come si legge esattamente anche nella relazione illustrativa, che la non punibilità per tenuità del fatto va ricondotta non alla carenza di offensività, ma a quei princìpi generali di proporzione e di economia processuale che devono trovare riconoscimento, e che di fatto trovano riconoscimento, nei princìpi costituzionali. Tali princìpi rendono questo nuovo istituto, che in realtà nuovo non è, perché è già noto al settore minorile e al procedimento dinanzi al giudice di pace, assolutamente compatibile con il rispetto del principio di obbligatorietà dell'azione penale.
  Per quanto riguarda l'ambito di applicazione di questo istituto, noi ci siamo posti un problema – anche a questo, come ho visto, ha accennato il professore – con riferimento ai limiti edittali. Il legislatore delegante ha fatto riferimento alla misura della pena edittale massima dei cinque anni senza alcun altra specificazione.
  Il legislatore delegato, nello schema di decreto, fa sostanzialmente richiamo alla previsione dell'articolo 4 del Codice di procedura penale. È una scelta che va nel senso di applicare quello che non è un principio formalizzato, ma una regola tendenzialmente generalizzata, che viene riconosciuta, peraltro, in tema di misure cautelari e di attività di intercettazione.
  Tuttavia, questo principio, cioè il fatto di tener conto delle circostanze ad effetto speciale che individuano la pena in modo diverso e autonomo rispetto al reato base, viene applicato solo sulla base di previsioni espresse. Una previsione espressa, cioè un richiamo esplicito alla regola dell'articolo 4 del Codice di procedura, non si legge nella legge delega.
  L'aver fatto un riferimento così rigoroso di fatto alla regola contenuta nell'articolo 4 del Codice di procedura penale, che – lo ricordo – è indicativa solo ai fini della competenza, non come principio di carattere generale dell'ordinamento penale, oltre agli aspetti di inquadramento teorico, sul piano pratico esclude dall'ambito di applicazione di questo istituto ipotesi che pure nell'immaginario si potrebbero considerare proprio come esempi tipici dell'irrilevanza penale del fatto. Penso a furti veramente di minima entità. È noto, però, che il furto aggravato anche solo da una circostanza prevede una pena edittale massima di sei anni, che lo colloca, quindi, al di fuori dell'ambito di applicazione di questa norma.
  Noi ci chiediamo se il legislatore delegato non possa, invece, fare scelte di altro tipo che non ricorrere al rigido e inderogabile richiamo alla regola dell'articolo 4 del Codice di procedura e se eventualmente non sia consentito un bilanciamento quantomeno con la circostanza attenuante di cui all'articolo 62, comma 4, che potrebbe essere coerente con la natura di questo istituto. Non vi è dubbio, infatti, che, pur in assenza di un richiamo esplicito, questo istituto possa essere applicato anche in materia di tentativo. Qualora dovessero residuare perplessità, si potrebbe introdurre una previsione espressa.
  Svolgo soltanto una breve battuta sulla previsione dell'ultimo comma del 131-bis, del Codice penale, quello in cui si legge che la causa di non punibilità trova applicazione anche quando la particolare tenuità del danno o del pericolo sia prevista come circostanza attenuante.
  Intendo solo segnalare che il legislatore ha fatto un uso talvolta disomogeneo delle espressioni. Si parla, cioè, in qualche caso – nel titolo dell'articolo, per esempio – di «particolare tenuità del fatto». Altrove si parla di «esiguità dell'offesa» e altre volte di «tenuità dell'offesa».Pag. 8
  La terminologia è piuttosto disomogenea anche con riferimento ai casi previsti dal Codice penale, per esempio, all'articolo 640, capoverso, la ricettazione o all'articolo 323-bis, che fa riferimento al fatto piuttosto che al danno.
  Tuttavia, al di là di queste differenze terminologiche, che noi segnaliamo, questo ci sembrerebbe un problema superabile, quanto meno in via interpretativa, nel senso che questo istituto dovrebbe essere applicato a tutti i casi che ho citato, ossia all'articolo 648, comma 2, all'articolo 323-bis e, forse, anche ai casi di lieve entità di cui all'articolo 73, nonostante queste piccole differenze terminologiche.
  Non mi dilungo sui requisiti della particolare tenuità del fatto. Li ha già meglio di me illustrati il professor Palazzo. Non si fa alcun esplicito riferimento all'elemento soggettivo, ma anche noi siamo convinti che l'elemento soggettivo potrà e dovrà venire in considerazione, in quanto non può non influenzare sia le concrete modalità di determinazione dell'offesa del bene protetto, sia il grado della sua lesione.
  Per quanto riguarda gli istituti dell'abitualità, della professionalità e della tendenza a delinquere, sul piano strutturale non vi sono delle incompatibilità di principio fra l'applicazione di questo istituto e il reato abituale, la professionalità e la tendenza a delinquere, né tanto meno vi sono incompatibilità con la recidiva. Penso, per esempio, a situazioni di abitualità dichiarata a distanza magari di molti anni, con riferimento a reati di carattere eterogeneo rispetto a quelli cui potrebbe essere applicata la tenuità del fatto.
  A livello di principio non vi sono, come dicevo, incompatibilità, anche se poi in concreto probabilmente il riferimento a quel carattere del comportamento non abituale e, quindi, occasionale porterà in concreto a escludere, il più delle volte, l'applicazione di questo istituto dai casi di abitualità, professionalità e tendenza dichiarata.
  Un altro problema che ci siamo posti è quello della compatibilità fra questo istituto e i reati a condotta plurima. Anche qui ci sembra che non vi sia un'incompatibilità di carattere strutturale. Probabilmente l'incompatibilità risulterà il più delle volte nel concreto dell'applicazione.
  Vi è poi il tema della discrezionalità. Anche questo è stato ampiamente illustrato dal professor Palazzo. Io mi riporto alle osservazioni che sono state fatte, che condivido.
  Il legislatore delegante e poi il legislatore delegato hanno indicato dei criteri, che sono sufficientemente definiti, ma, al tempo stesso, anche adeguatamente flessibili per non irrigidire troppo le scelte dell'interprete che si troverà poi a dover applicare questo istituto.
  Naturalmente, si possono immaginare dei parametri più definiti. Anche noi nella relazione facciamo riferimento ai criteri indicati nell'articolo 133 del Codice penale, così come alle varie circostanze del reato.
  Non ci sembra opportuno, tuttavia, tradurre questi parametri, questi indici, che poi opportunamente possono costituire un criterio che guidi il magistrato nell'applicazione concreta di questo istituto, nel testo normativo, per tutte le conseguenze pregiudizievoli che il professor Palazzo ha già illustrato e che noi individuiamo, peraltro, anche in un ulteriore possibile effetto pregiudizievole: il prevedibile fiorire di un contenzioso generato dalla supposta violazione di questi parametri, se resi come parametri legali.
  Quanto ai profili processuali, la non punibilità può essere dichiarata sia nel corso del giudizio, sia prima dell'esercizio dell'azione penale, con provvedimento di archiviazione. Vi è una differenza di effetto, perché, ove pronunciata nel corso del giudizio, essa produce i suoi effetti, a seguito della modifica anche dell'articolo 652, nel successivo giudizio civile o amministrativo.
  Su alcune particolarità procedurali non mi dilungo. Sono descritte nella relazione scritta.Pag. 9
  Un'osservazione che noi facciamo riguarda la natura di questo istituto, che è costruito come causa di non punibilità. Nel procedimento dinanzi al giudice di pace, oltre alla differenza costituita dal fatto che l'opposizione dell'imputato o della persona offesa è ostativa all'applicazione della non punibilità e dell'irrilevanza penale del fatto, vi è l'altra differenza per cui esso è costruito come causa e come condizione di improcedibilità. Questo crea evidentemente una qualche ricaduta proprio con riferimento all'effetto che una sentenza che riconosca la non punibilità piuttosto che l'improcedibilità produce nel successivo giudizio civile o amministrativo.
  Questa previsione, se, da un lato, ha una sua spiegazione e una sua ragionevolezza, dall'altro, tuttavia, rischia di depotenziare l'utilità di questo strumento. Evidentemente l'imputato, di fronte alla prospettiva di un'efficacia della sentenza che riconosca la non punibilità per irrilevanza penale del fatto, potrebbe avere interesse, invece, a continuare il giudizio per ottenere l'assoluzione nel merito.
  Ci rendiamo perfettamente conto di questo. Qualora il legislatore dovesse concordare su questo rilievo, trattandosi però di un aspetto già presente nella legge delega, il legislatore delegato non potrebbe comunque mutare la natura di questo istituto da causa di non punibilità a causa di improcedibilità.
  Per quanto riguarda, invece, l'altra distonia rispetto al procedimento dinanzi al giudice di pace, cioè l'effetto vincolante dell'opposizione di imputato e persona offesa, è un aspetto sul quale bisognerebbe riflettere per ricondurre a coerenza le due situazioni. Non è prevista una disciplina transitoria, ma, trattandosi di causa di non punibilità, non ci pare dubbio che sia applicabile anche ai giudizi in corso.
  Sugli altri aspetti legati anche all'iscrizione nel casellario mi riporto al testo scritto. Grazie.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Do ora la parola al Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane, avvocato Beniamino Migliucci.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Grazie, presidente. Io sarò molto breve, perché le Camere penali condividono appieno quello che ha detto il professor Palazzo. Su tutti gli aspetti tecnici, quindi, rimando alla dottissima relazione del professore.
  Concordiamo in gran parte anche sulle cose che ha detto l'Associazione nazionale magistrati. Anche a noi questo intervento legislativo sembra un intervento legislativo necessario, perché, come diceva il professor Palazzo, è determinato dalle imperfezioni congenite del sistema e, quindi, non se ne può fare a meno. Magari nessuno se ne innamora, ma non se ne può fare a meno.
  Si tratta anche di un giusto adeguamento del principio di obbligatorietà dell'azione penale, che viene reso più flessibile contemperandolo insieme ad altri princìpi.
  Per rispondere a chi ha rilevato, con la preoccupazione che di certo ha destato in molti il dibattito, che questo provvedimento sarebbe una depenalizzazione dei reati, io credo che questo non si possa dire, perché si tratta di un'irrilevanza del fatto e, quindi, di un giudizio che viene espresso su un fatto, su un comportamento, su una condotta con una valutazione da parte di un giudice.
  C’è, dunque, una discrezionalità maggiore, molto maggiore, mentre adesso, come abbiamo già detto più volte, il 70 per cento dei reati si prescrive nella fase delle indagini, senza alcun controllo da parte di un giudice e senza alcuna scelta valoriale, scelta che deve essere fatta, come noi riteniamo, dal legislatore e non dal magistrato.
  Sotto questo aspetto io credo che le accuse di discrezionalità siano poco pertinenti. Ci può essere una preoccupazione determinata da una disomogeneità delle decisioni del giudice, perché ciò che può essere ritenuto un fatto più tenue in un distretto può essere ritenuto più preoccupante in un altro, ma io credo che su questo fronte ci sarà poi un assestamento.Pag. 10
  Per portare un contributo – peraltro, si è dibattuto, come ho visto, in merito anche nella relazione dell'onorevole collega Ermini – su come cercare eventualmente di eliminare queste preoccupazioni nel dibattito, anche politico, che c’è stato, io devo dire che condivido ciò che ha detto il professor Palazzo: l'aggiunta di parametri e di indicatori costituirebbe motivo forse di ulteriore discrezionalità e non di maggiore chiarezza.
  Tuttavia, voglio anche riferire un'idea che mi è venuta guardando e riguardando questo testo. Si è molto dibattuto anche in merito alla circostanza che alcuni reati ritenuti gravi, come lo stalking, per esempio, o altri, ontologicamente non rientrerebbero in questo istituto.
  Secondo me, non è così. Lo spirito della legge non è questo. Sempre per fare l'esempio più paradossale, per lo stalking la Cassazione ha detto che possono bastare due condotte. Bisogna capire la questione.
  Si pone il problema della continuazione interna dei reati. Un fatto che non sia di particolare rilievo per una continuazione interna rientrerebbe ? Se io ho commesso tre piccoli furti di una mela e mi vengono messi in continuazione, allora c’è un'abitualità della condotta che non consente in sé l'applicazione dell'istituto ? Chiaramente, questo è soltanto un esempio.
  A me pare, invece, ragionando sui princìpi, tenuto conto che molti hanno detto che vengono esclusi l'abuso d'ufficio e la corruzione per l'esercizio di una funzione – non ne sono totalmente convinto, ma esprimo un'idea – che la legge delega non consenta di fare una scelta del legislatore quantitativa, ma anche qualitativa, e dirò perché.
  Ripeto, ha perfettamente agito il legislatore delegato rispetto alla legge delega, è stato perfetto, ma, dato che noi facciamo anche gli avvocati, faccio un'osservazione. Nella legge delega si parla di «escludere la punibilità di condotte sanzionate con la sola pena non superiore nel massimo a cinque anni». Si parla, cioè, non di tutte le condotte, ma di condotte. Se nella legge non si scrive «di tutte», non è detto che debbano essere necessariamente tutte.
  Piuttosto che ricorrere alla circostanza per cui ci debba essere una discrezionalità da parte del magistrato dell'Aquila, di Bolzano o di Campobasso, dato che la legge delega parla di condotte in generale, io credo che la scelta valoriale e qualitativa possa, sia e debba essere eventualmente di responsabilità del legislatore.
  C’è un altro aspetto che noi vorremmo porre in evidenza. A noi sembra che ci sia un vulnus in questa legge che è particolarmente importante per l'indagato. Noi non vorremmo che adesso proliferasse l'applicazione di questo istituto.
  Mi spiego. Dato che qui siamo in un ambiente della politica, penso al reato di abuso d'ufficio. Io vengo indagato per reato di abuso d'ufficio e il pubblico ministero ritiene di dover archiviare per la tenuità del fatto. Io mi oppongo, sostenendo che sono una persona perbene. Ci mancherebbe altro. Il giudice mi guarda e decide per il decreto di archiviazione per tenuità del fatto. Quale rimedio ho io ?
  Questo sarebbe il primo caso, secondo me incostituzionale, per cui un cittadino non possa esprimere il proprio consenso alla definizione di un procedimento. Il patteggiamento prevede che io consenta al patteggiamento. Il rito abbreviato consente che io lo possa fare. Si potrebbe dire che si può impugnare quel decreto – è un decreto, non un'ordinanza – per Cassazione, ma come ? E nel merito come lo impugno io ? Rimarrò per tutta la vita – parliamo della politica – un politico immorale, un politico che ha agito male.
  Questo è un fatto gravissimo, da noi assolutamente avversato. Ci vuole un rimedio. Così come davanti al giudice di pace c’è il veto della persona offesa, qui ci vuole il veto dell'indagato, che decide di voler essere processato. Altrimenti ci sarebbero un gravissimo pregiudizio e una violazione degli articoli 24, 27 o 111 della Costituzione e chi più ne ha più ne metta. Sarebbe il primo caso di un'archiviazione che, peraltro, verrebbe inserita in un certificato penale. Pag. 11
  Nei tempi che si vivono evidentemente questa sarebbe comunque una condanna. Il fatto che non sia un giudicato, perché non c’è una sentenza, lascia il tempo che trova, perché la cosa avrebbe comunque il suo rilievo anche in un giudizio civile, in quanto rimarrebbe questo decreto.
  Pertanto, io invito proprio a riflettere su questo punto, che, secondo noi, deve essere assolutamente eliminato.
  Per il resto non ho altro da aggiungere, perché ci riportiamo alle considerazioni del professor Palazzo e aderiamo anche a quelle che ha esposto il dottor Sabelli per l'ANM. Ci permettiamo, però, di fornire due indicazioni.
  La prima è che, se la discrezionalità deve essere diminuita, secondo noi, non c’è una violazione della legge delega. La legge non dice «di tutte le condotte sanzionate». Le scelte valoriali vanno fatte dal legislatore, per evitare polemiche.
  La seconda è che a ogni persona non può essere vietato di difendersi e che nessuno può imporre di accettare un decreto di archiviazione per irrilevanza del fatto.
  Ringrazio per l'attenzione, presidente. Non so se il segretario intenda aggiungere qualcosa.

  FRANCESCO PETRELLI, Segretario dell'Unione delle Camere penali italiane. L'avvocato Migliucci ha esposto le nostre opinioni in ordine allo schema, alla legge delega e ai rapporti intercorrenti tra i due. Un'unica osservazione, che potrebbe non avere occasione di essere formulata nel corso delle domande, mi trova d'accordo con quanto è stato sottolineato dal rappresentante dell'ANM, ossia dal dottor Sabelli.
  Effettivamente la chiusura prevista dall'articolo 131-bis, anziché risolvere un problema, che io forse non ravviso neppure, potrebbe dare origine a una serie di problemi in termini interpretativi e applicativi. L'espressione «anche quando la legge prevede la particolare tenuità» è talmente specifica e identificativa di uno spazio operativo della norma da lasciare possibilmente fuori tutta una serie di ipotesi previste dal legislatore.
  Alcune le ha già indicate puntualmente il dottor Sabelli. Pensiamo all'articolo 609-bis. Si parla di casi di minore gravità, eppure quello è uno spazio che potremmo immaginare. Pensiamo all'articolo 73, comma 5, dove si parla di «fatto di lieve entità». Sono tutte ipotesi nelle quali il legislatore si è sbizzarrito nell'individuare espressioni diverse.
  Io ritengo che non vi siano dubbi che la particolare tenuità del fatto come causa di non punibilità debba, e possa quindi, operare anche nei casi in cui il legislatore abbia immaginato ipotesi meno gravi, perché l'ipotesi meno grave rientra comunque in una valutazione di ordine dosimetrico. Qui, invece, si tratta di escludere la punibilità del fatto.
  Pertanto, io credo che la soluzione migliore sarebbe forse quella di eliminare del tutto questa clausola finale, che, secondo me, potrebbe dare origine a più problemi di quanti non ne potrebbe, invece, risolvere.

  PRESIDENTE. La ringrazio.
  Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  NICOLA MOLTENI. Presidente, ovviamente ringrazio chi è intervenuto, anche perché credo che siano emersi alcuni spunti estremamente interessanti.
  Io parto da una premessa che, come la Commissione sa, è di forte criticità nei confronti di questo schema di decreto legislativo, per le motivazioni che sono state espresse in questi mesi all'interno di questa Commissione e in Aula. Pongo tre domande, proprio per capire meglio e per avere un quadro più compiuto dell'istituto.
  Quanto alla prima, noi abbiamo sentito che tutti hanno definito i reati rispetto ai quali verrebbe applicato questo istituto come reati bagatellari, reati minori, reati lievi. Mi chiedo e vi chiedo se i reati con Pag. 12pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni possano realmente ed effettivamente, nel loro complesso, essere considerati reati bagatellari.
  Lo dico anche a fronte del fatto che nella precedente legislatura, quando si parlava della possibilità di applicare questo istituto, lo si tarava su reati con pena inferiore a quattro anni. La prima domanda, dunque, è la seguente: tutti i reati con pena fino a cinque anni possono essere considerati reati bagatellari ?
  Passo alla seconda domanda. Questo istituto, ossia la non punibilità del fatto di particolare tenuità, viene inserito con delega all'interno di un disegno di legge che aveva come finalità quella di affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri. Mi riferisco al disegno di legge sulle pene alternative al carcere e sull'istituzione della messa alla prova.
  Peraltro, in quel disegno di legge, oltre alla delega sulla non punibilità del fatto di particolare tenuità, vi è un'altra delega, che credo verrà esercitata a breve da parte del Governo, sulla vera e reale depenalizzazione di numerosi reati.
  Vi chiedo: il combinato disposto di queste due deleghe, unitamente al combinato disposto di tutta una serie di provvedimenti che sono stati adottati in modo particolare negli ultimi tre anni, tutti orientati e mirati ad affrontare il problema del sovraffollamento delle carceri, non rischia, nel suo complesso, di ridurre i limiti, nonché la percezione e la portata di un principio fondamentale e sacrosanto come quello della sicurezza dei cittadini ? Non c’è questo rischio dal combinato disposto di tutte queste norme ? Io credo di sì.
  La terza domanda la rivolgo in modo particolare all'Associazione nazionale magistrati. È evidente che da questa delega emerge una forte e spiccata discrezionalità che viene caricata sui magistrati. Emerge in questa delega, ma non solo, anche in provvedimenti precedenti.
  Non siete preoccupati di questa eccessiva discrezionalità che viene caricata e gravata sui magistrati, visto che toccherà a voi esercitare, ovviamente nei limiti delle prescrizioni che vengono indicate ? Non rischia questa di essere una discrezionalità eccessiva, con le inevitabili conseguenze che potranno ricadere nel momento in cui verrà deciso di esercitare l'istituto anche rispetto a un impatto nei confronti dell'opinione pubblica ?
  Mi piacerebbe capire se questa discrezionalità che viene ormai sistematicamente attribuita al magistrato non possa essere per il magistrato non un elemento qualificante, ma anzi un elemento non dico distorsivo, ma che potrebbe caricare su di lui ulteriori responsabilità, problemi e oneri rispetto alla collettività e all'impatto che una sua eventuale decisione potrebbe avere sulla comunità dei cittadini.

  PRESIDENTE. Vi suggerirei di appuntare le domande, perché ci sono anche altri interventi.

  ALFONSO BONAFEDE. Grazie, presidente. Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti per la disponibilità e per la precisione, che sicuramente rappresentano un contributo importante per i lavori della Commissione. Vado alle domande.
  A proposito dell'esclusione di alcuni reati, rispetto alle osservazioni che sono state fatte riguardo sia a reati come lo stalking, sia alla configurabilità o meno dell'eccesso di delega nel caso in cui il legislatore delegato intervenisse, io recepisco queste perplessità, ma faccio un'ulteriore valutazione di carattere astratto.
  Nel momento in cui noi consideriamo tutta una fascia di reati e non facciamo eccezioni, è ragionevole che l'interprete che si troverà a dover applicare concretamente l'istituto consideri che, secondo la volontà del legislatore, per ogni reato in quella fascia sia necessariamente configurabile una fascia minima che rientra nella tenuità. Nella misura in cui noi non escludiamo alcuni reati, l'interprete che tecnicamente applica la norma deve necessariamente considerare che per il legislatore ciascuno di quei reati implica in concreto una fascia di tenuità. Pag. 13
  Chiedo al professor Palazzo se ritiene condivisibile questa interpretazione astratta, che però è pericolosa, nella misura in cui l'avvocato difensore di un imputato per uno di questi reati si troverà sicuramente, a un certo punto, davanti al giudice a osservare, nel caso in cui in concreto il fatto appaia tenue perché magari in concreto c’è stata un'offensività quasi nulla, che anche per questo reato è prevista la tenuità.
  Chiedo un chiarimento del professore su questo punto perché ho constatato che più volte c’è stata la giusta premessa sul fatto che la legge delega fosse molto stringente.

  PRESIDENTE. Ha detto che per questa parte è ben fatta.

  ALFONSO BONAFEDE. Sì, infatti. Io gli chiedo, però, se, nell'opzione assolutamente teorica in cui lui avesse avuto la possibilità di incidere sulla legge delega – stiamo ragionando anche sull'istituto nel suo complesso e sul fatto che esso entri nel nostro ordinamento per la prima volta – e ove fosse stato in grado di intervenire, se avrebbe ritenuto di escludere alcuni reati.
  Gli chiedo anche, considerando che c'erano diverse opzioni, proprio in considerazione della novità dell'istituto per il nostro ordinamento, se il legislatore delegato non potrebbe prendere anche la direzione dell'istituto così come esso è stato applicato presso i giudici di pace, considerando che era già collaudato.
  Faccio poi un'osservazione di carattere strettamente politico. È vero che un istituto del genere è quasi congenito in un ordinamento di diritto penale, ma io credo che implichi una metabolizzazione che non è solo giuridica, ma anche culturale e sociale e che tale metabolizzazione, in un momento di grave crisi economica, sia più difficilmente realizzabile in concreto.
  Ho finito, al momento. Grazie.

  PRESIDENTE. Pregherei di fare domande. Gli interventi politici li facciamo dopo.

  STEFANO DAMBRUOSO. Anch'io ringrazio i relatori, perché il loro è stato un arricchimento ulteriore su questa materia, che è obiettivamente oggetto di particolare interesse per la sua novità nel nostro ordinamento.
  Io ho colto con interesse quanto ha detto, in particolare – oltre che la lezione del professore, che è sempre un arricchimento di grandissima qualità, per il quale lo ringrazio – soprattutto l'avvocato Migliucci.
  L'avvocato ha segnalato un istituto che io ritengo condivisibile, che è quello della necessità che l'indagato venga comunque coinvolto per dire la propria sulla propria sorte. Secondo me, questo è uno spazio di riflessione che deve andare di pari passo con l'altrettanto pari opportunità e necessità che anche la persona offesa venga sempre avvisata e messa nelle condizioni di dire la propria.
  Oggi lo schema che ci è stato mandato non prevede l'obbligatorietà dell'avviso alla persona offesa, se non quando essa ne abbia fatta richiesta. Io ritengo che entrambe queste posizioni debbano essere valutate con attenzione e poste sullo stesso piano.
  Grazie.

  SOFIA AMODDIO. L'onorevole Dambruoso mi ha anticipato e, quindi, mi rimetto a quello che ha detto lui – sono molto in sintonia su queste due richieste – sia per l'imputato, sia per la parte offesa.
  Volevo semplicemente richiedere ai relatori, che ringrazio di tutti i loro contributi, di riflettere ancora di più e di fornirci più notizie sulla natura dell'istituto. In questa legge delega c’è una natura di non punibilità, mentre nel processo minorile e nel processo dinanzi al giudice di pace l'istituto non è nuovo al nostro ordinamento, anzi, tutt'altro. Esiste dal 1988 nel processo minorile.
  Nel processo minorile, a parte il fatto che si parla di irrilevanza e non di particolare tenuità – è comunque un concetto discrezionale – vi è una causa di improcedibilità. Pag. 14Credo che su questo anche noi della Commissione giustizia dobbiamo, con il vostro contributo, fare maggiori approfondimenti.
  Grazie.

  GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Noi abbiamo depositato le osservazioni per quello che ci era stato consentito. Io ritengo che le osservazioni fatte dai rappresentanti dell'Unione delle Camere penali e dall'avvocato Migliucci abbiano messo in evidenza le perplessità che, peraltro, erano state inserite anche nella relazione. Noi avremmo la necessità di avere delle osservazioni che vengano messe per iscritto e portate a conoscenza di tutti anche per la fase della discussione.
  Per il resto, presidente, io condivido in pieno le perplessità espresse dall'onorevole Molteni. Ce lo siamo detto anche in altre occasioni. Per questo motivo si insisteva da parte nostra sull'audizione del capo della Polizia, ossia per conoscere i risvolti...
  Lo so, presidente, ci sono delle cose che non necessariamente devono far piacere a lei quando noi le chiediamo, ma usi anche il buonsenso e faccia sì che, se noi abbiamo delle perplessità in ordine a quello che può essere il risvolto, non la irritino, né tanto meno...

  PRESIDENTE. Onorevole, scusi se la interrompo. Non c’è alcuna irritazione. Ho solo detto che avevo già preso in considerazione la richiesta e che essa è stata rigettata per motivi che risultano già a verbale. Non c’è alcuna irritazione. Ho fatto solo un commento.

  GIANFRANCO GIOVANNI CHIARELLI. Io sto solo ripetendo che questo era necessario, perché probabilmente ancora oggi nessuno ha esposto quali possono essere i risvolti su determinati reati. Oggi apprendiamo che anche lo stalking, su cui abbiamo fatto non so quante leggi, può eventualmente rientrare nell'istituto, sotto un dato profilo, se non viene delineato sotto un determinato aspetto. Ci sono, inoltre, le follie processuali e i danni economici che derivano da tutta una serie di reati che, se oggi non vengono tipizzati, chiaramente portano a queste conseguenze.
  Ecco perché, presidente, noi riteniamo di avere la necessità di avere le osservazioni scritte dei rappresentanti dell'Unione delle Camere penali e la possibilità di poter discutere ancora su questo provvedimento.
  Grazie.

  PRESIDENTE. Lei ha fatto le sue considerazioni. Non mi pare che ci siano domande. Pongo una domanda da parte mia.
  Di questo istituto, che peraltro è stato abbondantemente discusso anche nel corso della precedente legislatura da questo Parlamento, tant’è vero che è stato votato in Aula da tutte le forze politiche, non avevo approfondito il diritto comparato. Invece lei in questo intervento molto prezioso, insieme a quelli degli altri, ci ha riferito che l'istituto esiste ed è collaudato anche negli ordinamenti europei.
  Volevo sapere se, a sua conoscenza, negli altri ordinamenti europei, non per il minorile, ma per gli adulti, ci sono dei limiti edittali di pena, sempre, logicamente, negli ordinamenti più vicini al nostro. Parlo di quello tedesco, di quello francese, di quello spagnolo, di quello portoghese. Vorrei sapere, cioè, se ci sono dei limiti di pena, dei massimi edittali, e se si fa riferimento ad alcune tipologie di reato. Questo anche per avere un sentore che ci metta un po’ in linea anche con gli altri Paesi europei.
  Questa è la mia domanda. Se non ci sono altre domande, do la parola ai nostri ospiti per la replica. Non so se vuole rispondere per primo il professore. Rispondete sui temi che vi riguardano più da vicino. Seguiamo lo stesso ordine. Do la parola al professor Palazzo.

  FRANCESCO PALAZZO, Ordinario di diritto penale presso l'Università degli studi di Firenze. Non è proprio facilissimo rispondere puntualmente a tutte le domande, Pag. 15tutte molto sollecitanti, alcune delle quali toccano proprio i gangli essenziali e di principio dell'istituto. Scuserete un ordine non proprio coerentissimo, ma forse conviene partire dal porre bene in chiaro una distinzione che è totalmente pacifica: una cosa è l'irrilevanza del fatto, un'altra è la depenalizzazione.
  L'istituto dell'irrilevanza del fatto riguarda fatti in concreto. La tenuità non è riferita al titolo criminoso, che sia questo o quell'altro, con pena fino a cinque o fino a dieci anni. È riferita esclusivamente al fatto concreto. La depenalizzazione opera, invece, sul fatto astratto e opererà, se il Governo eserciterà la delega, rispetto a reati puniti con sola pena pecuniaria. Si tratta, quindi, di due mondi diversi, difficilmente confrontabili dal punto di vista dei princìpi che vengono in gioco.
  Detto questo, rispondo subito alla domanda del presidente. Nella maggior parte degli ordinamenti europei non si trovano, all'istituto dell'irrilevanza del fatto, limiti per titoli criminosi e, in taluni casi, nemmeno limiti di pena edittale. Per quanto ricordo, Slovenia, Croazia e Olanda prevedono un istituto applicabile a tutti i reati, quale che sia la pena per essi comminata.
  A questo punto forse è opportuno fare un cenno a una questione molto approfondita, che è stata posta anche in termini molto chiari. Si è chiesto se all'interno di questo universo costituito dai reati puniti fino a cinque anni si dia per scontato che tutti i reati che fanno parte di tale gruppo possano avere una loro soglia di minima entità.
  È una domanda molto acuta, che richiama – non possiamo intrattenerci su questo, però – un tema molto tormentoso per il diritto penale. Il problema nasce dalla capacità selettiva delle fattispecie. È un problema, tutto sommato, di linguaggio legislativo, un problema teoricamente molto analizzato, approfondito e conosciuto.
  È pressoché impossibile che un qualunque legislatore, utilizzando il linguaggio di cui noi disponiamo, che è quello del vocabolario italiano, riesca a selezionare in astratto i fatti minimi rispetto ai fatti che minimi non sono. Pertanto, a rigor di principio, si dovrebbe rispondere che si dà per scontato che ci siano fatti di reato che hanno una soglia di minima entità.
  Questo a rigor di principio, però, perché esistono fattispecie – saranno poche, ma esistono – nelle quali il legislatore, non per sua virtù, ma perché sono le cose che glielo impongono, attraverso un elemento costitutivo, segnala una gravità che è già di per sé consistente e che non può scendere al di sotto del minimo. Un esempio è l'omicidio. Nell'omicidio colposo è evidente che l'evento morte è tale per cui non si potrà mai scendere al di sotto di un disvalore, qual è la distruzione della vita umana.
  Capisce, onorevole, quanto sia complesso governare questo universo già dal punto di vista scientifico. Dal punto di vista legislativo, purtroppo, non c’è niente da fare che rimettersi a quei parametri di valutazione di cui abbiamo discusso prima, ossia articolo 133, elemento oggettivo, colpevolezza.
  A questo punto inserisco non una risposta – Dio mi guardi, per carità – ma un'osservazione che mi permetto di sottolineare, essendo anche questo un dato pacifico tra gli studiosi e non solo tra gli studiosi. Si è parlato di discrezionalità del giudice. È stato sollevato questo profilo con accenti di tendenziale preoccupazione.
  È vero, certo, bisogna sempre essere guardinghi, però, onorevoli deputati, è un fatto storico irrefragabile che la complessità dei sistemi si accompagni a un'accentuazione della discrezionalità del giudice. È un fatto irrefragabile. Si tratterà di lavorare per aggiustare, per limitare, per circoscrivere, ma, via via che i sistemi si complicano, la discrezionalità cresce. Su questo, purtroppo, non c’è niente da fare.
  Mi è stato chiesto se io, nei panni del legislatore – è un'ipotesi evidentemente assurda – avrei escluso qualche reato dall'elenco, se fossi stato il legislatore delegante. Devo dire che l'esclusione nominativa, Pag. 16o l'inclusione, che è il suo rovescio positivo, è sempre un procedimento pericoloso. È pericoloso perché comporta fatalmente il rischio di omissioni e di ingiustificate disparità di trattamento. È sempre pericoloso.
  Certo, ormai siamo avvezzi a questo costume legislativo, ma è un costume legislativo, a mio parere, da evitare, quando è possibile. È da evitare perché è il segnale di un sistema che non sa provvedere. Il sistema sa provvedere quando le sue disposizioni valgono a trecentosessanta gradi. Se si comincia a introdurre l'esclusione o inclusione, vuol dire che non siamo convinti della ratio e della bontà della fisionomia dell'istituto di cui ci stiamo occupando.
  L'invocazione che io credo venga dall'avvocatura, dalla magistratura e, per quel che può contare, anche dalla scienza è quella di non complicare ulteriormente il sistema con esclusioni, inclusioni, deroghe ed eccezioni. Pertanto, onorevole, io non avrei incluso reati eccettuati.
  Andiamo al parallelismo con il giudice di pace. Io credo che il parallelismo col giudice di pace non sia proprio del tutto coerente. Prima di tutto c’è un'evoluzione storica nel sistema. Siamo a distanza di quattordici anni dal giudice di pace e l'irrilevanza del fatto, di cui io sono tutt'altro che innamorato, deve fare qualche passo avanti.
  Il giudice di pace poi è concepito in tutt'altra logica. Il giudice di pace è, in fondo, un accordo sul rito. È qualcosa di molto diverso. È un istituto quasi processuale.
  Forse ci sono tante altre questioni di cui discutere, ma mi limito a una sollecitazione venuta dall'avvocato Migliucci, che credo sia molto importante. Se ritiene, presidente, in un minuto risponderei. Riguarda il problema dell'indagato e della parte offesa.
  L'avvocato Migliucci e l'onorevole Dambruoso, sotto un altro profilo, hanno toccato un punto centrale. È del tutto esatto quello che ha notato l'avvocato Migliucci, ma io credo che i princìpi evocati dal Presidente Migliucci abbiano bisogno di essere calati nella particolare fisionomia di questo istituto, il quale non produce conseguenze penali diverse dall'iscrizione in un casellario al solo effetto di impedire una seconda utilizzazione della non punibilità. Queste sono le conseguenze che esso produce.
  Mi rendo perfettamente conto che qui si contrappongono delle esigenze di tutela dell'indagato, del principio del contraddittorio e di economia processuale. Soppesare queste esigenze è compito, naturalmente, della politica, nel rispetto dei princìpi costituzionali.
  Forse si possono immaginare soluzioni più spinte nel senso della tutela del principio del contraddittorio dell'indagato, ma sono sempre esigenze che, secondo me, vanno equilibrate con l'esigenza di un'economia processuale. Lo schema del decreto delegato ha raggiunto questo equilibrio attraverso l'obbligatorio avviso all'indagato e alla parte offesa, instaurando un embrione di contraddittorio.
  Certamente questo è un embrione di contraddittorio, ma, attenzione, siamo nella fase di archiviazione. Se l'istituto dovesse essere applicato nel processo o in dibattimento, sarebbe assistito da un contraddittorio pieno. Mi rendo perfettamente conto della questione, ma anche questo è, come al solito, un gioco di equilibri.
  Forse ho risposto.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Vorrei intervenire su questa sollecitazione del professor Palazzo, che, come al solito, ha fornito delle indicazioni anche della necessità di un equilibrio. Su questo punto, però, io mi permetterei di insistere, per due ragioni fondamentali.
  Una è pragmatica. Noi sappiamo che oggi, nel momento in cui il pubblico ministero è incerto se poter o meno sostenere l'accusa al giudizio (con riferimento agli articoli 409 e 125), tendenzialmente in linea con l'idea che probabilmente al giudizio non ci sarà una condanna, chiede l'archiviazione per l'infondatezza della notizia di reato.Pag. 17
  Non consentire un'interdizione da parte dell'indagato potrebbe portare, e io su questo sarei pronto a scommettere, molti pubblici ministeri a non archiviare più per infondatezza del fatto e a chiedere l'archiviazione per la particolare tenuità del fatto, aggravando per ogni cittadino le conseguenze che questa pronuncia comunque porta.
  Questo per due ragioni. La prima è che noi non viviamo in un Paese normale, ragion per cui l'archiviazione per questa causa di non punibilità sarebbe un problema.
  Lo dico proprio nel tempio della politica. Pensate a un politico che trovi l'archiviazione per uno di quei reati. Sono tanti quelli che lo possono riguardare. Solo a modo di esempio, anche un avvocato che venga accusato di alcuni reati avrebbe comunque un'etichetta che difficilmente si toglierebbe di dosso.
  Quanto alla seconda ragione, è vero, si arriva sul casellario giudiziale solo perché se ne tenga conto, ma se io quel fatto non l'ho commesso, perché si deve tenere conto di un fatto che non ho commesso ? Questa, a mio modo di vedere, è una questione che non trova alcun motivo. Per rispondere alla domanda dell'onorevole Dambruoso, che non vedo più, questo non è da porre sullo stesso piano dell'interesse della persona offesa, in questo caso, perché la persona offesa ha altri elementi cui ricorrere.
  Rispondo velocissimamente alle altre notazioni.
  Onorevole Molteni, tutti hanno definito i reati bagatellari ? No, non l'abbiamo fatto. Io non ho detto nulla del genere. Ho detto che non si tratta di una depenalizzazione in astratto. Io non provo a immaginare che lo stalking o l'abuso d'ufficio siano reati bagatellari, ma è vera la notazione dell'onorevole Bonafede del MoVimento 5 Stelle.
  È effettivamente così: nel momento in cui il legislatore ritiene che un fatto possa essere valutato come tenue, se l'approccio è quello quantitativo, in teoria, ci sarebbe tutta una serie di reati che potrebbero essere coinvolti. Ce ne sono tanti, tra cui il danneggiamento seguito da inondazione e frana, che in sé, per il loro titolo, non sembrano e non sono bagatellari, ma che potrebbero, in teoria, essere considerati tali.
  Il problema è quello che io sollecitavo. Ha ragione il professor Palazzo: noi siamo sempre dottrinariamente contrari a delle esclusioni o a delle previsioni doppie, al doppio binario per tutti, è chiaro. Questa è una scelta, però, che noi volevamo indicare al legislatore per verificare che cosa sia meglio fare.
  Voi sapete che, per tutto questo elenco di reati, la giurisprudenza si è concentrata a definire e anche a ritenere colpevoli e degni di responsabilità dei fatti che, inclusi in una cornice più grave, sono in realtà meno gravi, con riferimento anche a dei fatti che rientrano in quel titolo di reato.
  La scelta della politica è delicata, perché si tratta di capire se, come qualcuno ha detto, ontologicamente alcuni reati non potrebbero mai godere di questo tipo di non punibilità. Il tema è: lo deve scegliere il legislatore o lo dovrà scegliere la giurisprudenza ?
  Mi spiego. Nel momento in cui passasse davvero l'idea, alla quale noi siamo affezionati, che ci possa essere una valutazione, va bene. Se, però, una scelta deve essere fatta, la deve fare chi ha la responsabilità e prende i voti o la deve fare una magistratura, che non prende i voti e che governa poi anche le scelte di politica giudiziaria, affinché si stabilisca un giorno che questo è un reato per il quale non si può applicare il fatto ?
  Questa era la domanda, il tema. Non era la risposta.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Scorro le singole domande e cerco di fornire risposte molto sintetiche.
  L'onorevole Molteni ha sollevato alcune questioni, mi pare condivise anche dall'onorevole Chiarelli. Sui reati bagatellari io Pag. 18condivido quanto ha appena detto il Presidente Migliucci. Anche noi non parliamo mai di reati bagatellari. Parliamo, al limite, di scarsa rilevanza del fatto che si inquadra in una fattispecie penale.
  Questo risponde anche un po’ alla domanda che faceva l'onorevole Bonafede se in ogni reato possa esistere una fascia di tenuità. Sì, in linea generale è così, ma naturalmente con la cautela che prima ricordava il professor Palazzo. Quando il reato mira a tutelare dei beni fondamentali per loro stessa natura di livello più alto, naturalmente questa fascia più bassa non si può riconoscere. Per esempio, non si può riconoscere per il bene della vita.
  Osservava l'onorevole Molteni che l'effetto combinato di depenalizzazione e tenuità potrebbe determinare un abbassamento del principio di sicurezza. Noi su questo abbiamo più volte osservato che la tendenza a una sorta di pan-penalizzazione, ossia all'eccesso di estensione dell'ambito del diritto penale, determina non un innalzamento del livello di sicurezza, ma un suo abbassamento, perché determina la minore efficacia dell'azione di risposta dello strumento penale.
  Lo strumento penale è uno strumento delicato, che va utilizzato con discernimento nei casi in cui effettivamente ci si trovi di fronte a una lesione tale da richiedere una risposta in termini penali, ricordando che, in realtà, il sistema sanzionatorio conosce anche altri strumenti diversi dalla sanzione penale.
  Più volte abbiamo osservato, qualche volta di fronte perfino a fattispecie astratte, che ci si trovava di fronte non a una risposta in termini di sicurezza, ma piuttosto a un uso simbolico del diritto penale, che per tale ragione lo rendeva scarsamente efficace.
  Sulla discrezionalità poco potrei aggiungere a quanto ha già osservato il professor Palazzo. Quanto più un sistema è complesso, tanto maggiore è l'ambito di discrezionalità, ma anche di responsabilità che assume la magistratura. Nella relazione noi ci siamo detti ben consapevoli di questo, ma anche pronti a farcene carico, anche perché, come si diceva prima, in fondo potranno ben essere elaborati dei parametri che, indipendentemente dalla loro traduzione in termini normativi come parametri legali, dovranno guidare l'operatore. Si è fatto riferimento all'articolo 133 e al sistema delle circostanze.
  Non mi soffermo sui temi di carattere più propriamente politico, che sono rimessi, ovviamente, all'apprezzamento del legislatore. Certo, ci troviamo di fronte a un istituto che richiederà anche una metabolizzazione di tipo culturale, ma questo deve essere sempre riferito, come dicevo prima, a quei princìpi di proporzione e di economia processuale che devono ritenersi accolti e operanti all'interno dei princìpi costituzionali.
  C’è poi il tema, sollevato dal Presidente Migliucci, al quale ha fatto riferimento anche l'onorevole Dambruoso, dell'archiviazione. Noi ci rendiamo perfettamente conto di questo, tant’è che un'osservazione l'abbiamo fatta, come dicevo prima, sull'opportunità di costruire questo istituto in termini di condizioni di improcedibilità piuttosto che di causa di non punibilità.
  Tuttavia, farei almeno un paio di considerazioni. La prima considerazione è di carattere generale. Il provvedimento di archiviazione non fa stato. Io mi rendo conto del fatto che l'iscrizione nel casellario di un decreto di archiviazione pronunciato per irrilevanza del fatto possa costituire, così mi pare di comprendere dall'esposizione del Presidente Migliucci, una sorta di stigma nei confronti di una persona.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Anche sociale.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Certo. Senza dimenticare, però, che quel provvedimento di archiviazione non produce alcun effetto. Per questo ho parlato di stigma di tipo sociale.
  Io penso, però, anche al concreto del mio lavoro. Io svolgo funzioni di pubblico Pag. 19ministero e mi capita spesso di trovarmi di fronte a un fatto già estinto, per esempio per prescrizione, o improcedibile per assenza di querela. Uso generalmente, in questi casi, la cautela nel decreto di archiviazione, quando non è già evidente la prova dell'assenza di responsabilità, che mi imporrebbe evidentemente di archiviare nel merito.
  Uso la cautela di dire che, in ogni caso, il reato è estinto e improcedibile per rendere evidente già dal testo della mia richiesta di archiviazione che non vi è stato un apprezzamento nel merito della responsabilità.
  In fondo per la causa di non punibilità per irrilevanza penale del fatto accadrebbe qualcosa di non troppo diverso. In quel caso l'apprezzamento non sarebbe in termini di responsabilità personale, ma di apprezzamento del fatto storico in sé.
  Perdonatemi l'esempio veramente molto banale. Io non so se il furto della mela sia da attribuire effettivamente a una tale persona, a un tale indagato, ma è in sé oggettivamente un fatto talmente irrilevante che, con riferimento al fatto storico e non al profilo di responsabilità personale, se ne dovrebbe dichiarare la non punibilità.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Scusi, presidente, ma allora, se non si sa chi è il colpevole, nel dubbio lei archivierebbe per il fatto di particolare tenuità ? A me potrebbe dar fastidio di essere archiviato perché ho rubato una mela, se non l'ho rubata.
  A parte la riprovazione sociale – le chiedo scusa se l'ho interrotta – c’è anche un altro problema. Nel momento in cui venga annotato questo, io potrei, in un'occasione in cui realmente ho commesso una condotta irrilevante, non poter godere dell'istituto.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Questo è vero.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Potrei avere anche dei pregiudizi per la messa alla prova. Se a lei attribuiscono irrilevanza del fatto come presidente dell'Associazione nazionale magistrati, la cosa la urta. Se a me la danno come avvocato, prendo per il collo – chiedo scusa – un magistrato che mi archivia se non ho commesso un fatto.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Presidente Migliucci, mi darebbe fastidio qualunque fosse il mio ruolo sociale e la mia funzione.
  Lei mi ha preceduto su un punto rilevante. In effetti – ed è questo, secondo me, il vero effetto pratico, al di là dello stigma sociale, che però può esserci anche in un proscioglimento per estinzione e per prescrizione – il problema è che, poiché quel decreto di archiviazione viene registrato nel casellario, nel momento in cui la tale persona fosse chiamata a rispondere nuovamente di un fatto che può astrattamente essere considerato non punibile per irrilevanza penale del fatto, si dovrebbe porre il problema se quel precedente decreto di archiviazione sia in se stesso automaticamente ostativo.
  Secondo me, non lo è. Qualora si verificasse una situazione del genere, bisognerebbe inevitabilmente recuperare quella situazione precedente, proprio perché, non essendovi stato un apprezzamento di merito, non si potrebbe automaticamente ritenere l'archiviazione ostativa alla concessione della non punibilità. Questo mi sembrerebbe in linea con il sistema.
  Vado avanti rapidamente. L'onorevole Amoddio si è soffermata sulla natura dell'istituto. Credo di essermi già espresso su questo. Tra non punibilità o improcedibilità la nostra preferenza andrebbe a una soluzione di causa di improcedibilità, ma questo, ripeto, è un punto che tocca non lo schema di decreto legislativo...

  PRESIDENTE. Se fosse la posizione dell'avvocatura, sarebbe peggio.

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  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Questo problema tocca la legge delega, ragion per cui è risolto a monte. Quanto ai problemi di diritto comparato, erano rivolti al professore. Credo di avere trattato tutto.

  PRESIDENTE. Ringrazio molto tutti. Ovviamente, se volete farci avere le vostre osservazioni scritte, sono gradite. Comunque, tutto è trascritto e, quindi, risulterà agli atti.

  BENIAMINO MIGLIUCCI, Presidente dell'Unione delle Camere penali italiane. Chiedo scusa, presidente, per l'iperbole.

  PRESIDENTE. Ci sta benissimo, anche per la tematica affrontata. Lei è sempre molto garbato.
  Vi ringrazio molto veramente, a nome anche dei colleghi deputati, per il forte contributo che avete portato alla discussione.
  Dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 13.40.