CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 8 febbraio 2011
435.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza
ALLEGATO
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ALLEGATO

Indagine conoscitiva su aspetti dell'attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. Premesse.

La Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza ha deliberato il 5 ottobre 2010 un'indagine conoscitiva volta ad approfondire alcuni aspetti dell'attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza, svolgendo un ciclo di audizioni molto serrato che si è concluso il successivo 28 ottobre.
All'origine di tale determinazione vi era l'interesse della Commissione ad acquisire dati e informazioni, nonché le specifiche valutazioni dei principali soggetti - non solo istituzionali - operanti nel settore dell'assistenza ai minori, sul tema dell'attuazione data alle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, anche in vista dell'esame che nel mese di novembre Commissione era chiamata a svolgere del III Piano biennale nazionale di azioni e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, ai fini dell'espressione del parere prescritto ai sensi dell'articolo 1, comma del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103.
Ai sensi del citato Regolamento 14 maggio 2007, n. 103, recante riordino dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e del Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza, il Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva è predisposto ogni due anni dal predetto Osservatorio ed è successivamente adottato dal Governo - su proposta del Ministro della solidarietà sociale e del Ministro delle politiche della famiglia -, sentita la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza (articolo 1, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103).
Ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103, il Piano ha l'obiettivo di conferire priorità ai programmi riferiti ai minori e di rafforzare la cooperazione per lo sviluppo dell'infanzia nel mondo; esso è articolato in interventi a favore dei soggetti in età evolutiva quale strumento di applicazione e di implementazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989 e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176. Il Piano individua altresì le modalità di finanziamento degli interventi da esso previsti, nonché le forme di potenziamento e di coordinamento delle azioni svolte dalle pubbliche amministrazioni dalle Regioni e dagli enti locali.
Da tale quadro emerge con chiarezza che l'intento principale - sia pure non esclusivo - perseguito dalla Commissione con la deliberazione dell'indagine conoscitiva in titolo era essenzialmente quello di ricostruire il quadro completo di competenze e il concreto stato di attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza, che potesse anzitutto rendere conto della complessità e della eterogeneità degli interventi ad oggi attuati a favore dei minori, allo scopo di procedere ad una valutazione quanto più corretta possibile del quadro di interventi previsti per il biennio 2011-1013 dal Piano di azione all'esame della stessa Commissione.
La determinazione e soprattutto l'attuazione delle politiche a favore dei minori

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investono infatti via primaria il complesso riparto di competenze fra Governo centrale e Regioni ed locali, come definito dalla riforma dell'articolo 117 della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, 3, recante «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione». Su questo snodo centrale si innestano tuttavia gli interventi degli altri attori, - non solo istituzionali - a vario titolo partecipi o coinvolti nell'attuazione delle politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza. Si tratta di soggetti, che costituiscono, per la Commissione parlamentare, interlocutori immediatamente successivi rispetto al trinomio Governo-Regioni-enti locali, ma non per questo meno importanti nella valutazione degli interventi e delle azioni da porre in essere a favore dei minori.
In considerazione di quanto premesso, l'indagine conoscitiva deliberata dalla Commissione ha consentito l'approfondimento di alcuni aspetti critici del complesso delle politiche a favore dei minori, rientranti nel più ampio quadro delle azioni e degli interventi delineati dal III Piano biennale nazionale per la tutela dei diritti e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva. Tali approfondimenti sono il risultato delle audizioni svolte e di un'ampia raccolta di documentazione pervenuta da una serie di soggetti istituzionali e associativi, individuati per aree tematiche dalla Commissione stessa. Tali aree sono:
Ambito istituzionale (a livello regionale e locale): Conferenza delle Regioni e delle Province autonome; Unione delle Province italiane (UPI); Associazione Nazionale dei Comuni italiani (ANCI);
Area sanitaria/sociale (pediatri, psicologi, neuropsichiatri infantili, assistenti sociali): Consiglio Nazionale dell'Ordine degli assistenti sociali (CNOAS); Consiglio Nazionale dell'Ordine degli psicologi; Federazione italiana dei medici pediatri (FIMP);
Area della giustizia minorile (magistrati minorili e avvocati): Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e per la famiglia (AIMMF); Camera Minorile Nazionale; Unione Nazionale Camere Minorili;
Terzo settore e mondo associativo (organismi di rappresentanza unitaria del settore, organizzazioni più rappresentative; coordinamenti, di associazioni; altri enti): Save the children - Italia; Unicef; Caritas Italiana; Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (CNCA) - Batti il Cinque; Gruppo di lavoro per la convenzione sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza (Gruppo CRC); Pidida - Coordinamento per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza; Coordinamento italiano dei servizi contro il maltrattamento e l'abuso all'infanzia (CISMAI); Comunità Papa Giovanni XXIII; Associazione nazionale famiglie numerose; Amici dei bambini (AiBi); Associazione Guide e Scouts cattolici italiani (AGESCI); Arciragazzi; Forum delle Associazioni familiari; Associazione famiglie per l'accoglienza.

La maggior parte dei soggetti auditi o di quelli che hanno in alternativa provveduto ad inviare proprie note di documentazione hanno concentrato le proprie osservazioni con esplicito e puntuale richiamo ai contenuti del Piano nazionale di azione e di interventi, da considerare perciò il modello di riferimento per le valutazioni di correttezza e appropriatezza delle misure prese in esame da ciascuno dei soggetti interpellati dalla Commissione.

2. Una cornice culturale per le politiche dell'infanzia.

I soggetti auditi dalla Commissione hanno delineato una impostazione sostanzialmente comune delle politiche per l'infanzia e l'adolescenza, partendo dalla constatazione di un approccio culturale condiviso, ispirato ad una moderna concezione delle politiche per i minori.
Secondo questo approccio, i diritti dei bambini sono considerati diritti inalienabili della persona: come tali essi non devono ispirarsi ad mia cultura cosiddetta del «dono» (sia pure apprezzabile per le

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sue radici storico-culturali), che concepisce tali diritti in termini di concessione o come funzionali all'erogazione di una prestazione sociale. I diritti del bambino devono invece essere intesi come attributi necessari inerenti alla condizione del minore, nel riconoscimento del principio cardine della centralità della persona umana, A ciò si aggiunge che il minore in particolare è da considerare soggetto in età evolutiva e in quanto tale meritevole di una tutela personalizzata, titolare di diritti speciali, poiché correlati alla sua delicata condizione di soggetto in via di sviluppo.
In secondo luogo, occorre considerare parte fondante di un moderno approccio alle politiche per l'infanzia una impostazione orientata alla prevenzione del disagio e alla promozione di opportunità, piuttosto che alla riparazione e all'emergenza. Anche un approccio di tipo assistenzialistico in termini di erogazione di prestazioni sociali appare contrario alla logica di un reale welfare delle opportunità. Le politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza devono infetti anzitutto orientarsi alla costruzione di un sistema di sussidiarietà» fondato su un reale sostegno alla genitorialità.
Una efficace politica dell'infanzia e dell'adolescenza deve avere come fulcro l'ottimizzazione del principio di sussidiarietà sia orizzontale che verticale, per il raggiungimento dei massimo risultato possibile utilizzando il livello di intervento più vicino al cittadino, Nel quadro nelle politiche sociali in genere e di quelle a favore dei minori in particolare, appare essenziale e prezioso il ruolo del terzo settore e delle associazioni familiari, che, affondando le proprie radici in un sostrato culturale consolidato nel nostro Paese, costituiscono un anello fondamentale nella concezione di rete integrata dei servizi a favore dei minori, introdotta dalla legge 8 novembre 2000, n. 328 («Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»).
Sotto questo profilo, appare chiaro perciò che trasversalità e integrazione rappresentano principi cardine nell'attuazione delle politiche per i minori, soprattutto in quei settori di intervento che richiedono la messa in atto di azioni preventive, piuttosto che riparative, come nel caso delle politiche di contrasto e prevenzione dell'abuso sui minori.
L'indagine della Commissione, per il tramite dei contributi forniti dagli interlocutori auditi, ha quindi anzitutto svolto la funzione di enucleare e portare alla luce alcuni principi guida da porre alla base di una moderna concezione delle politiche per l'infanzia e per l'adolescenza, nonché alcuni temi prioritari cui dare attuazione. Sono emersi contestualmente gli aspetti più critici delle attuali politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza, che si sono tradotti in altrettanti spunti di possibile riforma ed intervento, spunti che la Commissione sarà chiamata ad evidenziare e su cui è tenuta, per proprio compito istituzionale, a richiamare l'attenzione dell'intero Parlamento del Governo.

3. Coordinamento delle politiche a livello centrale, regionale ed integrato.

I soggetti auditi dalla Commissione hanno concordemente indicato come una delle difficoltà per l'attuazione di una efficace politica per i minori nel nostro ordinamento la presenza di una molteplicità di soggetti dotati di competenze distinte ma frammentate in materia di infanzia e adolescenza.
In particolare, in tema di competenze istituzionali, il decreto-legge 16 maggio 2008, n, 85, recante «Disposizioni urgenti per l'adeguamento delle strutture di Governo in applicazione dell'articolo 1, commi 376 e 377, della legge 24 dicembre 2007, n. 244», convertito dalla legge 14 luglio 2008, n. 121, ha confermato l'attribuzione al Presidente del Consiglio dei ministri delle funzioni di indirizzo e coordinamento in materia di politiche per la famiglia, con la gestione delle relative risorse - funzioni svolte dal Dipartimento per le politiche della famiglia - e che riguardano anche l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Sono, inoltre, affidate alla Presidenza del Consiglio dei ministri, presso il Dipartimento per le politiche

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della famiglia, in coordinamento con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, le funzioni di competenza del Governo riguardanti l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza e quelle concernenti il Centro nazionale di documentazione e di analisi per l'infanzia e l'adolescenza, in particolare per la predisposizione del Piano d'azione nazionale per l'infanzia.
La Presidenza del Consiglio, attraverso il dipartimento per le pari opportunità in cui opera l'Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile, svolge le funzioni inerenti all'acquisizione e all'organizzazione di informazioni, anche attraverso banche dati, nonché quelle relative alla promozione di iniziative conseguenti, in ordine alle materie della prevenzione, assistenza e tutela dei minori dallo sfruttamento e dall'abuso sessuale dei minori. L'Osservatorio predispone il Piano nazionale di prevenzione e contrasto dell'abuso e dello sfruttamento sessuale dei minori, che sottopone all'approvazione del Comitato interministeriale di coordinamento per la lotta alla pedofilia (CICLOPE).
Per quanto riguarda le funzioni in tema di minori, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali monitora gli interventi ed i progetti sperimentali finanziati previsti dalla legge 28 agosto 1997, n. 285, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», e ne predispone la Relazione annuale al Parlamento. Il citato Ministero monitora, inoltre, in collaborazione con il suddetto Centro Nazionale di documentazione ed in coordinamento con il Ministero della Giustizia e le regioni, lo stato di attuazione della legge 28 marzo 2001, n. 149, («Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n, 184, recante "Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori", nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile»), rivolta agli interventi in favore dei minori fuori famiglia.
Va infine ricordato che a seguito del riordino di competenze operato dal citato decreto-legge n. 85 del 2008, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 maggio 2008 sono state conferite al Ministro delle politiche per i giovani, funzioni e compiti, ivi compresi quelli di indirizzo e di coordinamento di tutte le iniziative, anche normative, nelle materie concernenti le politiche giovanili.
Tale frammentazione di tipo ordinamentale-istituzionale rileva sia a livello centrale - dove si assiste ad una proliferazione di istanze in ambito governativo e parlamentare che presidiano in misura diversa la legislazione e gli interventi di politiche sociali a favore dei minori -, sia a livello regionale e locale, laddove la frammentazione si percepisce soprattutto nell'assenza di un coordinamento efficace e istituzionalizzato con il livello centrale di direzione o - più spesso - nell'assenza o nell'inefficacia degli strumenti di compartecipazione alle medesime politiche.
In questo quadro, la Commissione ha riscontrato l'opportunità di pervenire ad esempio ad un incisivo intervento di armonizzazione che permetta di integrare il Piano nazionale infanzia con i piani regionali nella stessa materia, attraverso un effettivo processo di coordinamento in sede di Conferenza Stato-regioni, che risulta allo stato attuale ancora piuttosto carente.
Sarebbe inoltre auspicabile una legge interpretativa dell'attuale normativa italiana in materia di infanzia e adolescenza, che operi un raccordo tra le citate leggi n. 285 del 1997, n. 451 del 1997 («Istituzione della Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza e dell'Osservatorio nazionale per l'infanzia»), n. 328 del 2000 e la legge costituzionale n. 3 del 2001, in modo da garantire la perfetta integrazione tra gli strumenti normativi esistenti stabiliti dalla legislazione nazionale (Piano nazionale per l'infanzia, Fondo Sociale Nazionale Indistinto, Fondo Nazionale Infanzia limitato alle città riservatarie) e da quella regionale (potestà legislativa esclusiva nelle materie in oggetto, definizione dei piani di zona previsti dalla legge 328 del 2000) al fine di rendere il Piano nazionale per l'infanzia uno strumento incisivo, atto a garantire un'azione sinergica tra lo Stato centrale gli enti

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territoriali e tutti gli altri attori coinvolti a diverso titolo nella promozione ed attuazione dei diritti dei minorenni (osservazioni del Coordinamento PIDIDA).
Sul piano squisitamente pratico della raccolta di dati e informazioni finalizzata al monitoraggio della condizione minorile, lo strumento del Piano nazionale per l'infanzia e l'adolescenza dovrebbe contenere un impegno concreto per colmare la carenza di un sistema di raccolta dati centrato sui minori, che siano effettivamente rappresentativi e uniformi fra le varie regioni, in modo da essere comparabili e aggiornati puntualmente (osservazioni del Gruppo CRC).
Su questo tema, le audizioni svolte dalla Commissione hanno posto in luce anzitutto la necessità di procedere ad un mainstreaming dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza in tutti i settori previsti nell'attività di Governo. In alcuni casi si è auspicato l'unificazione delle competenze in capo ad un unico soggetto (quale potrebbe essere un ministro ad hoc); in altri casi, si è proposto il potenziamento o l'ampliamento delle funzioni di organi esistenti (quale ad esempio l'Osservatorio nazionale per l'infanzia e l'adolescenza).
Anche nell'ambito delle indagini conoscitive che sono ancora in corso di svolgimento la Commissione parlamentare stessa, per la verità, ha sollevato ripetutamente la questione dell'eccesso di frammentazione esistente nel quadro delle competenze in materia di infanzia e adolescenza, rilevando numerose duplicazioni e dannose sovrapposizioni fra soggetti e istanze diverse, con vistosi sprechi di risorse umane e materiali.

4. Rafforzare la tutela dei diritti.

Nel corso dell'attività di indagine, la Commissione ha raccolto le sollecitazioni di quanti chiedono da più parti di rafforzare la tutela dei diritti dei minori partendo anzitutto dalla redazione di un testo unico di norme per la tutela dell'infanzia e dell'adolescenza, attraverso la formulazione di uno statuto dei diritti dei minori sulla base del diritto convenzionale e delle indicazioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, che ponga al suo centro il diritto della persona minore di età alle migliori condizioni possibili di sviluppo psicofisico.
L'indagine svolta ha posto in luce infatti alcune carenze del sistema di tutela complessivo dei minori, che suggeriscono la necessità di pervenire ad un nuovo assetto dei diritti della persona minore di età e delle relazioni familiari, in un disegno unitario e coerente con l'impostazione costituzionale, europea e convenzionale di centralità della persona umana, che non appare allo stato attuale adeguatamente riflessa nel quadro normativo esistente.
In particolare, la Commissione ha riscontrato la carenza del sistema italiano di accolta dati in relazione a gruppi di minori particolarmente vulnerabili e nonostante in alcuni casi vi sia un'espressa previsione di legge, come ad esempio per quanto riguarda l'istituzione e l'aggiornamento di banche dati mai attivate (cfr. legge n. 149 del 2001 per la banca dati dei minori dichiarati adottabili). Tale lacuna del nostro sistema - a giudizio di quanti intervenuti sul tema - non permette di stimare l'incidenza dei fenomeni e costituisce un impedimento per la programmazione e realizzazione di politiche ed interventi idonei e qualificati.
In particolare poi, specifici interventi sarebbero da prevedere per quanto concerne la disciplina dei cosiddetti diritti politici dei minori nell'ambito della famiglia e delle formazioni sociali al fine di garantire la partecipazione e la disciplina del loro diritto all'ascolto. Quest'ultimo in particolare si connette strettamente al diritto del minore ad essere informato sulle motivazioni di ogni decisione assunta nel suo interesse, cui si aggiunge il diritto a ricevere tutte le informazioni necessarie alla formazione di un'opinione libera e consapevole, in una concezione del bambino come individuo da «convincere» e non da «vincere».

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5. Le risorse per le politiche a favore dei minori.
La Commissione ha potuto verificare direttamente dalle molte audizioni svolte nell'ambito dell'indagine che la questione centrale nella programmazione di efficaci politiche per i minori, consiste nell'individuazione e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche. Al contrario, invece, il succedersi di diverse leggi in questa materia, ha posto in luce un processo di progressiva erosione delle risorse destinate a finanziare le politiche per l'infanzia e l'adolescenza.
In particolare, la legge n. 285 del 1997, recante «Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza», ha istituito il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, successivamente inglobato al 70 per cento da un unico Fondo Nazionale per le politiche sociali, introdotto dalla legge n. 328/2000, «Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali»: è stato così creato un unico fondo indistinto senza vincoli di spesa, demandando alle Regioni la programmazione e la pianificazione nell'ambito della loro esclusiva competenza ed individuando nei Liveas (Livelli essenziali di assistenza) la base comune delle prestazioni sociali per tutto il territorio nazionale. Poiché la determinazione del Fondo per le politiche sociali era demandato alla legge finanziaria (che almeno fino al 2008 aveva carattere annuale), la caratteristica della triennalità stabilita dalla legge n. 285 del 1997 per il finanziamento del Fondo nazionale per l'infanzia veniva meno. Il 30 per cento del restante Fondo restava invece attribuito alle 15 città riservatarie, designate tra quelle che presentano maggiori e/o più problematiche per l'infanzia. Dal 2008 peraltro, separandolo dal Fondo per le politiche sociali, è stato ricostituito il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza ripartito tra 15 città riservatarie, come identificate dalla legge.
La complessa evoluzione nel corso del tempo dei finanziamenti destinati alle politiche sociali per l'infanzia e l'adolescenza ha determinato alcuni significativi mutamenti nell'attuazione di queste politiche. Se la mancata definizione dei livelli essenziali di assistenza da parte dello Stato con il concorso delle Regioni, ha determinato una prolungata lacuna normativa in questo campo, l'annualità dei fondi via via destinati alle politiche per l'infanzia ne ha accorciato significativamente le prospettive di programmazione ed attuazione. Lo stesso superamento della legge n. 285 del 1997 e del relativo Fondo nazionale per l'infanzia ha determinato l'assenza, ad eccezione delle città cosiddette riservatarie, di fondi vincolati per la realizzazione di progetti a favore dell'infanzia e dell'adolescenza ed ha creato, di fatto, una sostanziale disparità fra i risultati conseguiti dalle 15 città riservatarie e il restante territorio nazionale.
Su questo punto specifico della definizione delle risorse è intervenuto nel 2003 il Comitato ONU, il quale ha espresso la sua preoccupazione per il fatto che l'Italia non avrebbe pienamente attuato l'articolo 4 della Convenzione di New York (ai sensi del quale gli Stati Parti si impegnano ad adottare tutti i provvedimenti necessari all'attuazione dei diritti economici, sociali e culturali riconosciuti ai minori) e, in particolare, per il fatto che le politiche dei Governi che si sono succeduti negli ultimi anni non abbiano previsto stanziamenti per l'infanzia e l'adolescenza al massimo livello consentito dalle risorse disponibili.
A proposito specificamente del Piano nazionale di azione e di interventi per la tutela e lo sviluppo dei soggetti in età evolutiva, occorre poi sottolineare che, ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 103, il Piano, in quanto strumento di applicazione e di implementazione della Convenzione sui diritti del fanciullo, conferisce «priorità ai programmi riferiti ai minori, ed individua le modalità di finanziamento degli interventi in esso previsti». In tal senso, le modalità di finanziamento delle politiche per i minori individuate dal Piano sono considerate anche dal legislatore statale come condizione per rendere

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operativa e credibile la programmazione contenuta nel Piano stesso. In questo quadro, la mancata individuazione, all'interno del Piano, delle risorse da destinare all'attuazione delle politiche programmate, conferisce al documento un profilo meramente «virtuale» (osservazioni della Conferenza delle Regioni).
Sotto il medesimo profilo dell'individuazione e dello stanziamento delle risorse a favore di infanzia e adolescenza, il Comitato ONU ha raccomandato all'Italia altresì di introdurre un sistema di monitoraggio che consenta di analizzare annualmente la quota di risorse che l'Italia destina complessivamente e, per settore, all'infanzia e all'adolescenza, tenendo presente le risorse stanziate dai diverbi Ministeri competenti, dalle Regioni e dagli enti locali. Lo stesso Comitato ha anche raccomandato all'Italia di incrementare nei prossimi bilanci annuali le risorse destinate ai fondi nazionali che finanziano i servizi dell'infanzia e dell'adolescenza. È noto peraltro che tale sistema di monitoraggio, che tarda a nascere, sarebbe invece il primo strumento di valutazione e programmazione delle politiche per infanzia e adolescenza.
Resta il fatto inoppugnabile che il Fondo Nazionale per le politiche sociali, dentro cui è confluito al 70 per cento il Fondo nazionale per l'infanzia e l'adolescenza, è attualmente sceso a 75 milioni di euro e sarà rifinanziato di 200 milioni solo a partire dal 2011. Oltre a ciò, occorre considerare che mentre il primo Piano infanzia relativo agli anni 2000-2002 poteva contare su risorse dedicate e il secondo, per gli anni 2002-2004, sebbene non prevedesse un finanziamento specifico, poteva comunque attingere al Fondo sociale indistinto (che nel 2005 ammontava ad 1 miliardo di euro), il terzo Piano di fatto non può contare su alcun finanziamento adeguato.

6. Federalismo e rispetto del principio di non discriminazione.

Regioni e Province autonome hanno acquisito, dalla fine degli anni Novanta, un ruolo determinate nell'ambito delle politiche sociali - e in particolare di quelle a favore dei minori - grazie all'introduzione di alcune importanti leggi nazionali di riferimento (a partire dalla legge n. 285 del 1997).
Anche la riforma del titolo V della Costituzione, introdotta dalla legge costituzionale n. 3 del 2001, ha attribuito competenza legislativa esclusiva alle Regioni in materia di politiche sociali. Ciò ha comportato un progressivo e sostanziale decentramento di tali politiche, che in tal modo appaiono più vicine e corrispondenti alle problematiche che emergono dai vari territori italiani, molto diversi tra loro.
Il mutamento della prospettiva istituzionale conseguito alla riforma del Titolo V della Costituzione va tuttavia attentamente considerato: in seguito ad esso infatti le politiche sociali - nel cui ambito rientrano le politiche per l'infanzia - sono attribuite alla competenza esclusiva delle Regioni (ai sensi dell'articolo 117, quarto comma, della Costituzione).
Occorre infatti ricordare che le politiche sociali in favore della famiglia - riconducibili all'assistenza sociale - fanno parte di un settore in cui concorrono, per competenze e risorse, lo Stato, le Regioni e gli enti locali. In particolare, comuni e province dispongono di tradizionali competenze amministrative in materia di asili, cura del disagio sociale, assistenza ai minori ed altro; alle Regioni, con la scomparsa della «beneficenza pubblica» e dell'assistenza scolastica dall'articolo 117 della Costituzione, è attribuita tutta l'assistenza nell'ambito della competenza residuale esclusiva, di cui al quarto comma dello stesso articolo 117; lo Stato infine dovrebbe concorrere al quadro di queste politiche attraverso la definizione dei «livelli essenziali delle prestazioni» (articolo 117, secondo comma, della Costituzione), che però ad oggi non sono mai stati fissati con riferimento alle prestazioni sociali.
I settori principali di intervento delle politiche regionali in favore della famiglia riguardano a vario titolo i servizi socio-educativi, le misure a sostegno della natalità, la tutela della maternità e della

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paternità, le politiche abitative, insieme al coordinamento dei servizi tradizionali come asili nido e consultori, ad interventi finanziari e/o agevolazioni tariffarie, nonché alle politiche scolastiche e alle politiche della conciliazione.
Con queste premesse, occorre tuttavia notare che solo lo Stato fino ad oggi è stato in grado di destinare risorse significative al settore delle politiche sociali, dal momento che regioni ed enti locali hanno bilanci scarsamente flessibili e non sono in grado di ricorrere alla leva fiscale per finanziare le loro politiche in favore della famiglia.
Non si può infine sottovalutare il fatto che il quadro delle politiche sociali e assistenziali, su cui lo Stato non ha competenza legislativa e/o amministrativa, risulterà sensibilmente modificato dalla realizzazione del federalismo fiscale, di cui alla legge 5 maggio 2009, n. 42, compiuto il quale lo Stato sarà in grado di agire sulle politiche assistenziali - quelle per le quali non ha competenza esclusiva o concorrente - soltanto attraverso la definizione e il finanziamento dei «livelli essenziali di assistenza» (cosiddetti Liveas), non più attraverso leggi di settore e finanziamenti a destinazione vincolata.
Si prefigura dunque ancora una volta la necessità di definire i «livelli essenziali delle prestazioni» di cui al secondo comma, lettera m), dell'articolo 117 della Costituzione, anche nel settore dell'assistenza sociale e di prefigurare così il loro finanziamento secondo il principio del fabbisogno standard e la relativa perequazione delle capacità fiscali.
Il percorso che dalla legge n. 285 del 1997 conduce, attraverso la legge n.328 del 2000, alla riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale n. 1 del 2003) e all'attuazione del federalismo fiscale legge n. 142 del 2009) segna il tracciato delle politiche a favore dei minori così come si sono evolute negli ultimi anni, nel quadro materiale delle risorse individuate e reperite a livello centrale, ma soprattutto locale.
Su questo tema risultano particolarmente illuminanti le osservazioni rese dalla Conferenza della Regioni sul Piano di azione, che recitano: «non essendo ancora fissati i Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali e socio-educative, il Piano, non è rispettoso delle competenze attribuite ai diversi livelli di Governo dall'attuale quadro costituzionale e dalle recenti norme in materia di federalismo fiscale; pertanto l'attuazione dello stesso dovrà essere ampiamente condivisa con le Regioni cui spettano indirizzi e programmi per il territorio di afferenza».
Sembra pertanto ovvio, come evidenziano non solo le Regioni ma anche tutti gli altri soggetti auditi, che senza la preventiva definizione dei livelli essenziali di assistenza per l'infanzia all'interno delle politiche sociali, attraverso lo specifico accordo con la Conferenza Unificata e in armonia con le norme del federalismo (legge n. 42 del 2009 e successivi decreti anche in corso di emanazione), il Piano nazionale per l'infanzia è destinato ad essere un documento di intenti, mentre ogni seria credibile programmazione ed attuazione di politiche a favore dell'infanzia e dell'adolescenza resta puramente «virtuale».
In particolare, il processo di decentramento dallo Stato centrale alle Regioni preoccupa per i suoi effetti sulla parità di accesso, godimento e tutela dei diritti e delle opportunità per tutti i bambini e le bambine, indipendentemente dalla regione in cui vivono. La responsabilità diretta di adempiere agli obblighi derivanti dalla Convenzione di New York è propria del governo di uno Stato partner, e, come evidenziato dal Comitato ONU nel Commento Generale n.5; decentramento del potere, attraverso la devoluzione e la delega del Governo, non riduce in alcun modo la responsabilità diretta del Governo dello Stato Parte di adempiere ai propri obblighi verso tutti i bambini entro la propria giurisdizione, indipendentemente dalla struttura dello Stato».
In questo quadro si inserisce la già menzionata questione della definizione dei cosiddetti Liveas, condizione imprescindibile per garantire eguaglianza nell'attuazione dei diritti sociali dei minori nei

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diversi territori del Paese; occorre infatti inserire criteri minimi a garanzia dell'uguaglianza territoriale nei servizi riservati ai minori, procedendo in particolare alla definizione degli standard minimi di tali servizi.
Le audizioni svolte hanno evidenziato in particolare la necessità che tali standard minimi siano fissati con riferimento alle varie tipologie delle strutture di accoglienza per i minori; ad esempio devono essere stabiliti a livello nazionale il numero massimo dei minori che possono essere accolti nelle varie tipologie di strutture e disposto il divieto di affidare i minori di età inferiore a sei anni al di fuori della famiglia (osservazioni dell'AiBi).

7. Riforma del sistema giuridico minorile e delle relazioni familiari.

Una parte specifica delle audizioni svolte dalla Commissione ha riguardato la progettata riforma del sistema giuridico minorile e delle relazioni familiari, una materia di cui tratta diffusamente il Piano di azione per l'infanzia e l'adolescenza.
Con particolare riguardo a questo argomento, la Commissione ha raccolto le valutazioni positive espresse dagli organismi rappresentativi di avvocati e giudici minorili sulla riforma del Tribunale per i minorenni e dei procedimenti civili in materia di persone, famiglia e minori; la riforma del sistema penale minorile; sulla promozione di un ordinamento penitenziario per i minorenni e i giovani adulti; sugli interventi di promozione e tutela a favore dei minori Rom, Sinti e Caminanti.
Tuttavia, gli auditi hanno quasi unanimemente sottolineato la necessità di reintrodurre la previsione di un tribunale della famiglia che veda la presenza necessaria dei giudici onorari esperti di scienze umane. Sarebbe altresì opportuno che lo stesso tribunale della famiglia individui il bacino territoriale di competenza di almeno 400 mila abitanti o con quello di più tribunali ordinari territorialmente contigui, e la presenza decentrata delle attività svolte dal giudice monocratico e dal giudice tutelare, nonché l'istituzione presso ogni Corte d'appello o sezione distaccata di Corte d'appello della sezione specializzata per minorenni e relazioni familiari, composta da magistrati professionali e onorari, specializzati, con uno o più sostituti procuratori generali, specializzati, indicati tabellarmente (osservazioni dell'AINMF).
In particolare, la Commissione ha condiviso l'opportunità di pervenire ad una riforma ordinamentale «che ponga fine alla frammentazione delle competenze fra giudici diversi, rispettando però la caratteristica della giurisdizione per la persona e le relazioni familiari come giurisdizione non contrappositiva, volta anche alla ridefinizione delle relazioni endofamiliari in crisi. La riforma del rito, con un unico rito camerale per i procedimenti relativi alla persona e alle relazioni familiari, nella piena attuazione delle garanzie costituzionali del giusto processo, dovrebbe precedere la riforma ordinamentale garantendo alle partì private, prima fra tutti il minore, la partecipazione piena nell'iter processuale, in una normativa processuale adeguata che assicuri uniformità di trattamento in tutti i distretti» (osservazioni della Camera minorile).
I soggetti auditi in questo ambito hanno sottolineato la preoccupazione comune per il diffondersi di concezioni di omologazione della giurisdizione delle relazioni familiari alla giurisdizione civile tout court: concordando con la previsione di un unico giudice specializzato (tribunale per la persona e le relazioni familiari) competente per le questioni civili relative alla persona e alle relazioni familiari, si è sottolineata contestualmente la necessità che questo giudice conservi un adeguato carattere di prossimità al minore e di specifica formazione.
Altri rilevanti e sensibili spunti di riforma nel campo della giustizia minorile sono stati considerati nel corso dell'indagine della Commissione, quando gli auditi hanno posto l'accento su una adeguata riforma del sistema penale minorile che sia volta all'accentuazione del pieno recupero personale e sociale dell'autore di

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reato e potenziamento degli istituti a ciò finalizzati (messa alla prova, mediazione penale, pene socialmente utili).
Da ultimo, la Commissione ha concordato sulla necessità di pervenire quanto prima ad una riforma del sistema della filiazione che disciplini con modalità uniformi il costituirsi e il permanere dello stato di figli ed elimini anacronistiche discriminazioni tra i figli a seconda della loro condizioni di nascita.

8. Prevenzione dell'abuso e del maltrattamento.

In questo ambito specifico, la Commissione ha potuto constatare, in particolare attraverso l'audizione dei rappresentanti della Conferenza delle Regioni, l'opportunità di strategie contro la violenza all'infanzia che ricomprendano misure trasversali e a tutto campo, da realizzare nei piani regionali sociali, sanitari o socio-sanitari.
Ad esempio, l'attivazione di azioni coordinate di prevenzione della violenza all'infanzia diffusi presso tutti i servizi di base e di primo livello; l'attivazione di centri e di servizi specialistici di secondo livello sia pubblici che del privato sociale; modelli organizzativi e professionali di qualità per le comunità residenziali specializzate nella presa in carico di bambini traumatizzati da esperienze di abuso e maltrattamento; presenza presso ogni pronto soccorso ospedaliero o pediatrico di medici specificamente formati al riconoscimento dei segni di abuso; sistemi di monitoraggio regionale del maltrattamento all'infanzia; percorsi di formazione continua degli operatori (osservazioni del CISMAI).
Si tratta, come si vede, di azioni fortemente integrate, che presuppongono politiche ad ampio raggio, sia pure concentrate sul piano regionale e locale, volte ad orientare i servizi sia di base sia specialistici verso azioni che intervengano prima invece che dopo l'abuso, come anche l'OMS ha più volte auspicato.
Anche in questo caso, dunque, la Commissione ha potato rilevare che una moderna politica sociale per l'infanzia consiste essenzialmente di misure preventive piuttosto che riparativi nella fattispecie dell'abuso all'infanzia e della sua prevenzione questo aspetto viene in rilievo con maggiore evidenza e richiede un approccio radicalmente diverso e integrato fra tutti i livelli di governo.