XVII Legislatura

XI Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 29 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULLA GESTIONE DEI SERVIZI PER IL MERCATO DEL LAVORO E SUL RUOLO DEGLI OPERATORI PUBBLICI E PRIVATI

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
Rizzetto Walter , Presidente ... 3 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 3 
Marocco Manuel , Ricercatore dell'ISFOL ... 6 
Rizzetto Walter , Presidente ... 8 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 8 
Dell'Aringa Carlo (PD)  ... 8 
Rostellato Gessica (M5S)  ... 9 
Prataviera Emanuele (LNA)  ... 10 
Rotta Alessia (PD)  ... 10 
Rizzetto Walter , Presidente ... 10 
Marocco Manuel , Ricercatore dell'ISFOL ... 10 
Tinagli Irene (SCpI)  ... 10 
Marocco Manuel , Ricercatore dell'ISFOL ... 11 
Varesi Pietro Antonio , Presidente dell'ISFOL ... 11 
Rizzetto Walter , Presidente ... 13 

ALLEGATO: Documentazione presentata dai rappresentanti di ISFOL ... 15

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE WALTER RIZZETTO

  La seduta comincia alle 14.05.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati.

Audizione di rappresentanti dell'ISFOL.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, l'audizione di rappresentanti dell'ISFOL.
  Avverto che i rappresentanti dell'ISFOL hanno messo a disposizione della Commissione un documento di cui autorizzo la pubblicazione in allegato al resoconto stenografico della seduta odierna (vedi allegato).
  Nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulla gestione dei servizi per il mercato del lavoro e sul ruolo degli operatori pubblici e privati, la Commissione intende acquisire elementi utili sul settore, anche in vista delle riforme avviate con la presentazione del disegno di legge governativo recante deleghe legislative in materia di lavoro, attualmente all'esame del Senato.
  Sono presenti il Presidente dell'Istituto, professor Pietro Antonio Varesi, e il dottor Manuel Marocco, ricercatore, che ringrazio per la loro presenza.
  Do la parola al professor Varesi.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Grazie, presidente. Siamo noi che siamo onorati per l'invito che ci è stato rivolto.
  Ci siamo già incontrati altre volte, ma in questo caso il tema è quello dei servizi per l'impiego, e abbiamo pensato di dare un contributo basato sulle indagini che abbiamo svolto su questo argomento, fornendo, pur nei limiti del tempo concesso, un quadro comparato, che metta a confronto la situazione nazionale con quella di altri Paesi europei, in particolare di quelli più importanti o più vicini.
  Il nostro contributo si dividerà in due parti: alcune osservazioni di comparazione sull'assetto istituzionale dei sistemi dei servizi per l'impiego nei vari Paesi europei, che svolgerò brevemente, e una seconda parte di comparazione delle risorse investite dai diversi Stati, del personale utilizzato, dei costi e delle performances dei diversi sistemi, che verrà svolta dal dottor Marocco.
  Procedo quindi allo svolgimento della prima parte. Perché l'attenzione all'assetto istituzionale e organizzativo dei servizi per l'impiego in un'ottica comparata ? Perché l'assetto italiano è diverso da quello dei principali Paesi europei e quindi ci premeva sottolineare questo elemento.
  In Europa prevalgono sistemi nazionali (nazionali non significa statali), in cui anche la ricca articolazione che assumono trova modo di coordinarsi e offrire l'immagine di un sistema integrato a livello nazionale. Quasi tutti i Paesi per raggiungere questo obiettivo organizzano i loro sistemi affidando l'erogazione dei servizi per l'impiego a strutture di tipo agenziale. Non è quindi il Ministero del lavoro che gestisce l'erogazione dei servizi, ma sono Pag. 4queste agenzie che erogano i servizi ai cittadini, ai lavoratori e alle imprese.
  In tutti i Paesi il servizio è erogato da strutture collocate capillarmente sul territorio, che dal punto di vista del modello ideale assomigliano molto ai nostri centri per l'impiego, assumono nomi diversi, ma la sostanza è questa: avere una struttura sul territorio che eroga servizi ai cittadini e ai lavoratori all'interno di una grande struttura di carattere agenziale.
  Queste agenzie a volte sono statali, altre volte sono federali, in altri casi sono regionali o territoriali, quindi non esiste un modello uniforme in tutta Europa per quanto riguarda la configurazione giuridica o l'assetto organizzativo di queste agenzie.
  Vi è comunque una presenza capillare sul territorio delle strutture di cui parlavo, ma queste sono collegate tra loro da meccanismi di integrazione e coordinamento, che danno visibilità, concretezza, organicità alla politica nazionale del lavoro.
  In alcuni Paesi importanti (questo è un elemento molto delicato perché le scelte sono diverse), coloro che gestiscono le politiche attive sono chiamati a gestire anche le politiche passive, cioè i sussidi di disoccupazione. I principali esempi sono la Germania e la Francia, principali in quanto Paesi importanti, di dimensioni simili alla nostra. Si tratta di Paesi che hanno maturato questa scelta in epoche molto diverse.
  La Germania ha una lunghissima tradizione nel far gestire alle strutture che erogano i servizi per l'impiego anche i sussidi, in Francia la scelta risale al 2008, con il Governo che ha deciso di unire l'Agenzia nazionale per l’ impiego con il settore che invece pagava i sussidi di disoccupazione. Dalla grande riorganizzazione di queste due strutture, dalla fusione di ANPE e ASSÈDICpe e assedic è emerso questo nuovo soggetto, Pôle emploi.
  Questa scelta è stata fatta in Francia nel tentativo – invero non facile – di rendere effettivo il principio di condizionalità, per cui qualunque sostegno al reddito erogato al lavoratore disoccupato è subordinato all'impegno e alla cooperazione dal lavoratore a iniziative di politica attiva del lavoro.
  Questo principio, che è affermato in tutte le leggi di tutti i Paesi europei, non è facile da praticare. Se parlate con un legislatore e avete occasione di intervistare coloro che gestiscono i servizi per l'impiego, tutti nei corridoi vi dicono che l'applicazione del principio di condizionalità non è facile.
  La Francia ha ritenuto, quindi, che, per dare concretezza a questo principio di condizionalità, fosse opportuno fondere le due strutture in modo da renderle capaci di erogare contemporaneamente servizi e sussidi, alla luce del principio di condizionalità.
  Svolgo un'ultima osservazione di carattere generale: in un panorama con alcuni elementi caratteristici comuni, vanno segnalate alcune peculiarità. La prima che vi segnalo è quella della Spagna, il cui sistema di servizi per l'impiego si basa sulla ripartizione dei poteri fra Stato e Regioni, che è a geometria variabile. Non troverete quindi lo stesso modello istituzionale e organizzativo su tutto il territorio spagnolo, ma in alcune regioni troverete oficinas de empleo gestite dalle comunità locali, in altre gestite dalle regioni. Essendo il sistema a geometria variabile, lo Stato tratta con la regione di riferimento il modello organizzativo che viene applicato.
  Il secondo caso che vi segnalo è quello del Belgio, che aveva un sistema fortemente centralizzato, tutto statale, ma con il passaggio alla forma di Stato federale anche l'agenzia nazionale è stata divisa in tre agenzie federali. Veniamo ora all'Italia, al paragone tra questo panorama e il nostro sistema, quello che abbiamo disegnato con il decreto legislativo n. 469 del 1997 e poi con il decreto legislativo n. 276 del 2003, costituzionalmente rafforzati dalla riforma del Titolo V del 2001.
  Nel decreto legislativo n. 469 del 1997 abbiamo sognato di affidare i servizi per l'impiego a sistemi regionali per l'impiego. Se ricordate, nella rubrica dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 469 del 1997 si fa Pag. 5riferimento a sistemi regionali per l'impiego, quindi il nostro Paese sembrava andare verso un sistema in cui l'azione dello Stato e l'azione delle regioni dovevano essere coordinate e integrate.
  Di fatto, come tutti sappiamo (a quindici anni di distanza possiamo dircelo), questo sistema ha generato una realtà molto diversificata, non solo da una regione a un'altra, ma anche all'interno delle diverse regioni, quindi da provincia a provincia. Province limitrofe, province con situazioni economico-sociali molto simili, province con amministrazioni di colore politico identico hanno espresso risultati molto diversi, e le province sono diventate quindi il soggetto istituzionale con maggiori compiti e funzioni in questo ambito.
  Dalle scelte delle province, che sono risultate assai variegate, è dipesa la performance complessiva del sistema. In alcune realtà più sensibili al tema abbiamo avuto la possibilità di ammirare esperienze molto interessanti, che, fatta la debita tara, sono paragonabili alle migliori esperienze europee, in altre realtà, specie nel sud del Paese (mi spiace dirlo) dal 1997 ad oggi il principale cambiamento è stato solo quello dell'insegna all'entrata dell'ufficio, su cui prima era scritto «sezione circoscrizionale per l'impiego» e poi «centro per l'impiego».
  Avendo incentrato il nostro sistema sulle province, il superamento in atto delle vecchie province rappresenta un fattore di grande preoccupazione, perché mette in condizioni di forte turbolenza i centri per l'impiego, le strutture di base dipendenti dalle vecchie province e l'asse portante del disegno che avevamo costruito.
  Quel poco o tanto che eravamo riusciti a costruire in materia di servizi pubblici per l'impiego viene oggi messo in una condizione di forte turbolenza dalla revisione dell'assetto istituzionale, in particolare dal superamento delle vecchie province.
  Segnalo in proposito che lo strumento di elezione per il legislatore per affiancare il privato sociale ai centri per l'impiego, cioè quello che doveva far sì che anche in Italia il sistema pubblico di servizi per l'impiego fosse composto dai centri per l'impiego più soggetti privati (prevalentemente del privato sociale), era l'accreditamento.
  Questo, disciplinato dalla legislazione statale con il decreto legislativo n. 276 del 2003, è stato ripreso e accettato dalle regioni solo in poche realtà; dodici hanno legiferato, solo sette hanno dato concreta applicazione: quindi, sette su venti non è un risultato esaltante.
  Quanto ai privati, cioè i soggetti autorizzati che svolgono servizi per l'impiego normalmente a fini di lucro e per soddisfare le esigenze espresse dalle imprese, questi hanno saputo insediarsi, presidiare e consolidare la loro area, quella di chi offre servizi ai datori di lavoro guardando al mercato con gli occhi dell'impresa, cercando il lavoratore più adatto alle richieste di manodopera espresse dall'impresa, quindi guardando non alle politiche del lavoro ma alle esigenze del loro committente, che è l'impresa.
  Per comprensibili ragioni, però, il loro insediamento si è limitato alle aree più ricche del mercato, dove la richiesta di questi servizi era più vivace. Se guardate la mappa, per quanto riguarda la presenza di soggetti privati ci sono aree del Paese totalmente sguarnite, ed è comprensibile, in quanto chi cerca clienti va dove ci sono. Questi soggetti hanno inoltre dimostrato di risentire della crisi, tanto che alcune di queste società hanno fatto ricorso ad ammortizzatori sociali.
  Poiché siamo in una fase che sembra preludere a importanti cambiamenti anche costituzionali, oltre a quelli derivanti dal disegno di legge che è al Senato e che poi verrà da voi, se è consentito segnalare un'avvertenza al legislatore, alla luce del panorama europeo a me parrebbe necessario segnalare l'esigenza di incamminarci verso la costruzione di un sistema non più frammentato, come quello che abbiamo costruito con il decreto legislativo n. 469 del 1997. L'articolazione che si riterrà opportuno mantenere potrà essere varia, non voglio non sottolineare a sufficienza l'importanza di un sistema che abbia le sue articolazioni interne, perché in una Pag. 6realtà molto variegata e diversificata come quella italiana le articolazioni sono fondamentali, purché però queste articolazioni non impediscano la creazione di un sistema nazionale.
  Purtroppo il danno determinato dalle precedenti riforme che abbiamo dovuto registrare è che abbiamo avuto tanti sistemi locali, alcuni di buona qualità, altri pressoché inesistenti, ma abbiamo fatto fatica a vedere un sistema nazionale.

  MANUEL MAROCCO, Ricercatore dell'ISFOL. Presenterò fondamentalmente un paper, un articolo pubblicato nella collana ISFOL, che inquadra il tema dei servizi per l'impiego in ambito europeo, facendo uso di dati Eurostat. Condivido la responsabilità di questo lavoro con la dottoressa Francesca Bergamante, mia collega ricercatrice all'ISFOL.
  Il motivo che ci ha indotto a svolgere questo lavoro deriva dal fatto che, come certificato dal professor Varesi, il tema dei servizi per l'impiego e delle politiche attive ha una forte spinta esogena, comunitaria. Le politiche attive e le strutture deputate alla realizzazione delle politiche attive e ai servizi pubblici per l'impiego sono al centro della strategia europea per l'occupazione, quindi da più di un ventennio abbiamo visto che nel Libro bianco di Delors, che è una delle basi portanti della politica sociale europea, vi era un espresso riferimento alle politiche attive e ai servizi per l'impiego.
  Tra l'altro, si diceva che i servizi per l'impiego, sebbene un investimento in materia potesse gravare sui bilanci dello Stato, avrebbero potuto avere una funzione di moltiplicatore occupazionale, cioè avrebbero consentito nel tempo di aiutare i disoccupati a modificare la propria occupabilità e a trovare un nuovo lavoro. Si tratta di un invito pressante, costantemente indicato a livello comunitario.
  Trascorso del tempo, quindi, ci siamo interrogati sullo stato dell'arte dei servizi per l'impiego a livello dell'Unione europea, affidandoci alla fonte Eurostat. Tra i documenti che abbiamo predisposto in occasione di questa audizione vi è anche una presentazione.
  A pagina 5 della presentazione in PowerPoint, uno degli indicatori più importanti che vengono certificati dall'Eurostat è la spesa dedicata ai servizi per il lavoro sul PIL, quindi non vi è un indicatore assoluto, ma è relativizzato, facendo riferimento a un indicatore rilevante sulla capacità di un Paese.
  Come vedete, abbiamo considerato non solo la percentuale rispetto al PIL, ma anche la variazione tra un anno antecedente alla crisi, il 2008, e il 2011, nel corso della crisi. I dati mostrano come alcuni Paesi abbiano investito e continuato a investire nei servizi per l'impiego, in particolare i Paesi europei dell'area continentale e quelli scandinavi, mentre i Paesi mediterranei nel corso del tempo hanno diminuito la spesa dedicata ai servizi per l'impiego. L'Italia purtroppo rileva nello scarto temporale tra il 2008 e il 2011 una variazione in negativo di 200 milioni di euro.
  La pagina successiva mostra a destra i numeri assoluti dello staff, perché un importante indicatore dell'investimento nel servizio pubblico è rappresentato non solo dalla spesa dedicata, ma anche dallo staff dedicato. Anche in questo caso è possibile verificare come (il riferimento nella tabellina è solo al 2011) alcuni Paesi continuino a dedicare uno staff decisamente congruo ai servizi per l'impiego pubblici, probabilmente adeguato alle condizioni dei mercati del lavoro nazionali.
  Nel grafico accanto, invece, il dato è relativizzato, quindi il riferimento è alla popolazione attiva, e anche in questo caso è una comparazione tra il 2008 e il 2011, quindi sempre tra periodo pre-crisi e in costanza di crisi. È quindi evidente che i Paesi mediterranei continuano a soffrire e che lo staff indica un aumento dei carichi di lavoro del personale dei servizi pubblici.
  A pagina 8 abbiamo tentato di discutere di un indicatore che è piuttosto al centro dell'attenzione, il cosiddetto «tasso di penetrazione». Siamo andati a vedere non solo il ricorso ai diversi canali nella Pag. 7ricerca, cioè a chi si rivolgano i disoccupati nella ricerca di lavoro, ma anche il successo dei vari attori pubblici e privati nel reperire un'occupazione. Su questo più avanti farò delle riflessioni che ci paiono rilevanti e comunque sono ampiamente discusse nell'ambito del paper allegato.
  A pagina 8 ci sembra interessante sottolineare che abbiamo comparato il ricorso dei disoccupati ai diversi canali. Si tratta di una ricerca multicanale, perché i disoccupati non si rivolgono a un unico canale, ma per raccogliere informazioni, cercare lavoro e usufruire di una politica attiva fanno riferimento a più attori.
  L'elemento più rilevante è che in Paesi come la Germania sembra esserci una relazione tra la capacità del sistema pubblico o del sistema misto complessivo e il «mangiare terreno» rispetto ai canali informali. Dove la presenza dell'attore pubblico o privato, il canale formale, è più forte, questo canale riesce a «mangiare terreno» rispetto ai canali informali, ovvero alle reti amicali e parentali, all'autocandidatura e agli annunci. Da questo punto di vista il maggiore investimento in Germania nei canali formali ha avuto un effetto: erodere terreno ai canali informali.
  Gli ultimi dati presentati riguardano il tasso di penetrazione, cioè la quota di lavoratori dipendenti che hanno trovato lavoro tramite il servizio pubblico. Il tasso di penetrazione è un indicatore piuttosto pericoloso, non completo, imperfetto, perché i servizi pubblici non trovano solo lavoro, ma svolgono anche tante altre attività.
  In uno degli ultimi documenti della Commissione europea si afferma che i servizi per l'impiego si devono trasformare in agenzie di transizione, cioè devono aumentare la platea di soggetti serviti, aiutando chi si rivolge a loro a risolvere tutte le possibili transizioni dentro e fuori il mercato del lavoro, che non sono ormai più solo occupazione e disoccupazione. Pensate all'utilizzo di un congedo, alla maternità, laddove la platea dell'utenza è molto più ampia.
  Per verificare l'efficienza del sistema sarebbero molto interessanti anche i dati sulle vacancies, le candidature, perché potrebbero garantire quanto la domanda di lavoro sia sicura. Purtroppo i dati sulle vacancies non sono disponibili in tutti i Paesi e quindi non è stato possibile comparare questo dato.
  Pur preso con i dovuti caveat il dato dei tassi di penetrazione, l'elemento piuttosto evidente presentato a pagina 10 è l'esistenza di sistemi più efficienti. In generale, il canale pubblico intermedia più di quello privato e ci sono alcuni Paesi che in corrispondenza dell'investimento compiuto presentano dei dati piuttosto importanti dal punto di vista della quota di lavoratori intermediati.
  Per focalizzare l'attenzione sull'Italia, l'evidenza è che c’è una gracilità complessiva del sistema, che riguarda quindi non solo l'attore pubblico, ma anche quello privato. I dati qui presentati sono quelli Eurostat, ma nel paper sono presentati anche quelli di Eurociett, la Confederazione internazionale delle agenzie di somministrazione, e i dati Eurostat trovano una conferma sui tassi di penetrazione anche nei dati Eurociett, almeno per quanto riguarda l'Italia.
  L'ultimo dato, presentato a pagina 11, è relativo ai costi dell'intermediazione. Per spezzare una lancia in favore del servizio pubblico, l'evidenza è che l'Italia non è messa così male nel confronto comparato, se si considera la spesa media per lavoratore dipendente intermediato dagli SPI, quindi, in relazione a un investimento calante nel tempo. Se si considera la spesa media per le persone intermediate, in effetti non siamo troppo lontani da altri Paesi e non così distanti dalla media europea.
  Nel paper affermiamo quindi che i dati Eurostat confermano due elementi fondamentali: l'investimento paga rispetto al confronto tra canali formali e canali informali, cioè i Paesi che più hanno investito nei canali formali hanno «mangiato terreno» a quelli informali, e la gracilità complessiva del sistema dei servizi per Pag. 8l'impiego italiani, e ciò si riconnette con quanto illustrato dal professor Varesi.

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai colleghi che intendano porre domande o formulare osservazioni.

  IRENE TINAGLI. Grazie, presidente. Vi ringrazio per la disponibilità. Per quanto riguarda la tabella a pagina 11 sulla spesa per lavoratore dipendente, mi chiedevo come fosse calcolata nei Paesi che uniscono politiche attive e passive. Mi chiedevo se in un'agenzia che fa politica sia attiva che passiva – e che, quindi, oltre a dare lavoro, eroga anche sussidi – tale onere venga computato nel costo del lavoratore intermediato oppure no, perché chiaramente questo cambia tantissimo. Se dovessimo aggiungere per ciascun lavoratore il costo del sussidio che gli è stato erogato – della cassa integrazione e di quant'altro – tale fattore cambierebbe le cose anche per noi. Mi chiedo, quindi, come viene calcolato questo costo nei Paesi di cui parlavamo prima. Mi manca un indicatore (mi scuso, forse c’è nel paper, ma non è nella presentazione), quello del rapporto tra quanti hanno trovato lavoro tramite i servizi per l'impiego e quanti vi si sono rivolti, perché il dato di quanti hanno trovato lavoro ci dà un indicatore più specifico dell'efficienza del servizio. Infatti, se lo si parametra sul dato complessivo che riguarda coloro che trovano lavoro, emerge una percentuale molto piccola. Lo stesso per quanto riguarda il sovradimensionamento o il carico di lavoro degli operatori dei centri per l'impiego, che, più che vederlo calcolato sul totale di tutta la popolazione attiva, mi piacerebbe vederlo calcolato sulle persone che si sono rivolte a questi centri, perché questo determina l'effettivo carico di lavoro all'interno. Se il centro lavora per tutta la popolazione attiva, l'ambizione è che siano tanti quelli che ci si rivolgono, ma se sono pochi il carico di lavoro magari è diverso. Questo è quindi un indicatore che sarebbe importante avere.
  Mi chiedevo se ci fossero i dati anche sul tipo di occupazione trovata e attivata, quindi che tipologie di contratti vengano attivati con questi servizi, se ci siano dei settori in cui questi servizi mostrano livelli di successo maggiori, quindi i settori che vi fanno maggiore ricorso e quelli più deboli, per capire dove siano le maggiori criticità.
  Mancano degli indicatori di costo e di efficienza per i servizi privati, quindi vorrei sapere se sia un problema, se esistano e siano reperibili, perché, nell’’ottica di creare una rete di collaborazione tra servizi pubblici e privati, interessa confrontare anche le due tipologie di efficienza, di costo, di specializzazione.
  Magari i centri pubblici possono essere particolarmente efficaci in alcuni ambiti, in alcuni settori, quelli privati in altri, quindi questi dati sarebbero preziosi per capire come costruire una rete di collaborazione davvero utile.

  CARLO DELL'ARINGA. Desidero manifestare apprezzamento per questo lavoro veramente molto utile per le notizie che fornisce: come dice il titolo, oltre ad alcune conferme alcune sorprese, come quella dell'ultima tabella commentata, che implicitamente risponde, sia pure solo in parte, a critiche eccessivamente feroci, spesso giustificate, ma talvolta ingiustificate, nei confronti del funzionamento dei centri per l'impiego.
  Mettendo a confronto dati di fonte in parte diversa, si riesce a stimare, sia pure in modo molto approssimativo, il costo in termini di euro o di monete equivalenti per ogni lavoratore che dichiara di aver trovato lavoro attraverso i servizi per l'impiego.
  Non c’è dubbio che la percentuale di coloro che sono intermediati – cioè non di coloro che si rivolgono al centro per l’ impiego, perché questi sono una percentuale elevata in Italia, pari a quella degli altri Paesi, ma di coloro che dicono di aver trovato un lavoro tramite l'intermediazione del centro per l'impiego pubblico – è bassa, ma, se rapportata alla spesa effettuata per il personale impiegato, viene fuori una cifra di 8-9.000 euro per ogni lavoratore che dice di essere intermediato, che si pone nella parte inferiore della Pag. 9graduatoria dell'Eurostat fra i vari Paesi.
  Da questa tabella emerge come alcuni Paesi, come l'efficiente Regno Unito, spendano 18.000 euro all'anno per ogni lavoratore intermediato. Sono cifre molto elevate anche nel caso italiano (9.000 euro) e questo ha fatto concludere una recente ricerca condotta dalla Confartigianato che per ogni lavoratore intermediato bisogna occuparne un altro nel servizio pubblico, il che sembra un moltiplicatore spaventoso.
  I dati vanno accolti sempre con beneficio d'inventario, ma questo dà un'idea approssimativa del grado di efficienza ed è utile per combattere altre indicazioni quantitative che sono sbagliate, perché non c’è dubbio che la quantità di prodotto di un qualsiasi servizio o impresa deve essere proporzionata alla quantità dei fattori produttivi impiegati, per calcolare l'efficienza.
  Parlare solo di percentuale di lavoratori in termini di atti è parziale e fuorviante, se non si dice quanti soldi si investono. Questo tentativo è molto utile e andrebbe certamente approfondito.
  Questa tabella spinge ciascuno di noi alla curiosità di avere altri dati. È possibile averli, tenendo presente però che un conto è avere dati nazionali e avere dati confrontabili fra diversi Paesi. Sono sicuro che anche per costruire questa tabella si siano fatti salti mortali, e non è un caso che sia emersa solo da pochi mesi, quando da vent'anni si parla di efficienza dei centri per l'impiego.
  È una tavola che usa anche fonti diverse. Purtroppo altre curiosità potrebbero essere soddisfatte sulla base di ricerche e dati disponibili a livello nazionale, mentre è molto più difficile ottenerle in altri Paesi e poterle mettere a confronto. Sforzi di questo genere dovrebbero essere fatti a livello europeo, soprattutto da Eurostat, in modo da farci capire bene dove si collochi il nostro centro per l'impiego rispetto agli altri.
  Si tratta di una stima approssimativa perché i dipendenti dei centri per l'impiego non fanno un solo mestiere, ma ne fanno diversi. Uno dei loro mestieri, il principale, è quello di intermediare la manodopera, di mettere a contatto domanda e offerta di lavoro, ma ricordiamo che nelle diverse circostanze dei diversi Paesi i centri per l'impiego fanno altre cose, fanno politiche attive e anche orientamento e formazione, quindi producono un risultato che possiamo definire, in termini di occupabilità generale, che non direttamente va a finire in un incontro tra domanda e offerta nel breve periodo.
  Ricordiamo poi che nel caso italiano gran parte del lavoro dei dipendenti dei nostri centri per l'impiego è costituito da operazioni di carattere burocratico come l'accertamento dello stato di disoccupazione, che non ha niente a che fare con l'intermediazione fra domanda e offerta.
  Se si dovesse tener conto di tutti questi elementi, il fatto che ci sia questa percentuale di collocamento del 3-4 per cento, potrebbe essere definita quasi un miracolo in termini positivi rispetto alle performances di altri Paesi.
  Questa è una caricatura e non vuole essere una conclusione ragionata, che deriva dalla lettura di questa tabella, ma è una caricatura che va nella direzione giusta, cioè riportare il ragionamento su dati ragionevoli di confronto fra i vari Paesi.
  Questo è molto utile, perché quando si dovrà decidere quale assetto istituzionale e quali risorse impiegare nella costituenda agenzia per il lavoro, è opportuno che chiunque di noi, quando sarà chiamato a portare il proprio contributo per decidere su questa materia abbia informazioni ricche ma soprattutto attendibili e affidabili.

  GESSICA ROSTELLATO. Ringrazio i relatori ai quali volevo chiedere di specificare meglio cosa intendeva il professor Varesi affermando che ci vuole un sistema meno frammentato, quindi nazionale.
  Vorrei capire se intendesse richiamare l'esigenza di garantire servizi di livello standard in tutta Italia oppure se si riferisse a quella di far rientrare nell'ambito della gestione dei servizi per l'impiego anche l'erogazione di prestazioni come quella per la disoccupazione. Vorrei altresì sapere se, secondo lei, sia necessario mantenere una specificità regionale o provinciale Pag. 10come l'attuale, magari solo in parte, rispettando un determinato standard a livello internazionale e lasciando libertà a Regioni e Province soprattutto sulle politiche attive.
  In base alla mia esperienza posso dire che in Veneto il fatto che le politiche attive siano studiate sul territorio è una ricchezza, laddove il territorio non può essere preso in considerazione solo a livello regionale, perché, ad esempio, nella mia regione ci sono zone completamente diverse; tra Rovigo, Padova e Belluno ci sono differenze anche di tipologia di aziende, settori non comparabili, che sarebbero difficili da gestire anche nell'ambito di politiche attive a livello regionale. Vorrei conoscere la sua opinione su come si possa affrontare tale questione, in base alla sua esperienza.

  EMANUELE PRATAVIERA. Sarò brevissimo, solo per chiedere un'opinione personale, visto il vostro particolare osservatorio sul ruolo che dovrebbero avere sia il settore della scuola e dell'università, sia il lavoratore autonomo, quindi il mondo delle Camere di Commercio, in un’ ottica di inclusione o di reinserimento sociale.
  Da ultimo, vorrei conoscere il vostro punto di vista sul grado di efficacia del reinserimento al lavoro o della necessità di operare per la ricollocazione dei lavoratori quarantenni e cinquantenni, che si trovano senza lavoro.
  Anche un'analisi accurata dell'età di chi cerca lavoro e di chi rimane escluso deve influire.

  ALESSIA ROTTA. Solo una precisazione. In un'ottica di riorganizzazione delle politiche attive, come diceva il presidente Varesi esprimendo preoccupazione per il riassetto delle province, mi chiedevo se, in base al confronto con altre nazioni dell'Europa, possa dirci qualcosa di più sul rapporto tra pubblico e privato, privato e sociale, che in Italia non ha trovato piena attuazione.
  Basterebbe che tutte le regioni recepissero quanto previsto a livello legislativo, oppure dal confronto con gli altri Paesi potrebbero giungere importanti suggerimenti ?

  PRESIDENTE. Grazie. Do la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MANUEL MAROCCO, Ricercatore dell'ISFOL. Anzitutto, ringrazio per le domande rivolte. Per rispondere in particolare alle prime domande che mi sono state rivolte, vanno immediatamente fatte alcune precisazioni sulla fonte dei dati, l'Eurostat, che raccoglie i dati sulle politiche per l'occupazione, dividendo in complessive nove voci i dati finanziari dedicati alle politiche per l'occupazione. Dalla voce 1 fino alla voce 7 sono le politiche attive, la 8 e la 9 sono quelle dedicate alle politiche passive.
  È possibile quindi fare un confronto e avere informazioni sui dati relativi alla spesa e alle politiche passive, però in quest'ambito non abbiamo fatto riferimento alle politiche passive. Da questo punto di vista, anche nell'andamento nel tempo, nel confronto tra politiche passive e politiche attive c’è qualche sorpresa rispetto all'Italia, nel senso che tendenzialmente si dice che le politiche passive sono quelle a cui l'Italia dedica un maggiore sforzo finanziario.
  Limitando il confronto alla spesa dedicata alle politiche passive e a quella per le politiche attive, negli ultimi anni c’è stato un piccolo spostamento: maggiori risorse sono state dedicate alle politiche attive – anche se poi il confronto comparato con gli altri Paesi testimonia un altro andamento – e minori risorse alle politiche passive.
  Per i dati sul tasso di penetrazione, comparati e relativizzati, l'ultimo grafico di cui si parlava in precedenza fa riferimento esclusivamente ai dati relativi ai servizi per l'impiego, quindi la prima voce dei dati Eurostat riguarda proprio la spesa rispetto al PIL dedicata ai servizi pubblici per l'impiego.

  IRENE TINAGLI. Non solo del personale...

Pag. 11

  MANUEL MAROCCO, Ricercatore dell'ISFOL. Come richiamato in precedenza, i dati sullo staff non sono di fonte Eurostat; non per tutti i Paesi sono disponibili, quindi noi abbiamo dovuto ricostruire quella tabella facendo riferimento a una pluralità di fonti, non esclusivamente Eurostat.
  È importante sottolineare il fatto che l'utenza del servizio pubblico è molto più ampia di quella dei disoccupati in senso stretto, però i dati presentati a pagina 8 fanno riferimento alla quota di disoccupati che si è rivolta al canale pubblico, a quello privato, quindi ai canali formali, nonché a chi dichiara di aver cercato un'occupazione facendo riferimento a canali informali. Da questo punto di vista, in parte risponde al quesito relativo a chi si rivolge ai canali formali.
  Con riguardo ai dati sugli operatori privati, dai dati Eurostat si evince solo il tasso di penetrazione, quindi la quota e il confronto con l'attore pubblico. Dei dati – pur molto interessanti – relativi ai settori e allo staff impiegato presso gli operatori privati la fonte di riferimento non è l'Eurostat ma è Eurociett, che è la Confederazione internazionale delle agenzie private.
  Nel paper abbiamo presentato il dato relativo al tasso di penetrazione. Mi pare che ci siano anche dei dati relativi allo staff, però non lo ricordo con esattezza. Se quindi la Commissione è interessata ad avere questi dati, provvederemo a inviarli e nel prossimo paper li studieremo più a fondo.
  Penso di aver tentato di rispondere a tutti i quesiti relativi ai dati.

  PIETRO ANTONIO VARESI, Presidente dell'ISFOL. Per quanto riguarda alcune domande che mi sembra abbiano toccato più la mia introduzione, posso dire solo che innanzitutto la nostra intenzione nell'illustrare questo panorama comparato a livello europeo fosse quella di mettere in evidenza come i centri per l'impiego, nella loro debolezza derivante dalla scarsità di risorse e di personale, non siano a nostro avviso attaccabili nella maniera forsennata in cui vengono spesso attaccati sui giornali o in televisione per due ragioni.
  Svolgono una gamma di servizi più ampia rispetto a quella dell'intermediazione, e qui non possiamo dimenticare che la storia dei centri per l'impiego è figlia della storia di questo Paese. Fino al 1997 abbiamo avuto il collocamento, quindi strutture dedite alla gestione di procedure amministrative. Dal 1997 abbiamo in parte dedicato quelle stesse persone a svolgere anche servizi per l'impiego.
  Non si trasforma con la bacchetta magica dalla sera alla mattina un funzionario, un burocrate, una persona abituata a gestire delle procedure amministrative in un erogatore di servizi per l'impiego, per cui abbiamo avuto difficoltà a gestire queste nuove attività e, per altro verso, sono a carico dei centri per l'impiego le attività amministrative ancora oggi rilevanti e onerose.
  Non voglio citarne altre, ma vi richiamo solo le procedure legate alla gestione della legge n. 68 del 1999, quella sull'inserimento mirato dei disabili, che non è cosa marginale sotto il profilo sociale e che ha un peso rilevante sotto il profilo amministrativo.
  La prima questione che volevamo segnalare era questa: i centri per l'impiego in Italia svolgono funzioni che sanno di nuovo, ma sanno anche tanto di antico, quindi bisogna tenere conto di tutto questo.
  La seconda questione è che nonostante ciò alla fine abbiamo dei risultati certo non esaltanti, ma non disprezzabili, così come invece viene affermato spesso sulla stampa o dai media. Questa era la prima indicazione.
  Seconda risposta. Mi si chiedeva cosa intendessi per sistema meno frammentato e, siccome la mia introduzione riguardava gli aspetti istituzionali, intendevo principalmente fare riferimento a qualcosa che andasse oltre il decreto legislativo n. 469 del 1997 e ci consentisse di non pensare unicamente a cento staterelli separati uno dall'altro, ma ci portasse alla costruzione di un sistema nazionale.Pag. 12
  Non ho titolo per indicare la soluzione migliore sul piano legislativo per definire l'assetto istituzionale, ho le mie idee ma qui il legislatore è sovrano. Qualunque sia la soluzione che il legislatore vorrà adottare (e se guarda all'Europa può trovarne di molto diverse), deve almeno pensare a un sistema nazionale che abbia uniformità delle regole, standard nazionali di servizi, un sistema di monitoraggio e valutazione stringente, ammesso che vogliamo puntare ancora sull'area vasta invece che sulle regioni o sul sistema nazionale.
  Si deve prevedere che, in qualunque luogo del territorio nazionale i cittadini, imprese o lavoratori, possano usufruire di servizi di pari standard di qualità, contemplando l'esercizio di poteri di supplenza in caso di evidenti carenze da parte del soggetto chiamato a erogare quel servizio che manifesti la sua incapacità a garantire i livelli essenziali delle prestazioni su tutto il territorio nazionale.
  Alcuni punti fermi identificano l'esistenza di un sistema nazionale, poi l'architettura può essere disegnata dal legislatore con fantasia, perché ricordavo come in alcuni Paesi i sistemi che garantiscono questi princìpi siano gestiti da amministrazioni totalmente statali, in altri da amministrazioni federali, in altri da un sistema misto fra amministrazioni locali e amministrazioni regionali o statali.
  Lascio l'architettura istituzionale al legislatore, ma mi interessa segnalare che un sistema è nazionale se garantisce la difesa dei princìpi, altrimenti è un vestito di Arlecchino con cento soggetti che fanno quello che credono; ognuno fa del suo meglio, ma questo non è un sistema nazionale.
  Sul ruolo di scuola, istruzione, università, considero molto importante che la scuola e l'università si pongano il problema del rapporto tra i loro percorsi e il mondo del lavoro. Il distacco, l'indifferenza che spesso il nostro sistema scolastico e universitario ha manifestato nei confronti del lavoro e in particolare degli sbocchi occupazionali degli allievi sono secondo me in parte causa dei problemi della disoccupazione giovanile che il Paese vive.
  Segnalo tre tipi di interventi auspicabili. Il primo è un buon sistema di orientamento da parte della scuola e dell'università, in modo tale da rendere i giovani consapevoli delle condizioni del mercato del lavoro.
  Questa attività – diciamocelo con franchezza – può essere erogata seriamente dalla scuola e dall'università, se queste per prime avranno il coraggio di guardare al loro interno e di fare delle scelte che siano coerenti con il mercato del lavoro, senza per prime offrire percorsi formativi destinati a finire su binari morti solo a causa dell'elefantiasi della struttura. Vengo dall'università e ho purtroppo esperienza di scelte di questo genere, in cui si creano percorsi per creare posti per giovani ricercatori, non finalizzati all'occupazione di altri giovani.
  Se la scuola e l'università fanno una riflessione sui percorsi che offrono ai giovani e in secondo luogo costruiscono dei buoni percorsi di orientamento verso il lavoro, si ottengono risultati interessanti.
  La seconda questione riguarda i tirocini, intesi come esperienza curriculare che arricchisce il percorso formativo mettendo in contatto il giovane con il mondo del lavoro e facendogli apprendere in concreto ciò che apprende normalmente solo in veste teorica nelle aule. Questo è un altro grande strumento per fluidificare il rapporto fra sistema formativo e mondo del lavoro.
  Il sistema duale tedesco prevede che dai 15 anni in avanti o segui gli studi anche fino alla laurea triennale stando sui banchi di scuola oppure entri in apprendistato e studiando e lavorando acquisisci le stesse competenze e quindi lo stesso titolo di studio.
  Pensare di adottare dalla sera alla mattina il sistema duale tedesco è pura fantasia, perché non si inventa in due giorni una cosa che altri hanno costruito in cinquant'anni, però ci sono dei pezzettini di sistema duale che noi stiamo sperimentando e che andrebbero rafforzati.Pag. 13
  Penso alle norme introdotte dal decreto legge n. 104 del 2013, per cui negli ultimi anni di scuola è possibile pensare a percorsi di alternanza in apprendistato, in modo tale che il giovane alla fine del percorso di scuola media superiore possa già essere avviato verso un rapporto di lavoro con le aziende.
  Ultraquarantenni e ultracinquantenni: a parte tutti gli strumenti che abbiamo usato e stiamo usando, come gli incentivi, le politiche attive, vi segnalo che la Germania a un certo punto ha deciso di favorire per soggetti di una certa età con particolari difficoltà l'intesa fra le strutture pubbliche e le strutture private di outplacement, quindi un forte sostegno alle intese fra i centri per l'impiego e le agenzie private di outplacement per la ricollocazione di lavoratori in difficoltà.
  In Italia abbiamo il contratto di ricollocazione, che richiama questo percorso e che abbiamo introdotto nell'ultima legge di stabilità, quindi vedremo come andranno le sperimentazioni. Credo che il rapporto fra pubblico e privato possa essere messo in termini più semplici che in altri Paesi, mentre da noi per ragioni ideologiche è affrontato in termini complessi, perché, come i dati dimostrano, siamo entrambi deboli.
  Non abbiamo giganti e nani, i dati evidenziano un tasso di penetrazione del 3,1 per cento del pubblico e dello 0,6 del privato, mentre, considerando i dati degli altri Paesi si constata come il pubblico negli altri Paesi faccia molto di più e i privati negli altri Paesi facciano molto di più.
  Il risultato è che le imprese e i lavoratori negli altri Paesi hanno molti più servizi e servizi di migliore qualità. Noi abbiamo un sistema complessivamente gracile.
  Mettersi gli uni contro gli altri mi sembra assolutamente fuori luogo, visto che sarebbe necessario sviluppare i servizi per l'impiego svolti dagli uni e dagli altri.

  PRESIDENTE. La ringrazio, possiamo ritenerci soddisfatti, in quanto questa ora di discussione è stata sicuramente formante per ambo le parti. Se posso, una velocissima chiosa finale.
  Anche in base all'esperienza che abbiamo vissuto lunedì pomeriggio, quando con il professor Dell'Aringa e l'onorevole Gnecchi abbiamo incontrato dei colleghi tedeschi che si occupano di centri per l'impiego, siamo rimasti impressionati dal loro modo di fare le cose. Senza indicare i bravi o i meno bravi, dobbiamo basarci necessariamente sui dati.
  A chiusura di tutto questo ricordo che, in base a un feedback del servizio studi della Camera deputati, in Italia i centri per l'impiego sono 556, hanno un costo medio annuo di circa 471 milioni, che per quasi il 75 per cento è rappresentato da spese per il personale, a cui si aggiungono 137 milioni all'anno, tra il 2005 e il 2011, per il mancato allineamento in termini di efficienza.
  Noi siamo abituati anche ad altre cifre e forse 471 milioni di euro non ci sembrano neanche molti, però occorre agire sul versante dell'efficienza della spesa, perché i centri per l'impiego non sono dei privati, ma giustamente gravano sulle spalle della collettività.
  L'Eurostat tra il 2005 e il 2011 parlava proprio di questi dati e dell'aumento del costo delle retribuzioni all'interno dei centri per l’ impiego. Eurostat dice che l'aumento di stipendi in questi anni è stato del 24,4 per cento. Non riesco a spiegarmi perché, se ci sia più gente, se siano pagati di più o di meno, però è un dato riferibile a tutto il personale della pubblica amministrazione, i cui aumenti sono però di tre volte inferiori, ossia dell'8,3.
  Tra l'altro, Confartigianato, associazione che dialoga spesso con i centri per l'impiego, indica come uno dei vulnus all'interno dei centri pubblici per l'impiego l'assenza di incentivi retributivi legato al raggiungimento del risultato.
  Se posso, al di là della Presidenza odierna, considero utile rivedere queste due macro aree, il tipo di contratti applicato al personale assunto presso i centri per l'impiego e le considerazioni di Confartigianato rispetto agli incentivi sulle retribuzioni legate al raggiungimento del Pag. 14risultato. Voi mi insegnate infatti che le persone vengono pagate a risultato per quanto riguarda la youth guarantee.
  Il professor Dell'Aringa ha fatto riferimento al dato italiano riportato nella tabella a pagina 10 e al dato del Regno Unito; nel Regno Unito i lavoratori costano sicuramente il doppio, ma il Regno Unito ha 63 milioni di abitanti, mentre l'Italia circa 61 milioni; il Regno Unito attraverso i servizi per l'impiego registra un tasso di penetrazione pari a più del doppio, quindi penso che in questo contesto la spesa più o meno ampia sia giustificabile, dal momento che trova lavoro a quasi l'8 per cento di lavoratori, a fronte del 3-3,1 italiano; per non parlare della Germania che supera il 10 per cento milioni con una spesa intermedia fra Regno Unito e Italia. Credo che ci sia molto lavoro da svolgere e vi preannuncio lo svolgimento di altre audizioni con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con il Ministro dell'istruzione, dell'Università e della ricerca, con Italia Lavoro, con le associazioni di categoria, con i rappresentanti delle parti sociali. Nell'augurare buon lavoro a tutti, ringrazio i nostri ospiti per il contributo offerto e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.20.

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