XVII Legislatura

Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi

Resoconto stenografico



Seduta n. 28 di Mercoledì 14 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Calendario dei lavori:
Fico Roberto , Presidente ... 3 

Audizione del viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando:
Fico Roberto , Presidente ... 3 
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 3 
Margiotta Salvatore  ... 7 
Rossi Maurizio  ... 8 
Fico Roberto , Presidente ... 8 
Rossi Maurizio  ... 8 
Gasparri Maurizio  ... 11 
Airola Alberto  ... 14 
Lainati Giorgio (FI-PdL)  ... 15 
Minzolini Augusto  ... 16 
Peluffo Vinicio Giuseppe Guido (PD)  ... 17 
Fornaro Federico  ... 19 
Fico Roberto , Presidente ... 20 
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 20 
Rossi Maurizio  ... 24 
Morando Enrico , viceministro dell'economia e delle finanze ... 24 
Rossi Maurizio  ... 24 
Fico Roberto , Presidente ... 24

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE ROBERTO FICO

  La seduta comincia alle 20.45.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE: Comunico che, ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del Regolamento della Commissione, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata mediante l'attivazione del sistema audiovisivo a circuito chiuso e la trasmissione diretta sulla web-tv della Camera dei deputati e, successivamente, sul canale satellitare della Camera dei deputati.
  Comunico altresì che dell'audizione odierna sarà redatto e pubblicato il resoconto stenografico.

Calendario dei lavori.

  PRESIDENTE. Comunico che il prossimo mercoledì 28 maggio, alle ore 20.30, avrà luogo l'audizione del direttore generale della RAI, Luigi Gubitosi, e che mercoledì 4 giugno alle ore 14, si terrà l'audizione del presidente e dei componenti del consiglio di amministrazione della RAI.
  Resta ancora da stabilire la data per l'audizione del sottosegretario Giacomelli, che si terrà comunque successivamente a queste già fissate.

Audizione del viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione del viceministro dell'economia e delle finanze, Enrico Morando, che ringrazio per aver accolto l'invito della Commissione, e che riferirà sulle misure relative alla RAI contenute nel decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, nonché sugli orientamenti dell'esecutivo in materia.
  Do quindi la parola al viceministro, con riserva per me e per i colleghi di rivolgergli al termine del suo intervento domande e richieste di chiarimenti.

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. Grazie, signor Presidente, dell'invito per questa audizione. Come è noto, gli articoli del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, che riguardano la RAI sono due, non uno, anche se l'attenzione si è pressoché esclusivamente concentrata sull'articolo 21. Più precisamente, infatti, gli articoli che riguardano la RAI sono il 20 e il 21. L'articolo 20 – mi scuso per questo rapido riassunto, però utile per impostare correttamente la nostra discussione – stabilisce che «le società a totale partecipazione diretta o indiretta dello Stato realizzano nel 2014-2015 una riduzione dei costi operativi, esclusi gli ammortamenti e le svalutazioni delle immobilizzazioni, nonché gli accantonamenti per rischi, nella misura non inferiore al 2,5 per cento nel 2014 e al 4 per cento nel 2015». Il comma 3 dello stesso articolo 21 regola le forme dell'assegnazione agli azionisti di quelle società pubbliche partecipate (cioè, sostanzialmente, allo Stato e alla pubblica amministrazione) dei risparmi conseguiti attraverso questa procedura.
  La relazione tecnica, a proposito dell'articolo 21, stima un beneficio complessivo per il bilancio dello Stato di 70 milioni nel 2014, derivante dall'applicazione del risparmio per il 2,5 per cento, e un risparmio di 100 milioni di euro nel Pag. 42015, derivante dall'applicazione della riduzione di costi operativi pari al 4 per cento. Complessivamente, quindi, se si proiettano queste previsioni di risparmio sul volume dei costi operativi incisi dalla norma, si vede che, grosso modo, i costi operativi di queste società complessivamente intese, incisi dalla norma, si aggirano attorno ai 2,5 miliardi di euro. La RAI è certamente parte delle società interessate dall'articolo che ho appena descritto.
  La RAI, però, è più interessata – questo è più noto perché ne hanno parlato tutti i giornali, soprattutto perché il titolo dell'articolo stesso si riferisce alla RAI – dall'articolo 21, che reca specifiche disposizioni relative alla RAI SpA.
  Al primo comma – mi scuso anche in questo caso per il rapido riassunto – si stabilisce la soppressione della disposizione della legge n. 112 del 2004, che prevede l'articolazione della RAI in una o più sedi nazionali (cito pressoché alla lettera), in sedi in ciascuna regione e provincia autonoma, tutte dotate di autonomia finanziaria e contabile. Il comma 2 dello stesso articolo 21 reca una norma transitoria valida fino alla definizione del nuovo assetto territoriale della società. In sostanza, il comma 2 è scritto per regolare ciò che deve accadere nella fase transitoria rispetto alla riorganizzazione della struttura delle sedi periferiche della RAI. Il comma 3 stabilisce che, ai fini anche della razionalizzazione del riassetto industriale e del recupero di efficienza della RAI, la stessa può cedere sul mercato quote di società partecipate, precisando tuttavia che le modalità di alienazione in caso di perdita del controllo da parte dello Stato sono fissate non dalla RAI in perfetta autonomia, malgrado si tratti di società partecipate, ma con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. Infine, il comma 4 dello stesso articolo 21 stabilisce, per il solo 2014, la riduzione di 150 milioni delle somme da riversare alla RAI, ovvero delle somme – come i commissari sanno molto meglio di me – rinvenienti dal canone.
  Fin qui il testo del decreto. Voglio dire subito che è intenzione del Governo – credo che questa sia una notizia perché l'intenzione del Governo è stata variamente ventilata, ma non ancora formalizzata, anche se siamo sul punto di farlo – favorire e promuovere in sede di conversione del decreto, cioè nel corso del dibattito parlamentare già al Senato, una riforma del testo che escluda la RAI dall'applicazione dell'articolo 20, essendo essa interessata specificatamente dall'applicazione dell'articolo 21. Questo significa che i risparmi sui costi operativi che la RAI è impegnata a realizzare dall'attuale lettera dell'articolo 20 del decreto (penso che l'emendamento riguarderà anche il 2015, per cui la RAI verrà esclusa completamente dall'applicazione dell'articolo 20), ovvero del 2,5 per il 2014 e del 4 per cento per il 2015, sono inglobati nei 150 milioni dell'articolo 21, proprio perché intendiamo, invece, confermare l'obiettivo dei 150 milioni da non riversare alla RAI previsti, appunto, dall'articolo 21.
  Nel corso di questa audizione, darò per scontato che questo sia l'orientamento del Governo e che questo avvenga in sede di conversione del decreto già in prima lettura al Senato nei prossimi giorni, con un'iniziativa che so essere anche parlamentare perché ho visto gli emendamenti già presentati, notando che ce ne sono molti in questo senso, ovvero di escludere la RAI dall'applicazione dell'articolo 20. In ogni caso, se non ci fossero emendamenti parlamentari, in questo senso si muoverebbe una proposta dello stesso Governo. Quindi, di qui in poi, in questa audizione mi riferirò esclusivamente all'articolo 21, non senza sottolineare – per quello che vale; per alcuni può valere molto, per altri nulla – che questo significa che nei 150 milioni di cui all'articolo 21 rientrano, di conseguenza, i risparmi sui costi operativi pari al 2,5 per cento nel 2014 che la RAI avrebbe comunque dovuto realizzare in base all'articolo 20.
  Veniamo, dunque, all'articolo 21 e a qualche ulteriore commento. Quale è la ratio di questa norma, così com’è scritta ? Il Presidente del Consiglio lo ha spiegato Pag. 5con efficacia comunicativa nelle scorse ore, per cui lo ripeto anch'io (scusandomi con voi perché non è originale). Cito: «anche la RAI deve partecipare ai sacrifici; deve fare la sua parte in questa operazione di redistribuzione». Su questo punto, il Governo non intende arretrare, né esistono i margini, a mio giudizio, per alleviare – questo è l'orientamento del Governo, al di là di quello che ho già detto a proposito dell'articolo 20 – l'entità del contributo straordinario che deve venire dalla RAI all'operazione che, per brevità, chiamerò «degli 80 euro», così ci intendiamo.
  Sul merito delle soluzioni proposte – vorrei dire sulla tecnica dell'intervento sotto il profilo giuridico formale – siamo, come deve essere un Governo nel regime parlamentare, aperti al dialogo per mettere a confronto le specifiche soluzioni, che abbiamo fissato nel decreto e che non rinneghiamo, con quelle che venissero proposte dalle forze sociali, culturali e, in ultimo, parlamentari nel corso della fase di conversione del decreto stesso.
  Detto di questo posizionamento di ordine generale – ovvero che non vogliamo arretrare rispetto all'obiettivo che riguarda i 150 milioni perché pensiamo che sia giusto che la RAI partecipi pro-quota all'operazione in via di realizzazione – vengo al merito delle soluzioni proposte.
  Penso che quanto disposto dal primo comma (ho già fatto il riassunto del suo contenuto) sia largamente convergente con quanto è previsto nello schema di contratto di servizio 2013-2015, di cui la Commissione di vigilanza si è di recente occupata, essendo il comma 8 dell'articolo 5 dello schema, oggetto di una proposta di modificazione proprio da parte della Commissione, proposta di cui ho potuto rendermi conto attraverso i verbali.
  Infatti, il comma 8 dell'articolo 5 recita: «la RAI si impegna a favorire un processo complessivo di qualificazione della propria articolazione regionale...» e così via. Proprio sul comma 8 dell'articolo 5 la Commissione di vigilanza è intervenuta nella formulazione del suo parere e ha proposto una modificazione rilevante che ha voluto precisare – sempre che io l'abbia capita correttamente – che l'obiettivo di questa operazione sia «il miglioramento della qualità dell'informazione locale». Nella nostra accezione questo obiettivo non è contraddetto dal primo comma dell'articolo 21, di cui mi sto occupando. Penso, infatti, che il superamento di rigidità organizzative fissate per legge – per giunta, da una legge che è stata approvata quando il contesto tecnologico era significativamente diverso da quello attuale, a proposito delle attività industriali di cui ci stiamo occupando – sia funzionale al rafforzamento del modello produttivo della RAI, grazie all'adozione di sistemi tecnologicamente più avanzati di quelli usati quando si è ritenuto, appunto, opportuno (non voglio commentare su questo perché si tratta della legislazione vigente) di fissare per legge quale dovesse essere l'articolazione organizzativa della RAI, specificatamente sul territorio.
  Siamo ormai nella fase del rinnovo della convenzione che scade nel maggio del 2016: penso sia necessario usare questo tempo per sperimentare, grazie a una più forte flessibilità, nuove soluzioni che rafforzino la capacità del sistema RAI di fare informazione locale con l'obiettivo di farla meglio e di più, non di meno.
  Il sistema delle sedi, così come sono oggi, è figlio di un'altra era tecnologica. Cambiarlo, sulla base di un progetto consapevole e non per consunzione delle diverse componenti del sistema, mi sembra un dovere, prima che un'opportunità.
  Quanto alla norma che consente la collocazione sul mercato di quote delle partecipate, credo si possa dire che è ispirata a criteri di prudenza e all'obiettivo della tutela dell'interesse pubblico. RAI Way non è citata nella norma: a me, però, non piace nascondermi dietro un dito. A questo punto, si potrebbe tentare di chiedere – burocraticamente – dove si è appreso che si tratta proprio di RAI Way. Siccome però tutti ne parlano, a partire dal consiglio di amministrazione della stessa RAI, deduco che, tra gli altri asset di società partecipate, si stia parlando proprio di RAI Way. Quindi, malgrado non Pag. 6sia citata nella norma, ne parlo perché, se effettivamente si trattasse di RAI Way, cioè di un asset strategico non solo per la RAI, ma per il Paese nel suo complesso, il Governo intende dire subito che si procederà con quote, tempi e modalità analoghi a quelli che hanno caratterizzato gli interventi sulle reti che hanno rilievo strategico e che hanno portato alla costruzione di grandi player europei delle reti in Italia, come Terna (per fare un esempio concreto).
  In secondo luogo, intendiamo operare per la tutela dell'interesse pubblico, anche mantenendo il controllo, e al tempo stesso per la valorizzazione degli asset, attirando sulle società nuovi capitali e nuovi investimenti anche privati.
  In terzo luogo, vogliamo intraprendere iniziative per favorire l'applicazione del risparmio privato italiano al capitale di rischio per ridurre il carattere bancocentrico del sistema produttivo e industriale italiano; il tutto in un contesto europeo che vede un crescente sforzo – se ho capito bene, ma di questo avrete certamente migliore cognizione di quanta ne abbia io – per separare reti da contenuti, in una chiave di rafforzamento sia della rete, che come è noto usa una risorsa pubblica, ovvero l'etere, sia dei produttori di contenuti, ognuno dei quali è chiamato a veicolarli dentro uno strumento reso disponibile per tutti gli operatori, così consentendo agli operatori che producono contenuti di concentrarsi sul loro mestiere.
  Infine, abbiamo il contributo straordinario di 150 milioni. Nel corso del dibattito parlamentare, discuteremo – qui posso solo dar conto di alcune mie riflessioni – della sua forma giuridica, anche per tenere conto della natura del canone come «prestazione tributaria» (lo dico tra virgolette perché ho ricavato questa dizione da due sentenze della Corte costituzionale, quella del 26 giugno 2002 e quella del 20 novembre 2007, che definiscono il canone come un'imposta piuttosto che come una tassa pagata in corrispettivo di una specifica prestazione).
  In questo contesto, discuteremo a partire dalla consapevolezza che si tratta di una norma anche giuridicamente complessa, perché non c’è dubbio che se si tratta di un'imposta è una cosa; se si tratta di una tassa, un'altra. La Corte costituzionale, a più riprese, l'ha qualificata come un'imposta. Non c’è dubbio, quindi, che ci siano delicati problemi giuridici da affrontare; per certi aspetti qualcuno più vicino alla tesi del pagamento del corrispettivo del servizio ipotizza che, su questa base, si possa dichiarare l'illegittimità costituzionale di questa norma; altri, invece, ritengono che, trattandosi di una prestazione tributaria, si possa più ragionevolmente intervenire con modelli operativi analoghi a quelli fissati nel decreto. Comunque, il Governo, una volta fissato quell'obiettivo di cui ho detto in partenza, è aperto alla discussione per fare in modo che, anche sotto il profilo giuridico, la norma venga definita al meglio.
  In questo contesto, non perché sia collegato direttamente alla norma che sto discutendo e nemmeno perché sia immediatamente collegabile con ipotesi di emendamenti, richiamo il fatto che, come i commissari sanno, a proposito di questa che chiamerò «prestazione tributaria», nel caso del canone RAI il tasso di evasione è significativamente più elevato di quanto non sia la media dell'evasione rispetto alle altre imposte, che già è notevolmente più alta, soprattutto in certe parti del Paese, rispetto alla media europea (è vero però che questo problema è aperto anche per tante altre prestazioni tributarie in Italia).
  Ho l'impressione che, al di là dello specifico contesto nel quale colloco il ragionamento, il problema dell'eccesso di evasione fiscale del canone per l'informazione audiovisiva complessivamente intesa è reso più grave dal fatto che siamo in un ambito nel quale il prodotto, ovvero il contenuto del servizio, è fruibile anche su strumenti diversi e plurimi rispetto alla televisione tradizionale. Personalmente, non credo che si possa molto a lungo tollerare che resti, come grida manzoniana, un modello operativo di prelievo Pag. 7tramite una prestazione tributaria mentre il contesto tecnologico induce modificazioni tali per cui progressivamente coloro che pagano fanno la figura di quelli meno prudenti o meno efficaci nella tutela dei propri interessi.
  Naturalmente, restano molti problemi aperti sui quali immagino che i commissari vorranno intrattenersi. Questo è il mio modesto contributo alla discussione per quello che riguarda l'audizione di questa sera.

  SALVATORE MARGIOTTA. Ringrazio molto il viceministro Morando, noto a tutti noi che abbiamo qualche esperienza di vita parlamentare come una persona che affronta queste discussioni essendo preparato, come ha dimostrato anche questa sera. Mi è anche molto piaciuto il tono di concretezza e di pragmatismo che ha voluto dare alla sua audizione.
  Proverò a stare sullo stesso terreno, con uguale franchezza, dicendo tutto quel che ho apprezzato degli intendimenti del Governo e discutendo dei punti che ritengo da approfondire, provando a migliorare il testo.
  Innanzitutto, questa sera ci giungono due notizie buone, o comunque importanti, di cui non ero a conoscenza. La prima è quella della volontà di non applicare l'articolo 20 alla RAI. Secondo le sue parole, questo vale circa 70 milioni; noi pensavamo 50-60 milioni. Tuttavia, al di là del numero, è certamente un dato importante perché non si somma il taglio dell'articolo 21 a quello dell'articolo 20. Credo quindi che questa sia una notizia da enfatizzare e di cui sono assolutamente soddisfatto.
  La seconda notizia importante è che il viceministro ci dice che, fatto salvo il principio che la RAI deve partecipare al risanamento del Paese o alla redistribuzione di risorse in senso equo e di giustizia sociale, al pari di tutti coloro che possono parteciparvi, e ferma restante la cifra dell'articolo 21, si può ragionare per cercare di migliorare il tutto per avere un cammino che possa essere soddisfacente.
  Trovo entrambe le questioni di particolare pregio.
  Parto dalla cosa che mi soddisfa di meno: mi riferisco alla vicenda delle sedi regionali. Lei ha letto bene il contratto di servizio. L'emendamento sulla vicenda delle sedi regionali al comma 8 dell'articolo 5 era mio (cioè del relatore), per cui so che cosa volevo dire: bisogna potenziare l'informazione locale. Non ho mai immaginato e non immagino, però, che la si possa potenziare chiudendo le sedi regionali, che rappresentano il vero distinguo. Se, come suppongo, seguirà il provvedimento nella vita parlamentare, vedrà che su questo, in Senato, in tanti abbiamo presentato emendamenti con cui proveremo a salvaguardare il principio contenuto nella legge precedente, secondo cui è necessario un presidio in ogni regione.
  Oggi, chiedendo agli uffici tutti gli emendamenti che avevamo presentato, ho visto che questo emendamento ha come prima firma Fornaro e come ultima quella di Zavoli. Ecco, questo mi sembra significativo, e non devo dire il perché. Ci batteremo nelle aule parlamentari per l'idea che in ogni regione ci sia una sede; il che non significa non rivedere completamente il lavoro e la produttività delle sedi regionali, non fare una profonda analisi di eventuali sprechi o della possibilità di renderle più efficienti.
  Ricordo bene che l'anno scorso lo stesso direttore generale venne a evidenziare che alcune sedi hanno immobili sproporzionati, con costi enormi. Peraltro, forse anche per questo il Presidente del Consiglio è vicino a questa problematica, visto che il direttore, se non sbaglio, ci parlò proprio di quella di Firenze come di una sede con un edificio enorme.
  Nessuno di noi si sottrae all'idea che anche il funzionamento delle sedi regionali vada rivisto. Tuttavia, resta il principio secondo cui un servizio pubblico non può non avere un presidio in ogni regione, almeno finché il nostro Paese sarà organizzato in questo modo, con venti regioni. Poi, a chi già guarda al futuro direi che ci Pag. 8ragioneremo al momento opportuno: attualmente, questo è un principio forte e ineludibile.
  Ho apprezzato anche la chiarezza e la franchezza con cui il viceministro non ha messo la mano sul fuoco sul dubbio di costituzionalità che alcuni evidenziano a proposito di quell'articolo. Infatti, dice che bisogna studiare bene la forma giuridica, trattandosi di tassa di scopo, con tutta la lunga discussione cui ha accennato: questa è un'altra consapevolezza importante che il Governo ha, di cui prendiamo atto.
  Anche su RAI Way sono d'accordissimo. È antipatico citare se stessi, ma in un'intervista di qualche mese fa avevo ipotizzato che fosse una delle soluzioni possibili per rendere più efficiente la RAI e anche per recuperare un po’ di soldi. Avevo dimenticato ciò che ho appreso nel corso dell'assemblea Usigrai, ovvero che anni fa Zaccaria stesso aveva provato a mettere in vendita il 49 per cento di RAI Way, ma fu l'allora Ministro Gasparri a non renderlo possibile. Come spesso accade, oggi le parti sono ribaltate. Tuttavia, se in quel momento il Governo era contrario, ma quel Governo e quella RAI lo volevano fare, mi pare veramente una forzatura della realtà che adesso da parte di alcune sigle sindacali si ritenga che questo sia un favore da fare a Mediaset o a Berlusconi. Anche il Presidente Fico oggi ha fatto una dichiarazione, che ovviamente non condivido, ritenendo addirittura che questo possa essere parte del patto del Nazareno, quando appunto tredici anni fa era successo esattamente il contrario. Ecco, su questo, quindi, non porrei la questione. Non c’è dubbio che ciò abbia un senso. C’è una sola perplessità, ovvero che in ogni vendita coatta spesso si vende male, tuttavia su questo la direzione generale ha idea di riuscire a recuperare qualcosa.
  Passo a quello che mi sta più a cuore e su cui, forse, non è il viceministro, che si occupa di economia, a dover rispondere. In questo periodo, di qui al rinnovo della concessione (che a mio parere bisognerà provare ad anticipare perché il provvedimento richiede una rivisitazione complessiva del ruolo della RAI e della sua funzione, quindi probabilmente anche di anticipare, appunto, i tempi rispetto al rinnovo della concessione) quello che vorremmo noi del PD – poi il capogruppo e gli altri colleghi diranno anche più e meglio – e che non è emerso fin qui, proprio perché è un decreto che ha altre finalità, è un progetto sulla RAI.
  Probabilmente, se si fosse riusciti ad accoppiare un provvedimento di taglio e già in nuce un'idea forte di RAI sarebbe stato più facile anche sostenere il dibattito di questi giorni, che ha toni estremi ed eccessivi, che credo tutti faremmo bene a chiedere che siano, invece, attutiti. Infatti, come sentito oggi dal viceministro, do atto al Governo che ci sono le possibilità di fare un buon lavoro e di far sì che anche la RAI raccolga la sfida di partecipare al processo di risanamento del Paese, con equità, senza indebolire la funzione stessa del servizio pubblico.
  In questa Commissione abbiamo lavorato sul contratto di servizio quasi unanimemente sull'idea che la funzione della RAI, quindi la sua essenza di servizio pubblico, rimanga insostituibile per l'oggi e per il domani, pertanto, proveremo, per quanto di nostra competenza, a far seguire a queste affermazioni anche fatti concreti.

  MAURIZIO ROSSI. Mi fa piacere che questa sera non abbiamo limiti di tempo, quindi possiamo parlare in libertà.

  PRESIDENTE. C’è sempre un limite ragionevole.

  MAURIZIO ROSSI. Ho cronometrato il collega Margiotta. Sono 10 minuti.
  Innanzitutto, questa volta vedremo se è più forte il partito della RAI o il Partito Democratico. È chiaro, infatti, che si sta aprendo un conflitto interno molto pesante. Non mi interessa, però, far polemica, ma essere costruttivo.
  Il primo punto è sul rinnovo di cui ha detto il collega Margiotta. Non si può parlare di rinnovo. Questa parola va cancellata perché chi la utilizza dice una cosa sbagliata. Il contratto scade, quindi è una scadenza.Pag. 9
  Ho mandato a tutti i commissari, al ministro, al Presidente del Consiglio, a Cottarelli e altri, un parere sul perché si dovrà andare a un bando nel 2016. Oggi, questa è l'unica soluzione possibile secondo il testo unico. Mettiamoci in testa che si deve parlare di un bando che scade il 6 maggio del 2016. Se poi ci saranno altri pareri legali, li vedremo.
  Su discorso di RAI Way, apprezzo enormemente il coraggio di questo Governo di dimostrare che non guarda in faccia nessuno, neanche la RAI, che è un partito trasversale con una certa forza, per cui cercare di sfidarlo è – ripeto – un atto di coraggio che non posso che apprezzare. Non mi sarei mai aspettato di arrivare a una situazione così positiva. Tuttavia, riguardo a RAI Way, consiglio di non pensare di venderla oggi. Le motivazioni sono diverse. Innanzitutto, non credo che sia giusto pensare a tagliare 150 milioni facendo un'operazione di vendita di un asset. Bisogna agire su un'operazione di diminuzione di costi di gestione perché deve diventare qualcosa di stabile. Siccome conosco abbastanza bene il settore, posso garantire che vendere oggi RAI Way sarebbe sbagliato anche perché nel 2015 abbiamo la Convenzione di Ginevra che rifarà totalmente l'assetto delle frequenze. A oggi non è dato sapere quale sarà la situazione delle frequenze che andranno a finire anche alla RAI perché si dovrà, appunto, rivedere tutto.
  Inoltre, non dimentichiamo che non solo nel 2015 abbiamo Ginevra, ma stiamo disturbando mezza Europa con il nostro sistema frequenziale, per cui deve essere rivisto totalmente. Peraltro, arrivando al 2016, non sappiamo ancora quale sarà il bando e quali frequenze prevederà per l'assegnazione a chi dovrà gestire il servizio pubblico (uno, tre, cinque canali). Delle cinque frequenze che oggi ha la RAI, RAI Way potrebbe averne una sola. Aggiungo di più. Sono convinto che il sistema frequenziale italiano vada totalmente rivisto. Non escludo che si debba pensare, eventualmente, di togliere tutte le frequenze all'emittenza locale per creare in un soggetto come RAI Way, un operatore unico che possa risolvere mille problemi per il sistema delle frequenze nel Paese, prioritario agli interessi dei privati e delle emittenti, come quelle locali, che avrebbero a sufficienza uno o due canali a testa di trasmissione, non frequenze. Quindi, con una o due frequenze si risolve il problema in ogni regione per avere un prodotto fatto veramente bene. Per queste ragioni, è meglio vendere RAI Way quando si saprà che cosa potrà essere dopo il 2016. Oggi, invece, si andrebbe a vendere qualcosa che non sappiamo bene cosa sia.
  Ho presentato emendamenti Commissione. Sono molto simili a quelli che ho presentato in Commissione di vigilanza sul contratto di servizio, che, tra l'altro, ho fatto avere al commissario Cottarelli. Mi fa piacere che alcune idee siano state colte. In ogni caso, le mie idee per il risparmio sono quelle di avvicinare la RAI a qualsiasi altra televisione del servizio pubblico europeo. Nessuna televisione europea – le nominiamo sempre – ha più di tre o cinque canali di trasmissione; la RAI ne ha 17. A questo proposito, la invito a chiedere alla RAI il bilancio di ogni singolo canale per capire quale sia il costo in relazione all’audience oppure al fatto che ci sia un beneficio culturale straordinario per il Paese, rispetto al quale si passa sopra l’audience.
  Oggi RAI News ha fatto lo 0,48 per cento di share. Ce ne rendiamo conto ? Quanto costa RAI News ?
  Ecco, occorre riassettare tutto perché 17 canali non servono a niente. Se scendiamo a cinque canali, come si dovrebbe, avremmo risparmi per ben oltre i 150 milioni. Può darsi, poi, che RAI News finisca sul canale 3, e non sul canale 51, quadruplicando o quintuplicando il suo audience. Infatti, fare ascolti è anche un problema di LCN.
  Non esiste più il canale 1 alla Democrazia Cristiana; il canale 2 al PSI e il 3 al PCI. Altrimenti, dovremmo avere il canale 1 a Forza Italia, il 2 al PD e il 3 al Movimento Cinque Stelle, se rifacciamo i pesi di una volta. Per non toccare il discorso della radio, con 85 milioni di perdita solo sul settore radiofonico.Pag. 10
  Anche Floris ieri sera ha detto al Presidente del Consiglio che così avvantaggiamo Mediaset. Ebbene, non poteva dire una stupidaggine più grande. Forse non sa che tutti i mezzi editoriali italiani (Mediaset, La7, le emittenze locali, i giornali) negli ultimi tre anni hanno – chi non è fallito – diminuito i loro costi dal 20 al 50 per cento. Il costo di 150 milioni che si chiede di diminuire alla RAI è pari al 6 per cento del fatturato; non è niente in confronto a quello che dovrà accadere prossimamente, altrimenti finiremo come la Grecia.
  Detto questo, ho proposto cose concrete, innanzitutto la diminuzione da 13 a 3 redazioni. Nessuna televisione europea ha 13 redazioni indipendenti; la BBC, che viene citata mille volte in questa sede, ha 3 redazioni, una internazionale, una nazionale e una regionale. Altri Paesi ne hanno due; qualcuno ha addirittura una sola redazione, che ha poi delle sottoramificazioni.
  Parliamo del numero di giornalisti. In RAI ci sono 1.700 giornalisti contro i 180 di Sky e 300 di Mediaset; 350 dirigenti giornalisti con contratti a tempo indeterminato contro i 10 di Sky. Non mi pare, però, che Sky sia da buttare.
  Un'altra cosa importante è che se arriviamo a una riduzione delle frequenze da 5 a 2, visto che non c’è motivo per cui ce ne siano 5, tenendo conto – questo forse non si sa – che ogni frequenza ha circa 3.500 impianti, vuol dire che la RAI, togliendo tre frequenze, diminuisce il suo costo di gestione di 10.000 impianti. Quindi, quando passeremo al DVB-T2 – altro motivo per cui è meglio che RAI Way aspetti ancora prima di capire quale sarà l'investimento da fare – se invece di 13.000 impianti in Italia ne dovrà comprare 5.000 dovrà affrontare un costo enormemente minore, con una differenza di decine, se non centinaia, di milioni di ammortamenti annuali. Questo è il motivo per cui bisognerà passare a due frequenze.
  Riguardo all'accorpamento delle redazioni, lo scandalo è quello del costo delle redazioni regionali, che avrebbero un'autonomia finanziaria. Come sa il Presidente Fico, fin da luglio ho fatto un'interrogazione chiedendo i costi di ogni singola redazione regionale, ma la RAI non risponde: si rifiuta di rispondere, non vuol dire quanti dipendenti ha perché si vergogna di dirlo.
  Allora, lo chieda lei, viceministro, quanti dipendenti ha e qual è il costo di ogni singola redazione regionale. Se vanno fatti i tagli, bisogna fare i conti. È vero o no che ci sono 700 persone a Milano ? È vero o no che ce ne sono 150-200 in altre redazioni ? Questo non si sa.
  A quel punto, ho fatto un emendamento molto semplice: si accorpino le sedi regionali in macrosedi da un minimo di 5 milioni di abitanti che non possono avere più di 200 dipendenti cadauna tra giornalisti, dirigenti, tecnici. In questo modo, glielo diciamo noi quello che devono fare per iniziare a razionalizzare il sistema.
  Chiudo con il discorso dell'evasione. La modifica del canone è una cosa complicatissima, ma la andremo a vedere verso il 2016 perché ormai siamo molto vicini a quella data. Inoltre, se si dovrà fare un bando – questo dovrete analizzarlo; vi ho scritto il motivo per cui secondo noi è giusto farlo – bisognerebbe già iniziare a fare le audizioni per iniziare a capire quale sistema pubblico vorremo dal 2016 in poi. Non può restare tutto com’è. Tuttavia, se non disegniamo qual è il sistema che vogliamo, ovviamente non si potrà neanche fare il bando.
  Per quanto riguarda l'evasione, sa come si elimina ? Occorre, prima di tutto, spiegare ai cittadini per che cosa pagano il canone. In questa sede è stato eliminato il bollino blu, anche se poi non è detto che il ministro e la RAI, siccome il parere della Commissione non è vincolante, non decidano di confermare quanto avevano già firmato. Infatti, il bollino blu era stato già firmato tra la RAI e il ministero.
  Ritengo che se saremo trasparenti e chiari con gli utenti, potremmo chiedere loro anche di pagare il canone. Se poi faremo un bando, avverrà una cosa semplicissima: il canone non lo determineremmo noi, bensì la gara. Nel puro interesse dei cittadini, ci sarà il servizio migliore Pag. 11al costo inferiore e guarderemo il servizio pubblico con gli occhi dei cittadini e non a protezione e a difesa di un sistema che è ormai vecchio e va sicuramente cambiato.

  MAURIZIO GASPARRI. Cercherò di contenere in limiti di tempo ragionevoli le osservazioni che vanno fatte. Parto, viceministro Morando, da una notizia di attualità. Siccome si parla del sistema nel suo complesso, l'intervento del senatore Rossi, che conosce bene il settore, ha introdotto dei temi legittimi. Poi, si può essere d'accordo o meno; la RAI dovrebbe avere un certo numero di canali invece di 15, tre redazioni, dal momento che anche altre televisioni hanno concentrato in una redazione comune, eccetera.
  Tuttavia, noi stiamo parlando di un'altra cosa. Questo è un discorso di revisione di riforma di un sistema o anche di autoriforma di un'azienda. La RAI potrebbe infatti assumere proprie decisioni di riorganizzazione, se nel perimetro di una legge. Essa deve assolvere a una funzione di servizio pubblico, ma, come dico da tempo, non c’è scritto che si debbano avere 15 canali. Del resto, vengono al pettine alcuni nodi: bisogna che alcuni che hanno negato l'evidenza ne prendano atto.
  Con il passaggio al digitale terrestre e con la legge che ha accompagnato questo passaggio, era ovvio che si sarebbe moltiplicata l'offerta. Invece, si è negato questo discorso, parlando del pluralismo o di Mediaset. Si sono dette falsità, per cui oggi abbiamo un problema di sovrabbondanza di offerta. Abbiamo più offerta televisiva che telespettatori che potenzialmente la possano consumare. La RAI, nel fare una moltiplicazione di offerta, ha canali di grande pregio e di grande qualità, che però hanno lo zero virgola qualcosa di audience. Non so se questo sia ben presente. Tutti citiamo le reti generaliste, ma adesso, con il digitale terrestre, salvo qualche cocuzzolo di montagna in un Paese molto complesso dal punto di vista – si tratta di altra questione – abbiamo il servizio in tutta Italia. La gente può vedere un numero di canali molto maggiore di prima, pagando il canone che, in fondo, non è molto costoso. Poi, se si orienta sui canali principali, dipende dalla programmazione. Se si facesse la partita dei Mondiali su RAI Movie o su RAI 5, tutti la vedrebbero. È ovvio, però, che la RAI concentra l'offerta di maggiore pregio sui canali che hanno una maggiore consuetudine perché c’è la pubblicità e tutto quello che sappiamo.
  Tuttavia, non è questa la sede per una riflessione. È giusto che si faccia perché una volta che si moltiplicano gli spazi tecnologici e i canali il sistema deve decidere cosa fare. Difatti, la legge vigente consente – lo dico al viceministro Morando, che conosce questi temi – la privatizzazione parziale. La legge dice che la RAI può cedere delle quote e fare come si è fatto per l'Enel e per l'Eni. Non è che si deve cedere il controllo pubblico. Se è un'azienda appetibile e si quota, qualcuno può anche comprarne una piccola parte. La legge prevede questo. Ora, si può migliorare o cambiare, ma nella legge c’è. Addirittura, la legge vigente dice che si possono vendere rami di azienda, per cui oggi, senza fare nessuna legge, l'azionista (che, alla fine, è il Governo, anche se è ovvio che si discuterebbe anche in Parlamento, visto che la RAI non è una proprietà qualunque) potrebbe vendere RAI Way, RAI Cinema o RAI 2. Questo si può fare. Quindi, se c’è un problema di riorganizzazione, si può fare già molto a legislazione vigente. La RAI potrebbe, infatti, non avere bisogno di 15 canali e di tante altre cose.
  Dico questo ai fini di una valutazione complessiva, soprattutto al viceministro Morando, perché mi pare che vi sia una mancata percezione del problema. Si è fatto un discorso di questo tipo: ci sono tante caste (il Parlamento, la RAI, eccetera), quindi togliamo un po’ di soldi anche alla RAI. Mi pare infatti che l'intervento dall'articolo 21 sia rozzo e propagandistico, nel senso che parliamo di soldi e di dove ci sono. In realtà, questo non dà alcun beneficio ai cittadini. Un collega ha presentato un emendamento Pag. 12molto giusto, nel senso che, se si interviene sul canone, si potrebbe diminuire il canone dalla cifra corrispettiva. A quel punto, però, non avreste i 150 milioni di incasso. Si vuol far credere ai cittadini – questa è la comunicazione che sta facendo il Presidente del Consiglio, che è capace, ma noi non siamo scemi – che si colpisce la casta, togliendo i soldi alla RAI. A questo punto, dateli ai cittadini. Diminuiamo di 150 milioni l'ammontare del canone; invece di 113 euro, se ne pagherebbero 98.
  Questo, però, non si può fare perché il Governo con quei soldi deve fare la massa critica. Allora, se si tratta di evitare sprechi, in RAI ci sono 44 dirigenti sopra i 200.000 euro – questo è il numero esatto – per cui potremmo applicare loro il tetto. Dopodiché, vi diranno che se è necessario ingaggiare un dirigente televisivo bravissimo devono prenderlo sul mercato.
  In questi giorni, a quelli che nella legge vigente criticavano i limiti antitrust faccio presente che un signore che si chiama Murdoch sta fondendo Sky Italia (quindi la cosa ci riguarda), Sky Deutschland e la televisione inglese. Fondendo tutto in un'unica società, si forma un colosso tale per cui diventa difficile comprare dei film, i mondiali di calcio o la Champions League, ovvero i prodotti televisivi di maggiore consumo (poi, possiamo anche far vedere la musica lirica alle 20.30, ma non la vedranno; sarebbe molto più bello, ma non possiamo costringere il pubblico).
  Abbiamo una legislazione che fu criticata per i limiti antitrust, mentre andrebbero alzati, non abbassati. Quando torniamo a casa o sull'I-pad abbiamo, sullo stesso strumento, la televisione locale di Genova, che cito con rispetto, e Sky.
  Dico, pertanto, al Governo di non fare un intervento ideologico, prendendo i 150 milioni, perché la RAI deve competere non solo con il privato italiano concorrente, che a questo punto non è più il competitore principale, bensì con Sky che fa le fiction sulla camorra, lo sport e l'informazione, forse anche meglio perché con meno persone. Peraltro, Sky è nata dopo, ha potuto fare un'azienda partendo da zero, senza le pressioni e le interferenze che la RAI ha subìto nei decenni. Infatti, i difetti e i pregi della RAI non si sono formati in un giorno.
  Inviterei, dunque, il Governo a una maggiore riflessione. Proporrei di aprire un dibattito e fare delle iniziative legislative su queste questioni perché affrontare il problema prendendosi dei soldi vuol dire mettere in difficoltà un competitore, che sarà anche pubblico al 100 per cento, ma che poi la sera, quando la gente prende in mano il telecomando, sta in concorrenza con il mondo e con una Sky che adesso diventa una super società europea.
  Vedremo se l’Antitrust e la Commissione europea autorizzeranno queste operazioni. Può darsi che Murdoch voglia fare una cosa che la Commissione europea non autorizzerà. Noi, però, saremo sempre una piccola parte. Parlo di cose che conosco. Quando è nata Sky, dalla fusione di Tele+ e di Stream, ci furono permessi europei e italiani, da parte dell’Antitrust italiano, del Governo italiano e di Monti, che era commissario europeo alla concorrenza (c’è sempre Monti). Ora, non so quello che accadrà, viceministro Morando, ma dico a lei, persona attenta, di non fare interventi cervellotici. La RAI è comunque una proprietà pubblica, se viene depauperata o mutilata, competerà con le mani legate in un mondo che va avanti per conto suo.
  Non potremmo fare un emendamento per dire a Murdoch di non fare questo. Alcune cose ci travolgono. Vi inviterei, pertanto, a riflettere anche sul prelievo dei soldi. È vero che servono i soldi, ma c’è anche una forte evasione del canone. Sono anni che si parla del famoso canone nella bolletta, ma non si fa. Nessun Governo di sinistra o di destra ha mai voluto farlo perché i cittadini odiano il canone. Nei sondaggi, infatti, viene fuori che è una tassa odiatissima e impopolare. Alla fine, però, la RAI da qualche parte si deve alimentare. Possiamo aumentare la pubblicità, ma oggi il mercato pubblicitario langue. Tra l'altro, in questo decreto c’è anche la norma che non fa pubblicare gli appalti sui giornali. Ebbene, i giornali già Pag. 13sono in crollo; se togliamo loro anche quell'introito, generiamo un ulteriore problema.
  Personalmente, ho presentato un emendamento soppressivo all'articolo 21 perché, a parte le questioni che tralascio (è o meno una tassa di scopo; il viceministro Morando ha già inquadrato il problema), e tenendo conto che la RAI non fa un contenzioso perché è pubblica, quindi il direttore generale non si mette a fare causa al suo editore o a quello che lo ha nominato, il problema c’è. Il consiglio d'amministrazione lo potrebbe fare; gli amministratori – poi ci sono sindacati, con gli scioperi, che è la normale dialettica – potrebbero eccepire questo aspetto e dire che non si può fare perché si tratta di una tassa di scopo, che serve per quella cosa. Del resto, si chiama «canone», ma è un termine di gergo, non è quello esatto. Il Governo dice che con quei soldi dà gli 80 euro e fa tante altre cose belle. Tuttavia, quella tassa si paga per fare quella cosa, non altre. Quindi, c’è un profilo giuridico, oltre a quello di indebolire un'azienda.
  Su RAI Way – dopodiché mi fermo, anche se ci sarebbe molto da dire – vorrei precisare che, a suo tempo, avevo il potere giuridico, come ministro, di dare un parere vincolante. Il Governo precedente aveva deciso di vendere il 49 per cento di RAI Way (cioè le torri) a una società americana, Crown Castle, e dava al ministro il potere di assumere la decisione finale. Dopodiché, ci furono le elezioni e cambiò il Governo. Io diedi un parere negativo perché quell'accordo cedeva il 49 per cento, ma c'erano dei patti parasociali, di cui non si parla mai. Ovviamente, andai a vedere le carte. Per esempio, ogni decisione andava presa con il 67 per cento della società, cioè quelli che compravano il 49, di fatto, non consentivano più al 51 per cento di comandare. Si potrebbe dire, infatti, di cedere il 49 e prendersi i soldi. Chi non vorrebbe cedere una minoranza, ovvero comandare a casa propria e prendere dei soldi ? Nei patti parasociali, però, era scritto che le decisioni erano da assumere con il 67 per cento della società, quindi compravano la minoranza, ma poi comandavano. Vi erano diversi altri limiti. Io dissi di no. La RAI dell'epoca fece ricorso, ma il TAR, una volta tanto, diede ragione a noi. Su questa vicenda ci sono addirittura sentenze del TAR, perché era un patto leonino: chi comprava la minoranza comandava. Per questo ci fu una valutazione negativa.
  Oggi, invece, si può vendere. Il direttore generale ha detto in pubblico, alla famosa assemblea dell'Usigrai (quindi non svelo un segreto), di quotare in borsa RAI Way di modo che, pur mantenendo il controllo, potremmo avere dei soldi. Ecco, può darsi che funzioni. La borsa un giorno sale e uno scende. Siamo sempre sul piano di controllare un bene e prendere dei soldi sul mercato con cui poi far fronte alla richiesta del proprietario, ovvero del Governo.
  Tuttavia, questo non accade in un giorno, per giunta con una convenzione in scadenza. Ci si potrebbe anche chiedere, se non si rinnova la convenzione con la RAI, queste torri che cosa trasmetteranno. Il senatore Rossi ha poi aggiunto altre questioni proprio sulle frequenze e su altri aspetti, che conosce meglio di noi perché ha fisicamente gestito le cose, mentre noi le abbiamo affrontate solo sotto un profilo giuridico. Insomma, concludo, chiedendovi di fare attenzione e di non trattare la questione in maniera rozza.
  Sulle sedi regionali condivido ciò che ha detto il collega Margiotta. Ci sono le regioni; il servizio pubblico si giustifica in quella direzione. Poi, per testimonianza, vi dico che le sedi di Cosenza e di Firenze sono troppo grandi e quella di Venezia sta in un palazzo storico, Palazzo Labia, che andrebbe venduto, ma non lo vuole comprare nessuno. Mi dicono che hanno provato a vendere. È un palazzo di pregio che affaccia sul Canal Grande, per cui si potrebbe vendere all'UNESCO o all'ONU, ma – ripeto – pare che nessuno lo abbia voluto comprare. Il problema è di ridimensionare, rivedere e valutare se in una sede sono troppi perché, come tutte le cose pubbliche, si sono stratificate nel tempo. Non si possono, però, sopprimere.Pag. 14
  Non possiamo chiudere neppure Potenza, che è meno importante, perché direbbero che già sono una regione piccola e meridionale, quindi non si può chiudere anche la sede RAI. Chi glielo va a dire che non sono Milano ? Giustamente, si arrabbierebbero.
  Non so chi dovrà decidere queste cose, se il Parlamento in ultima sede o il sottosegretario Giacomelli. Tuttavia, ho fatto questi ragionamenti al viceministro Morando, che ha una visione di assieme.
  Per far cassa di 150 milioni si può affrontare l'evasione, che ammonta a varie centinaia di milioni di euro. Credo, inoltre, che la RAI abbia 2,5 miliardi di arretrati da ricevere dal Tesoro. Andate a guardare; può darsi che si possano trovare risorse anche risparmiando.
  Peraltro, Palazzo Labia è come la torre di RAI Way. Non si vende dalla sera alla mattina. Vendendolo in stato di necessità, si venderà a 100.000 euro, ma, anche se non faccio l'immobiliarista, non credo che valga tanto poco, visto che sta sul Canal Grande. Lo stesso vale per le sedi di Firenze e Genova. Se occorre chiuderle o spostarle, c’è bisogno di tempo. Se si vende in poco tempo, è alle condizioni dell'acquirente. Inviterei, quindi, il Governo alla saggezza. C’è sicuramente il problema di cambiare il sistema e rivedere le aree di spreco. Non è necessario farlo in un decreto per fare lo spot e dire di aver moralizzato la RAI. Altrimenti diremo che i soldi li prende il Tesoro e che il cittadino non ha nessun beneficio, anche perché non ci sarà il tetto per i dirigenti e quant'altro.
  Ecco, mettiamo il tetto. Dopodiché, se è necessario ingaggiare la superstar della televisione o comprare i mondiali di calcio, non potremmo dire che c’è un limite perché sono prezzi che fa il mercato. Insomma, da questo punto di vista, la RAI deve pur poter competere.
  Dico, insomma, di fare attenzione a non affrontare in modo rozzo un tema delicato.

  ALBERTO AIROLA. Grazie, viceministro, della sua presenza. Sono Alberto Airola del Movimento Cinque Stelle. Non mi intendo di gestione aziendale, ma so abbastanza di prodotti. Conosco un po’ la RAI perché vi ho lavorato da esterno. Le devo dire che, come dicevano i miei colleghi, è indubbiamente un carrozzone. A noi la RAI così com’è non piace. Bisogna rinnovarla seguendo una visione strategica ampia. Altrimenti partiamo, ma non sappiamo dove andare a parare.
  La questione che ci lascia molto perplessi è che, partendo da uno spot di equità nel pagamento per gli 80 euro, si pensi a vendere quella che, in realtà, è la cosa più importante per un'azienda che fa trasmissione. Ricordiamo, infatti, che la RAI è una partecipata come le altre, ma fa informazione e servizio pubblico, che sono basilari in ogni democrazia. Non è che andiamo a trattare gomme o altri prodotti. Parliamo dell'anima della democrazia, anche se riteniamo che non sia fatta benissimo, proprio perché è lottizzata da anni.
  Tuttavia, toccare RAI Way e le antenne è come toccare una proprietà dei cittadini che, invece, dovrebbe restare lì. Lei diceva, giustamente, che sarebbe come cominciare a dividere la rete dai contenuti. Ecco, è già così perché la RAI esternalizza moltissimo. Ci sono tantissimi sprechi, per cui si potrebbe migliorare a partire da questo. Serve, però, un obiettivo. Forse la visione del 2016 è quello su cui dobbiamo lavorare. Inoltre, c’è la questione dell'evaso (550 milioni) che è fondamentale, nonché il fatto che la RAI si è impegnata in una ristrutturazione tecnologica per digitalizzare due TG, che mi pare si aggiri su 148 milioni. Insomma, in questi anni la RAI ha dovuto investire parecchi soldi, anche per il digitale terrestre.
  La invitiamo a riflettere su questo, anche perché possiamo trovare altrove i 200 milioni dal momento che ci sono le coperture che abbiamo indicato negli emendamenti. Il mio gruppo ha fatto un emendamento abrogativo al Senato, quindi – ripeto – abbiamo trovato le coperture. Non è quello il problema.
  Personalmente, temo che parta un saccheggio. Ho dei timori in questo senso perché vengo da una città, Torino, in cui, Pag. 15purtroppo, si è partiti vendendo parti di partecipate perché la città era molto indebitata, ma poi le abbiamo vendute tutte, cioè ne abbiamo perso il controllo.
  Un'azienda che ha un dirigente ogni quattro lavoratori. Sono in parte d'accordo con quello che hanno detto i colleghi e indubbiamente, c’è da fare un grande lavoro. La questione che a noi sembra basilare è di non intaccare il servizio pubblico di informazione, bensì riformarlo. Le sedi regionali fanno parte di questa visione di insieme e possiamo modificarle.
  Da esperto di tecnologia, riconosco che la RAI è un dinosauro che si sta trasformando; ha delle cose molto vecchie che sicuramente si possono migliorare e su cui possiamo risparmiare, efficientando. L'efficienza, però, deriverà da quello che progetteremo come punto di arrivo, ovvero come servizio pubblico ideale che vorremmo nel 2016. Per ora, penso che i cittadini abbiano diritto a tenersi le infrastrutture.

  GIORGIO LAINATI. Vi farò fare un viaggio nel tempo. Signor ministro, ricordo che nell'autunno del 2001, quando il senatore Gasparri era da pochi mesi Ministro delle comunicazioni, io da pochi mesi sedevo su questa sedia e ho assistito alla «semirissa» che ci fu con l'allora presidente della RAI, professor Zaccaria, prima che diventasse parlamentare del PDS, poi PD.
  Noi, come Forza Italia, fummo molto polemici, a nome del Ministro Gasparri con il presidente Zaccaria, che, invece, difendeva la scelta di cui ha parlato pochi istanti fa il senatore Gasparri. Devo dire, quindi, che mi fa una certa impressione, tanti anni dopo, non solo essere ancora qui, ma soprattutto parlare delle stesse cose, forse a parti rovesciate.
  Infatti, in tanti anni di presenza in questa Commissione, la nostra parte politica è stata oggetto di quelle critiche che, paradossalmente, altre parti politiche oggi rivolgono al Governo del quale lei fa parte per scelte che, se avessimo assunto nei nove anni di Governo Berlusconi, sarebbero state duramente criticate, come lo sono oggi, sotto certi aspetti, quelle del Governo Renzi, magari non nei contenuti, ma nella cornice politica.
  In questo piccolo e rapidissimo viaggio nel tempo, vorrei ricordare che nel corso delle audizioni dell'allora membro del consiglio di amministrazione della RAI indicato dal Ministro Tremonti, professor Angelo Maria Petroni, egli produsse una documentazione, che giace da anni negli archivi di questa Commissione e dei consigli di amministrazione della RAI, ovvero uno studio – potete chiederlo perché esiste – dal quale si evinceva che l'unica possibilità per recuperare il canone sarebbe stata quella di agganciarlo alla bolletta elettrica, indipendentemente dal gestore.
  Quindi, in questo straordinario viaggio nel tempo a parti e ruoli rovesciati – una volta i cattivi eravamo noi, adesso, invece, pare siano altri – non trovo che quelli che vengono identificati come cattivi lo siano poi tanto, poiché una riforma del servizio pubblico probabilmente va fatta.
  Per la prima volta in vita mia ho visto una scena incredibile; ho visto l'Usigrai applaudire il senatore Gasparri, per cui ho rilevato che sta succedendo qualcosa di strano. Eravamo seduti vicini all'assemblea dell'Usigrai. Siccome entrambi abbiamo avuto ferocissime controversie con l'Usigrai e con chi ne è stato per tanti anni il segretario, il dottor Natale, oggi portavoce della Presidente Boldrini, mi ha letteralmente lasciato di stucco vedere applaudire colui che ha dato il suo nome alla legge n. 112 dai nostalgici del monopolio della RAI.
  Oltre a queste considerazioni molto rapide, vorrei approfittare della presenza del viceministro Morando, che è una persona che stimo al di là del dei ruoli e delle appartenenze (non a caso, mi consentirà di dire, da giornalista, che è considerato un liberal da sempre nella sua parte politica, cosa che è motivo di grande soddisfazione), per leggere brevissimamente una dichiarazione del presidente della Commissione trasporti e telecomunicazioni della Camera.Pag. 16
  Oggi il presidente Meta ha detto: «Qualsiasi discussione sul futuro della RAI, sulla sua mission, sugli sprechi e sulla riforma della governance per la più grande azienda culturale del Paese è imprescindibile da una riforma complessiva del sistema radiotelevisivo italiano, attesa da anni». Il presidente Meta ha fatto questa considerazione, annunciando l'avvio di una serie nutrita di audizioni sulla riforma del servizio radiotelevisivo.
  Ora, qui c’è colui che ha dato il nome alla legge n. 112, che, 14 anni dopo la Mammì, è stata – come è noto a tutti – l'altra legge di sistema.
  Reputo, comunque, che non vi sia alcuna intenzione del governo Renzi di smantellare o creare le condizioni per cui il servizio pubblico non sia più tale nel futuro, anche se sento parlare di improbabili vendite di reti e quant'altro. Del resto, nel mondo politico parlamentare si parla di tantissime cose che sono pura fantapolitica. A ogni modo, in relazione a un'oggettiva ipotesi che si proceda a una riforma del sistema televisivo e dei criteri contenuti nella legge n.112 per dare vita alla governance di controllo della RAI, lei pensa che questa evoluzione sia immaginabile o meno ?

  AUGUSTO MINZOLINI. Sarò più breve, visto che altri hanno parlato prima e molte cose sono state dette. Non penso che ci sia, da parte del Governo Renzi, l'intenzione di smantellare la RAI. C’è, però, un aspetto che forse contraddistingue l'azione del Governo Renzi, ovvero una superficialità nell'affrontare le questioni. Se dovessi fare un paragone, sembra ciò che sta avvenendo nel tentativo di riforma del Senato. Insomma, si fanno degli slogan, che servono perché richiamano l'attenzione. Peraltro, mi sembra strano che proprio io debba difendere la RAI, ma è evidente che sparare sulla RAI è la cosa più semplice di questo mondo, per cui è uscita fuori questa proposta dei 150 milioni.
  In una situazione di questo tipo, in un mercato che è estremamente delicato, questa proposta – come diceva giustamente qualcuno poc'anzi – deve essere, però, legata a un progetto. Non si può, a metà dell'anno, e per giunta nell'anno in cui ci sono i diritti sportivi, per cui abbiamo un bilancio particolare, dire improvvisamente a un'azienda – indipendentemente se è costituzionale o meno – che le si tolgono 150 milioni, specialmente in un'azienda televisiva in cui, normalmente, gli investimenti sono pluriennali, per cui arrivati a questo punto non si hanno grandi margini.
  Parto, dunque, dal presupposto che è sicuramente necessario riformare la RAI, ma non possiamo farlo dall'oggi al domani. Non è come gli 80 euro, tanto per essere chiari. Su una cosa del genere occorre darsi un orizzonte sicuramente più lungo. Faccio un esempio. Non possiamo risolvere il problema vendendo RAI Way. Infatti, nel momento in cui il mercato sa che si è costretti a vendere RAI Way, il suo valore scende verticalmente. Questo mi sembra ovvio; non devo spiegarlo io al viceministro Morando, che stimo.
  Ugualmente, ragioniamo bene sul canone, che è un altro elemento importante. Anche sulla vicenda della digitalizzazione, inoltre, c’è stata una rivoluzione. Siamo passati da 30 a 240 canali. Allora, se si vuole mantenere una quota di mercato, se prima si avevano 3 canali su 30, oggi occorre averne 17, altrimenti si perdono quote di mercato. Poi, che nel tempo l'ascolto aumenti o si distribuisca in maniera diversa – per esempio, che RAI Uno scenderà a 15, ma altri canali saliranno – mi sembra una cosa ovvia.
  Non devo ricordare qui le grandi battaglie che ci furono tra Mediaset e la RAI per i tre canali. Infatti, Mediaset – uso un argomento che fu di Berlusconi – diceva che se doveva competere con la RAI doveva avere almeno tre canali. Stiamo parlando di quote di mercato, soprattutto quando, rispetto al duopolio, vi sono interventi di altri soggetti che stanno entrando nel mercato e con la digitalizzazione avranno la possibilità di farlo.
  Pertanto, cerco di richiamare l'attenzione sul fatto che il problema è estremamente complesso perché la digitalizzazione, Pag. 17di fatto, c’è stata l'altro ieri, ma è partita dal 2010-2011. Siccome stiamo arrivando alla scadenza della concessione, cerchiamo di fare le cose con una certa logica, altrimenti, se facciamo operazioni di questo tipo in una fase così difficile, pur non volendo affossare un'azienda, involontariamente lo facciamo. Questo è il punto. Stiamo giocando con il fuoco perché è una fase di totale cambiamento, specialmente in questo settore, quindi se si fa qualcosa che si immagina di poter fare con qualunque tipo di azienda in un'impresa che ha a che fare con un sistema che sta cambiando velocemente, si rischia, a metà gestione, di darle un colpo che, probabilmente, potrebbe non dico essere mortale, ma comprometterne il futuro.

  VINICIO GIUSEPPE GUIDO PELUFFO. La discussione di questa sera, a partire dalla comunicazione del viceministro Morando e dagli interventi che finora sono stati svolti, dice innanzitutto che abbiamo fatto bene a scegliere, come era nell'auspicio introduttivo del presidente, di dare corso a questa serie di audizioni rispetto al decreto IRPEF. Infatti, come si è dimostrato finora, queste audizioni offrono un'occasione di approfondimento non scontato.
  Questa sera abbiamo avuto l'audizione del Ministero del tesoro, ovvero dell'azionista. Voglio, dunque, ringraziare il viceministro Morando per la comunicazione non burocratica, come egli stesso l'ha definita, che, oltre a presentare i contorni del decreto, ha voluto affrontare anche le questioni che sono state sollevate rispetto al decreto stesso nel corso di questi giorni e delle iniziative e delle mobilitazioni che già sono in essere.
  La prima questione che è stata sollevata è che questo decreto metterebbe in discussione lo svolgimento stesso del servizio pubblico da parte della concessionaria. Credo che il riferimento che è stato fatto al contratto di servizio dimostri come questo non sia l'intendimento del Governo e non sia l'effetto del decreto.
  Ringrazio il viceministro anche per aver affrontato in punto di diritto, esprimendo la sua opinione, alcune questioni in merito ai rilievi di costituzionalità, in questi giorni al centro del dibattito, che sono contenuti anche in una lettera di un consigliere d'amministrazione che è stata rivolta a questa Commissione.
  Procederemo, come è stato ricordato, con l'audizione del sottosegretario Giacomelli, la cui data è ancora da fissare. A quel punto, avendo noi approvato il parere della Commissione sul contratto di servizio, quella sarà l'occasione per affrontare la questione in ragione del decreto e del contratto (quindi degli obiettivi, dei costi e degli oneri contenuti nel contratto) per stabilire quale sia lo spazio che il Governo vede per la sua applicazione.
  Dopodiché arriveremo all'audizione dei vertici RAI, allorquando l'aspettativa di tutti sarà conoscere le linee guida per la realizzazione del nuovo piano industriale che è stato preannunciato dal direttore generale, anche perché, dato il contesto e il riferimento al decreto e al contratto di servizio, sarà l'azienda a essere chiamata a decidere rispetto agli obiettivi di risparmio. Sarà fondamentale conoscere l'intendimento e il fine dell'azienda. Aggiungo che possiamo pensare, se ci sarà accordo da parte di tutti, anche a una serie di altre audizioni che sono state preannunciate, sollecitate o già richieste da parte dei sindacati e dell'Usigrai. Non condivido i toni che sono stati utilizzati oggi dall'Usigrai, ma credo sia giusto che i sindacati e l'Usigrai sappiano che questa è una sede a disposizione per il tipo di discussione che abbiamo svolto in termini di approfondimento.
  Stasera mi sembra ci sia stata l'occasione di chiarire alcune questioni che sono state sollevate. La prima, che si è sentita evocare in tante occasioni, è che, in ragione del decreto e del risparmio richiesto alla RAI di 150 milioni di euro, siano necessari alcuni interventi. Questo lo abbiamo sentito anche nell'assemblea dell'Usigrai. È giusto, però, ricordare che nel testo del decreto non c’è nulla che faccia riferimento alle scelte evocate. Per esempio, a me come ad altri è capitato di incontrare i lavoratori atipici della RAI, Pag. 18che hanno un trascorso lungo mesi con l'azienda, attraverso le proprie rappresentanze, per chiudere una vertenza che consenta un percorso di stabilizzazioni – quindi anche la rinuncia alle cause, ovvero un risparmio per l'azienda – e a cui in questi giorni è stato detto che non si può fare per il taglio dei 150 milioni. Questo non c'entra niente. Non è scritto nel decreto. Questa, come altre, sono scelte che l'azienda può ritenere di fare nella sua autonomia.
  La seconda questione – mi fa piacere averlo sentito dire in diversi interventi da quasi tutti i gruppi – è che il senso di questo decreto è che la RAI può e deve concorrere alla revisione della spesa, ossia, per fare la citazione, «fare la propria parte», producendo efficienza. Per partecipare alla revisione della spesa facendo efficienza, la RAI deve però cambiare rispetto a com’è oggi. Mi fa piacere che questo fosse anche negli interventi degli altri gruppi perché ne siamo profondamente convinti. La RAI può fare efficienza e risparmi, ma soltanto cambiando profondamente. Questa è l'occasione buona per fare quanto abbiamo detto più volte.
  Per quanto riguarda il merito del decreto, è già intervenuto il senatore Margiotta. Voglio riprendere al volo soltanto alcune cose. La prima è che dobbiamo registrare tutti con soddisfazione che questa sera c’è una notizia importante sul merito del decreto, ed è quella cui ha fatto riferimento all'inizio della sua comunicazione il viceministro Morando, ovvero l'esclusione della RAI dall'articolo 20. Questo è indubbiamente un passo in avanti.
  La seconda questione, richiamata da molti, è quella che riguarda RAI Way (la chiamo così per velocità, anche per ridurre i tempi). È giusto mettere in evidenza che stiamo parlando della possibilità della cessione di una quota di minoranza di RAI Way, quindi il controllo pubblico delle torri continua a rimanere e non è messo in alcun modo in discussione. Forse, come si è accennato questa sera attraverso l’excursus storico del presidente Lainati, ma anche semplicemente accedendo alla letteratura in materia, si può guardare a questa opzione inserendola nella possibilità di un intervento di sistema più ampio, che guarda all'ipotesi della separazione, nel medio termine, tra reti e contenuti, come diceva il viceministro, ma soprattutto a quella del mantenimento della proprietà pubblica delle reti, attraverso un'operazione di valorizzazione e di sinergia con le nuove possibilità legate alla telefonia o con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti. Insomma, si può pensare, in questa fase, a una cessione di minoranza di una quota di RAI Way, che sia però legata a un'idea di intervento sistemico, che riguarda il sistema Paese. Credo che questa sia l'altra dimensione da dare a questa operazione.
  Sull'aspetto delle sedi regionali, su cui già sono intervenuti diversi colleghi, è giusto ricordare che non ci può essere servizio pubblico senza informazione locale. Data l'articolazione statuale, finché esistono le regioni, l'informazione locale è data innanzitutto su base regionale. Questo non significa però che non ci sia lo spazio per interventi di profonda riorganizzazione da parte dell'azienda. Sono state citate regioni dove ci sono diverse sedi di pregio e di valore, ma di dimensioni molto superiori rispetto agli utilizzi che ne vengono fatti. È giusto ricordare che, come previsto nella presentazione del piano industriale che aveva fatto qui il direttore Gubitosi, con tutto il tema della digitalizzazione della TGR, bisogna vedere se le sedi attuali sono funzionali o se non ha più senso, invece, fare un'operazione di valorizzazione immobiliare e trovare delle sedi più consone al processo di innovazione tecnologica, producendo risparmi e facendo efficienza. Infine, credo che questa discussione richiami la necessità di affrontare da subito il tema della concessione. Peraltro, qui in Commissione, con l'audizione del viceministro Catricalà, sebbene ci fossero questioni su cui non eravamo d'accordo, come quella del bollino blu evocata dal senatore Rossi, era stata presentata l'idea di avviare un percorso ampio di consultazione anche in vista della concessione, sul modello inglese del Royal Charter Act.Pag. 19
  Quella è diventata una delle questioni di cui abbiamo discusso più volte in Commissione ed è stata anche il cuore dell'audizione del viceministro Giacomelli, dando per acquisito questo elemento, ovvero che ci si trova tutti d'accordo sul fatto che sia necessario un percorso di coinvolgimento. Oltre al percorso di discussione, di approfondimento e di coinvolgimento, vediamo però se si può anche anticipare il tema della concessione. Su questo, il senatore Rossi propone il bando di gara, noi parliamo di rinnovo; tuttavia, in ogni caso si tratta di legge. Ecco, vediamo se si può pensare di anticipare la legge e se riusciamo a fare un passo in avanti da questo punto di vista. Allora, la discussione che abbiamo fatto in Commissione era stata anche un'occasione di confronto dopo il contratto di servizio, per provare a coinvolgere il Parlamento, ovvero l'Assemblea, con mozioni che iniziassero ad aprire questa fase. In questo senso, la conversione del decreto ci costringe a pensare e rappresenta un'opportunità affinché nella fase immediatamente successiva al decreto si possa iniziare da subito la discussione per anticipare i tempi della concessione, quindi collegare questo intervento a un'idea di riforma sistemica dall'azienda RAI. Pertanto, ex malo bonum, possiamo fare un passo in avanti da un punto di vista di sistema.

  FEDERICO FORNARO. Per una scelta di metodo, credo si debba rimanere all'oggetto dell'audizione del viceministro Morando, che è la conversione in legge del decreto-legge n. 66. Da questo punto di vista, le puntualizzazioni che abbiamo ascoltato oggi dal viceministro sono estremamente importanti. Mi permetto di aggiungerne una. Credo, infatti, sia significativo – vorrei avere una conferma su questo – che la lettura dell'articolato, in particolare dell'articolo 21, porti a definire i 150 milioni come una sorta di una tantum.
  Questo è un problema anche per le coperture e contrasta con il fatto che l'obiettivo politico del Governo, dichiarato non in questo decreto, è che gli 80 euro rimangano strutturalmente, non soltanto in maniera episodica sul 2014. Abbiamo, quindi, un altro elemento, anche rispetto alle questioni di prospettiva che sono state poste da alcuni colleghi, perché, se i 150 milioni si riferiscono soltanto al 2014 e non rimangono anche per gli esercizi successivi e fossero ottenibili attraverso la vendita di una quota di larga minoranza di una società partecipata come RAI Way, molte delle discussioni che ho letto e degli appelli, mi sembrerebbero basati su un'informazione non corretta. Se, invece, i 150 milioni diventassero strutturali, il tema sarebbe diverso.
  Inserendomi sulla linea definita dal vicepresidente Margiotta, nel condividere anche l'intervento del collega Peluffo, se l'obiettivo è di partecipare e far partecipare anche la RAI alla politica di spending, i 150 milioni li possiamo prendere da RAI Way. Peraltro, ho trovato innovativo il tema, per come è stato impostato dal viceministro Morando. Infatti, la questione non è semplicemente la vendita di una quota di minoranza, bensì un ripensamento del ruolo di RAI Way perché il paragone con Terna porta verso un altro tipo di progettualità di questa partecipata, che non è più soltanto una società strumentale della RAI, ma potrebbe porsi, appunto, in un'altra prospettiva. Questo è molto interessante anche rispetto a problematiche che stanno crescendo – come chi fa l'amministratore locale sa benissimo – a causa della proliferazione di impianti di telecomunicazioni che, ribaltati su piccoli comuni, provocano diversi problemi non oggetto della discussione di oggi. Ora, se questo è vero, credo che anche l'approccio alla questione delle sedi regionali vada posto in maniera differente da come è stato fatto nel decreto, cioè non per via legislativa, quindi abolendo l'obbligo previsto dalla normativa, ma in via di indirizzo all'azionista nei confronti del consiglio di amministrazione della RAI. L'obiettivo deve essere quello della razionalizzazione e del risparmio dei costi, nel rispetto del principio che un servizio pubblico pagato con il canone dei cittadini ha alcuni vincoli, uno dei quali è avere un'informazione regionale che abbia una presenza territoriale definita. Questo non vuol dire che va bene tutto quello che c’è adesso, Pag. 20in termini immobiliari, di risorse dedicate o di investimento. Lascerei, però, questo al consiglio d'amministrazione e agli organi amministrativi, avendo, tuttavia, un indirizzo chiaro e netto da parte del Governo e anche del Parlamento, se, una volta tanto, volessimo usare lo strumento dell'ordine del giorno o della mozione in senso positivo. Nessuno – lo voglio dire chiaramente – vuole difendere gli sprechi o situazioni indifendibili, per esempio sul piano immobiliare. La questione non è difendere tutto perché nulla cambi.
  Chiudo con il tema del recupero del canone. Ricordo che ne abbiamo parlato diverse volte. Peraltro, la Commissione e gli uffici avevano fatto arrivare i modelli di riscossione del canone di altre nazioni per guardare anche cosa avviene fuori d'Italia. Condivido la preoccupazione di inserire nel modello della bolletta energetica ulteriori costi impropri, visto che già ne contiene. È però altrettanto vero che oggi potremmo fare una vera operazione di redistribuzione tra chi paga e chi non paga. Infatti, se pagassero tutti, si potrebbe pagare meno canone. È banale, ma è un dato significativo.
  Condivido anch'io la richiesta di sforzo progettuale che è emersa in diversi interventi. Allora, l'anticipo del rinnovo della concessione o comunque del bando della nuova concessione – non voglio litigare su questo – può diventare il terreno su cui Parlamento e Governo si confrontano, nella logica che è stata descritta meglio di me dal collega Peluffo. Credo che questo sia un altro tema.
  Faccio un'ultima battuta che non vuole essere polemica nei confronti del collega Gasparri. Non sono solo i piccoli cucuzzoli della montagna a non aver avuto lo switch-off, bensì interi chilometri quadrati della Pianura Padana. Il problema dello switch-off è dunque ancora tutto da risolvere.

  PRESIDENTE. Da organi di stampa si apprende che il direttore generale avrebbe dato mandato a un advisor per quotare in borsa RAIWay. Di questo cosa pensa ?

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. Ringrazio tutti coloro che hanno partecipato alla discussione. Voglio partire da una precisazione. Sapete che il ministero di cui indegnamente faccio parte non è quello vigilante sulla RAI. È inutile che lo dica a voi, ma sottolineo che moltissime delle questioni che sono state sollevate riguardano un'attività di indirizzo che, per definizione, compete al ministero vigilante.
  Siccome domani non voglio trovarmi una bella polemica all'interno del Governo tra il ministero vigilante e il Ministero dell'economia imperialista che pretende di decidere su cose che non gli competono, cercherò il più possibile di non occuparmi di quella parte delle vostre osservazioni, per me molto interessanti, che riguardano la competenza di qualcun altro all'interno del Governo. Capisco che l'atteggiamento possa essere considerato burocratico, ma penso che «imparare a restare al proprio posto», in generale, possa essere utile a un governo del Paese ben equilibrato.
  Questa è la prima osservazione di carattere metodologico. Vengo ora a un'osservazione che incrocia questioni che sono state proposte da moltissimi intervenuti.
  Penso che la decisione sulla norma sia corretta. Infatti, se rimane l'articolo 21 – come pensiamo debba rimanere dal punto di vista degli obiettivi di risparmio sul bilancio dello Stato, al di là delle singole formulazioni giuridiche delle norme, che naturalmente possono essere modificate – è giusto togliere la RAI dalle imprese partecipate che sono, invece, coinvolte dall'attuazione dell'articolo 20, per le ragioni che ho già detto e che mi pare che siano state apprezzate, per cui non ho da replicare a nessuno. In astratto, sarebbe anche possibile ragionare in un altro modo, per esempio proporre di lasciare il 21 e togliere il 20.
  A ogni modo, questo non significa – questa è la mia personale opinione – che la RAI non sia impegnata a sottoporre i suoi costi operativi all'operazione di revisione della spesa. Su questo credo di avere qualche competenza non genericamente burocratica, non perché è ciò di cui si Pag. 21occupa il ministero di cui faccio parte, ma perché vi ho lavorato tanti anni della mia vita. A questo riguardo, bisogna sapere che la revisione della spesa, se stiamo parlando del Governo di un Paese oppure di un comune, è un modo di governare, non di tagliare. La revisione della spesa è una metodologia di governo che afferma il principio che, ogni volta che decidiamo sul bilancio per definire una spesa, ripartiamo e rigiustifichiamo tutto dal primo euro. Ora, tutti sappiamo che non è concretamente possibile realizzare questa operazione poiché ci sono elementi di rigidità che si ripercuotono di anno in anno. Tuttavia, adottare la metodologia della revisione della spesa fondata sul budget a base zero significa, per ogni soggetto coinvolto, e quindi per il governo dello Stato, fare sistematicamente la verifica nel breve, nel medio e soprattutto nel lungo periodo del rapporto di coerenza tra costi e benefici.
  La RAI non è il governo del Paese, ma è un'azienda che, in quanto pubblica, è impegnata a realizzare questa operazione di revisione della spesa più ancora che se fosse privata, in un contesto nel quale chiunque abbia mai visto in vita sua un'azienda privata sa che l'operazione revisione della spesa vi si pratica sistematicamente. Al momento della decisione dei bilanci, di anno in anno, si fa la revisione della spesa. Il problema, in Italia, è che lo Stato ha lungamente esitato prima di immettersi lungo questa strada che va percorsa fino in fondo con coerenza. Non voglio dire altro. Deve però essere realizzata una revisione sistematica dei costi operativi della RAI poiché penso che una quota significativa di quei 150 milioni, per il 2014, possa venire da una seria operazione di questo tipo. Non so, né voglio, definirne i caratteri, altrimenti farei il mestiere di qualcun altro, ma sono sicuro che, dati i volumi dei costi operativi interessati e data la struttura, esistono le condizioni per realizzare un'operazione di revisione della spesa che dia importanti risultati.
  Sullo specifico del 2014, penso – poi passo subito al punto che riguarda la non strutturalità dell'intervento di «prelievo» o di mancato trasferimento dei 150 milioni – che, all'interno di quei 150 milioni, la quota rinveniente da operazioni di seria revisione della spesa della RAI possa essere rilevante. Che sia chiamata fuori da un emendamento parlamentare all'articolo 20, che noi appoggeremo, non vuol dire che non ci sia un impegno prioritario su questo; anzi, si tratta di un impegno prioritariamente sollecitato, senza cifre e senza obbligo giuridico formale (il quale è, peraltro, contenuto nell'articolo 21), perché credo vi debba essere un pieno coinvolgimento dell'attività di gestione della RAI in questa operazione che chiamo sbrigativamente «revisione della spesa».
  Vengo subito a un punto che mi preme particolarmente perché riguarda le disposizioni «positive» del decreto n. 66, non quelle riferite alla copertura di cui abbiamo parlato questa sera. Non ci vuole un grande esperto per sapere quello che il Governo ha scritto nella relazione tecnica di questo provvedimento. Insomma, non è un segreto. Mi riferisco al fatto che l'operazione che chiamiamo degli «80 euro» nel 2014 si copre parzialmente, nell'ordine del 50 per cento, su riduzioni strutturali di spesa che si ripeteranno negli anni successivi, e che quindi potranno coprire, per questa parte, il provvedimento che si ripeterà anch'esso negli anni successivi (se non credessi che le cose umane a un certo punto debbano fermarsi direi che sarà per l'eternità, ma so che l'eternità non è di questo nostro mondo); per l'altra parte, invece, le risorse hanno una componente straordinaria; valgono e ci sono per il 2014, ma certamente non valgono e non ci sono per coprire il provvedimento che si ripeterà nel 2015 e nel 2016.
  Sollecito, però, a considerare che il Documento di economia e finanza non è segreto e nemmeno poco impegnativo. Solo quelli che non sanno di cosa parliamo pensano che il Documento di economia e finanza, siccome non è una legge, non conti niente. In Italia abbiamo questa mentalità, ma questo modo di ragionare è ridicolo, se mi è consentito il termine. Infatti, il Documento di economia e finanza è stato proposto Pag. 22dal Governo e approvato – lo sottolineo – dal Parlamento con apposita risoluzione e ora trasferito per la discussione nelle sedi europee. In sede europea si discute di quello, oltre che di ogni singolo provvedimento attuativo. La discussione, in sede europea, si concentra – ripeto – sul Documento di economia e finanza. Ebbene, nel Documento di economia e finanza è scritto, impegnativamente, che l'operazione che chiamiamo «revisione della spesa», che deve essere implementata soprattutto attraverso le operazioni sia di innovazione legislativa, sia specialmente di alta amministrazione, che dovremo mettere in campo di qui alla fine dell'anno a valere sul 2015, sul 2016 e sul 2017, è impegnata a realizzare una riduzione di spesa di 17 miliardi di euro sul 2015 e di 32 miliardi di euro sul 2016.
  Questo crea le basi finanziarie sufficienti per una copertura strutturale del provvedimento degli «80 euro» che stiamo discutendo adesso e in sede di conversione al Senato. Anzi, questa base è persino sovrabbondante rispetto a questo decreto e all'intervento «80 euro», con i limiti che ha, poiché è capace di coprire anche le eventuali ulteriori operazioni di riduzione del cuneo fiscale contributivo sul lavoro indicate nel Documento di economia e finanza che il Parlamento ha recentemente discusso, approvando la relativa risoluzione. Ovviamente, si può sostenere che il Governo non sarà capace di realizzare questa operazione. Se il Governo non è capace di realizzare una revisione della spesa che dia 17 miliardi nel 2015 e 32 miliardi nel 2016, allora il provvedimento che stiamo facendo, che ha copertura e applicazione nell'immediato solo per il 2014, non è strutturale. Tuttavia, l'esistenza stessa del Governo è legata al successo dell'operazione di revisione della spesa poiché quella porta con sé l'attuazione del programma sul versante della riduzione del cuneo fiscale contributivo sul lavoro. Quello che sto dicendo è impegnativo, ma è abbastanza evidente che sia così.
  Per questa ragione, può darsi che siamo superficiali, ma dico sommessamente – non voglio fare polemica con nessuno – che abbiamo sottolineato che, a causa del carattere straordinario di una componente delle coperture 2014, siamo ben consapevoli dell'esigenza di dare profondità temporale al provvedimento, per cui per gli altri anni provvederemo come ho detto, ma nel 2014 dobbiamo fare operazioni straordinarie, anche un po’ rozze, destinate a non ripetersi.
  Quando il senatore Gasparri, nell'ambito di una sacrosanta polemica politica che ci sta sempre, dice che dovremmo dare ai cittadini i 150 milioni che chiediamo alla RAI, riconosco che non li stiamo dando a tutti i cittadini. Tuttavia, obiettivamente, anche il senatore Gasparri riconoscerà che li stiamo dando – come è scritto nel provvedimento – a una quota piuttosto rilevante di cittadini, quella interessata, appunto, dal provvedimento relativo agli 80 euro. Non sono tutti i cittadini; certamente ci sono importanti categorie meritevoli tanto quanto quelle che abbiamo scelto. Ciò nonostante, abbiamo fatto questa scelta per ragioni di politica economica e per il sostegno della domanda aggregata, su cui adesso non vi annoio perché non è la sede. In ogni caso, stiamo discutendo di quel decreto, quindi non è colpa mia se abbiamo bisogno di spiegare perché abbiamo collocato questa norma che riguarda la RAI dentro quel decreto e con queste caratteristiche. La ragione è appunto questa.
  A me sembra tendenzialmente convincente, ma questo non significa che ogni aspetto di quella norma lo sia altrettanto. Discuteremo, quindi, nel merito di ogni aspetto di quella norma. In ogni caso, sul punto dei 150 milioni di euro e su quello della partecipazione della RAI a questa operazione, che chiamo di redistribuzione a fini di crescita tramite il sostegno della domanda aggregata, non intendiamo arretrare. Vedremo la discussione, ma confermo il nostro orientamento.
  Mi scuso per tutte le osservazioni che non sono in grado di riprendere, ma – ripeto – vorrei rispettare le competenze del ministero di cui faccio parte. Vi sono, invece, due considerazioni che voglio riprendere.Pag. 23
  La prima è quella del senatore Margiotta, con cui numerosi intervenuti si sono dichiarati d'accordo, ovvero che non si può potenziare l'informazione regionale – come il Governo, attraverso me, è venuto a ribadire qui, facendo riferimento alla bozza del nuovo programma del Governo e al parere, con emendamenti, approvato dalla Commissione di vigilanza – chiudendo le sedi regionali. Se l'espressione letterale rimane questa, tra quelli che sono d'accordo con il senatore Margiotta ci sono anch'io. Noi, infatti, non vogliamo chiudere le sedi regionali, bensì rafforzare la presenza dell'informazione regionale. Ora, che questo debba essere fatto mantenendo rigida una norma di legge che definisce come debbano essere queste sedi, di quale livello di autonomia si debbano adottare, se di quella organizzativa o di quella finanziaria, è un passaggio ulteriore, secondo la mia personale opinione e penso di poter dire anche del Governo.
  Questo passaggio ulteriore non è incluso nell'affermazione che non si migliora l'informazione regionale chiudendo la sede regionale. Su questo sono d'accordo. Mi permetto, invece, di obiettare sul fatto che, per migliorare l'informazione regionale, si debba per forza avere quella specifica struttura fissata rigidamente dalla norma. La ragione per cui c’è quel comma sta proprio nel fatto che abbiamo pensato di offrire al management e al consiglio di amministrazione della RAI le condizioni di superamento di rigidità inutili che consentano di realizzare quell'operazione di revisione della spesa in chiave di reindustrializzazione e di miglioramento della produttività di cui ho parlato all'inizio. Se la formulazione solleva il problema del superamento del vincolo ad avere in sedi regionali, miglioriamo la formulazione. Non è però necessario che si debba mantenere per forza la rigidità della legge anche in questa fase di «riprogettazione» della RAI.
  L'ultima osservazione su cui volevo insistere riguarda la necessità di realizzare, se si vorrà e se ce ne sarà bisogno, operazioni di vendita in generale. Non sto parlando di RAI Way o della RAI. Molti hanno suggerito – il senatore Rossi in particolare, ma anche il senatore Margiotta e molti altri – di fare attenzione a creare vincoli giuridico-formali molto forti alla vendita di asset perché, se si deve vendere per forza, non si è liberi di partecipare a una contrattazione adeguata sul prezzo. Spero che mi riconoscerete l'onestà intellettuale di dire che sono sinceramente d'accordo con questa affermazione. Non a caso, nella mia relazione avevo fatto riferimento a modalità, tempi e procedure che siano, da questo punto di vista, assolutamente garantiste. In particolare – qui sfioro la competenza di altri, ma mi sembra di poterlo dire visto che siamo i «titolari» della proprietà – questo vale quando si tratta di asset potenzialmente strategici che, gestiti bene per operazioni di collocazione di quote della proprietà, possono diventare più forti, non più deboli, nel contesto economico e industriale del Paese. Se questo non si applica alla RAI, ne prendo atto volentieri. Tuttavia, ammetterete che in tutta Europa, non per indebolire le capacità industriali dei Paesi, ma per rafforzarle, è in corso un processo che, ove si tratti di produzione di servizi o di fornitura di beni a rete, punta a separare gestore da soggetto proprietario.
  Questo, però, non lo si fa per cedimento al pensiero unico che vuole privatizzare, ma semplicemente perché più operatori o più produttori possono rafforzarsi nel produrre il contenuto o nel fornire il bene o il servizio se il soggetto che ha l'infrastruttura attraverso la quale quel bene o servizio viaggia (scusate l'espressione non appropriata) non si identifica con gli interessi del gestore concreto che deve produrre il contenuto. È chiaro infatti che c’è una situazione di relativo conflitto di interessi.
  Non mi riferisco alla rete RAI, per cui forse vale un altro principio che non conosco (personalmente non credo, ma non ho le competenze per escluderlo). In generale, però, quando si discute di reti, un'operazione di rafforzamento dal punto di vista del capitale che renda facile l'attrazione di investimenti e di capitali anche privati, mantenendo il controllo pubblico e rafforzando la capacità della struttura di Pag. 24veicolare beni e servizi che sono prodotti da più soggetti, migliora il contesto nazionale del Paese in cui l'operazione si fa. Non è un caso che in tutta Europa ci si sta muovendo in questa direzione; non è perché lo vuole una direttiva, ma perché lo vuole il buonsenso. Penso, dunque, che questa sia un'operazione importante.
  Infine, la questione che tutti hanno sollevato e che a me sembra fondamentale è di fare attenzione a interventi sporadici, finalizzati a uno scopo condivisibile o meno, ma di breve periodo, che poi pregiudicano progetti più ambiziosi, soprattutto di medio e lungo periodo. Sono stati tanti quelli che hanno fatto questa osservazione. Penso che il Governo si debba muovere sulla base di questa preoccupazione. Quello che ho appena finito di dire a proposito delle reti si riallaccia a questo. In ogni caso – qui davvero le mie competenze si fermano – penso sia sacrosanto il suggerimento di unire non nello strumento di legge, ma nel procedimento di decisione politico-parlamentare la fase dell'elaborazione della convenzione che scade nel 2016 e quella di questo intervento più immediato. Questo, infatti, ci consente di collocare la scelta, gravosa e difficilmente sopportabile dagli operatori e dal sistema degli interessi legittimi organizzato attorno alla RAI, in un contesto nel quale anche quelle reazioni possono essere almeno parzialmente ammortizzate.

  MAURIZIO ROSSI. Vorrei solo un consiglio sul problema del canone.

  ENRICO MORANDO, viceministro dell'economia e delle finanze. In cinque avete parlato delle operazioni antielusione e antievasione. Ecco, penso sia necessaria un'operazione che sia non troppo difficile e che immetta un tasso di trasparenza, inducendo un effetto. Ormai, infatti, le tecniche di lotta all'evasione fiscale si sono concentrate attorno a più trasparenza e più rapida circolazione delle informazioni. Molto modestamente, mi permetto di suggerire che le proposte che ho sentito sono importanti, ma di difficile realizzazione. Forse, quella di far dichiarare formalmente nella dichiarazione dei redditi l'avvenuto pagamento del canone, senza altra documentazione che la banale dichiarazione «ho un televisore», «ho uno strumento», «ho pagato», per quel poco che capisco di politica fiscale, potrebbe determinare qualche significativo effetto di riduzione del tasso di morosità.

  MAURIZIO ROSSI. Un sistema non coercitivo che dovreste analizzare è quello di poter criptare programmi della RAI, specialmente i migliori. Per esempio, sui canali normali abbiamo la partita della Nazionale, ma se non si ha la tessera inserita non si vede quel canale. Questa è una cosa molto interessante che mi è stata suggerita ultimamente.

  PRESIDENTE. Ringrazio il viceministro Morando e dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 22.40.