CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 29 febbraio 2012
614.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Sulla Riunione presso il Parlamento europeo su «La rivoluzione araba: un anno dopo» (Bruxelles, 24 gennaio 2012)

COMUNICAZIONI

Una delegazione del Parlamento italiano, formata dall'onorevole Fiamma Nirenstein, vicepresidente della Commissione affari esteri e comunitari della Camera dei Deputati, e dal senatore Antonello Cabras, vicepresidente della Commissione affari esteri e migrazione del Senato della Repubblica, si è recata il 24 gennaio 2012 a Bruxelles, al fine di partecipare alla riunione organizzata dal Parlamento europeo sul tema «La rivoluzione araba: un anno dopo».
Nella sessione antimeridiana, presieduta dall'europarlamentare Fiorello Provera, vicepresidente della Commissione affari esteri, è intervenuto per primo il Rappresentante speciale dell'Unione europea per il Mediterraneo meridionale, lo spagnolo Bernardino Léon, che ha confermato il pieno impegno dell'Unione stessa nel sostegno alla transizione in corso ed ha relazionato sulle iniziative assunte rispetto a Tunisia, Giordania, Egitto, Marocco, Libia. Al riguardo, ha segnalato i contatti intercorsi non solo con i vertici istituzionali, ma anche con le forze politiche e con la società civile, soffermandosi sulla cooperazione offerta in materia elettorale e costituzionale. Ha poi richiamato l'esigenza di accrescere gli investimenti europei nella regione, di promuovere gli scambi commerciali e di liberalizzare il mercato agricolo. Conclusivamente ha insistito sul fatto che la sicurezza dei paesi del Mediterraneo meridionale equivale alla sicurezza europea, per cui è necessario lavorare ogni giorno per seguire da vicino quanto sta succedendo, esprimendosi comunque favorevolmente rispetto alla formula che potrebbe delinearsi di governi di coalizione tra partiti islamici e partiti laici.
Il secondo intervento è stato svolto dal coordinatore speciale del Dipartimento di Stato USA per la transizioni in Medio Oriente, William Taylor, a giudizio del quale la rivoluzione araba costituisce il principale movimento geopolitico dopo il crollo del muro di Berlino. Considerando molto importante per gli Sati Uniti lavorare insieme all'Unione europea, ha sottolineato la necessità di non ripetere l'errore di appoggiare governi privi del consenso popolare, invitando ad adottare una strategia di stabilità a lungo termine, incentrata su libere elezioni, giustizia e Stato di diritto, istituzioni responsabili, tutela dei diritti umani, delle minoranze e delle donne. A questo proposito, ha richiamato, quale base comune da affermare anche in contesti diversi, la nozione di «valori umani». Si è poi soffermato sull'evoluzione dei paesi che segue direttamente, a cominciare dalla Tunisia, il cui modello di successo ha auspicato che sia ripreso in Egitto, dove è indispensabile il più rapido ritorno possibile del potere ai Governi civili, attraverso la promulgazione della nuova Costituzione, evidenziando come il programma di governo dei Fratelli musulmani si discosti significativamente dalle affermazioni di principio contenute nella loro piattaforma ideologica. In tale ottica, ha sollecitato la riapertura delle sedi delle organizzazioni non governative statunitensi e tedesche la cui chiusura è stata disposta dall'attuale governo egiziano. Riferendosi infine alla Libia, ha ulteriormente ribadito l'opportunità che sia

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l'Unione europea a seguirne lo sviluppo istituzionale, di concerto con il partenariato disposto dal G8 a Deauville.
L'ultimo intervento della prima sessione è stato pronunciato dal Presidente della Commissione di Venezia per la democrazia - che opera in seno al Consiglio d'Europa - Gianni Buquicchio, il quale ha informato sulle attività di cooperazione in corso con i Paesi arabi, segnalando la necessità di «dare tempo al tempo», ma anche rassicurando sul livello culturale riscontrabile nelle rispettive nuovi classi dirigenti. Nello specifico, per quanto concerne la Tunisia, si è detto preoccupato per la situazione economica caratterizzata da un milione di disoccupati; passando al Marocco, ha lamentato la lentezza dell'attuazione della nuova Costituzione nell'ambito delle leggi ordinarie, mentre ha preso atto che i risultati elettorali in Egitto stanno delineando un quadro diverso rispetto ai movimenti rivoluzionari dello scorso anno. Quanto alla Siria ed al Bahrein, ha richiamato il rilievo della divisione religiosa tra sciiti e sunniti.
La sessione pomeridiana, presieduta dall'europarlamentare tedesco Elmar Brok, neo-presidente della Commissione affari esteri, si è aperta con la relazione del Commissario europeo per l'allargamento e la politica di vicinato, il ceco Stefan Füle, il quale, partendo dall'ammissione degli errori politici del passato, ha sottolineato come sia iniziato un processo lungo e controverso, affermando però che ormai le forze della democrazia sono state liberate e la storia ha intrapreso un cammino inarrestabile. Ha quindi auspicato un atteggiamento flessibile dell'Unione europea che punti alla stabilità ed allo sviluppo attraverso il partenariato con la società civile e l'incentivazione della responsabilità dei governi, secondo il principio «more for more», per cui gli aiuti europei dovrebbero essere maggiori in relazione alle riforme. Ha quindi sintetizzato la strategia europea nell'acronimo 3 M: Money, Mobility, Markets, riferendosi rispettivamente al sostegno finanziario, all'accoglienza dei lavoratori migranti, ed alla liberalizzazione degli scambi commerciali. Ha poi richiamato l'importanza dei contatti diretti tra i cittadini dei paesi europei e dei paesi arabi, soprattutto a livello educativo. Ha infine invitato a basarsi sui fatti e a non giudicare dagli esiti delle prime tornate elettorali, ricordando i tempi lunghi della transizione alla democrazia e dell'integrazione europea. Ha infine auspicato il rilancio dell'Unione per il Mediterraneo.
Ha quindi preso la parola il Segretario generale del Servizio europeo per l'azione esterna, il francese Pierre Vimont, che ha innanzitutto invitato a distinguere i singoli casi nazionali. Se, infatti, le elezioni hanno già legittimato nuovi governi in Tunisia e in Marocco, in Egitto le forze armate devono ancora trovare il modo di passare il potere ai civili, mentre nello Yemen e soprattutto in Siria il processo in corso sta producendo forte instabilità, come anche in Bahrein. Altri paesi, come l'Algeria e la Giordania, sono ancora in attesa del cambiamento. Pertanto, a suo avviso, occorre che l'Unione europea adotti interventi mirati per ogni singolo paese, dall'assistenza elettorale, alla promozione della società civile, allo sviluppo della democrazia e dell'educazione, nella consapevolezza che il problema principale resta quello economico, come dimostra il calo del turismo in Egitto e in Tunisia. Ritenendo possibile la costruzione nei paesi arabi di uno stato moderno per una nuova economia ed una moderna democrazia caratterizzata da un bilanciamento tra laicità e religione, l'ambasciatore Vimont ha invitato a valutare il dibattito interno ai Fratelli musulmani e a prendere in considerazione il ruolo delle nuove generazioni di cittadini che sono ormai «figli di Internet», superando la logica dell'inevitabile contrapposizione tra Islam e democrazia. Ha quindi concluso che siamo davanti a qualcosa di totalmente nuovo.
Nel corso del dibattito, l'onorevole Nirenstein ha messo l'accento sull'importanza per l'Europa di garantire la stabilità della regione, mettendo in guardia dal rischio di trascurare la componente ideologica delle trasformazioni in atto, non essendo sufficiente lo svolgimento di elezioni

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ad assicurare la democrazia e il rispetto dei diritti umani. A suo avviso, peraltro, non serve erogare contributi finanziari da parte europea, senza condizionarli a precisi impegni sul piano dello Stato di diritto. Ha infine evidenziato come l'atteggiamento nei confronti dello Stato di Israele, in particolare per quanto concerne l'Egitto, sia il più significativo banco di prova per i nuovi regimi arabi.
Analoga preoccupazione è stata espressa dal rappresentante della Camera dei Comuni del Regno Unito, Mike Gapes,che ha tuttavia invitato a considerare il processo in corso nel lungo periodo, ritenendo peraltro difficile porre condizioni alle nuove classi dirigenti dopo aver appoggiato, senza fare troppe domande, i vecchi regimi. Il pericolo che la cosiddetta primavera araba diventi un inverno è stato evocato dal rappresentante cipriota, Averof Neofytou, mentre il senatore polacco Bogdan Klich ha espresso il timore che una democrazia intesa solo proceduralmente possa favorire l'islamizzazione. Interventi più fiduciosi nei confronti dell'evoluzione politica degli stessi movimenti islamici sono venuti dalla deputata greca Anna Ntalara e dalla senatrice belga Marie Arena.

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ALLEGATO 2

Sulla missione in Israele e nei Territori palestinesi (21-24 febbraio 2012)

COMUNICAZIONI

Una delegazione della III Commissione, guidata dal presidente Stefano Stefani e composta dagli onorevoli Franco Frattini e Francesco Tempestini, si è recata in missione in Israele e nei Territori palestinesi dal 21 al 24 febbraio 2012.
La missione si è svolta nel quadro delle iniziative della Commissione finalizzate ad approfondire la politica italiana nel Mediterraneo e in Medio Oriente alla luce degli avvenimenti accaduti nella regione nel corso del 2011 e dell'attuale contesto di accresciuta tensione, connesso soprattutto alla situazione in Siria e all'escalation della questione del nucleare iraniano. La missione ha inteso in particolare individuare le richieste, da parte israeliana e palestinese, alla comunità internazionale, all'Unione europea e al nostro Paese per promuovere la ripresa del negoziato di pace e pacificare la regione.
L'agenda degli incontri ha quindi incluso interlocutori istituzionali israeliani, esponenti dell'Autorità nazionale palestinese, rappresentanti delle Nazioni Unite, nonché rappresentanti della società civile palestinese.

Incontri a Tel Aviv e Gerusalemme

Al suo arrivo a Tel Aviv la delegazione è stata innanzitutto ricevuta dal Vice Primo Ministro Silvan Shalom, titolare del dicastero per lo Sviluppo del Negev e della Galilea ed ex Ministro degli affari esteri, che ha subito espresso convinto apprezzamento per il sostegno dato dall'Italia alle decisioni europee sulle sanzioni all'Iran, e questo nella consapevolezza della difficile fase attraversata dall'economia italiana.
Nell'accennare alla complessiva debolezza delle Nazioni Unite nel fare fronte alla crescente aggressività iraniana, Shalom ha dato risalto all'efficacia dello strumento sanzionatorio se attuato da un ampio numero di Paesi, come avvenne nel caso del Sudafrica dell'apartheid. Analizzando la politica di Achmadinejad, Shalom ha dato rilievo al ruolo di «assicurazione» per il regime da attribuire alla questione nucleare, stimando in un anno il tempo minimo per il completamento del processo di arricchimento. Ha fatto rilevare come la posizione di Russia e Cina nella sede del Consiglio di Sicurezza sia da leggere come effetto della preoccupazione di questi due Paesi che dal crollo dell'Iran e della Siria possa derivare il controllo sulla regione da parte dell'Occidente europeo e statunitense.
Sollecitato dal Presidente Stefani sulla questione palestinese, Shalom ha analizzato la figura politica di Abu Mazen, più debole del predecessore Arafat e certamente destinato ad essere l'ultimo leader che assommi in sé le tre cariche di presidente dell'ANP, dell'OLP, nonché leader del partito Fatah. Abu Mazen, dopo la delusione del debole impatto dell'iniziativa presso l'ONU per la dichiarazione unilaterale sulla nascita della Palestina, ha irrigidito la propria linea di contrarietà alla ripresa dei dialoghi diretti con il premier Netanyahu, nonostante quest'ultimo abbia accolto la richiesta di moratoria sugli insediamenti e abbia condiviso

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la visione dei «due popoli e due Stati» in occasione dell'ormai celebre discorso del 2009 alla Bar Ilan University.
Malgrado gli scarsi risultati conseguiti della mediazione giordana, Shalom ha sostenuto la necessità di indurre i palestinesi ad un ritorno alla trattativa con Israele per la creazione di due Stati (il riferimento anche ai due popoli sarebbe, a suo avviso, da considerare superato), considerata la forte domanda di pace da parte del popolo palestinese, non così favorevole al ritorno dei rifugiati, in quanto ormai privi dell'identità palestinese e fortemente coinvolti nelle realtà locali in cui si sono integrati negli ultimi decenni. Anche la favorevole fase di crescita economica nella regione, favorita dall'impegno israeliano - che fa registrare in Israele una previsione di incremento del PIL per il 2012 del 2,5 per cento (a fronte del 4, 6 del 2011) e in Cisgiordania un tasso di crescita del 10 per cento (16 per cento nella Striscia di Gaza) - dovrebbe rappresentare un incentivo a compiere un passo in avanti nel negoziato.
Circa le condizioni di vita degli abitanti di Gaza, Shalom ha sottolineato la convenienza di Hamas al mantenimento e alla gestione dell'«economia dei tunnel», basata sul passaggio clandestino delle merci attraverso il confine con l'Egitto. Commentando in modo negativo la recente visita del premiere Hannye a Teheran, Shalom ha ricordato la complessa questione della West Bank, sul cui territorio sono mancati i necessari chiarimenti in tema di sovranità e in cui le elezioni hanno quasi sempre premiato le formazioni estremiste.
L'onorevole Frattini ha sollecitato Shalom sul tema delle prospettive per il processo di pace nell'attuale fase elettorale americana e in vista della possibilità nascita di un governo transitorio sul versante palestinese, oltre al possibile intensificarsi delle iniziative diplomatiche di Abu Mazen presso le agenzie dell'Onu. Su tali questioni Shalom ha delineato uno scenario internazionale non propizio: il presidente Obama, pur preoccupato per la questione iraniana anche per l'amicizia che lega in questa fase Teheran al Venezuela di Chavez, deve affrontare una campagna elettorale concentrata per lo più su temi interni. Quanto all'Europa la crisi economica assorbe tutte le iniziative politiche. Nel negoziato di pace la questione dei confini (che include il tema degli insediamenti e dello status di Gerusalemme) tende a prevalere sul resto. Israele, da parte sua, chiede un approccio negoziale onnicomprensivo di tutte le questioni (secondo il motto «end of conflict end of claims»), mentre la parte palestinese dimostra di volere affrontare i diversi nodi in modo articolato e separato. Quanto al ruolo giocato dalle agenzie delle Nazioni Unite presenti sul terreno, Shalom ha dato risalto a diffuse preoccupazioni per la tendenza alla diminuzione dei finanziamenti. Ha dedicato riflessioni anche all'Egitto, confermato maggiore interlocutore della regione, sottolineando la determinazione delle forze armate a restare all'interno delle massime istituzioni egiziane, anche al fine di non dovere affrontare vendette ed epurazioni. Le forze armate costituiscono il maggior datore di lavoro in un Paese fortemente provato dalla crisi economica e in cui la politica estera è appannaggio del presidente. Per tutte queste ragioni il favorito alla carica di Capo dello Stato è Nabil El-Arabi, attuale segretario della Lega Araba, considerata la debolezza di Amr Moussa e la percezione di estraneità che circonda la figura di El Baradei, già presidente dell'AIEA.
Il successivo incontro a Gerusalemme con il Ministro degli affari esteri, Avigdor Liebermann, leader del partito Yisrael Beitenu, introdotto dal Vice Ministro Ayalon e cui hanno preso parte anche gli onorevoli Faina Kirschenbaum e Orly Levy, ha consentito innanzitutto di registrare la soddisfazione per la nomina del generale Paolo Serra alla guida della missione UNIFIL2 in Libano; il convinto riconoscimento all'onorevole Frattini, in riferimento al lavoro da lui svolto sia in qualità di Vice Presidente della Commissione europea che in quella di Ministro degli affari esteri, per la sua visione e la leadership a favore di Israele; nonché la soddisfazione per il rafforzamento delle relazioni bilaterali, soprattutto negli ultimi cinque anni (crescita

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interscambio, commessa Alenia Aermacchi per gli aerei da addestramento).
Il ministro Liebermann, nel dipingere il quadro di crisi regionale (con particolare riferimento all'«inverno islamico» subentrato alla «primavera araba»), ha subito evidenziato la crisi delle organizzazioni multilaterali, le cui promesse cadono nel vuoto di fronte al disastro umanitario in Siria e che continuano ad accogliere al proprio interno l'Iran di Achmadinejad.
Il Presidente Stefani ha manifestato interesse per le considerazioni di Liebermann, ribadendo che un Iran nuclearizzato deve preoccupare non solo Israele ma l'intera comunità internazionale e indurre l'Unione europea a svolgere un'azione più incisiva, anche alla luce del ruolo recessivo giocato dagli Stati Uniti di Obama: non può certo essere in discussione la questione dell'esistenza dello Stato di Israele, chiamato tuttavia ad un rinnovato impegno per la soluzione dei problemi regionali, a partire dal negoziato di pace e da una nuova gestione della politica degli insediamenti, anche per evitare l'isolamento regionale.
Il Ministro Liebermann ha, quindi, analizzato l'evoluzione dello scenario del cosiddetto «Grande Medio Oriente», definendo del tutto fallimentare quanto ad oggi avvenuto in Iraq e Afghanistan, molto negativo per le prospettive future. Ha quindi obiettato che la questione palestinese - da considerare slegata rispetto alla dinamica della «primavera araba» - sia oggi alla base delle controversie che segnano la regione: a suo avviso, nei decenni passati la questione palestinese è stata strumentalizzata dai regimi arabi per eludere i problemi interni e dare a Israele ogni responsabilità. Oggi Israele conta buone amicizie con Giordania, Cipro, Grecia e Bulgaria. Nell'area del Golfo si considera l'islam radicale, non Israele, il maggior nemico e nel Congresso americano c'è una visione bipartisan sulla posizione di Israele, considerato l'unico attore affidabile della regione, anche a seguito del cambio di passo in Egitto, e con cui i legami sono basati su vincoli personali, sulla cooperazione militare e sulla vita delle comunità ebraiche statunitensi. Per Liebermann la situazione palestinese è sotto relativo controllo, la sicurezza è cresciuta e il tenore di vita dei palestinesi è cresciuto grazie all'impegno del governo israeliano. Quanto alla questione degli insediamenti, il Ministro Liebermann la considera un errore di prospettiva, visti gli accordi che ciò nonostante è stato possibile siglare con Giordania ed Egitto e alla luce dell'evolvere della situazione a Gaza dopo il ritiro israeliano e lo sfollamento dei circa 10 mila ebrei che vi risiedevano. Ha quindi dichiarato scarsa fiducia nella possibilità di conseguire la pace dopo tutti i tentativi fatti e la disponibilità israeliana sistematicamente frustrata dai leader palestinesi sin dalla Conferenza di Annapolis. Ha, infine, evidenziato che il disaccordo con gli interlocutori palestinesi non è su mere questioni territoriali, ma su temi valoriali connessi alla simpatia, comune a molti Paesi musulmani ma assai forte anche tra le comunità islamiche in Europa, per una visione religiosa radicale, ostile alla convivenza con i cristiani e gli ebrei. Circa il percorso da intraprendere per la pace, Liebermann affida al miglioramento dell'economia e delle condizioni di vita dei palestinesi molta parte per il progresso del negoziato, sollecitando anche l'Europa ad una maggiore attenzione ai profili culturali, a partire dal monitoraggio sui testi scolastici.
Gli incontri con esponenti dell'esecutivo israeliano si sono completati con il colloquio della delegazione con il Vice Primo Ministro e Ministero per l'intelligence e l'energia atomica, Dan Meridor. I temi proposti dai parlamentari italiani hanno riguardato una valutazione sul pericolo rappresentato dalla questione nucleare iraniana e il tema delle sanzioni, considerata l'insufficienza di un asse coeso tra i soli Stati Uniti e l'Europa e la necessità (su particolare sollecitazione dell'onorevole Frattini) di valutare interventi sul sistema di tracciatura SWIFT delle transazioni bancarie, al fine di penalizzare gli operatori iraniani e colpire così in modo più stringente il sistema economico di quel Paese.

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Il Ministro Meridor, nel considerare particolarmente complessa l'opzione dell'attacco militare e dunque da mantenere come extrema ratio, si è concentrato sul tema delle sanzioni ritenendo che le più recenti iniziative iraniane tradiscano un certo nervosismo e il senso di una pressione internazionale. A parte la Siria, il mondo arabo preme sugli Stati Uniti per contenere Teheran e ci sono Paesi rilevanti sul piano economico (Giappone e Corea del Sud) che si accingono a ridurre gli acquisti di petrolio iraniano. Secondo Meridor, mostrando ad Achmadinejad determinazione si potrà non già bloccare l'arricchimento dell'uranio ma indurre il regime ad una più attenta valutazione dei costi e dei benefici e ad una linea di maggiore apertura negoziale. Ha quindi descritto la tecnica dei piccoli passi, intrapresa dall'Iran, nell'arricchimento dell'uranio per paura delle sanzioni.
Sul piano strategico, Meridor ha sottolineato che se la priorità è abbattere il regime di Teheran, risultato che sarebbe favorito dal crollo del siriano Assad, occorre offrire opzioni vantaggiose ai suoi due maggiori sostenitori in sede ONU, ovvero Russia e Cina e all'India in qualità di attuale rilevante partner commerciale, pur nella consapevolezza dei costi connessi a un simile negoziato. Certo è che da un crollo della Siria e dell'Iran deriverebbe un prevedibile successo politico dei Fratelli Musulmani nella regione. Quanto ai tempi della crisi siriana, non vi sono previsioni affidabili, considerato che la tensione in atto concerne il destino e il sopravvivere della tribù alauita.
Quanto alla pericolosità di Teheran per l'esistenza dello Stato di Israele, Meridor ha considerato che la sostanziale differenza tra Achmadinejad e i suoi predecessori, è l'esplicitazione di certi messaggi. Nell'analizzare la situazione interna all'Iran, rispondendo ad un quesito dell'onorevole Tempestini che ha anche richiamato l'assenza del tradizionale alleato turco, Meridor ha osservato che il regime iraniano ha saputo reprimere con grande efficacia i fermenti giovanili di ribellione del 2009. Il problema è oggi rappresentato dalla combinazione tra la questione nucleare e l'ideologia. Sulle relazioni con Ankara, il Ministro Meridor ritiene che occorra ricostruirle pur tenendo conto che il governo di Erdogan sta spingendo il Paese in una direzione più prossima all'islamismo e ha quindi operato per conquistare consenso presso le masse arabe (da Davos alla vicenda della Freedom Flotilla). Nel fare presente di essere stato in seno al governo israeliano tra i pochi assertori della necessità di un compromesso sulla questione delle scuse alla Turchia dopo il caso della nave Mavi Marmara, ha sottolineato che Israele e Turchia condividono l'interesse al contenimento dell'attore iraniano.
Gli incontri della delegazione con interlocutori parlamentari hanno consentito di meglio focalizzare le sfumature tra i partiti rappresentati alla Knesset in merito ai temi già trattati con i rappresentanti dell'Esecutivo.
Il presidente della Knesset, onorevole Reuven Rivlin, esponente del Likud, ha segnalato tra i temi, ulteriori rispetto alla politica estera, che impegnano il dibattito politico in Israele la crisi economica, la pronuncia della Corte Suprema sull'esenzione dei giovani religiosi dal servizio militare e la gestione dei rapporti tra Stato e istituzioni religiose, segnalando nell'attuale compagine politica israeliana il superamento della tradizionale distinzione tra destra e sinistra. Prospettando una visione possibilista quanto al raggiungimento di un accordo di pace con i palestinesi e ricordando le ragioni della contrarietà degli ebrei ortodossi e dei cittadini israeliani di appartenenza araba alla stesura di una Costituzione israeliana, ha sottolineato che Abu Mazen è contrario al riconoscere Israele come «Stato degli ebrei» non comprendendo che tale definizione non osterebbe al carattere democratico di tale Stato e alla piena tutela dei diritti civili dei non ebrei. Ha segnalato che la maggior parte dei parlamentari israeliani (pari a circa l'80 per cento) sarebbe favorevole alla pace ma che nessuno si fa illusioni e che il dibattito è oggi non tanto concentrato sui termini di un

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accordo ma sulle posizioni di principio in merito alla pace, che ne garantirebbero il mantenimento. Quanto alla situazione in Egitto, ha sottolineato che Il Cairo ha interesse a mantenere la pace con Israele anche al fine di godere buone relazioni con l'Europa. Ha, infine, ricordato il contributo positivo al dialogo arabo-israeliano dato dal presidente Pierferdinando Casini nella sua qualità di presidente dell'Unione interparlamentare.
Rivlin ha concluso l'incontro prospettando uno scenario di abbattimento dei muri, di maggiore rispetto tra le diverse comunità religiose e di impegno collettivo sul valore della pacifica convivenza.
La delegazione ha quindi incontrato rappresentanti della Commissione affari esteri e difesa della Knesset: gli onorevoli Meir Sheetrit (Kadima) nel ruolo di vicepresidente della Commissione, Arieh Eldad (National Union), Enat WIlf (Atzmaut) ed Isaac Herzog (Labour).
Il vicepresidente Sheetrit ha aperto il colloquio esprimendo soddisfazione per l'affidamento all'Italia della guida della missione UNIFIL in una fase di maggiore aggressività di Hezbollah, che merita di essere adeguatamente segnalata all'attenzione internazionale. Ha, quindi, sottolineato la comune visione con il nostro Paese, che viene in evidenza anche nella collaborazione in sede UIP. Il presidente Stefani ha convenuto sulla centralità della collaborazione tra i Parlamenti proponendo come tematica di discussione la pacificazione con i palestinesi e la questione della sicurezza di Israele in assenza di una prospettiva di pace basata su un accordo. Sheetrit ha passato in rassegna le diverse fasi dell'impegno di Israele per la pace e ha sottolineato che ogni iniziativa, anche quella della costruzione del muro, deve essere letta nell'ottica della priorità della sicurezza. Ha quindi ricordato che fino alla Seconda Intifada circa duecento mila palestinesi lavoravano e pernottavano sul territorio israeliano e che da allora la situazione è radicalmente mutata e il ritiro da Gaza non ha dato i frutti sperati, come noto. Quanto all'operazione Piombo Fuso, occorre chiedere ai membri della comunità internazionale che cosa avrebbero fatto al posto di Israele. Il risultato oggi è che Israele è fuori da Gaza, il cui confine con l'Egitto potrebbe essere aperto in ogni momento, ma è considerata responsabile di cosa avviene all'interno della Striscia e di come vive la popolazione. Ma non è Gaza ad essere centrale nei negoziati, considerata l'impossibilità di Abu Mazen di porsi come rappresentante di quella parte della popolazione palestinese. Oggi la destra israeliana, grazie a Netanyahu, ha accolto la visione dei due popoli e due Stati. I partiti laburista e Kadima sono favorevoli alla fissazione dei confini sulla linea del 1967 mentre i partiti di governo vi apportano limitate modifiche. Al momento si è in una fase di stallo a causa della rigida richiesta palestinese per una moratoria sugli insediamenti. Sheetrit si è dichiarato favorevole all'iniziativa araba intrapresa nel 2002, che però non è stata accolta dal governo israeliano e ha osservato che si potrebbero creare delle aperture se Hamas riconoscesse il ruolo dell'OLP e del Quartetto. Ha quindi auspicato che l'Europa rilanci l'iniziativa araba e induca la Russia ad un maggior controllo circa la destinazione effettiva degli armamenti che vende all'Iran o alla Siria.
Il laburista Herzog ha individuato nella totale sfiducia tra le parti l'ostacolo ad ogni ripresa del negoziato e ha giudicato una perdita storica il rifiuto di Abu Mazen ad incontrare Netanyahu, considerato che non c'è alternativa al negoziato. Il rappresentante dell'Unione nazionale, onorevole Eldad, ha dato risalto alla natura non meramente territoriale del conflitto, altrimenti più agevolmente risolvibile, e al fondamento religioso delle diverse posizioni, ritenendo incongrua la proposta dei due Stati e proponendo una chiave di lettura della primavera araba che guardi alla Giordania come opzione per la creazione di uno stato palestinese. L'onorevole Frattini ha ribadito che in Italia vi è piena condivisione sulla necessità di non fare concessioni ad Hamas finché non rinuncia a negare lo Stato di Israele e ha chiesto agli interlocutori parlamentari di indicare le strade per indebolire tale formazione.

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L'onorevole Wilf, esponente di Atzmaut, ha indicato nella riduzione al minimo delle iniziative politiche la strada da percorrere nell'attuale contesto in evoluzione, connesso alla primavera araba. Attualmente, non esistendo alcun terreno di incontro tra israeliani e palestinesi, occorre lavorare a migliorare il tenore di vita dei palestinesi creando le basi per la sostenibilità di una futura soluzione negoziale. Ha espresso critiche nei confronti dell'agenzia UNRWA, cui l'Italia contribuisce finanziariamente, che sostiene la quantificazione di cinque milioni di rifugiati palestinesi, auspicando una nozione più restrittiva della qualità di rifugiato. A suo avviso in luogo di dare enfasi alla questione degli insediamenti, occorrerebbe dedicare maggiore attenzione al tema di rifugiati.
L'incontro è proseguito con un intervento dell'onorevole Tempestini, sollecitato dai parlamentari israeliani sui temi della crisi economica, in cui ha sottolineato che per l'Italia la crescita dipende in larga misura dall'evoluzione dello scenario mediterraneo e che per il nostro Paese la pace rappresenta la condizione per lo sviluppo economico dell'area. Conseguentemente, l'Italia favorisce ogni iniziativa a favore della pace, come dimostra il sostegno alle sanzioni contro l'Iran. Quanto all'alternativa tra «primavera araba» e «inverno islamico», visioni entrambe dotate di fondamento, l'onorevole Tempestini ha sostenuto che l'obiettivo comune deve essere quello di portarle a sintesi, considerato che non vi è alternativa ai «nuovi» Paesi nati dopo il crollo dei regimi. Qualunque sia la nuova stagione che si aprirà, l'auspicio è che si tratti di una stagione dei diritti e di maggiore verità.
L'incontro si è quindi concluso con una riflessione sulla minaccia nucleare iraniana, cui ha contribuito Sheetrit, favorevole ad un rafforzamento delle sanzioni e scettico sul favore di Israele ad un conflitto militare pur nella necessità di fare il possibile per impedire a Teheran di dotarsi dell'arma nucleare. Sul tema è intervenuto l'onorevole Eldad manifestando una linea più radicale, convinta dell'inefficacia delle sanzioni e favorevole ad un fermo intervento contro un Iran nuclearizzato.

Incontri presso le Nazioni Unite

La delegazione ha quindi proceduto agli incontri con i rappresentanti delle Nazioni Unite a partire da Robert Serry, Coordinatore Speciale per il processo di pace, particolarmente impegnato nel rafforzamento del quadro istituzionale palestinese, come riconosciuto anche dalla Banca Mondiale e dal Fondo Monetario. Serry ha segnalato che la cooperazione tra le parti sul terreno della sicurezza in questi ultimi anni non ha precedenti, mentre è del tutto carente l'azione politica volta al raggiungimento dell'accordo, come dimostra anche il recente rilascio di un numero importante, circa cinquecento, di nuove licenze edilizie da parte delle autorità israeliane, destinate a trasformarsi in reali abitazioni nel giro di un anno e ciò malgrado proprio durante il governo di Netanyahu ci sia stato almeno in una fase un freno alla politica degli insediamenti rispetto a quanto avvenuto sotto i suoi predecessori. La debolezza della mediazione giordana, il basso tasso di popolarità e fiducia di cui gode il Quartetto e la deludente risposta israeliana alla richiesta da Abu Mazem per la liberazione dei prigionieri «pre-Oslo» hanno determinato lo stallo definitivo degli sforzi per il negoziato ed un vuoto di iniziativa politica che rischia di produrre effetti di logoramento tra la popolazione. Quanto alla riconciliazione intrapalestinese, Serry ha dato conto delle problematiche prese di posizione che Hamas continua a mantenere e del suo interesse al mantenimento del traffico clandestino di merci attraverso i tunnel al confine con l'Egitto. Esprimendo soddisfazione per la recente nomina del nuovo Rappresentante Speciale dell'Unione europea per il processo di pace in Medio Oriente, Andreas Reinicke, subentrato a Marc Otte, e con il quale si sono già definiti i presupposti per un'ottima cooperazione, ha evidenziato la necessità

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di scongiurare il rischio che dall'attrito tra ANP e Hamas possa derivare un progetto politico finalizzato alla creazione di due distinti Stati palestinesi. Ha rilevato che le manifestazioni antisiriane a Gaza evidenziano un progressivo smarcamento di Hamas da Damasco e ha sottolineato la necessità di evitare che i temi Iran e Siria tolgano attenzione alla questione palestinese.
L'incontro è quindi proseguito con un'analisi sul complessivo scenario internazionale, segnato dal processo elettorale negli Stati Uniti e dalla prospettiva di elezioni anticipate in Israele (utili a affrontare la «visione» di Obama sul Medio Oriente sulla base di un nuovo mandato elettorale). Se per il 2012 la politica americana nella regione deve essere considerata come volta alla riduzione del danno, per Serry l'opzione dell'attacco israeliano resta sul tavolo, con un orizzonte temporale di breve periodo, da collocare di anche prima delle elezioni.
Gli incontri con i rappresentanti delle istituzioni cristiane in Terra Santa, svolti a margine dell'agenda istituzionale della missione, hanno permesso di evidenziare l'allarmante tendenza alla erosione della presenza cristiana a Gerusalemme, che sarebbe causata da talune limitazioni imposte dalle autorità israeliane, e il conseguente rischio di perdita per Gerusalemme del suo status di città santa per le tre grandi religioni monoteiste. Il Custode di Terra Santa, Pierbattista Pizzaballa, ha in generale parlato di un carente rispetto per la diversità religiosa nella società locale, che emerge nelle aggressioni ai simboli cristiani e negli slogan anticristiani apparsi su alcune chiese e nel cimitero cristiano sul Monte Sion.
La delegazione ha aperto la seconda giornata di incontri, da dedicare agli interlocutori di parte palestinese, con un sopralluogo presso una scuola gestita dall'agenzia UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East) nella località di Qalandia. In quest'occasione si è tenuto un breve colloquio con il Commissario Generale, Filippo Grandi, che ha illustrato il mandato di UNRWA, non politico e limitato alla tutela dei rifugiati palestinesi, stimati in 5 milioni, che includono i rifugiati sotto la tutela dell'ANP, quelli iscritti come tali dal 1949 e posti sotto tutela delle Nazioni Unite. Ha quindi illustrato l'attività delle 700 scuole dei 120 ambulatori gestiti da UNRWA, per lo più dislocati in campi, e i progetti di ricostruzione di ulteriori scuole, i cui materiali dovranno arrivare attraverso il valico con Israele per non legittimare ulteriormente l'economia dei tunnel. Quanto alla situazione a Gaza, Grandi ha riferito del lieve miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, malgrado il blocco israeliano permanga e vi sia un sistema di reciproche convenienze tra Israele ed Egitto al mantenimento del traffico di merci attraverso i tunnel. Nessun progresso può essere registrato sul versante delle esportazioni di merce in uscita da Gaza.
Nel segnalare il buon livello di collaborazione con le autorità israeliane, Grandi ha evidenziato che per Israele l'attività dell'UNRWA è preziosa in quanto solleva il governo israeliano dalla prestazione di taluni servizi sociali, ma soprattutto garantisce una formazione scolastica ai bambini conforme agli standard dell'ONU. Non vi è dubbio che la questione dei testi scolastici sia centrale e che l'ANP si sia impegnata alla revisione dei contenuti dei programmi, anche sulla base del lavoro di una Commissione congiunta che oggi non esiste più. Indubbiamente le scuole di Hamas rappresentano un problema, però occorre considerare che si tratta di un terzo delle scuole complessivamente esistenti a Gaza. Ha sottolineato che le «rimozioni» sui fatti della storia sono evidenti nei libri di testo anche dei bambini israeliani. Ha quindi segnalato la ben più complessa situazione dei rifugiati presenti in Libano e Giordania, sia per le drammatiche condizioni di vita che per il rischio di strumentalizzazione politica cui sono esposti in questa particolare fase. Ha infine lamentato la difficoltà di reperire le risorse finanziarie necessarie alla continuazione delle attività di UNRWA, pari a 1 miliardo di dollari all'anno, sollecitando

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l'Italia ad invertire la tendenza di questi ultimi anni alla riduzione (anche grazie alla istituzione di un Comitato di supporto in Italia). Oggi UNRWA conta sui finanziamenti dell'Unione europea e degli Stati Uniti; nulla o quasi nulla perviene dalla Russia e dalla Cina, mentre i Paesi arabi hanno lievemente incrementato i propri contributi dopo la Conferenza di Gaza del 1997.

Incontri a Ramallah

La delegazione ha quindi aperto l'agenda di incontri con le istituzioni palestinesi a partire dal Primo Ministro dell'Autorità nazionale palestinese Salam Fayyad.
Richiamata la riunione in corso al Cairo per l'attuazione all'accordo di Doha, siglato dal presidente dell'ANP Abu Mazen e dal capo di Hamas Khaled Meshaal per la formazione di governo tecnico unitario guidato dallo stesso Abu Mazen e che dovrà preparare le elezioni parlamentari e presidenziali, rimuovendo uno dei principali ostacoli al processo di riconciliazione tra i palestinesi, Fayyed ha riferito di un certo miglioramento nel quadro politico palestinese, malgrado Hamas tenti di dettare condizioni e di non fare emergere il calo di consensi che accusa in questa fase, dopo il negoziato giordano. Ha quindi segnalato lo stallo del processo politico che richiederebbe al presidente Abu Mazen di individuare nuove opzioni da offrire ai palestinesi.
Al momento la priorità, non condivisa da Hamas, è pervenire alla fissazione delle elezioni, oltre alla formazione del governo transitorio, per avviare la ricostruzione di un sistema politico palestinese convincente e adeguato ad affrontare i problemi, riunificare il popolo palestinese e pervenire alla creazione di uno Stato. Fatah, che dovrebbe a sua volta affrontare un processo di riforma interno, teme di non arrivare all'appuntamento elettorale con il necessario sostegno degli elettori e con una definita lista di candidati. Per Fayyad dal mese di settembre il Quartetto ha commesso un errore tattico, esercitando molta pressione sulle parti per riaprire il negoziato in un momento non favorevole. La conseguenza negativa di questa azione è la difficoltà oggi per l'ANP di conservare quanto conseguito sul piano della sicurezza. Su questo terreno la comunità internazionale non interviene e la situazione siriana costituisce una minaccia serissima. Lo dimostrano le aggressioni degli estremisti alle manifestazioni pacifiche, nei Territori come pure a Tel Aviv, e l'emergere dell'intolleranza religiosa con gli attacchi agli edifici di culto. A suo avviso, anche su sollecitazione internazionale, l'esercito israeliano dovrebbe intensificare i controlli sui gruppi di estremisti presenti tra i coloni e dovrebbe lasciare all'ANP il pieno controllo dell'area posta sotto il suo controllo civile e di sicurezza (Area A). Ha quindi lamentato il drastico calo degli aiuti internazionali che ha però determinato l'avvio di un processo virtuoso di taglio alla spesa pubblica.
L'onorevole Frattini ha convenuto sulle priorità indicate da Fayyed e sulla necessità che la comunità internazionale riconosca il nuovo governo transitorio, se da tale governo giungerà il riconoscimento su Israele e la sconfessione di Hamas. Fayyed ha chiarito che il governo tecnico non prevederà al suo interno la presenza di Hamas, che dovrà attendere le elezioni per giocare un ruolo nelle istituzioni palestinesi. Per questo occorre che l'ANP consegua tutti i migliori risultati per ottenere consensi, che si proceda presto alle elezioni e che il nuovo risultato elettorale riporti l'attenzione sulla questione palestinese. Si tratta anche di dare l'opportunità al popolo palestinese di dare fiducia ad un governo secolare, visto il diffuso convincimento che Hamas non sia adeguato a rappresentare l'identità laica dei palestinesi. Ha quindi condiviso la pericolosità della minaccia iraniana per Israele, di cui tutto il popolo è profondamente convinto. A suo avviso sono stati compiuti pochi sforzi a livello internazionale per dissuadere Israele dall'attacco preventivo all'Iran mentre i miglior risultati deriverebbero dalla fine del regime di Assad a Damasco.

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L'onorevole Tempestini ha quindi sollecitato Fayyed su quanto la comunità internazionale deve fare per sostenere lo svolgimento delle elezioni palestinesi entro breve tempo, per poi procedere alla riapertura del negoziato. Il primo ministro ha detto che le priorità sono due: l'indizione delle elezioni e la vittoria dell'ANP. Tali risultati possono essere conseguiti con maggiore sostegno finanziario e con lo sviluppo del settore privato e degli investimenti esteri.
L'incontro con il Ministro degli esteri Al Malki si è concentrato sul tema della crisi siriana e della primavera araba. Secondo Al Malki, in Siria l'ANP gode di una posizione di favore rispetto ad altri Paesi arabi grazie ai forti legami con i 500 mila rifugiati, di cui occorre preservare la sicurezza. L'ANP sostiene il popolo siriano nella sua volontà di autodeterminarsi, anche nella sede della Lega Araba. Sulla primavera araba, ha espresso rammarico per l'incompiutezza delle rivoluzioni giovanili e ha segnalato gli sviluppi imprevisti con il successo di quelle formazioni politiche che potevano vantare maggiore organizzazione e finanziamenti, con particolare riferimento ai Fratelli Musulmani, cui Hamas è affiliata a livello internazionale e di cui ha evidenziato i legami con il Qatar, laddove l'Arabia Saudita appare impegnata nel sostegno finanziario dei movimenti salafiti. Non è al momento misurabile l'impatto di questo nuovo scenario sul processo di pace o sui diritti e sulle libertà della popolazione. Uno dei pochi punti fermi è la necessità per i Fratelli Musulmani di offrire garanzie agli Stati Uniti circa il rispetto del trattato con Israele, con cui le relazioni saranno indubbiamente minime e senza particolare impegno sul negoziato. Malgrado l'anno in corso non sia propizio per lo sviluppo del quadro mediorientale, il ministro ha auspicato un'evoluzione entro il prossimo anno e mezzo per anticipare il consolidamento dei nuovi regimi nei Paesi arabi. Negli incontri al Cairo, il leader di Hamas, Khaled Meshaal, ha convenuto sulla necessità di interrompere gli attacchi di razzi ad Israele, di cessare la resistenza violenta e di accogliere la proposta relativa ai confini del 1967. Pur mantenendo la rigidità sul riconoscimento allo Stato di Israele, il solo accoglimento della proposta sui confini consiste, a suo avviso, in una sua accettazione implicita. In questa fase la comunità internazionale deve a tutti costi sostenere l'ANP e indurre il premier Netnayahu a fare altrettanto.
La successiva riunione con il presidente della Commissione Affari politici del Consiglio Legislativo Palestinese, onorevole Abdallah Abdallah, ed altri parlamentari ha consentito di fare un ulteriore punto sul negoziato di pace e sulla situazione regionale, affidando centralità ai rapporti con l'Unione europea e con l'Italia in questa particolare fase. L'incontro ha consentito l'emersione di voci più critiche sulla linea politica israeliana e sulla particolare intolleranza nei confronti dei musulmani e dei cristiani. È stata avanzata una richiesta di maggiore impegno da parte dell'Italia a sostegno del diritto all'autodeterminazione del popolo palestinese.
Di particolare interesse è stato quindi l'incontro della delegazione con l'onorevole Abu Amro, eletto nella circoscrizione di Gaza e indipendente rispetto alle formazioni di Fatah e Hamas, che ha sottolineato come la situazione di Gaza possa essere risolta solo con il successo del processo di riconciliazione intrapalestinese. Se tale processo avverrà secondo le richieste della comunità internazionale - riconoscimento di Israele in primis - allora l'embargo potrà definitivamente cadere. Richiamando il fallimento del governo di cui era ministro degli esteri nel 2007, ha fatto presente che Israele potrebbe non avere troppo interesse al successo del processo di riconciliazione, ritenuto dal ministro Liebermann contrario al negoziato. La riconciliazione non è contro Israele, è un'esigenza del popolo palestinese e il governo tecnico che sarà istituito per i prossimi sei mesi rispetterà gli accordi e gli standard internazionali, non avendo esponenti di Hamas al suo interno e cercando l'interlocutore nel governo israeliano, non nei movimenti estremi presenti

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in Israele. Per Amro la soluzione strategica a Gaza passa attraverso tre punti pragmatici a forte valenza umanitaria e su cui anche Tony Blair, in qualità di inviato speciale del Quartetto, sta lavorando: il rifornimento idrico (grazie al nuovo accordo per la realizzazione di un impianto di desalinizzazione); quello elettrico (considerato che al momento l'elettricità è garantita per sei ore la giorno); infine, la gestione delle acque reflue. A suo avviso, risolti questi problemi essenziali, la questione politica diventerà meno acuta. Certo, occorre che gli insediamenti israeliani si fermino per lasciare territorio da destinare al rientro dei rifugiati palestinesi. Quanto allo status di Gerusalemme, sarebbe necessario pervenire ad un'amministrazione speciale, magari affidata alla comunità internazionale, che la dichiari città a aperta a tutte le religioni. Occorre in generale ricostruire le basi della fiducia, ottenere da Israele l'accettazione della proposta sui confini del 1967 e indurre i palestinesi a non commettere gli errori del passato.
La missione si è quindi avviata verso la conclusione con l'incontro con Nabil Shaat, esponente di punta di Fatah, ex ministro degli esteri nel 2003 e protagonista nel negoziato di pace, che si è soffermato soprattutto sui possibili sviluppi della primavera araba. Nell'analizzare le forze che animano questo complesso processo (movimenti giovanili di ispirazione socialista-democratica e liberale, forze armate e partiti islamisti), Shaat ha sottolineato il valore aggiunto derivante da un buon livello di organizzazione e di finanziamento, che sarebbe il fattore alla base dell'attuale successo dei Fratelli Musulmani. A suo avviso un successo elettorale di Fatah potrebbe indurre i Fratelli musulmani e gli altri movimenti islamisti a cercare accordi con le nuove formazioni secolari. In questo quadro l'Unione europea rappresenta il migliore alleato, considerato che la primavera araba non si è estesa all'area del Golfo persico. Shaat ha quindi proposto il raggiungimento di un accordo euroarabo sul petrolio, da cui potrebbe derivare maggiore sicurezza per l'area del golfo, maggiori finanziamenti ai partiti dei giovani arabi laici e prosperità.
Si sono infine svolti incontri con il Segretario Generale della Presidenza ANP, Tayyeb Abdel Rahim, e un incontro informale con Nemer Ammad, oggi consigliere politico di Abu Mazen e a lungo rappresentante dell'ANP in Italia, in cui è stato nuovamente tratteggiato il complessivo quadro politico e in cui è emersa la priorità di fare del caso palestinese un modello di democratizzazione laica da valorizzare nel contesto regionale, segnato dall'assenza di partiti secolari e ben organizzati al di fuori di Fatah.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-06281 Menia: Sul trattamento economico del personale a contratto presso la rete estera.

TESTO DELLA RISPOSTA

Ringrazio gli onorevoli interroganti per offrirmi la possibilità di fornire un chiarimento su una materia, quella relativa alle retribuzioni del personale a contratto nelle nostre Sedi diplomatico-consolari, alla quale il Ministero degli esteri presta naturalmente la massima attenzione.
Come noto, la determinazione del trattamento economico del personale a contratto è regolata dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 (il Decreto che regola l'ordinamento dell'Amministrazione degli affari esteri). Tale norma dispone che le retribuzioni di questa categoria di personale sia suscettibile di revisione unicamente m relazione a variazioni di una serie di parametri di riferimento che sono elencati nello stesso articolo 157: le condizioni del mercato del lavoro locale, il costo della vita e, principalmente, le retribuzioni corrisposte nella stessa Sede da rappresentanze diplomatiche, uffici consolari, istituzioni culturali di altri Paesi, in primo luogo di quelli dell'Unione europea, nonché dai organizzazioni internazionali.
Nel settembre 2010, in sede di valutazione degli adeguamenti retributivi programmati dall'Amministrazione degli esteri sulla base di una valutazione dei parametri di legge, l'Ufficio centrale del bilancio evocava la possibilità che il trattamento economico del personale a contratto rientrasse nel blocco triennale delle retribuzioni disposto, per i dipendenti pubblici, dall'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 (la «manovra» che il Governo ha adottato maggio del 2010) ed invitava il Ministero degli esteri ad acquisire in proposito un formale chiarimento dagli organi competenti.
A seguito di tale richiesta di chiarimenti, il 12 ottobre 2011 il Consiglio di Stato si è quindi espresso stabilendo l'esclusione della categoria del personale a contratto dal blocco retributivo previsto dall'articolo 9 del decreto legislativo n. 78 del 2010 virtù della specialità della normativa applicata all'Amministrazione degli esteri.
Solo una volta ottenuto tale necessario chiarimento, è stato possibile riprendere in esame le richieste di adeguamento nel frattempo pervenute, alcune delle quali hanno richiesto approfondimenti da parte delle Sedi proponenti. Al termine della verifica, nel corso delle prossime settimane, verranno disposte le misure ritenute prioritarie, tenuto conto del quadro normativo di riferimento e compatibilmente con gli stringenti vincoli di finanza pubblica, che, come noto, hanno duramente colpito anche il Ministero degli esteri.
L'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica 18 dispone altresì che la retribuzione sia «di norma fissata e corrisposta in valuta locale, salva la possibilità di ricorrere ad altra valuta in presenza di particolari motivi».
In seguito all'introduzione dell'euro, ravvisando l'opportunità di modificare la valuta di pagamento come già avvenuto per il personale di ruolo dell'Amministrazione, con decreto interministeriale del 31 dicembre 2002 il Ministero degli affari esteri ed il Ministero dell'economia e delle finanze hanno stabilito che a decorrere

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dal 1o gennaio 2003 la retribuzione del personale a contratto fosse determinata e corrisposta in euro, limitatamente ai casi di rinnovo contrattuale o di nuova assunzione. Al personale già in servizio alla data della modifica è stata quindi data la possibilità di optare per l'euro o mantenere la valuta locale, e molti degli interessati hanno scelto l'euro.
Nel corso del 2011, nelle more della sospensione degli adeguamenti retributivi per il personale a contratto, alcune Sedi hanno inoltre evidenziato una perdita di potere d'acquisto delle retribuzioni determinate in euro a fronte di un sensibile apprezzamento della valuta locale, e chiesto una modifica della valuta di determinazione della retribuzione del personale a contratto che reintroducesse la valuta locale.
Sul punto, l'Avvocatura generale dello Stato ha peraltro chiarito nel novembre scorso, che tali modifiche potranno aver luogo solo sulla base di una previa modifica del decreto interministeriale del 2002 che ammetta espressamente questa possibilità.
L'Amministrazione degli esteri ha pertanto elaborato un progetto di modifica che è ora all'esame della Ragioneria generale dello Stato, la quale ha assicurato il proprio interessamento per una tempestiva e soddisfacente conclusione dell'esercizio.
In merito infine alle criticità di personale presso la Cancelleria Consolare dell'Ambasciata a Berna segnalate dagli onorevoli interroganti, le relative procedure di assunzione sono state autorizzate già all'inizio del mese di gennaio per tre dei quattro dipendenti che hanno cessato le loro funzioni e quasi contestualmente per la quarta impiegata dimissionaria. L'Ambasciata sta quindi dando corso alle relative procedute per conseguire in tempi rapidi la loro sostituzione.