XVII Legislatura

II Commissione

Resoconto stenografico



Seduta n. 1 di Martedì 6 maggio 2014

INDICE

Sulla pubblicità dei lavori:
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 

INDAGINE CONOSCITIVA IN MERITO ALL'ESAME DELLE PROPOSTE DI LEGGE C. 784  BOSSA, C. 1874  MARZANO, C. 1343  CAMPANA, C. 1983  CESARO ANTIMO, C. 1901  SARRO E C. 1989  ROSSOMANDO, RECANTI DISPOSIZIONI IN MATERIA DI ACCESSO DEL FIGLIO ADOTTATO NON RICONOSCIUTO ALLA NASCITA ALLE INFORMAZIONI SULLE PROPRIE ORIGINI E SULLA PROPRIA IDENTITÀ

Audizione di Monica Velletti, magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma, di rappresentanti del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche e di rappresentanti del Forum delle associazioni familiari.
Ferranti Donatella , Presidente ... 3 
Velletti Monica , Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma ... 3 
Arecchia Anna , Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche ... 7 
Rosati Emilia , Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche ... 8 
Stefanelli Stefania , Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche ... 8 
Pillon Simone , Rappresentante del Forum delle associazioni familiari ... 9 
Ferranti Donatella , Presidente ... 11 
Marzano Michela (PD)  ... 11 
Bossa Luisa (PD)  ... 12 
Businarolo Francesca (M5S)  ... 12 
Ferranti Donatella , Presidente ... 12 
Velletti Monica , Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma ... 12 
Pillon Simone , Rappresentante del Forum delle associazioni familiari ... 13 
Stefanelli Stefania , Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche ... 14 
Pillon Simone , Rappresentante del Forum delle associazioni familiari ... 14 
Velletti Monica , Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma ... 14 
Ferranti Donatella , Presidente ... 14

Sigle dei gruppi parlamentari:
Partito Democratico: PD;
MoVimento 5 Stelle: M5S;
Forza Italia - Il Popolo della Libertà - Berlusconi Presidente: FI-PdL;
Scelta Civica per l'Italia: SCpI;
Sinistra Ecologia Libertà: SEL;
Nuovo Centro-destra: NCD;
Lega Nord e Autonomie: LNA;
Per l'Italia (PI);
Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale: (FdI-AN);
Misto: Misto;
Misto-MAIE-Movimento Associativo italiani all'estero-Alleanza per l'Italia: Misto-MAIE-ApI;
Misto-Centro Democratico: Misto-CD;
Misto-Minoranze Linguistiche: Misto-Min.Ling.;
Misto-Partito Socialista Italiano (PSI) - Liberali per l'Italia (PLI): Misto-PSI-PLI.

Testo del resoconto stenografico
Pag. 3

PRESIDENZA DEL PRESIDENTE DONATELLA FERRANTI

  La seduta comincia alle 11.

Sulla pubblicità dei lavori.

  PRESIDENTE. Avverto che, se non vi sono obiezioni, la pubblicità dei lavori della seduta odierna sarà assicurata anche attraverso l'attivazione di impianti audiovisivi a circuito chiuso.
  (Così rimane stabilito).

Audizione di Monica Velletti, magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma, di rappresentanti del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche e di rappresentanti del Forum delle associazioni familiari.

  PRESIDENTE. L'ordine del giorno reca l'audizione, nell'ambito dell'indagine conoscitiva in merito all'esame delle proposte di legge C. 784 Bossa, C. 1874 Marzano, C. 1343 Campana, C. 1983 Cesaro Antimo, C. 1901 Sarro e C. 1989 Rossomando, recanti disposizioni in materia di accesso del figlio adottato non riconosciuto alla nascita alle informazioni sulle proprie origini e sulla propria identità, di Monica Velletti, Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma, di Anna Arecchia, presidente del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche, accompagnata da Emilia Rosati e Stefania Stefanelli, e dei componenti del Forum delle associazioni familiari Simone Pillon, Sara Napoleoni e Andrea Sabbadini.
  Do subito la parola ai nostri ospiti per lo svolgimento delle rispettive relazioni.

  MONICA VELLETTI, Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma. Buongiorno a tutti. Ringrazio la presidente e gli onorevoli presenti.
  Siamo qui per parlare di un tema importante e molto «caldo», ma di difficile soluzione. Nella mia esperienza di componente della commissione che si occupò della riforma della filiazione, questo tema fu affrontato, ma per la sua delicatezza politica non si arrivò ad alcun risultato e ad alcuna proposta normativa per modificare la disciplina vigente. Qualcosa è accaduto nel frattempo perché, come sapete, sono intervenute le pronunce sia della Corte europea dei diritti dell'uomo sia della Corte costituzionale e in base a esse il legislatore dovrà muoversi.
  L'attuale legislazione, contenuta all'articolo 28 della legge n. 184 del 1983 che disciplina l'adozione, permette, con alcuni temperamenti, al figlio adottato che alla nascita sia stato riconosciuto di ricevere informazioni sull'identità dei genitori biologici. La stessa possibilità è invece preclusa al figlio la cui madre non abbia acconsentito a rendere pubblica la propria identità. Si parla cioè di parto anonimo, riconosciuto nel nostro ordinamento dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000 n. 396 sullo stato civile.
  Sia la Corte di Strasburgo sia la nostra Consulta hanno fissato la linea lungo la quale muoversi, imponendo un contemperamento di interessi tra il diritto all'anonimato della madre e il favor veritatis, cioè il diritto del figlio a conosce le proprie origini. Possiamo riferirci anche a un archetipo. La normativa francese, infatti, che in parte era analoga alla nostra ed è stata riformata nel 2000 e ancor più di recente, è stata sottoposta al vaglio della Pag. 4Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale con la sentenza Odièvre ha stabilito che quella normativa, che tale contemperamento effettua, è compatibile con i principi contenuti nelle norme sovranazionali.
  I possibili problemi da affrontare riguardano prima di tutto i legittimati attivi a presentare la domanda. I disegni di legge all'esame partono da due punti di vista: il primo è che sia il figlio a proporre una richiesta di diritto alle origini; il secondo è che invece la richiesta provenga dalla madre. Secondo l'indirizzo fornito dalle corti sovranazionali e dalla nostra Consulta, la strada giusta pare essere quella per cui il figlio è il soggetto legittimato a proporre la domanda e, sulla base della proposta del figlio, il tribunale competente, che viene individuato dal Tribunale per i minorenni, si attiva per compiere ricerche e cercare di ottenere il consenso da parte della madre biologica alla conoscibilità delle origini.
  Bisogna però interrogarsi anche sull'età del figlio che può attivarsi affinché siano rese note le sue origini. I disegni di legge non fanno riferimento al minorenne e paiono orientarsi sulla possibilità che a presentare la domanda sia l'adottato che abbia compiuto i venticinque anni.
  Segnalo una possibile disparità di trattamento perché l'attuale articolo 28, con riferimento ai figli riconosciuti alla nascita, permette ai genitori, per gravi motivi sindacati e valutati dal tribunale come positivi o meno, di avere conoscenza delle origini biologiche del figlio. Secondo me, la normativa in approvazione dovrà prevedere una perfetta parità in modo tale che quanto è consentito al figlio riconosciuto sia consentito al figlio la cui madre abbia voluto mantenere l'anonimato. La norma contenuta al comma 4 dell'articolo 28 dovrebbe pertanto essere resa omogenea.
  Un altro problema riguarda, come dicevo, l'età alla quale esercitare questo diritto. Mi pare che i vari disegni di legge fissino il termine a venticinque anni. Sempre con riferimento al figlio riconosciuto e poi adottato, l'attuale articolo 28 prevede la possibilità di accedere a queste informazioni sia a diciotto anni, previo vaglio del tribunale, sia a venticinque anni con maggiore libertà. Occorre anche in questo caso una completa equiparazione per non riprodurre quella disparità di trattamento che stiamo cercando di superare. A questo fatto bisogna prestare molta attenzione.
  Mi permetto di sottolineare che normative analoghe, come quella francese, che è passata al vaglio della Corte di Strasburgo, prevedono che sia il figlio maggiorenne ad avere accesso. Il doppio binario diciotto-venticinque anni, che poteva avere una sua ratio giustificatrice al momento in cui la norma è stata introdotta viste le forti opposizioni che l'accompagnavano, oggi, alla luce di quanto è intervenuto, non ha più ragion d'essere e potrebbe caratterizzare di scarsa ragionevolezza la norma nel suo complesso.
  Una lacuna forse da colmare riguarda l'eventualità che il soggetto che voglia avere accesso alle origini abbia un deficit, possa essere sottoposto a interdizione oppure a un'amministrazione di sostegno. Materie di questo tipo creano molte difficoltà perché, laddove non espressamente previsto, si può creare un vuoto di tutela o un'applicazione delle norme a geometrie variabili. Mi permetto quindi di invitare il Parlamento a riflettere su questa possibilità.
  Si tratta di un atto personalissimo e capisco che sia difficile ammetterlo o meno, ma vorrei dare un suggerimento. La legge francese prevede che la domanda possa essere presentata dal tutore. Va anche sottolineato che oggi ci si orienta quasi sempre per l'amministrazione di sostegno e non per l'interdizione. Si potrebbe, quindi, prevedere che, nel caso in cui residui, la volontà del soggetto attivi il procedimento, sostenuta dall'amministratore di sostegno.
  Un altro problema riguarda il diritto dei discendenti ad avere accesso alle origini in caso di decesso del figlio adottato. A mio avviso questo diritto esiste. Non tutti i disegni di legge lo prevedono, ma potrebbe accadere che il figlio sia morto e abbia una discendenza. Circoscrivendo la facoltà, per esempio, ai soli discendenti in linea diretta di primo grado, potrebbe Pag. 5essere immaginabile che anche i discendenti siano soggetti attivi di questa procedura.
  Sottolineo anche una questione terminologica. Nei disegni di legge, ma anche all'articolo 28, si fa riferimento all'adottato. In realtà questo figlio riconosciuto o non riconosciuto alla nascita potrebbe essere, ma potrebbe anche non essere stato adottato. Che cosa accade se non è stato adottato perché nessuna famiglia ha voluto accoglierlo con un'adozione piena ?
  È ancora attuale il problema degli affiliati. È vero che una norma li equipara, ma il caso Godelli partiva proprio da una signora che era stata affiliata e ha avuto problemi di inquadramento normativo della propria domanda perché alcuni sostenevano che non fosse riconducibile all'articolo 28. Proporrei, quindi, di usare un termine più ampio che si riferisca al figlio tout-court e non all'adottato perché alcune situazioni potrebbero risultare non coperte.
  Sul piano procedimentale mi pare condivisa la scelta di investire di tali questioni il Tribunale per i minorenni. Mi permetto di valutare la difficoltà delle eventuali indagini. Nulla viene previsto in merito e proprio per questo mi preoccupa il caso in cui queste indagini non diano esito positivo. Cosa accade nell'ipotesi in cui, a seguito della domanda del figlio, la ricerca della mamma che dovrebbe esprimere il proprio consenso dia esito infruttuoso ? Credo che questo aspetto vada disciplinato perché il vuoto normativo potrebbe creare il caos.
  Si potrebbe ritenere che il mancato reperimento della madre valga come dissenso, dal momento che serve un consenso espresso, ma così sarebbe frustrata l'aspettativa del figlio in assenza di un interlocutore. Penso soprattutto ai nuovi nati, che mi dicono essere, quelli non riconosciuti alla nascita, figli di persone di nazionalità non italiana, la cui madre potrebbe essersi trasferita altrove e non avere più alcun interesse, a differenza del figlio, a rendere nota l'origine.
  Compiere una riflessione su questo punto è una valutazione tutta politica e, qualora la riflessione venisse compiuta, vi chiedo di sciogliere il nodo. Si potrebbe stabilire che è richiesto comunque un consenso espresso oppure si potrebbe investire il Tribunale per i minorenni di una valutazione che potrebbe essere fondata sui motivi della richiesta del figlio ovvero sulla ricerca di eventuali discendenti o parenti prossimi – mi riferisco sempre a parenti in linea diretta, cioè ad altri figli – della madre affinché diano il loro parere sulla conoscibilità delle origini. In poche parole si potrebbero porre dei paletti, ma io sarei per risolvere comunque il problema dell'irreperibilità.
  È molto importante fissare anche un termine temporale. Non vorrei che, data la difficoltà oggettiva della ricerca della madre, la mancata indicazione del termine del procedimento apra la porta all'oblio. Alcuni disegni di legge prevedono l'ipotesi della madre deceduta e io concordo con chi, in caso di madre deceduta, permette l'accesso alle origini. Bisognerebbe disciplinare anche l'ipotesi di madre interdetta oppure con capacità diminuita e affidata a un amministratore di sostegno.
  Un altro aspetto è quello della revoca preventiva della dichiarazione da parte della madre. L'ordinamento francese – sono molto pochi gli ordinamenti che prevedono il parto anonimo – prevede la revoca preventiva della madre. Può accadere che la madre neghi l'accesso alle proprie origini al momento del parto, ma che nel corso della vita ci ripensi. Come accade in Francia e come è scritto in alcuni dei disegni di legge che stiamo analizzando, alla madre potrebbe essere data facoltà di compiere questa dichiarazione di rinuncia successiva, che ovviamente rimarrebbe segreta fino a quando il figlio non esprima la volontà di accedere alle proprie origini.
  Abbiamo però un problema di coordinamento territoriale. I disegni di legge che prevedono questa dichiarazione stabiliscono che essa venga resa al Tribunale per i minorenni del luogo di residenza della madre. Cosa accadrebbe se il figlio facesse richiesta in un altro luogo di residenza e quindi presso un altro Tribunale per i Pag. 6minorenni ? È necessario un coordinamento perché questo tipo di informazione potrebbe sfuggire.
  In Francia hanno costituito un comitato ad hoc. So che i conti non lo permettono, ma potrebbe essere creato a risorse vigenti presso il Dipartimento per la giustizia minorile del Ministero della giustizia o presso la Commissione per le adozioni internazionali, che con una competenza ampliata potrebbe creare una sorta di banca dati che semplicemente raccolga tutte queste informazioni. Non credo che costi molto e che sia impossibile.
  Mi preoccupo di un altro aspetto. In alcuni disegni di legge si fa riferimento alla possibilità di avere informazioni sul padre naturale. Io credo che non ve ne siano perché, a norme vigenti, la madre non può dichiarare la paternità, ma non è escluso che in qualche punto nascita si sia raccolta la dichiarazione della mamma a proposito del padre del proprio figlio e che questo dato sia reperibile da parte del figlio che accede alle origini.
  Questo può essere un serio problema perché, mentre la madre è coperta da una norma che riconosce l'anonimato alla nascita e quindi non può essere esposta – parleremo anche di questo aspetto – a rivendicazioni di carattere successorio, economico o di status da parte del figlio, il padre naturale questa copertura non ce l'ha. Se il Tribunale desse un'informazione su questa persona, credo che ci potrebbe essere il problema di possibili rivendicazioni di status o di carattere economico. Pertanto io espungerei il riferimento al padre naturale.
  Vengo alla norma di chiusura. In teoria il figlio non ha diritti nei confronti della madre, ma le norme della filiazione sono cambiate. Se è chiaro e pacifico che questo vale per il figlio non riconosciuto alla nascita e adottato successivamente, non è così per il figlio che non è stato adottato. Le nuove azioni di reclamo dello stato di figlio potrebbero in teoria permettere una rivendicazione.
  Per rendere più limpido il fatto che si tratta puramente di una ricerca delle origini e per dare sicurezza alla madre, io suggerirei di inserire, analogamente alla legge francese, una norma di chiusura che stabilisca che l'accesso alle origini non dà alcun diritto né ad azioni di stato né a rivendicazioni di carattere patrimoniale o successorio. Come ripeto, questa norma è presente nel Codice della famiglia francese e da lì si può mutuare.
  Andrebbe fatta un'ulteriore riflessione. Attualmente anche il figlio che non ha potuto conoscere le proprie origini perché la madre ha esercitato il diritto all'anonimato ha diritto ad avere altre informazioni. C’è però un problema di operatività sul territorio relativamente a come queste informazioni vengono raccolte. Non esiste una norma che metta ordine e quindi la prassi è variegata. Ci sono pratiche virtuose, come per esempio quelle istituite dal Tribunale per i minorenni di Roma insieme alla provincia e al comune. Attraverso protocolli di intesa, i punti nascita di Roma e provincia, nel caso in cui la mamma eserciti il diritto all'anonimato, acquisiscono una serie di informazioni.
  Credo che sarebbe utile, anche rinviando a un successivo decreto interministeriale, di concerto con Ministero della salute, enti territoriali, Ministro della giustizia e Ministero dell'interno, prevedere che queste informazioni vengano acquisite attraverso uno standard, chiedendo alla madre di lasciare le informazioni che vuole. Queste possono essere non solo di carattere medico e sanitario, ma anche di carattere sociale o relative ai motivi dell'abbandono.
  C’è una letteratura molto interessante che raccoglie le motivazioni che spingono i figli adottati riconosciuti a conoscere le proprie origini e molto spesso è loro intenzione sapere perché sono stati abbandonati. Ovviamente nessuno può essere costretto, ma se la mamma volesse lasciare questa sorta di messaggio per il futuro di suo figlio ne avrebbe la possibilità. Occorre però un format che sia univoco in tutto il territorio.
  Qualora invece la mamma non voglia rilasciare alcuna informazione – come ripeto, l'unica informazione che non può Pag. 7essere comunicata è l'identità del padre –, dovrebbero essere acquisite d'ufficio informazioni di carattere medico sul parto e sulle eventuali malattie emerse nel corso della gestazione.
  Mi pare di avere detto quasi tutto. Mi riservo di inviare per posta elettronica il testo scritto. Vi ringrazio.

  ANNA ARECCHIA, Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche. Ringrazio il presidente Ferranti e tutti gli onorevoli che ci stanno sostenendo in questa battaglia di civiltà. È dal 2008 che stiamo cercando di far apportare modifiche alle norme in materia di diritto degli adottati e identità personale.
  Ringrazio la dottoressa Velletti perché è stata davvero esaustiva e ha preso in considerazione tutte le riflessioni che è doveroso fare. Non voglio rubare molto tempo. Voglio solo dire che questo Comitato è nato per rispondere a tutti i figli adottivi non riconosciuti alla nascita che chiedono di essere rappresentati affinché sia sancito il diritto alla conoscenza delle origini. Al momento contiamo più di 2.700 iscritti provenienti da tutte le regioni d'Italia, prevalentemente di sesso femminile e di età che si aggira intorno ai quaranta, cinquant'anni.
  Negli ultimi anni stiamo assistendo all'iscrizione di persone di età molto più bassa, il che denota il fatto che le nuove famiglie adottive si stanno già collocando in maniera trasparente a fianco dei loro figli nella ricerca, mentre molti dei figli adottivi ultra cinquantenni, per forti sensi di colpa innescati dalle famiglie adottive – non per cattiveria, ma per semplice impreparazione –, si sono messi alla ricerca solo dopo la morte dei genitori adottivi.
  Da un sondaggio che il nostro Comitato ha effettuato, si evince che il desiderio di cercare le origini biologiche nasce indifferentemente sia in coloro che hanno avuto un ottimo rapporto con la famiglia adottiva sia in quelli che hanno vissuto il rapporto familiare in maniera più contrastata.
  L'incidenza maggiore tra i nostri iscritti è di sesso femminile. La ragione può essere ricondotta, come dichiara l'ottanta per cento delle figlie adottive iscritte al nostro Comitato, all'esperienza della maternità. Nel momento in cui si diventa madri, si crea inevitabilmente una forte empatia verso la madre biologica; ci si compenetra in lei, nel suo dolore e nella sofferenza dovuta al distacco.
  Sono tantissime le ragioni che portano il figlio adottivo alla ricerca delle proprie origini. Le colleghe che parleranno dopo di me illustreranno la componente etica, psicologica e giuridica. Io mi voglio soffermare sul diritto fondamentale, cioè il diritto alla salute, e lo faccio per un'esperienza personale, alla quale mi permetto di fare riferimento.
  Alcuni anni fa mi sono ammalata di linfoma non Hodgkin al quarto stadio. Ho allegato la documentazione alla commissione e necessitavo di un immediato trapianto di midollo consanguineo. Le mie condizioni erano gravissime e non avrei potuto sostenere un trapianto di midollo semplicemente compatibile. Nel momento in cui i medici sono venuti a conoscenza del mio status di figlia adottiva, hanno letteralmente dichiarato che si trattava di un'ulteriore disgrazia. È stato praticamente impossibile cercare persone della mia famiglia compatibili. Io sono guarita da questo linfoma e la mia guarigione non ha ancora una completa spiegazione scientifica perché sono stata in fin di vita.
  Per motivi cautelativi ho fatto successivamente richiesta al Tribunale dei minori di Napoli per avere accesso ai miei dati, ma per due volte la mia istanza è stata rigettata. Il mio non è un caso singolo. Al nostro Comitato sono arrivate dichiarazioni di altri adottati, tra cui alcuni malati terminali come lo ero stata io, che hanno visto rigettata la loro richiesta. Addirittura a una nostra iscritta che aveva presentato istanza indipendentemente dalle condizioni di salute, delle quali non aveva fatto nemmeno menzione, il Tribunale ha reso questa dichiarazione: «Non viene consentita eccezione neppure in ipotesi Pag. 8di gravi e comprovati motivi attinenti alla salute psicofisica del richiedente».
  Con questa dichiarazione del Tribunale, che abbiamo allegato agli atti, vogliamo confutare quanto puntualmente viene dichiarato anche in alcune trasmissioni televisive a proposito del fatto che attualmente il diritto alle origini è concesso in caso di gravi motivi di salute. Noi siamo la dimostrazione che non è concesso nemmeno in questi casi.
  Voglio porre all'attenzione della Commissione il fatto che né il nostro Comitato né le proposte di legge, così come formulate, intendono mettere in discussione il diritto della madre di partorire in anonimato. Noi comprendiamo la necessità che in Italia, per la sua situazione storica e sociale, continui a permanere il diritto all'anonimato.
  Chiediamo soltanto di abbassarne la soglia.

  EMILIA ROSATI, Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche. La mia esperienza personale di figlia adottiva non riconosciuta nonché la pratica di consulente psicologica del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini che ho svolto negli ultimi cinque anni mi consentono di rappresentare l'intensità del vissuto angoscioso, sperimentato da chi viene privato della conoscenza delle proprie origini.
  Questo si traduce in un interrogativo costante sulla propria storia parentale, oltre che sulla propria provenienza geografica e sociale, e porta un vuoto esistenziale che accomuna tutti coloro che sono privi di quelle radici che collegano ogni essere umano ad altri esseri umani con i quali condividere, più che i tratti fisici e caratteriali, il filo rosso del proprio essere al mondo.
  Ciascuno di noi cerca inevitabilmente una collocazione che non può essere definita dal momento in cui è stato adottato, ma che deve partire dall'inizio della sua storia. Come ha scritto l'onorevole Marzano in un articolo su La Repubblica, nel nostro caso non si tratta di una ricerca puramente genetica o biologica; si tratta della ricerca di una storia. Noi siamo stati nella pancia di una persona per nove mesi e poi abbiamo subito un abbandono. Questo fa parte integrante della nostra vita e della nostra storia.
  Abbiamo il diritto di sapere perché quella madre ci ha portato in grembo per nove mesi e poi ha fatto quella scelta che ci ha cambiato completamente la vita. Altrimenti non avremo mai la completezza della nostra identità. Continueremo a cercare in maniera non regolamentata e non regolamentare.
  Prima di cedere la parola alla professoressa Stefanelli, voglio sottolineare che attraverso i social network e Internet oggi è facilissimo compiere queste ricerche, anche partendo da pochissimi elementi. Le persone che le fanno, però, possono essere soggette a truffe o a mistificazioni e crollare nell'angoscia più grande. Soprattutto la privacy salta completamente, come salta nelle trasmissioni televisive eccetera. Chiediamo che siate voi, sulla scorta della sentenza della Corte costituzionale, a ristabilire quell'equilibrio che da troppi anni manca e ci ha tolto dignità.
  A volte ci sentiamo davvero cittadini mortificati nella nostra dignità di esseri umani.

  STEFANIA STEFANELLI, Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche. Io insegno diritto privato e di famiglia a Perugia. Mi occupo di questi argomenti come studiosa e il contatto con il Comitato è nato proprio da questi studi che ormai durano da tempo.
  Mi piace molto ritrovarmi sulle posizioni del magistrato perché evidentemente è un profilo che coincide da un punto di vista sia teorico sia pratico. Vorrei illustrare molto velocemente quattro punti, due dei quali coincidenti. Il primo è l'idea, per evitare una disparità di trattamento, di ampliare il concetto da figlio adottato a figlio in genere. Secondo dati di «Amici dei bambini» (Ai.Bi.) del 2014 sono 1.900 i bambini adottabili, ma non adottati. Se l'accesso alle origini fosse consentito solo al figlio adottato, questi bambini subirebbero Pag. 9una disparità di trattamento evidente.
  Un altro punto importante che sottolineo nella proposta Cesaro è l'obbligo per le strutture di raccogliere i dati anamnestici e sanitari delle donne che si avvalgono della facoltà di non riconoscere il figlio. Nella sentenza della Corte costituzionale è evidente il doppio profilo: da una parte la tutela delle origini e dall'altra la mancanza di disciplina delle opportune cautele nella raccolta di questi dati, dati che non possono soggiacere alla volontà di rimuovere l'anonimato materno perché significherebbe far soggiacere il diritto alla salute al diritto alla privacy, un'anomalia immensa nel nostro ordinamento.
  Lo stesso Codice in materia di protezione dei dati personali al terzo comma dell'articolo 93 prevede la facoltà del figlio di conoscere i dati non identificanti, ma questi dati, come scrivono il tribunale rimettente e la Corte costituzionale, non vengono nemmeno raccolti. È un problema di disapplicazione.
  Il problema è che con il nuovo articolo 238, ma anche con l'azione di dichiarazione giudiziale della maternità o di accertamento dello status, nel momento in cui l'identità materna, passando attraverso il ripensamento materno oppure il decesso materno, venisse a conoscenza del figlio che non è stato adottato – è un punto importante che ha sottolineato la dottoressa Vettelli –, consentiremmo a chi non ha avuto tagliato il vincolo con la famiglia naturale per effetto dell'adozione di agire per l'accertamento dello status, ottenere tutti i diritti e paradossalmente rimettere mano a una successione già chiusa con un giudicato, il che non sarebbe risolvibile da un punto di vista giuridico perché ci sarebbe un nuovo legittimario che non ha partecipato. È, quindi, necessario prevedere, anche sulla scorta dell'esperienza francese, che in nessun caso è ammesso l'accertamento della maternità o della paternità per effetto della comunicazione.
  Faccio un ultimo riferimento alla posizione dei padri. La legge francese è più avanzata anche su questo profilo. Da una parte è possibile che il padre genetico voglia assumersi la responsabilità di questa nascita; dall'altra parte c’è il diritto fondamentale del figlio, consacrato dall'articolo 9 della convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e dall'articolo 1 della legge sull'adozione, di crescere nella propria famiglia di origine.
  In Francia viene consentito il riconoscimento al ventre, che in Italia non è ammesso senza il consenso della madre, e sarebbe paradossale che una donna che voglia lasciare il figlio nell'anonimato permetta il riconoscimento paterno, oppure si consente al padre di fare istanza senza vincoli di forma al pubblico ministero affinché assuma informazioni sull'identità del figlio e gliele comunichi prima che venga adottato.
  Nel parto anonimo ci sono due valori pari ordinati da contemperare. Se finora la legge ha sempre preferito il diritto all'anonimato materno, mi permetto di dire che non si può fare l'errore di preferire in ogni caso il diritto alla conoscenza delle origini del figlio, pena il rischio di vanificare lo stesso istituto del partano animo. Una madre che al momento del parto compia la scelta difficile, tragica di lasciare il proprio figlio, come scrive la giurista francese Marcela Iacub, forse considererebbe più a cuor leggero la scelta dell'interruzione di gravidanza se sapesse che un giorno quel figlio potrebbe costringerla alle responsabilità che vuole escludere.
  Se vogliamo tutelare anche il diritto alla vita del figlio dobbiamo consentire l'accesso, ma mai l'autorizzazione alla costituzione dello status, altrimenti otterremmo l'effetto di vanificare una previsione che è necessaria.

  SIMONE PILLON, Rappresentante del Forum delle associazioni familiari. Sono Simonie Pillon, avvocato e membro del direttivo del Forum delle associazioni familiari. Il Forum riunisce cinquanta associazioni che si occupano di famiglia su tutto il territorio nazionale. Quattro associazioni che fanno parte del Forum si occupano specificamente di adozioni, tra cui Ai.Bi. e Famiglie per l'accoglienza. Pag. 10Molte associazioni si occupano di accoglienza di donne lasciate sole e di bambini. In generale rappresentiamo circa tre milioni di persone su tutto il territorio nazionale.
  Vogliamo in primo luogo esporre a questa Commissione, alla Camera dei deputati e al Parlamento il fatto che il parto in anonimato è un importantissimo elemento pro life. Il fatto che in quel momento specifico si scelga di tutelare più il diritto del minore alla vita che il diritto del minore alla conoscenza delle proprie origini è una compressione di diritti, ma dello stesso soggetto.
  Non dimentichiamo, come la Corte riconosce nella propria sentenza, che il fondamento del diritto della madre all'anonimato ha parimenti natura costituzionale. Il Parlamento dovrà quindi essere abilissimo a compiere una sottile e delicatissima opera di contemperamento del diritto di tutti e due i soggetti coinvolti.
  Oggi siamo davanti a sfide diverse da quelle di qualche anno fa, ma sempre molto attuali. La presenza sul territorio nazionale di molte donne straniere che spesso sono indotte a scegliere la strada dell'infanticidio o dell'abbandono del minore fuori dalle strutture ospedaliere ci deve mettere sull'attenti e bene fa la Corte a individuare correttamente la fattispecie.
  Entrando nel merito, il Forum delle associazioni familiari è assolutamente favorevole alla raccolta organizzata, mediante un protocollo generalizzato sul territorio nazionale, di tutti i dati non identificativi. Apprezziamo, quindi, il progetto Cesaro che prevede la raccolta dei dati anamnestici e di qualunque altro dato che possa servire a soddisfare una delle due esigenze che sono state qui rappresentate e cioè la tutela della salute del minore oggetto del parto in anonimato.
  Siamo però convinti che l'autorità deputata alla raccolta di tutte quante le informazioni e alla decisione sulle varie questioni non debba essere il Tribunale per i minorenni. Una ragione è stata già identificata dal magistrato che mi ha preceduto e risiede nel fatto che il Tribunale per i minorenni non è un organo unico nazionale, mentre, come è indicato, a nostro avviso correttamente, nel progetto di legge Rossomando, il garante per la privacy lo è.
  Attribuendo al garante per la privacy competenza esclusiva nazionale, otterremmo insieme tre risultati. Il primo, che credo sia quello fondamentale, è la «degiurisdizionalizzazione» della questione. Poiché si va oltre il diciottesimo anno di età del nato da parto in anonimato, si tratta di contemperare due diritti tra maggiorenni.
  Che si accolga la strade dei diciotto anni o quella dei venticinque anni, sicuramente il soggetto è maggiorenne. Non ha quindi senso che sia il Tribunale per i minorenni a gestire la vicenda, intasando ulteriormente il proprio lavoro. Il garante della privacy avrebbe invece la possibilità di svolgere questo compito e di farlo come unico organismo nazionale.
  Vi è anche un terzo elemento che ci interessa e cioè il fatto che il garante potrebbe garantire più privacy. La procedura al Tribunale per i minorenni comporta, infatti, che il fascicolo passi materialmente per molte mani e questo purtroppo – è l'esperienza di chi come me fa l'avvocato e bazzica i tribunali – comporta il rischio di cadere nella questione privacy. Il garante della privacy è un organo più circoscritto. Ha una sede a Roma e non sul territorio; ha meno scambi con i giornalisti locali o con gli avvocati locali. Ci sono meno rischi da questo punto di vista. Sono tutti tenuti al riserbo, però poi sui giornali si pubblicano gli atti istruttori.
  Queste sono le tre ragioni. Abbiamo anche un'altra proposta, che è stata già anticipata. A nostro avviso la legge dovrebbe riconoscere, anche senza la richiesta da parte del minore, la possibilità per la madre di revocare nel corso della vita la richiesta di parto in anonimato sua sponte.
  C’è un altro aspetto che forse non è stato considerato. Non abbiamo una risposta chiara su questo, ma dobbiamo porci nell'ottica di quel figlio che chieda la verifica delle proprie origini e si trovi opposto un diniego. Quale sarà il suo Pag. 11status psicologico ? Abbiamo a che fare con diritti personalissimi, diritti che toccano le corde più profondo del cuore dell'uomo. C’è un rischio oggettivo quanto meno per la salute psicologica della persona che si avventura per questa strada. Prevedere che chi fa domanda sia preavvertito della possibilità di un diniego e di ciò che questo potrebbe comportare forse sarebbe utile per prevenire il rischio di un secondo abbandono vissuto non più in età infante ma in età adulta.
  Siamo contrari al totale automatismo della discovery oltre i quarant'anni dalla nascita per due ordini di motivi. Il primo è che questo va contro la sentenza dalla Corte costituzionale, la quale individua chiaramente l'incostituzionalità della norma non nel parto in anonimato in sé, ma nell'irreversibilità del segreto, irreversibilità del segreto che deve comunque passare da una dichiarazione di volontà di colei che a suo tempo aveva posto questa condizione.
  Vi è di più. Il totale automatismo passati quarant'anni comporta il contemperamento di diritti non più tra un minore e un adulto, ma tra due adulti. Vene quindi meno il preminente interesse del minore, mentre le esigenze di entrambi sono da valutare ponendole sullo stesso piano.
  Aggiungo un'ulteriore ragione: quarant'anni oggi sono davvero pochi, considerando l'aumento della vita media delle persone. Una partoriente diciottenne a cinquantotto anni si troverebbe con una discovery automatica, che reputiamo comunque non giustificabile.
  Abbiamo quattro proposte per concludere. Come prima proposta, il parto in anonimato dovrebbe essere incluso tra le possibilità offerte alla donna che chieda di accedere alla legge n. 194 del 1978. Tra le varie opzioni presentate ci dovrebbe essere anche questa. La seconda proposta è che alla donna partoriente che abbia manifestato la volontà del parto in anonimato sia offerta la possibilità di un colloquio con il personale ospedaliero incaricato di verificare la libertà della scelta. Può accadere, infatti, che questa donna non abbia libertà di scelta e sia costretta, per esempio, da persone che la sfruttano dal punto di vista sessuale o altro.
  Al fine di dare alla donna un'ulteriore opportunità di manifestare in modo del tutto genuino la propria volontà di continuare nella scelta del parto in anonimato, che riteniamo sia una scelta molto dolorosa e il più possibile da evitare, potrebbe essere garantito alla donna che lo richieda di incontrare il neonato, anche qualora ella abbia già manifestato la volontà di partorire in anonimato. L'incontro con il neonato, come dicono gli studi psicologici, porta molto spesso a ripensare alla propria scelta. Ovviamente la cosa deve essere fatta in tempi brevissimi perché, nel momento in cui il minore viene dichiarato partorito in anonimato è immediatamente adottabile e il più delle volte assegnato alla famiglia adottante.
  La quarta proposta è già stata presentata e si tratta di permettere alla madre che lo voglia di lasciare un messaggio scritto, videoregistrato o sotto altra forma da affidare al garante della privacy, cioè all'autorità che riteniamo deputata a questo compito, affinché sia consegnato al figlio che ne faccia richiesta una volta compiuti i diciotto anni o i venticinque anni.
  Non abbiamo altre proposte. Grazie.

  PRESIDENTE. Ringrazio i nostri ospiti per i loro interventi. Ferme restando le differenze culturali, mi sembra che su molti punti ci sia una convergenza.
  Do ora la parola ai colleghi che intendano intervenire per porre quesiti o formulare osservazioni.

  MICHELA MARZANO. Vorrei ringraziare tutti per le informazioni importanti che abbiamo sentito e vorrei porre alcune domande per avere un chiarimento tecnico. Non mi lancio in grandi riflessioni perché il tema mi sta particolarmente a cuore, ma in questo momento sarebbe inutile.
  Ci sono alcuni punti che sono stati sollevati sia dal Comitato per il diritto alla conoscenza sia dalla dottoressa Velletti. Pag. 12Credo d'aver capito il problema che deriva dall'utilizzare il termine adottato perché ci sono bambini abbandonati che non vengono adottati. Vorrei chiedere allora quale termine si potrebbe utilizzare. Semplicemente figlio non riconosciuto alla nascita ?
  Per evitare problemi di disparità legati all'età e rendere omogenea la disciplina, bisognerebbe sostituire il termine di venticinque anni con diciotto anni. Questo andrebbe a toccare anche altri articoli ? Sarebbe importante avere l'indicazione di tutti gli eventuali ritocchi. Poiché la mia formazione è filosofica, dal punto di vista tecnico avrei bisogno di indicazioni precise sia per il testo base sia per proporre emendamenti specifici.
  Lo stesso per quanto riguarda il caso in cui il figlio dovesse avere qualche forma di deficit. Come si può introdurre la figura del tutore ? So che è presente in Francia, ma come si potrebbe introdurre in maniera specifica nella legislazione italiana ?
  Da ultimo ho qualche difficoltà in merito al coordinamento. Visto che non si possono aggiungere spese e che l'istituto esistente in Francia, che conosco bene, comporta delle spese, mi chiedo come sia possibile dal punto di vista tecnico evitare la dispersione delle informazioni.
  Si è parlato di Tribunale per i minorenni e di garante della privacy, ma non ci possono essere spese aggiuntive.

  LUISA BOSSA. La proposta di legge di cui stiamo discutendo l'avevo già presentata nella passata legislatura. Lo dico perché il lavoro dei comitati e delle associazioni per il diritto alle origini è un lavoro costante nel tempo, paziente. Ci tenevo a dirlo e vorrei anche ringraziarvi per questa vostra tenacia.
  Mi piace molto l'idea, a cui non avevo pensato e ringrazio per questo la dottoressa Velletti, di questo passaporto che potremmo definire informativo-emotivo. Il dottor Pillon dice che deve essere il garante della privacy a occuparsene. Lei dottoressa Velletti dove lo colloca ? Dove ritiene che dovrebbe essere lasciato ? Dove il bambino nasce ? Presso i comuni dove il bambino viene registrato ?
  Ci aiuti a capire meglio.

  FRANCESCA BUSINAROLO. Ringrazio anche io le associazioni presenti. Forse la mia domanda ha già ricevuto una risposta, ma anche la collega Marzano ha posto una questione simile.
  Vorrei sapere se siete d'accordo che la competenza resti in capo al Tribunale per i minorenni o se credete che debba passare a un altro organo giurisdizionale o, come suggeriva l'avvocato Pillon, al garante della privacy.

  PRESIDENTE. Grazie, colleghi. Poiché l'indagine conoscitiva non si chiude qui, se ci sono domande rimaste aperte sarà possibile inviarci un supplemento di materiale. La dottoressa Velletti, che deve inviarci il testo scritto del suo intervento, terrà conto anche delle domande specifiche.
  Do ora la parola ai nostri ospiti per la replica.

  MONICA VELLETTI, Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma. Per quanto riguarda il problema terminologico legato alla parola adottato, si dovrebbe parlare di figlio non riconosciuto alla nascita oppure di figlio riconosciuto alla nascita e adottato.
  Dal punto di vista normativo dovrebbe essere modificato tutto l'articolo 28, il quale disciplina le due ipotesi e cioè il diritto ad accedere alle origini dell'adottato riconosciuto alla nascita e poi diventato oggetto di una procedura con cui ne è stato dichiarato lo stato di abbandono ovvero di chi non è stato riconosciuto alla nascita. Bisogna distinguere le posizioni. È una locuzione più lunga, ma perfettamente in linea con la riforma della filiazione. Lì si usa la formula figlio nato fuori o dentro il matrimonio, ma è comunque figlio e questo supera la distinzione anche sul piano terminologico.
  Per quanto riguarda l'età, abbiamo detto diciotto o venticinque anni. Io credo che non ci sia motivo per differenziare. Quando nel 2001 venne aperto alla ricerca delle origini, fu un passaggio epocale per Pag. 13la disciplina nazionale e fu necessario distinguere. Un diciottenne è un giovane minore e quindi si pensava che fosse più fragile psicologicamente. Come ripeto, penso che mantenere la differenza ci potrebbe esporre nel tempo a censure internazionali perché a mio avviso non esistono motivi che la giustifichino.
  Il tutore è già previsto dall'ordinamento. Si tratta solo di dire che il tutore ovvero l'amministratore di sostegno può essere autorizzato a presentare questa domanda. Bisogna ragionare sul fatto se sia necessaria, come io ritengo, tale partecipazione perché non tutte le minorazioni sono uguali. Si potrebbe anche prevedere un vaglio da parte del giudice che controlla l'amministratore di sostegno, che fisiologicamente è il giudice tutelare, il quale potrebbe essere investito di questa opportunità. Se qualcuno è in stato vegetativo, l'accesso alle origini potrebbe essere inutile. Se invece sussiste una capacità residua, potrebbe essere molto importante.
  Quanto alle ipotesi di coordinamento senza spese aggiuntive e all'individuazione dell'autorità competente, non mi permetto di avanzare proposte. Io mi sono mossa sulla falsariga del Tribunale per i minorenni perché è già contenuto nella norma. Il garante della privacy di cui parlano le associazioni familiari può essere una soluzione. Anch'io credo che sia importante un organo unico, come può essere il garante della privacy oppure il Dipartimento per la giustizia minorile o la Commissione per le adozioni internazionali, che strutturalmente si occupano di questi problemi.
  Chi si occupa di adozioni potrebbe forse aveva una sensibilità più vicina. Come sapete, la Commissione per le adozioni internazionali ha al suo interno anche i rappresentanti delle associazioni e quindi potrebbe essere perfetta. Ovviamente servirebbe un'implementazione normativa per allargarne le competenze, ma ci si può ragionare. L'importante, e rispondo all'onorevole Marzano, è che queste informazioni siano accentrate, altrimenti si disperdono. Il punto nascita dovrebbe raccoglierle secondo lo standard o il protocollo unico di cui abbiamo parlato.
  Il Tribunale per i minorenni potrebbe essere più adatto del garante della privacy perché potrebbe occorrere una valutazione. Io sono d'accordo sul fatto di raccogliere le informazioni non identificanti, cioè quelle sanitarie, in questa sorta di passaporto informativo-emotivo, per riprendere la bellissima espressione dell'onorevole Bossa. Queste possono sicuramente essere affidate anche a un'autorità amministrativa, ma nel momento in cui si tratta di accedere alle informazioni sensibili, al dato identificante, credo che sia necessario un vaglio giudiziale.
  C’è il problema di valutare, per esempio, se la forma con cui è stato reso il consenso sia idonea, se il consenso provenga dal soggetto legittimato a darlo o se sia necessario, in caso di capacità diminuita, l'intervento del tutore o meno. Laddove c’è conflitto, credo che la soluzione sia il vaglio giurisdizionale.
  Dove non c’è conflitto, com’è il caso delle informazioni non identificanti, allora l'autorità amministrativa è anche meglio.

  SIMONE PILLON, Rappresentante del Forum delle associazioni familiari. Sul piano della terminologia, a noi piace molto la parola figlio e basta, senza accessori di alcun tipo. Non si possono accostare aggettivi alla parola figlio.
  Ci interessa, invece, sostenere la questione del garante della privacy come autorità unica nazionale perché è la Corte stessa a dirci che il diritto all'anonimato della madre deve essere cautelato in termini rigorosi «secondo scelte procedimentali che circoscrivano adeguatamente le modalità di accesso, anche da parte degli uffici competenti, ai dati di tipo identificativo». Il tribunale sul territorio questo non lo garantisce. È patrimonio comune di esperienza.
  Non sono d'accordo sulla questione dell'ulteriore vaglio giudiziale. Anche su questo la Corte ci dice che si tratta semplicemente dell'incontro di due volontà. Non c’è una terza via. C’è la volontà Pag. 14della madre che incontra o meno la volontà del figlio, anche mediante eventuale sollecitazione, ma non c’è il vaglio del giudice che autorizzata il figlio a conoscere i dati della madre senza che la madre lo voglia o viceversa. La Corte non dice questo e diversamente violeremmo il diritto della madre.
  A mio avviso, il vaglio giudiziale non è necessario. Nel momento stesso in cui c’è l'incontro delle volontà, non serve un giudice che autorizzi. Servirà – questo sì – il giudice tutelare per autorizzare il maggiorenne che non sia pienamente capace a presentare la domanda, ma questa è una competenza del giudice tutelare che non ha nulla a che vedere.
  Nella procedura per la conoscenza delle origini in sé, trattandosi dell'incontro di due volontà, non serve altro.

  STEFANIA STEFANELLI, Rappresentante del Comitato per il diritto alla conoscenza delle origini biologiche. Chiedo scusa. È vero che la Corte non lo dice, ma l'articolo 24 della Costituzione stabilisce che chiunque possa agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e questo è un diritto fondamentale.
  Il problema è lì.

  SIMONE PILLON, Rappresentante del Forum delle associazioni familiari. Vorrei concludere dicendo che il compito del legislatore, identificato dalla Corte costituzionale, è quello di «introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità della scelta della madre naturale».
  Questo è il compito del legislatore.

  MONICA VELLETTI, Magistrato presso la I sezione civile del Tribunale di Roma. La Corte ragionava sull'attuale articolo 28, che è tutto giurisdizionale.
  Su questo punto siamo d'accordo a metà.

  PRESIDENTE. Vogliamo togliere la giurisdizione e fare tutto in via amministrativa.
  Vi ringrazio perché è stato un inizio splendido e si sono già visti i nodi critici, i punti di divisione e quelli in comune. Essendo tutto resocontato, se ci vorrete mandare ulteriori precisazioni o approfondimenti, potrete utilizzare l'indirizzo e-mail della Commissione.
  Nel ringraziare anche i colleghi presenti e il relatore, dichiaro conclusa l'audizione.

  La seduta termina alle 11.55.