CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 5 settembre 2011
526.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
ALLEGATO
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ALLEGATO

Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, per l'anno 2011. Doc. LXXXVII-bis, n. 1.
Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011. COM(2010)623 def.
Programma di 18 mesi del Consiglio dell'Unione europea presentato dalle Presidenze polacca, danese e cipriota. 11447/11.

RELAZIONE APPROVATA DALLA COMMISSIONE

La Commissione Politiche dell'Unione europea e, per le parti di rispettiva competenza, le altre Commissioni permanenti e il Comitato per la legislazione, hanno operato un esame approfondito e articolato della Relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'UE per il 2011, del Programma di lavoro della Commissione europea per il 2011 e del Programma del trio di Presidenze polacca, danese e cipriota.
L'esame di tali documenti è stato svolto per la prima volta in modo congiunto nell'ambito di una vera e propria sessione interamente dedicata alla valutazione e al confronto tra le priorità delle Istituzioni europee e quelle del Governo per l'anno in corso, in esito alla quale la Camera potrà definire indirizzi generali per l'azione dell'Italia a livello europeo.
Questa nuova procedura è il frutto della combinazione di modifiche legislative, operate in seguito ad emendamenti approvati dalla nostra Commissione, cui, sempre su sollecitazione della XIV Commissione ha fatto seguito l'intervento della Giunta per il regolamento della Camera.
L'articolo 15 della legge n. 11 del 2005 - integralmente sostituito dalla legge comunitaria per il 2009 ha disposto infatti la presentazione, in luogo di un'unica relazione annuale, di due distinte relazioni:
una relazione programmatica, da presentare entro il 31 dicembre di ogni anno, recante indicazione di obiettivi, priorità e orientamenti che il Governo intende seguire a livello europeo nell'anno successivo;
una relazione di rendiconto, da presentare entro il 31 gennaio di ogni anno, delle attività svolte dal Governo nell'anno precedente con indicazione del seguito dato agli indirizzi del Governo.

La Giunta per il regolamento della Camera, nel parere del 14 luglio 2010, ha quindi disposto che la relazione «programmatica» sia oggetto di esame congiunto con gli strumenti di programmazione legislativa e politica delle Istituzioni europee, secondo la procedura già delineata a questo scopo dalla Giunta per il Regolamento il 9 febbraio 2000; la relazione di rendiconto continuerà invece ad essere esaminata congiuntamente con il disegno di legge comunitaria, secondo il disposto di cui all'articolo 126-ter del Regolamento.
L'introduzione della nuova sessione «programmatica» intende colmare una lacuna manifestatasi con evidenza nelle ultime legislature: l'assenza di un grande ed approfondito dibattito in Parlamento sull'andamento generale del processo di integrazione e sul ruolo che nel suo ambito il nostro Paese può e deve svolgere.
Nella legislatura in corso si è addirittura configurato un paradosso: mentre,

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grazie al ruolo di impulso della XIV Commissione, tutte le iniziative legislative e non legislative dell'UE, sono state oggetto di uno specifico esame da parte delle commissioni competenti, con una crescita esponenziale del numero di atti di indirizzo adottati dalla Camera, sono state rare e frammentarie le occasioni per discutere nel loro complesso delle grandi priorità strategiche e, più in generale, dello stato e delle prospettive dell'Unione.
Per un verso, infatti, l'esame degli strumenti di programmazione politica e legislativa dell'UE, che pur si sarebbe prestato a questo scopo, si è svolto spesso in modo tardivo, senza una costante interlocuzione con il Governo; per altro verso, la vecchia relazione annuale del Governo - anche per il ritardo sistematico nella sua trasmissione e nel suo esame, determinato dall'abbinamento con la legge comunitaria e per la pessima qualità redazionale - si è rivelato di scarsa utilità, contenendo indicazioni scarse ed obsolete sulla posizione e gli orientamenti del Governo.
La nuova sessione europea mira a consentire, attraverso l'esame contestuale ed incrociato dei documenti programmatici del Governo e delle Istituzioni europee da parte di tutti gli organi della Camera, commissioni permanenti e Assemblea, lo sviluppo di un ampio dibattito, esteso anche alle parti sociali, alle categorie produttive e a tutti gli altri soggetti interessati.
Una discussione articolata e approfondita in Parlamento delle priorità politiche dell'UE e di quelle nazionali è infatti uno strumento di estrema utilità non solo per definire gli indirizzi dell'azione del Governo nell'anno di riferimento ma anche per promuovere un dibattito nel Paese sui principali sviluppi dell'UE.
Alla luce della crisi di fiducia che ha caratterizzato il rapporto tra opinione pubblica europea e Unione europea - culminata nell'esito negativo dei referendum sul trattato costituzionale prima e su quello di Lisbona poi - una piena conoscenza e valutazione del quadro complessivo degli obiettivi e delle azioni previste dalle istituzioni rimuoverebbe molti fattori di criticità. Al tempo stesso, le istituzioni stesse acquisirebbero un feedback in merito alla posizione dei parlamenti nazionali e dei cittadini sulle proprie linee di azione e i cittadini stessi comprenderebbero meglio il valore aggiunto che l'Unione europea può assicurare di fronte a problemi globali.
Non a caso la Camera dei deputati ha promosso in più occasioni, in diverse sedi di cooperazione interparlamentare, di rendere «istituzionale» l'esame del programma legislativo della Commissione da parte dei Parlamenti nazionali, anche mediante una discussione simultanea nelle varie assemblee. Tale proposta - che ha ricevuto sinora un'applicazione solo parziale - è stata rilanciata dalla delegazione della XIV Commissione anche in seno alla COSAC, proponendo che le riunioni del primo e del secondo semestre di ogni anno siano concentrate ad una discussione, rispettivamente, della strategia politica annuale e a quello del programma di lavoro della Commissione.
È fondamentale perché la sessione programmatica sia efficace che essa si collochi in una fase precoce del ciclo decisionale dell'UE, in cui non si siano ancora cristallizzate in documenti specifici molte delle scelte regolative della Commissione europea e non si siano definite in modo netto le posizioni negoziali delle altre Istituzioni e degli Stati membri.
In questa fase la possibilità di riportare gli esiti del dibattito parlamentare nazionale nella formazione delle scelte europee è amplificata.
Va purtroppo rilevato che quest'anno l'esame dei documenti programmatici giunge all'attenzione della Camere con forte ritardo, pregiudicando in misura significativa la potenzialità delle innovazioni procedurali introdotte.
La relazione programmatica per il 2011 è stata soltanto trasmessa alle Camere il 19 maggio 2011, quasi cinque mesi dopo la scadenza del termine previsto dal richiamato articolo 15 della legge n. 11 del 2005. Questo ritardo, sia pure indirettamente, giustificato nella premessa della stessa relazione in relazione al non facile lavoro di preparazione richiesto dalla

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prima applicazione della nuova disciplina, ha determinato l'avvio della nuova sessione europea per il 2011 a metà dell'anno in corso, anziché all'inizio, come la natura stessa della sessione richiederebbe, per le ragioni indicate in precedenza.
È stata così significativamente pregiudicata l'utilità dell'esame del programma di lavoro della Commissione, presentato già nello scorso ottobre e oramai in buona misura già attuato. Va quindi ribadita la necessità che le prossime relazioni siano trasmesse nel rigoroso rispetto dei termini previsti dalla legge.
Occorre, pertanto, ribadire l'esigenza che la relazione programmatica del Governo sia trasmessa alle Camere entro il termine del 31 dicembre di ogni anno previsto dalla legge n. 11 del 2005 in modo da consentire l'avvio ad inizio anno della sessione programmatica; ciò anche in considerazione del fatto che il programma di lavoro della Commissione europea è presentato generalmente alla fine di ottobre o all'inizio di novembre.
Alla luce delle considerazioni sopra formulate e dei diversi periodi di riferimento dei documenti programmatici esaminati, la XIV Commissione non ha ritenuto utile operare quest'anno un confronto sistematico tra le specifiche indicazioni contenute in ciascuno di essi.
È stata invece privilegiata l'analisi delle priorità del Governo e delle Istituzioni europee in merito ad alcuni settori o questioni di particolare rilievo per il processo di integrazione e per la partecipazione italiana all'Unione europea.

Struttura e contenuti della relazione
programmatica.

La relazione programmatica, pur essendo nel suo complesso, conforme alle previsioni della legge n. 11 del 2005 e pur costituendo, in linea generale, un progresso rispetto alla vecchia relazione annuale, presenta diversi aspetti critici che ne riducono l'utilità ai fini dell'esame parlamentare.
In senso positivo, va rilevato che il documento indica, per quasi tutte le politiche e per i profili istituzionali e generali del processo d'integrazione europea, sia pure in termini a volte generici gli obiettivi e le azioni dell'UE che il Governo considera prioritari.
Di grande rilevanza è l'indicazione degli strumenti di coordinamento apprestati per assicurare, attraverso il contributo di tutte le amministrazioni interessate, la formazione e la difesa della posizione nazionale su dossier complessi, come la riforma del bilancio dell'Unione europea.
Particolarmente accurata è anche la sezione sulle strategie di comunicazione del Governo per il 2011 in relazione alle attività dell'Unione e alla partecipazione ad essa dell'Italia, che risponde non soltanto al dettato dell'articolo 15 della legge n. 11 del 2005 ma anche agli indirizzi più volte espressi dalla Camera.
In senso negativo va anzitutto sottolineato che la relazione indica soltanto per alcuni settori gli orientamenti del Governo in merito alle specifiche iniziative avviate o preannunciate dalle Istituzioni europee; le sezioni relative ad alcune politiche si risolvono addirittura in una mera elencazione delle attività in corso a livello europeo, senza alcuna valutazione in merito alla loro rilevanza per l'Italia. Nel corso dell'esame presso la XIV Commissione è emerso come in taluni casi tali lacune siano indice dell'assenza nelle amministrazioni interessate di una chiara posizione sulle attività dell'UE.
A questo riguardo va ribadita l'esigenza che il nostro Paese partecipi in modo sistematico ed efficace ai comitati e gruppi di lavoro del Consiglio e, più in generale, alla preparazione e negoziazione delle iniziative legislative e non legislative a livello europeo.
In secondo luogo, le varie sezioni del documento sono redatte secondo un approccio ed un metodo notevolmente differente da settore a settore, che rende non agevole la lettura e l'analisi.
Un terzo e più rilevante problema discende dal fatto che la relazione, sia nel caso in cui indica gli orientamenti del

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Governo relativi alle singole politiche o iniziative, sia in assenza di tali indicazioni, tiene conto solo in modo occasionale degli indirizzi già definiti in relazione a numerose questioni o progetti legislativi dalle Camere.
È il caso della riforma del bilancio e della politica di coesione e della nuova governance economica, su cui la Camera e il Senato hanno definito a più riprese, nelle varie fasi del processo decisionale europeo, indirizzi puntuali. Si tratta di un approccio che non corrisponde a quanto previsto dall'articolo 4-bis della legge 11 del 2005, in base al quale Governo assicura che la posizione rappresentata dall'Italia nelle sedi decisionali dell'Unione europea tenga conto degli indirizzi definiti dalle Camere. Il comma 2 del medesimo articolo pone peraltro in capo al Presidente del Consiglio dei Ministri ovvero al Ministro per le politiche europee l'obbligo di riferire regolarmente alle Camere del seguito dato agli indirizzi parlamentari e di trasmettere una relazione semestrale al riguardo. Tali obblighi non sono stati sinora adempiuti, rischiando di vanificare la crescita esponenziale dell'intervento della Camera e del Senato nella formazione delle politiche europee.
Appare in ogni caso necessario impegnare il Governo affinché la relazione programmatica non costituisca un adempimento rituale e indichi in modo chiaro gli orientamenti del Governo per ciascuna grande politica e per le principali iniziative legislative.
Ciò non soltanto allo scopo di assicurare che la Camera intervenga in una fase precoce del processo decisionale europeo ma anche di assicurare che il Governo, in tutte le sue articolazioni, operi una riflessione coerente sugli obiettivi e gli strumenti della propria azione complessiva a livello europeo.
Il corretto adempimento degli obblighi connessi alla presentazione della relazione programmatica può, in altri termini, risolvere un ulteriore profilo di criticità emerso in merito alla partecipazione dell'Italia all'UE: l'assenza di una cornice strategica per l'intervento nelle varie sedi decisionali europee, in grado di inserire i singoli dossier in una chiara scala di priorità per l'interesse nazionale.
Più in generale, cogliendo anche l'occasione della nomina di un nuovo Ministro per le politiche europee, occorre rafforzare il raccordo tra Camere e Governo affinché l'intervento delle Camere in fase ascendente diventi l'occasione per facilitare una sintesi degli interessi in gioco ai fini della formazione delle posizione nazionale.
Ciò postula anzitutto una sistematica partecipazione di rappresentanti dei ministeri competenti alle sedute degli organi parlamentari e la predisposizione di relazioni tecniche sui progetti delle Istituzioni europee di maggiore rilevanza o oggetto dell'esame parlamentare.

L'impostazione del programma di lavoro della Commissione e del programma del Trio di Presidenze del Consiglio.

Il programma di lavoro della Commissione e il programma del Trio di Presidenze del Consiglio sono redatti secondo un'impostazione ed una tecnica redazionale profondamente differenziate, in ragione della diversa natura e finalità dei due documenti e delle competenze delle Istituzioni da cui provengono.
Ciò premesso, entrambi i documenti recano un'indicazione puntuale e, in alcuni punti, articolata e ben motivata degli obiettivi politici e delle iniziative che si intendono adottare per il rispettivo periodo di riferimento.
I due strumenti programmatici consolidano la scelta - già manifestatasi negli ultimi anni - di un approccio pragmatico ed operativo, evitando, soprattutto nel caso della Commissione, impegni generici e non circostanziati.
Tale impostazione va considerata con estremo favore in quanto amplifica l'utilità dei documenti programmatici ai fini della identificazione precoce - fondamentale per i parlamenti nazionali - delle iniziative e degli orientamenti che ciascuna delle due Istituzioni intende assumere nell'anno o nei diciotto mesi successivi.

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Il programma delle tre Presidenze fornisce anche alcune indicazioni in merito alla linea politica generale e alla condotta negoziale del Trio nei diciotto mesi di riferimento; a ciò ha concorso in misura decisiva l'esame del programma della Presidenza polacca (secondo semestre 2011), illustrato con grande dettaglio dall'Ambasciatore polacco in Italia e caratterizzato da una indicazione ancora più puntuale della linea e delle priorità della stessa Presidenza.
Va tuttavia sottolineato che sia il programma della Commissione sia quello del Trio denunciano la mancanza di una visione strategica netta e ambiziosa in merito alle grandi questioni che l'Unione dovrebbe affrontare.
Queste lacune sembrano riflettere, per un verso, la debolezza che l'azione delle Istituzioni europee registra in questa fase del processo di integrazione, cui si farà ampio riferimento nel prosieguo della relazione.
Per altro verso, occorre prendere atto che la funzione di indirizzo politico a livello europeo è stata oramai assunta - anche al di là della lettera dei Trattati - dal Consiglio europeo e dai sempre più frequenti vertici informali dei Capi di stato e di Governo dell'Unione o dell'area euro. Se l'iniziativa legislativa resta formalmente riservata, con poche eccezioni, alla Commissione, il varo delle grandi strategie politiche e regolative così come la definizione di accordi su questioni controverse tra gli Stati membri sono oramai rimesse alla massima istanza politica dell'Unione.
Queste tendenze delineano una pericolosa distorsione del quadro istituzionale stabilito dai trattati che risulta aggravata dal ruolo decisivo oramai riconosciuto, soprattutto in relazione alla costruzione della nuova governance europea e alla risposta alla crisi, alle indicazioni formulate da «direttori» o «assi», costituiti da due o tre grandi Paesi.
In tal modo si alterano irreversibilmente gli equilibri fissati dai trattati non soltanto in relazione ai rapporti tra le Istituzioni ma anche a quelli tra l'Unione e gli Stati membri e tra gli stessi Stati membri. Si affidano inoltre le sorti del processo di integrazione a scelte rispondenti a mere logiche di politica interna di alcuni Stati membri, negando alla radice i principi e i metodi dell'integrazione europea.
Sarebbe stato auspicabile che, reagendo apertamente a queste pretese, e avvalendosi del sostegno del Parlamento europeo, giustamente critico verso il ricorso a vertici, direttori ed altre sedi informali, la Commissione utilizzasse correttamente le sue prerogative per formulare, a partire dal programma di lavoro, in modo più ambizioso e decisivo indirizzi strategici da tradurre in proprie proposte normative.
Ciò avrebbe consentito alla Commissione stessa di verificare preventivamente l'eventuale sostegno dei parlamenti nazionali in merito ad iniziative di particolare rilevanza e di carattere innovativo, attribuendo ad esse maggiore autorevolezza ai fini della discussione nelle sedi intergovernative.

L'esame presso la Commissione politiche dell'Unione europea e le commissioni di settore.

La XIV Commissione ha svolto audizioni informali dell'Ambasciatore della Polonia in Italia, del Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea, del Capo dell'Ufficio di segreteria del Comitato interministeriale per gli affari comunitari europei (CIACE), della Conferenza dei Presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, dell'UPI, dell'ANCI, di rappresentanti dei sindacati, di Confindustria e di Rete imprese.
Tutte le audizioni hanno fornito importanti elementi di conoscenza e di valutazione, anche grazie all'acquisizione di memorie accurate predisposte da gran parte dei soggetti auditi.
Di particolare utilità, sono state le audizioni dell'Ambasciatore polacco, per l'illustrazione dettagliata del programma della Presidenza prima ancora della sua formale presentazione, e quella di Rete

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imprese, per l'articolazione e la qualità delle valutazioni formulate e la definizione di proposte concrete e pragmatiche.
Alla luce degli elementi emersi nel corso delle audizioni, la XIV Commissione ha ritenuto opportuno concentrare l'esame della relazione programmatica e degli strumenti di programmazione politica e legislativa dell'UE sui seguenti aspetti:
lo stato complessivo e le prospettive del processo di integrazione europea, alla luce della prima applicazione del Trattato di Lisbona e delle difficoltà dell'Unione a rispondere alle grandi sfide globali;
la risposta dell'Unione europea alla crisi economica e finanziaria, con particolare riferimento alla adeguatezza della nuova governance economica europea ad assicurare, per un verso la stabilità dell'area euro e a sostenere la crescita e l'occupazione. Una specifica attenzione è stata riservata in questo contesto alla prima applicazione in Italia del semestre europeo per il coordinamento ex ante delle politiche economiche;
la predisposizione del nuovo quadro finanziario pluriennale dell'Unione europea e le proposte, strettamente connesse, di riforma della politica di coesione e delle politica agricola comune;
l'azione esterna dell'Unione europea, con specifico riferimento alla politica di vicinato e, segnatamente, al rapporto con i Paesi della sponda sud del Mediterraneo e alle carenze nell'azione delle nuove figure istituzionali create nel settore dal Trattato di Lisbona;
le misure per le PMI nelle politiche europee, anche con riferimento all'Atto per il mercato interno;
i meccanismi di formazione della posizione italiana nel processo decisionale europeo, con particolare riferimento alla difficoltà per il nostro Paese di «fare sistema» rappresentando una posizione unitaria quando sono in gioco rilevanti interessi nazionali. In questo contesto è stata analizzata, in particolare, l'adeguatezza degli strumenti di raccordo tra Governo, da un lato, e le regioni, le autonomie locali e le categorie produttive e parti sociali dall'altro.

I pareri espressi dalle Commissioni di settore e dal Comitato per la legislazione - allegati alla presente relazione - contengono importanti indicazioni in merito all'intero ventaglio delle politiche europee nonché ad alcuni aspetti metodologici e procedurali relativi alla produzione normativa europea.
In coerenza con la natura degli strumenti di programmazione e con le finalità della sessione programmatica la presente relazione non mira alla definizione di indirizzi specifici ed esaustivi su ciascuna politica dell'Unione ma intende piuttosto contribuire alla elaborazione di una cornice generale e coerente per l'azione dell'Italia a livello europeo.
Saranno pertanto esaminate le grandi questioni e politiche di natura trasversale, demandando alle singole commissioni permanenti, in sede di esame ex articolo 127 del Regolamento, la valutazione approfondita delle specifiche iniziative legislative e non legislative dell'Unione.

Stato e prospettive del processo di integrazione europea.

Nella relazione della XIV Commissione all'Assemblea sul programma legislativo 2010 si sottolineava come la crisi economica e, in misura minore, gli altri grandi problemi globali, quali i flussi migratori, il cambiamento climatico, la sicurezza energetica ponessero l'Unione europea di fronte a scelte decisive in grado di mutarne definitivamente il ruolo e la fisionomia in senso federale o di condannarla vero un inesorabile declino, con la riemersione di nazionalismi.
La presente relazione, ad oltre 12 mesi di distanza, conferma e precisa questa lettura, ribadendo, in particolare, come la fase critica attuale offra un'occasione irripetibile per un salto di qualità nel processo di integrazione verso una progressiva integrazione politica oltre che economica.

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La combinazione delle innovazioni istituzionali previste dal Trattato di Lisbona e la pressione derivante dagli eventi epocali degli ultimi mesi sembrano infatti potenzialmente idonei a liberare l'Unione dal paradosso di cui è prigioniera: non riuscire ad agire in modo adeguato e tempestivo a fronte di questioni la cui complessità e scala rende insufficiente l'azione dei soli Stati membri e postula un intervento europeo.
Occorre tuttavia riconoscere che queste potenzialità sono state solo in parte sviluppate, per effetto soprattutto della resistenza miope e talora arrogante di alcuni Stati membri e per la debolezza delle stesse Istituzioni europee.
Per quanto riguarda le innovazioni introdotte dal Trattato di Lisbona, benché non siano ancora trascorsi due anni dalla sua entrata in vigore, i primi risultati appaiono molto deludenti.
È risultata anzitutto manifesta - come meglio si dirà nell'apposita sezione di questa relazione - l'inadeguatezza dell'Alto rappresentante per la politica estera ad adempiere i compiti che gli sarebbero attribuiti, contribuendo alla costruzione graduale di una reale politica estera europea. Ciò ha pregiudicato, per il momento, anche le potenzialità del nuovo servizio per l'azione esterna. Non si sono conseguentemente registrati avanzamenti degni di nota in direzione di un rafforzamento del ruolo internazionale dell'Europa, che si è anzi distinta per l'assenza o la debolezza del suo intervento in tutti gli scenari di crisi.
Anche la creazione del Trio di Presidenze del Consiglio e il suo raccordo con il Presidente del Consiglio europeo non sembrano aver assicurato un salto di qualità nella coerenza e nell'efficacia dell'attività del Consiglio. Su alcune questioni chiave sembra anzi delinearsi una mancanza di iniziativa e di autorevolezza da parte di alcune Presidenze semestrali che sono in soggezione rispetto alla Commissione europea o ad alcuni grandi Stati membri.
La stessa Commissione europea, come dimostrato anche dal programma di lavoro per il 2011, non ha avuto in alcuni passaggi cruciali la prontezza e il coraggio necessari per assicurare un intervento adeguato dell'Unione, cedendo alle pressioni di alcuni Stati membri: è il caso, tra gli altri, della nuova governance economica, delle proposte di riforma della politica di coesione e della politica agricola, della cooperazione rafforzata sul brevetto europeo.
Complessivamente positivo è stato invece il ruolo sinora svolto dal Presidente del Consiglio europeo che, pur mancando di impulso e direzione politica, si è imposto quale figura di mediazione nei lavori dell'Istituzione.
Con riguardo agli interventi adottati in risposta alle dinamiche globali, la crisi economica ha imposto all'Unione nel suo complesso, e all'area euro in modo ancora più spiccato, di dotarsi di un nuovo sistema di governance economica che, alla luce delle evidenti lacune e aporie, può considerarsi solo il primo passo di un processo che dovrà portare alla creazione di un governo economico.
Il nuovo sistema di vigilanza finanziaria europea e i numerosi atti normativi adottati o in corso di adozione in materia di servizi finanziari segnano, malgrado alcune lacune, un significativo progresso rispetto alla situazione antecedente la crisi, superando le resistenze che sembravano irriducibili di diversi Stati membri alla costruzione di un vero e proprio mercato unico europeo dei servizi finanziari.
In altri settori - primi tra tutti l'immigrazione e il partenariato euromediterraneo - l'Unione non è stata invece capace di rispondere agli eventi epocali intervenuti negli ultimi mesi, nonostante la palese inadeguatezza dell'azione nazionale rispetto alla scala di tali problemi. A ciò hanno concorso la già denunciata debolezza delle Istituzioni europee con più diretta responsabilità in materia e l'assenza di solidarietà tra gli Stati. Anche il rafforzamento delle competenze dell'Unione in materia di immigrazione previsto

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dal Trattato si è dimostrato sterile a fronte dell'assenza di volontà politica e visione strategica.
I prossimi mesi risulteranno, pertanto, decisivi per capire se l'Unione europea è in grado di compiere il necessario salto di qualità verso una nuova fase nella costruzione europea o rimarrà prigioniera dei nazionalismi e delle esigenze di politica interna dei singoli Stati membri.
L'Italia può giocare un ruolo chiave in questa prospettiva, promuovendo, come avvenuto in passato - è sufficiente ricordare il processo di elaborazione del Trattato di Maastricht - scelte nette verso una ulteriore integrazione politica, superando rapidamente i problemi che pregiudicano l'efficacia della sua azione a livello europeo.
A questo scopo, occorre che il nostro Paese formuli proposte concrete ed ambiziose per l'avanzamento del processo di integrazione e non limitandosi ad un generico sostegno all'azione delle Istituzioni europee, che, per la ragioni già richiamate, appare condizionata in misura crescente dagli interessi di alcuni grandi Paesi anziché puntare al rafforzamento dell'Unione.
Ciò implica la promozione di alleanze con alcuni i partner europei sia in relazione a singole questioni di particolare importanza, come la creazione di un governo dell'economia e la riforma del bilancio, sia in vista dell'adozione di modifiche dei Trattati volte a rafforzare, mediante gli adattamenti istituzionali appropriati, lo spirito comunitario.
Solo in questo modo si potrà contrastare l'euroscetticismo e il criterio del mero interesse nazionale, emergenti in un numero crescente di Paesi, come dimostra l'inadeguatezza delle decisioni in materia di stabilizzazione dell'area euro, di immigrazione ed azione esterna.
Nella stessa prospettiva, occorre che il nostro Paese promuova intese organiche tra i Paesi mediterranei nella formazione delle politiche e delle decisioni europee, reagendo all'evidente sbilanciamento delle stesse Istituzioni dell'Unione verso la dimensione centrale e orientale.

La partecipazione del sistema Paese al processo decisionale europeo.

Le audizioni svolte dalla XIV Commissione hanno confermato che il maggior punto di debolezza della partecipazione dell'Italia alla formazione della normativa e delle politiche europee è costituito dalla scarsa capacità di «fare sistema» tra gli attori istituzionali e non istituzionali, rappresentando, quanto meno sulle questioni di maggiore interesse nazionale, una posizione unitaria o quanto meno non contraddittoria.
Esemplare in questo senso è la recente vicenda della cooperazione rafforzata sul brevetto unico.
Mentre Governo e Parlamento - in coerenza con una linea consolidata - si sono nettamente opposti alla cooperazione rafforzata non accettando le gravi violazioni del regime linguistico configurate dal ricorso al trilinguismo inglese, francese e tedesco, gran parte degli europarlamentari italiani e Confindustria, che inizialmente sostenevano la posizione del Governo, hanno successivamente sostenuto la necessità dell'adesione dell'Italia al nuovo istituto. Si è così determinato un disallineamento - confermato dall'audizione di Confindustria - tra le esigenze, in sé legittime, di parte del sistema produttivo italiano e l'interesse fondamentale alla tutela del principio di parità delle lingue ufficiali dell'Unione, strettamente connesso al prestigio e all'autorevolezza del Paese.
Anche altre audizioni svolte - in particolare quelle del Rappresentante permanente d'Italia presso l'Unione europea - hanno posto in rilievo la difficoltà di elaborare una posizione nazionale in una fase precoce del processo decisionale europeo mediante il raccordo tra le amministrazioni statali competenti, tra Stato e regioni, tra Governo, Parlamento e rappresentanti degli interessi economici.
È emerso dalle audizioni che addirittura in alcuni casi le associazioni rappresentative delle categorie produttive italiane hanno manifestato alle Istituzioni europee,

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su provvedimenti di particolare rilevanza, posizioni fortemente differenziate o conflittuali.
Queste difficoltà sono imputabili in parte ai meccanismi di coordinamento nella formazione della posizione italiana presso l'UE, in parte ad un ritardo culturale dell'amministrazione e del mondo produttivo italiano.
Con riguardo agli strumenti di coordinamento, la Camera ha già preso atto delle carenze esistenti ed apprestato, nel testo di riforma della legge n. 11 del 2005 approvato nel marzo 2011, alcuni correttivi. In particolare, è stato rafforzato il raccordo tra Parlamento e Governo, sono state consolidate le competenze del CIACE e il suo collegamento con la Rappresentanza permanente presso l'UE, le regioni e le singole amministrazioni; sono state altresì adeguati i meccanismi per la partecipazione delle regioni e degli enti locali alla formazione della posizione italiana e per la consultazione a questo scopo delle parti sociali e delle categorie produttive.
Una rapida approvazione in via definitiva del testo, attualmente all'esame del Senato, potrebbe quindi creare i presupposti per importanti progressi che dipenderanno tuttavia da un radicale cambiamento culturale nel Paese: occorre che tutti i soggetti coinvolti acquisiscano la consapevolezza che, soprattutto quando sono in gioco questioni di rilevante portata, l'interesse comune del Paese deve avere la precedenza rispetto a quello di singoli settori e componenti. La tentazione di perseguire interessi di categoria, caso per caso, può infatti anche avere successo, per chi ne è portatore, in relazione a singoli provvedimenti ma - come l'esperienza dimostra - finisce per pregiudicare gravemente, a medio e lungo termine, la credibilità e l'autorevolezza del Paese nel suo complesso.
Il Parlamento può svolgere un ruolo fondamentale in questa chiave, assicurando il raccordo tra il Governo e tutti gli altri attori interessati e operando una sintesi politica in vista della formazione della posizione nazionale.
In questa prospettiva, va ribadita la bontà dell'approccio seguito dalla Camera nell'esame delle iniziative dell'Unione europea in fase ascendente, che privilegia, rispetto alla quantità, la qualità dell'istruttoria e il confronto con i soggetti di volta in volta interessati.

La risposta alla crisi e la nuova governance economica.

Sia la relazione programmatica del governo sia i programmi di Commissione e Trio di Presidenze pongono grande enfasi sull'avvio del semestre europeo e sulla definitiva approvazione ed attuazione delle altre misure che definiscono la nuova governance economica europea.
La Camera ha seguito tutte le fasi del processo di costruzione del nuovo sistema, così come la prima attuazione del semestre europeo nella primavera dell'anno in corso, formulando di volta in volta precisi indirizzi per il Governo.
In questo contesto, le Commissioni bilancio e politiche UE hanno avuto modo di insistere su alcuni difetti strutturali del modello di governance, denunciando soprattutto il disallineamento tra il rigore dei meccanismi preventivi e correttivi a presidio della stabilità delle finanze pubbliche e quelli deboli per il coordinamento delle politiche per crescita e occupazione, nonché l'insufficienza degli strumenti di stabilizzazione dell'area euro a fronte delle pressioni speculative.
Purtroppo le critiche formulate si sono rivelate fondate, confermando come l'impatto della crisi abbia posto l'Unione di fronte ad una alternativa tra la costruzione progressiva di un governo economico ed un forte indebolimento dell'area euro e dello stesso progetto europeo.
Il mancato rispetto dei criteri del Patto di stabilità e crescita da parte della quasi totalità degli Stati membri, la lentezza nel rispondere agli attacchi speculativi contro alcuni Paesi della zona euro, la difficoltà nel rilanciare crescita e occupazione hanno dimostrato l'insufficienza del modello proposto dalla Commissione e dalla task force Van Rompuy, costringendo gli

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Stati membri e le Istituzioni europee alla stipulazione del Patto Euro Plus e a parziali correzioni dei meccanismi di stabilità per l'area euro.
Queste continue integrazioni del disegno originario, imposte dagli eventi e non inserite in una cornice coerente, si sono a loro volta dimostrate insufficienti e richiederanno sicuramente ulteriori modifiche ed integrazioni.
È il caso, anzitutto, del Patto Euro Plus che, privo di forza vincolante e stipulato fuori dal quadro istituzionale, ha offerto una prima parziale risposta alla richiesta - formulata anche dalla Camera in più occasioni - di un coordinamento più stringente tra gli Stati membri dell'area euro.
Il Patto ha indubbiamente il merito di recare impegni precisi in merito alle politiche per l'occupazione, la crescita e la competitività ed impone, di fatto, la costituzionalizzazione dei vincoli del Patto di stabilità. È inoltre positivo che la Commissione e il Consiglio abbiamo tenuto conto anche delle previsioni del Patto nella predisposizione delle raccomandazioni adottate nello scorso luglio in esito al semestre europeo per il 2011.
Anche le decisioni del vertice dei Capi di Stato e di governo dello scorso 21 luglio, per quanto assunte solo dopo l'acuirsi della pressione speculativa che ha colpito anche l'Italia, costituiscono l'ammissione della insufficienza - più volte denunciata dalla Camera - del fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (FESF) e del futuro meccanismo europeo di stabilità (MES), come originariamente concepiti. La possibilità per il FESF e il MES di agire anche sulla base di un programma precauzionale, di finanziare la ricapitalizzazione degli istituti finanziari mediante prestiti ai governi e di intervenire sui mercati secondari, accolgono alcuni degli elementi chiave delle proposte avanzate da più parti per la creazione di una agenzia europea per il debito, come richiesto anche in questo caso dalla Camera.
Resta tuttavia ferma la lacuna più grave nella strategia europea di risposta alla crisi: la mancanza di una reale iniziativa europea per la crescita, dotata di un preciso piano di interventi coordinati e finanziati direttamente dall'Unione, anche mediante l'emissione di veri e propri eurobond.
Restano altresì inascoltati i rilievi - più volte formulati dalla Camera e ribaditi nel parere sui documenti in esame della Commissione bilancio - in merito all'assenza di una reale strategia per la crescita e l'occupazione.
Le raccomandazioni della Commissione sui programmi nazionali di riforma, adottate in esito del primo semestre europeo, ribadiscono la difficoltà degli Stati membri - e dell'Italia in particolare - ad adottare azioni efficaci per il recupero di competitività e il rilancio di sviluppo ed occupazione, a fronte di uno sforzo considerevole per il risanamento delle finanze pubbliche.
Il rispetto dei parametri del Patto di stabilità e crescita è, come riconosciuto dalla Camera, il presupposto irrinunciabile per recuperare a medio e lungo termine la capacità di manovra del bilancio statale al fine di finanziare la crescita e l'ammodernamento del Paese. La costituzionalizzazione dei vincoli europei di finanza pubblica - preannunciata dalla Decisione di economia e finanza in coerenza con il Patto Euro Plus e la direttiva sui quadri nazionali di bilancio - ridurranno nell'immediato ulteriormente i margini per misure di sostegno alla crescita.
In questo contesto, non può che essere l'Unione a destinare direttamente o indirettamente risorse significative per interventi mirati per rilanciare l'economia europea nel suo complesso.
Sinora le Istituzioni europee si sono limitate a proporre interventi settoriali, come i project bonds, certamente positivi e con forti potenzialità, che appaiono tuttavia insufficienti rispetto al bisogno di investimenti per l'ammodernamento del sistema economico europeo a fronte delle dinamiche competitive globali.
Anche le proposte della Commissione per il quadro finanziario 2014-2020 recano risorse ed obiettivi modestissimi per il sostegno alla crescita, affidandosi sostanzialmente

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al ricorso a strumenti finanziari innovativi per promuovere ulteriori investimenti pubblici e privati. Si tratta di una strategia la cui efficacia - soprattutto nell'attuale congiuntura - è tutta da dimostrare.
Occorre ribadire pertanto l'irrinunciabilità - a fronte di impegni seri ed effettivi nel consolidamento delle finanze pubbliche - di una specifica ed organica iniziativa europea per la crescita, secondo le procedure decisionali previste dai Trattati o apportando, ove necessarie, modifiche organiche alle disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'UE in materia di Unione economica e monetaria.
Un primo passo nella prospettiva di un contestuale consolidamento della stabilità dell'area euro e del sostegno alla crescita e all'occupazione, dovrà essere costituito da un ulteriore rafforzamento della governance economica, a partire dall'attuazione delle misure a sostegno della Grecia. Nel quadro di una governance rafforzata, dovranno trovare spazio le varie proposte avanzate in materia di emanazione di titoli di debito dell'Unione europea che consentano di alleviare la situazione debitoria dei Paesi membri e di finanziare progetti infrastrutturali e di interesse europeo. Queste proposte sono state avanzate con caratteristiche diverse nel corso degli anni da Delors, Monti, Tremonti, Juncker, Prodi e Quadro Curzio. Occorre pertanto che la Commissione europea, che ha preannunciato l'avvio di un apposito studio sulla questione, presenti in tempi rapidi e, in ogni caso entro il Consiglio europeo di dicembre 2011, proposte operative volte a dare concretamente seguito all'iniziativa.
Il nostro Paese dovrebbe adoperarsi, attraverso gli opportuni contatti e iniziative, per superare le forti perplessità già manifestate dalla Germania e da altri Stati membri nonché da alcuni autorevoli esponenti delle Istituzioni europee. È auspicabile che in questo caso le logiche di politica interna di singoli Paesi non precludano un intervento della cui necessità anche i mercati sembrano aver assunto consapevolezza.
A medio e lungo periodo è tuttavia evidente che solo la creazione di un vero «governo economico» dell'Eurozona, ponendo termine all'irrazionalità del disallineamento tra politica monetaria federale e coordinamento debole delle politiche economiche, potrà assicurare un reale salto di qualità nella costruzione dell'Unione economica e monetaria a livello globale.
Ciò presuppone anzitutto l'introduzione di appropriate modifiche ai Trattati volte ad attribuire al Consiglio e all'Eurogruppo, su proposta della Commissione e in codecisione con il Parlamento europeo, poteri vincolanti in merito alle grandi scelte di politica economica e dell'occupazione.
Andrà cioè rafforzata la governance europea attraverso un forte coordinamento economico da realizzare anche attraverso figure istituzionali innovative.

L'attuazione del semestre europeo in Italia.

Nel corso delle audizioni della conferenza dei Presidenti delle Assemblee regionali, dell'ANCI e dell'UPI è stata sottolineata la mancata consultazione di tali soggetti nella fase di predisposizione del programma nazionale di riforma e del programma di stabilità presentati dal Governo nello scorso aprile.
Tali documenti costituiscono oramai, nel nuovo modello di governance economica, la cornice vincolante di politica economica e di bilancio non solo dello Stato ma anche di regioni ed autonomie locali.
L'entrata in vigore nel prossimo autunno della nuova disciplina del Patto di stabilità e crescita, l'obbligo di recepire negli ordinamenti nazionali, preferibilmente a livello costituzionale, i nuovi vincoli europei di finanza pubblica, e l'esigenza di ottemperare alle raccomandazioni espresse dal Consiglio in esito al semestre europeo 2011, renderanno in particolare il Programma di stabilità uno strumento ancora più stringente.
In particolare, il Patto di stabilità interno troverà una sua più specifica base giuridica nella direttiva sui quadri nazionali di bilancio e nel Patto Euro Plus. Ciò

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renderà necessario una maggiore certezza anche delle regole del Patto di stabilità interno, sinora oggetto di variazioni continue che determinano una forte incertezza per regioni ed enti locali.
Anche le misure contenute nel PNR, documento di cui si è sinora sottovalutata la rilevanza, dovranno necessariamente prefigurare misure efficaci e credibili per la ripresa economica, alla luce non soltanto delle procedure europee ma dell'attenzione crescente rivolta dai mercati alle prospettive di crescita del nostro Paese.
La capacità di dare effettiva attuazione agli impegni contenuti nei due documenti passa per una loro condivisione dal basso, per la quale occorre un adeguato coinvolgimento di tutti gli attori interessati, incluse le parti sociali e delle categorie produttive, con particolare riferimento a Rete imprese.
Occorre, in altri termini, un più stretto raccordo tra gli strumenti della programmazione interni e quelli europei, rafforzando per tale via una dialettica triangolare tra lo Stato, le autonomie territoriali e l'Unione europea sia in ordine alle prospettive di medio periodo della finanza pubblica, sia, in generale, sul complesso delle politiche pubbliche che si articolano su più livelli di governo.

Il quadro finanziario e le risorse proprie dell'UE 2014-2020.

Le proposte della Commissione relative al quadro finanziario e alle risorse proprie dell'UE 2014-2020, presentate lo scorso 29 giugno, sono oggetto di specifico esame presso le Commissioni bilancio e politiche UE della Camera che hanno già concordato un articolato ciclo di attività conoscitive.
È pertanto solo in esito a tale esame che potranno essere definiti indirizzi puntuali per la definizione della posizione negoziale italiana. Ciò anche in considerazione del fatto che le proposte in questione prefigurano un riassetto delle varie politiche di spesa che sarà stabilito più in dettaglio con apposite proposte legislative la cui presentazione è prevista per il prossimo autunno.
Si possono tuttavia in questa sede formulare alcune indicazioni di carattere generale e di metodo, tenuto conto del fatto che la predisposizione del quadro finanziario e del sistema di risorse proprie dell'UE costituiscono un passaggio di grande importanza e delicatezza per il futuro dell'UE e per la partecipazione italiana.
In primo luogo, dal volume e dalla distribuzione delle risorse del bilancio europeo dipende la effettiva capacità dell'Unione di esercitare le sue competenze e la definizione dei settori prioritari di intervento.
In secondo luogo, le scelte che saranno operate in merito alla allocazione degli stanziamenti incideranno sull'assetto di rapporti ed interessi tra gli Stati membri. Il quadro finanziario pluriennale rifletterà, in altri termini, gli equilibri di forza tra i diversi Stati membri e gruppi di Stati membri, concorrendo a definire la fisionomia futura dell'Unione.
In terzo luogo, il prossimo quadro finanziario inciderà significativamente sul nostro Paese, sia con riferimento al saldo netto complessivo dei rapporti finanziari con l'Unione europea sia in merito alle stesse scelte di politica economica, con particolare riferimento alle misure per lo sviluppo, per la ricerca e per le infrastrutture.
La Commissione europea prospetta nelle sue proposte un quadro finanziario ispirato ad un approccio pragmatico che, pur non mancando di alcuni spunti innovativi, rinuncia ad interventi radicali in grado di incidere sugli interessi consolidati dei maggiori Stati membri.
Proposte più coraggiose e innovative vengono invece prospettate per le risorse proprie. Per quanto riguarda il volume delle risorse, la Commissione europea propone una dotazione massima complessiva di 1.025 miliardi di euro in termini di impegno (pari al 1,05 per cento del RNL complessivo dell'UE) e di 972 miliardi di euro in termini di pagamento (pari al 1 per

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cento del RNL), con un aumento del 5 per cento rispetto alle prospettive finanziarie 2007-2013. Tale modesto incremento - che corrisponde alle richieste formulate dal Parlamento europeo nella risoluzione approvata l'8 giugno 2011 - ha già suscitato le reazioni negative di diversi Stati membri, tra cui Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia, che invocando l'austerità nei bilanci nazionali, chiedevano addirittura una contrazione del bilancio europeo. L'Italia, nel documento di posizione presentato nello scorso maggio in vista dell'avvio del negoziato non ha preso espressamente posizione al riguardo, pur considerando priorità assoluta il miglioramento del nostro saldo netto negativo, che ammonterebbe in media a circa 5 miliardi l'anno per il periodo 2007-2013.
Sarebbe agevole cedere alla tentazione di migliorare il nostro saldo netto negativo, aderendo, in base ad un mero calcolo ragionieristico alla richiesta di riduzione del volume complessivo del bilancio europeo. Si tratterebbe tuttavia di una scelta semplicistica che ignora ben più complesse considerazioni di carattere politico ed economico. L'Italia si è sempre distinta, anche in occasione dei passati negoziati sulle prospettive finanziarie, in una posizione favorevole all'incremento del volume del bilancio dell'Unione. In più occasioni anche la Camera si è pronunciata, generalmente all'unanimità, a sostegno di questa impostazione, di cui si è fatta portatrice anche nell'ambito di riunioni interparlamentari sul tema.
A favore dell'aumento del volume del bilancio europeo si pongono almeno tre argomenti.
In primo luogo, gli stanziamenti del bilancio UE producono un «effetto leva» per gli investimenti nazionali e soprattutto privati. Ridurre gli stanziamenti europei in alcuni settori - si riferisce alla coesione, alla ricerca o alle infrastrutture - produrrebbe una ben più rilevante contrazione anche delle altre risorse pubbliche o private a disposizione di interventi fondamentali per la crescita e lo sviluppo.
In secondo luogo, la spesa pubblica dell'UE è necessaria per perseguire, in coerenza con il principio di sussidiarietà, obiettivi ad alto valore aggiunto europeo, che non si possono ottenere a livello nazionale: è il caso di molte delle nuove priorità strategiche, concernenti la competitività, l'innovazione, la conoscenza, l'immigrazione, rispetto alle quali l'azione a livello nazionale è chiaramente insufficiente.
In terzo luogo, se si vuole rilanciare il processo di integrazione europea, occorre che un intervento finanziario dell'UE sia efficace e riconoscibile per i cittadini.
Sarebbe paradossale se - a fronte dell'inadeguatezza della azione dell'Unione in merito alla crisi, all'immigrazione e altre dinamiche globali denunciata anche in questa relazione - si rispondesse con una riduzione delle risorse.
Non sarà dunque agevole combinare il perseguimento di questi obiettivi con l'esigenza di migliorare il saldo netto del nostro Paese, anch'essa irrinunciabile in una fase di crisi economica e di risanamento delle finanze pubbliche come quella attuale.
A questo fine sarà a suo avviso cruciale considerare due elementi chiave delle proposte della Commissione.
Il primo è costituito dal ricorso per gran parte dei settori inclusi nel QFP a strumenti finanziari innovativi. Tali strumenti, come i project bonds, potrebbero essere in grado di offrire una fonte di finanziamento ulteriore e di creare un effetto moltiplicatore per il bilancio dell'UE, attraendo altri finanziamenti pubblici e privati per progetti strategici. Sarebbe così almeno in parte ridimensionato il problema del volume effettivo delle risorse del bilancio europeo.
Il secondo e più rilevante aspetto concerne alla distribuzione delle risorse tra le varie politiche e in seno a ciascuna di esse.
Sebbene non sia possibile operare stime accurate prima della presentazione delle specifiche proposte legislative settoriali nel prossimo autunno, destano preoccupazione alcune innovazioni preannunciate dalla Commissione in merito alla

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politica di coesione e alla politica agricola comune, come rilevato anche nei pareri delle Commissioni bilancio ed agricoltura cui si fa rinvio.
Sarà pertanto necessario che la Camera segua, in stretto raccordo con il Governo, il negoziato su questi specifici aspetti.
È essenziale a questo scopo che il Governo informi tempestivamente le Camere dei principali sviluppi del negoziato e a trasmettere dati e simulazioni adeguate sull'impatto sul saldo netto dell'Italia delle diverse opzioni relative al prossimo quadro finanziario e al sistema di risorse proprie.

Politica di coesione.

Se il futuro della politica di coesione, nell'ambito del prossimo quadro finanziario pluriennale, costituisce una grande priorità per l'Italia, anche la gestione delle risorse dei fondi strutturali nel periodo di programmazione in corso, 2007-2013, richiede la massima attenzione di Parlamento e Governo.
È noto come le percentuali di utilizzazione dei fondi assegnati all'Italia, soprattutto alle regioni dell'obiettivo convergenza, siano anormalmente basse, attestandosi in media intorno al 15 per cento in stanziamenti di pagamento.
La Camera ha avuto in più occasioni modo di analizzare le ragioni strutturali, di ordine politico, amministrativo e finanziario che sono alla base della bassa capacità di assorbimento dei fondi, che non appare pertanto appropriato richiamare in questa sede.
Al tempo stesso, non si può ignorare che anche la crisi economica e finanziaria abbia avuto un impatto rilevante sull'attuazione dei programmi relativi ai fondi strutturali europei per la coesione, come riconosciuto dalla stessa Commissione europea.
Molti Stati membri, tra cui l'Italia, si sono trovati in seria difficoltà nel reperire le risorse per il cofinanziamento nazionale delle misure previste nei programmi operativi nazionali e regionali.
La Commissione ha manifestato in più occasioni la disponibilità a valutare con le autorità nazionali competenti la possibilità di reindirizzare la programmazione dei fondi su misure anticrisi, e di aumentare temporaneamente ed in casi specifici i massimali alla quota di cofinanziamento europeo previsti dalla vigente normativa.
Si intende compensare gli effetti depressivi del consolidamento del debito e mira ad evitare che le regole relative al cofinanziamento nazionale dei programmi finanziati dalla Unione europea finiscano per rendere inutilizzabili le risorse per le politiche di coesione e, paradossalmente, produrre un effetto ulteriormente depressivo, anziché costituire un'opportunità di crescita per i Paesi gravemente in crisi.
Ciò nonostante, per il nostro Paese sussistono due elementi di criticità che appaiono di difficile soluzione a normativa vigente.
Il primo attiene all'applicazione della già richiamata regola del disimpegno automatico, che potrebbe comportare la perdita definita di stanziamenti significativi destinati al nostro Paese ma non utilizzati entro due anni dall'impegno.
Il secondo, rilevato anche dalla Commissione europea, attiene al fatto che la quota di cofinanziamento nazionale dei programmi nell'ambito della politica di coesione sia assoggettata al patto di stabilità interno, ritardando l'assunzione degli impegni e l'erogazione dei pagamenti.
In merito a questi profili di criticità la Commissione bilancio della Camera ha già avviato nello scorso mese di agosto la discussione della risoluzione 7-00667 Gioacchino Alfano, Vaccaro.
In attesa del riavvio dell'esame della risoluzione, si potrebbe valutare l'opportunità di ribadirne le principali indicazioni nella risoluzione che l'Assemblea approverà in esito all'esame della presente relazione.

Servizi finanziari.

La crisi finanziaria ha indotto l'Unione europea a rivedere parzialmente la filosofia

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che negli ultimi anni ha informato gli interventi normativi sui mercati finanziari, caratterizzata da un forte affidamento ai modelli di autoregolamentazione e da una eccessiva fiducia nella razionalità del mercato e nella capacità dei consumatori di valutare le informazioni formalmente messe loro a disposizione.
In coerenza con questo approccio sono stati predisposti o sono in via di predisposizione importanti misure legislative europee che intervengono sui nodi che sono alla base della crisi e che rischiano di favorirne la recrudescenza, in particolare per quanto riguarda i fondi di investimento alternativi, l'utilizzo degli strumenti finanziari derivati, delle pratiche di vendita allo scoperto, l'operatività delle agenzie di rating del credito.
Il banco decisivo per il corretto funzionamento del mercato unico dei servizi finanziari è costituito tuttavia dal funzionamento del nuovo sistema di vigilanza europeo sui mercati finanziari, la cui complessità e articolazione potrebbe pregiudicare l'efficienza delle funzioni di vigilanza macro e microprudenziale.
Nel parere della Commissione finanze sono formulate alcune importanti indicazioni sia di carattere generale sia in merito a specifiche proposte legislative:
la necessità, in sede di revisione del regolamento (CE) n. 1060/2009 sulle agenzie di rating del credito, di rivedere il ruolo complessivo attribuito dalla normativa ai giudizi espressi dalle agenzie di rating e il loro impatto sul funzionamento dei mercati, in particolare eliminandone o circoscrivendone significativamente l'uso a fini regolamentari;
l'introduzione di meccanismi di responsabilità in capo alle agenzie di rating, nel caso in cui i giudizi emessi da queste ultime risultino gravemente viziati e la soluzione del problema dei conflitti di interesse esistenti in capo alle agenzie di rating, nonché a rivedere i meccanismi di remunerazione del servizio di rating;
l'istituzione di un'Agenzia di rating creditizio pubblica e indipendente e la definizione di un indice europeo di rating (EURIX), al fine di controbilanciare il potere delle tre maggiori agenzie di rating;
l'esigenza di migliorare la disciplina sulla gestione delle crisi finanziarie, rafforzando i relativi sistemi di monitoraggio, nonché di introdurre nuove misure normative che coinvolgano i principali protagonisti del mercato a livello globale, anche nel quadro del G20;
l'esigenza, in relazione alle recenti proposte di revisione della direttiva 2006/48/CE, in materia di requisiti patrimoniali degli enti creditizi, alla luce delle novità introdotte dall'Accordo Basilea 3, di evitare che tali modifiche possano introdurre elementi di svantaggio competitivo in danno del sistema creditizio nazionale, tali da ridurre la capacità delle banche italiane di garantire un'adeguata erogazione di credito al tessuto economico, in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese e delle famiglie.

Il rilancio del mercato interno e le misure per le PMI.

La relazione programmatica del Governo e gli strumenti di programmazione delle Istituzioni dell'UE confermano il crescente rilievo attribuito alle piccole e medie imprese nelle politiche dell'UE, come rilevato anche nell'audizione di Rete imprese.
Anche le proposte della Commissione relative al prossimo QFP dell'UE prospettano l'attribuzione di stanziamenti crescenti, benché non ancora significativi in valori assoluti, a programmi o azioni riservati alle PMI.
L'affermazione delle esigenze delle PMI a livello europeo è cruciale per l'economia italiana, considerato che in esse è impiegato l'81 per cento della forza lavoro e che queste rappresentano il 71 per cento del valore aggiunto nazionale.
Nella relazione programmatica sulla partecipazione dell'Italia all'UE per il 2011 il Governo annette particolare importanza ai lavori di revisione dello «Small Business

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Act», evidenziando in particolare la necessità dell'introduzione della definizione di micro, piccola e media impresa e di una maggiore attenzione al concetto di passaggio generazionale, al fine di individuare in maniera più efficace le imprese potenzialmente innovative.
La Camera si è più volte espressa sulle iniziative dell'Unione in materia, da ultimo nel documento finale approvato dalla X Commissione sulla comunicazione della Commissione relativa al Riesame dello «Small Business Act» per l'Europa (COM(2011)78); in questa sede appare pertanto opportuno limitarsi a ribadire alcuni punti fondamentali.
Il primo attiene alla necessità di un approccio diversificato fra micro, piccole e medie imprese, richiesto non soltanto dal Governo ma anche nella risoluzione approvata dal Parlamento europeo lo scorso 12 maggio, dal momento che, quanto minori sono le dimensioni dell'impresa tanto più elevato è l'onere amministrativo che grava su di essa.
Il secondo concerne alla effettiva e sistematica applicazione del «test PMI», nelle valutazioni di impatto prevedendo per ogni proposta della Commissione la valutazione d'impatto degli oneri che gravano sulle imprese, in particolare le MPMI, prevedendo la riduzione corrispondente di altri oneri, l'applicazione del principio di proporzionalità e di specificità e tempi di adeguamento posticipati nel tempo.
La XIV Commissione della Camera potrebbe svolgere, sia nel controllo di sussidiarietà sia nell'esercizio delle funzioni consultive ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, una verifica sistematica dell'adeguatezza del test, anche al fine della predisposizione da parte del Governo delle relazioni tecniche sui progetti di atti dell'Unione.
Un terzo punto attiene alla opportunità, rilevata dalla stessa Commissione europea, di eliminare delle norme aggiuntive introdotte in fase di recepimento delle direttive europee, che creano oneri non necessari per le PMI. Anche in questo caso la XIV Commissione, soprattutto nell'espressione dei pareri su schemi di atti del Governo che recepiscono direttive dell'UE, potrà concorrere ad una valutazione accurata dell'eventuale ultroneità delle misure nazionali di attuazione.
Un ultimo aspetto attiene all'esigenza di promuovere l'accesso delle PMI agli appalti pubblici, non limitandosi ad offrire incentivi alle amministrazioni aggiudicatrici affinché gli appalti tengano conto delle esigenze delle PMI, ma prevedendo, attraverso opportune modifiche alle direttive vigenti in materia, che alcune tipologie di appalti siano espressamente riservate alle PMI.

Politica fiscale.

L'armonizzazione fiscale costituisce uno dei nodi per combinare il rilancio della competitività dell'economia europea con il risanamento delle finanze pubbliche e il ristabilimento di condizioni di equità dei sistemi fiscali nazionali.
È infatti evidente che solo un riavvicinamento dei sistemi di tassazione delle imprese e delle rendite finanziarie può eliminare la concorrenza fiscale dannosa all'interno dell'Unione, evitando la concentrazione del carico fiscale sui fattori meno mobili della produzione.
La Commissione europea e le altre Istituzioni hanno per molti anni mantenuto un atteggiamento eccessivamente prudente al riguardo, a fronte della opposizione pregiudiziale di diversi Stati membri ad interventi incisivi in materia di fiscalità diretta.
Esemplare in questa prospettiva è stata la mancata traduzione delle raccomandazioni del Rapporto Monti in merito alla armonizzazione fiscale in iniziative ambiziose e di ampio respiro nell'ambito dell'Atto per il mercato unico.
Il Patto Euro Plus, approvato dai Capi di Stato e di governo dell'area euro l'11 marzo 2011 ed avallato dal Consiglio europeo del 24-25 marzo 2011, ha avuto il merito di sollevare sebbene in termini cauti e molto circoscritti la questione, quanto meno con riferimento agli Stati membri dell'area euro.

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Al tempo stesso, l'iter della proposta di direttiva sulla base consolidata dell'imposta sulle società - su cui nove camere nazionali hanno adottato un parere motivato - conferma l'esistenza di fortissime resistenze, soprattutto da parte dei Paesi che mantengono un livello di tassazione sulle imprese molto basso, persino a fronte di disavanzi elevati.
Un banco di prova decisivo per il processo di armonizzazione fiscale sarà pertanto costituito, almeno per il momento, dal completamento dell'opera già avviata nel settore delle imposte indirette, con particolare riferimento alla revisione della disciplina IVA, prospettata dal recente Libro verde della Commissione.
La relazione del Governo e i programmi della Commissione e del Trio di Presidenze riconoscono la rilevanza del Libro verde e la necessità di dare seguito alle indicazioni emerse dalla consultazione su di esso svolta.
Il Libro verde è oggetto di esame ex articolo 127 del Regolamento della Camera da parte della Commissione finanze e della Commissione politiche UE. In attesa della definizione di specifici indirizzi, la Commissione finanze, nel parere espresso sui programmi in esame, sottolinea alcuni principi per la riforma dell'imposta, che ribadiscono la posizione consolidata della Camera in materia:
la fissazione di regole più stringenti ed omogenee, sia in merito alla determinazione della base imponibile sia con riguardo alle aliquote, eliminando le deroghe ed esenzioni per specifiche categorie di beni o servizi riconosciute in capo a singoli Stati membri;
la razionalizzazione ed aggiornamento del sistema delle aliquote minime dell'imposta, che tenga conto degli obiettivi di crescita, competitività ed occupazione previsti dalla strategia Europa 2020, resi urgenti dall'esigenza di rilanciare l'economia europea dopo la crisi.

Il parere della Commissione finanze attribuisce inoltre grande rilevanza ad ulteriori interventi in materia fiscale prospettati nel programma della Commissione, in particolare ai fini della riduzione del carico fiscale sulle piccole e medie imprese e della semplificazione dei relativi oneri di dichiarazione e riscossione nonché del rafforzamento del quadro normativo per la prevenzione e la lotta contro l'evasione e le frodi tributarie.

Politica estera e relazioni esterne.

La costruzione di una politica estera e di sicurezza comune e in modo più ampio, di una più efficace azione esterna dell'UE costituisce una delle tappe più importanti e impegnative del processo di consolidamento dell'integrazione europea, ed è una sfida ineludibile per l'Europa, se non intende vedersi relegata ad un ruolo marginale nelle vicende internazionali.
L'analisi degli strumenti programmatici della Commissione e del Consiglio e gran parte delle audizioni svolte hanno confermato invece il grave ritardo nella creazione di una politica estera e di difesa comune, nonostante le innovazioni istituzionali introdotte dal Trattato.
In un recente intervento anche il Presidente della Repubblica ha espresso preoccupazione per «lo stato insoddisfacente dell'Unione Europea come soggetto di politica internazionale», denunciando che a fronte di «eventi dirompenti carichi di possibilità di incognite nel Mediterraneo, nell'Africa e nel Medio Oriente» l'Unione Europea non è riuscita ad esprimere una posizione comune.
Il Presidente Napolitano ha aggiunto che «se non c'è preparazione, se non c'è elaborazione costante, se non c'è analisi comune delle situazioni è difficile che di fronte a delle crisi che scoppiano improvvise l'Unione europea si trovi pronta con delle risposte realmente condivise».
Il frutto più clamoroso della debolezza del ruolo internazionale dell'Unione è pressoché totale mancanza d'iniziativa che le Istituzioni dell'Unione hanno dimostrato verso la sponda Sud del Mediterraneo, il cui rilancio sarebbe invece

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reso non rinviabile anche alla luce del fallimento dell'Unione per il Mediterraneo ed il conseguente stallo del Partenariato di Barcellona.
Sono già state richiamate in precedenza le principali ragioni di questa situazione: l'inadeguatezza dell'Alto Rappresentante e la resistenza di diversi Stati membri a sviluppare una politica estera comune.
Le Presidenze ungherese e, in misura minore, polacca hanno concentrato, come era del resto prevedibile, l'azione dell'Unione sul partenariato orientale e persino sulla dimensione nordica.
La Commissione europea sembra invece manifestare un rinnovato interesse per il Mediterraneo con due recenti comunicazioni relative al partenariato per la democrazia e la prosperità condivisa (COM(2011)200) ed alla nuova risposta ad un vicinato in mutamento (COM(2011)303), che sono oggetto di specifico esame parlamentare, in esito al quale potranno essere definiti indirizzi puntuali.
La XIV Commissione ha già espresso nello scorso luglio il proprio parere, richiamando alcuni obiettivi prioritari che potrebbero essere recepiti anche nella risoluzione che sarà approvata in Assemblea in esito all'esame della presente relazione:
1) assicurare nel prossimo quadro finanziario dell'Unione i fondi stanziati per la politica di vicinato siano destinati nella misura di almeno 2/3 al partenariato euro-mediterraneo;
2) adoperarsi affinché l'azione dell'Unione europea verso i Paesi della sponda Sud del Mediterraneo, oltre che al rafforzamento delle istituzioni, sia mirata a un forte sostegno all'economia locale e allo sviluppo di infrastrutture;
3) inserire negli accordi, sia multilaterali sia bilaterali, conclusi tra l'Unione europea e i Paesi della sponda sud del Mediterraneo clausole di condizionalità che subordinino l'erogazione di aiuti o assistenza tecnica da parte dell'UE al rispetto di impegni precisi e verificabili in materia di prevenzione e lotta all'immigrazione irregolare, al terrorismo e alla criminalità organizzata;
4) sostenere, anche nella dimensione del partenariato euro-mediterraneo, l'esigenza che siano valorizzate pienamente le potenzialità del Servizio diplomatico europeo;
5) proporre al Consiglio europeo di invitare i Paesi confinanti del Mediterraneo meridionale ad una Conferenza internazionale che dovrebbe aver luogo a conclusione del semestre danese della presidenza del Consiglio UE, per avviare il processo di designazione delle nuove istituzioni della costituenda nuova Comunità; la Conferenza dovrebbe essere preparata da un Congresso della società civile euro-mediterranea che s'ispiri a quello dell'Aja, la cui organizzazione dovrebbe essere affidata al Consiglio d'Europa e al Movimento Europeo Internazionale, con il compito di indicare gli orientamenti essenziali per ogni «canestro».

Un altro importante profilo, efficacemente richiamato nel parere della Commissione Affari esteri concerne lo sviluppo della politica di difesa comune: l'evoluzione della situazione internazionale, con particolare riferimento alla vicenda libica, rende non rinviabile una maggiore responsabilizzazione dell'UE nella gestione della sicurezza internazionale, sviluppando finalmente la difesa comune, come previsto dal Trattato di Lisbona, e affrontando con decisione la soluzione dei nodi ancora irrisolti che ancora bloccano la piena sinergia con la NATO.
La Commissione Affari esteri richiama altresì l'attenzione sul rafforzamento del partenariato strategico con la Federazione russa, obiettivo prioritario per le prossime presidenze dell'UE, affinché le relazioni euro-russe possano collocarsi su un piano di crescente integrazione, in una visione coordinata ed unitaria di tutte le dimensioni in cui si articolano.

Spazio di libertà, sicurezza e giustizia.

L'esame svolto dalla XIV Commissione non si è specificamente concentrato sulle

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questioni relative allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, che hanno costituito oggetto di numerose e specifiche pronunce da parte delle commissioni competenti, in esito all'esame delle principali iniziative delle Istituzioni dell'UE in materia.
I profili relativi all'immigrazione sono stati considerati in relazione alla politica di vicinato.
La Commissione affari costituzionali - nel parere reso sui programmi in esame - ha tuttavia ribadito alcuni orientamenti generali che potrebbero essere riportati anche nella risoluzione che sarà approvata in aula:
l'esigenza, ai fini del rafforzamento della sicurezza interna dell'Unione europea, di sostenere forme di cooperazione con i paesi terzi maggiormente a rischio rispetto alla propaganda terroristica e con i paesi terzi nei quali è maggiormente presente la criminalità organizzata;
la partecipazione diretta dell'Unione europea al controllo delle frontiere su richiesta dello Stato membro, anche attraverso il rafforzamento di Frontex, e la fissazione di sanzioni nei confronti degli Stati che non controllano le frontiere;
la partecipazione, anche sotto il profilo finanziario, dell'UE alle operazioni di rimpatrio degli stranieri entrati illegalmente sul territorio di uno Stato membro;
la previsione di sanzioni in caso di inosservanza, da parte di uno Stato membro, dei doveri di solidarietà e cooperazione in materia di lotta all'immigrazione e controllo delle frontiere, nonché prevedere l'adozione di programmi di assistenza tecnica tra l'Unione europea e gli Stati membri;
l'istituzione di un meccanismo di reinsediamento dei rifugiati tra gli Stati membri avente carattere obbligatorio, e non volontario, e si pongano i relativi costi a carico dell'UE.

In aggiunta a tali indicazioni andranno valutati, ai fini della predisposizione della risoluzione da presentare in Assemblea, alcuni altri elementi prioritari, emersi nel corso dell'esame parlamentare di specifici documenti ed iniziative dell'UE nel settore in esame:
un Piano di azione europeo sull'immigrazione legale, in coerenza con le indicazioni formulate nel programma di lavoro della Commissione;
il sostegno ai paesi maggiormente a rischio di povertà, dove ci sono conflitti e guerre, disastri ambientali, principali cause di un aumento della pressione migratoria verso l'Europa;
il rafforzamento dell'azione di Frontex sulla scia di quanto stabilito dal programma di Stoccolma, anche prevedendo l'istituzione di una vera e propria polizia europea delle frontiere e l'attribuzione alla medesima europea del coordinamento di operazioni congiunte di rimpatrio e della co-direzione di operazioni congiunte di pattugliamento marittimo e terrestre;
il completamento del sistema europeo comune d'asilo.