XVII Legislatura

Commissione parlamentare per la semplificazione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Giovedì 5 novembre 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLE SEMPLIFICAZIONI POSSIBILI NEL SUPERAMENTO DELLE EMERGENZE

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).
Tabacci Bruno , Presidente ... 3 
De Albertis Claudio , presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 3 
Tabacci Bruno , Presidente ... 8 
Prataviera Emanuele (Misto)  ... 8 
Taricco Mino (PD)  ... 9 
Sollo Pasquale  ... 10 
Tabacci Bruno , Presidente ... 11 
De Albertis Claudio , presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE) ... 11 
Tabacci Bruno , Presidente ... 12

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE BRUNO TABACCI

  La seduta comincia alle 8.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE).
  Sono presenti l'ingegner Claudio De Albertis, presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE), il dottor Antonio Gennari, vice direttore generale, il dottor Marcello Cruciani, direttore della direzione legislativa mercato privato, e la dottoressa Stefania De Vecchio, dirigente responsabile dell'ufficio rapporti con il Parlamento.
  Vi ricordo che le indicazioni che ci saranno fornite oggi saranno utili per confrontarci con i vertici delle istituzioni direttamente interessate, che sentiremo nei prossimi giorni.
  Do la parola al presidente De Albertis per lo svolgimento della relazione.

  CLAUDIO DE ALBERTIS, presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). Grazie. Ci sono tante cose da dire sulle quali, se mi dilungherò, interrompetemi pure.
  La prima questione è che sostanzialmente veniamo chiamati in questa sede a dire la nostra sulla gestione delle fasi successive alle emergenze.
  Vorrei fare una premessa a questo punto: io credo che probabilmente l'indagine, quindi evidentemente tutto ciò che ne può conseguire, dovrebbe essere estesa anche alle strategie da adottare a monte dell'insorgere delle emergenze, nei limiti del possibile. Su questo credo che sia facile per tutti convenire.
  La prima questione che vorremmo mettere in evidenza – credo siano dati a voi assolutamente noti – è quella di dimensionare questo stato dell'arte, partendo da uno dei rischi fondamentali, ossia dal rischio idrogeologico.
  Alcuni dati che anche noi ogni tanto ricordiamo, relativi a un rapporto che abbiamo svolto insieme al CRESME, ci dicono che le aree interessate da criticità idrogeologica sono quasi il 10 per cento della superficie del Paese e interessano più o meno l'82 per cento dei comuni italiani. Stiamo quindi parlando di più di 6.600 comuni e la popolazione che vive in quei comuni sottoposta a questo rischio si avvicina a quasi 6 milioni di persone per circa 1 milione e 300 mila edifici. Se a questo poi sommiamo anche i dati relativi al rischio sismico, il numero delle persone e delle famiglie interessate diventa veramente elevato.
  L'Italia dal dopoguerra ha speso circa un miliardo all'anno per i danni dovuti ad alluvioni e frane. L'ammontare di tali cifre, messe a disposizione per affrontare a valle questi eventi, dal 2010 è esploso e si è praticamente triplicato.Pag. 4
  Credo che questo dato debba far riprendere il discorso che si faceva all'inizio, cioè che probabilmente la fase preventiva potrebbe a questo punto essere realmente utile anche per spendere meno e utilizzare meglio le risorse, visto che noi abbiamo valutato che un investimento in fase preventiva potrebbe avere un moltiplicatore o un riadattamento di circa dieci volte superiore, il che è sicuramente molto importante.
  Che fare a questo punto ? Noi crediamo che la prima questione fondamentale – sto parlando della fase preventiva, poi cercherò di dare una risposta anche al vostro interrogativo – è quella di avviare una politica ordinaria di monitoraggio e di manutenzione del territorio. Tutto ciò è fondamentale. Parliamoci in tutta franchezza: non si puliscono più gli argini, i canali e le fognature; non c’è recupero delle biomasse; c’è un problema di piantumazioni e c’è un problema di assoluta priorità di molte opere idrauliche a difesa del territorio, come casse d'espansione fluviale, scolmatori, sistemazione dei torrenti con le traverse. Si tratta, quindi, di una ingente quantità di opere.
  Ultimamente mi sembra che ci sia maggiore consapevolezza, cui ha fatto seguito un'azione per dimostrare che esiste un'urgenza di messa in sicurezza del territorio. Mi sembra che si tratti di una consapevolezza diffusa nell'attività legislativa e nell'azione del Governo.
  Riteniamo che sia stato un momento particolarmente significativo la costituzione della struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, avvenuta nella primavera del 2014. Si tratta di un obiettivo condiviso, secondo noi, perché era molto importante rafforzare la governance per superare anche delle criticità che si erano verificate. Quindi, non possiamo che esprimere un apprezzamento al riguardo, anche perché è stata fatta un'egregia opera di ricognizione delle opere programmate e delle risorse stanziate. Sono stati aperti numerosi cantieri, quasi più di seicento, il che è estremamente importante. Certo, c’è l'apprezzamento di questa volontà, però forse è mancato o manca tuttora un'implementazione e una fase ulteriore, ossia una spinta su questa azione.
  Questa struttura di missione ha sostanzialmente raccolto le istanze che venivano dalle regioni. Sono stati segnalati sul territorio circa 7 mila interventi per un totale di 26 miliardi di euro, di cui 22 miliardi di euro da finanziare, quindi mi sembra un lavoro molto importante. Tuttavia, si tratta di un lavoro che segnalava progetti, molti dei quali sostanzialmente non erano pronti, il che si univa all'incertezza delle risorse da destinare al piano pluriennale. Ne è derivata anche la formazione di un Piano nazionale contro il dissesto idrogeologico, per gli anni dal 2015 al 2019, per un importo complessivo pari a 7 miliardi di euro, di cui circa 5 miliardi di euro sono legati al Fondo per lo sviluppo e la coesione e gli altri 2 miliardi di euro ai Fondi strutturali e d'investimento europei.
  Anche su questo punto il quadro non è, come si può vedere, così ottimistico perché la ripartizione di tali fondi è in ritardo, quindi tutto ciò fa sì che l'avvio delle opere sia decisamente rallentato. È pur vero che è stato dato il via a un piano stralcio che complessivamente riguarda centotrentadue interventi tempestivamente cantierabili contro le alluvioni, però credo che a questo punto vada profuso un grande sforzo.
  In sintesi, credo che vadano riconosciuti gli sforzi profusi e anche gli enormi progressi che sono stati fatti per affrontare questa emergenza proprio con la creazione di questa struttura. D'altra parte riteniamo che vada definito il quadro finanziario certo per l'avvio di quel programma e per l'utilizzo di quei 7 miliardi di euro necessari alla realizzazione tempestiva delle opere.
  C’è da sottolineare anche – così rispondo al vostro quesito – una delle questioni più critiche, ossia che i ritardi avviati nella fase di programmazione hanno nei fatti giustificato l'attivazione di procedure di gare derogatorie per realizzare gli interventi oppure per intervenire successivamente in fase emergenziale. Ciò a nostro giudizio, non è accettabile, da un Pag. 5lato, ed è anche paradossale per certi aspetti. Questa è una delle questioni di maggiore criticità che rileviamo.
  A questo punto, vorrei dividere il discorso per rispondere ai temi della fase successiva alle calamità naturali per quello che riguarda gli interventi cosiddetti della ricostruzione degli edifici privati e quelli, invece, che vanno sotto la logica dell'appaltistica pubblica.
  Per quanto riguarda gli edifici privati, mi sembra che la prima cosa da rilevare è l'assenza di una normativa generale in tema di procedure edilizie per la ricostruzione di edifici crollati o che hanno riportato danni di varia entità. Credo che, prima ancora dell'esigenza di semplificazione nell'ambito delle procedure di ricostruzione, sia necessario garantire certezza e trasparenza nei processi ricostruttivi, quindi una normativa ispirata, se lo posso dire, a tre elementari principi, una normativa che sia omogenea e quindi applicabile a tutte le fattispecie conseguenti a eventi calamitosi.
  Probabilmente tale normativa potrebbe riferirsi a due procedure diverse che siano legate all'entità dell'evento catastrofico: una per gli eventi di grande entità e una per quelli di piccola entità. Dovrebbe trattarsi di una normativa organica, quindi in condizione di coordinare tutti gli aspetti legati alla ricostruzione, come la corresponsione di contributi pubblici ai soggetti privati, l'esenzione, le riduzioni, gli effetti fiscali particolari e le stesse procedure edilizie.
  La terza questione rilevante, come abbiamo visto per esempio per l'evento calamitoso che ha colpito l'Abruzzo, è il fatto che tale normativa debba essere stabile e non mutevole nel tempo. Purtroppo invece, sia per le vicende dell'Abruzzo sia per le vicende dell'Emilia-Romagna, alla fine abbiamo assistito a una pesante stratificazione nel tempo di queste normative e di queste procedure, che poi rendono molto difficile tutto quanto.
  In questo ambito, un elemento particolare è il tema – magari fosse solo limitato agli eventi calamitosi – della qualificazione degli operatori delle imprese che eseguono questi lavori. Sia chiaro – questa è la nostra posizione – che non vogliamo ricondurre l'ambito privatistico nel solco della legislazione dei lavori pubblici, ne siamo assolutamente alieni, tuttavia ricordo che, al di là degli eventi calamitosi, oggi con una carta d'identità e un codice fiscale si diventa impresa di costruzioni. Tutto ciò è paradossale e di fronte a questi eventi è ancora più paradossale, quindi si tratta di un tema di grande evidenza per il Paese.
  Oggi chi, come nel nostro caso, intermedia un appartamento deve fare un esame e ciò, legato alla situazione descritta, è un elemento che credo vada a questo punto disciplinato con molta semplicità per non dare vita a tutta la disciplina relativa agli appalti pubblici che abbiamo creato anche su spinta nostra, perché spesso le lobby riescono a creare stratificazioni normative pesantissime che poi hanno effetti assolutamente deleteri.
  Credo che, invece, debbano essere fatte cose molto semplici, come garantire che il contraente, soprattutto nel caso di questi eventi – stiamo parlando di intervenire su fatti sismici e su rischi idrogeologici –, sia una persona che abbia capacità, conoscenze, know-how e responsabilità, però, lo ripeto, senza cadere in tutti gli aspetti pubblicistici.
  Per quanto riguarda il tema delle procedure urbanistiche ed edilizie, pensiamo che sostanzialmente ci sia un primo discorso da fare. Tali procedure dovrebbero essere gestite e, a tal riguardo, dovrebbe essere migliorato il funzionamento dello sportello unico dell'edilizia, che deve operare insieme a quello delle attività produttive, perché il discorso è unico. Ciò dovrebbe essere fatto secondo principi che già caratterizzano questi organi, ma che dovrebbero trovare prima un raccordo e poi una traduzione nella gestione molto più semplice. Noi abbiamo titoli abilitativi, come la CILA o la SCIA, quindi i permessi di costruire probabilmente andrebbero visti in funzione dell'entità dell'intervento, il che credo si possa fare.
  Un discorso particolare, perché molto spesso purtroppo questi eventi interessano Pag. 6edifici che hanno vincoli, è il tema della gestione dei vincoli culturali e paesaggistici, che poi sono quelli contenuti nel codice dei beni culturali. In merito, c’è da dire che molto spesso la logica, la normativa e la proceduralizzazione legate al codice poco si conciliano con le esigenze e le urgenze che ci sono soprattutto nella parte seconda del codice ma anche nella parte terza, quella relativa ai beni paesaggistici. Credo che non si possa derogare – ovviamente siamo i primi dirlo – al concetto che sia necessario l'atto di assenso da parte dell'autorità competente sui vincoli e ci mancherebbe altro, tuttavia probabilmente su questo tema una procedura speciale andrebbe introdotta, perché altrimenti poi rimaniamo in quella situazione ad aeternum. Quindi credo che, a questo punto, si debba ragionare su un soggetto pubblico che sia di livello locale, perché solo un soggetto pubblico di livello locale ha una conoscenza dei fatti anche sotto il profilo paesaggistico.
  Inoltre, bisogna operare per una riduzione dei termini. Noi crediamo che tale riduzione debba essere sensibile e debba interessare quasi un terzo delle procedure ordinarie, che sono snervanti, magari anche aiutando tutti quanti precisando puntualmente – dico delle cose banali ma che servono – la documentazione da allegare all'autorizzazione per ogni tipo di intervento. Probabilmente per questa tipologia l'idea di dire che si intenda positivo il parere dell'ente ove lo stesso non venga rilasciato in un termine che, a questo punto, è perentorio è, secondo me, un indirizzo su cui si può ragionare. Infatti, o si fa un affidavit anche al rapporto virtuoso tra pubblico e privato o non si va da nessuna parte. Anche l'idea di costruire delle linee guida potrebbe non essere malvagia.
  Questo è un tema molto rilevante. L'altro tema che vorrei sottoporre alla vostra attenzione è quello della gestione dei rifiuti, spesso sottovalutato ma che, invece, è di grande importanza. Non vi nascondo che – lo dico per il ruolo che voi avete – questo è un tema che magari riguardasse solo gli eventi calamitosi.
  Vi è, purtroppo, la tendenza ormai a considerare tutto come rifiuto, pensando – se posso permettermi – in maniera sbagliata di salvaguardare così la salute dei cittadini. In realtà, in tal modo si finisce per movimentare milioni di tonnellate di materiali che, stranamente, in Paesi che stanno al di là delle Alpi non si movimentano. Questa movimentazione, infatti, provoca danni ambientali ancora più gravi, che si risolvono attraverso tecniche in continua evoluzione e sempre più innovative.
  Tuttavia, nello specifico, quando si verificano eventi calamitosi, come crolli di edifici e cose del genere, questo tema è veramente rilevantissimo.
  C’è veramente bisogno di una visione organica della materia. Il legislatore ultimamente continua ad apportare aggiustamenti in materia di rifiuti, di terre e rocce da scavo e non si capisce più niente. Gli operatori sono sostanzialmente alla mercé delle letture fornite da un organo come la magistratura e alla fine non si sa più cosa fare, vengono adottate delle soluzioni che vanno contro la logica perché si pensa di prendere tutto e portarlo in discarica. Non so più dove questo Paese tra poco metterà tutti questi materiali che, in realtà, potrebbero benissimo essere trattati.
  Per tali motivi, credo sia importante rivedere la normativa e pensare, come – lo ripeto – avviene in altri Paesi, al riutilizzo di questi materiali anziché trattarli come rifiuto tout court da portare direttamente in discarica.
  Sta per essere approvato – credo domani o in questi giorni – un provvedimento in materia di terre e rocce da scavo presso il Consiglio dei ministri, in concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dell'ambiente, tutela del territorio e del mare, in merito al quale siamo un po’ scettici. Spesso vengono trattati questi temi sotto un profilo tecnico talmente di dettaglio che poi, alla fine, si perdono di vista, invece, gli obiettivi strategici. Credo, quindi, sia importante rivedere questo tema e tutte le Pag. 7tematiche ambientali connesse alle competenze della vostra Commissione alla luce di una visione organica e strategica.
  Per quanto riguarda – e mi accingo a concludere – le opere pubbliche, premesso che abbiamo assistito più o meno a una scomparsa della politica ordinaria di manutenzione del Paese, che è l'unico strumento che garantisce la sicurezza del territorio, la prima considerazione da fare è che occorrerebbe un programma di interventi sistematici e non un programma di interventi straordinari. Inoltre, a nostro giudizio, andrebbe fatto – e riprendo un discorso già affrontato all'inizio – un chiarimento preliminare circa la natura degli eventi emergenziali.
  Le uniche – lo sottolineo perché per noi è estremamente importante – emergenze che possano giustificare l'adozione di misure straordinarie e derogatorie rispetto a quelle ordinarie dovrebbero essere quelle legate a fatti imprevedibili e che, quindi, siano sostanzialmente riconducibili al novero delle calamità naturali. Non si tratta di una precisazione superflua perché abbiamo assistito per troppo tempo al ricorso a meccanismi derogatori e commissari straordinari per far fronte a situazioni che sono divenute emergenziali solo a posteriori, principalmente a causa di un'inerzia politico amministrativa rispetto a eventi che invece erano e potevano benissimo essere programmati nel tempo.
  Vorrei con questo dire che non vogliamo demonizzare l'uso della deroga, ma che bisogna evitare un ricorso, da una parte, sistematico e, dall'altra, strumentale alla deroga. A questo fine, credo che il vostro lavoro dovrebbe anche essere rivolto a un coordinamento sui contenuti del disegno di legge recante delega al Governo per l'attuazione delle recenti direttive comunitarie in tema di lavori pubblici, approvato dal Senato e ora in discussione alla Camera.
  In particolare, vorrei sottolineare che la lettera e) di tale disegno di legge prevede deroghe rispetto all'affidamento di contratti attraverso procedure ordinarie relativamente a singole fattispecie connesse a particolari esigenze collegate alle situazioni cosiddette emergenziali. Nel testo originario, dopo situazioni emergenziali – e noi siamo legati concettualmente a quel testo originario – si diceva: «se determinate da calamità naturali». Questo è un distinguo, che rimanda al discorso che facevo prima, estremamente importante perché altrimenti il concetto di emergenza rimane incredibilmente vago. Se, infatti, non collegassimo il concetto di emergenza a questa ulteriore condizione, diventerebbe emergenza tutto ciò che è legato a ritardi della pubblica amministrazione.
  Inoltre, andrebbero introdotte misure in via ordinaria che consentano di semplificare e velocizzare le procedure di gara. C’è poco da fare, in questo Paese, dal momento in cui si decide di fare un'opera al momento in cui si finisce la gara d'appalto, i tempi vanno dai quattro anni e mezzo a sei. Credo che ciò, in un Paese civile, sia sostanzialmente inaccettabile. Pertanto, l'idea di inserire nella disciplina del nuovo codice una regolamentazione specifica per le opere emergenziali che richiedono tempi ancora più brevi e da attuare proprio in caso di emergenza è, secondo noi, importante.
  In conclusione, vorrei anche fare una considerazione sui sistemi di affidamento delle gare. Credo che, soprattutto per le gare di una certa dimensione, l'utilizzo in via preferenziale sia quello del criterio di aggiudicazione al massimo ribasso con esclusione automatica delle offerte anomale, purché questo venga accompagnato da meccanismi antiturbativa. Ciò significa che non si devono rendere predeterminabili i parametri di riferimento per determinare la soglia di anomalia. Dico questo per intenderci, altrimenti pensiamo di giocare a poker mentre invece stiamo giocando a un altro gioco. Questi giochetti per alterazione di mercato francamente non sono più accettabili.
  Per quanto riguarda i lavori di importo più contenuto, si potrebbe invece ragionare sul sistema dell'offerta economica più vantaggiosa.
  Si potrebbe anche pensare parimenti al ritorno a un sistema di aggiudicazione bifasico. Oggi, in realtà si passa attraverso Pag. 8tre momenti: l'aggiudicazione provvisoria, definitiva e definitiva efficace. Credo che questo sia veramente eccessivo.
  In ultimo, vorrei dire che bisognerebbe rendere prontamente disponibile tutta la documentazione di gara per via telematica.

  PRESIDENTE. Grazie, presidente. Mi permetto di esprimere gli apprezzamenti per lo sforzo che avete fatto e per il contributo di qualità che è stato fornito soprattutto nella visione di carattere generale.
  Mi corre l'obbligo di chiarire che abbiamo ben presente che il tema dell'indagine andrebbe allargato alla questione dalla prevenzione, tuttavia siamo altrettanto consapevoli dei contenuti e dei limiti del lavoro delle diverse Commissioni e quelle ordinarie già procedono in questa direzione.
  La nostra Commissione, essendo una bicamerale che si occupa di semplificazione, si è trovata di fronte al problema della complicazione che è in atto nella fase della ricostruzione delle attività economiche produttive e dei beni privati o pubblici e su questo ci stiamo concentrando.
  Tra l'altro, ieri, intervenendo in Aula su un decreto-legge che conteneva anche degli elementi legati ad alcune alluvioni avvenute nei territori delle province emiliane e della provincia di Venezia, ho sollevato il problema relativo al fatto che il Parlamento dovrebbe dotarsi di uno strumento legislativo che sia in grado di classificare gli eventi calamitosi e determinare poi degli automatismi e delle certezze nelle procedure che saldino l'emergenza con la ricostruzione. Si tratta, infatti, di avvenimenti che è ragionevole pensare tendano a intensificarsi per le ragioni indotte dai mutamenti del clima soprattutto, ma anche per altre ragioni.
  È evidente che non possiamo operare sempre caso per caso sulla scorta di ordinanze che costruiscono poi un'esperienza sul campo. Siamo ormai così vaccinati che sarebbe arrivato il momento di dar vita a una struttura legislativa che aiuti i soggetti che sono coinvolti e interessati a operare con efficienza, con celerità e con trasparenza. Ci stiamo quindi concentrando su questo aspetto.
  Non ho dubbi sul fatto che il contributo che lei ha fornito in termini complessivi sulle diverse questioni rientra in maniera molto specifica nel tipo di ragionamento che noi vorremmo proporre al Parlamento. Se fossimo in condizioni anche di proporre un articolato, ciò potrebbe esser qualcosa di interessante non perché vogliamo fare un mestiere che non ci compete, ma per dare un contributo di raccordo tra le diverse questioni che sono in campo e non per fermarci a guardare qualche aspetto specifico. Le siamo pertanto grati del lavoro che lei ha svolto.
  Qui con me ci sono dei colleghi molto autorevoli che, tra l'altro, conoscono anche partitamente le questioni sollevate da questa indagine, pertanto invito loro a prendere brevemente la parola e lei a completare il suo intervento, se ci saranno eventuali sollecitazioni in questo senso. Il documento è comunque molto importante e lo acquisiamo con l'intento di utilizzarlo in sede di relazione finale.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  EMANUELE PRATAVIERA. Grazie, presidente. Ringrazio i nostri ospiti perché la relazione è stata estremamente propositiva. Credo sia da condividere la valutazione secondo cui ci ritroviamo a dover fare i conti con la mancanza di previsione e di strumenti adeguati alla prevenzione di calamità, anche se ovviamente, come diceva il presidente, non è questo l'oggetto dell'audizione, perché il nostro cruccio è capire come migliorare la normativa e la fase post emergenziale, quindi post crisi, per la ricostruzione.
  Voi avete, dal mio punto di vista, concentrato la vostra attenzione sulla domanda per la quale siete venuti a relazionare stamane.
  Ho trovato estremamente efficace la sottolineatura della necessità di dover distinguere tra le cause naturali e quelle non naturali, quindi la tipologia di intervento Pag. 9da commissariare o meno, perché altrimenti la definizione di emergenza diventa talmente labile da dovervi anche ricomprendere fatti o fattispecie come l'Expo, il Mose e così via, e poi non ne veniamo più fuori.
  Si scopre quasi sempre, tranne per uno dei casi che ho citato, ossia l'Expo, che c’è qualcosa che non ha funzionato durante la fase di realizzazione. Tuttavia, questo non è il tema affrontato della Commissione.
  Credo sia necessario, come avete accennato in più di un'occasione, avere qualcuno che valuti sul territorio gli edifici che sono vincolati da un punto di vista paesaggistico o architettonico, nonché – non lo ha fatto presente lei, presidente, e volevo chiederlo adesso – intervenire nella fase di aggiudicazione del bando anche con un criterio di premialità per quelle aziende che sono nell'area. Ritengo che tutto ciò debba essere un punto di forza.
  Ne abbiamo anche un po’ ragionato in sede di esame della direttiva – faccio parte della Commissione politiche dell'Unione europea – in materia di appalti, in cui abbiamo cercato di inserire questo ulteriore aspetto perché per le fattispecie di beni sottoposti a vincolo ci sono poi delle relazioni con il territorio estremamente importanti che sono fatte di materie prime, di maestranze, di capacità e di sensibilità che sono immateriali, non sono materiali.
  Interessante è anche lo spunto sulla necessità di dover procedere con Italia sicura, anche se, avendo letto dei comunicati stampa, credo che qualcosa si stia muovendo. Poiché sono stanziate risorse importanti, poiché ho la sensazione che le risorse siano sempre limitate e i casi sempre più grandi e alcune volte mutevoli, credo che i progetti in essere dovrebbero essere sottoposti a revisione almeno annuale al fine di capire, in particolare, quali di essi sono già in stato di progettazione avanzata e quali non lo sono, assicurando a quelli in fase già avanzata un criterio di priorità.
  Possiamo avviare questo processo a livello centrale, romano, solo se coinvolgiamo, oltre le regioni, anche chi opera nei territori affinché ci possa essere un vero e proprio scambio di informazioni e di sensibilità che, al momento, purtroppo, ancora non registro nella mia attività parlamentare. Queste sono le mie considerazioni alla luce di quanto emerso dalla relazione da voi svolta.

  MINO TARICCO. Anch'io ringrazio per lo sforzo sistematico che avete fatto, che è molto apprezzabile e in larga parte condivisibile, nel senso che siamo tutti perfettamente consapevoli che la questione è sì come intervenire nella fase post emergenza, ma soprattutto come riuscire a trasformare quella massa significativa di risorse, che purtroppo storicamente si sono spese per tamponare emergenze, in investimenti che, nei limiti del possibile, prevengano questo tipo di situazioni. Quindi, da questo punto di vista, è assolutamente condivisibile il vostro sforzo, così come è assolutamente condivisibile la vostra riflessione in generale su tutto ciò che ruota intorno ai lavori pubblici e privati di entità significativa, sia per quel che riguarda le tematiche che avete introdotto, dalla qualificazione degli operatori, che è un tema che esiste, reale e che meriterebbe un approfondimento importante, sia su tutta la questione delle procedure con cui questo avviene.
  Tuttavia, vorrei focalizzare l'attenzione su un aspetto puntuale perché, come è stato detto, anche per il ruolo svolto dalla nostra Commissione, questo non è il luogo in cui rifletteremo su alcune questioni. Inoltre, alcuni percorsi legislativi sono in atto e le deleghe affidate per tutta la revisione della Protezione civile, annessi e connessi, credo che andranno ad incidere su alcune di queste procedure e alcune delle indicazioni che avete fornito potranno essere preziose in questa direzione.
  Per quel che riguarda il cosiddetto collegato ambientale e le norme che esso prevede, purtroppo, come credo tutti sappiano, arriverà blindato alla Camera, pertanto l'osservazione che avete fatto, e che peraltro condividiamo, rimarrà nelle nostre aspirazioni per ragionamenti futuri Pag. 10perché nell'immediato non ci sarà possibile intervenire su questo tipo di testo.
  A me interessa un aspetto molto puntuale, di cui avete parlato prima e che peraltro è già emerso in altre audizioni, ossia la necessità di capire come trovare un punto d'equilibrio al fine di rispettare nella sostanza quei percorsi autorizzativi riguardanti beni e contesti ambientali coperti da vincolo architettonico e paesaggistico, da una parte rispettando la sostanza della norma e però, dall'altra parte, non imbarcandoci in procedure che durino anni e che alla fine rischiano di vanificare quella che dovrebbe essere l'urgenza dell'intervento.
  Voi avete proposto – ciò è riassunto in un titolo – delle procedure di assenso che, per quanto possibile si focalizzino a livello locale in quanto in quell'ambito c’è una maggiore conoscenza delle situazioni che permetterebbe una celerità nell'affrontare le questioni che, probabilmente, diversamente non sarebbe possibile affrontare.
  Se possibile, mi piacerebbe avere due parole in più su tale questione perché, detta così, è assolutamente condivisibile, ma tradotta nel concreto mi piacerebbe sapere cosa c’è dietro e cosa c’è dentro. Tutto ciò, infatti, ci aiuterebbe a ragionare su una proposta che potremmo avanzare su questo tipo di tematiche che sono delicate ma che, al tempo stesso, necessitano di un lavoro di manutenzione normativa.

  PASQUALE SOLLO. Grazie, presidente. Non avevo dubbi che lei avesse centrato l'obiettivo perché, dopo il cittadino, quindi l'utente finale, i costruttori sono praticamente quelli che vivono tutta la fase di problemi che ci sono nella pubblica amministrazione. Io l'ho vissuta dall'altro lato, come sindaco, quindi conosco benissimo tempi e processi autorizzativi.
  Sul tema in esame, svolgerò alcune considerazioni e poi segnalerò una perplessità. Sono d'accordo sugli interventi a monte e a valle, nonché sul sistema autorizzativo, la CILA, la SCIA, il permesso di costruire. Su tutto questo siamo perfettamente d'accordo. Delle gestioni e dei vincoli paesaggistici hanno già parlato i miei due colleghi, quindi non mi dilungo.
  Ritengo interessante quello che ci avevano fatto notare anche i professionisti, come ingegneri e geometri, ossia che accorciare le tre fasi – preliminare, esecutiva e finale – della progettualità è inutile; magari sarebbe meglio accorpare la prima con la seconda perché i tempi si ridurrebbero tantissimo. Tuttavia, vorrei chiederle alcuni chiarimenti.
  Lei ha detto che il modo migliore per affidare gli appalti sarebbe il maggior ribasso con l'esclusione delle famose offerte anomale. Io ho vissuto tale situazione e trovo più conveniente forse l'altra soluzione dell'offerta economicamente più conveniente, anche se sull'altro tipo di discorso nelle mie zone – si sente che sono di Bolzano nord – è stato trovato un sistema illegale che in modo legale riesce a determinare gli appalti.
  Ritengo che il maggior ribasso porti comunque a uno scadimento della qualità dei lavori perché molto spesso, anche se elimini le offerte anomale, ci sono ribassi molto alti. A Napoli, per esempio, siamo su una media del 50 per cento, quindi i lavori diventano veramente di qualità pessima. Per quanto riguarda l'altro aspetto, nel mio comune, in provincia di Napoli, vincevano sempre i Casalesi ed io mi chiedevo – sono andato anche in procura – come fosse possibile. In realtà, si aggiudicavano le gare in un modo molto semplice perché determinavano loro l'offerta economicamente più vantaggiosa, facendolo in un modo sistematico, in quanto avevano la forza di avere cento aziende che presentavano praticamente offerte allo 0,10 di differenza, con il ribasso che normalmente è tra il 33 e il 32, per esempio nel mio comune era in genere tra il 30 e il 31, quindi dal 25 al 35 presentavano cento domande con lo 0,10 di differenza. Nel 99 per cento dei casi vincevano operando in questo modo, temendo che i miei funzionari fossero collusi, ho iniziato un processo per verificare tutto questo e alla fine ho scoperto come andavano le cose.Pag. 11
  Chiedo dunque quale, secondo voi, possa essere un modo per far sì che il sistema degli appalti sia più trasparente e meno infiltrato. Il sistema da lei indicato è, a mio avviso, un po’ pericoloso non tanto sull'affidabilità quanto sulla qualità dei lavori.

  PRESIDENTE. Do la parola all'ingegnere De Albertis per la replica.

  CLAUDIO DE ALBERTIS, presidente dell'Associazione nazionale costruttori edili (ANCE). A proposito del localismo che veniva sottolineato, devo dire che non sono un grande amico del localismo per questo motivo: l'impresa è nomade per definizione, quindi, secondo me, creare steccati artificiosi o comunque strumentali per difendere imprese che stanno sul territorio comporterebbe complessivamente un gravissimo danno. Diverso è difendere l'impresa sana.
  Noi abbiamo un sistema di qualificazione delle imprese che non fa leva su aspetti fondamentali: un'impresa, per garantire l'esecuzione, deve essere patrimonializzata e deve avere un minimo di organizzazione. Pertanto, se il sistema di qualificazione fa leva su aspetti che sono il prodotto di quanto ricavato negli anni passati, non ci siamo. Se poi, in futuro, trattassimo i nostri prodotti come industriali, per cui anche sulle opere pubbliche dovessimo garantire la manutenzione dell'opera, verrebbe sì premiata l'impresa che sta sul territorio perché l'altra impresa è un po’ un mordi e fuggi.
  Quindi, secondo me, forse non ci siamo ancora anche in questa nuova legislazione sui lavori pubblici, ma di fatto questo è il traguardo per far diventare anche il nostro un mondo industriale che costruisce prodotti industriali, anche perché sinceramente la bellezza del nostro mestiere è di essere nomadi.
  Purtroppo tengo a precisarle che comunque lei ha ragione, perché il 95 per cento delle nostre imprese – noi rappresentiamo le imprese industriali – operano in un ambito provinciale. Sia ben chiaro che questa è la realtà, ma anche il nanismo e la sua forza.
  Per quanto riguarda invece il tema dei lavori pubblici, non saremmo qui continuamente a tentare di normare se non ci rendessimo conto che il sistema tendenzialmente è un non mercato piuttosto che un mercato, e lo dico molto apertamente. È pur vero che il reato più frequente è appunto quello della turbativa d'asta, che tra l'altro è il reato che si accompagna alla condanna penale più pesante anche rispetto a tutti gli aspetti corruttivi.
  Se nella legislazione che governa il nostro mondo privato o pubblico, e che è piena di sanzioni penali spaventose, sostituissimo le sanzioni penali con sanzioni di carattere amministrativo e pecuniario, che sono più facilmente comminabili, a mio avviso otterremmo dei risultati, perché è inutile appellarsi visto che poi la giustizia deve metterci un terzo del suo tempo. Poiché non è così e non sarà così per tanto tempo, alla fine questo è il risultato.
  Quindi, penso che, in pratica, l'offerta economicamente più vantaggiosa sia un sistema che deve essere adottato per le gare di una certa complessità. Bisogna, come le dicevo, per le offerte sotto i 2 milioni e 500 mila euro, usare il sistema del massimo ribasso ma costruire anche degli elementi antiturbativa. Infatti, se io so prima qual è la soglia dell'anomalia e lo faccio come elemento storico, è chiaro che a questo punto quelle cento imprese si vanno a collocare lì e tutto questo è paradossale.
  Un discorso generale, che poi trova il tempo che trova, è il fatto che in questo Paese c’è anche nelle stazioni appaltanti capaci – premesso che ce ne sono troppe e troppo deboli – un'attenzione quasi paradossale ed enorme al momento della scelta del contraente. Tutto ciò che avviene nella fase esecutiva non interessa a nessuno.
  Pertanto, alla luce di quanto si qui detto, gli argomenti rilevanti sono quelli che attengono alla base d'asta, al ribasso e al recupero.
  Nel mio territorio – scrissi, quando ero presidente dell'Associazione dei costruttori di Milano, a tutte le stazioni appaltanti chiedendo di collaborare con noi e pubblicare Pag. 12– l'avrei fatto con i costi dell'associazione –, anche sotto il versante temporale ed economico, la storia di una gara, quindi base, ribasso, tempi di esecuzione, alla fine dei lavori quanto è costato e nel tempo quanto viene a costare. Non ho ricevuto una risposta.
  Questo è un sistema in cui tutti ci troviamo. Bisogna, tuttavia, tirar fuori questi elementi e invertire la logica, che deve diventare premiale e con un'attenzione alla fase esecutiva che deve essere pari. Le stazioni appaltanti, invece, hanno una debolezza congenita di struttura per controllare i lavori. Il contratto deve, quindi, essere paritetico. Spesso ci sono vessazioni per quanto riguarda i pagamenti e alcune assurde norme contrattuali e, nello stesso tempo, tutto si ribalta perché l'impresa nella fase esecutiva è un po’ il padrone.
  Credo inoltre che vada migliorata l'attività dello sportello unico, che per tutto è nominalmente un semplificatore. Personalmente, quando una legge prevede che sulle attività edilizie ci debba essere semplificazione, mi vengono i brividi perché di solito non abbiamo mai semplificato niente.
  Altro tema che abbiamo affrontato è quello secondo cui le sovrintendenze, nell'espressione dei loro pareri, non hanno termini perentori. Si tratta di termini ad aeternum e credo che ciò non sia accettabile. Parlavamo prima di forza lavoro e di professionalità all'interno delle amministrazioni e delle stazioni appaltanti, tuttavia, nel caso delle sovrintendenze, la situazione è ancora peggiore. Si tratta di tempi che non sono accettabili. Poi ci inventiamo le conferenze dei servizi e alle conferenze di servizi questi signori non partecipano, allora ci inventiamo una norma che prevede che se uno non partecipa è come se desse l'assenso.
  Credo che, per queste emergenzialità, una procedura che sostanzialmente prevede in conclusione il silenzio assenso – so di dire una cosa che poi si scontra inevitabilmente con altre logiche, quando parliamo di vincoli e di ambiente – sia una logica che non riesce a passare in questo Paese. Tuttavia, se questo provoca tutto ciò che provoca in termini di durata, credo che a un certo punto la questione vada affrontata con estrema chiarezza. Non so se le ho risposto, ma questa è la mia indicazione.

  PRESIDENTE. Ringrazio il presidente e i dirigenti dell'ANCE.
  Dichiaro chiusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.15.