CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 26 maggio 2010
329.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

5-02934 Evangelisti: Sulla situazione a Cuba e sulle relazioni con gli Stati Uniti d'America.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'Italia ha costantemente votato - con gli altri Paesi dell'Unione Europea - a favore della risoluzione di condanna dell'embargo degli Stati Uniti nei confronti di Cuba, riproposta ogni anno alle Nazioni Unite. E lo ha fatto in quanto, assieme agli altri partners comunitari lo ritiene ingiusto, inefficace e criticabile. Ingiusto, perché finisce per colpire le fasce più vulnerabili della popolazione; inefficace, perché ha ampiamente dimostrato di non riuscire a raggiungere i suoi obiettivi; criticabile, per i suoi aspetti extraterritoriali, che limitano, attraverso misure unilaterali, le relazioni economiche e commerciali di paesi terzi con l'isola caraibica.
Naturalmente, la nostra contrarietà a questa misura unilaterale degli Stati Uniti, non riduce in nulla l'impegno dell'Italia - sia a livello bilaterale che in ambito UE - nell'esigere dal regime cubano la tutela dei diritti umani e la liberazione dei prigionieri politici. La morte per sciopero della fame del prigioniero politico Orlando Zapata Tamayo lo scorso febbraio - per quanto questo tragico esito con ogni probabilità non fosse voluto dalle Autorità cubane - segna anzi un'ulteriore involuzione della situazione. E richiede, a maggior ragione, di non abbassare la guardia. La nostra Ambasciata a L'Avana segue molto da vicino le attività della dissidenza democratica nell'isola, con i cui esponenti intrattiene frequenti ed intensi contatti. La questione delle libertà fondamentali, civili e politiche resta una priorità per il Governo italiano e tale problematica - nell'ambito di un dialogo franco e costruttivo - viene ribadita con forza ad ogni occasione utile agli interlocutori cubani.
L'embargo si è però rivelato un'arma spuntata. Come rileva lo stesso Onorevole interrogante, in oltre quarant'anni di applicazione, non solo non ha raggiunto lo scopo per il quale era stato adottato, ma è diventato un comodo alibi per il regime cubano come utile (e sempre più indispensabile) propaganda per compattare politicamente la società cubana e giustificare le difficoltà economiche e i sacrifici materiali imposti alla popolazione, in realtà riconducibili allo stesso sistema instaurato con la rivoluzione.
Con il cambio di Amministrazione alla Casa Bianca si sono registrati interessanti segnali di ammorbidimento della linea di Washington nei confronti de L'Avana. I provvedimenti che hanno modificato le restrizioni sui viaggi e le rimesse verso l'isola, l'abrogazione - con il consenso statunitense - della risoluzione OSA che sospendeva Cuba dall'organizzazione, i contatti più frequenti tra i Governi cubano e americano non toccano l'embargo, ma sono comunque emblematici di un approccio diverso. Merito anche delle pressioni della comunità internazionale, tra cui naturalmente quelle dell'Italia e dell'Unione Europea.
I nostri frequenti incontri con il Dipartimento di Stato sono spesso l'occasione per approfondire anche la questione Cuba e per ribadire che il Governo italiano segue con attenzione e incoraggia i segnali di apertura che l'Amministrazione Obama ha mandato all'isola. È da parte cubana che, dopo una prima fase di disponibilità, sembra non volersi cogliere appieno questa opportunità di dialogo. Con la morte del dissidente Zapata Tamayo, sono piovute

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sul regime le condanne anche da parte di ambienti tradizionalmente non ostili alla rivoluzione. E questo ha riacceso per reazione la retorica della propaganda antioccidentale.
L'onorevole interrogante ha giustamente fatto riferimento ad una fase nei rapporti tra regime e Chiesa cattolica che si annuncia promettente. Un momento importante sarà, a metà del prossimo mese di giugno, la prevista visita a Cuba del Segretario per i rapporti con gli Stati, Mons. Mamberti. La settimana scorsa si è svolto l'incontro, inusualmente pubblicizzato, tra il Cardinale de L'Avana e il Presidente Castro. In quell'occasione sarebbe stato toccato anche il tema dei prigionieri politici. La notizia, riportata da fonti di stampa, che le Autorità cubane avrebbero deciso di trasferire tutti i detenuti politici nelle carceri delle zone di provenienza e di ricoverare in ospedale quelli in condizioni di salute più precarie è stata accolta naturalmente con grande favore e speranza dall'Italia. Si tratterebbe di un primo significativo passo che il Governo italiano si augura possa realizzarsi al più presto. L'Italia continuerà ad esercitare la sua azione per contribuire ad una positiva evoluzione della situazione a Cuba.

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ALLEGATO 2

Interrogazione n. 5-02752 Renato Farina: Sulla situazione interna ed internazionale del Venezuela.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'interrogazione presentata dall'onorevole Farina tocca molti e importanti aspetti della politica estera del Venezuela. Un Paese cui il Governo attribuisce grande rilevanza, nel contesto della nostra azione diplomatica, come conferma la visita del Ministro Frattini a Caracas proprio in questi giorni. Mi soffermerò punto per punto su questi diversi aspetti a cominciare dal quesito sulle spese per armamenti promosse dal Governo colombiano.
Pur essendo indubbia un'attuale tendenza del Venezuela ad ammodernare ed ampliare le proprie forze armate, secondo le fonti di riconosciuta competenza la spesa militare del Paese (1.2 per cento del PIL nel 2005, ultimo dato utile dal «CIA World Factbook») si attesta ben al di sotto della media mondiale (2.4 per cento). Inoltre, sempre secondo le stesse fonti, l'attuale complesso d'arma venezuelano può essere considerato tecnicamente di livello medio-basso nell'ambito della regione latinoamericana, sia per la vetustà che per la quantità ed efficienza degli armamenti nonché per il livello di addestramento del personale militare.
Il Primo Ministro russo Putin, in occasione di una sua visita in Venezuela nell'aprile 2010, ha firmato con il Presidente Chávez alcuni accordi nel settore militare e della difesa. Ad ogni modo si ritiene che, anche qualora i suddetti accordi si concretizzassero integralmente, il livello delle forze armate venezuelane rimarrebbe di media entità, atto ad offrire al Paese capacità difensive ed in tale ottica riconducibili prioritariamente alla difesa della sovranità territoriale. Secondo quando e' dato sapere, peraltro, in molti campi le intese con la Russia non prevedono la fornitura delle strutture logistiche necessarie per rendere operativi i nuovi armamenti; strutture che, per essere realizzate, richiederebbero tempi piuttosto lunghi (fino a 5 anni).
Infine, è da sottolineare come tutta l'area Sudamericana stia attraversando una fase di ammodernamento delle proprie forze armate, sia per ragioni geostrategiche sia per i maggiori impegni assunti dai Paesi della regione nella lotta al narcotraffico: alle forze armate vengono infatti normalmente devoluti, in questi Paesi, compiti in materia di sicurezza ed in particolare in riferimento al contrasto al traffico di stupefacenti.
Quanto, in particolare, ai rapporti di sostegno reciproco con l'Iran, essi vanno inquadrati nella globalità della politica estera venezuelana. Va ricordato, infatti, che la «rivoluzione bolivariana» del presidente Chávez si basa su un modello di mondo multipolare, libero da influenze esterne e caratterizzato da una forte integrazione fra Paesi in Via di Sviluppo.
È in quest'ottica che il Venezuela a approfondito, a partire dal 2005, i suoi rapporti con l'Iran. Nel novembre del 2009 il Presidente Ahmadinejad, nel corso di un periplo che ha toccato altri paesi dell'area incluso anche il Brasile, ha compiuto la sua quarta visita ufficiale in Venezuela durante la quale, come già nelle occasioni precedenti, sono state firmati accordi nei settori elettrico, edilizio, agro-alimentare, ambientale, industriale, economico-commerciale ed energetico.
Il Governo segue naturalmente con attenzione, come tutti i nostri principali

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partners, questi sviluppi. Secondo fonti di riconosciuta competenza, quali, ad esempio, il CSIS (Center for Strategic and International Studies di Washington, che proprio recentemente ha promosso una conferenza internazionale sul tema), le relazioni tra Iran e Venezuela non presentano, nell'attuale fase, rischi immediati per la sicurezza collettiva ma meritano comunque un attento monitoraggio. Peraltro il Venezuela non è l'unico Paese della regione ad aver incrementato i rapporti bilaterali con l'Iran (come confermano le recenti intese sull'uranio iraniano patrocinate dal Brasile).
Per quanto concerne i rapporti del Venezuela con Cuba, essi sono notoriamente basati su una comunanza ideologica; è da notare peraltro che, al di là delle ideologie, ultimamente tutto il subcontinente latinoamericano sta dimostrando compattezza nei confronti di Cuba, tanto che nel dicembre 2008 ne è stata decisa l'ammissione al Gruppo di Rio e nel giugno 2009 l'OSA ha abolito la decisione con cui, nel 1962, aveva sospeso l'Avana dall'Organizzazione.
Vi è poi una comunanza di interessi tra i due Paesi, data dal sistema attraverso il quale Caracas fornisce a Paesi amici petrolio a condizioni particolarmente vantaggiose e Cuba ricambia con l'invio di personale specializzato, soprattutto medico.
Per quanto concerne lo stato della libertà di stampa e dei diritti civili in Venezuela, il Governo italiano e l'Unione Europea, in linea peraltro con quanto fatto dagli Stati Uniti, continuano a cercare di impegnare costruttivamente il Paese sudamericano favorendone comportamenti virtuosi. È dunque in atto un dialogo franco e critico fra la Ue e il Venezuela focalizzato oltre che su temi di mutuo interesse (come la lotta al narcotraffico) sulle libertà fondamentali e l'applicazione dello stato di diritto secondo i criteri standard dell'azione dell'unione Europea in tutte le aree geografiche, condotto, con modalità e geometrie diverse, dai Capi missione in loco e valutato a cadenza periodica regolare a Bruxelles. Il nostro Paese partecipa attivamente e con un ruolo propositivo a queste forme di dialogo, con l'obiettivo di migliorarne la qualità ed ottenere un più attivo coinvolgimento venezuelano.

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ALLEGATO 3

Interrogazione n. 5-02734 Mecacci: Sulle osservazioni del Pontificio Consiglio per la pastorale dei migranti circa i respingimenti verso la Libia.

TESTO DELLA RISPOSTA

Tra gli obiettivi importanti del Trattato di Amicizia tra Italia e Libia figura l'impegno, enunciato all'articolo 19, ad intensificare la collaborazione nella lotta al terrorismo, alla criminalità organizzata, al traffico di stupefacenti e all'immigrazione clandestina (per prevenire quest'ultimo fenomeno si prevede anche la stipula di accordi con i Paesi di origine).
Tali obiettivi vanno sempre perseguiti nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. L'articolo 6 dello stesso Trattato sancisce, infatti, anche l'impegno ad agire in conformità con gli obiettivi e i princìpi della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo. Si tratta, è evidente, di una previsione di carattere generale. Ma è da ritenersi idonea a vincolare le Autorità di Tripoli al rispetto di norme e standard internazionali in materia.
Va inoltre ricordato che la Libia - che non è parte della Convenzione di Ginevra del 1951 e non dispone di una legge nazionale sull'asilo - ha però firmato e ratificato la Convenzione OUA del 1969 sui rifugiati in Africa, il cui ambito è non solo complementare ma per certi aspetti anche più esteso rispetto alla Convenzione di Ginevra.
L'attività dell'UNHCR e dell'OIM in Libia è poi la testimonianza che le Autorità libiche intendono collaborare con le organizzazioni internazionali per una migliore gestione dei rifugiati. Grazie a tale collaborazione, cittadini eritrei, irregolarmente presenti in territorio libico e cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati, sono stati ricollocati in diversi Paesi europei, tra cui l'Italia.
Il trattamento in Libia degli immigrati illegali è del resto all'attenzione degli organi di monitoraggio dei diritti umani dell'ONU. E il negoziato in corso per un Accordo Quadro tra Unione Europea e Libia comprende un ampio capitolo migratorio. La Commissione europea è impegnata, in base al mandato del Consiglio, ad ottenere dalle Autorità libiche anche garanzie in materia di tutela di persone che necessitino di protezione internazionale. Il ruolo primario assunto dall'Italia nei rapporti UE-Libia è stato ampiamente riconosciuto dalla stessa Commissione, che ha voluto il nostro Paese nel ruolo di capofila del progetto «Sahara Med», iniziativa in collaborazione con l'OIM, finalizzata a migliorare le capacità della Libia nella gestione della immigrazione clandestina.
Per quanto riguarda i cosiddetti respingimenti, le operazioni di riconsegna dei clandestini nei porti libici effettuate dal nostro Paese si sono sempre svolte nel rispetto del principio di non refoulement. Come ricordato dal Ministro Maroni, non è stata, infatti, negata ad alcuno dei clandestini intercettati la possibilità di chiedere asilo. Nessuno degli 834 stranieri intercettati e riaccompagnati nel 2009 ha chiesto protezione internazionale né ha fatto sapere di essere perseguitato nel proprio Paese. Nei casi in cui è stata invece chiesta protezione, la riconsegna alla Libia non è stata effettuata e gli stranieri sono stati accolti nel nostro territorio per avviare le procedure previste. Ricordo che i rifugiati complessivamente presenti in Italia sono oltre 100 mila e che il nostro Paese registra tempi nettamente inferiori - sei mesi contro tre

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anni - rispetto alla media europea per la valutazione delle domande di asilo. Segnalo anche che quest'anno non sono state effettuate operazioni di riaccompagnamento.
Il Trattato Italia-Libia ha quindi consentito una drastica riduzione degli sbarchi dei clandestini e un efficace contrasto alle organizzazioni criminali che dal traffico di esseri umani traggono profitto. Quella italiana è una politica che si colloca in un quadro di assoluta legalità internazionale e verso cui guarda con crescente attenzione l'Unione Europea nell'affrontare e gestire l'emergenza migratoria nel Mediterraneo.

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ALLEGATO 4

Interrogazione n. 5-02859 Nirenstein: Sull'inserimento dei Guardiani della rivoluzione iraniana nella lista delle organizzazioni terroristiche dell'UE.

TESTO DELLA RISPOSTA

Il Governo comprende lo spirito che anima l'interrogazione dell'onorevole Nirenstein e ne condivide la finalità ultima, che è quella di attirare l'attenzione sui rischi di destabilizzazione per l'intera area del Medioriente. Lo specifico quesito sollevato in questa interrogazione presenta tuttavia profili di una certa complessità, non solo politica, ma anche tecnica, su cui sono probabilmente opportuno alcune precisazioni.
Il Corpo delle Guardie islamiche rivoluzionarie (comunemente noto come Sepah e Pasdaran) è espressamente menzionato dall'articolo 150 della Costituzione Iraniana che gli attribuisce il compito di salvaguardare lo spirito della rivoluzione e i risultati con essa ottenuti. La costituzione iraniana attribuisce inoltre alla legge il compito di definire le attribuzioni e le responsabilità di questo corpo, tenuto conto della complementarietà con le altre forze armate iraniane.
Con la risoluzione 1747, adottata sulla base del capitolo VII della Carta ONU, il Consiglio di Sicurezza ha disposto una serie di misure sanzionatorie a carico dell'Iran volte a scoraggiare la prosecuzione del programma nucleare avviato da Teheran e a indurre il regime iraniano a implementare la Risoluzione del Consiglio dei Governatori dell'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (AIEA) n. GOV/2006/14.
Al fine di impedire la prosecuzione delle attività legate alla proliferazione nucleare, la Risoluzione 1747 sottopone a misure restrittive alcune persone e alcune società impegnate nel programma nucleare. Fra questi figurano anche membri e imprese del Corpo della Guardie Rivoluzionarie e imprese ad esso riconducibili (l'elenco è contenuto nell'Annex I della risoluzione 1747).
In attuazione della Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, i Paesi Membri hanno adottato misure utili a implementare nei rispettivi ordinamenti gli obblighi derivanti. L'Italia e gli altri Paesi Membri dell'Unione Europea hanno percorso la strada dell'attuazione per il tramite di regolamenti comunitari, immediatamente applicabili in tutti i 27 Paesi Membri.
In particolare, il Regolamento (EC) No 1100/2009 elenca i soggetti e gli enti indicati dalla Risoluzione 1747 con particolare riferimento alle società delle Guardie Rivoluzionarie e ai membri del Corpo dei Pasdaran.
Pertanto, alcuni membri e società del Corpo delle Guardie Rivoluzionarie sono già oggetto di pesanti restrizioni.
Il Governo Italiano non mancherà di proporre un ampliamento dell'elenco dei soggetti e delle società dei Pasdaran qualora dovessero emergere elementi tali da provare un loro legame con la prosecuzione del programma nucleare iraniano.
Più problematica è però, per lo stato attuale di evoluzione del diritto europeo e internazionale, l'ipotesi di inserire l'intero Corpo delle Guardie rivoluzionarie nella lista degli enti con finalità di terrorismo.
Tenuto conto del severo vaglio compiuto dalla Corte di Giustizia Europea è infatti necessario rispettare una serie di criteri formali e sostanziali per effettuare

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un inserimento nelle liste delle organizzazioni terroristiche stilato dalla UE. Il principale requisito è la possibilità di documentare che le autorità competenti (in primis, le autorità giudiziarie) di almeno uno degli Stati membri abbiano preso una «decisione» nei confronti delle persone, gruppi ed entità interessati; dove per «decisione» si intende, se non la condanna formale, quantomeno l'apertura di indagini o di azioni penali, basate su prove o indizi seri e credibili, per un atto terroristico, il tentativo di commetterlo, la partecipazione a tale atto o la sua agevolazione.
In assenza di una tale decisione, nell'elenco possono essere inclusi solo persone, gruppi ed entità individuati dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come collegati al terrorismo e contro i quali esso ha emesso sanzioni.
Nel caso dei Pasdaran - che, torno a ripetere, sono un organo previsto dalla Costituzione iraniana - questi requisito per un «listing» complessivo non sussistono. Ciò non toglie tuttavia che il Governo vigilerà, come accennavo, con la massima attenzione sull'operato dei singoli membri e degli enti riconducibili alla organizzazione per valutare, caso per caso, se vi siano elementi che giustificano un inserimento nelle liste delle organizzazioni terroristiche.