XVII Legislatura

XIV Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 3 di Giovedì 18 settembre 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Tancredi Paolo , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'ATTUAZIONE E L'EFFICACIA DELLE POLITICHE UE IN ITALIA

Audizione del prof. Raffaele Paci, assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna.
Tancredi Paolo , Presidente ... 3 
Paci Raffaele , Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna ... 3 
Tancredi Paolo , Presidente ... 8 
Iacono Maria (PD)  ... 9 
Tancredi Paolo , Presidente ... 9 
Paci Raffaele , Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna ... 9 
Tancredi Paolo , Presidente ... 10

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PAOLO TANCREDI

  La seduta comincia alle 14.20.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso la trasmissione diretta sulla web-tv e la trasmissione televisiva sul canale satellitare della Camera dei deputati.

Audizione del prof. Raffaele Paci, assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'attuazione e l'efficacia delle politiche UE in Italia, l'audizione del prof. Raffaele Paci, assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna, a cui do il benvenuto a nome della XIV Commissione.
  Il tema in discussione, che ci sta particolarmente a cuore, riguarda la qualità e l'efficacia della spesa cofinanziata dai fondi strutturali e di investimento. Abbiamo necessità di approfondire le cause che sino a oggi hanno impedito al nostro Paese di avvalersi fino in fondo delle risorse della politica di coesione e di comprendere quali sono stati i ritardi accumulati e come mai non riusciamo a spendere fino in fondo i soldi che l'Unione europea mette a disposizione del nostro Paese.
  Do la parola al professor Paci per lo svolgimento della sua relazione.

  RAFFAELE PACI, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna. Grazie, presidente. È un piacere avere questa opportunità di condividere alcune riflessioni, ovviamente nella mia veste attuale di assessore alla programmazione della Regione Sardegna, ma, sino a sei mesi fa, nella veste di economista che dal punto di vista professionale si è occupato per trent'anni di questi temi.
  Cercherò di riferire il punto di vista dello studioso, ma anche, in seguito, dello studioso che si trova ad affrontare i problemi concreti che viviamo nelle pubbliche amministrazioni.
  Inizio con alcune considerazioni generali per passare poi a problematiche che mi sembrano specifiche del caso italiano, arrivando quindi ad affrontare questioni che ritengo specifiche del Mezzogiorno, pertanto anche della mia regione, per fare poi una serie di esempi concreti e per concludere con qualche considerazione sulle valutazioni future.
  Partendo dalle considerazioni generali, queste non vogliono essere una scusa per il fatto che vediamo che in Italia è difficile spendere le risorse: sappiamo che altri Paesi, anche di nuovo ingresso nell'Unione europea, riescono a gestirle. Sicuramente, però, una considerazione generale riguarda le procedure troppo complesse e troppo lente nella definizione dei vari accordi di partenariato con l'Unione europea, quindi nella definizione dei POR.
  Ci sono lavori per i quali di fatto passano due anni tra l'inizio della definizione, per esempio, della nuova programmazione 2014-20, quando vengono identificate le prime idee, i primi programmi, il Pag. 4momento della presentazione – come sapete, la presentazione dell'accordo di partenariato dell'Italia è avvenuto il 22 luglio – e poi altri sei mesi di negoziazione. Alla fine, sono due anni di intenso lavoro con procedure molto pesanti, molto lente, che impegnano completamente le strutture regionali, nazionali e europee. Le procedure sono, insomma, troppo complesse.
  Non voglio dare l'impressione di «dare la colpa» alle procedure, perché altri Paesi sono stati in grado di adattarsi, però, certamente, dal punto di vista di azioni di policy che si vogliono eventualmente identificare, un'attenzione a una semplificazione e a uno snellimento di queste procedure a mio avviso è necessaria. Parlo di due anni di lavoro in cui la Commissione ogni volta risponde con 300 pagine di considerazioni che gli uffici devono prendere in esame. Tornerò comunque su questo punto.
  Tutto questo lavoro serve per definire i programmi operativi che potranno poi avere attuazione solamente attraverso specifici bandi, specifici provvedimenti. Lo sto rimarcando perché voglio tornare su questo punto.
  Dirò qualcosa sui difetti italiani: anche questi ben noti, soprattutto a voi che ne discutete quotidianamente nei tentativi di riforma, però mi sembra opportuno ricordarli. In Italia paghiamo il prezzo di non avere mai certezze nelle procedure amministrative. Per spendere i fondi europei, ovviamente e giustamente, bisogna seguire delle rigorose procedure amministrative, nei bandi, negli appalti e così via. Sappiamo bene che la probabilità che queste procedure si inceppino – per vari ricorsi, per problemi nella realizzazione dei lavori, per fallimenti di imprese e via dicendo – è un problema serio poiché, bloccandosi le procedure, non si riesce ad andare avanti.
  Ovviamente, questo è un problema generale che riguarda la spesa dei fondi dell'Unione europea, ma riguarda più in generale il funzionamento del nostro sistema.
  La seconda considerazione generale che vorrei fare – qui porto un'esperienza da assessore di una regione – è la difficoltà a organizzare, impegnare opportunamente le strutture dell'amministrazione. L'etichetta, in questo caso, è «difficoltà di funzionamento della pubblica amministrazione» dovuta spesso a rigidità organizzative, scarsa mobilità, mancanza di efficaci sistemi di premialità.
  Anche questo può sembrare un discorso laterale, però nella gestione dei fondi europei ci sarebbe bisogno, in alcuni momenti, di poter spostare le persone, i funzionari, da un settore all'altro per affrontare le emergenze. Ma quando ci si scontra con un'organizzazione amministrativa piuttosto rigida come quella che abbiamo in Italia questo crea problemi. Ancora una volta questo è un discorso generale.
  Il terzo livello riguarda problemi e difetti che sono specifici o più caratterizzati nelle regioni del Mezzogiorno, e tra queste sicuramente cito l'esperienza della Sardegna. Qui gli studi degli economisti sono notevoli e sono abbastanza concordi nel dire che, alla fine, uno dei problemi del ritardo del Mezzogiorno – chiaramente la difficoltà di spesa dei fondi europei fa parte di questo ragionamento – è la bassa qualità istituzionale.
  Non vi è stata in questi decenni la mancanza di risorse, che sono arrivate in modo copioso, ma certamente una difficoltà legata a quello che viene chiamato ormai «capitale umano», ma che chiamerei più propriamente «capitale istituzionale». Per varie ragioni, che sono state ampiamente analizzate e che non riprendo qui (ma ovviamente sono pronto a rispondere), non si riescono a far funzionare adeguatamente le istituzioni; una mancanza di capitale umano o la migrazione di capitale umano, che semmai è stato formato in altre direzioni, impoverisce il sistema locale, che ha indubbie difficoltà.
  Legato a questo vi è un elemento secondo me molto grave, sul quale poi vi darò qualche cifra: alla fine le strutture preferiscono utilizzare i fondi regionali o i fondi statali rispetto a quelli europei, perché sono molto più facili da gestire. Qui torniamo al punto iniziale. Nel momento in cui i fondi dell'Unione europea Pag. 5richiedono procedure che noi chiamiamo rigorose (qualcuno può dire eccessivamente rigorose), mentre sui fondi regionali – o quelli statali, che sono identici – le procedure sono più flessibili, è evidente che ciascun funzionario sceglie di dare la preferenza, nell'utilizzazione del suo tempo, a questi fondi regionali.
  Devo dire che spesso manca una chiara scelta di priorità e di opzioni da parte del decisore politico. Troppo spesso, nel momento in cui i programmi operativi vengono ideati, si sceglie di dare risorse non dico a pioggia, a tutti i settori e a tutte le strutture interne dell'organizzazione, ma poco manca. Questo porta a un'enorme dispersione delle risorse e crea problemi nella rendicontazione e nell'attuazione dei programmi. Vi è, invece, la necessità di avere priorità e scelte chiare, e questo sicuramente riguarda il decisore politico.
  Un altro elemento è la mancanza di capacità di programmazione di medio e lungo periodo. Si è sempre troppo dietro alle singole emergenze, quindi manca la capacità di programmare oggi quello che dovremo fare tra un anno, tra due anni. Poiché le procedure sono lunghe, se non programmo oggi quello che dovrò portare in attuazione tra un paio d'anni, è evidente che arriverò in ritardo.
  Fatte queste considerazioni di merito, cito ora alcuni dati che riguardano la Regione Sardegna. La regione nel POR 2007-2013 ha avuto a disposizione circa 4 miliardi, tra i vari fondi del FESR, FSE e FEASR. Per farvi capire quanto si è veramente in ritardo, vi do uno spaccato per quanto riguarda il FESR.
  Il FESR è il fondo più complicato da utilizzare. Nel caso del fondo agricolo, di fatto, dal punto di vista finanziario in gran parte si tratta di risarcimenti, di contributi agli agricoltori, che riescono a essere erogati abbastanza facilmente, e anche per l'FSE formazione le procedure ormai sono collaudate e in genere pongono minori difficoltà. Il FESR, invece, richiede realizzazioni, infrastrutture, quindi appalti, con i problemi che citavo prima (ricorsi e così via).
  Per quanto riguarda il FESR, nel periodo 2007-2013 la Sardegna aveva a disposizione 1 miliardo e 300 milioni. Come sapete, pur chiamandosi «2007-2013», di fatto il 2007 e il 2008 non contano perché rappresentano l’«n+2» della precedente programmazione. Del resto, anche il programma 2014-20 se va bene inizierà nel 2015, altrimenti inizierà di fatto nel 2016, perché siamo pienamente impegnati oggi nell’«n+2».
  Tralasciando quindi i primi due anni, 2007 e 2008, il programma inizia a essere operativo nel 2009. Teoricamente le spese potevano essere effettuate anche nei primi due anni, ma, di fatto, per esempio la nostra regione ha speso 5 milioni, poi 21 milioni, su una cifra totale di 1 miliardo e 300 milioni.
  Nel 2009 ormai si è in piena attività e la regione riesce a spendere 276 milioni, che sembra già una bella cifra. Attenzione, di questi 276 milioni, 233 (quindi quasi la totalità, ne rimangono fuori una quarantina) sono utilizzati per un intervento cosiddetto di «ingegneria finanziaria». In altri termini, si crea presso la nostra finanziaria regionale un fondo di garanzia per le imprese, che pare sia il più grande fondo di garanzia in Europa, del valore di 230 milioni. Per carità, è un intervento utile perché poi le imprese hanno la garanzia sui loro investimenti, quindi niente da dire, ma probabilmente molto sovradimensionato rispetto alle effettive esigenze della regione.
  Dal punto di vista del governo di questi fondi, è il tipico uovo di Colombo, perché i fondi escono, vengono certificati, vengono rendicontati, l'Unione europea accetta questo intervento, con una sola pratica ci si riesce a liberare di 230 milioni, che comunque non vanno buttati, ma vengono utilizzati. Tuttavia, dal punto di vista dell'idea progettuale c’è poco. Questo è il primo intervento extra.
  Poi continua la serie storica: nel 2010 35 milioni, nel 2011 142 (attenzione, altri 88 di ingegneria finanziaria, altrimenti sarebbero 40). Poi si inizia a risalire con 140, poi 188. Morale della favola: ad oggi – siamo all’«n+2», quindi 2014 e 2015, e Pag. 6noi siamo entrati in carica i primi mesi del 2014 – gli impegni presi con l'Unione europea per terminare di utilizzare 1 miliardo e 300 milioni prevedono una spesa quest'anno di 171 milioni e per il prossimo anno di 360 milioni, un valore che non è mai stato raggiunto e che da solo rappresenta un quarto dell'intero ammontare.
  Intendo dire che pian piano si fanno slittare agli anni successivi le spese e, se non fosse stato per questi interventi di ingegneria finanziaria, la percentuale di spesa sarebbe ancora più bassa.
  Un altro elemento secondo me interessante e importante è che dei fondi spesi nel 2012 e nel 2013, ma probabilmente anche in questi ultimi due anni, la maggior parte – intendo dire 80-90 per cento – sono spesi per i cosiddetti «progetti retrospettivi», che qualche anno fa, come sa chi ha esperienza di fondi europei, si chiamavano «progetti sponda».
  In altri termini, non si riesce a realizzare il progetto scritto nel POR, ovvero nel documento sul quale si è lavorato per due anni, e si riesce però – semmai un comune l'ha fatto per conto suo, una provincia o la stessa regione – a rendicontare nei fondi europei un altro progetto che ha caratteristiche simili. Si tratta, appunto, di un progetto con caratteristiche simili, non dello stesso progetto.
  Allora, se nel complesso delle spese effettuate, ammettendo anche di riuscire a spendere tutto (e sarà un problema), noi ci accorgiamo che alla fine, l'80-90 per cento delle risorse da utilizzare è stato speso non per progetti che erano inseriti nel documento di programmazione originario, ci si chiede che senso abbia passare due anni in una progettazione estenuante per scrivere un documento che nella sostanza non viene seguito.
  Ovviamente questa dei progetti retrospettivi è una soluzione totalmente legittima, altrimenti non sarebbe adottata, ma fa perdere le capacità progettuali sulle quali, invece, ex ante fortemente si punta.
  Questi sono esempi di oggettive difficoltà per rispondere alla domanda sui motivi per cui non si spende. Vi sono progetti interessanti, di grande valore, di grande interesse, ma sono tutti bloccati perché c’è un ricorso al TAR, perché non si riesce a far partire la procedura, perché le bonifiche dovevano essere realizzate da quella partecipata della regione che è in amministrazione controllata perché in deficit e via dicendo. I motivi sono diversi.
  La grande difficoltà degli uffici di gestire le varie fasi dei controlli è uno degli elementi sui quali l'Unione europea bacchetta spesso l'Italia. Oltre alla fase della spesa, laddove vi è un funzionario che ha la responsabilità sul procedimento, una volta che questo è chiuso e c’è stata l'erogazione, abbiamo tre livelli di controllo: un controllo di primo livello che viene tradizionalmente fatto, all'interno dello stesso assessorato, da un'altra struttura; un controllo di secondo livello fatto da un'autorità di certificazione; infine, un controllo di terzo livello fatto dall'autorità di audit.
  C’è sempre difficoltà nelle strutture a destinare risorse umane, funzionari, persone a svolgere questi controlli, perché sembra quasi una perdita di tempo, essendo visto come lavoro di back office. Spesso c’è anche uno scostamento alto tra pagamenti, controlli e certificazioni. Tipicamente si fanno le corse di fine anno, ma questo ci crea notevoli problemi in sede di rendicontazione da parte dell'Unione europea.
  Per le conoscenze che ho, penso che il caso della Sardegna non sia tra i peggiori. Forse – me lo auguro – a fine 2015 saremo in grado di spendere tutte le risorse che vi ho detto, ma molto probabilmente non per quei progetti inizialmente pensati.
  Quali sono, quindi, le difficoltà che sono state individuate nella programmazione 2007-2013 e che servono da insegnamento per la programmazione che stiamo attuando adesso ? Come vi dicevo, vi è un'eccessiva parcellizzazione degli interventi, ci sono troppe linee di attività. All'inizio del nostro POR le linee di attività erano 120: sono tantissime, perché vuol dire 120 centri di responsabilità, quindi 120 funzionari che hanno la responsabilità Pag. 7del procedimento, vuol dire avere una notevole mole di controlli, di procedure, di appalti, di gare da dover gestire. Lo ripeto, questo è dovuto in gran parte a una difficoltà del politico, in questo caso, a dare delle priorità e a dire che le risorse date vengono incanalate in dieci, venti azioni strategiche.
  Inoltre, vi è un mancato adeguamento organizzativo delle strutture, uno scarso allineamento tra indirizzo politico e priorità comunitarie, e ancora le difficoltà legate ai controlli. Mi riferisco a un controllo ex ante. Adesso c’è molta più attenzione alla cantierabilità. Quando è stata ideata la programmazione 2007-2013, quindi intorno al 2006-2007, c'era meno consapevolezza, c'era forse più fiducia sulla possibilità di riuscire a gestire programmi anche complessi, iniziando da un'idea progettuale e portandoli a termine all'interno del sessennio, ma questo in realtà non si verifica.
  Queste criticità emerse nella programmazione 2007-2013 ovviamente diventano le linee di indirizzo e di miglioramento nell'attuale programmazione: concentrazione tematica, pochi obiettivi facilmente misurabili, concentrazione delle risorse, miglioramento organizzativo. A questo riguardo, l'Unione europea sta giustamente molto insistendo con l'Italia e con gli altri Paesi per avere un disegno, all'interno dei nuovi programmi, sulla qualità istituzionale, sull'organizzazione interna, sulla capacità amministrativa, con procedure di accreditamento dell'organizzazione e dei centri (che vanno presentati prima). Insomma, si tratta di avere un piano rispetto al quale si organizzi la struttura regionale in un certo modo, a partire dalle autorità di gestione, dai centri di responsabilità, continuando con i centri di controllo e le agenzie di audit.
  Il tema della definizione delle priorità è legato alla concentrazione. Dobbiamo identificare realmente quali sono le poche cose sulle quali intervenire. Inoltre, va posta grande attenzione alla cantierabilità. Questo è un tema ancora più importante per le regioni del Mezzogiorno, le Regioni dell'Obiettivo Convergenza. La Sardegna non è più regione in Obiettivo Convergenza, ma è regione in transizione, alla pari dell'Abruzzo e del Molise, quindi non possiamo fare interventi infrastrutturali utilizzando i fondi europei. Per le altre regioni del Mezzogiorno che tuttora, anche con la nuova programmazione, possono fare interventi infrastrutturali, la difficoltà è esattamente questa: pensare in Italia di portare a conclusione un'opera pubblica in cinque anni è una cosa estremamente complessa. Quindi, quello della cantierabilità è un tema molto importante e al riguardo stiamo facendo le nostre scelte.
  Chiuderei con alcune considerazioni finali sull'efficienza e sull'efficacia. Anche su questo, secondo me, c’è molto da fare, ma devo dire anche da parte dell'Unione europea. Abbiamo visto la difficoltà a spendere le risorse, abbiamo detto quali possono essere i motivi europei e nazionali del Mezzogiorno per spendere queste risorse.
  Proviamo adesso a fare un passo avanti. Poniamo che tutte le risorse siano spese, quindi abbiamo un'efficienza nella spesa, rimane il problema dell'efficacia di queste risorse: è servito a qualcosa spenderle ? Spesso c’è un fraintendimento rispetto agli obiettivi che vogliamo raggiungere. Spero che un obiettivo delle politiche pubbliche, delle politiche di sviluppo non sia spendere i soldi; l'obiettivo dovrebbe essere ottenere un miglioramento nell'occupazione, nel PIL, nella qualità ambientale e così via. Questa è l'efficacia della spesa, ma spesso si travisa e si guardano indicatori procedurali, ossia quanto si è speso, quanti progetti si sono fatti, quante imprese sono state contattate e così via, rispetto a vere valutazioni di efficacia.
  Del resto, questo è formalizzato dall'Unione europea. Qualche mese fa avevamo il comitato di sorveglianza e si guardavano indicatori di questo genere: quanti incontri partenariali sono stati fatti ? quante associazioni di categoria sono state contattate ? Va bene, però non dovrebbero essere questi i veri indicatori. Questi sono indicatori di procedure alle quali, devo dire, l'Unione europea è molto affezionata.Pag. 8
  Per fare una vera analisi di efficacia, il problema non è così semplice. A me è capitato, da economista, di farne qualche anno fa, per conto del Ministero dell'economia e delle finanze, sulla programmazione 2006. Il problema è che se io voglio valutare l'efficacia di una politica – 1 miliardo e 300 milioni che vengono inseriti in una regione – in primo luogo lo vedo dopo qualche anno, non immediatamente, perché è chiaro che queste politiche hanno bisogno di tempo per essere efficaci; in secondo luogo, non posso vederlo in modo disorganico rispetto a indicatori di contesto e altri indicatori di fondi che vengono utilizzati nel territorio. È chiaro che non posso guardare solo ai fondi europei, senza mettere dentro la mia analisi economica, in particolare all'interno di un modello econometrico, i fondi regionali, i fondi statali, un intervento dell'ANAS, un intervento delle Ferrovie dello Stato. Quindi, c’è bisogno di una banca dati, di una visione di sistema complessiva; occorre un lag temporale di qualche anno, ma solo così noi possiamo veramente analizzare l'efficacia di questi strumenti, quindi capire i fondi europei, una volta spesi – condizione necessaria è spenderli – quale efficacia hanno nel sistema economico e nel sistema sociale.
  Su questo mi pare che ci sia ancora tanto lavoro da fare.

  PRESIDENTE. Ringrazio il professor Paci.
  Poiché nessun collega chiede di intervenire, porrò io qualche domanda.
  Lei ha insistito molto, credo opportunamente, sulla questione dell'impreparazione e dell'inadeguatezza delle strutture amministrative in capo alle nostre pubbliche amministrazioni. Vorrei sapere, secondo lei, qual è uno strumento per migliorare questo aspetto.
  All'interno di ogni programma esiste una parte di spesa per l'assistenza tecnica. Tale assistenza tecnica, in parallelo, dovrebbe essere messa a servizio anche delle strutture amministrative per compiere tutte quelle attività che lei ha elencato – e la ringrazio – molto precisamente, anche se in maniera sintetica.
  Pensando al tema dell'istituzione dell'agenzia per la programmazione dei fondi europei, non crede che le strutture che acquisiscono queste commesse di assistenza tecnica dovrebbero essere qualificate o certificate per fare una selezione ? Ho riscontrato impreparazione anche da questo punto di vista. Inoltre, credo che non sia peregrino pensare di prevedere procedure di certificazione anche delle strutture amministrative dedicate da parte dell'istituzione coinvolta, in questo caso la Regione Sardegna. Vorrei conoscere il suo parere su questo.
  Per quanto riguarda, invece, i temi dell'efficacia e dell'efficienza, che lei ha così ben sintetizzato, lei sa benissimo – ed è anche l'oggetto di questa indagine conoscitiva – che in questo momento c’è un forte dibattito che mette in discussione l'efficacia della spesa europea. Alcuni autorevoli interlocutori sono arrivati anche a ipotizzare un disimpegno da parte del cofinanziamento, quindi tutto sommato una rinuncia alla programmazione dei fondi europei in alcuni settori. Che cosa ne pensa ?
  Vorrei sottolineare che si dicono molte cose, secondo me, inesatte: alla fine questa, per quanto sia a volte inefficiente e inefficace, è l'unica spesa veramente monitorata da parte della pubblica amministrazione. Si parla di una mancanza di monitoraggio di questa spesa, ma se non è monitorata questa spesa, immaginiamo tutto il resto della spesa nazionale e regionale. Cosa pensa della possibilità di disimpegnarsi ? Questo è un dibattito molto attuale e anche qualche membro dell'attuale Governo ha ipotizzato un disimpegno o quantomeno un ritardo nel cofinanziamento.
  Da questo punto di vista, qual è la sua esperienza, anche come amministratore regionale, sulla spesa dei fondi e sull'utilità che questi hanno per il territorio, per le imprese e le famiglie, considerando anche la mancanza di alternativa rispetto a una programmazione europea che oggi, soprattutto Pag. 9nelle regioni meridionali, è sentita moltissimo ? Vorrei conoscere la sua opinione su questi aspetti.

  MARIA IACONO. Vorrei porre una breve domanda. Sul Sole24Ore del 28 agosto 2014 è stata pubblicata un'intervista al Sottosegretario Delrio su questa materia. Alla domanda finale del giornalista «quanto vale questa riduzione del cofinanziamento ?» Delrio risponde «dovrebbe valere 7-8 miliardi».
  Le chiedo se avete già capito quanto è l'ammontare dei fondi del cofinanziamento che mancheranno alla Regione Sardegna.

  PRESIDENTE. Do la parola al professor Paci per la replica.

  RAFFAELE PACI, Assessore della programmazione, bilancio, credito e assetto del territorio della Regione Sardegna. Parto dalla prima domanda posta dal presidente, a cui le altre sono collegate. Sugli strumenti per il miglioramento dell'organizzazione, penso che sia necessaria una riorganizzazione complessiva della pubblica amministrazione. Alcuni temi sono nel dibattito attuale degli organi parlamentari.
  Sono necessari, come dicevo prima, maggiore flessibilità, maggiore capacità di indirizzo, quindi di responsabilità, e un sistema incentivale più adeguato. Questo vale in generale, ma vale in particolare per i fondi europei, perché – lo dicevamo prima – la gestione dei fondi europei è sicuramente più complicata degli altri. Il monitoraggio è molto più accurato, le attività che un funzionario deve fare per gestire un milione di fondi europei sono forse il doppio, in termini di tempo, di quelle che deve fare per gestire un milione di fondi statali o regionali. È evidente, quindi, che il funzionario preferirà orientarsi sui fondi regionali o statali.
  In generale, quindi, è necessaria questa riorganizzazione. Nel caso specifico dei servizi che si occupano di fondi europei, si parla oggi, nella programmazione 2014-20, di accreditamento. Ritengo che questo sia un fatto fondamentale. Dobbiamo dimostrare ex ante al ministero e all'Unione europea come vogliamo organizzarci. Lo dobbiamo dimostrare in modo concreto, con piani organizzativi ben definiti, mostrando quali sono le competenze.
  Se diciamo di voler spendere una certa somma per costruire strade, tutti sappiamo che le strade hanno bisogno di appalti, di capitolati e via dicendo. Allora dobbiamo indicare qual è la struttura amministrativa che se ne occupa e indicare se, all'interno di quella struttura amministrativa, abbiamo le competenze che possono svolgere quelle attività. Sembrerebbe banale quello che sto dicendo – si potrebbe dire: ci mancherebbe altro ! – però a volte capita anche che si pensi di realizzare opere per il dissesto idrogeografico e poi ci si accorge di non avere i dirigenti del Genio civile che devono firmare le opere. Alla fine, quei fondi sono stanziati e lì rimangono.
  Questo accreditamento ex ante dovrebbe precedere i problemi, quindi obbligare le nostre amministrazioni a uniformarsi, a dotarsi di standard qualitativi e di competenze adeguate. L'altro elemento è quello dell'assistenza tecnica, ovviamente un'assistenza tecnica che dovrebbe essere selezionata e accreditata. Attenzione, un altro problema sul quale l'Unione europea spesso ci ha criticato è la sostituzione delle strutture interne degli assessorati con le assistenze tecniche. Alla fine, sono queste società private più o meno valide, più o meno accreditate, che portano avanti i programmi. Il fatto che si chiamino «assistenza tecnica» significa che dovrebbero dare un'assistenza puramente tecnica a una struttura interna della pubblica amministrazione che è già adeguata. È un tema sul quale stiamo fortemente operando; lo stiamo affrontando insieme al Formez, quindi all'Agenzia pubblica di formazione professionale, in particolare per le regioni del Mezzogiorno, che ha tutte le capacità per portarlo avanti. Quello della qualità dell'amministrazione ritengo che sia il primo punto e la prima criticità da affrontare.
  Secondo tema: questi finanziamenti servono o non servono ? è giusto o non è Pag. 10giusto ottenerli ? Io penso che nelle regioni del Mezzogiorno siano stati utili. Pensare ad alternative a questi mi sembra complicato. Ci può essere un ragionamento più generale sul ruolo del settore pubblico: ad esempio, è giusto mettere questi miliardi o non faremmo meglio ad abbassare un po’ le tasse e fare in modo che sia il mercato a gestire ? Tuttavia, sono temi di valenza generale. Ogni volta che ci sono fallimenti in tutto il campo infrastrutturale, nel campo del capitale umano o dell'innovazione tecnologica, penso che ci siano chiare evidenze di fallimenti di mercato che richiedono un intervento pubblico, che ovviamente abbia quelle caratteristiche di efficacia che dicevamo prima. Personalmente, da amministratore – ma, permettetemi, anche da economista – continuo a essere a favore di questo tipo di intervento, ovviamente cercando di garantire che ci sia un controllo e una valutazione della spesa.
  Per quanto riguarda l'aspetto specifico del definanziamento, in primo luogo esso non riguarda le regioni in competitività, quindi il nord Italia, né le regioni in transizione; riguarda unicamente le regioni in convergenza, quindi le regioni del Mezzogiorno. Si tratta più che altro (a me è capitato di partecipare alla riunione, che veniva richiamata nell'articolo del Sole24Ore, con il Sottosegretario Delrio) di un accantonamento del cofinanziamento che negli obiettivi del Governo – giusti o sbagliati, non spetta a me dire – dovrebbe servire quasi a facilitare le regioni del Mezzogiorno, tant’è vero che diversi Presidenti presenti a quella riunione lo vedevano favorevolmente.
  Mi spiego meglio. Nella prossima programmazione il controllo sarà estremamente più rigido nel raggiungimento degli obiettivi temporali di spesa. I dati che vi dicevo prima non saranno più accettati. Se nel giro di due anni non si è spesa almeno una quota parte pian piano vengono fatte le cancellazioni. Non si può aspettare sei anni per dover spendere il 50 per cento dei fondi l'ultimo anno, perché si sa già che non è possibile riuscirci. Allora, la campanella deve suonare prima.
  I fondi europei hanno regole rigide di funzionamento e soprattutto temporali, mentre i fondi nazionali, l'FSC per esempio, non hanno questi limiti temporali, o meglio ce li possiamo gestire noi. Se ci sono validi motivi per cui la Regione Sardegna è in ritardo nella costruzione di una grande infrastruttura e siamo in grado di spiegare quali sono eventualmente questi motivi, niente vieta allo Stato di concordare una variazione dell'APQ e di darci uno o due anni di tempo in più. Con l'Unione europea questo non è possibile.
  Quindi, il rischio era di perdere al netto quella parte di cofinanziamento. In un modo prudenziale, il Governo dice: «care Regioni del Mezzogiorno, siete sicure che riuscirete a spendere tutto ? Non è meglio che questo 25 per cento, dietro autorizzazione dell'Unione europea, che ha già autorizzato, lo mettiamo da parte, lo usiamo sempre per voi, ma attraverso altri canali ?». Questo era il ragionamento, ma – come ho detto all'inizio – non riguarda le regioni in transizione, come la Sardegna. Pertanto, non avremo nessun taglio rispetto a quanto previsto.

  PRESIDENTE. Ci fa piacere per la Sardegna, ma non ci tranquillizza per il resto del Mezzogiorno e per l'Obiettivo Convergenza.
  Ringrazio il professor Paci per la sua disponibilità e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 15.05.