XVII Legislatura

Commissione parlamentare di vigilanza sull'anagrafe tributaria

Resoconto stenografico



Seduta n. 27 di Mercoledì 1 luglio 2015

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Portas Giacomo Antonio , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ANAGRAFE TRIBUTARIA NELLA PROSPETTIVA DI UNA RAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE DATI PUBBLICHE IN MATERIA ECONOMICA E FINANZIARIA. POTENZIALITÀ E CRITICITÀ DEL SISTEMA NEL CONTRASTO ALL'EVASIONE FISCALE

Audizione di rappresentanti dell'Associazione artigiani piccole imprese (CGIA) di Mestre.
Portas Giacomo Antonio , Presidente ... 3 
Zabeo Paolo , coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre ... 3 
Bellot Raffaela  ... 10 
Pagano Alessandro (AP)  ... 10 
Zabeo Paolo , coordinatore dell'ufficio studi dell'associazione artigiani piccole imprese di Mestre ... 11 
Pagano Alessandro (AP)  ... 11 
Zabeo Paolo , coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre ... 11 
Ruocco Carla (M5S)  ... 12 
Portas Giacomo Antonio , Presidente ... 13 
Zabeo Paolo , coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre ... 13 
Portas Giacomo Antonio , Presidente ... 14 
Zabeo Paolo , coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre ... 14 
Portas Giacomo Antonio , Presidente ... 14

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE GIACOMO ANTONIO PORTAS

  La seduta comincia alle 8.30.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di rappresentanti dell'Associazione artigiani piccole imprese (CGIA) di Mestre.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione di rappresentanti dell'Associazione artigiani piccole imprese (CGIA) di Mestre che, anche a nome dei colleghi, ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione. Sono presenti il dottor Paolo Zabeo, coordinatore dell'ufficio studi, e il dottor Andrea Vavolo, responsabile fiscale dell'ufficio studi.
  L'audizione si inquadra nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'anagrafe tributaria nella prospettiva di una razionalizzazione delle banche dati pubbliche in materia economica e finanziaria. Potenzialità e criticità del sistema nel contrasto all'evasione fiscale.
  Do la parola al dottor Zabeo, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli, al termine del suo intervento, domande e richieste di chiarimenti.

  PAOLO ZABEO, coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre. Buongiorno a tutti. Vi ringraziamo per l'invito. Come annunciava il presidente, sono il coordinatore dell'ufficio studi e con me c’è il dottor Andrea Vavolo, nostro responsabile in materia fiscale. Abbiamo organizzato il nostro intervento innanzitutto cercando di elaborare le indicazioni e i suggerimenti che ci erano venuti dalla segreteria della Commissione. In particolare, i temi trattati saranno la fatturazione elettronica, la collaborazione tra imprese e Agenzia delle entrate, gli studi di settore, il modello 730 e la tassazione a livello locale.
  Prima di entrare nel merito, ci preme fare una premessa che credo sia indispensabile. Ovviamente la mia è una provocazione. Siamo convinti che, grazie all'ausilio dell'Anagrafe tributaria e soprattutto della platea di strumenti che a oggi l'amministrazione finanziaria possiede, il fisco italiano sia in grado di contrastare in maniera molto efficace l'evasione fiscale. Sosteniamo altresì che sia giunto il momento che venga meno l'alibi, soprattutto della politica, secondo cui, siccome questo è un Paese che ha una grande evasione fiscale, non ci siano i soldi, ad esempio, per investire nella scuola, nella sanità, nel welfare. Riteniamo che, grazie agli studi di settore, ai blitz, al redditometro, allo spesometro, al 117, a Serpico (il super-cervellone che incrocia migliaia di dati dei contribuenti italiani), all'abolizione del segreto bancario, ai limiti all'utilizzo del contante e, da ultimo, all'obbligo dell'utilizzo del POS per le transazioni commerciali sopra ai 30 euro, benché non siano previste sanzioni, il fisco italiano abbia oggi tutti gli strumenti per combattere l'evasione. Ciò dovrebbe far cadere l'utilizzo Pag. 4spesso improprio da parte della politica dell'alibi secondo cui, siccome c’è tanta evasione, non si possono fare certi interventi. Detto questo, entro nel merito delle questioni che ci sono state segnalate.
  Per quanto riguarda la fatturazione elettronica, si tratta di una novità sicuramente importante per il sistema Paese. È stata introdotta l'anno scorso solo per alcune transazioni commerciali tra imprese private e alcune pubbliche amministrazioni. L'operazione, secondo noi, è partita con il piede giusto. Nei mesi scorsi è stata allargata a tutta la pubblica amministrazione. La fatturazione elettronica ha come obiettivi la riduzione dei costi e l'aumento dell'efficienza e dell'efficacia dei processi contabili interni all'amministrazione, oltre a rendere disponibile in maniera tempestiva una gran mole di dati che vengono opportunamente standardizzati. La pubblica amministrazione dovrebbe trarre significativi vantaggi, derivanti dalla maggiore e tempestiva conoscenza della natura e composizione della spesa pubblica, avendo praticamente un controllo quasi reale sulla situazione delle uscite. Ciò permette la realizzazione di politiche di bilancio maggiormente efficaci, grazie a una conoscenza più dettagliata dei dati. Da parte delle imprese questa novità è stata salutata con grande favore: come in tutti i cambiamenti e novità, ci sono state difficoltà iniziali, che mi pare siano state brillantemente superate. Chi ha una struttura organizzativa si è adoperato e ha superato la prima impasse. Qualche problema vi è stato per le piccole e piccolissime aziende, le quali però, grazie all'ausilio delle associazioni di categoria e dei liberi professionisti, che praticano prezzi molto contenuti, in qualche modo sono riuscite a superare questa fase. Ci sono aspettative importanti da parte delle imprese sul tema della fatturazione elettronica, perché ci era stato detto che, grazie all'avvio di questa novità, i tempi di pagamento della pubblica amministrazione si sarebbero accorciati. Questo in parte è avvenuto. Ad esempio, Intrum Justitia, che fa un'analisi a livello europeo sui tempi medi di pagamento, ci dice che dal 2014 ai primi mesi del 2015 c’è stata una riduzione dei tempi medi di pagamento pari a 21 giorni. Siamo tra i grandi Paesi europei che hanno registrato la contrazione più forte. Sta di fatto, però, che la nostra pubblica amministrazione rimane la peggiore pagatrice d'Europa. Mediamente una fattura viene saldata a 144 giorni, quando la direttiva europea impone tempi di pagamento per la pubblica amministrazione tra i 30 e i 60 giorni. Registriamo 106 giorni in più rispetto alla media europea. Siamo consci che con la fatturazione elettronica non si poteva risolvere un problema così importante, perché entrano in gioco molte altre variabili, quali la scarsa disponibilità di risorse da parte della pubblica amministrazione o il patto di stabilità interno. Tuttavia, il problema dei pagamenti della pubblica amministrazione rimane un'anomalia prevalentemente italiana. Ricordo che, nonostante i proclami fatti dal premier e dal Governo nei mesi scorsi, secondo i dati riportati nella relazione annuale della Banca d'Italia, la pubblica amministrazione al 31 dicembre 2014 aveva ancora 70 miliardi di euro di debiti nei confronti dei fornitori. Ciò vuol dire che ci sono centinaia di migliaia di imprese che complessivamente avanzano dalla pubblica amministrazione e dagli enti locali 70 miliardi di euro. Questo è obiettivamente un problema molto grave, perché la mancanza di liquidità delle imprese costituisce oggi uno dei principali ostacoli per molte realtà nell'agganciare la ripresa. Pertanto, su questo bisogna in qualche modo intervenire e fare in modo che la pubblica amministrazione acceleri i tempi di pagamento.
  Ritornando più strettamente al tema della fatturazione elettronica, ormai sembra assodato che nei prossimi anni la fatturazione elettronica sarà estesa anche alle transazioni commerciali tra imprese private. Questo, secondo noi, è positivo, anche se bisogna tenere in considerazione che la stragrande maggioranza delle imprese italiane ha dimensioni micro: il 95 per cento delle imprese ha meno di dieci Pag. 5addetti e il 70 per cento degli artigiani e dei commercianti – questo è un dato che pochi conoscono – lavora da solo e non ha dipendenti. Di conseguenza, è chiaro che l'estensione tout court a tutti dell'obbligo della fatturazione elettronica potrebbe costituire un problema e un costo di non poco conto per quelle microaziende che non hanno una struttura organizzativa.
  Per quanto riguarda invece il secondo punto, cioè la collaborazione tra imprese e Agenzia delle entrate per la semplificazione degli adempimenti fiscali, abbiamo visto che in questi ultimi anni l'amministrazione finanziaria ha messo a disposizione dei contribuenti, in particolar modo delle imprese, una molteplicità di servizi on line. In linea di massima, il nostro giudizio è positivo. Sono innegabili i risparmi in termini di tempo e di costi burocratici. Inoltre, la possibilità di reperire e fornire informazioni dal proprio ufficio ha permesso l'eliminazione di tempi di spostamento e di eventuali code agli sportelli. Peraltro, i dati sono disponibili per entrambe le parti, amministrazione e privati, in tempo reale. Tuttavia, l'utilizzo dei servizi informatici nella maggioranza dei casi richiede conoscenze di carattere fiscale da parte dei soggetti privati e delle aziende. È importantissimo avvalersi di personale preparato, che deve essere costantemente formato, perché purtroppo la materia fiscale è estremamente complessa e cambia di anno in anno, se non di semestre in semestre. Peraltro, non sempre una normativa risponde a criteri di semplicità. Comunque, limitandosi all'interazione tra le banche dati al fine di migliorare l'efficienza e di ridurre i costi, abbiamo segnalato due criticità che riguardano i servizi offerti dall'amministrazione. Il primo è il canale telematico Civis, per la gestione delle irregolarità fiscali, un servizio gestito dall'Agenzia delle entrate. Il secondo è il Documento unico di regolarità contributiva (DURC) on line, servizio gestito dall'INPS.
  Il Civis è un canale telematico con cui i contribuenti possono inviare chiarimenti all'Agenzia delle entrate in merito a presunte irregolarità fiscali. Il servizio fornisce assistenza sulle comunicazioni di irregolarità, sugli avvisi telematici e sulle cartelle di pagamento, e consente la presentazione dei documenti per il controllo formale. Inoltre, è possibile ricevere l'avvio della conclusione della pratica. Si tratta, quindi, di un utile strumento per sanare eventuali anomalie o segnalare all'Agenzia delle entrate le ragioni per cui si ritiene di non avere l'obbligo del pagamento. La principale criticità del servizio, che ne riduce l'utilizzazione, deriva dal fatto che si tratta di una comunicazione unilaterale del contribuente a cui è contestata l'irregolarità nei confronti dell'Agenzia. Praticamente non prevede nessun obbligo di dialogo. Pertanto, il contribuente o il suo intermediario, che può essere un'associazione di categoria o un libero professionista a cui l'imprenditore si appoggia, nel dubbio di aver correttamente interpretato le motivazioni di irregolarità presenti nella cartella di pagamento e avendo necessità di conferma, sono costretti a recarsi presso la sede territoriale dell'agenzia o a contattare l'assistenza telefonica, processo estremamente difficile. Si tenga presente che non sempre dalla lettura delle cartelle esattoriali si riesce a comprendere con certezza la tipologia di irregolarità riscontrata. Un confronto con l'Agenzia delle entrate diventa dunque sempre più importante. Si ritiene, pertanto, che l'utilizzo del canale telematico Civis potrebbe aumentare in maniera rilevante la sua efficienza e la sua efficacia, se le irregolarità riscontrate dall'Agenzia delle entrate e comunicate al contribuente con la modalità di pagamento fossero meglio esplicitate. Questo è un problema che spesso il contribuente denuncia nei rapporti con l'Agenzia delle entrate. C’è un linguaggio molto burocratico, che ai comuni mortali è sempre molto difficile spiegare e interpretare. Inoltre, sarebbe importante attivare un dialogo telematico preventivo, in cui il contribuente o il suo intermediario fossero in grado di avere una conferma della propria interpretazione del documento di Pag. 6contestazione. Il problema si potrebbe aggirare attraverso un dialogo on line più fruttuoso.
  L'altro aspetto estremamente importante è il DURC, che si aggancia a quanto dicevamo nel punto precedente a proposito dei tempi di pagamento. Come sapete, se il fornitore non ha il DURC regolare, cioè non ha pagato i contributi in maniera regolare, la pubblica amministrazione non è tenuta al pagamento. Oggi c’è anche una grossa novità: dal primo luglio scatta il DURC on line. Fino a ieri il DURC veniva richiesto all'INPS, all'INAIL, alle casse edili e agli enti bilaterali dalle imprese, dai loro intermediari o dall'amministrazione pubblica. I tempi di attesa potevano arrivare sino a 30 giorni e la validità del documento era limitata a 90 giorni nel caso dell'edilizia, mentre dal 2013 era di 120 giorni per tutti gli altri settori. Da oggi, invece, il DURC è disponibile in tempo reale. La validità del documento viene estesa per tutti a 120 giorni. Le imprese richiedenti potranno scaricare un pdf attestante la loro regolarità, collegandosi al sito dell'INPS o a quello dell'INAIL. Nel caso in cui risultino irregolarità, l'ente previdenziale comunicherà all'interessato le cause ostative entro 72 ore. In questa situazione, l'azienda si attiverà per sanare la propria posizione. Si tratta quindi di un processo migliorativo che va guardato con favore. Tuttavia, l'esperienza passata in merito alle criticità che si sono palesate nella gestione delle procedure del DURC interno, quello in vigore fino a ieri, potrebbero rallentare e in alcuni casi vanificare questa importante novità. Infatti, se gli archivi degli enti previdenziali non sono aggiornati, come ci è già successo, non è possibile ottenere una certificazione in tempo reale. Il sistema informativo dell'INPS non sembra essere aggiornato in relazione a eventuali pagamenti effettuati in ritardo o rateazioni che il contribuente ha richiesto e ottenuto dall'ente stesso. Ci sono problemi di aggiornamento reale delle banche dati dell'INPS o dell'INAIL. Peraltro, il sistema non pare essere in linea con le vicende legate alle iscrizioni a ruolo. Di conseguenza, non risultano rilevati in tempo reale i pagamenti effettuati presso il concessionario della riscossione (Equitalia) o eventuali rateizzazioni già avviate. L'INPS si deve coordinare in maniera molto più stretta con le altre articolazioni dell'amministrazione finanziaria, ad esempio Equitalia, perché ci sono situazioni in cui i contribuenti hanno messo in campo rateizzazione di pagamenti che l'INPS non riconosce. Pertanto, l'INPS blocca il DURC, quando in realtà la posizione dell'imprenditore è a tutti gli effetti positiva e, quindi, l'impresa dovrebbe avere un DURC regolare. Infine, vi segnaliamo un aspetto che sta assumendo dimensioni sempre più diffuse, almeno nel Nord e in particolar modo nel Nord-Est. Molte aziende, sia nel settore dell'edilizia sia in quello dei trasporti, che spesso sono attività condotte da titolari stranieri, manomettono il DURC. Abbiamo riscontrato molte denunce di aziende concorrenti relativamente ad alcuni appalti, non necessariamente pubblici, che erano stati vinti al massimo ribasso da aziende straniere abbastanza improbabili, perché conosciute per la loro struttura organizzativa, con proposte al massimo ribasso, avendo il DURC in regola. In alcuni casi, grazie all'azione giudiziaria, si è scoperto che queste aziende avevano manomesso il DURC. Grazie alla nuova versione on line, il problema potrebbe essere superato, se si obbligasse il committente a verificare la corrispondenza del documento ricevuto. Spesso il committente vuole soltanto pagare poco e si affida ad aziende che non sono in regola e mettono fuori mercato chi lo è e, quindi, non può praticare certi pezzi. Nel momento in cui il committente riceve da un'azienda fornitrice un DURC che risulta regolare, dovrebbe avere un collegamento diretto, con una password, presso il sito dell'INPS, per avere la conferma che questo risulta essere corretto, perché, come dicevo, si sta diffondendo questa piaga.
  Il terzo punto riguarda gli studi di settore. Sono passati ormai diciassette anni da quando nel 1998 sono stati applicati Pag. 7per la prima volta. Si voleva creare un nuovo rapporto tra fisco e contribuenti, caratterizzato da requisiti di certezza, trasparenza ed equità. Notevoli dovevano essere i vantaggi per gli imprenditori, i quali, conoscendo ciò che il fisco si attendeva da loro, potevano finalmente adeguarsi, vincendo l'ansia del fisco. Con il protocollo d'intesa firmato nell'ottobre del 1996 dal ministro di allora, Vincenzo Visco, e tutte le associazioni di categoria, si era promessa addirittura la progressiva abolizione degli scontrini e delle ricevute fiscali, in correlazione alla progressiva entrata in vigore del nuovo strumento. Se si dovesse valutare gli studi di settore alla luce di queste attese, dovremmo dire che ciò non è avvenuto e, quindi, dare un voto negativo. In realtà, una conclusione di questo tipo, oltre a essere semplicistica, non terrebbe conto della complessità della realtà e dell'evoluzione che vi è stata dalla fine degli anni 1990 in poi. Gli studi di settore sono uno strumento estremamente complesso, la cui gestione richiede competenze giuridiche, statistiche ed economiche. Da quando sono entrati in vigore, si sono avuti un affinamento nei processi di costruzione, un forte mutamento dello scenario economico e un'evoluzione normativa.
  Nel corso degli anni ci sono stati molti cambiamenti. Nel 2009 la Corte di cassazione ha sancito che le stime degli studi di settore hanno una valenza di presunzioni semplici e, come tali, non possono giustificare un accertamento. Pertanto, gli studi di settore non possono essere applicati in maniera automatica, ma solo dopo un confronto con il contribuente, nel corso del quale sono adattati alla singola realtà imprenditoriale. Inoltre, l'accertamento deve essere supportato da ulteriori motivazioni. Gli accertamenti basati sugli studi di settore, peraltro, sono progressivamente diminuiti, passando da quasi 73.000 nel 2008 a quasi 11.000 nel 2013.
  Nonostante la positiva evoluzione dello strumento, rimangono delle criticità. Ad esempio, il software Gerico, che è indispensabile al contribuente-impresa per stimare i propri ricavi, viene messo a disposizione dei contribuenti nel periodo di imposta successivo. Quest'anno la versione definitiva è stata resa disponibile il 27 maggio 2015, in grave ritardo, mettendo in difficoltà le imprese, che avevano grossi problemi per fare un tax planning e per fare un ragionamento puntuale e concreto sulla propria situazione fiscale. Ciò ha reso necessaria la consueta proroga. La proroga viene concessa quasi come fosse un atto di benevolenza del fisco italiano. In realtà, ciò avviene perché si arriva sempre tardi e si mette il contribuente nelle condizioni di non poter operare in maniera ottimale. La fisiologica necessità di adeguare i processi di stima ai mutamenti della realtà economica – gli studi, infatti, sono costruiti sulla base di dati che risalgono a due anni prima – rende necessario un intervento di adattamento all'anno di riferimento. Tuttavia, è fortemente sentita l'esigenza di anticipare i tempi di consegna del software. Secondo noi, va chiarito che gli accertamenti basati sugli studi di settore non pregiudicano l'ulteriore azione accertatrice per il medesimo anno. La legge n. 342 del 2000, sulla base di modifiche normative avvenute nel 2004, fa sì che gli accertamenti basati sugli studi di settore non pregiudichino ulteriori accertamenti sui medesimi redditi, anche se il contribuente ha aderito alle pretese dell'amministrazione. In considerazione del mutato quadro giuridico, per cui gli accertamenti da studi di settore non si fondano solo sul semplice scostamento, ma considerano la complessiva situazione dell'azienda a supporto di ulteriori elementi, diventa importante ristabilire il principio dell'unicità dell'azione accertatrice, che deve essere ricondotta solo ed esclusivamente agli studi di settore.
  Il penultimo punto riguarda il modello 730 e la dichiarazione precompilata on line, una novità di quest'anno che va nella direzione di semplificare il rapporto tra fisco e contribuente. Con la dichiarazione precompilata le banche dati dell'anagrafe tributaria vengono utilizzate, non solo come strumento di accertamento, ma anche Pag. 8per fornire dei preziosi servizi ai cittadini. Sebbene nel 2015 la dichiarazione precompilata sia stata introdotta in via sperimentale, si sono rese evidenti alcune criticità. Nell'intento di semplificare la vita ai contribuenti, rendendo certo e definitivo il rapporto con il fisco, si sono appesantiti gli adempimenti e le responsabilità in capo agli intermediari, ovvero i CAF e i liberi professionisti. Il contribuente che accetta la dichiarazione come viene proposta dal fisco non è soggetto a controlli formali e, in caso di rimborsi superiori ai 4.000 euro, l'Agenzia delle entrate non procederà a controlli preventivi sulla spettanza delle detrazioni per familiari a carico. Inoltre, il contribuente non è soggetto a controlli neppure se la dichiarazione è presentata con modifiche tramite CAF o intermediario abilitato. Viceversa, i CAF e gli intermediari abilitati rispondono sempre e comunque delle dichiarazioni che presentano per conto del contribuente, e il fisco si rivolgerà loro per contestare eventuali imposte, sanzioni o interessi. Con l'avvento del 730 precompilato, per i CAF e gli intermediari le procedure si sono allungate e sono aumentate le responsabilità, i rischi e i costi assicurativi.
  Riguardo alle procedure rispetto ai consueti adempimenti annuali, si sono aggiunti i compiti di gestione delle deleghe, con le connesse autorizzazioni per accedere al modello precompilato del soggetto, mentre il massimale assicurativo è stato aumentato da 2 a 3 milioni di euro. Una buona parte di questi costi sono stati traslati sui contribuenti. Da un lato, al contribuente si dà la possibilità di fare il precompilato on line, operazione non estremamente semplice, per la quale bisogna avere un minimo di conoscenza fiscale e informatica; dall'altro lato, chi si rivolge a un CAF quest'anno ha costi maggiori rispetto all'anno precedente, perché gli intermediari hanno subìto una serie di costi e di responsabilità aggiuntivi.
  In estrema sintesi, le principali criticità emerse sono le seguenti. La prima concerne l'invio di certificazioni uniche. La normativa prevede che entro il 7 marzo i sostituti d'imposta debbano inviare all'Agenzia delle entrate la certificazione unica, stabilendo una sanzione di 100 euro per ogni modello omesso o inesatto. Non è possibile ridurre le sanzioni né in ravvedimento operoso né con l'istituto del concorso di violazione e continuazione. Pur comprendendo l'esigenza per l'amministrazione di avere a disposizione tempestivamente i dati, per rendere disponibile la precompilata entro il 15 aprile, si ritiene eccessivamente penalizzante questa norma. Le novità che si sono verificate nel corso dell'anno influenzano gli adempimenti finali, richiedendo un costante aggiornamento. Per questo motivo, si chiede di allungare i tempi e rivedere le sanzioni. Solo per l'anno 2015, con un comunicato stampa, si è consentito di non presentare la certificazione unica relativa ai redditi esenti, in quanto non compresi nella dichiarazione precompilata. Per ridurre gli adempimenti, è auspicabile che l'obbligo di invio all'Agenzia delle entrate nei termini perentori previsti dalla normativa sia limitato ai redditi rientranti nella dichiarazione precompilata e si escludano dall'adempimento le certificazioni relative ai redditi di professionisti e lavoratori autonomi con partita IVA relativi ai dividendi.
  Un'ulteriore criticità riguarda i CAF e le sanzioni. I CAF e gli intermediari abilitati controllano la corrispondenza tra la documentazione e la dichiarazione, apponendo il visto di conformità. La norma prevede che il controllo formale è effettuato nei loro confronti; in caso di irregolarità, sono tenuti al pagamento di una somma pari all'importo dell'imposta, più sanzioni e interessi che sarebbero stati richiesti al contribuente. Una simile previsione non pare conforme al dettato costituzionale. Le imposte rappresentano il concorso del singolo alla spesa pubblica, in coerenza con il principio della capacità contributiva. Tale concorso non può essere traslato da un soggetto a un altro. Pertanto, è necessario correggere questa norma. Il CAF o l'intermediario sono sottoposti a sanzione per il visto infedele, ma Pag. 9deve essere il contribuente a versare le imposte e i relativi interessi sul suo reddito. Un'altra criticità è relativa alla dichiarazione precompilata inviata senza modifiche. La dichiarazione precompilata accettata dal contribuente sulla base dei dati forniti dall'amministrazione finanziaria e inviata senza modifiche, direttamente o tramite il sostituto d'imposta, non è soggetta a controllo formale. La medesima dichiarazione accettata senza modifiche, se presentata tramite CAF o professionista, è sottoposta a controllo formale, anche con riferimento ai dati relativi agli oneri forniti da soggetti terzi, indicati nella medesima dichiarazione precompilata dall'amministrazione finanziaria. Si tratta di un'evidente difformità.
  L'ultimo capitolo è quello della tassazione locale. È un tema che a noi, come CGIA, sta particolarmente a cuore. Purtroppo negli ultimi cinque anni, dal 2010 al 2014, cioè da quando in questo Paese si sono adottate una serie di misure di austerità e di rigore, le autonomie locali (regioni, comuni e province) hanno subìto importanti riduzione di risorse. Nel 2014 rispetto al 2010 i tagli ammontavano a circa 25 miliardi di euro. Di fronte a questi tagli, regioni ed enti locali hanno reagito, non solo aumentando la tassazione locale, ma anche riducendo la spesa. Nel corso degli ultimi anni, l'autonomia tributaria degli enti territoriali è progressivamente aumentata. Le regioni, ad esempio, possono incrementare maggiormente l'aliquota delle addizionali regionali IRPEF, mentre i comuni rispetto alla vecchia ICI possono incidere più profondamente sulla tassazione degli immobili. Particolarmente sentito dagli imprenditori è l'incremento della tassazione sugli immobili. Si tratta di un esborso non correlato al reddito, percepito come una forma di patrimoniale.
  Da nostre analisi, risulta che il prelievo sugli immobili strumentali (negozi, laboratori artigianali, capannoni, uffici) dal 2011, l'ultimo anno in cui abbiamo pagato l'ICI, al 2014, l'ultimo dato disponibile, è più che raddoppiato. Si è passati da 4,9 miliardi di gettito con l'ICI nel 2011 a oltre 10 miliardi tra IMU e TASI nel 2014. Vi faremo avere il documento. Si pensi che per negozi e botteghe l'aumento è stato del 137 per cento; per uffici e studi privati del 142 per cento; per gli immobili a uso produttivo di categoria D, come i capannoni, del 94 per cento; per i laboratori artigianali del 107 per cento. Si tratta di aumenti ingiustificati, che ovviamente hanno messo in difficoltà non poche attività.
  A rendere più pesante la tassazione sugli immobili si è aggiunto l'incremento del prelievo sui rifiuti. Sul punto non ci sono dati aggregati che ci consentano di fare delle comparazioni. Tuttavia, si può supporre un rilevante aumento, in concomitanza con le previsioni normative che hanno vincolato a una sempre maggiore copertura del costo del servizio. Nel Veneto in particolar modo, abbiamo fatto un monitoraggio molto attento, ma crediamo che la situazione sia ancor più pesante nel Mezzogiorno. Abbiamo visto aumenti di tassazione veramente ingiustificabili, senza un corrispondente miglioramento della qualità e della quantità del servizio offerto. Bene ha fatto, ad esempio, l'esecutivo la settimana scorsa, in materia di riforma del catasto, a far slittare tutto con la legge di stabilità, perché c’è una forte preoccupazione per quanto riguarda il mondo delle imprese. Abbiamo avuto modo di constatare che in questi ultimi anni c’è stato il tentativo di contenere la tassazione sulla prima casa. I sindaci hanno cercato di contenere, o addirittura diminuire rispetto a quando c'era l'ICI, il carico fiscale sugli immobili adibiti a prima casa. Il carico fiscale è invece aumentato notevolmente su beni strumentali e seconde o terze case. Stando alle disposizioni della legge-delega, secondo cui parrebbe che l'invarianza di gettito debba essere garantita a livello locale, abbiamo la preoccupazione che la riforma del catasto e la revisione delle rendite catastali vadano nella direzione già registrata negli anni scorsi, ovvero contenere la tassazione sulla prima casa e gravare sulle attività Pag. 10produttive. Peraltro, abbiamo osservato che nel 2014 oltre il 40 per cento dei comuni d'Italia, ovvero quattro su dieci, hanno portato l'aliquota massima IMU-TASI sugli immobili strumentali al 10,6 per mille.
  La riforma del catasto sarà legata anche alla nuova imposta, la local tax, che dovrebbe assorbire o eliminare l'IMU e la TASI e forse anche la TARI. Pertanto, va benissimo qualsiasi operazione di semplificazione che in qualche modo renda più trasparente il rapporto tra contribuente e amministrazione finanziaria. Ben venga, dunque, una tassa unica. Sta di fatto però che, se non si abbassa il carico fiscale, questa operazione non ci porterà lontano, perché ormai abbiamo raggiunto un livello di tassazione non più sostenibile. Come dicevo, a fronte di un aumento delle tasse, la qualità dei servizi, ahimè, purtroppo non è migliorata, per una serie di ragioni che non sto qui a ricordarvi. La tassazione a livello locale viene vissuta veramente come una forma inaccettabile di presenza dell'amministrazione finanziaria, in questo caso locale, sulle nostre realtà produttive.

  RAFFAELA BELLOT. Innanzitutto la ringrazio, perché ha fatto una panoramica esaustiva di tutta la situazione che in questo momento va a toccare le piccole imprese. Voi, come CGIA di Mestre, avete fatto un grosso lavoro sulle ricadute del federalismo fiscale a livello di tassazione, di imposte e di sistema economico nel Veneto. In parte, come diceva, ci sono miglioramenti, però c’è ancora molto da fare. Peraltro, la tassazione locale ovviamente comporta una ricaduta, perché gli enti locali trovano le compensazioni nella tassazione dei cittadini e devono farsi gabellieri di quello che viene sottratto loro. Sulla base del vostro lavoro, se il federalismo fiscale avesse avuto attuazione, di quanto saremmo riusciti a ridurre la tassazione, dovendo utilizzare questi altri sistemi, che ovviamente creano pesanti oneri aggiuntivi per le aziende ?

  ALESSANDRO PAGANO. Innanzitutto vi rivolgo i miei complimenti. Da sempre vi seguiamo, perché rappresentate ormai un punto di riferimento importante per chi voglia comprendere i fenomeni economici che attengono alla piccola e media impresa e in particolare agli artigiani.
  Ho due domande, tra le mille che potrebbero porsi. Ci sono 70 miliardi di debito, quindi c’è stato il fallimento dell'iniziativa legislativa di tre anni fa. D'altronde, non si poteva immaginare che con un decreto-legge dall'indomani si sarebbero pagati i debiti. È chiaro che la liquidità non c’è, perché non c’è allineamento tra costi sostenuti ed entrate. Si iscrivevano 100 euro in bilancio ed erano veri; si iscrivevano nelle entrate 100 euro ed erano falsi, perché ovviamente non entravano tutti. Il risultato è che la liquidità che manca è pari a 70 miliardi. Siccome il problema è serio, perché per immettere liquidità o si stampa moneta o non si capisce che cosa si può fare, vorrei sapere se avete fatto studi econometrici per capire se esistono soluzioni.
  Avete fatto cenno alla riforma del catasto e al carico fiscale degli immobili. Io vi sollevo da questo aspetto. Sono convinto che questo sarà il definitivo KO per l'Italia. L'italiano ha investito per anni in questo settore per convenzione, convinto che l'immobile fosse la salvezza di tutto. Gli artigiani erano i primi che si facevano la loro pensione comprando l'appartamentino. Anche l'impiegato, quando lo poteva fare, si comprava un buco in decima fila in un posto di mare o in collina. Tutti hanno investito i propri risparmi con quello che era considerato, per convenzione – non si capisce perché – il bene-rifugio per eccellenza, che non avrebbe mai perso valore. Oggi invece è una dannazione seria. Adesso arriveranno ulteriori aggravi. La riforma catastale va in questa direzione: tra vani da una parte e aumento delle rendite catastali dall'altra, sarà una patrimoniale bestiale, che sostanzialmente porterà l'italiano a non pagare le tasse. Diranno: «Venitevi a prendere quello che ho». Vorrei capire se anche su questo avete fatto degli studi econometrici con riferimento alle categorie più esposte, che Pag. 11saranno esattamente gli artigiani, i piccoli impiegati e i piccoli imprenditori, cioè coloro che negli anni, con i loro guadagni precedenti, hanno acquisito un bene che era un rifugio e che invece oggi è una dannazione.

  PAOLO ZABEO, coordinatore dell'ufficio studi dell'associazione artigiani piccole imprese di Mestre. Per quanto riguarda il tema del federalismo fiscale, ne siamo convinti assertori e abbiamo partecipato alle battaglie già a partire dalla metà degli anni 1990, quando nel Nord-Est, in particolar modo in Veneto, era partita l'iniziativa del movimento dei sindaci. Siamo convinti assertori del federalismo fiscale perché, dai nostri studi e dalle comparazioni con i Paesi che hanno adottato questa struttura organizzativa della macchina statale, abbiamo visto che Germania, Spagna e Austria, Paesi praticamente federali, hanno un costo della macchina pubblica circa la metà di quello dei Paesi unitari. Già questo la dice lunga sull'importanza di fare un percorso di avvicinamento a questo obiettivo, iniziato anche in Italia. Si è partiti a metà degli anni 1990 con la legge Bassanini e si è proseguito con la riforma del Titolo V nel 2001 e con le successive modifiche. Tuttavia, il percorso è ancora molto lungo e tortuoso e mi pare che si sia spento e fermato negli ultimi anni.
  L'operazione che fa in modo che le autonomie locali abbiano maggiori risorse a disposizione e capacità di spesa, dovendo però rispondere in prima battuta, e che elimina tutta la parte riguardanti i trasferimenti pubblici dallo Stato centrale alle periferie ovviamente potrebbe agevolare le regioni economicamente più avanzate, che sono quelle che spingono in questa direzione, e peggiorare le situazioni che le regioni più arretrate denunciano da tempo. Mi è chiaro che c’è un forte disallineamento nel Paese. Penso, ad esempio, alla sanità, che è un tema estremamente noto a tutti, dove da un lato ci sono i governatori del Nord che spingono in una direzione e dall'altro quelli del Sud che spingono nell'altra. Quando hai maggiori risorse e maggiore autonomia, devi rispondere in prima persona, ovviamente anche per quanto riguarda l'efficienza e l'efficacia dell'azione della macchina pubblica a livello locale. Credo, però, che tutto questo si sia inceppato. Sinceramente non so quanto sia stato voluto o meno. Sicuramente c’è stata una volontà politica che in questi ultimi anni ha visto accentrare maggiormente il potere a Roma rispetto al livello locale. Sicuramente c’è stata una forte spinta da parte dell'opinione pubblica, condizionata anche dagli oggettivi scandali a livello regionale. Qualcuno ha sostenuto che, se dobbiamo passare da un'efficienza a livello centrale alle ruberie a livello locale, forse è meglio che ci teniamo il meno peggio, ovvero la situazione attuale. Tuttavia, siamo convinti che il federalismo fiscale sia la strada giusta. Ci vuole la volontà politica. La spinta deve arrivare dal Governo. Mi pare che il Governo Renzi sia poco propenso a lavorare in questa direzione.
  La nostra mission è quella di portare avanti le istanze delle piccole e micro imprese. Bisogna riconoscere che, per quanto riguarda lo smaltimento dello stock di debito della pubblica amministrazione, in questi ultimi anni con Monti, Letta e Renzi si è data una forte spinta e sono stati pagati 56 miliardi.

  ALESSANDRO PAGANO. Prima erano 126 miliardi ?

  PAOLO ZABEO, coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre. Non si sa, perché non ci sono dati certi. C'erano solamente stime della Banca d'Italia, che parlavano di 90 miliardi. Adesso sembra che siano 70 miliardi. In realtà, sono 60 miliardi, perché le imprese hanno ceduto 10 miliardi pro soluto alle banche, quindi il debito è stato trasferito. Comunque, per le casse dello Stato c’è ancora un debito di 70 miliardi. Il problema è che, se si mettono i soldi a disposizione e si accelerano i pagamenti, ma si continua a pagare in Pag. 12ritardo, cioè in media entro 144 giorni rispetto ai 30-60 che impone la legge, il debito si accumula sempre di più. Si paga l'arretrato, però nel frattempo il debito si accumula.
  Ci sono responsabilità da parte delle amministrazioni pubbliche, magari inefficienti. C’è la responsabilità oggettiva degli enti locali, perché circa la metà di questi soldi sono in capo a loro. C’è un'oggettiva difficoltà a saldare le fatture, perché gli enti locali non hanno i soldi, soprattutto quelli in conto capitale, che subiscono i problemi legati al patto di stabilità. Ci sono una serie di paletti che vanno disarcionati. È chiaro che, se pagassimo tutti questi soldi domani mattina con un tocco di bacchetta magica, avremmo qualche problema sui conti pubblici. C’è una logica perversa a monte, per la quale si ritardano i pagamenti, perché altrimenti schizzeremmo in alto ancor più, per esempio, nel rapporto debito/PIL.
  La politica deve intervenire su questo. Bene ha fatto a mettere a disposizione 56 miliardi, però bisogna accelerare i tempi. Se c’è una direttiva, va rispettata. Non capisco perché gli altri la rispettino e noi no. La Spagna tre anni fa era nelle stesse condizioni dell'Italia, ma è riuscita a contrattare a livello europeo e a sbloccare i pagamenti, senza che questo gravasse sui conti pubblici. Forse questa strada potrebbe essere seguita anche dal nostro Paese.
  Per quanto riguarda il carico fiscale sugli immobili, ovviamente questo preoccupa anche noi. Vi cito alcuni esempi di gente in difficoltà che abbiamo avuto nel nostro territorio. Piccoli imprenditori o artigiani hanno chiuso l'attività, perché sono andati in pensione o mancava poco, e hanno ancora in capo dei capannoni, perché non sono riusciti a venderli e non possono affittarli a causa della crisi del mercato. Queste persone si trovano a pagare decine di migliaia di euro di IMU o di TASI, su immobili che non fruttano nulla. È chiaro che anche su questo va fatta un'operazione intelligente, perché è abbastanza singolare che ci venga detto che in fin dei conti la tassazione sugli immobili a uso abitativo esiste in tutta Europa. Questo è vero, ma c’è una differenza: in Italia l'80 per cento delle famiglie ha un'abitazione di proprietà, mentre negli altri Paesi siamo a livelli del 30-40 per cento. Il fenomeno da noi ha un peso estremamente più forte e deciso che negli altri Paesi. Prendiamo l'esempio delle seconde case. Siamo rimasti fermi all'idea degli anni 1960-70, per cui l'arricchito, ovvero il ceto medio, investiva i suoi soldi per acquistare l'abitazione al mare, in montagna o la villetta. Ormai non è più così: ci sono persone con una seconda casa ereditata dai genitori, per esempio.

  CARLA RUOCCO. Ho una domanda conclusiva. L'audizione è assolutamente condivisibile, anzi la ringrazio per la chiarezza.
  Resta un punto interrogativo su alcuni aspetti. Che ci sia tanto di sbagliato in questo sistema è innegabile. C’è una tassazione insostenibile e inqualificabile. Penso all'IMU sugli imbullonati e ad altre tipologie di tassazione sui beni strumentali, che distruggono e annientano totalmente il contribuente, portandolo a chiudere l'impresa. Tuttavia, secondo me, resta il fatto che bisogna stringere su proposte concrete di grande semplificazione fiscale per i piccoli contribuenti, perché l'alta burocrazia e gli adempimenti sono una componente che fa sprecare tantissimo tempo alle aziende, soprattutto a quelle di piccole dimensioni.
  C’è poi il nodo, per quanto impopolare, dell'evasione fiscale. Non c’è dubbio che vadano cercati i grandi evasori, che questo Governo non sembra molto interessato a stanare. Tuttavia, per rendere la vita più semplice a chi vuole vivere onestamente e pagare le tasse, cosa che oggi non è possibile, intanto bisogna trovare una proposta affinché il fisco sia trasparente e leale da una parte e dall'altra. Questo potrebbe essere un incentivo affinché il livello di tassazione possa essere equo e uguale per tutti, e non ci sia chi paga cento e, quindi, chiude domani mattina, e Pag. 13chi paga dieci, perché magari non dichiara. Avete un pacchetto di proposte per contemperare le esigenze di tutti gli operatori commerciali e di tutte le persone che vogliono stare tranquille e avere un rapporto col fisco senza l'angoscia continua di questa situazione così ispettiva ? Come pensate che si collochi in questo contesto l'attuazione della delega fiscale da parte del Governo ?

  PRESIDENTE. Ho anch'io due domande. La prima è una curiosità. Vi chiedo se avete questo dato, perché è sempre difficile recuperarlo. Qual è la differenza tra quanto l'Italia versa in Europa e quanto riceve dall'Europa ? Anche con dei professionisti, è sempre difficile capire qual è la differenza.
  Per quanto riguarda la ripresa, a vostro avviso, si tratta di ripresa reale o di fondi di magazzino che le aziende devono vendere ?

  PAOLO ZABEO, coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre. Per quanto riguarda il fisco, da vent'anni faccio questo mestiere. Sul tema dell'IRAP, degli studi di settore, dell'IRPEF e della tassazione locale, sappiamo dove andare a parare: bisogna abbassare le tasse. Questa è una tiritera che sentiamo da tempo. Noi diffidiamo dei politici che ci vengono a dire che domani mattina decidono di tagliare le tasse, perché in questo Paese le tasse si tagliano, se in maniera corrispondente ci viene detto dove si taglia la spesa pubblica, altrimenti un politico non è credibile. È inutile prendere in giro i cittadini e le imprese. Vista la situazione dei nostri conti pubblici, se si taglia la spesa di un tanto, c’è la possibilità di tagliare anche le tasse di un tanto, altrimenti l'operazione non sta in piedi. Prima di parlare di tagliare le tasse, bisogna che il Governo ci venga a dire se ha intenzione di tagliare la spesa pubblica e dove. Mi pare che sul versante della cosiddetta spending review ci sia qualche problema.
  Per quanto riguarda quello che chiamiamo «residuo fiscale», ovvero la differenza tra quanto diamo e quanto riceviamo dall'Europa, mi pare che il saldo sia positivo, cioè diamo molto di più di quanto riceviamo. Abbiamo fatto un'analisi. Non sono in grado di dirle il dato esatto, però glielo faccio avere, perché abbiamo la documentazione.
  Per ciò che concerne la ripresa economica, c’è qualche timido segnale di ripresa. Ovviamente è una ripresa di carattere statistico e non reale, perché abbiamo una composizione della nostra realtà produttiva che è fatta di micro e piccole imprese. Vi dicevo poc'anzi che il 95 per cento ha meno di dieci addetti e il 98 per cento ha meno di venti addetti. Peraltro, la stragrande maggioranza delle nostre imprese lavora per il mercato domestico e non esporta. Dunque, se non ripartono i consumi interni, soprattutto quelli delle famiglie, le piccole imprese, l'artigianato e il commercio risulteranno costantemente in difficoltà e non saranno in grado di agganciare quei timidi segnali di ripresa, che sono trainati prevalentemente dall’export e dal settore dall'auto, settori dove la piccola impresa, che è la stragrande maggioranza della nostra realtà, ha un'incidenza estremamente contenuta. È vero che c’è una situazione favorevole, legata al costo del petrolio che non è stato mai così basso, al deprezzamento dell'euro sul costo del dollaro, allo spread, però ci sono anche una serie di incognite (la Grecia, la situazione in Medioriente), che potrebbero in qualche modo rovesciare questa situazione. Pertanto, il clima è ancora molto pesante e difficile. Siccome fatto cento il PIL, cioè la ricchezza prodotta nel nostro Paese, il 60 per cento è dato dai consumi delle famiglie e il 20 per cento dai consumi della pubblica amministrazione, se non ripartono questi, cioè da un lato le famiglie non tornano a consumare e dall'altro lato la pubblica amministrazione non comincia a fare investimenti pubblici, è difficile uscire fuori da questa situazione, che ci portiamo dietro ormai da sette anni.Pag. 14
  Le farò avere i dati di cui le parlavo poc'anzi.

  PRESIDENTE. Ci farebbe piacere avere anche la sua relazione, che è molto interessante.

  PAOLO ZABEO, coordinatore dell'ufficio studi dell'Associazione artigiani piccole imprese di Mestre. Conto entro domani o al massimo venerdì di fargliela avere.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 9.30.