XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 7 di Lunedì 7 luglio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA SULL'EFFICACIA DEL SISTEMA GIUDIZIARIO

Audizione di Massimo Luciani, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza», di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense, di rappresentanti dell'Associazione nazionale avvocati INPS, di rappresentanti dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA), di rappresentanti dell'Associazione Cittadinanzattiva, di rappresentanti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma, di rappresentanti dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP), di rappresentanti della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL).
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Luciani Massimo , Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 3 
Ferranti Donatella , Presidente ... 7 
Leone Antonio (NCD)  ... 7 
Luciani Massimo , Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza» ... 7 
Ferranti Donatella , Presidente ... 8 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 8 
Ferranti Donatella , Presidente ... 9 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Leone Antonio (NCD)  ... 13 
Ferranti Donatella , Presidente ... 13 
Berretta Giuseppe (PD)  ... 14 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14 
Sabelli Rodolfo Maria , Presidente dell'Associazione nazionale magistrati ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 16 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 16 
Ferranti Donatella , Presidente ... 17 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 17 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Pasqualin Andrea , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 18 
Berruti Paolo , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 18 
Ferranti Donatella , Presidente ... 20 
Salazar Michele , Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense ... 20 
Ferranti Donatella , Presidente ... 21 
Maritato Lelio , Presidente dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 21 
Ferranti Donatella , Presidente ... 23 
Berretta Giuseppe (PD)  ... 23 
Maritato Lelio , Presidente dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 23 
Capurso Pietro , Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 24 
Leone Antonio (NCD)  ... 24 
Capurso Pietro , Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 24 
Berretta Giuseppe (PD)  ... 24 
Capurso Pietro , Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Capurso Pietro , Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Capurso Pietro , Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS ... 24 
Ferranti Donatella , Presidente ... 24 
Maldari Paolo , Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 25 
Maldari Paolo , Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 25 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Maldari Paolo , Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Maldari Paolo , Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Maldari Paolo , Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA) ... 26 
Ferranti Donatella , Presidente ... 26 
Liberto Laura , Coordinatrice nazionale di Giustizia per i Diritti dell'Associazione Cittadinanzattiva ... 27 
Ferranti Donatella , Presidente ... 28 
Vaglio Mauro , Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma ... 28 
Ferranti Donatella , Presidente ... 30 
Vaglio Mauro , Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma ... 30 
Ferranti Donatella , Presidente ... 30 
Trentini Antonella , Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) ... 30 
Ferranti Donatella , Presidente ... 32 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 32 
Ferranti Donatella , Presidente ... 34 
Rossomando Anna (PD)  ... 34 
Trentini Antonella , Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) ... 34 
Leone Antonio (NCD)  ... 35 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 35 
Ferranti Donatella , Presidente ... 35 
Cignarelli Tiziana , Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL) ... 36 
Trentini Antonella , Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) ... 36 
Ferranti Donatella , Presidente ... 36 
Trentini Antonella , Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP) ... 36 
Ferranti Donatella , Presidente ... 36

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: (FI-PdL);
Scelta Civica per l'Italia: (SCpI);
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: (NCD);
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia: (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI;
Misto-Libertà e Diritti-Socialisti europei (LED): Misto-LED.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DELLA PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 15.10.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Massimo Luciani, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza», di rappresentanti dell'Associazione nazionale magistrati, di rappresentanti del Consiglio nazionale forense, di rappresentanti dell'Associazione nazionale avvocati INPS, di rappresentanti dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA), di rappresentanti dell'Associazione Cittadinanzattiva, di rappresentanti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma, di rappresentanti dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP), di rappresentanti della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL).

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sull'efficacia del sistema giudiziario, in relazione all'esame del disegno di legge C. 2486 Governo, di conversione in legge del DL 90/14, recante misure urgenti per la semplificazione e la trasparenza amministrativa e per l'efficienza degli uffici giudiziari, l'audizione di Massimo Luciani, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza»; Rodolfo Maria Sabelli, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, accompagnato dal vicepresidente dell'Associazione dottor Valerio Savio; rappresentanti del Consiglio nazionale forense, nelle persone di Paolo Berruti, Michele Salazar e Andrea Pasqualin, consiglieri nazionali, accompagnati da Silvia Izzo, dell'Ufficio Studi del medesimo Consiglio nazionale forense; Lelio Maritato, presidente dell'Associazione nazionale avvocati INPS, accompagnato da Pietro Capurso.
  Do la parola agli auditi, pregandoli di contenere i propri interventi in circa dieci minuti ciascuno.

  MASSIMO LUCIANI, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Grazie mille, presidente, cercherò di essere molto sintetico. La ringrazio anzitutto per aver acconsentito a chiamarmi per primo, in ragione di un impegno accademico che avevo fissato da molti mesi.
  Nella cortese lettera di invito lei rappresentava l'esigenza della sintesi, della concentrazione su alcuni aspetti puntuali. Lo farò, cercherò anche di essere collaborativo, cioè di indicare laddove ci sono cose che vanno bene e cose che invece vanno meno bene e possono essere chiarite, magari con qualche intervento anche relativamente semplice.
  In teoria, vorrei affrontare otto questioni – ma penso che in questo spazio limitato non sarà possibile – seguendo l'ordine del decreto-legge.
  La prima questione – me ne sono occupato anche professionalmente, ma confido che questo convincimento non alteri l'obiettività delle mie considerazioni – riguarda la novellazione dall'articolo 17 Pag. 4della legge n. 195 del 1958, che concerne il sindacato del giudice amministrativo sugli atti del CSM.
  Questa novellazione a me sembra andare esente da dubbi di legittimità costituzionale, ancorché con alcune precisazioni. Anzitutto chiarirei che la novella non ha eliminato la tutela del giudizio di ottemperanza nei confronti del CSM, perché preclude soltanto due soluzioni previste in via generale dall'articolo 114, comma 4, quelle di cui alla lettera a) e alla lettera c). Questo comporta la conseguenza che in sede di ottemperanza il giudice amministrativo dovrà sempre investire in prima battuta il CSM dell'esecuzione del proprio decisum, mentre potrà nominare un commissario ad acta solo in caso di inerzia dell'organo di autogoverno della magistratura (questo mi sembra molto importante) e non potrà invece adottare esso stesso il provvedimento in luogo del Consiglio né potrà determinarne le modalità esecutive.
  Qui è bene ricordare che la tutela in via di ottemperanza nei confronti degli atti del CSM è stata ritenuta essenziale dalla Corte costituzionale con le sentenze 419 e 435 del 1995, quindi doverosamente il decreto-legge mantiene la tutela in via di ottemperanza. È però legittima questa disciplina peculiare nei confronti degli atti del CSM ? La mia risposta è affermativa. Primo, la questione del sindacato sugli atti del Consiglio è stata ed è fonte di significative tensioni non solo fra CSM e giudice amministrativo, ma anche fra questo e giudice ordinario che come sappiamo con la Corte di cassazione è regolatore della giurisdizione, quindi una delimitazione legislativa dei rapporti è opportuna.
  Secondo, nelle fattispecie scrutinate dalla Corte costituzionale nel 1995, il CSM doveva adottare atti vincolati, sicché la Corte non si è occupata dell'ipotesi dell'ottemperanza nei confronti di atti discrezionali.
  Terzo, gli atti menzionati nella novella, nomine e conferme di incarichi direttivi o semidirettivi, sono certamente discrezionali.
  Quarto, l'articolo 105 della Costituzione conferisce al Consiglio superiore la competenza esclusiva all'adozione delle determinazioni di carriera dei magistrati; sicché a me sembra evidente che questa funzione, che è rivolta alla garanzia dell'indipendenza della magistratura, se non può certo mettere il Consiglio superiore al riparo dal controllo giurisdizionale, che è una superiore garanzia generale di legalità, deve comportare una regolazione specifica del suo esercizio.
  Quinto, quello disegnato dal decreto-legge appare un ragionevole compromesso tra l'esigenza di non contraddire il monopolio del CSM e quella di garantire i diritti dei terzi.
  Segnalo, però, che forse sarebbe opportuno: 1) estendere la disciplina speciale a tutti gli atti discrezionali del Consiglio superiore, non soltanto a quelli espressamente previsti, per un'esigenza di logicità e di coerenza; 2) precisare che le limitazioni all'ottemperanza valgono per gli atti appunto discrezionali, che sono quelli che la Corte nel 1995 non tenne in considerazione.
  La seconda cosa interessante della novella per questo profilo è che essa incide anche sullo spazio lasciato al sindacato del giudice amministrativo, precisando che i soli vizi rilevanti sono quello di violazione di legge e quello di eccesso di potere manifesto.
  Ecco, a mio avviso si potrebbe porre il dubbio di un contrasto con l'articolo 113, secondo comma, della Costituzione, che come sappiamo vieta la limitazione della tutela nei confronti degli atti della pubblica amministrazione. Però si deve considerare che il Consiglio superiore è un'amministrazione del tutto particolare, come dimostra proprio l'articolo 105 e che la novella, in realtà, non fa altro che esplicitare e rendere più direttamente vincolanti alcuni princìpi che proprio la giurisprudenza del giudice amministrativo aveva già enunciato. È ben noto che il controllo sugli atti del CSM, proprio per la peculiare discrezionalità che li caratterizza, è sempre stato definito «esterno» o «estrinseco» e che semmai le controversie Pag. 5che hanno maggiormente segnato la materia sono quelle relative all'applicazione concreta di questi princìpi che sono stabili nella giurisprudenza del giudice amministrativo.
  Sottolineerei che lo stesso Capo dello Stato, intervenendo al CSM il 15 febbraio del 2012, aveva ritenuto necessario per il giudice amministrativo – cito testualmente – «evitare un improprio sindacato che lede il potere decisionale del Consiglio superiore».
  Per altro verso, deve essere chiaro però che la novella non comporta il venir meno della censurabilità dei vizi di difetto di istruttoria o di difetto di motivazione, che non sono espressamente menzionati ma che sono evidentemente vizi censurabili come vizi di violazione di legge. Il difetto di istruttoria e la violazione di legge sono previsti dagli articoli 1 e 3 della legge 241 del 1990.
  Seconda questione: riforma degli onorari degli avvocati dello Stato. Anche di questa questione mi sono occupato – presidente, mi devo scusare – professionalmente e anche qui confido, tuttavia, che questo coinvolgimento non alteri l'obiettività delle mie considerazioni. Qui, a mio avviso, ci sono plurimi dubbi di legittimità costituzionale.
  Primo, c’è una disparità di trattamento con gli avvocati del libero foro, che hanno diritto all'intera corresponsione degli onorari liquidati dal giudice, mentre per gli avvocati dello Stato c’è una riduzione al 90 per cento.
  Secondo, diventa irragionevole condannare nelle spese l'avversario dell'amministrazione vittoriosa, perché la ragione della condanna è la rifusione delle spese legali che la pubblica amministrazione non avrebbe più, così configurandosi un'ipotesi di ingiustificato arricchimento.
  Si disincentiva l'impegno dell'avvocato dello Stato per una seria ed efficace difesa, quindi violazione dell'articolo 97 della Costituzione. C’è disparità di trattamento tra avvocati dello Stato e altri avvocati pubblici che non subiscono la medesima decurtazione. La riduzione dei compensi alla sola parte fissa comporta una sostanziale equiparazione degli avvocati dello Stato ai comuni funzionari pubblici, ciò che appare irragionevole vista la radicale diversità della loro posizione giuridica.
  Molto importante è che a carico degli avvocati dello Stato si prevede un prelievo che è sostanzialmente tributario, che non è limitato nel tempo e non è eccezionale, in violazione di plurimi parametri costituzionali che non sto a ricordare.
  Non mi sembra che ricorrano le gravi necessità finanziarie allegate dalla relazione illustrativa, per la ragione semplicissima che le spese sono liquidate dal giudice e pagate dalla parte soccombente.
  La drastica diminuzione del trattamento appare retroattiva, con violazione del principio dell'affidamento nella sicurezza giuridica. Attenzione, si applica alle sentenze depositate successivamente all'entrata in vigore del decreto-legge, quindi significa che tutta l'attività defensionale svolta precedentemente cade sotto questa tagliola.
  Le norme sugli avvocati dello Stato appaiono vere e proprie norme intruse in violazione del principio generale di cui all'articolo 15 della legge 400 del 1988. Ricordo che sia il Presidente Napolitano che il Presidente Ciampi hanno più volte rinviato leggi di conversione o decreti-legge proprio perché violavano l'articolo 15 della legge 400.
  Sembra violato l'articolo 97, perché si disincentiva la professione di avvocato dello Stato, con il rischio di perdere i migliori.
  Terza questione: soppressione delle sezioni staccate dei TAR. La normativa mi sembra un po’ irragionevole dal punto di vista dei tempi di attuazione, che sono palesemente troppo limitati anche tenuto conto dell'imminente pausa estiva. Inoltre, la soppressione mi sembra incoerente con l'intento generale di migliorare l'efficienza della giustizia, perché si determinerà comunque una maggiore difficoltà della tutela giurisdizionale. Se proprio si vuole procedere in questo senso – non spetta a me, presidente, fare valutazioni di opportunità, personalmente non sarei favorevole ma questo non conta nulla, Pag. 6ovviamente – è bene che la disciplina di attuazione sia più chiara e soprattutto che i tempi siano più lunghi, per evitare che l'efficienza del servizio giustizia sia radicalmente compromessa.
  Sul rito degli appalti quarta questione – i dubbi di legittimità costituzionale sono numerosi e seri. La definizione delle controversie con sentenza comunque in forma semplificata appare irragionevole perché le questioni di fatto e di diritto, proprio in materia di appalti, possono essere molto delicate e la forma semplificata non è adeguata a darne conto. Inoltre, siamo di fronte a una vera e propria eterogenesi dei fini, perché la previsione ha il fine di snellire il contenzioso ma è probabile – lo ha già rilevato la dottrina, c’è un commento di Maria Alessandra Sandulli su Federalismi che lo dice – che la parte soccombente, proprio a fronte di una pronuncia sommaria, non si accontenterà e sarà spinta a proporre appello, quindi il contenzioso potrebbe moltiplicarsi.
  La seconda questione attinente a questo tema è che subordinare alla prestazione di una cauzione la concessione di una tutela cautelare viola il principio che la tutela giurisdizionale deve essere assicurata a tutti, al di là delle condizioni personali e sociali. La Corte l'ha detto sin dalla sentenza 67 del 1960 e l'ha costantemente ribadito (scusate se cito qualche numero): 21 del 1961, 55 del 1995, 114 del 2004. Insomma, è la giurisprudenza sul solve et repete: non si può reintrodurre sotto forma camuffata il solve et repete.
  Non varrebbe obiettare che chi partecipa ad appalti pubblici ha normalmente i mezzi per prestare la cauzione, visto che gli appalti possono essere anche di modesto valore e che comunque il principio ha portata generale.
  Si aggiunga che lasciare alla discrezionalità del giudice la determinazione della cauzione contrasta con l'articolo 23 della Costituzione che stabilisce una riserva di legge, se pure relativa, in materia di prestazioni anche patrimoniali imposte. Qui, signor presidente, non ho suggerimenti particolari da dare perché questo vizio di legittimità costituzionale non mi sembra rimediabile.
  Da ultimo, su questo punto la previsione del deposito della sentenza nei venti giorni dall'udienza di trattazione è priva di forza autenticamente precettiva. Il termine è meramente ordinatorio e potrà essere sempre derogato dal giudice; termini del genere non sono utili se non vengono assistiti – se si crede di doverlo fare è una scelta politica – dalla previsione di sanzioni nell'ipotesi dell'inosservanza.
  Se ho ancora due minuti, concludo con gli ultimi quattro punti.
  Sulle misure di contrasto dell'abuso del processo anche qui ho dubbi di costituzionalità, perché l'esigenza di limitare il contenzioso è avvertita da tutti. Tuttavia, in primo luogo la condanna del soccombente al pagamento di una somma equitativamente determinata costituisce una vera e propria sanzione, che però è prevista in assenza dei criteri in ordine all’an e al quantum, con la conseguente violazione del già ricordato articolo 23 della Costituzione; in secondo luogo, la condanna è possibile anche d'ufficio, il che significa, se non mi sbaglio, che è possibile per la parte che spera di essere vittoriosa chiederla. Se è possibile d'ufficio, vuol dire che è possibile anche ad istanza di parte, con la conseguenza che io domando la condanna ma, in caso di rigetto della domanda, si potrebbe aprire uno specifico contenzioso in appello proprio su questo capo della sentenza.
  Anche in questo caso abbiamo, dunque, eterogenesi dei fini, perché una misura deflattiva si converte in uno stimolo al contenzioso.
  Il sesto punto riguarda il deposito degli atti processuali. Al riguardo sono collaborativo e segnalo un difetto di chiarezza facilmente correggibile. Si prevede, infatti, che laddove gli atti processuali possono depositarsi anche telematicamente, il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità, quindi potremmo avere il paradosso di una parte che deposita in forma cartacea, nella fase transitoria, e poi per scrupolo provvede Pag. 7anche al deposito telematico. In questo caso, il primo deposito sarebbe inutiliter latum; è chiaro che sarebbe un'incongruenza che è molto semplice eliminare con una formula alternativa.
  Settimo punto: accesso alla magistratura (articolo 50). Si prevede che l'esito positivo dello stage presso i magistrati ordinari o l'Avvocatura dello Stato costituisca titolo per l'accesso al concorso in magistratura. Questa previsione suscita in me dubbi di ragionevolezza. Il nostro ordinamento, infatti, negli ultimi anni si è indirizzato alla valorizzazione delle scuole di formazione professionale che in questo modo vedrebbero compromessa la loro funzione.
  Inoltre, l'accesso allo stage avviene in ragione del possesso di alcuni requisiti curriculari e senza una prova di ammissione, il che dovrebbe indurre a una maggiore cautela nella riconduzione allo stage medesimo di benefici così significativi come quello in commento.
  Ultimo punto, il domicilio digitale. Anche questa è una bagatella, ma può essere fonte di problemi e si corregge facilmente. Si prevede che la notificazione degli atti giudiziari civili a mezzo ufficiale giudiziario sia possibile solo per causa imputabile al destinatario. Anche questa è una previsione inadeguata che è facilmente correggibile perché l'impossibilità della notifica a mezzo PEC può dipendere anche da un malfunzionamento del sistema e questi ipotesi merita di essere specificamente prevista.
  Ovviamente, io mi sono concentrato su queste otto questioni, e in particolare sulle prime due, ma questo non significa che le altre non siano importanti. Ci sono altri punti molto importanti, però ho ritenuto, presidente, di raccogliere il suo invito alla sintesi. Mi impegno a consegnare entro domani pomeriggio il testo di una nota nella misura in cui possa essere utile per i lavori parlamentari.
  La ringrazio, presidente, e mi scuso con i presenti se mi devo allontanare per un impegno accademico.

  PRESIDENTE. La ringraziamo molto perché è stato molto esauriente. Aspettiamo entro domani la sua nota.
  Do la parola ai colleghi che intendono intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO LEONE. Professor Luciani, debbo dire con tutta franchezza, pur ringraziandola della presenza, che i dubbi, almeno per quanto mi riguarda, non sono stati dissipati in ordine alla «inappellabilità» (uso un termine non del tutto proprio) delle decisioni del CSM. Ritengo che la sua risposta sarà più articolata nella nota.
  Un ulteriore punto che vorrei fosse approfondito maggiormente è quello degli emolumenti degli avvocati dello Stato. Le chiedo – perché no, visto che con le audizioni si può anche tentare qualche soluzione alternativa – se c’è qualche proposta al riguardo. Lei ha sollevato dubbi precisi sull'incostituzionalità, anche se si potrebbe dire che è un fatto interna corporis. L'aspetto che potrebbe avere maggiore valenza è quello della retroattività e addirittura dell'utilizzo della norma solo per il futuro e non certo per il presente, anche rispetto agli avvocati stessi. Se, nel momento in cui fanno il ricorso, è oggetto di status, così come previsto nel momento in cui viene bandito il concorso, evidentemente la lesione può essere grave.
  Le chiederei di rispondere con la consueta puntualità e capacità di approfondimento dei problemi su questi due temi.
  Grazie ancora della sua presenza.

  MASSIMO LUCIANI, Ordinario di Diritto Costituzionale presso l'Università degli studi di Roma «La Sapienza». Sono io che ringrazio l'onorevole Leone per le preziose domande. Tuttavia, il testo scritto è leggermente più articolato della sintesi che ho proposto e che io immagino necessaria per i lavori parlamentari, in quanto studi eccessivamente ponderosi non possono essere utilizzati nella fretta dell'urgenza del lavoro politico, in particolare di conversione di un decreto-legge. Sarò quindi più articolato, ma non così diffuso quanto i temi così delicati meriterebbero.Pag. 8
  Comunque, la ringrazio per la domanda.

  PRESIDENTE. Ringrazio anche io il professor Luciani. Sicuramente aspettiamo il suo lavoro sintetico. Il problema che ha rappresentato da ultimo l'onorevole Leone è stato sollevato anche nelle audizioni che abbiamo svolto precedentemente, laddove la magistratura amministrativa è venuta qui nelle sue varie articolazioni delle associazioni nazionali e ha rappresentato note molto critiche con riferimento a questa problematica.
  L'onorevole Leone ha parlato di inappellabilità, ma in realtà si tratta di una riduzione dei vizi deducibili, di fronte appunto al giudice amministrativo, per una particolare categoria di atti. Nell'approfondimento che ho potuto fare, non tanto e non solo come relatore, ma anche per la mia pregressa esperienza consiliare, in realtà l'aspetto che mi è balzato subito all'occhio è quello di capire perché ridurlo solo a una determinata categoria di atti, fermo restando che si deve riflettere sull'istituto.
  In realtà, un approfondimento di questo genere per noi è molto importante perché da un lato c’è l'esigenza di garantire la tutela giurisdizionale nei confronti di questi provvedimenti, dall'altro c’è il problema anche di garantire il funzionamento e le decisioni dell'organo che è di rilevanza costituzionale. Questo è importante, soprattutto laddove ci sono stati dei casi.
  Sotto il profilo dell'ottemperanza, lei ha ben chiarito che deve esserci una prima ottemperanza sicuramente rivolta all'organo e poi una successiva nomina di commissario. Ecco perché abbiamo ritenuto opportuno avere anche un'interlocuzione con un costituzionalista, proprio perché, in maniera molto sintetica, possiamo dire che ognuno tira acqua al suo mulino, quindi da una parte c’è la magistratura amministrativa, da una parte il CSM.
  Vorremmo capire un po’ meglio, dovendo esprimere un parere – la parte emendativa spetterà alla Commissione affari costituzionali – le ragioni che possono essere alla base di questo provvedimento anche alla luce del richiamo del Capo dello Stato. Ho visto che sono usciti adesso dei commenti, alcuni favorevoli altri un po’ meno, quindi è importante capire come questo aspetto possa eventualmente essere migliorato nella sua articolazione.
  Ringrazio ancora il professor Luciani e do la parola agli altri auditi.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Signor presidente, questo decreto-legge in realtà contiene una disciplina complessa e noi ci limiteremo a svolgere alcune osservazioni su quegli aspetti che sono di più diretto interesse per la magistratura ordinaria.
  Anzitutto mi soffermo sull'articolo 1, quello dedicato al ricambio generazionale nelle pubbliche amministrazioni, così come si legge nel decreto. È noto che questa disposizione ha eliminato la possibilità di un trattenimento in servizio oltre il termine ordinario previsto dalla legge, prevedendo un regime transitorio molto breve per tutte le pubbliche amministrazioni, salvo che per alcune ristrette categorie, in particolare fra l'altro per i magistrati ordinari.
  In questo caso è stato infatti previsto un termine fino al 31 dicembre 2015, salvo ovviamente il caso in cui la scadenza sia prevista in data anteriore. Questo regime transitorio particolare si giustifica in considerazione della necessità di evitare contraccolpi immediati sugli uffici giudiziari che, come è noto, soffrono di una situazione già abbastanza problematica.
  Noi non siamo contrari alla riduzione del termine dell'età pensionabile e quindi sostanzialmente al ritorno al regime antecedente alla riforma del 1992. Come è noto, l'età pensionabile dei magistrati fu prorogata prima nel 1992, quando fu prevista in generale la possibilità di una proroga biennale, poi nel 2002, con la possibilità di trattenimento in servizio fino ai 75 anni.
  Tuttavia, siamo piuttosto critici sui tempi e sulle modalità di questa riforma. Anche questo regime transitorio – sostanzialmente Pag. 9è previsto un tempo di diciassette mesi – dovrebbe in realtà confrontarsi con gli effetti di una riforma che distribuisce in un tempo apparentemente lungo, ma in realtà piuttosto breve, una serie di adempimenti necessari e conseguenti agli effetti di un pensionamento pressoché contemporaneo di un numero di magistrati di poco inferiore ai 400. Sarebbe stata opportuna una valutazione preventiva dell'impatto della riforma.
  Come dicevo, parliamo di poco meno di 400 magistrati; sono quelli che ad oggi hanno un'età compresa fra i 70 e i 75 anni. Di questi 400 magistrati circa 250 ricoprono incarichi direttivi o semidirettivi, mentre 80 magistrati complessivamente (includendo cioè coloro che ricoprono incarichi direttivi, semidirettivi o non direttivi) sono addetti alla Corte di cassazione.
  Ciò vuol dire che gli effetti maggiori di questa riforma cadranno sugli incarichi apicali, quindi su coloro che hanno responsabilità di direzione e di articolazione di uffici giudiziari, e sulla Corte di cassazione, quindi sugli uffici di legittimità (Corte di cassazione e procura generale). Questo significa che in un tempo di circa diciassette mesi il Consiglio superiore della magistratura – peraltro parliamo del nuovo Consiglio che deve tuttora insediarsi, poiché le elezioni sono in corso – si troverà ad affrontare, quando inizierà i suoi lavori, la necessità di coprire un numero molto elevato di incarichi direttivi e semidirettivi.
  Va anche tenuto presente che il procedimento di copertura di questi uffici è particolarmente complesso. Occorre tuttora bandire i posti, devono arrivare le domande, si deve fare l'istruttoria, i pareri dei Consigli giudiziari, la proposta di Commissione, la motivazione della proposta, il plenum, le eventuali audizioni. Ecco perché noi pensiamo che sarebbe opportuno meditare sull'adeguatezza di questo termine di diciassette mesi e se non sia piuttosto necessario prevedere un termine adeguatamente più lungo.
  Vi è un altro effetto, però: quand'anche una volta il Consiglio superiore avrà provveduto alla copertura di tutti questi incarichi, si sarà determinato niente più che il trasferimento di magistrati da un incarico a un altro incarico, quindi resterà un vuoto di organico pari al numero di questi pensionamenti. È un vuoto d'organico che andrà ad aggiungersi all'attuale carenza di organico credo ad oggi...

  PRESIDENTE. La lettera del ministro che è arrivata oggi parla di 741 vacanze, però si tiene conto anche dei MOT, cioè di due concorsi, quindi saranno circa mille unità.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. In realtà ad oggi abbiamo circa un migliaio di scoperture, o poco meno, alle quali si aggiungeranno queste ulteriori circa 400 vacanze.
  Sarà necessario che il ministero proceda in tempi rapidi auspicabilmente anche a due concorsi all'anno per coprire queste vacanze. È inutile che mi soffermi sui tempi che sono necessari per l'espletamento dei concorsi e anche per la conclusione del tirocinio.
  Un'altra considerazione riguarda l'età media dell'ingresso dei nuovi magistrati nei ranghi della magistratura. Un tempo, fino ad alcuni anni fa, era di circa 27-28 anni; oggi siamo sui 32-33 anni e ciò è dovuto sia all'aumento della durata del corso di studi in giurisprudenza sia alla necessità di acquisire il titolo ulteriore per l'accesso al concorso. Fra gli altri titoli, è richiesta la frequenza al corso biennale delle scuole di specializzazione.
  Da questo punto di vista, noi esprimiamo un parere radicalmente opposto a quello che ho ascoltato dal professor Luciani, ritenendo invece che sarebbe necessario eliminare questo titolo di accesso. Peraltro, devo anche ricordare che questo titolo, come la creazione delle scuole di specializzazione, è un fatto relativamente recente. A lungo titolo di accesso al concorso in magistratura è stato unicamente la laurea. Quindi, anche per la necessità immediata di consentire il più ampio accesso al concorso in magistratura, sarebbe Pag. 10a nostro avviso necessario eliminare questo requisito di accesso al concorso.
  Un'ultima considerazione riguarda il dato interpretativo. Per i magistrati, a differenza che per le altre categorie della pubblica amministrazione, si fa riferimento ai trattenimenti in servizio senza altra specificazione. Per il personale delle pubbliche amministrazioni, invece, si fa riferimento ai trattenimenti in servizio in essere alla data di entrata in vigore del presente decreto. Quindi, si è posto il problema se questa espressione, senza ulteriori qualificazioni, «trattenimenti in servizio», faccia riferimento in generale a tutti i trattenimenti in servizio già deliberati o soltanto ai casi in cui il trattenimento in servizio abbia già prodotto i suoi effetti, quindi il magistrato abbia già superato il limite dei 70 anni.
  Secondo noi, la tesi pacificamente da accogliere è la prima, quindi si fa riferimento a tutti i trattenimenti in servizio già deliberati dal Consiglio superiore della magistratura, e ciò in virtù della diversa espressione utilizzata rispetto al personale delle pubbliche amministrazioni.
  Se si ritenesse di dissipare ogni dubbio interpretativo, forse non sarebbe inopportuno specificarlo in sede di conversione del decreto-legge. Questo per quanto riguarda l'articolo 1.
  Venendo all'articolo 2, commi 1 e 2, come è noto il decreto-legge prevede l'imposizione di alcuni termini per la conclusione della procedura di copertura, in particolare per gli incarichi direttivi e semidirettivi. Va detto che l'Associazione magistrati da tempo ha richiamato la necessità di rispettare i criteri, oltre che della trasparenza e della coerenza, anche della certezza dei tempi, proprio per evitare, soprattutto con riferimento ai posti direttivi e semidirettivi, che incarichi delicati restino scoperti a lungo.
  Il problema è verificare l'adeguatezza dei tempi previsti in questo decreto-legge. Le ipotesi descritte sono due: lettera a) e lettera b). La lettera a) considera i casi di vacanza prevedibile, quindi il caso del pensionamento e il caso della maturazione del termine di otto anni, oltre il quale non è possibile la conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi. In questo caso il decreto prevede che l'incarico venga coperto prima che si verifichi la vacanza. Visto che già la normazione secondaria del Consiglio superiore prevede un termine per la pubblicazione del posto precedente di sei mesi alla vacanza, si tratterà di verificare l'adeguatezza di questo anticipo.
  L'aspetto problematico, a nostro giudizio, è quello previsto dalla lettera b). In questo caso, che riguarda tutte le ipotesi di vacanza non prevedibile, è stabilito un termine di tre mesi dalla pubblicazione della vacanza.
  Un termine di tre mesi a chi conosce la complessità della procedura di copertura di questi posti appare palesemente insufficiente. Si tratta di raccogliere le domande, e questo già richiede un mese e più, poi di raccogliere i pareri dei Consigli giudiziari, di formulare la proposta di Commissione e la motivazione e di tenere le eventuali audizioni e il plenum. È difficile che questo procedimento si possa concludere in un tempo così breve.
  È vero che, in caso di mancato e ingiustificato rispetto di questo termine, il Comitato di presidenza sostituisce il relatore con il presidente della Commissione competente. È vero che anche l'inosservanza di questo termine non è assistita da sanzione, oltre a questa sostituzione del relatore. È anche vero, però, che, se non si vuole ridurre questa disposizione, che evidentemente costituisce una sollecitazione al Consiglio superiore, a una semplice norma manifesto, occorrerà prevedere un termine più realistico e più adeguato alla natura e alla complessità di questo procedimento.
  Passando a un'altra disposizione, l'articolo 2, comma 3 prevede la riduzione a due anni del tempo minimo di permanenza nell'incarico direttivo e semidirettivo. Attualmente gli articoli 34-bis e 35 prevedono una permanenza minima di quattro anni.
  Noi, pur non manifestando un parere contrario a questa disposizione, che verosimilmente mira a evitare il disincentivo per coloro che hanno visto in qualche Pag. 11modo amputate le proprie aspettative di carriera, osserviamo, tuttavia, che un termine di quattro anni era ragionevole in relazione alle necessità e ai criteri di buona organizzazione e di ordinato funzionamento degli uffici giudiziari.
  Ripeto, noi non esprimiamo un parere contrario. Evidentemente sarà poi il Consiglio superiore della magistratura a dover valutare caso per caso, in relazione alla concreta natura e alle effettive necessità dell'ufficio da ricoprire, se la permanenza minima per un tempo di due anni possa assicurare il rispetto di questi criteri di buona amministrazione.
  Vengo ora all'articolo 2, comma 4, cioè alla materia della tutela giurisdizionale contro i provvedimenti concernenti il conferimento e la conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi. Ne parlo per cinque minuti e poi concludo.
  La questione non è nuova. La questione della tutela giurisdizionale contro gli atti del Consiglio superiore della magistratura fu affrontata – credo – dalla Corte costituzionale fin dagli anni Sessanta. Vi è una sentenza della Corte, la n. 44 del 1968, con relatore Costantino Mortati, uno dei padri della nostra Costituzione, che si sofferma su questo aspetto, riconoscendo la compatibilità fra la tutela giurisdizionale contro gli atti amministrativi e i provvedimenti del Consiglio superiore della magistratura.
  Ovviamente, il problema viene qui sollevato a livello costituzionale dal rango che ricopre il Consiglio superiore della magistratura e, quindi, dalla necessità di trovare un punto di equilibrio fra la tutela giurisdizionale prevista dall'articolo 24 della Costituzione anche in materia di interessi legittimi e la tutela dell'autonomia della magistratura e, quindi, la tutela delle prerogative del Consiglio superiore della magistratura, con riferimento agli articoli 104 e 105 della Costituzione.
  Va detto – e qui mi richiamo anche ad alcune osservazioni che sono state svolte poco fa dal professor Luciani – che nella giurisprudenza del Consiglio di Stato, in effetti, si ritrovano alcune soluzioni. Dico subito che noi non affronteremo adesso un profilo di compatibilità delle previsioni di questo decreto-legge rispetto alla normativa costituzionale. Non avanziamo dei dubbi di compatibilità. Facciamo osservazioni di altro tipo.
  Come dicevo, già nelle linee interpretative adottate dal Consiglio di Stato è possibile individuare una qualche soluzione. Vi sono, per la verità, ripetute sentenze del Consiglio di Stato in merito. Ne ho rinvenuta una recentissima, di meno di un mese fa, del giugno del 2014, nella quale il Consiglio di Stato si è espresso come segue: «Costituisce ius receptum che i provvedimenti di nomina dei magistrati a incarichi direttivi e semidirettivi adottati dal CSM sono espressione di un'ampia valutazione discrezionale, come tali sindacabili in sede di legittimità nella misura in cui risultino inficiati da palese irragionevolezza, travisamento dei fatti, arbitrarietà».
  Aggiunge il Consiglio di Stato: «Al riguardo è stato pure affermato che il limite “esterno” della giurisdizione amministrativa si concretizza nella assoluta inammissibilità di una sostituzione dell'organo giurisdizionale nelle scelte di merito riservate al suddetto organo».
  Il Consiglio di Stato in questa sentenza dà anche una possibile spiegazione alla ragione per cui questo intervento nel decreto-legge sia stato limitato ai provvedimenti di nomina dei magistrati a incarichi direttivi e semidirettivi come quelli caratterizzati da un'ampia valutazione discrezionale. È, tuttavia, evidente che la scelta operata con questo decreto-legge, anche se sembra richiamarsi a questa linea interpretativa del Consiglio di Stato, miri a limitare ulteriormente l'ambito della tutela giurisdizionale.
  Questa scelta ci vede in qualche misura critici, anche perché, in realtà, questa categoria dell'eccesso di potere manifesto potrebbe suscitare alcuni problemi interpretativi di non poco momento, se, cioè, con questo riferimento all'eccesso di potere manifesto si sia, in realtà, inteso limitare la tutela giurisdizionale soltanto ad alcune delle figure sintomatiche dell'eccesso di potere, o se si sia voluto Pag. 12piuttosto fare riferimento alla misura e, quindi, all'intensità del vizio o all'evidenza della sua prova.
  Preso atto di questa ragionevole linea interpretativa del Consiglio di Stato, sembrerebbe quindi preferibile affidare al giudice amministrativo il compito di individuare linee interpretative che siano rispettose delle prerogative consiliari, senza ricorrere necessariamente a una compressione ex lege della tutela giurisdizionale degli interessi legittimi.
  Aggiungo – e questo è un piano che prescinde, naturalmente, da valutazioni di ordine strettamente costituzionale – che, come Associazione nazionale magistrati, noi abbiamo più volte invocato la soluzione della trasparenza, della completezza e dell'affidabilità della motivazione degli atti, soprattutto con riferimento a quelli di particolare delicatezza, come sono appunto il conferimento e la conferma degli incarichi direttivi e semidirettivi.
  Altro è a dirsi, invece, per quanto riguarda l'intervento in materia di giudizio di ottemperanza. Senza ripetermi, perché su questo la nostra posizione è, tutto sommato, piuttosto simile a quella espressa dal professor Luciani, noi riteniamo che sia stata una scelta non solo compatibile con la Costituzione, ma anzi rispettosa del rango del Consiglio superiore, quella di escludere la possibilità di una soluzione sostitutiva, cioè la diretta emissione di un provvedimento da parte del giudice amministrativo. È una soluzione che ci sembra rispettosa delle prerogative consiliari così come sono definite dall'articolo 105 della Costituzione.
  Vado molto velocemente sugli altri aspetti che sono di diretto interesse per la magistratura ordinaria.
  Noi esprimiamo parere favorevole per quanto riguarda la norma contenuta nell'articolo 8 relativa agli incarichi di diretta collaborazione, che esclude il ricorso all'aspettativa. Per quanto riguarda la magistratura ordinaria, va ricordato che questi incarichi di diretta collaborazione già oggi sono consentiti soltanto in posizione di fuori ruolo, che è possibile per i magistrati ordinari per un tempo complessivamente non superiore a dieci anni. L'esclusione del ricorso all'aspettativa evita soluzioni di aggiramento di questo limite di decennalità.
  Una serie di disposizioni dagli articoli 44 in poi è dedicata al processo civile telematico, che, come è noto, è divenuto obbligatorio, almeno per alcune categorie di cause civili, a partire dal 1o luglio di quest'anno.
  Noi esprimiamo, in linea generale, parere favorevole anche su queste disposizioni, che peraltro sono intervenute anche sulla tempistica di introduzione progressiva del processo civile telematico e hanno posto rimedio ad alcune criticità.
  Va detto che, come Associazione nazionale magistrati, noi esprimiamo parere decisamente favorevole al processo civile telematico come espressione di una scelta strategica di innovazione nel settore dell'amministrazione della giustizia. Tuttavia, dobbiamo far presente che queste scelte di innovazione non possono ritenersi sostitutive della necessità di risorse da dedicare alla giustizia, a partire anzitutto dalle risorse umane e, quindi, dal personale di cancelleria, che deve essere adeguatamente inserito nei ranghi. Il personale di cancelleria è già oggi largamente insufficiente alle necessità.
  Naturalmente, vi è tutta un'altra serie di necessità specificamente dedicate al processo civile telematico che noi da tempo abbiamo segnalato. Sul piano, per esempio, tecnico occorrono macchine, software adeguati, una rete efficiente e un'assistenza efficace e tempestiva. Occorre anche individuare dei protocolli e dei modelli di atto che siano adeguati alle necessità del processo civile telematico e soprattutto alla filosofia di atti digitali nativi, che è evidentemente una cosa diversa dalla digitalizzazione di atti cartacei.
  Dedichiamo un'ultima considerazione all'ufficio del processo previsto dall'articolo 50. Va detto che l'ufficio del processo costituisce da lungo tempo una delle richieste avanzate dall'Associazione nazionale magistrati. Tuttavia, nel leggere la previsione contenuta nel decreto-legge, dobbiamo esprimere diverse critiche.Pag. 13
  L'ufficio del processo, che, devo dire, ha dato ottima prova di sé laddove è stato realizzato in altri Paesi, ma anche laddove presso alcuni uffici giudiziari è stato realizzato un abbozzo di ufficio del processo attingendo al personale che svolge già ora la formazione professionale ai sensi dell'articolo 37 del decreto-legge n. 98 del 2011, viene concepito, tuttavia, tradizionalmente, con un determinato obiettivo: quello di creare una struttura che sostenga l'attività giurisdizionale attraverso funzioni di ricerca di dottrina e di giurisprudenza e attraverso funzioni di assistenza al magistrato nell'organizzazione dell'attività processuale e, in generale, in tutte le attività strumentali rispetto all'esercizio della giurisdizione.
  In secondo luogo, l'ufficio del processo, per essere realmente efficace, ha bisogno di personale in numero adeguato e anche con qualifiche e preparazione specifiche. Questa disposizione, invece, non sembra assicurare queste esigenze.
  In primo luogo, la norma fa riferimento alla necessità e all'obiettivo, testualmente, di «garantire la ragionevole durata del processo attraverso l'innovazione dei modelli organizzativi e assicurando un più efficiente impiego delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione».
  Non vogliamo dire che questi siano obiettivi inutili. In realtà, sono obiettivi insufficienti rispetto a quello che, come dicevo, dovrebbe essere lo scopo dell'ufficio del processo, che dovrebbe rappresentare una più ampia funzione di assistenza all'esercizio della funzione giudiziaria.
  In secondo luogo, questa disposizione prevede che l'ufficio del processo sia costituito da personale di cancelleria, da coloro che svolgono la formazione professionale, da coloro che svolgono gli stage formativi, dai giudici ausiliari e, tuttavia, non prevede alcuna dotazione aggiuntiva di personale.
  Su questo noi dobbiamo esprimere un forte scetticismo. Posto che soprattutto il personale di cancelleria è già oggi largamente insufficiente a far fronte alle necessità minime attuali, non riusciamo a immaginare come possa essere impiegato in queste attività ulteriori.
  Aggiungo un'ultima considerazione. L'ufficio del processo non viene previsto presso le procure della Repubblica, cosa che, invece, ci sembrerebbe opportuna, non ravvisando profili di incompatibilità.
  Infine – anche qui mi discosto, devo dire, dall'opinione espressa dal professor Luciani – noi riteniamo che, se non si volesse del tutto eliminare la partecipazione al corso biennale presso le scuole di specializzazione come titolo di accesso al concorso in magistratura, sarebbe altamente opportuna, invece, la necessità di prevedere lo stage formativo come titolo di accesso al concorso in magistratura, trattandosi di un momento formativo sul campo di sicura utilità ed efficacia.

  PRESIDENTE. Do la parola ai deputati che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  ANTONIO LEONE. Io non voglio far perdere tempo, ma, poiché ho la ventura di far parte anche della I Commissione, dove poi si votano gli emendamenti, come lei ha ricordato, avrei bisogno di sapere una cosa dal dottor Sabelli. Lei ha parlato di mantenimento in servizio di diciassette mesi, che, secondo lei, sono incongrui. Quale potrebbe essere un termine congruo ?
  Inoltre, a proposito degli incarichi, lei dice che tre mesi sono insufficienti, viste tutte le lungaggini, ossia un mese per raccogliere le domande e un altro magari per sistemarle. Poi ci sono i Consigli giudiziari. Due o tre mesi alla fine potrebbero essere anche congrui.
  Poiché, però, lei ne sa sicuramente più di me, mi può spiegare perché attualmente arriviamo a lambire l'anno, se non i due anni ? Quali sono le cause ? Sono forse riconducibili a un fatto sistematico e organico nella gestione del Consiglio superiore ?

  PRESIDENTE. Bisognerebbe avere qui Vietti per chiedere questo.Pag. 14
  Mi sembra molto importante questa puntuale domanda, che serve per arrivare a migliorare il decreto, se si vuole.

  GIUSEPPE BERRETTA. Intanto ringrazio molto il presidente Sabelli di queste utili indicazioni.
  A proposito sempre del conferimento di incarichi direttivi, capisco la critica relativa ai tre mesi, capisco il fatto che si introduce un termine di tre mesi senza sostanzialmente sanzione e che, quindi, la norma rischia di non essere efficace.
  Se, però, percorressimo, invece, la strada di un ripensamento e di un allungamento di questo periodo, potremmo prevedere un meccanismo che consenta di intervenire, qualora questo termine, magari semestrale e, quindi, un po’ più ampio, non venisse osservato e si permanesse in una condizione di attesa. Quali potrebbero essere gli strumenti tesi ad accelerare questa procedura e a sanzionare eventuali comportamenti che si discostino da un termine più ampio, ma, a quel punto, perentorio ?

  FRANCESCA BUSINAROLO. Ringrazio anch'io il presidente Sabelli per il suo intervento.
  Volevo porle delle domande relativamente al processo civile telematico. Ho sentito che avete recepito positivamente l'introduzione e soprattutto la data di partenza, finalmente, di questa procedura. Mi segnalano, però, che essa non è applicata al processo avanti il giudice di pace e, quindi, vorrei avere un parere vostro su questa questione.
  Sempre relativamente al processo civile telematico, non è obbligatorio per i provvedimenti del giudice. Sinceramente, io penso che sia opportuno, se dobbiamo partire con il processo civile telematico, che si parta in maniera perentoria e che, quindi, valga un po’ per tutti gli organi che fanno parte del processo. Vorrei sentire, però, un parere da parte dell'Associazione nazionale.
  Relativamente all'articolo 48, che riguarda la vendita delle cose mobili pignorate con modalità telematiche, io ho letto una vostra critica a questo articolo, una critica tecnica. In realtà, nel merito del provvedimento, poiché leggo anche l'analisi che ha fatto il Servizio studi della Camera, vedo che si introduce una piccola frase, in cui si dice «salvo che le stesse siano pregiudizievoli per gli interessi dei creditori o per il sollecito svolgimento della procedura».
  Io questa frase non la capisco. Le chiedo se mi potete aiutare a capirla, perché sinceramente mi sembrava che l'articolo andasse meglio prima e che adesso sia stato modificato in maniera peggiorativa. Questo è il mio punto di vista, però chiedo il vostro aiuto.
  Infine, sull'articolo 50, sono d'accordo con lei in merito al discorso dell'ufficio del processo, che effettivamente usufruisce di risorse che non ci sono e sostanzialmente le ruba – è un brutto termine, ma è così – a un tribunale che ha difficoltà già in questo momento, sia di mezzi, sia di personale. In questo contesto esso sfrutta (questo è un altro brutto termine, ma evidentemente è quello che poi succederà) i tirocinanti del decreto-legge cd. «del fare».
  Noi riproporremo anche in questa occasione la possibilità di pagare questi tirocinanti, perché effettivamente svolgeranno un'attività pratica, lavorativa, e sosterranno un magistrato. Anche su questo vorrei un parere.

  PRESIDENTE. Do la parola al presidente Sabelli per la replica.

  RODOLFO MARIA SABELLI, Presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Sono tutte questioni di una certa complessità.
  Per quanto riguarda il tema dell'età pensionabile e, quindi, della congruità del termine, in realtà non è facile dare una risposta precisa. Dare una risposta a questa domanda richiederebbe conoscere esattamente, per esempio, quali sono i tempi nei quali il ministero sarebbe in grado non dico di giungere dal bando del nuovo concorso fino all'immissione in possesso, ma a un termine ragionevole per la conclusione della procedura concorsuale.Pag. 15
  Per questo noi nel nostro parere non ci siamo espressi in termini precisi. Bisognerebbe appunto conoscere quale sarà concretamente la possibilità per il Consiglio superiore della magistratura di procedere alla copertura dei posti che si renderanno vacanti.
  Se devo esprimermi, ma veramente un po’ alla grossa, a naso, in termini molto semplici, potrei dire un anno ulteriore, ma, ripeto, è un parere che esprimo veramente in termini di grossa approssimazione.
  Quanto al termine per la copertura degli incarichi, bisognerebbe forse rivolgere questa domanda, più opportunamente, a un esperto del Consiglio superiore della magistratura. Accennavo prima alla complessità del procedimento. Si va dalla pubblicazione del posto e, quindi, dalla necessità di acquisire le domande a quella di acquisire il parere dei Consigli giudiziari e di valutare, a seguito dell'istruttoria in Commissione, la situazione, per poi formulare una proposta e redigere la relativa motivazione, procedendo, se del caso, alle audizioni, fino alla conclusione del procedimento. Evidentemente ci si rende conto che quello di tre mesi è un tempo assolutamente insufficiente.
  Un problema delicato che si pone in questo caso, però, è anche quello del rispetto delle prerogative consiliari. Va ricordato che tutta questa materia è oggetto di normazione secondaria da parte del Consiglio superiore della magistratura.
  Io non mi spingerei più in là. Sarebbe forse opportuno che, in una prospettiva di ragionevole e leale collaborazione, si giungesse a quell'adeguamento della normazione secondaria tale da consentire non dico una conclusione di questa procedura entro tre mesi, il che mi sembra un obiettivo veramente non realistico, ma in termini ragionevoli, che non arrivino alle situazioni alle quali lei faceva prima riferimento.
  Questo anche per un'altra ragione, cioè perché si deve giungere a una delibera del plenum sulla base di un'attualità della situazione e, quindi, anche degli elementi di cui il Consiglio superiore dispone e in base ai quali decide in merito al conferimento di un incarico direttivo e semidirettivo. Più in là veramente non mi saprei spingere.
  Il processo civile telematico è una materia estremamente complessa. La scelta che è stata fatta, devo dire anche previo interpello da parte del ministero di tutti gli operatori della giustizia e, quindi, di tutti coloro che sono intervenuti – magistrati, avvocati e tutto il personale di cancelleria – e che sono gli attori di questa rivoluzione sul piano dell'innovazione, è stata quella di procedere progressivamente.
  Io non saprei ora entrare nel merito del perché delle singole scelte sul procedimento dinanzi al giudice di pace. Posso dire che, mentre in alcuni casi la scelta dell'introduzione del processo civile telematico è stata piena, per esempio per quanto riguarda i procedimenti monitori, in materia di decreti ingiuntivi, in altri casi si è scelta, a nostro avviso opportunamente, una progressione che eviti la congestione di adozione del processo civile telematico per tutte le cause pendenti, per quelle di nuova introduzione come per quelle già pendenti, proprio per consentire un ingresso più modulato nel tempo, ma anche ragionevolmente breve. In fondo i tempi previsti non sono lunghissimi e le scadenze sono piuttosto ristrette.
  Per quanto riguarda, per esempio, i giudici onorari, si è posto il problema dell'accesso alla consolle. È un tema che noi abbiamo sollevato. Questa soluzione è possibile, ma va modulata e calibrata in relazione alle caratteristiche onorarie e, quindi, anche di precarietà di queste figure di magistrati.
  Per quanto riguarda i tirocinanti, naturalmente l'impiego dei tirocinanti non deve essere visto in termini di sfruttamento di queste persone, anzi, la funzione di questi stage formativi è quella di favorire la formazione di questo personale.
  Anche per questa ragione noi abbiamo sollecitato la previsione di opportuni incentivi e salutiamo con favore la previsione che lo stage formativo costituisca titolo di accesso al concorso in magistratura. Ricordo che questa era una previsione Pag. 16già introdotta nel comma 12 dell'articolo 73 del cosiddetto decreto del fare, poi cancellata in sede di conversione di legge al Senato.
  Riteniamo, quindi, che questa sia una previsione assolutamente opportuna, che riconosce il valore anche formale di questi stage formativi, i quali vanno considerati, direi, prima che in una prospettiva di aiuto a una giustizia in sofferenza, in vista proprio di una formazione, ma anche di un riconoscimento formale di questo impegno.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio.
  Do la parola ad Andrea Pasqualin, consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Grazie, presidente, per la parola e per la convocazione per l'audizione. Come poco fa si diceva, noi ci siamo divisi i compiti: io parlerò del processo civile telematico, mentre i colleghi tratteranno le questioni concernenti il processo amministrativo.
  L'avvocatura ha visto con favore l'introduzione del processo civile telematico e l'ha sostenuta con convinzione. Ritiene che sia un'innovazione importante. Certamente è auspicabilmente uno dei tanti tasselli di una ritrovata efficienza della giurisdizione, ma un tassello importante.
  Questo favore è accompagnato, però, da una preoccupazione per alcuni aspetti. Su alcuni di questi aspetti delicati è intervenuto il decreto-legge di cui stiamo parlando. Più in generale, l'avvocatura ritiene che sia necessario mettere mano a un'opera di raccordo tra le norme concernenti il processo civile telematico e lo statuto del processo di diritto comune, per così dire.
  La circostanza per cui la normativa sul processo civile telematico è stata prodotta da fonti successive e di rango diverso ha determinato, infatti, una serie di aporie nella normativa di riferimento che rendono non sempre facilmente applicabili le norme in questione e soprattutto che espongono gli utenti del servizio giustizia, in particolare gli avvocati e le parti che essi rappresentano, a dei rischi.
  Non a caso, il documento che noi rassegniamo oggi, che è un primo documento di intervento, contiene in chiusura una norma innovativa che vuole essere una proposta rivolta innanzitutto alla Camera. Si tratta di inserire nel testo del disegno di legge di conversione una norma di delega che consenta di porre mano a una sorta di testo unico delle norme sul processo civile telematico e che, perciò, venga incontro all'esigenza di risolvere i conflitti tra la normativa tecnica e quella del Codice di procedura civile e soprattutto consenta di avere una sede unica nella quale il processo civile telematico possa essere disciplinato in modo organico.
  Questo è un aspetto al quale noi teniamo molto. Ci rendiamo conto che l'originaria aspettativa di utilizzare i lavori di conversione del decreto-legge per caricarli su questo testo organico non è praticabile, attesi i tempi in cui avviene la conversione del decreto-legge. Tuttavia, riteniamo che a questo si possa ovviare affidando una delega al Governo in questo senso.
  I termini potrebbero essere quelli della metà di novembre, posto che di fatto le prime applicazioni massive del processo civile telematico si avranno verso la metà di novembre, quando cioè le cause introdotte a partire dal 30 giugno vedranno il deposito delle prime memorie interessate dalle modalità telematiche.
  Al di là di questo, abbiamo preso atto di questi primi interventi puntuali, che però debbono essere letti con attenzione, perché il tessuto della legge processuale è un tessuto delicato, che richiede interventi che siano organici ed equilibrati. Diversamente, gli effetti che si ottengono, come purtroppo l'esperienza degli ultimi anni insegna, sono negativi, anziché positivi.
  Per esempio, c’è una norma che ci preoccupa molto e sulla quale sollecitiamo in modo molto pressante l'intervento del Parlamento. È la norma che ha modificato l'articolo 133 del Codice di procedura Pag. 17civile, prevedendo che la cancelleria comunichi alle parti il testo integrale della sentenza.
  Come era immaginabile, da alcuni – in particolare, va detto, proprio dal ministero, con la circolare del 27 giugno in tema di processo civile telematico – è stata avanzata l'opinione che il termine breve per l'impugnazione della sentenza, a questo punto, decorra dalla comunicazione della cancelleria. Ciò avrebbe degli effetti devastanti, e non esagero, perché è evidente che, a questo punto, chiunque si affretterebbe a impugnare nel termine breve di trenta giorni dalla comunicazione per evitare di incorrere in decadenze.
  Noi proponiamo qui, anche se le interpretazioni, secondo logica e secondo sistema, depongono nel senso che non decorra il termine breve da questa comunicazione, onde evitare di dover discutere di questo, ripeto, delicatissimo argomento, che rischia di essere un boomerang, un modesto intervento sul testo del 133 emendato che dica chiaramente – come si suol dire, claris verbis – che questa comunicazione non determina la decorrenza del termine breve per l'impugnazione.
  Noi teniamo molto, ripeto, come avvocatura, a questo chiarimento, perché questa norma rischierebbe di diventare davvero una trappola che sarebbe spiacevole dover subire in un momento in cui facciamo un'apertura di credito importante e convinta al processo civile telematico.
  Aggiungo ancora due piccole notazioni e poi chiudo. Un'altra preoccupazione notevole che ci deriva dal funzionamento del processo civile telematico è legata alla possibilità che la parte che se ne avvale incorra in decadenze nel deposito degli atti per cause ad essa non imputabili e che risiedano in un funzionamento non ottimale del sistema.
  Abbiamo più volte sostenuto, in diverse occasioni pubbliche, ma questa è forse la più importante, ragion per cui tengo particolarmente a tornare su questo tema, l'opportunità di introdurre una norma speciale di rimessione in termini, al limite destinata ad avere una validità a orologeria, nel senso che non occorre che diventi una norma di sistema.
  Noi riteniamo che sia necessario, in questa prima fase di avvio, che sia stabilita una sorta di rimessione in termini automatica, cioè senza che vi sia intervento discrezionale del magistrato, in situazioni in cui la decadenza si verifichi per fatti che non sono imputabili all'utente del servizio.
  Anche in questo caso abbiamo provato a ipotizzare un testo sotto forma di emendamento, che ci pare assolutamente necessario. Questo perché, sempre nella circolare del ministero del 27 giugno scorso, compare un'indicazione alle cancellerie relativa alla tipologia di errore cosiddetto fatal. Sono tre le tipologie di errore che il ministero codifica, affermando che due di esse non possono portare alla mancata accettazione da parte della cancelleria, mentre la terza, l'errore di tipo fatal, come viene definito, determinerebbe la mancata accettazione.
  Io ho potuto, informandomi con dei tecnici del settore, capire che questo errore fatal dipende, se non sempre, quasi sempre da malfunzionamenti del sistema. Ecco perché noi riteniamo che una norma di rimessione in termini automatica sia quanto mai necessaria, quantomeno in questa prima fase di avvio.
  Infine, abbiamo proposto anche un intervento su una delle tante norme che richiederanno un aggiustamento, quella della sottoscrizione dei verbali. Questo è un tema delicato, che andrebbe affrontato in modo organico. Il decreto-legge interviene su alcune delle norme, ma interviene in modo curioso, presidente, perché affida la sottoscrizione del verbale al cancelliere, l'unico soggetto che di fatto in udienza non c’è.

  PRESIDENTE. Ci dovrebbe essere, anzi, col telematico ci dovrebbe essere ancora di più.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Presidente, c’è una soluzione alternativa, Pag. 18che noi abbiamo formalizzato in questo emendamento, ed è quella di prevedere che la sottoscrizione del verbale possa essere effettuata dal magistrato o dal cancelliere con la stessa efficacia di perfezionamento del verbale.

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, ma dobbiamo avallare a vita il fatto che non ci sia mai il personale di cancelleria ?

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Se noi riuscissimo, nel mondo migliore nel quale ci piacerebbe poter vivere, a immaginare questa soluzione, sarebbe certamente quella ideale. Tuttavia, l'esperienza insegna, e la situazione di scarsità degli organici lo conferma, che probabilmente, nel mettere mano in modo sistematico al perfezionamento dei verbali telematici, occorre forse pensare a una rivalutazione del ruolo, da un canto del magistrato e dall'altro del cancelliere.
  Questo è un discorso di prospettiva, ma il ruolo del cancelliere nel processo civile telematico potrebbe effettivamente essere modificato.

  PRESIDENTE. Non può fare il giudice e il cancelliere. Ci vuole qualcun altro che faccia le sue funzioni. Scusate, questa è una cosa proprio evidente.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. L'alternativa acché non venga fatto in via telematica è che il magistrato, dato atto dell'assenza del cancelliere, lo faccia in cartaceo.

  PRESIDENTE. Allora non andiamo mai avanti. Forse l'alternativa è quella di fare in modo che attraverso le mobilità ci sia del personale di cancelleria. Non ci possiamo rinunciare. Ci deve essere un aiuto in questo senso anche da parte della classe forense. Non si può pensare che le cose vadano così.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. L'aiuto, per parte nostra, nel senso di insistere affinché le risorse di personale della giustizia vengano date, c’è e convintamente. Diciamo che, però, in un'ottica di semplificazione, che è quella che ci preoccupa...

  PRESIDENTE. O c’è il cancelliere o c’è il magistrato.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. La nostra è un'opera di semplificazione, presidente. Dovremo cercare di far funzionare questo processo telematico senza troppi angoli e senza troppi spigoli. Anche questa è una norma che proponiamo.
  Ritorno e chiudo, in particolare, sulla necessità di un intervento di carattere organico, che è quanto mai essenziale. Grazie per l'attenzione.

  PRESIDENTE. Ricordo che l'intesa era che parlasse uno per associazione. Adesso faccio parlare tutti, però dovrebbe parlare uno solo, altrimenti non ce la faccio a chiudere l'audizione entro oggi. Noi presentiamo un intervenuto per organismo, salvo che gli altri intervengano poi in sede di risposta. È una questione di prassi che seguo per tutti.

  ANDREA PASQUALIN, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. È l'argomento che lo richiede.

  PRESIDENTE. È sempre così, altrimenti si moltiplicano gli interventi e, purtroppo, non abbiamo tempo.
  Oggi ho dedicato una seduta specifica, ma altrimenti è impossibile, perché noi facciamo la seduta durante la pausa dei lavori dell'Aula. È impossibile, quindi, se vengono dieci persone non posso dare la parola a tutti. È così, per prassi, da sempre, non da quando ci sono io. Adesso, per una cortesia, anche perché vi siete preparati, ovviamente derogo.
  Do la parola a Paolo Berruti.

  PAOLO BERRUTI, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Grazie, Pag. 19onorevole presidente. Io mi occuperò, veramente con sintesi, degli articoli 40 e 41, gli interventi sul processo amministrativo di primo e di secondo grado in materia di appalti.
  Nel documento che abbiamo offerto alla sua attenzione già prima dell'apertura di quest'audizione, relativamente a queste due norme noi abbiamo indicato che l'opinione del Consiglio nazionale forense è orientata nettamente per la soppressione. Le due norme, peraltro, attengono a un contesto, il processo speciale in materia di appalti, disciplinato dagli articoli 119 e 120 del Codice del processo amministrativo, in un contesto unitario.
  Ci sono poi all'interno delle due disposizioni che sindachiamo degli aspetti molto particolari. Un primo orientamento di critica è in relazione agli articoli 3, 23, 103, 111 e 113 della Costituzione. Non si vede per quale ragione il rito in materia di appalti, che è un rito speciale – ricordo all'Aula che è ex articolo 119 del Codice del processo amministrativo – debba subire, pur nella specialità del procedimento come delineata dall'originario articolo 120 dello stesso Codice del processo, una disciplina del tutto separata rispetto alle altre materie speciali. Ricordo che nell'articolo 119 sono circa 15 le materie e le competenze funzionali che vengono assegnate ai cosiddetti riti processuali speciali.
  Veniamo al contenuto dell'articolo 41. La cauzione esisteva già nell'impianto originario del Codice del processo amministrativo, nell'articolo 56, comma 3, per il solo caso dei provvedimenti cautelari monocratici, in attesa che i provvedimenti stessi venissero portati all'attenzione del Collegio giudicante nella prima camera di consiglio successiva utile. L'imposizione della cauzione subiva, però, una condicio facti nel rito generale per tutte le materie di interesse legittimo di giurisdizione esclusiva connessa alle cosiddette irretrattabilità o indefettibilità degli effetti della misura cautelare monocratica.
  Oggi si inverte il principio. In materia di appalti, infatti, il decreto, all'articolo 40, modifica e impone la cauzione come condizione di efficacia del provvedimento cautelare, con tre punti che, ovviamente, impongono su evidenti aspetti di incostituzionalità: l'ingiustificatezza di un trattamento diverso per la materia degli appalti; l'imposizione di una prestazione imposta, vietata dall'articolo 23 della Costituzione, secondo la comune interpretazione che ne dà la Corte costituzionale, la quale subordina la realizzazione di una tutela giurisdizionale alla corresponsione; e un profilo di illogicità, perché nella formula dell'articolo 40 del decreto-legge questo atto cauzionale dovrebbe avere una durata massima di sessanta giorni.
  Noi sappiamo che anche nell'impianto dell'articolo 119 e dell'articolo 120 del Codice del processo amministrativo e vieppiù nell'indicazione dei termini di procedura molto stringenti previsti dagli articoli 40 e 41 del decreto-legge si tratta pur sempre di termini processuali ordinatori.
  Si rileva anche, a giudizio del Consiglio nazionale, un profilo di illogicità della misura. Essa dovrebbe essere connessa con la durata del processo, ma una cosa è certa: il termine di vigenza della polizza fideiussoria o della garanzia cauzionale, per il principio di tipicità, avrebbe, in questo caso, carattere di perentorietà e, quindi, la polizza decadrebbe in corso del processo.
  Cui prodest ? A cosa serve garantire cauzionalmente il risultato ? Noi sappiamo che la materia degli appalti è una materia in cui lo scrutinio etico è di particolare momento e di particolare attualità al giorno d'oggi, ma non è con uno strumento del genere che si risolve la questione dell'etica dei rapporti di impresa nella gestione degli appalti, né la questione della qualità dei provvedimenti della pubblica amministrazione.
  Non dimentichiamo che il giudizio in materia di appalti, pur nel rito speciale degli articoli 119 e 120, è un giudizio di mera legittimità. Lasciamo in disparte l'azione risarcitoria che può essere connessa allo scrutinio di legittimità del giudice amministrativo. Il problema non è il contenzioso, ma la qualità dei provvedimenti amministrativi che violano, pretermettono o pregiudicano l'interesse legittimo Pag. 20della parte privata, la quale deve aver accesso pieno alla giurisdizione amministrativa. C’è, quindi, violazione anche dell'articolo 113, comma 2 della Costituzione.
  Veniamo all'articolo 41, veramente in sintesi. Sostanzialmente c’è una duplicazione della condanna alle spese, con effetti assolutamente punitivi. L'articolo 26 del Codice del processo amministrativo già consente al giudice amministrativo di primo e di secondo grado in via d'ufficio, indipendentemente da una richiesta azionata dalla parte costituita, di condannare alle spese facendo applicazione delle disposizioni contenute negli articoli dal 91 al 96 del Codice di procedura civile.
  Ipotizzare una condanna a una pena pecuniaria che, nel caso del secondo comma dell'articolo 41 in materia di appalto, addirittura si porta fino all'1 per cento del valore dell'appalto, non secondo il contratto aggiudicato, ma secondo il contratto previsto nel bando di gara e, quindi, indipendentemente da quelli che possono essere, a seconda delle tipologie di procedure per la selezione concorsuale del contraente della pubblica amministrazione, i risultati effettivi che si riflettono sul valore stesso della procedura appaltata, significa, ovviamente, imporre un'ulteriore pena, che io chiamerei balzello, che pregiudica la libertà di accesso alla giurisdizione.
  Anche questa è una disposizione che non ha un suo razionale specifico, poiché – lo troverà, onorevole presidente, nell'appunto che le abbiamo prodotto – il sistema dell'articolo 26 è già un sistema che in modo solido assicura la protezione dall'abuso del processo.
  Chiudo con un'ultima e veramente conclusiva, onorevole presidente, considerazione. L'articolo 26, in linea con le norme del Codice del processo civile, sanziona la temerarietà della lite. Il legislatore governativo nell'articolo 41 parla di una «manifesta infondatezza» della domanda azionata di fronte al giudice amministrativo.
  Si tratta di un elemento difficilmente coglibile nel suo contenuto ontologico, perché una cosa è la temerarietà e un'altra è l'infondatezza, che potrebbe derivare soltanto dalla scelta del giudice di aderire all'uno o all'altro filone giurisprudenziale. Noi sappiamo che il giudice amministrativo e le stesse quattro sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato molto spesso hanno orientamenti differenziati, pur in materie analoghe, per non dire identiche.
  Queste sono le ragioni, in sintesi, onorevole presidente, per cui le due disposizioni devono essere, a giudizio del Consiglio nazionale, espunte dal corpo del decreto.

  PRESIDENTE. Do la parola a Michele Salazar.

  MICHELE SALAZAR, Consigliere nazionale del Consiglio nazionale forense. Grazie, onorevole presidente. In linea di assoluta brevità mi occuperò della soppressione delle sezioni staccate dei Tribunali amministrativi regionali.
  Richiamo, per esigenze di chiarezza, l'articolo 125 della Costituzione, la cui formulazione è brevissima: «Nella regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado secondo l'ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della regione».
  Nell'ultimo inciso, relativo alle sezioni staccate, si coglie la preoccupazione dei Costituenti di assicurare l'accesso alla giustizia amministrativa in condizioni di uguaglianza a tutti i cittadini sull'intero territorio nazionale. La consapevolezza della diversa estensione e conformazione orogeografica delle regioni italiane spinse l'Assemblea costituente a rafforzare i presìdi della giustizia amministrativa, affidando al legislatore la valutazione circa l'opportunità dell'istituzione di sezioni staccate in sedi diverse dal capoluogo regionale.
  In questa luce la norma si pone come corollario al principio sancito dall'articolo 24 della Costituzione per cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, ma anche come coronamento del principio che sancisce la più ampia tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione, all'articolo 113 della Costituzione.Pag. 21
  Quando il legislatore ha utilizzato la sua discrezionalità per istituire le sezioni staccate, esso ha evidentemente compiuto una valutazione circa la ragionevolezza e adeguatezza di una scelta siffatta, ritenendo che le evidenziate esigenze di assicurazione dell'accesso uguale alla giustizia sul territorio nazionale gli imponessero di attivarsi in tal senso.
  La cancellazione pura e semplice di tutte le sezioni dovrebbe, perciò, lasciar presumere che quella valutazione di ragionevolezza e adeguatezza non sia più valida e che, per di più, non lo sia per ognuna delle sedi interessate. Ciò dovrebbe significare che le condizioni che hanno indotto il Parlamento a dare concretezza all'articolo 125 della Costituzione si siano modificate tutte e radicalmente, al punto da legittimare l'eliminazione drastica delle sezioni staccate dei TAR.
  Come si sa, gli atti legislativi non sono soggetti a motivazione. Tuttavia, ci si chiede su quali indizi il legislatore abbia ritenuto che sia venuta totalmente meno l'utilità del servizio reso dalle sezioni dei Tribunali amministrativi regionali, non risultando da dati empirici alcuna indicazione che giustifichi un intervento così brutale.
  Al contrario, ci si chiede se il legislatore abbia valutato con scrupolo le ricadute negative di tale cancellazione, non solo in termini di costi economici, dovuti al trasferimento delle cause dalle sezioni staccate ai capoluoghi, ma anche in termini di disagio per i cittadini.
  Vi è poi un'ulteriore considerazione. In almeno due regioni, l'Abruzzo e la Calabria, l'istituzione di una sezione in una sede diversa dal capoluogo regionale si giustifica in rapporto alle tormentate vicende che hanno portato all'individuazione delle città capoluogo.
  Come si sa, tali vicende hanno condotto a riconoscere, nel primo caso, il capoluogo unico nell'Aquila, con la possibilità della Giunta e del Consiglio di riunirsi anche a Pescara, e, nel secondo, a fissare la sede del Consiglio regionale a Reggio Calabria e quella della Giunta a Catanzaro.
  Da qui l'indicazione di Pescara e Reggio Calabria come sedi staccate dei TAR, trattandosi di regioni nelle quali, in sostanza, circa la sede nella città capoluogo vige una disciplina speciale differente da tutte le altre. Tale condizione è sicuramente rimasta identica nel tempo, donde l'irragionevolezza per questo profilo dell'eliminazione decisa dal recente intervento.
  La proposta del Consiglio nazionale forense è che venga soppressa la disposizione che prevede la soppressione delle sezioni del TAR ed eventualmente che questa questione venga trasferita in sede diversa, con la previsione di una delega al Governo e con l'indicazione di criteri specifici, come si è fatto per quanto riguarda la giustizia civile.

  PRESIDENTE. Il Consiglio nazionale forense ha elaborato un documento, che è in distribuzione, come gli altri. Grazie.
  Finiamo la prima tornata di audizioni con Lelio Maritato, presidente dell'Associazione nazionale avvocati dell'INPS, accompagnato da Pietro Capurso.

  LELIO MARITATO, Presidente dell'Associazione nazionale avvocati INPS. Buonasera, presidente. Io mi dedicherò esclusivamente all'articolo 3 del decreto-legge, che si riferisce, come è noto, alla riduzione degli onorari degli avvocati pubblici. L'articolo dispone il taglio degli onorari, sia dei riscossi, sia dei compensati. Nell'ambito di operatività di questa norma è ricaduta anche la categoria che io rappresento in questa sede, cioè quella degli avvocati dell'INPS.
  Mi preme sottolineare, in via preliminare, come questa norma abbia un approccio approssimativo. In che senso ? Nel senso che pretende di disciplinare in maniera uniforme delle fattispecie e delle posizioni che sono completamente differenziate tra di loro. L'Avvocatura dello Stato è completamente differente rispetto all'avvocatura dell'INPS e ha una struttura retributiva e organizzativa completamente differente rispetto all'avvocatura dell'INPS, la quale, a sua volta, è diversa rispetto alle avvocature degli altri enti Pag. 22locali ed è diversa anche rispetto all'avvocatura dell'INAIL.
  Per capire questo fatto è semplice fare riferimento al trattamento complessivo retributivo dell'avvocato dell'INPS. È utile che, una volta per tutte, si chiarisca qual è il trattamento complessivo retributivo di cui noi godiamo.
  Noi abbiamo un trattamento stipendiale base equiparato a quello dei funzionari. Noi avremmo una decima qualifica funzionale, ma abbiamo un trattamento stipendiale di base equiparato a quello dei funzionari della settima qualifica. In pratica, io scrivo l'atto e il funzionario che sta nel mio ufficio, che ha tra le sue mansioni, per esempio, quella di fare la fotocopia dell'atto, prende lo stesso stipendio che prendo io, come stipendio base. Siamo sui 2.500-3.000 euro lordi. Si parla sempre di importi lordi.
  Chiaramente noi svolgiamo un'attività professionale, una pareristica e un'assistenza in giudizio per l'istituto. Abbiamo 600.000 cause in tutto il territorio nazionale, anche di notevole complessità sotto il profilo previdenziale, che è, come sappiamo, un settore specialistico piuttosto impegnativo.
  Ebbene, per queste attività noi percepiamo degli onorari. Gli onorari possono essere, come sappiamo, riscossi e compensati. Sono riscossi quando si condanna la controparte al pagamento delle spese. Sia ben chiaro che noi abbiamo diritto agli onorari esclusivamente in caso di cause vinte. Lo preciso perché a un certo punto è girata la voce che noi prendessimo onorari a qualsiasi titolo. Li prendiamo solo ed esclusivamente in caso di cause vinte.
  L'Avvocatura dello Stato è completamente diversa. Proprio per questo io sono in questa sede a cercare di mettere in evidenza gli elementi di specificità dell'avvocatura dell'INPS, che, ripeto, è completamente diversa rispetto a tutte le altre avvocature pubbliche. Questo lo voglio ribadire – mi scusi, presidente – proprio perché trovo profondamente iniquo e ingiusto disciplinare in maniera uniforme delle posizioni che sono totalmente diverse.
  Dicevo degli onorari riscossi. Gli onorari riscossi sono una piccolissima parte del totale. Perché ? Perché nell'ambito previdenziale, come sappiamo, si applica l'articolo 152 delle disposizioni attuative al Codice di procedura civile e, quindi, la controparte, il cittadino privato, non viene condannato al pagamento delle spese. In questo caso il giudice non condanna la controparte, ma compensa le spese.
  Abbiamo, quindi, dei riscossi, ma molto limitati. La maggior parte degli onorari che ci vengono corrisposti sono, invece, a titolo di spese compensate.
  Che cosa succede quando noi riceviamo un onorario a questo titolo ? Esiste un modello organizzativo interno all'INPS per cui noi emettiamo la parcella e l'amministrazione ci corrisponde l'onorario. Questa parcella viene redatta con la metà dei minimi tariffari. Ci sono degli importi molto bassi.
  Non solo, ma questo modello di organizzazione interna prevede, inoltre, un tetto, nel senso che noi non possiamo parcellare oltre un determinato limite, altrimenti effettivamente ci sarebbe una sorta di cascata d'oro, come appunto sui giornali alle volte ci capita di leggere, una sorta di pioggia di denaro di cui noi assolutamente non godiamo, proprio perché esiste questo limite, questo tetto. Entro un determinato limite non possiamo parcellare e, quindi, non ci vengono corrisposti gli onorari compensati.
  Peraltro, la corresponsione di questi onorari è ancorata alla sussistenza di determinate condizioni: è necessario che noi ci costituiamo in tutti i giudizi, che presenziamo a tutte le udienze, che aggiorniamo tutte le procedure informatiche. Tutto il nostro lavoro viene controllato e verificato attraverso una procedura informatica interna.
  Questo che cosa sta a significare ? Sta a significare che i nostri onorari noi li meritiamo. Li meritiamo perché, in pratica, Pag. 23sono condizionati alla sussistenza di determinati requisiti. Esistono dei criteri di meritocrazia e di premialità.
  Anche da un punto di vista di risparmio della spesa, non voglio soffermarmi a sottolineare la convenienza economica di avere un'avvocatura interna. È stato fatto uno studio, peraltro confermato dalla Corte dei conti, da cui emerge che per ogni causa, per ogni affare legale, noi veniamo pagati con un importo di 156 euro. Noi facciamo cause anche di 150 milioni di euro. In Cassazione ci sono cause contributive di questi importi, eppure veniamo pagati 156 euro ad affare legale.
  Inoltre, c’è un ulteriore guadagno, o risparmio di spesa – a seconda di come vogliamo esprimerci – da parte dell'amministrazione. Sotto quale profilo ? Sotto il profilo degli introiti che l'amministrazione incamera per effetto degli esiti positivi dei contenziosi che noi gestiamo, perché naturalmente in quel caso c’è una produttività e quindi ci sono degli introiti che vengono incamerati dall'Amministrazione.
  In linea generale, presidente, a prescindere dalla specificità della nostra situazione che deve essere tenuta in considerazione, perché altrimenti si avrebbe una disparità di trattamento palese, mi voglio soffermare anche sul fatto che si tratta di una norma in totale controtendenza rispetto a quelli che sono gli orientamenti legislativi più recenti.
  Basti pensare all'articolo 23 della legge sull'ordinamento professionale, che sancisce espressamente un principio di autonomia e di adeguatezza del trattamento economico all'avvocato pubblico per le funzioni che svolge. Mi riferisco anche alla legge anticorruzione, la n. 190 del 2012, che pone in evidenza il ruolo dell'avvocato pubblico quale baluardo della legalità e dell'osservanza delle leggi nell'ambito della pubblica amministrazione, ai sensi dell'articolo 97.
  Da un lato, quindi, si dà importanza a questo ruolo, ma poi si sminuisce in questo modo l'avvocato pubblico ? Mi sembra una contraddizione palese. Tutto ciò senza dover considerare i profili di legittimità costituzionale ai sensi del 36, ai sensi del 53 della Costituzione, perché, se dovesse disgraziatamente passare questa norma, subiremmo una riduzione del 60 per cento del nostro trattamento retributivo complessivo, quindi l'articolo 53 della Costituzione dove lo mettiamo ?
  Ognuno di noi deve concorrere alla spesa pubblica proporzionalmente alla capacità contributiva, quindi accanirsi su una microcategoria di trecento persone quali noi siamo mi sembra veramente una cosa assurda. Tra l'altro, voglio evitare di prendere in considerazione tutti gli aspetti umani che deriverebbero dalla malaugurata applicazione di questa norma.
  In pratica, l'avvocato pubblico in genere e in particolare l'avvocato dell'INPS, presidente, esplica una funzione che è rafforzativa dello Stato. Uno Stato più forte è uno Stato più vicino ai bisogni della gente, quindi, se si sminuisce e si mortifica l'avvocato pubblico, si indebolisce lo Stato, si compie un vero e proprio delitto nei confronti dello Stato e della collettività.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Ho visto che avete depositato una nota anche con delle proposte di emendamento. Farei quindi porre una domanda all'onorevole Berretta che l'ha chiesto, in modo tale che anche lei abbia la possibilità di integrare.

  GIUSEPPE BERRETTA. Grazie, presidente. Scorrendo il documento, mi sovvenivano due domande.
  Mentre si precisa quale sia il trattamento mensile, non si precisa quale sia questo «importo massimo», questo tetto, cosa che mi interesserebbe capire. Si fa inoltre riferimento a dati 2007, ma è mai possibile che non ci siano dati più aggiornati ?

  LELIO MARITATO, Presidente dell'Associazione nazionale avvocati INPS. Noi abbiamo questi dati del 2007, ma l'Amministrazione ha dati più recenti. Quell'importo deve essere in effetti corretto rispetto al 2014, perché, piuttosto che 156 euro per affare legale, l'importo è 190 euro per affare legale.Pag. 24
  Noi avevamo a disposizione i dati del 2007, quindi abbiamo messo quel dato. A quanto ci consta in base alle informazioni forniteci dall'Amministrazione, invece, i dati del 2014 prevedono questo importo leggermente più alto.
  Il tetto è variabile. Siamo 300 avvocati e il tetto è di 32 milioni di euro che devono essere suddivisi tra 300 avvocati. Il tetto è stato preso in considerazione proprio per garantire un temperamento del trattamento economico, cioè per evitare un eccessivo esborso da parte dell'Amministrazione e al tempo stesso una corresponsione eccessiva in favore degli avvocati.
  L'importo è stato determinato in quell'entità proprio perché garantisce un equo compenso.

  PIETRO CAPURSO, Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS. Se posso integrare, vorrei fare una precisazione su questa vicenda del tetto. Noi siamo l'unica amministrazione che ha un tetto prefissato per gli onorari e quindi, consapevoli della necessità che si è posto il Governo di controllare questa fonte di spesa, proponiamo di esportare questo modello a tutte le avvocature che non hanno questo tetto.
  Nel momento in cui si prevedono gli onorari per gli avvocati, ma si sa preventivamente che al di sopra di una determinata soglia che le amministrazioni possono determinare non è possibile riconoscere ulteriori somme, ecco che tutto diventa sotto controllo. A quel punto è possibile stimare quanto costerebbe dare alle avvocature esterne, alle avvocature private anche solo la metà e dire che al di sopra di questo non è possibile andare.
  Questa potrebbe essere la strada per la soluzione del problema.

  ANTONIO LEONE. Quindi quegli emolumenti, con quel tetto, come se fosse un'incorporazione...

  PIETRO CAPURSO, Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS. A condizione di farli, il problema è che prima devi farli ! È solamente una componente eventuale, il tetto è solo per diminuire, nel senso che l'Amministrazione potrebbe anche dare di meno e spesso dà di meno, ma oltre quella soglia, che evidentemente stanzia perché la mette a bilancio, non è possibile andare.

  GIUSEPPE BERRETTA. Vorrei capire però se non ci sia una soglia oltre la quale il singolo professionista non può andare. In teoria, un singolo potrebbe prendere 400.000 euro e un altro...

  PIETRO CAPURSO, Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS. No, onorevole, perché l'avvocatura INPS ha una distribuzione degli onorari democratica, egualitaria, in quanto il singolo avvocato non si mette in tasca l'onorario che ha riscosso, ma lo mette all'interno di un monte onorari che poi viene distribuito.
  L'Amministrazione ha quindi la possibilità di dire che a Capurso, anche qualora raggiungesse il massimo dell'importo, non darà più di una determinata cifra.

  PRESIDENTE. Gli onorari vanno in un calderone, ma poi vengono distribuiti non a pioggia, ma in relazione a parametri...

  PIETRO CAPURSO, Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS. Parametri meritocratici.

  PRESIDENTE. Prima faceva riferimento a parametri di produttività e di «diligenza».

  PIETRO CAPURSO, Rappresentante dell'Associazione nazionale avvocati INPS. Però questi ultimi vanno in detrazione, quindi quella soglia massima a cui faceva riferimento l'onorevole c’è sempre, e questo sistema potrebbe essere ampliato.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio del contributo che avete dato, di cui la Commissione terrà sicuramente conto.
  Ringrazio i nostri ospiti. Ci scusiamo per l'attesa ma evidentemente non abbiamo Pag. 25calcolato adeguatamente i tempi. Vorrei dare una decina di minuti a ciascuno, anche perché avete depositato dei documenti.
  Passiamo ora all'audizione di Paolo Maldari, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA); Laura Liberto, Coordinatrice nazionale di giustizia per i diritti dell'associazione Cittadinanzattiva; Mauro Vaglio, Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma; Antonella Trentini, Presidente dell'Unione nazionale avvocati enti pubblici; Tiziana Cignarelli, Segretario generale della Federazione legali enti parastatali (FLEPAR-INAIL).
  Do la parola agli auditi.

  PAOLO MALDARI, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). Grazie, presidente, per l'audizione. Noi abbiamo lasciato agli atti delle brevi note sui primi due anni di applicazione del processo telematico. Già nella fase sperimentale del Tribunale di Sulmona si erano visti i problemi che hanno caratterizzato questi due anni, problemi di neutralità dei sistemi, lacune assolute, tipizzazioni di atti e provvedimenti a tipizzazione dei flussi, rigidità interpretative.
  Si tratta di problematiche che i due anni di Sulmona, che erano state l'esperimento del processo telematico, avevano già evidenziato. Avevamo sottoposto queste problematiche ai tavoli del ministro Orlando e le ritroviamo immediatamente nei primi giorni di applicazione del PCT.
  Purtroppo, come sapete, l'Italia è a macchia di leopardo, quindi abbiamo grosse problematiche che difficilmente supereremo a breve.
  Sull'esame dei PCT stiamo raccogliendo le prime impressioni e i nostri delegati da tutta Italia, tribunale per tribunale, ci andranno a sottolineare tutte le problematiche che stanno incontrando. Abbiamo fissato un termine di una ventina di giorni almeno per le nuove cause e faremo una relazione anche alla Commissione giustizia per intervenire in tempo e colmare queste lacune, ove si possa come modifica del decreto-legge n. 90.
  Ci preme però sottolineare due piccoli problemi. Ci sarebbe anche un'ulteriore problematica relativamente all'intervento fatto sugli avvocati pubblici, l'articolo n. 9 del decreto-legge n. 90, però constato la presenza degli avvocati pubblici e quindi mi astengo dal dire cose che loro sapranno dire sicuramente meglio di me.
  Raccogliamo tutte le turbative sentimentali da parte degli avvocati italiani e, come sapete, l'aumento del contributo unificato che abbiamo riscontrato nel decreto-legge non era previsto. Ai tavoli a cui abbiamo partecipato con il Direttore generale, il dottor Mancinelli, con tutto il Ministero di grazia e giustizia e specificamente con il Ministro Orlando, c'era stato assicurato che non si sarebbe intervenuti in peius sul contributo unificato, anzi era stata prevista un'attività di premiazione per l'uso del PCT.
  L'aumento del contributo unificato invece è stato pubblicato il 24 giugno sulla Gazzetta Ufficiale e hanno aggiornato nuovamente le tasse per l'introduzione dei giudizi, modificando il testo unico di cui al dPR n.115 del 2012, quindi con un ulteriore aumento del 15 per cento.
  Ci è stata già fatta richiesta dall'organismo unitario dell'Avvocatura di forti pressioni, che, come voi ben sapete, abbiamo già dovuto subire per scioperi e astensioni. Stiamo cercando di non intervenire nuovamente sul Governo per tutta questa situazione, perché le abbiamo già subìte e dovute far subire agli avvocati con il Ministro Severino, con il Ministro Cancellieri e non vogliamo ritornare a farlo. Il PCT però doveva essere di premiazione.

  PRESIDENTE. Scusi se la interrompo, nella relazione del nostro Servizio studi abbiamo messo in evidenza che sembra che questo aumento del contributo unificato sia in realtà un compensativo di esoneri, quindi la situazione è rimasta invariata.

  PAOLO MALDARI, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). È esattamente il contrario, perché questa compensazione di esoneri è stata espressamente Pag. 26richiamata per il mancato introito dei diritti di copia, ma i diritti di copia non ci sono più.
  Questi erano i diritti che si pagavano al cancelliere per fare le copie, che adesso sono nel fascicolo telematico che andiamo a estrarre e autenticare, quindi non possiamo compensare qualcosa che non esiste più con un aumento del contributo unificato.
  Da una parte si dà all'avvocato il potere di accedere al fascicolo...

  PRESIDENTE. Scusi, non esiste più da adesso ?

  PAOLO MALDARI, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). Sì, da adesso, però è intervenuto adesso. Tra l'altro, stiamo parlando di un contributo di aumento base, che quindi va a incidere su tutti i procedimenti, tra cui quelli che già avevano un costo altissimo, perché in appello avevamo un aumento di un mezzo, in Cassazione del doppio, per il Tribunale delle imprese addirittura c'era un contributo altissimo, un ulteriore 15 per cento.
  Se poi pensiamo che esiste ancora quella marca da 27 euro, che era stata inserita nel legge di stabilità e fa riferimento a situazioni ormai anacronistiche, a trasferte degli ufficiali giudiziari che non esistono più, si constata come andiamo a subire un'ulteriore vessazione che va a incidere sull'accesso alla giustizia da parte dei cittadini, perché alla fine il contributo è l'unica cosa che il cittadino deve immediatamente versare all'avvocato, che all'inizio può anche rinunciare ai propri compensi.
  Un'ulteriore problematica è che, a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge n. 90, gli uffici giudiziari dovranno adottare «ogni soluzione organizzativa idonea a garantire in via prioritaria la lavorazione degli atti processuali ricevuti», quindi andando a privilegiare le operazioni di back office rispetto a quelle di front office. Questo si traduce in una riduzione dell'orario di cancelleria.

  PRESIDENTE. In Corte d'appello ?

  PAOLO MALDARI, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). No, in tutti i tribunali. Con il patrocinio dell'Ordine di Roma e del presidente Mauro Vaglio era stata avviata una battaglia contro la riduzione dell'orario delle cancellerie e da pochissimo una sentenza, la n. 798 del 2014, aveva finalmente obbligato il Ministero ad adeguarsi.
  Devono restare aperte per 5 ore, perché nei tribunali grossi siamo arrivati a 5-6 ore di fila per depositare un atto.
  Questo principio di ulteriore riduzione, quindi di santificare una sentenza giudicata mediante una modifica di una norma del 1960 ad opera dell'articolo 51 del decreto-legge n. 90 non può essere accettato.
  Esiste poi la problematica della riduzione delle sedi distaccate dei TAR, e questa è una problematica non solo degli avvocati, ma anche dei magistrati.

  PRESIDENTE. È stata ampiamente sviscerata.

  PAOLO MALDARI, Segretario dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura (OUA). Voglio ribadire che il punto del contributo unificato è un punto fondamentale per l'Avvocatura, poiché questo negli ultimi due anni ha subìto aumenti pari circa al 300 per cento. Un ulteriore contributo proprio nel momento in cui si va ad attuare un processo telematico, che dovrebbe premiare invece che punire, mi sembra eccessivo.
  Ci viene chiesto di realizzare forme di protesta da settembre, specialmente prima del Congresso nazionale forense che si terrà a Venezia, quindi al fine di evitare queste forme di protesta per favore cerchiamo di modificare questo punto. Grazie.

  PRESIDENTE. La ringrazio. Do ora la parola a Laura Liberto, Coordinatrice nazionale di giustizia per i diritti dell'associazione Cittadinanzattiva, che è accompagnata da Valentina Condò dell'Ufficio relazioni istituzionali.

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  LAURA LIBERTO, Coordinatrice nazionale di Giustizia per i Diritti dell'Associazione Cittadinanzattiva. Grazie, presidente. Vi ringraziamo per aver voluto audire anche un'organizzazione di cittadini. Faccio innanzitutto presente che sul testo del decreto-legge abbiamo prodotto un documento generale che vi faremo sicuramente pervenire.
  La nostra organizzazione nel quadro delle proprie politiche generali di promozione e tutela dei diritti fornisce un servizio di informazione, di ascolto e di tutela dei cittadini in diversi ambiti, tra cui in particolare in ambito giustizia, e le segnalazioni che raccogliamo, lungi da avere valore statistico, danno comunque una fotografia, un punto di vista di come i cittadini percepiscono il servizio giustizia.
  Quali sono quindi le principali criticità avvertite rispetto al funzionamento del servizio ? Non dirò sicuramente una novità ribadendo che le principali criticità lamentate riguardano il tema dell'accesso, quindi costi e tempi dei procedimenti.
  Su tali premesse, venendo al merito del decreto, le disposizioni inerenti l'efficienza giudiziaria che sollevano le maggiori perplessità e preoccupazioni sono quelle che determinano nuove barriere all'accesso, quindi non posso che riallacciarmi all'intervento precedente in tema di aumento del contributo unificato.
  Da questo punto di vista abbiamo individuato anche altre disposizioni che sotto altri aspetti sono sintomatiche della medesima tendenza, cioè di una sorta di tendenza del legislatore a creare delle barriere all'accesso aumentando i costi di accesso o introducendo attraverso norme di carattere processuale sanzioni tese a scoraggiare. Queste vengono infatti utilizzate come strumenti di deflazione del carico processuale, e questa scelta dal nostro punto di vista è davvero poco condivisibile e alquanto preoccupante.
  Mi riferisco molto brevemente alle norme che riguardano la giustizia amministrativa, in particolare l'articolo 41, che introduce delle misure per il contrasto all'abuso del processo, comminando sanzioni pecuniarie a carico della parte soccombente. Si introduce nel giudizio amministrativo, quando la decisione sia fondata su ragioni manifeste, la facoltà per il giudice di condannare anche d'ufficio la parte soccombente al pagamento di una somma determinata secondo equità.
  Oltre al pagamento del contributo unificato che nel giudizio amministrativo ha subìto un’escalation nel corso del tempo e alla condanna al pagamento delle spese di lite, quindi, si aggiunge un'ulteriore somma da pagare alle controparti. A questo si aggiunge nel rito speciale sugli appalti un ulteriore inasprimento delle sanzioni già pesanti, previste a carico della parte soccombente in caso di temerarietà della lite.
  Anche i costi della giustizia amministrativa negli ultimi anni sono lievitati in maniera indiscriminata, al punto che riguardo ai progressivi rincari del contributo unificato pende un giudizio davanti alla Corte europea di giustizia.
  Queste finalità di deflazione processuale a nostro parere non vanno perseguite con misure che vengono a incidere sul diritto di difesa e rischiano comunque di scoraggiare l'accesso ai più deboli.
  Sotto questo profilo, coerentemente con quella che consideriamo una tendenza degli ultimi anni, le norme del decreto che destano maggiori preoccupazioni sono quelle contenute nell'articolo 53, che introduce l'ennesimo, generalizzato aumento del contributo unificato, un rincaro complessivo del 15 per cento.
  Questa previsione sarebbe giustificata da un mancato introito dei diritti di copia per i documenti estratti appunto dal fascicolo informatico. La novità prevista dall'articolo 52, cioè l'eliminazione di questi diritti di copia, oltre a produrre effetti positivi nell'ottica della semplificazione e un positivo risparmio di tempo, avrebbe potuto tradursi in un risparmio per i cittadini anche in termini di costi.
  Questo effetto viene però immediatamente vanificato dalla successiva previsione che, sulla base di questo automatismo poco convincente, compensa questa minore entrata con un nuovo, generale aumento del contributo unificato.Pag. 28
  Nella relazione introduttiva al decreto si parla sinteticamente di un lieve aumento del contributo unificato, però, al di là dell'opinabilità del concetto di aumento lieve, questa previsione non tiene conto del fatto che va a sommarsi a tutti gli aumenti già introdotti negli ultimi anni, laddove in occasione di ogni legge finanziaria il contributo unificato è puntualmente lievitato proprio perché concepito e utilizzato come strumento di deflazione, oltre che come mezzo di reperimento di risorse.
  Tutto questo a prescindere tra l'altro da ogni criterio di proporzionalità o progressività reddituale, quindi con l'effetto di scoraggiare il ricorso alla giustizia soprattutto in danno delle fasce economicamente più deboli.
  Un altro aspetto da sottolineare, che era stato anche accennato in precedenza, riguarda il fatto che gli aumenti introdotti con il decreto riguardano espressamente il primo grado di giudizio con una modifica dell'articolo 13, primo comma del Testo Unico, mentre si lascia immutato il successivo comma 1-bis, che prevede l'aumento della metà per le impugnazioni e del 50 per cento per i ricorsi in Cassazione.
  Questi rincari naturalmente si ripercuoteranno in automatico su tutti i giudizi di impugnazione, facendo quindi lievitare i costi di accesso per gli ulteriori gradi di giudizio. La norma apre infine la strada a nuovi, futuri aumenti, laddove si verifichino o siano in procinto di verificarsi degli scostamenti rispetto alla proiezione di minore entrata che viene prospettata.
  Lo si fa peraltro attribuendo al Ministro della giustizia la determinazione dell'aumento con un proprio atto, senza alcuna predeterminazione legislativa neppure di un limite massimo. Questo ci appare ulteriormente preoccupante, soprattutto perché è plausibile prevedere che quella proiezione di minore entrata sia al ribasso, perché il continuo aumento dei costi di accesso alla giustizia determinerà uno sfoltimento (a nostro parere ingiustamente, se conseguito in questo modo), una riduzione del contenzioso, quindi sicuramente minori entrate, praticamente un cane che si morde la coda.
  Al contempo, si tratta di una prospettiva che non tiene conto del risparmio che invece si conseguirà con la messa a regime del processo telematico, quindi dal punto di vista dell'impiego delle risorse, del personale di cancelleria, degli ufficiali giudiziari.
  Se da un lato possiamo esprimere un apprezzamento generale rispetto alle misure finalizzate a dare implementazione al processo telematico, così come a quelle relative all'ufficio del processo nell'ottica dell'efficienza, della migliore riorganizzazione del sistema e della maggiore trasparenza per i cittadini, se la prospettiva è quella di dare vita a un sistema di giustizia efficiente e funzionale però riservato pochi e difficilmente accessibile ai più, come comuni cittadini questa prospettiva ovviamente non ci vede d'accordo.

  PRESIDENTE. La ringrazio di questo ampio panorama che approfondiremo nei vari punti. Do la parola a Mauro Vaglio, Presidente dell'Ordine degli avvocati di Roma, che è accompagnato da Fabrizio Bruni, consigliere dell'Ordine.

  MAURO VAGLIO, Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma. Grazie, presidente, buonasera a tutti. Cercherò di essere brevissimo, anche perché abbiamo lasciato agli atti la relazione e molte delle cose che andrò a dire erano state già evidenziate dall'avvocato Maldari.
  Primo l'aspetto: l'orario di apertura delle cancellerie. Vorrei far notare tra le altre cose che quel procedimento giudiziario innanzi al TAR, che si era concluso con una sentenza favorevole all'apertura per cinque ore, è stato impugnato dall'Amministrazione davanti al Consiglio di Stato, che ha rinviato l'udienza che avrebbe dovuto tenere pochi giorni fa proprio per vedere l'esito di questa legge. In pratica, andiamo a incidere con una legge su una procedura giudiziaria già ben indirizzata.
  Questa diminuzione dell'orario di cancelleria è un controsenso, anche perché viene effettuate da subito quando invece il processo civile telematico avrà degli effetti Pag. 29non prima di novembre, perché gli atti introduttivi non possono essere ancora iscritti telematicamente e di conseguenza le prime memorie che di depositeranno obbligatoriamente con il processo civile telematico saranno a novembre, se non a dicembre.
  Oltretutto viene diminuito a tre ore l'orario di cancelleria anche delle Corti di appello, che invece avranno il processo civile telematico dal 30 giugno 2015. Chiediamo quindi di stralciare questo articolo dal decreto-legge o in subordine disporre che l'entrata in vigore avvenga non prima del 1o gennaio 2015 per i tribunali e del 30 giugno 2015 per le Corti di appello.
  Ulteriore e subordinata richiesta è quella di portare l'orario di cancelleria almeno a quattro ore, non alle tre indicate, perché sarebbe veramente deleterio. Il problema soprattutto dei tribunali grandi come quelli del nostro Ordine è che le file si formano proprio per il deposito degli atti presso le cancellerie. Il processo civile telematico dovrebbe ridurre queste file, ma in questo modo andremmo ad aumentare i tempi di attesa.
  Per quanto riguarda l'aumento del contributo unificato che è del tutto ingiustificato, facciamo riferimento alla diminuzione delle spese, già indicata dall'avvocato Maldari in relazione alla notifica dei biglietti di cancelleria che fanno risparmiare milioni di euro per la mancata utilizzazione degli ufficiali giudiziari, a fronte comunque dell'aumento a 27 euro della marca per le trasferte e per le notifiche.
  La scelta di inquadrare, come è successo negli ultimi anni, l'aumento del contributo unificato in quella logica mercantile e commerciale di aumentare i costi per deprimere la domanda di giustizia non ci vede assolutamente concordi, anche perché stiamo trattando non di beni commerciali, ma di diritti dei cittadini, sui quali questa logica non può trovare applicazione.
  Tra l'altro, le notevoli entrate dei contributi unificati e – non dimentichiamoci – delle imposte di registro sulle sentenze e sui provvedimenti giudiziari non sono mai state rese pubbliche, tanto che vanno non al Ministero di giustizia ma al Ministero dell'economia e delle finanze.
  Riteniamo che il processo civile, proprio per l'oscurità di questi dati, sia uno degli elementi a base del fondamento dell'economia nazionale, nel senso che tutte queste spese vanno a finanziare lo Stato e non il Ministero della giustizia.
  Tra l'altro, ci sono dubbi di legittimità del contributo unificato in relazione alla normativa costituzionale italiana e a quella europea, anche perché è rapportato esclusivamente a un sistema proporzionale in relazione al valore della causa e non in relazione al reddito del contribuente.
  Per concludere, un appunto. Abbiamo allegato alla fine un estratto del verbale dell'adunanza del 19 giugno 2014 in relazione all'esclusione per gli avvocati degli enti pubblici delle spese di giustizia loro assegnate. Questo mortificherebbe il loro ruolo professionale e comunque violerebbe i princìpi di dignità e decoro della professione forense richiamati anche nell'articolo 26 della legge professionale, a garanzia degli avvocati degli enti pubblici e dello Stato.
  Per quanto riguarda infine il processo civile telematico, la situazione a Roma è abbastanza in divenire, nel senso che noi abbiamo sostenuto e spinto la facoltatività del deposito telematico già prima del 30 giugno e sicuramente non c’è stato un riscontro elevato da parte degli avvocati, però si è cominciato a procedere all'utilizzazione del processo civile telematico.
  Con l'obbligatorietà si stanno già vedendo i primi risultati, con l'acquisto dei dispositivi di firma digitale che prima del 30 giugno erano circa 10.000, mentre 18.000 erano gli avvocati romani su 25.000 muniti di PEC, ma entro novembre dovranno attrezzarsi per risolvere questo problema.
  Nella relazione abbiamo dato dei suggerimenti come quello di estendere il deposito telematico anche agli atti introduttivi e soprattutto a quelli notificati a mezzo PEC, anche perché non ha senso non avere un processo civile telematico per tutto l'andamento del giudizio. Nello Pag. 30stesso tempo sarebbe opportuno estendere in tutti i casi l'obbligo di deposito telematico anche ai magistrati, evitando di avere i due binari.
  Per quanto riguarda gli atti esecutivi e le copie, suggeriamo di adeguare la normativa in modo che anche la formula esecutiva possa essere applicata e inserito l'atto nel fascicolo telematico, in modo da poterne estrarre le copie.
  Ritorno al discorso fatto dall'avvocato Maldari: questa non è una minore entrata dello Stato, perché i diritti di copia erano esclusivamente indirizzati a retribuire il servizio garantito dagli uffici giudiziari, cioè il costo dell'impiegato che andava a fare le fotocopie, il costo della carta e delle macchine che ora non verranno più utilizzate.
  Notificazione degli atti a mezzo PEC. Bisognerebbe a nostro parere estendere l'obbligatorietà anche ad altre categorie e comunque alla fine anche ai privati, evitare per legge che vengano utilizzati dei protocolli all'interno dei singoli uffici e disincentivare in questo modo la prassi della consegna delle copie di cortesia. Premetto che a Roma l'abbiamo fatto e siamo consapevoli dell'esigenza di essere certi che il giudice legga gli atti che sono stati depositati telematicamente con questa copia di cortesia cartacea, tuttavia bisognerebbe arrivare a breve ad avere esclusivamente il deposito telematico, così come chiediamo di incentivare il pagamento telematico anche per le iscrizioni a ruolo.
  Aggiungiamo tutta una serie di emendamenti che non vi illustro perché molto tecnici, anche a garanzia dei casi in cui il deposito avvenga in modo non corretto da parte dell'avvocato, quindi una forma di rimessione in termini.
  Mi fermo qui, vi ringrazio e mi riporto alla relazione.

  PRESIDENTE. Nella relazione c’è anche una serie di norme di coordinamento...

  MAURO VAGLIO, Presidente del Consiglio dell'Ordine degli avvocati di Roma. Sì, tra Codice di procedura civile e decreto-legge n. 90, che non sono perfettamente coordinati, per cui diamo l'indicazione della delega.

  PRESIDENTE. Do ora la parola ad Antonella Trentini, Presidente dell'Unione nazionale avvocati enti pubblici (UNAEP).

  ANTONELLA TRENTINI, Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP). Ringrazio il presidente di questo invito e della possibilità di spiegare con alcune considerazioni il ruolo molto peculiare degli avvocati degli enti territoriali in particolare.
  Il mio obiettivo quest'oggi sarà raggiunto se riuscirò semplicemente a suscitare l'attenzione su un esercito di opliti, ovvero male equipaggiati avvocati, che stanno in prima fila, esposti a tutte le intemperie, perché, come sapete, l'ente locale è il primo ente davanti al cittadino.
  A differenza di tutte le altre avvocature, non abbiamo un ruolo unico, non abbiamo nulla. Abbiamo solo una norma di contratto collettivo nazionale di lavoro, che prevede semplicemente il diritto a percepire l'onorario, senza precisare alcunché in merito ad eventuali quantificazioni, nessuna percentuale.
  Questo fa sì che effettivamente una norma come il decreto-legge n. 90 del 2014, all'articolo 9, norma dettata da carattere di urgenza, sia stata fatta senza un'istruttoria, senza conoscenza delle peculiarità delle categorie che si vogliono omogeneizzare in un amalgama impossibile da fare poiché non si compatterebbe.
  Mentre infatti avvocature quali lo Stato sono eserciti regolati da norme precise, da uno stato giuridico che si riflette in quello economico, l'avvocatura degli enti territoriali è semplicemente lasciata alla regolamentazione autonoma delle autonomie locali (perdonate il bisticcio di parole), quindi a una regolamentazione che riflette la discrezionalità e in certi casi anche qualcosa di più della discrezionalità (non voglio utilizzare il termine arbitrio, ma a volte potrebbe essere indispensabile) di ogni singola amministrazione.Pag. 31
  Se quindi i più di 8.000 Comuni in Italia avessero l'avvocatura, ci sarebbero più di 8.000 regolamentazioni diversificate. Stessa cosa per le amministrazioni provinciali e regionali.
  Dico questo perché non riteniamo estensibile una disposizione che può avere un senso per una determinata categoria di avvocati pubblici anche ad altre categorie con caratteristiche, peculiarità, discipline totalmente diversificati.
  I compensi professionali oggetto di questa disposizione costituiscono una parte della retribuzione degli avvocati, che è strettamente e direttamente correlata con i risultati ottenuti. Il risultato è quello di far vincere in giudizio l'Amministrazione, e questo però è un tratto comune della professione forense esercitata alle dipendenze della pubblica amministrazione, qualunque essa sia.
  Riducendo questi compensi in maniera così drastica e selvaggia (perdonatemi se mi esprimo in questa maniera), si vedrebbe falcidiata in maniera irreversibile la meritocrazia che invece è uno dei punti cardine che permea l'azione di questo Governo, verrebbe falcidiato lo spirito di appartenenza totale.
  Spesso mi sento dire dagli avvocati colleghi del libero foro: «ma le cause non si sposano come fai tu !», ma noi, signori, sposiamo le cause perché abbiamo un unico cliente, solo quel cliente. Io lavoro da 23 anni per quel cliente, quindi posso sposare quel cliente e le sue cause ? Penso di sì.
  Mentre oggi, con l'appartenenza e con un vincolo di esclusività che è totale e assoluto solo per gli avvocati della pubblica amministrazione, questo fa sì che, avendo la possibilità di premiare la mia fidelizzazione all'ente e il buttarsi a corpo morto sull'esito di una causa produce un determinato risultato solo se la causa è vinta, solo se la sentenza è passata in giudicato, diversamente verrebbe a far retrocedere il pubblico dipendente avvocato professionista che per questo ha fatto concorsi.
  Mi sia consentito aprire una parentesi. L'avvocato dell'ente pubblico, oltre alla laurea che è necessaria, oltre all'esame da avvocato (noi siamo iscritti all'Albo, a differenza degli avvocati dello Stato) che è un esame durissimo (quest'anno sono in commissione e so cosa significa), occorre anche superare come minimo due concorsi: il primo per accedere alla pubblica amministrazione in qualità di avvocato, di norma funzionario, il primo gradino a cui si accede nell'ente territoriale, e successivamente, solo qualora vengano banditi concorsi, per il secondo gradino, per guadagnare la dirigenza di avvocato.
  Se le parole non sono accompagnate da dati oggettivi, falsano la realtà e quindi determinano dei sentito dire e non un'istruttoria specifica, quindi sono venuta con dei dati che ho depositato. Per l'avvocatura degli enti territoriali è impossibile creare un dato uniforme annuale sulle retribuzioni comprensive degli onorari e lorde. L'unico dato uniforme è lo stipendio tabellare, quello base, dove il funzionario prende euro 2.028,178 euro, il dirigente prende 3.331,607 euro.
  Questo è lo stipendio tabellare base lordo, quello che stabilisce il contratto collettivo nazionale di lavoro per tutta l'Italia, e qui finisce, non c’è più la possibilità di fare altre casistiche, perché sui compensi professionali vige l'autonomia di ogni singolo ente che la esprime con regolamenti delle avvocature, regolamenti dei compensi, e ogni Comune, ogni Provincia ne ha uno differente dall'altro, con delibere di Giunta comunale.
  Noi abbiamo invece una delibera commissariale, fatta dalla ex Ministro e nostro Commissario Cancellieri, che ha già falcidiato in maniera esagerata (oserei dire) i compensi prima ancora che arrivasse questa botta terminale. Il Commissario Cancellieri ha previsto un quarto della metà del minimo prima del tariffario e oggi dei parametri.
  Ci sono inoltre le correlazioni con le indennità. Molti enti hanno preferito tenere più alta la correlazione di indennità di risultato e più bassi gli onorari. Questo è il caso ad esempio della mia avvocatura, del Comune di Bologna. Per questo tipo di Pag. 32dipendenti questa norma avrà effetti minimi, perché hanno uno stipendio compreso di indennità molto elevato.
  Altri enti hanno zero di indennità unito allo stipendio tabellare, perché si è preferito premiare con gli onorari. Per questo tipo di professionisti la falcidia è enorme. Si crea quindi una disparità di trattamento non solo fra tante categorie di avvocati, ma anche all'interno della stessa categoria.
  Gli onorari non sono una voce pensionabile, ma tuttavia noi paghiamo sugli onorari gli oneri riflessi per la parte del lavoratore e per la parte del datore di lavoro. È un unicum, non esiste che i contributi del datore di lavoro siano pagati dal dipendente, ma noi paghiamo i nostri e anche i loro, e siamo l'unica categoria a farlo !
  I carichi di lavoro sono enormi, la nostra è una categoria che, pur essendo tenuta come tutti i dipendenti pubblici alle 36 ore, ne fa 50, 55 o 60 alla settimana, perché dalle otto del mattino alle otto di sera ci si trova lì, spesso si chiamano i vigili per venirci ad aprire la porta perché rimaniamo chiusi dentro.
  Questo è solo per farvi una panoramica che desidero che sia chiara, l'istruttoria al fine di sapere che si colpiscono persone che in realtà non hanno un reddito elevato. Le avvocature in house attuano già risparmi molto consistenti, in quanto una causa all'interno costa 200-250 euro all'anno, conteggio che abbiamo realizzato dividendo il numero delle cause complessive vive in questo momento per il numero di sentenze e i costi per queste avvocature.
  Concludo con una citazione, che sicuramente è nota a tutti, perché mi piace sempre rammentare la commissione Violante del 1996, composta dai professori Cassese, Pizzone e Arcidiacono che ebbe a dirigere un rapporto sulla prevenzione della corruzione. Ricordo che ci trovavamo dopo Tangentopoli in un periodo molto nevralgico.
  Tale rapporto individuava nell'assenza o insufficienza dei ruoli professionali una delle ragioni principali della debolezza della pubblica amministrazione e quindi della corruzione. Il rimedio ipotizzato fu quello di costituire ruoli separati di professionisti con uno status giuridico ed economico che mantenesse al riparo dalle tentazioni del malaffare.
  Mentre infatti ci sono geometri indagati, inquisiti, condannati, medici, responsabili di tributi o altro, mai un avvocato pubblico è stato inquisito né sfiorato. È rilevante osservare però che questa relazione del 1996 non è attuale, ma di più: il TAR Lazio, con sentenza n. 9941 del 2013 confermata pochi mesi fa dal Consiglio di Stato, ha certificato che fra gli indici di rilevazione della corruzione (si parlava dello scioglimento del Consiglio comunale di Reggio Calabria) «ha individuato la questione relativa al mancato utilizzo dell'avvocatura civica, nonostante all'interno dell'apparato burocratico vi sia un congruo numero di avvocati...».
  Non proseguo anche se la motivazione è più lunga, perché non voglio tediare nessuno. Vorrei semplicemente aver suscitato un sano interesse verso quella che è una categoria priva di un ruolo e priva di diritto, che però svolge con professionalità il proprio lavoro ogni giorno. Grazie.

  PRESIDENTE. Do ora la parola a Tiziana Cignarelli, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL), che è accompagnata da Giuseppe Lisi e da Michele Puntone.

  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Buonasera a tutti. Ringrazio la Commissione per la possibilità che ci è stata data e seguo la collega Trentini che ha già dato una panoramica dei princìpi ai quali mi richiamo.
  Vorrei focalizzare l'attenzione su un punto: noi ci troviamo a parlare di una norma che disciplina il trattamento economico, in particolare gli onorari professionali degli avvocati degli enti pubblici, senza che ci sia stata una consultazione in merito.
  La proposta del Governo era quella di riformare la pubblica amministrazione e Pag. 33per dare maggiore efficacia e incisività alla riforma passare per un meccanismo e un passaggio di consultazione pubblica. Nei 44 punti della consultazione pubblica la disciplina dei compensi degli avvocati degli enti pubblici non c'era.
  Forse è questa la spiegazione per cui oggi ci troviamo di fronte a una norma che presenta delle lacune, che sono state in parte già illustrate dalla collega Trentini e che denunciano una mancanza di analisi preventiva, un approfondimento che probabilmente avrebbe comportato anche una maggiore consapevolezza nella varietà della platea dei destinatari, che è una varietà non solo economica, ma anche giuridica.
  Qui ci troviamo di fronte gli avvocati dello Stato che hanno un rapporto pubblicistico e gli avvocati degli enti pubblici che sono disciplinati dalla contrattazione collettiva, per cui, quando l'articolo 23 della legge professionale dice che per l'avvocato dipendente pubblico bisogna garantire una retribuzione adeguata, si riferisce a quella prevista dalla contrattazione collettiva, perché il parametro è quello dell'articolo 36 della Costituzione.
  Noi ci siamo ritrovati dalla sera alla mattina stravolti nella nostra struttura retributiva, addirittura da un decreto di urgenza. A fronte di una mancata consultazione, ci siamo ritrovati disciplinati addirittura con meccanismo d'urgenza, quindi comprenderete l'avvilimento che ci ha colto quando abbiamo letto questa norma.
  Un'analisi più approfondita probabilmente avrebbe comportato una maggiore consapevolezza delle differenze giuridiche, ma anche delle differenze retributive, perché qualcuno mi dovrà spiegare perché siamo gli unici ad essere presi di mira per la terza volta consecutiva dal legislatore. Stiamo parlando del comma 208 di cui ha parlato la collega Trentini, cioè del fatto che dal 2006 paghiamo gli oneri riflessi sui contributi sui compensi professionali, stiamo parlando anche della legge di stabilità che ci ha penalizzato in percentuale sempre sui compensi professionali.
  Siccome i nostri livelli retributivi (parlo per noi ma ho visto che la situazione è generalizzata) non sono superiori a quelli un dirigente di fascia bassa o a quelli di un medico funzionario che ha la nostra stessa responsabilità, come mai questa penalizzazione e questa focalizzazione su una figura di legalità (perché stiamo parlando di un presidio di legalità) che ha un rapporto di esclusiva ?
  Non mi voglio sottrarre alla nostra responsabilità in questo momento, non lo abbiamo mai fatto, quindi rilancio con una proposta. Qui c’è un Governo che con il decreto n. 66 del 2014 ha stabilito il tetto delle retribuzioni della dirigenza apicale pubblica.
  Trattateci allora come trattate tutti gli altri dipendenti pubblici, partendo dal presupposto che gli onorari sono dentro la retribuzione e, se supero quel tetto, mi sottopongo a un taglio, non ho problemi, ma come tutti gli altri dipendenti.
  Questa norma ha un effetto veramente punitivo nei confronti del singolo e stiamo parlando di numeri che non consentiranno un risparmio alla pubblica amministrazione, perché stiamo parlando di una platea simile a quella dei dipendenti pubblici che hanno la nostra stessa retribuzione annua complessiva.
  Proponiamo quindi di calcolare un tetto per le retribuzioni complessive annue per tutti i dipendenti pubblici che partono dalla nostra fascia retributiva e noi ci sottoporremo tranquillamente al taglio uguale per tutti. Restringiamo ulteriormente: non solo quel tetto sarà comprensivo degli onorari, ma deve essere comprensivo di qualsiasi altro incarico retribuito.
  Già qui siamo sul crinale della penalizzazione, perché l'avvocato pubblico è l'unico dipendente che non svolge doppio lavoro, ma nemmeno lo vuole svolgere perché come avvocato è presidio di legalità e non ci può essere nemmeno il sospetto di un conflitto di interessi per la figura dell'avvocato.
  Altro discorso. Questa norma è risultata particolarmente stupefacente in un momento in cui l'avvocatura pubblica sta Pag. 34attivamente collaborando anche alla riforma della giustizia. Facciamo parte dei gruppi di lavoro e dei gruppi di studio presso il Ministero della giustizia, abbiamo fatto tante proposte con le quali abbiamo dimostrato come anche l'avvocato pubblico possa aiutare la velocizzazione e la semplificazione della giustizia con i riti alternativi al contenzioso, con la negoziazione assistita, con tutti i meccanismi che una consulenza efficace, interna all'amministrazione può attivare per evitare di arrivare al contenzioso.
  Tra questi meccanismi io non annovero l'aumento del contributo unificato, e in questo mi richiamo a quanto detto dall'avvocato Maldari, anche perché l'unico costo della giustizia sembra essere rappresentato dall'avvocato pubblico, a cui si riducono i compensi e poi si aumenta invece l'ammontare del contributo unificato.
  Nel documento abbiamo illustrato la nostra posizione, abbiamo presentato tre proposte di emendamento con le quali cerchiamo di trovare delle soluzioni unitarie. A questo tengo molto, perché abbiamo cercato di elevarci dalla situazione particolaristica dell'INAIL o degli avvocati del parastato, abbiamo proposto un emendamento che preveda un tetto unico per tutti i dipendenti e quindi anche per gli avvocati pubblici, ne abbiamo proposti altri sul comma 208 perché almeno una delle tre penalizzazioni che ci hanno interessato venga eliminata.
  Avanzo un'altra sfida citando qualche dato che può essere di interesse. Leggo il bilancio consolidato di Equitalia al 31.12.2013 e il costo che ha sostenuto Equitalia per contenzioso esclusa consulenza nel 2013 è di 21.596.000 euro, le spese per servizi professionali esterni complessivi per lo stesso anno ammontano a 30.444.000 euro. Nel 2012 Equitalia ha speso 51.350.000 euro, di cui 44.978.000 euro solo per spese da contenzioso esattoriale.
  Faccio qui una proposta: le avvocature degli enti previdenziali sono disposte a farsi affidare questo contenzioso perché dimostreremo per tabulas che è un contenzioso che siamo in grado di gestire per esperienza e perché comunque stiamo parlando di cartelle esattoriali che riguardano contributi e premi assicurativi, quindi la nostra disponibilità è massima. Non vorrei che ci si rispondesse ancora con una rivoluzione che riguarda soltanto la nostra retribuzione. Grazie.

  PRESIDENTE. Vi ringrazio molto sia per l'efficacia della relazione che per i contributi scritti. Do la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti e formulare osservazioni.

  ANNA ROSSOMANDO. Credo che la risposta sia stata in parte anticipata da un elemento evidenziato in quest'ultima audizione. Con riferimento all'avvocatura degli enti cosiddetti «territoriali», ho avuto modo di apprezzare anche nella mia città processi molto importanti in cui il Comune si è costituito Parte civile affrontando processi molto significativi, quindi è un'avvocatura che si incontra molto spesso professionalmente, oltre che tutta la parte più prettamente amministrativa.
  Ho dato velocemente una scorsa alle proposte di emendamenti, ma vorrei capire se una delle ipotesi che possono essere vagliate sia quella di prevedere un tetto massimo, in cui sono comprese sia le indennità che la parte premiale, perché ci avete spiegato che sono un tutt'uno e che comunque sono sempre distribuita tra tutti, con la distinzione tra dirigenti e non dirigenti.

  ANTONELLA TRENTINI, Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP). Procedo con ordine. La proposta del tetto fatta dalla collega Cignarelli è anche da noi condivisa.
  Per le altre questioni poste, per l'avvocatura degli enti territoriali è abbastanza difficile fare una generalizzazione sia sul quantum che sul quomodo, perché l'unico dato certo è l’an. Volevo solo dire che non dappertutto entrano in un unico fondo per essere divisi fra i vari avvocati, ma in alcuni enti hanno sistemi diversi, per cui ad ognuno vengono liquidate le cause che ha patrocinato.Pag. 35
  La maggior parte ha un unico fondo, ma la divisione non è fra funzionari e dirigenti in percentuali diverse, perché lo stipendio tabellare già divide il funzionario dal dirigente, e d'altra parte l'articolo 97 della Costituzione prevede il concorso.
  L'onorario, essendo un compenso professionale per un'attività svolta in maniera identica dal funzionario e dal dirigente, viene diviso secondo criteri prevalentemente di anzianità e non di livello. Questa norma però ha già creato delle storture in pochi giorni di vita, mi sono arrivate molte mail di funzionari, quindi personale non dirigenziale, che fanno presente che è il direttore che per legge e per ordinamento autonomistico dell'ente assegna le cause, quindi è un sistema sbagliato, è la classica norma fatta per poi ritorcersi contro il risultato. Si tratta della teoria del fine alla fine, che va contro al fine che voleva ottenere. Credo di aver risposto.

  ANTONIO LEONE. Come è stato risolto per le Procure, le assegnazioni si potrebbero fare in maniera automatica o per lettera o a turnazione.
  La mia domanda ricalca quella dell'onorevole Rossomando. Si dice che il modello INPS sia quello più accreditabile e anch'esso prevede un tetto complessivo. La proposta fatta dalla collega prima è legata a quel sistema ?

  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Vorrei precisare che il tetto del modello INPS che in parte è anche il nostro è un tetto di stanziamento in bilancio dell'ente, mentre io parlavo di tetto retributivo del singolo e ho richiamato esplicitamente per questo il decreto-legge n. 66 del 2014, cioè stabilire la massima retribuzione per una figura che ha la responsabilità come quella dell'avvocato pubblico.
  Ho infatti specificato un tetto e non è mai stato messo in discussione perché in occasione dell'applicazione del contributo di solidarietà del 5 o 10 per cento gli avvocati pubblici hanno visto giustamente computare nella base retributiva anche le somme erogate a titolo di compensi professionali, che hanno fatto ovviamente superare il tetto e quindi partecipare al contributo di solidarietà senza batter ciglio, perché si trattava di una misura generalizzata che giustamente andava a incidere su certe retribuzioni oltre un certo tetto, quindi ci ha trovato assolutamente concordi e non abbiamo avuto nulla da obiettare.

  PRESIDENTE. Quando avete applicato quel contributo di solidarietà, nel tetto si faceva riferimento quindi a retribuzione base e onorari ?

  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Omnicomprensiva.

  PRESIDENTE. Quindi la somma di tutti i trattamenti sia pure a diverso titolo costituiscono il tetto.

  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Quel tipo di norma consente di tagliare i picchi. Se adesso mi si dice di dover tagliare le retribuzioni dei privilegiati, quella norma taglia i picchi ma non genera atteggiamenti o effetti discriminatori o addirittura sperequati.

  PRESIDENTE. Faccio una domanda che può essere quasi ridicola, per cui perdonerete la mia ignoranza. Alla fine ci possono essere dei cumuli da base, indennità, onorari che superino quel famoso tetto ?

  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Nel nostro ente stiamo parlando della figura apicale, che è una.

  PRESIDENTE. Quindi voi chiedete non quel tetto, ma un tetto congruo. Ho capito bene ?

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  TIZIANA CIGNARELLI, Segretario generale della Federazione Legali Enti Parastatali (FLEPAR – INAIL). Se quel tetto si ritiene per noi eccessivamente riferito a figure apicali, si stabilisca un tetto per figure che però partano dalla stessa fascia retributiva da cui partiamo noi e tutte quelle figure siano sottoposte a un tetto e quindi a un sacrificio uguale per tutti, che non ci troverebbe assolutamente contrari, però a parità di condizioni.

  ANTONELLA TRENTINI, Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP). Faccio solo una piccola precisazione che riguarda sempre la peculiarità delle autonomie territoriali. Se venisse fatta una norma (e siamo d'accordo su un tetto intermedio) ma non venisse specificato che gli enti territoriali devono applicarla, trincerandosi dietro l'autonomia dell'ente continueremmo sempre ad essere quelli che il tetto neanche la metà !

  PRESIDENTE. Il tetto è il limite massimo entro cui muoversi...

  ANTONELLA TRENTINI, Presidente dell'Unione Nazionale Avvocati Enti Pubblici (UNAEP). Esatto, però tenevo a precisare che l'ente locale ha sempre una sua peculiarità, per cui è assolutamente inavvicinabile rispetto alle altre situazioni.

  PRESIDENTE. Grazie. Abbiamo almeno capito che ci sono vari ordinamenti di avvocati pubblici all'interno della categoria e avete anche proposto delle soluzioni emendative.
  Nel ringraziare i nostri ospiti, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 17.55.