CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 22 dicembre 2010
419.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO

TESTO AGGIORNATO AL 23 GIUGNO 2011

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ALLEGATO 1

5-03903 Angeli: Sull'assegno sociale ai cittadini italiani residenti all'estero.

TESTO DELLA RISPOSTA

Come riassunto dall'Onorevole interrogante, la normativa vigente stabilisce precisi requisiti per l'erogazione dell'assegno sociale ai cittadini italiani e ai titolari ad essi equiparati. Il presupposto fondamentale è la residenza abituale o il soggiorno continuativo in Italia per dieci anni. La questione sollevata riguarda la possibilità di estendere l'erogazione dell'assegno ai connazionali residenti all'estero.
Per quanto riguarda innanzitutto le domande presentate da cittadini italiani prima residenti in Italia e poi emigrati all'estero, l'INPS ha chiarito che il requisito del soggiorno continuativo di dieci anni può essere soddisfatto in qualsiasi periodo di vita, senza che la permanenza in Italia debba svolgersi negli anni immediatamente precedenti alla presentazione della domanda. Ciò permette ad un certo numero di nostri connazionali all'estero di accedere all'assegno sociale.
Evidentemente lo scoglio principale all'estensione generale dell'istituto dell'assegno sociale ai nostri connazionali all'estero è costituito dalle implicazioni finanziarie. Il Ministero dell'Economia e delle Finanze ha stimato che iniziative legislative in merito comporterebbero oneri di entità rilevante per la finanza pubblica, valutabili in prima approssimazione in almeno 500 milioni di euro annui. L'attuale congiuntura economica rende di difficile soluzione l'individuazione di idonea copertura finanziaria.
Va aggiunto che il calcolo del reale volume di potenziali aventi diritto all'assegno sociale all'estero non può che essere approssimativo. È presumibile che - qualora venisse varata una norma in tal senso - si assisterebbe ad un aumento dei richiedenti rispetto a quelli che attualmente si rivolgono ai nostri uffici consolari. Vi sarebbe, inoltre, un probabile aumento delle domande di riconoscimento della cittadinanza italiana iure sanguinis, già numerosissime soprattutto nei quattro principali Paesi dell'America Latina (Argentina, Brasile, Uruguay e Venezuela). Si renderebbe anche necessario verificare attentamente la soglia di indigenza in relazione alle differenti realtà socio-economiche dei Paesi di residenza dei nostri connazionali: ad esempio, un reddito che in Nord America darebbe diritto all'assegno, non lo consentirebbe in Sud America.
Non va poi trascurato l'ulteriore aggravio di adempimenti a carico delle nostre rappresentanze diplomatico-consolari che, oltre a fungere da tramite per la presentazione della domanda all'INPS, dovrebbero effettuare «i necessari accertamenti». Un esercizio da ripetersi peraltro su base annuale per ciascun richiedente, essendo l'assegno erogato sulla base della dichiarazione dei redditi presentata dall'interessato. Appare difficile ipotizzare che gli uffici consolari possano far fronte a tali eventuali nuovi compiti con gli attuali organici che sono, come noto, in costante ridimensionamento a fronte delle restrizioni di bilancio.
In positivo, il Ministero del Lavoro ha rilevato che il nostro ordinamento prevede attualmente una misura specifica per i connazionali all'estero: il cosiddetto «istituto della maggiorazione sociale». Sulla base di disposizioni introdotte dalla legge finanziaria 2002, esso prevede che dal 2003 ai cittadini all'estero in pensione che

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siano in condizioni di difficoltà venga garantito un reddito complessivo - comprensivo dei trattamenti assistenziali e previdenziali anche locali - tale da assicurare un potere d'acquisto equivalente a quello conseguibile in Italia con 516,46 Euro al mese per 13 mensilità, tenendo conto del costo della vita nei rispettivi Paesi di residenza.
Quanto alla situazione dei connazionali residenti in Argentina, gli uffici consolari hanno rilevato che, a seguito della rescissione unilaterale della convenzione sanitaria da parte della società assicurativa Swiss Medical, circa l'84 per cento dei 5.000 connazionali indigenti precedentemente assistiti da quest'ultima ha diritto ad essere assistito dal PAMI, il sistema sanitario pubblico destinato agli ultra sessantacinquenni titolari di pensione argentina. Per il rimanente 16 per cento, pari a circa 800 connazionali, la Farnesina ha messo in atto le seguenti iniziative:
l'erogazione di finanziamenti per la stipula di atti di cottimo con assistenti sociali per integrare l'attività degli uffici consolari a sostegno dei nostri connazionali;
il coinvolgimento di Comites, enti ed associazioni nell'attività di informazione dell'utenza e di assistenza per il disbrigo delle pratiche di adesione al PAMI;
la stipula di appositi atti di cottimo con strutture ospedaliere locali, ove possibile coincidenti con quelle utilizzate dal PAMI;
l'erogazione di sussidi straordinari a favore degli indigenti che vivono in aree remote di circoscrizioni consolari particolarmente estese;
la stipula di apposite convenzioni per la fornitura agevolata dei farmaci agli indigenti con catene di farmacie presenti su tutto il territorio;
il rinnovo degli atti di cottimo già in essere con le case di cura geriatriche;
interventi mirati laddove gli interventi di cui sopra non fossero in grado di garantire uno standard di assistenza adeguato.

Preme, infine, sottolineare che, nonostante la riduzione del 23,46 per cento delle risorse destinate all'assistenza ai connazionali indigenti per il 2011, sulla base di un'attenta valutazione delle esigenze rappresentate dalla rete diplomatico-consolare, la Farnesina ha assegnato ai Consolati in America Latina fondi in linea con quelli del 2010 e ha accolto integralmente le richieste pervenute da quelli in Argentina.

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ALLEGATO 2

5-03997 Narducci: Sulla formazione del personale a contratto del Ministero degli affari esteri.

TESTO DELLA RISPOSTA

La formazione del personale costituisce una priorità del Ministero degli Affari Esteri. Le sfide di un mondo sempre più competitivo ed interconnesso richiedono l'utilizzo di strumenti di lavoro innovativi mirati ad accrescere l'efficienza.
Questi obiettivi sono rispecchiati nell'accordo 2010 sulla formazione professionale firmato dalla Farnesina con le Organizzazioni Sindacali e ricordato dall'On. interrogante.
L'apprendimento di nuovi metodi operativi poggia evidentemente su percorsi formativi permanenti, che nel caso della Farnesina coinvolgono sia l'amministrazione centrale che la rete all'estero. Anche alla luce dell'attuale difficile congiuntura economica, la via da percorrere è l'individuazione di metodi di formazione concepiti sfruttando le potenzialità della tecnologia.
In quest'ottica l'Istituto Diplomatico della Farnesina sta approntando un sistema per mettere a disposizione a distanza - in modalità «e-learning» - moduli formativi dedicati al personale all'estero. Lo svolgimento di corsi interattivi è la chiave per coniugare obiettivi di formazione ed esigenze di bilancio.
L'Istituto Diplomatico ha, ad esempio, reso disponibile sul proprio portale informatico il materiale didattico predisposto per la preparazione del personale amministrativo che recentemente è stato impegnato nella selezione per l'attribuzione della fascia retributiva superiore. Si tratta di un bagaglio formativo mirato sulle attività delle sedi all'estero immediatamente accessibile a distanza anche da parte del personale a contratto.
Al contempo l'Istituto Diplomatico continua a svolgere mirati programmi di formazione professionale presso le strutture del Ministero degli Affari Esteri. In questa cornice personale a contratto ha partecipato quest'anno ai corsi organizzati in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
Nel settore consolare, sulla scia dei corsi svolti in precedenza presso i Consolati a Zurigo, Bruxelles e Monaco di Baviera, nel maggio scorso la Farnesina ha organizzato un seminario d'area di formazione decentrata presso il Consolato Generale di Colonia, al quale ha partecipato anche il personale del Consolato di Dortmund, dedicato al Sistema Integrato di Funzioni Consolari: l'innovativa piattaforma informatica per l'erogazione dei servizi consolari all'estero.
In tutte le sedi dove è stato attivato il Sistema Integrato, si sono tenute sessioni formative per il personale, incluso quello a contratto, che ha potuto verificare immediatamente «sul campo» gli esiti della preparazione acquisita.
Parallelamente la Farnesina ha avviato un programma di installazione informatica del Sistema Integrato che ne ha consentito l'attivazione nelle sedi di San Marino, Lisbona, Tiblisi, e Spaiato, e che a breve lo estenderà anche ai Consolati di Tolosa, Edimburgo, Timisoara e Tirana. Nell'ambito di tale progetto è stata istituita una «task force» che, oltre ad affrontare eventuali criticità sul piano tecnico, fornisce formazione a distanza al personale interessato.

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ALLEGATO 3

5-03998 Orlando: Sulla ratifica della Convenzione dell'Aja del 19 ottobre 1996 in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori.

TESTO DELLA RISPOSTA

L'elaborazione di uno schema di disegno di legge di ratifica della Convenzione dell'Aja in materia di responsabilità genitoriale e misure di protezione dei minori - materia articolata e complessa anche per i risvolti sull'ordinamento interno - ha comportato il coinvolgimento e l'impegno di numerose amministrazioni.
Il Ministero della Giustizia ha coordinato e coordina un tavolo di lavoro cui partecipano, tra gli altri, i rappresentanti dei Ministeri degli Esteri, dell'Interno, del Lavoro, della Salute e delle Pari opportunità.
Come noto, la principale difficoltà è stata posta dal riconoscimento, previsto nella Convenzione, della kafala, istituto di diritto islamico, per certi aspetti assimilabile al nostro affidamento. Ad ottobre, il Ministero dell'interno ha sciolto - limitatamente alla sola kafala giudiziale, cioè l'affidamento disposto con provvedimento dell'autorità giudiziaria locale - la riserva in precedenza formulata. È stato così possibile convocare una nuova riunione del tavolo interministeriale.
A seguito di quell'incontro, il Viminale ha proposto una serie di affinamenti e di modifiche su alcuni punti del testo ancora in discussione. Quasi tutte le proposte sono state accolte dal Ministero della Giustizia e si sta procedendo con il massimo impegno alla definizione di un testo finale condiviso.
Appare opportuno ricordare che la citata Decisione del Consiglio dell'Unione Europea del 5 giugno 2008 prevedeva un termine meramente orientativo per giungere alla contemporanea ratifica dello strumento internazionale. La formula utilizzata (se possibile anteriormente al 5 giugno 2010) porta, infatti, ad escludere che lo spirare del termine possa configurare un inadempimento italiano.
Considerata la comune volontà di tutte le amministrazioni coinvolte di condurre a termine positivamente il lavoro finora realizzato, è comunque prevedibile che a breve, presumibilmente all'inizio del prossimo anno, sia possibile concludere le ultime e residuali verifiche tecniche e portare al Consiglio dei Ministri il disegno di legge di ratifica della Convenzione dell'Aja, che consentirà il recepimento della normativa internazionale nell'ordinamento interno.

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ALLEGATO 4

Indagine conoscitiva sui problemi e le prospettive del commercio internazionale verso la riforma dell'OMC.

DOCUMENTO CONCLUSIVO APPROVATO DALLA COMMISSIONE

Tutti coloro che vanno alla fiera sanno che questa non potrebbe aver luogo se, oltre ai banchi dei venditori i quali vantano a gran voce la bontà della loro merce, ed oltre alla folla dei compratori che ammira la bella voce, ma prima vuole prendere in mano le scarpe per vedere se sono di cuoio o di cartone, non ci fosse qualcos'altro: il cappello a due punte della coppia dei carabinieri che si vede passare sulla piazza, la divisa della guardia municipale che fa tacere due che si sono presi a male parole, il palazzo del municipio, con il segretario ed il sindaco, la pretura e la conciliatura, il notaio che redige i contratti, l'avvocato a cui si ricorre quando si crede di essere a torto imbrogliati in un contratto, il parroco il quale ricorda i doveri del buon cristiano, doveri che non bisogna dimenticare nemmeno sulla fiera.
(Luigi Einaudi, Lezioni di politica sociale)

L'indagine conoscitiva deliberata dall'Ufficio di presidenza della III Commissione della Camera dei deputati il 30 settembre 2008 ha inteso acquisire elementi di informazione sul funzionamento dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e sulle sue proposte di riforma, a fronte dello stallo negoziale dell'agenda di Doha.
La proposta di avviare una disamina complessiva di tale problematica ha tratto spunto dalle risultanze emerse nella sessione annuale della Conferenza parlamentare sull'OMC, svoltasi l'11-12 settembre 2008, a Ginevra, organizzata congiuntamente dall'Unione interparlamentare e dal Parlamento europeo, alla quale ha preso parte, in rappresentanza della Camera, il presidente Stefani.
L'iniziativa - che cadeva in un momento nevralgico delle negoziazioni del Doha Round - si è conclusa con l'approvazione di un documento che riafferma l'impegno dei parlamentari a rafforzare la dimensione parlamentare dell'OMC, nella prospettiva di aumentare la trasparenza dei processi negoziali promosso in seno all'organizzazione. Contestualmente il documento invitava i Parlamenti nazionali di potenziare l'azione di indirizzo e di controllo dell'azione di governo nel settore della politica commerciale e di promuovere una maggiore equità nella liberalizzazione degli scambi.
La Conferenza ha altresì adottato in quella sede un «Codice di condotta» delle relazioni Governo-Parlamenti sulle questioni commerciali internazionali che contiene una serie di stimolanti indicazioni operative di cui sì è tenuto conto nell'articolazione dell'indagine conoscitiva e nelle formulazione di alcune linee propositive, poste alla fine di questo documento.
La Comunità internazionale si trova oggi in una situazione caratterizzata da complessità e fluidità. Lo è sia dal punto di vista politico, dove l'aspettativa che alla fine della Guerra Fredda avremmo rapidamente raccolto i peace dividends è stata messa in crisi dall'insorgere di fattori di insicurezza. Ma lo è anche dal punto di vista economico, poiché è finita l'illusione che una globalizzazione deregolamentata sia in grado di consegnare il benessere automaticamente, sempre e ovunque.

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È quindi importante valutare la questione, che è in primo luogo d'ordine politico-internazionale, della definizione una nuova governance su varie filiere, tra loro interrelate, nel campo economico: la ricerca di meccanismi aggiornati di vigilanza sui mercati finanziari per garantirne la stabilità ed una efficienza duratura; la tutela della proprietà intellettuale e la lotta alla contraffazione; infine, l'esigenza di conseguire nuove regole commerciali nei vari settori primario, secondario e terziario, a beneficio dei Paesi avanzati, dei Paesi emergenti e dei Paesi che sono ancora oggi fuori dai circuiti economici internazionali.
L'indagine si è articolata in cinque sedute, tenute dalla Commissione fra il settembre 2008 ed il luglio 2010, durante le quali sono stati ascoltati il direttore generale per la cooperazione economica e finanziaria multilaterale del Ministero degli Affari esteri, Giandomenico Magliano (26 novembre 2008), il presidente dell'ICE, Umberto Vattani (9 dicembre 2008), il rappresentante permanente italiano presso le Organizzazioni internazionali a Ginevra, Giovanni Caracciolo di Vietri (21 gennaio 2009), il sottosegretario di Stato per lo sviluppo economico, Adolfo Urso (19 febbraio 2009), ed il vice direttore generale della Direzione generale per il commercio della Commissione europea, Péter Balás (7 luglio 2010).

Il fallimento del Doha Round

Il negoziato commerciale multilaterale nell'ambito dell'OMC venne lanciato a Doha (Qatar) alla fine del 2001, dopo il fallimento del vertice di Seattle, avvenuto anche sulla base delle manifestazioni che lì si manifestarono, all'indomani della tragedia delle «torri gemelle», in un clima «volontaristico» di ripresa dell'attività internazionale e alla ricerca di una rinnovata «solidarietà» anche in campo commerciale e di lotta alle spinte protezionistiche.
L'Agenda concordata era molto ambiziosa e poneva particolare attenzione alle esigenze dei Paesi in sviluppo, tanto che il negoziato fu da allora conosciuto come l'Agenda di Doha per lo sviluppo.
I temi negoziali all'ordine del giorno riguardavano l'agricoltura (smantellamento delle sovvenzioni all'export, riduzione sostanziale del sostegno interno e apertura dei mercati, incluso quello europeo), i NAMA o prodotti industriali (riduzione delle tariffe e delle misure non tariffarie), i servizi, la facilitazione degli scambi, nonché alcuni temi nuovi (i cosiddetti «temi di Singapore», investimenti, concorrenza, appalti pubblici), successivamente usciti dal negoziato - durante, purtroppo, il vertice di Hong Kong del dicembre 2005 - per l'opposizione dei Paesi in via di sviluppo. Di particolare interesse italiano, erano state inserite le indicazioni geografiche, e fu considerato un successo per le aspettative e le prospettive del nostro Paese.
Spentosi progressivamente lo «spirito di Doha», emerse rapidamente la complessità del negoziato, il cui punto nodale era costituito dall'agricoltura, come nella maggior tradizione dei passati negoziati GATT: le discussioni si concentrarono così su questo tema, al quale fu affiancato quello dell'accesso al mercato di prodotti industriali, nel tentativo di riequilibrare il livello delle concessioni.
Il Round ha conosciuto un nuovo momento di crisi nella riunione ministeriale del luglio 2008 a Ginevra, proprio quando si pensava si fosse giunti ad un punto di svolta, che avrebbe consentito di procedere speditamente verso la conclusione e anticipare gli effetti della recessione economica internazionale.
Il confronto sull'agricoltura, in particolare, ha finito per condizionare ancora una volta negativamente l'esito complessivo del negoziato. Ma aperti contrasti si sono manifestati anche sulle altre aree tematiche più importanti del confronto, ovvero l'abbassamento delle tariffe sui prodotti industriali e le liberalizzazioni dei servizi. Gli Stati Uniti, da un lato, non hanno concesso sufficienti riduzioni sul fronte del sostegno interno in campo agricolo; l'Unione europea, dall'altro, è apparsa

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più che mai divisa e su una posizione troppo difensiva sul tema dell'accesso al mercato per i prodotti agricoli; e i paesi del G-20 non hanno voluto offrire più di tanto in termini di accesso al mercato dei prodotti industriali e dei servizi.
Per quanto riguarda i prodotti industriali, l'Italia avrebbe conseguito vantaggi dalla grande apertura dei propri prodotti nei mercati dei Paesi OCSE, i più ricchi ed avanzati, e da una riduzione sensibile del livello dei dazi consolidati nei Paesi emergenti e degli ostacoli non tariffari, molto importanti per le piccole e medie imprese. Alcuni Paesi emergenti, ma anche il Giappone con le calzature, stanno cercando di porre ostacoli non tariffari, quali quelli doganali o certificazioni di qualità.
Le difficoltà intrinseche del quadro negoziale giustificano parzialmente le difficoltà commerciali degli ultimi anni. Dai primi round negoziali che vedevano coinvolte poche decine di Paesi si è passati oggi ad un'organizzazione di 153 membri, portatori di diversi interessi, e una ventina di aree tematiche negoziali. Le trattative diventano, quindi, molto complesse soprattutto a fronte della volontà della Russia di aderire all'OMC e della membership già consolidata della Cina.
Ma la tornata negoziale è fallita per cause più profonde che si sono manifestate pesantemente ed a più riprese in questi anni. In questo senso, le forti difficoltà sperimentate dal Doha Round non possono essere considerati quali incidenti di percorso, a cui porre riparo con qualche accorgimento ad hoc.
Alla radice di queste difficoltà vi è una ragione di fondo: il venir meno in questi ultimi anni dei rapporti di forza e degli equilibri negoziali che avevano assicurato il successo di tutti i precedenti round commerciali, svoltisi in sede GATT prima ed OMC poi. Quel modello negoziale prevedeva un accordo tra Stati Uniti e Unione europea, da estendere poi al resto dei paesi: un duopolio che ha cominciato a non funzionare più in occasione della conferenza di Seattle ed è clamorosamente fallito a Cancun.

Le ragioni del multilateralismo del bilateralismo in un'epoca di recessione globale

Una ricerca dell'Università del Michigan ha rilevato che se le barriere attuali nel settore primario, secondario e terziario si riducessero di un terzo, ci sarebbe un aumento della ricchezza mondiale pari a 574 miliardi di dollari. Altri studi presentano risultati più modesti o più ottimistici in un range che va da 84 a 287 miliardi annui a partire dal 2015, altri ancora indicano un aumento di ricchezza fino a 3 mila miliardi di dollari annui.
Il problema commerciale è il primo e più antico dei problemi della governance economica mondiale. La consapevolezza ed il consenso sui benefici della massima libertà commerciale sono molto diffusi. Questa consapevolezza e questo consenso fanno tesoro di tante esperienze dei costi del protezionismo e delle guerre commerciali e si basano anche sul fatto che protezioni e sussidi piuttosto efficaci si possono introdurre facilmente e altrettanto facilmente possono essere restituiti scatenando battaglie dove tutti finiscono per perdere.
Non vi è dubbio che la soluzione multilaterale rimanga cruciale per governare le relazioni commerciali internazionali. Le motivazioni alla base del negoziato multilaterale sono di tipo squisitamente «politico»: in un confronto negoziale complessivo è più facile effettuare scambi e reciproche concessioni e, al crescere del numero dei settori negoziali e degli «scambi» intersettoriali, aumenta la possibilità che il gioco alla fine diventi a «somma positiva».
La crisi economico-finanziaria di questi anni ha indotto molti Paesi ad adottare misure che potrebbero, alla lunga, avviare una involuzione protezionistica su scala più ampia.
La tendenza è emersa già prima del pieno manifestarsi della crisi. Una prima condizione che ha spinto in questa direzione è stata la temporanea scarsità di prodotti agricoli nel 2007, perdurata per la

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prima metà del 2008, che ha portato alcuni produttori a introdurre misure restrittive relative all'export.
È possibile notare una serie di fattori specifici che caratterizza le misure messe in atto. Si è parlato infatti di murky protectionism, o «protezionismo strisciante». Questo perché non sono state introdotte, a parte qualche rara eccezione, misure in violazione egli accordi presi in sede multilaterale con l'OMC, ma è stata più volte ventilata la possibilità di ricorrere ad alcune misure «legittime».
L'Italia, essendo un Paese importatore di materie prime ed esportatore di prodotti finiti, quindi Paese trasformatore, ed essendo uno dei più grandi Stati esportatori al mondo, ha necessità, come e più degli altri, di contrastare questo tipo di spinte. Importando materie prime, ha bisogno che esse costino il meno possibile; esportando prodotti finiti, ha bisogno che essi trovino liberamente i mercati mondiali e al miglior prezzo. Abbiamo quindi, più di altri, la necessità che il mondo non alzi barriere e protezioni e non ostacoli i commerci.
Sembra comunque prevedibile che, una volta usciti dalla grave crisi in corso, l'integrazione tra le principali economie e il processo di globalizzazione, sospinti dai processi di frammentazione produttiva, continuino nei prossimi anni.
È quindi ipotizzabile una crescita del bilateralismo e degli accordi commerciali preferenziali tra paesi, che già nel corso di questi ultimi anni hanno fatto registrare una forte accelerazione. In pochi anni il numero di tali accordi è cresciuto in modo spettacolare, divenendo uno strumento largamente utilizzato dalla quasi totalità dei paesi membri dell'OMC.
Anche i paesi dell'Asia, rimasti per decenni al margine delle iniziative regionali, hanno cominciato a promuovere con intensità crescente accordi commerciali bilaterali e plurilaterali. La Cina è stato il paese più attivo e le iniziative cinesi con i paesi membri dell'Associazione delle nazioni dell'Asia sud-orientale (ASEAN) e l'India hanno spinto prima il Giappone, poi la Corea del Sud e la maggior parte dei paesi asiatici ad adottare strategie simili e in parte concorrenti.
Va inoltre considerato che, al di là delle classiche barriere tariffarie, i governi possono mettere in atto oggi discriminazioni nei confronti dei prodotti importati utilizzando misure domestiche di vario genere, giustificabili in nome della tutela della salute, dell'ambiente e della sicurezza dei propri cittadini, e quindi in forme del tutto compatibili con gli standard fissati a Ginevra.
A ciò si aggiunga che l'Europa e l'Italia sono tra le aree e paesi più avanzati quelli che rischiano di più da un arretramento o riduzione del grado di apertura e integrazione economica internazionale. Serve, dunque, una difesa e un rilancio del sistema di regole commerciali, attraverso un rinnovato impegno dei governi europei a favore del regime commerciale multilaterale.
Assicurare il buon funzionamento del regime commerciale nella sua nuova veste multipolare è comunque tutt'altro che facile. Richiede revisioni profonde, vere e proprie riforme, dei meccanismi e delle regole negoziali multilaterali. È un problema di governance globale assai complesso che andrebbe affrontato, indipendentemente dall'esito del Doha Round, per evitare che l'OMC si trasformi in un'organizzazione sempre più paralizzata nella sua capacità di decisione e sempre più marginale, come già accaduto ad altre organizzazioni simili in passato.

L'assetto attuale e le ipotesi di riforma dell'OMC

Anche i più duri critici del processo di globalizzazione riconoscono che, benché non propriamente efficace, quella dell'OMC è certamente un'esperienza avanzata del multilateralismo operativo. La prima ragione è la sua articolazione strutturale, che regge su tre componenti distinte: una componente di dibattito intergovernativo, una componente di controllo del rispetto delle regole vigenti e, quel che più conta, una componente sanzionatoria,

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anche questa ancora molto imperfetta, ma certamente esistente, che fa la differenza rispetto ad altre grandi agenzie multilaterali, in particolare delle Nazioni Unite.
L'autentico acquis dell'OMC, fino ad oggi, sembra risiedere proprio nell'avere definito una cornice di organizzazione, non un semplice trattato con i suoi seguiti, nella quale esiste un sistema giuridico sui generis e la possibilità di assicurarne la piena osservanza.
Nondimeno, al di là della mera dimensione giuridico-internazionale, l'OMC è veramente globale sotto il profilo della partecipazione: in questo senso rappresenta un presidio prezioso del multilateralismo, in un mondo che rischia la frammentazione e lo scontro tra blocchi e potenze economiche nonostante la globalizzazione dell'economia produttiva (la filiera internazionale dei prodotti non solo nell'ambito delle multinazionali) e dei mercati di capitali.
L'articolazione strutturale dell'Organizzazione attuale è erede, sin dal 1o gennaio 1995, del GATT (General Agreement on Tariffs and Trade), del 1947, evoluto in un vero e proprio sistema intergovernativo.
Le decisioni vengono prese dagli Stati membri che sostanziano in maniera articolata ed a vari livelli una sorta di corpo legislativo che è chiamato poi, nell'ambito dei vari cicli negoziali, a prendere decisioni per la formazione delle nuove regole degli scambi mondiali.
L'Accordo di Marrakesh del 1994 ha prodotto un vero e proprio salto qualitativo: il complesso degli accordi dell'Uruguay Round ha comportato un ampliamento notevole del campo di applicazione delle normative concordate. Tale ampliamento era necessitato dall'espansione negli ultimi venti anni del commercio internazionale per settori e per modalità. La facilità dei trasporti, la fornitura a distanza di molti servizi (ad esempio finanziari, professionali), lo sviluppo delle telecomunicazioni, di internet e la nascita del commercio elettronico avevano infatti reso obsolete molte delle vecchie regole.
Sulla base di questo corpus iuris, la struttura dell'OMC si articola su quattro livelli: quello generale della Conferenza ministeriale che dovrebbe riunirsi ogni due anni; quello del Consiglio generale, sotto la Conferenza ministeriale; quello dei Consigli per le materie (GATT, GATS e TRIPS); quello dei comitati specifici, che costituiscono la struttura sottostante al Consiglio generale. Vi è infine, una struttura (TNC) per così dire, parallela, creata per promuovere l'avvio e la gestione dei nuovi round, in questo caso, ad esempio, del Doha Round.
Il processo decisionale dell'OMC è basato sulla regole del consensus, molto complicato da gestire ma nondimeno fonte di grandi garanzie. Infatti, sulla base del principio introdotto nel Doha Round del single undertaking - ossia, nessun accordo si raggiunge se non sono raggiunti contemporaneamente accordi in tutti i settori oggetto di negoziato - il principio del consensus, se da un lato complica il raggiungimento di una intesa generale, dall'altro permette, essendo il voto riservato a ciascun Paese membro (nel caso dell'Unione europea a tutti i 27 Paesi membri, ma non si è mai praticato il voto), di mantenere un legittimo margine di manovra dato dalla possibilità di opporre il diritto di veto.
Su questo si innesca un meccanismo che spesso è stato criticato, quello del procedere secondo formati decisionali ristretti (le cosiddette Green Room) composti secondo specifici equilibri geografici destinati a facilitare la via verso la formazione del consenso proprio perché si assottiglia il numero di coloro che concorrono alla decisione; questo è l'aspetto positivo. L'aspetto negativo di questi formati di lavoro è di isolare naturalmente certi attori diciamo minori che certamente contestano la democraticità di tale modus operandi.
Un punto problematico è rappresentato dalle condotti di alcuni dei player principali, India e Cina per esempio, che agiscono con modalità e finalità (anche geopolitiche)

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diverse. In questo quadro si va innescando un altro degli aspetti, ovvero la richiamata proliferazione di accordi regionali e bilaterali che, seppur rappresentando una via più semplice da seguire, tendono a favorire solo le parti in contatto tra di loro e che, al tempo stesso, rischiano di compromettere gli interessi principali di Paesi in via di sviluppo.
Le strategie da perseguire a più lungo termine per un rilancio e rafforzamento dell'OMC sono le più varie e comprese tra due estremi: da un lato, ci sono quelli che vogliono delimitare il ruolo dell'organizzazione di Ginevra perché resti un foro intergovernativo e torni ad occuparsi dei temi commerciali più tradizionali, ovvero le barriere tariffarie; dall'altro quelli che chiedono l'estensione dell'agenda dell'OMC, sino ad includere i nuovi temi del commercio, anche quelli di «seconda generazione» (investimenti, concorrenza, politiche per l'ambiente e per il lavoro), e spingono per l'adozione di procedure più trasparenti, meccanismi di coinvolgimento del settore privato e delle organizzazioni non governative (Ong).
Nel rinnovare le sue regole il sistema commerciale multilaterale si troverà a dover fronteggiare una sfida che taglia trasversalmente la rete di accordi e negoziati ed è la ricerca di soluzioni efficaci alla cosiddetta «dimensione dello sviluppo»che riguarda i Paesi in via di sviluppo, membri dell'OMC.
Gli Stati che aderiscono all'OMC si trovano infatti a diversi stadi di sviluppo: conseguentemente, va ricercato un difficile equilibrio tra l'universalità degli impegni e i diversi contesti di applicazione di tali impegni.La «dimensione dello sviluppo» è un tema centrale per il rilancio dell'Organizzazione. Essa riguarda vari aspetti: i contenuti (il trattamento speciale e differenziato per i Pvs), l'accesso libero (senza dazi per i Paesi meno avanzati - Pma); i tempi (diverse fasi di attuazione); l'enabling environment (i programmi di assistenza tecnica e di capacity building); la riforma dei meccanismi decisionali (vedi poi).
Infine, sono in molti a denunciare le gravi insufficienze dell'attuale struttura organizzativa e dei meccanismi di funzionamento dell'OMC. Il sistema decisionale del GATT funzionava bene perché coinvolgeva pochi paesi e i temi tariffari da negoziare erano relativamente semplici. I paesi che partecipano oggi al OMC sono molto più numerosi ed eterogenei e gli stessi temi oggetto dei negoziati presentano una complessità crescente. Occorre dunque migliorare i meccanismi interni di decisione e accrescere la trasparenza esterna. La richiesta di riforme in tal senso viene non solo dai nuovi attori, quali i paesi emergenti più influenti ed i Paesi meno avanzati (Pma), largamente marginalizzati nei processi decisionali, ma anche da molti paesi sviluppati.
Il direttore generale Pascal Lamy ha più volte parlato, a proposito dei meccanismi organizzativi dell'OMC, di un «sistema medievale» di decisione e di una struttura di tipo «bizantino». Entrambi vanno riformati, anche se va mantenuto il delicato equilibrio tra miglioramento dell'efficacia ed ampliamento della partecipazione e del consenso.
L'Italia, paese importatore di materie prime ed esportatore di prodotti finiti, necessita di un commercio senza dazi o ulteriori ostacoli commerciali e intende creare un «osservatorio» nazionale, facente capo al Ministero dello sviluppo economico, al fine di monitorare continuamente tutti i fenomeni ostativi all'internazionalizzazione delle imprese italiane nei mercati esteri.
In tale ottica, la conclusione del Doha Round obbligherebbe i paesi in via di sviluppo e quelli emergenti a consolidare i propri dazi al livello più basso, senza aumentarli arbitrariamente, e rimuoverebbe, armonizzandoli, tutti quegli ostacoli non tariffari, spesso surrettiziamente protezionistici, che questi Paesi stanno moltiplicando.
Per rafforzare il ruolo del OMC è necessario creare nuove regole e strumenti in grado di modellare sia la struttura, sia la composizione degli accordi preferenziali così da ridurre la potenziale discriminazione

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nei confronti dei paesi terzi. Il problema è che gli strumenti e le regole a disposizione del OMC per evitare e/o minimizzare le distorsioni del commercio mondiale derivanti dal regionalismo si sono sempre rivelati difficili da utilizzare perché ambigui e incompleti. Anzi, in questi anni non sono mai stati veramente utilizzati per evitare che gli accordi preferenziali generassero distorsioni e ostacolassero il rafforzamento del sistema commerciale multilaterale. Sarebbe dunque importante che questi strumenti e regole siano rivisti, modificati e possibilmente rafforzati.

La posizione dell'Unione europea

L'Unione europea agisce in seno all'OMC come un unico attore, in particolare attraverso la Commissione europea che interviene a nome dell'Unione nella maggior parte delle riunioni dell'Organizzazione e nella negoziazione degli accordi commerciali.
La partecipazione ai negoziati promossi dall'OMC è regolata nel quadro delle disposizioni relative alla conclusione di accordi relativi alla politica commerciale di cui all'articolo 207, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Le negoziazioni sono condotte dalla Commissione, che riferisce periodicamente al comitato speciale e al Parlamento europeo sui progressi dei negoziati.
Il 28 ottobre 2005, in vista della Conferenza ministeriale di Hong Kong del dicembre 2005, l'Unione europea ha presentato una serie di proposte relative ai negoziati del Doha round che costituiscono tuttora, come indicato nelle conclusioni del Consiglio in più occasioni, la posizione negoziale dell'UE.
Tali proposte vertono sull'accesso al mercato agricolo, nonché su una serie di richieste in altri settori, compresi l'accesso al mercato non agricolo, i servizi, le norme e lo sviluppo. L'offerta agricola è subordinata ai progressi realizzati in altri settori.
In particolare, per i tre pilastri del negoziato agricolo (sussidi all'esportazione, aiuti interni e accesso ai mercati), l'UE ha proposto:
la riduzione del 70 per cento degli aiuti interni della scatola gialla o amber box (quelli aventi effetti di distorsione sugli scambi): tale riduzione è stata attuata dall'UE con la riforma della PAC nel 2003; una riduzione più rilevante invece per gli aiuti del blue box (aventi effetti di distorsione di portata minore);
eliminazione dei sussidi alle esportazioni ad una data precisa se gli altri membri dell'OMC assumono il medesimo impegno;
una riduzione dei dazi doganali del 60 per cento per quelli più elevati, mentre per quelli meno elevati la riduzione proposta va dal 35 al 60 per cento;
una riduzione del numero dei prodotti sensibili (in particolare, l'UE ha proposto una riduzione di tale numero pari all'8 per cento di tutti i suoi prodotti agricoli);
riduzioni tariffarie anche per i prodotti sensibili e contingenti tariffari maggiori che renderanno più accessibile il mercato comunitario;
un trattamento preferenziale per i paesi in via di sviluppo: per tali paesi la riduzione tariffaria sarà fissata ai due terzi di quella dei paesi sviluppati, mentre per i paesi meno sviluppati non sarà richiesta alcuna riduzione;
una lista internazionale volta alla protezione delle indicazioni geografiche in tutti gli stati membri dell'OMC.

Le proposte avanzate dall'Unione europea in campo agricolo sono strettamente condizionate all'accettazione da parte dei membri dell'OMC di un certo numero di richieste in aree negoziali estranee all'agricoltura:
per quanto riguarda il commercio dei beni industriali, l'UE vuole che sia raggiunto un accordo su una formula progressiva

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per la riduzione delle tariffe applicate dai paesi sviluppati e dai più competitivi tra i paesi in via di sviluppo;
relativamente ai servizi, l'UE chiede che si raggiunga un accordo su obiettivi nazionali ambiziosi e vincolanti nei settori che devono essere liberalizzati;
l'UE ribadisce la proposta di creare un registro internazionale di protezione delle indicazioni geografiche in tutti i paesi membri dell'OMC;
l'UE chiede, inoltre, discipline più stringenti su una serie di temi, inclusi tutti i maggiori ostacoli al commercio internazionale (prevenzione dell'uso abusivo di strumenti anti-dumping; incremento della trasparenza; riduzione sostanziale dei costi dei procedimenti anti-dumping; rafforzamento degli obblighi anti-dumping);
sul tema dello sviluppo, l'UE vuole raggiungere l'accordo su un significativo pacchetto di misure che preveda, tra l'altro, l'accesso libero da quote e tariffe per tutti i paesi meno sviluppati al mercato dei paesi sviluppati; la garanzia che la reciprocità in termini di apertura al mercato non sia richiesta ai paesi meno sviluppati nell'attuale fase negoziale; un pacchetto di aiuti al commercio.
La conclusione dei negoziati dell'Agenda di Doha per lo sviluppo costituisce tuttora una priorità dell'Unione europea, come indicato nel programma di 18 mesi del Consiglio UE, presentato il 22 dicembre 2009 dalle Presidenze spagnola, belga e ungherese, che si prefiggono di operare ai fini di un accordo globale, completo ed equilibrato nell'ambito del Doha Round.

Nel Doha Round l'Unione europea - come ha ricordato il vice Direttore generale Balás - sta cercando di svolgere un ruolo di mediazione: Bruxelles è infatti fortemente interessata a un migliore accesso al mercato, a migliori possibilità per le esportazioni dei prodotti industriali, a un miglior accesso ai servizi, ma l'UE ha un atteggiamento difensivo quando si parla di agricoltura e della possibilità di aprire le importazioni di prodotti agricoli dall'estero, dal territorio extra UE. Da parte europea si ritiene comunque che dopo il 2008 sia stato preparato un pacchetto accettabile, anche se gli Stati Uniti vogliono cambiarlo per ottenere una maggiore apertura dei mercati delle economie emergenti.
Un miglior accesso ai mercati e migliori possibilità per le esportazioni sono tra gli elementi più importanti dei negoziati di Doha, che si occupano anche dell'ulteriore sviluppo delle norme internazionali dell'OMC che regolano il commercio. Per l'UE ci sono numerosi interessi offensivi in questo ambito, per quanto riguarda ad esempio il settore delle indicazioni geografiche, ovvero ottenere una maggiore protezione per prodotti come il Prosciutto di Parma o il Parmigiano. Si tratta di marchi italiani, ma che rappresentano un importante interesse per l'esportazione agricola degli Stati membri dell'Unione europea. Queste denominazioni geografiche non hanno una sufficiente protezione come nel caso, invece, dei marchi registrati e costituisce uno dei settori di maggiore interesse per l'UE e per il nostro Paese.

Linee di proposta

La concorrenza. L'Italia può farsi portatrice, anche in sede europea, di una proposta di definizione di un sistema multilaterale delle regole di concorrenza, in grado di fissare una disciplina uniforme delle pratiche anticompetitive che avvengono nel mercato internazionale.
In questo modo verrebbe soddisfatto il bisogno degli operatori economici privati di poter operare nei diversi mercati nazionali e regionali sulla base di regole eque e trasparenti in conformità agli standard internazionali eventualmente fissati. Inoltre, il principio di extraterritorialità non verrebbe più applicato alla disciplina della concorrenza, elemento questo che rischiava di penalizzare gli Stati dotati di una legislazione e una prassi meno evoluta in materia.
Il primo passo del percorso che dovrebbe portare a questo risultato è l'introduzione,

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in tutti gli Stati membri dell'OMC, di normative di base in materia di concorrenza, che definiscano ambito di applicazione della normativa, ruolo delle attività amministrative e del potere giudiziario e casi di esenzione o limitazione delle stesse. A livello multilaterale, poi, la tutela della concorrenza dovrebbe essere ispirata a principi di non discriminazione, trasparenza nonché su criteri di progressività ed elasticità, in considerazione del diverso grado di sviluppo dei paesi membri.
Accesso al mercato, barriere tariffarie e non tariffarie, condizioni di reciprocità. L'impegno del Governo italiano su questa tematica dovrebbe essere volto a garantire condizioni equilibrate di accesso al mercato per quei settori industriali che si trovano di fronte alla mancanza di reciprocità in molti Paesi membri dell'OMC o che soffrono per la carenza di materie prime a livello europeo e necessitano di approvvigionarsi sui mercati terzi.
Per quanto riguarda l'Italia, questo dossier tematico assume una particolare rilevanza: basti pensare, in tema di materie prime, alla forte dipendenza energetica che caratterizza il nostro Paese e che porta la bilancia commerciale con l'estero ad un deficit complessivo attestatosi, secondo gli ultimi dati disponibili (gennaio-settembre 2010), sui 19 miliardi di euro.
Un altro aspetto su cui intervenire in sede di negoziazione multilaterale potrebbe essere una maggiore armonizzazione delle strutture tariffarie tra i Paesi membri dell'OMC.
Anche l'eliminazione delle barriere paratariffarie e non tariffarie, la cui difficoltà di individuazione crea gravi difficoltà alle aziende e rende problematico l'ingresso in diversi mercati.
L'impegno italiano deve concentrarsi sull'eliminazione di tutte le misure non tariffarie identificate e per il rafforzamento dei meccanismi di vigilanza sull'introduzione di nuove misure non tariffarie in futuro. La crisi ha dato una forte spinta in questo senso, tantoché, per evitare la corsa di diversi Stati all'adozione di misure protezionistiche, è stato creato un sito indipendente, il Global Trade Alert, che raccoglie dati sui provvedimenti di questo tipo adottati da tutti i Paesi.
Non esiste però un analogo strumento che consenta di censire e sistematizzare le misure protezioniste adottate nel periodo pre-crisi. Per questo, il Governo italiano potrebbe presentare una proposta di introduzione di un'analoga piattaforma, da realizzare con il contributo attivo degli Stati membri, che non solo offra alle imprese un quadro più esaustivo dei provvedimenti restrittivi già in vigore, ma che sia funzionale anche all'eventuale ricorso ai meccanismi giurisdizionali dell'Organizzazione.
Sempre in ambito OMC, potrebbe istituirsi, inoltre, un apposito sportello al quale le imprese possano rivolgersi per segnalare le misure non tariffarie non ancora identificate o di nuova istituzione, in modo da garantire una loro più efficace individuazione e persecuzione.
Importante, infine, è prevedere procedure più rapide di intervento dell'OMC nei confronti di quei Paesi che non rispettano gli accordi sottoscritti.
Ostacoli tecnici agli scambi. Il permanere di ostacoli alla circolazione delle merci - dovuti alla diversità, tra gli Stati, delle normative che disciplinano le modalità di fabbricazione, composizione, imballaggio, confezionamento ed etichettaggio dei prodotti - rappresenta un problema per le aziende italiane esportatrici, soprattutto per quelle di piccola e media dimensione. Per questo il Governo italiano potrebbe impegnarsi affinché:
venga assicurato supporto tecnico, anche attraverso un'apposita Agenzia, ai paesi membri dell'OMC, in particolare ai Paesi in Via di Sviluppo, per l'adozione di norme internazionali in materia (capacity building);
vengano riconosciute a livello mondiale le certificazioni di conformità emesse dagli Stati che hanno già adottato le norme internazionali. In sintesi, un prodotto certificato in un Paese che risponde alla normativa vigente in ambito internazionale per quel determinato prodotto,

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deve poter essere dichiarato idoneo anche in quei Paesi che non si sono uniformati a tali norme e quindi poter circolare liberamente.

Tutela della proprietà intellettuale. La tutela della proprietà intellettuale ha assunto una maggiore importanza a fronte del progressivo emergere del fenomeno della contraffazione dei marchi e dei brevetti e del plagio dei modelli e del design industriale.
Oltre al rafforzamento delle regole di tutela, per le imprese italiane è necessario che vengano comunque salvaguardati adeguati controlli a livello doganale, dato che non sempre gli interventi sui Paesi che producono beni contraffatti riescono ad essere efficaci.
Agricoltura. Oltre ai tre capitoli di base del negoziato (»sostegno interno»; «accesso al mercato»; «sostegno all'esportazione»), il Governo italiano potrebbe portare avanti, anche in questo ambito negoziale, il suo impegno sul fronte delle indicazioni e delle denominazioni di origine sostenendo la costituzione di un registro internazionale volto ad individuare ed eliminare le contraffazioni che oggi avvengono in altri Paesi aderenti all'OMC.
Per l'industria alimentare italiana, inoltre, potrebbe risultare utile un impegno del Governo su tre temi importanti:
l'effettiva armonizzazione delle nomenclature dei codici doganali e statistici;
il miglioramento delle regole sulla risoluzione delle controversie, necessario soprattutto in considerazione del coinvolgimento frequente di imprese del settore in indagini antidumping e antisovvenzione;
l'inserimento, all'interno della tematica agricola, delle problematiche collegate alla tutela ambientale e alle produzioni eco-compatibili.

I prodotti non agricoli (NAMA). Questo dossier negoziale risulta di fondamentale importanza, dal momento che riguarda ben l'80 per cento degli scambi, siccome al suo interno sono ricompresi non solo i prodotti industriali ma, ad esempio, anche quelli della pesca.
Gli obiettivi in questo ambito sono:
la riduzione o l'eliminazione dei picchi tariffari e dei dazi più elevati e progressivi;
la conversione dei dazi specifici1 in dazi ad valorem2;
far fronte alle ripercussioni che l'adozione di determinate disposizioni avrà sul mercato del lavoro nei Paesi sviluppati, all'impatto della liberalizzazione sulle risorse naturali, come pesca e legname, e infine alla protezione dell'ambiente e al mercato dei beni e dei servizi ambientali.

Servizi. Seri contrasti sono emersi tra gli Stati membri su come procedere con il negoziato sui servizi. Le ragioni dello stallo sono molteplici.
Per quanto riguarda i PVS, esse sono attribuibili, da un lato, ad una scelta tattica precisa, volta al conseguimento di risultati prima su altri tavoli negoziali, dall'altro, ad una difficile liberalizzazione a causa della mancanza di competenze tecniche.
Le principali problematiche che interessano i paesi sviluppati concernono invece la struttura dei mercati del lavoro, la tendenza da parte dei governi a favorire un certo tipo di mobilità, ossia a scegliere quali lavoratori e da dove debbano spostarsi, il ruolo incerto rivestito dalle organizzazioni dei consumatori, la ridotta pressione esercitata dai produttori interessati alla liberalizzazione, e, non ultimo, il fatto che le società multinazionali, una volta impiantata in un determinato territorio la propria attività imprenditoriale, non abbiano interesse a contribuire all'apertura di quel mercato.

1. L'ammontare dei dazi specifici può essere commisurato al peso, alla lunghezza, alla capacità o al volume delle merci introdotte nello Stato: si fa, cioè, riferimento alla struttura fisica dei prodotti.
2. L'importo dei dazi ad valorem viene stabilito in proporzione al prezzo della merce che attraversa i confini dello Stato.

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Per l'Italia, può essere importante prendere posizione per ridare slancio ai negoziati su questo dossier. Il nostro Paese, infatti, non potrà che trarre beneficio da una maggiore liberalizzazione del mercato del terziario, in particolare quello europeo, la quale favorirebbe la competitività delle piccole imprese, consentendo loro di acquistare servizi a prezzi più convenienti.
Commercio e Investimenti. L'impegno italiano per favorire gli investimenti potrebbe concretizzarsi nella proposta di realizzare, in ambito OMC, un corpus di regole di base che disciplini il settore, alla cui stesura siano chiamati a partecipare anche i PVS, in modo da responsabilizzarli al riconoscimento e al rispetto di quelle regole che contribuiranno loro stessi a definire.
In particolare i principi guida proposti potrebbero essere:
Trasparenza, per l'accessibilità delle informazioni e la piena conoscenza delle regole interne ai singoli Stati;
Non discriminazione, trattamento nazionale e della nazione più favorita;
Accesso al mercato, per gli investitori esteri ed i capitali;
Protezione completa dell'investimento contro le espropriazioni illegali;
Libero trasferimento dei capitali e di tutti i pagamenti connessi con l'investimento, senza alcuna restrizione;
Meccanismo di risoluzione delle controversie tra Stato ed investitore estero.

Riforma dell'Organizzazione Mondiale del Commercio. Per una riforma dell'Organizzazione, che sia più rispondente al grado di sviluppo dei diversi Paesi che ne fanno parte, il Governo italiano può farsi portavoce, anche in ambito comunitario, di un processo di ridefinizione dei metodi di classificazione degli Stati membri. Infatti, paesi come Cina, India e Brasile non possono più essere considerati «in via di sviluppo», e quindi beneficiari di regimi daziari preferenziali, soprattutto in considerazione della crescita che negli ultimi anni ha sperimentato il loro Prodotto Interno Lordo (solo nel 2010, il tasso di incremento del PIL di questi Paesi è pari rispettivamente al 10,5 per cento, 9,7 per cento e 7,5 per cento).

Considerazioni finali

L'indagine conoscitiva ha raccolto la consapevolezza, fortemente diffusa tra i diversi soggetti auditi, che a fronte della grave deriva che affligge l'economia del pianeta, occorrano delle risposte di tipo politico, capace di adeguare regole e istituzioni alla realtà: è, in altri termini, l'esigenza di quello che è stato definito un «multilateralismo efficace» nelle varie componenti tra loro interrelate: regole, istituzioni, policies e programmi.
In un mondo integrato, infatti, la ricerca di competitività non è una guerra aggressiva di conquista dei mercati, a somma zero, ma è la partecipazione a un progresso comune dove il successo di tutti è interdipendente. In un'economia planetaria veramente integrata ogni forma di «mercantilismo» ha soltanto effetti effimeri.
Assicurare il buon funzionamento del regime commerciale nella sua nuova veste multipolare è comunque tutt'altro che facile. Richiede revisioni profonde e vere e proprie riforme dei meccanismi e delle regole negoziali multilaterali del OMC accompagnate da politiche sociali domestiche in grado di mitigare i costi di aggiustamento all'interno dei singoli paesi.
Sta emergendo peraltro una netta differenziazione tra gli Stati vogliono difendere il loro territorio, la loro proprietà intellettuale collegata al territorio, di cui le indicazioni geografiche sono un eminente segno - da qui deriva un'alleanza con i Paesi che hanno antica tradizione (tra i prodotti figura anche l'artigianato) - e quelli che, invece, hanno un prodotto, che sia agricolo o manifatturiero, più standardizzato.
Occorre altresì riconsiderare, ai fini di un loro inserimento nella nuova tornata negoziale, di quei capitoli, come la regolazione degli appalti pubblici e le normative per la trasparenza, messi da parte nel

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Doha Round, che sono anch'essi fondamenti, perché rafforzano la fair competition, una competizione non solo aperta, ma equa, sul commercio internazionale.
In questa prospettiva, è necessario che il Governo italiano operi in sede comunitario affinché si arrivi ad una posizione comune circa lo status di paesi come la Cina, l'India ed il Brasile non possono essere più considerati come realtà «in via di sviluppo», e quindi beneficiari di regimi daziari preferenziali, poiché essi ormai costituiscono dei competitori agguerriti su moltissimi mercati, prima dominati dalle economie dell'Occidente.
È altresì importante che il Governo si faccia interprete presso l'Unione europea di accordi settoriali cosiddetti «zero per zero», così come stanno facendo già gli Stati Uniti, che potrebbero essere adottati, in ambito OMC, per alcuni merceologici (prodotti chimici, prodotti meccanici, oreficeria, tessile) e poi estesi ad altri settori, a condizione che siano sottoscritti anche dai Paesi emergenti. Ciò avvantaggerebbe enormemente il nostro Paese che rappresenta un sistema produttivo effettivamente equilibrato in ogni ambito produttivo, dall'industria ai servizi.
Più in generale, sul piano dei meccanismi decisionali comunitari, è necessario che si arrivi ad una maggiore trasparenza - che finora è sembrata latitare - sulle procedure d'individuazione e di selezione delle posizioni assunte dalla Commissione nel corso dei negoziati OMC.
Su questo punto è necessario rafforzare - così come auspicato dal richiamato Codice di condotta approvato dalla Conferenza parlamentare sull'OMC nel 2008 - un costante confronto Governo-Parlamento affinché quest'ultimo sia tempestivamente ed adeguatamente informato sullo stato d'avanzamento delle tornate negoziale e possa adottare gli opportuni atti d'indirizzo in materia. È inoltre auspicabile, in tale ottica, che delegazioni parlamentari ad hoc possano prendere parte ai principali momenti decisionali dei negoziati, a partire dalle conferenze ministeriali dell'OMC.
È altresì necessario che l'OMC, la Banca mondiale, il Fondo monetario, internazionale, l'UNCTAD, l'ILO e l'OMPI abbiano delle sinergie fra di loro: sussiste infatti uno stretto legame tra i piani di sviluppo e le modalità necessarie per aiutare i Paesi a esportare nel momento in cui le regole sono aperte. Possiamo aiutare molto di più i Paesi in via di sviluppo se li mettiamo in condizione di approfittare di un mercato che si mondializza. Anche sotto il profilo finanziario, il credito e l'assicurazione all'export sono fondamentali: vi è infatti il pericolo che il commercio non abbia più un sostegno finanziario, a motivo della paralisi dei mercati interbancari.
Un'altra delle componenti del negoziato per le quali vi è uno specifico interesse italiano è quella dell'armonizzazione delle norme doganali e delle certificazioni di qualità, per evitare che esse non siano surrettiziamente protezionistiche. Ciò è molto importante per l'Italia che possiede molte piccole e medie imprese esportatrici, che hanno maggiore difficoltà a certificare i loro prodotti in ogni Paese o modificarli alla luce delle certificazioni esistenti. Vista l'opposizione di alcuni partner negoziali, tra cui gli USA, è importante che il Governo italiano operi affinché la Commissione europea dispieghi tutti gli sforzi necessari per inserire questo argomento tra gli interessi prioritari della Comunità.
Per rispondere in positivo alle ansie e paure dei cittadini è infatti necessario non solo fissare nuove regole a livello internazionale, ma anche varare un'agenda di riforme e politiche a livello domestico che si facciano carico di ammortizzare i costi dell'aggiustamento e dell'apertura rafforzando e migliorando i programmi di safety nets. Di questi costi si è tenuto conto finora assai poco nei paesi più avanzati.
Si è confidato troppo, in questi ultimi anni, negli effetti compensativi della crescita globale. È necessaria in realtà una decisa inversione di rotta per il futuro. Ciò significa, più in generale, cercare di rendere compatibili l'integrazione internazionale delle economie con l'innalzamento degli standard di vita dei cittadini nella sfera del lavoro, dell'ambiente e della salute.

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ALLEGATO 5

Indagine conoscitiva sugli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite.

PROPOSTA DI DOCUMENTO CONCLUSIVO

1. Premessa

La III Commissione (Affari esteri e comunitari), nella seduta del 30 settembre 2008, con determinazione unanime dell'Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, ha deliberato lo svolgimento dell'indagine conoscitiva sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio delle Nazioni Unite, adottati dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2000 come impegni per la comunità internazionale ai quali improntare l'azione di cooperazione internazionale.
La Dichiarazione del Millennio, approvata nel 2000 da 186 Capi di Stato e di Governo nel corso della Sessione Speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, fissa l'obiettivo del dimezzamento della povertà entro il 2015 e lo articola in otto finalità, vale a dire:
sradicare la povertà estrema e la fame (obiettivo n. 1);
garantire l'educazione primaria universale (obiettivo n. 2);
promuovere la parità dei sessi e l'autonomia delle donne (obiettivo n. 3);
ridurre la mortalità infantile (obiettivo n. 4);
migliorare la salute materna (obiettivo n. 5);
combattere l'HIV/AIDS (obiettivo n. 6);
garantire la sostenibilità ambientale (obiettivo n. 7);
sviluppare un partenariato mondiale per lo sviluppo (obiettivo n. 8).

Fermo restando alla Commissione plenaria il compito di esaminare le risultanze dell'indagine conoscitiva, l'Ufficio di presidenza ha convenuto di affidarne l'organizzazione e lo svolgimento al Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, già istituito il 2 luglio 2008 ai sensi dell'articolo 22, comma 4, del regolamento.
La duplice determinazione della Commissione di procedere all'istituzione di un Comitato permanente ad hoc e allo svolgimento di un'indagine conoscitiva sui temi degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio ha inteso esprimere un'attenzione rafforzata sulle questioni attinenti la tematica della cooperazione allo sviluppo a partire da uno specifico impegno sull'agenda governativa in occasione della presidenza italiana di turno del G8 nel 2009.
Cogliendo l'opportunità di tale importante responsabilità internazionale la Commissione ha pertanto aperto un filone di approfondimento istruttorio dedicato ai temi della lotta contro la povertà e all'impegno della comunità internazionale e dell'Italia sulle questioni dell'aiuto allo sviluppo sulla base di un orientamento condiviso in ordine al carattere prioritario di tali temi per l'azione esterna del nostro Paese nel quadro degli sforzi per la soluzione delle maggiori crisi internazionali.
Peraltro, fin dal 2000 l'Italia ha fatto propri gli Obiettivi del Millennio quali linee guida della sua politica di cooperazione allo sviluppo, distinguendosi nella

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comunità internazionale in particolare per l'impegno nel settore sanitario nell'ambito del sesto Obiettivo. L'Italia riserva tradizionalmente un'attenzione particolare anche al settore dell'educazione e alle tematiche di genere, soprattutto nei contesti di fragilità e post-conflitto.
Quanto al contributo dell'agenda del Millennio all'azione della comunità internazionale per lo sviluppo, non c'è dubbio che gli Obiettivi del Millennio hanno contribuito a fare diventare patrimonio comune la consapevolezza che la sola crescita economica, anche sostenuta, non è sufficiente a garantire inclusione sociale. Inoltre, la globalizzazione ha inciso profondamente sui processi di aiuto allo sviluppo facendo risaltare la necessaria natura sia sovranazionale sia multinazionale dei problemi e le necessarie interdipendenze tra Paesi riceventi e donatori. In questo contesto la risposta implica indubbiamente approcci multilaterali non solo per l'entità delle risorse necessarie per affrontare e risolvere le questioni, ma anche per garantire la coerenza ed efficienza degli interventi.
In questo quadro ha fin dall'inizio assunto carattere prioritario l'Obiettivo n. 8, relativo allo sviluppo di un partenariato globale per lo sviluppo, che pone al primo posto la questione dell'institution building. Non è un caso che la maggiore dimensione onusiana impegnata per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio, vale a dire lo United Nations Development Fund (UNDP), dedichi a tale versante il maggior numero di risorse e di lavoro. E non è un caso che tra i Paesi più in ritardo nel conseguimento degli Obiettivi rientrino i cosiddetti «Stati falliti» o «quasi falliti» (almost failed States), nei quali si registrano situazioni di conflitto o alti tassi di corruzione.
Appare quindi necessario un impegno dei Paesi in via di sviluppo per rendere efficienti e trasparenti le proprie amministrazioni, per risanare i conti pubblici riducendo al massimo clientele e corruzione e favorendo un ambiente che promuova anche gli investimenti privati. Per fare ciò bisogna sostenere i Paesi in via di sviluppo nella costruzione di istituzioni fondate sul principio della governance democratica e trasparente. Occorre inoltre un approccio specifico Paese per Paese e concentrarsi, insieme ai governi locali, sui settori in cui ciascuno Stato deve compiere i maggiori progressi.
Per la realizzazione degli Obiettivi del Millennio la chiave risiede nell'interazione tra Paesi donatori e Paesi riceventi. Centrale è pertanto la questione dell'efficacia degli aiuti: maggior coordinamento tra i donatori ed un costante monitoraggio che certifichi l'aderenza delle risorse ai risultati da conseguire e dia conto dei progressi costituiscono gli aspetti salienti soprattutto in un contesto internazionale gravemente segnato da una crisi economica generalizzata con sacche di stagnazione ed instabilità, da conseguenti tensioni interreligiose, crisi umanitarie e intere aree geopolitiche di conflitto mai pacificate, a partire da quella mediorientale.
Proprio a Roma è stato avviato, nel 2003, il processo che ha poi portato alla Dichiarazione di Parigi del 2005 e all'Agenda di Accra del 2008 sull'efficacia degli aiuti. Nel febbraio del 2003 i maggiori Paesi donatori, le organizzazioni multilaterali e i Paesi riceventi si incontrarono a Roma al primo «Forum di Alto Livello sull'armonizzazione» per definire i principi utili al miglioramento dell'efficacia degli aiuti. In quell'occasione si adottò la Dichiarazione di Roma che, pur riguardando il solo versante dei donatori, definì per la prima volta standard procedurali e best practices utili alla riduzione dei costi delle transazioni. Il tema dell'efficacia degli aiuti è diventato definitivamente prioritario per la cooperazione italiana con l'adozione delle Linee strategiche 2009-2011.
Al momento sono in corso i preparativi per la realizzazione del High Level Forum, da tenere a Seoul nel 2011, in cui si farà il punto sullo stato di attuazione della Dichiarazione di Parigi e si definirà l'agenda per i quattro anni successivi.
Infine, l'Africa subsahariana rimane l'area geografica più problematica, nonostante lo stabile miglioramento degli indicatori

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sociali di povertà che hanno contraddistinto la prestazione dell'intero continente africano. Questo induce semmai a radicare l'orientamento che l'Africa non sia solo un problema ma parte della soluzione in virtù del grandissimo potenziale connesso alle risorse naturali, ad una popolazione assai giovane e dinamica e agli investimenti che grandi economie come quella cinese o indiana stanno realizzando ormai in modo sostenuto e costante. Proprio queste realtà economiche emergenti - i cosiddetti Paesi BRIC (Brasile, Cina, India ma anche Messico o Turchia) - rappresentano un dilemma per l'agenda del Millennio in quanto ad un tempo Paesi riceventi, ancora segnati da gravi problemi di povertà, e nuovi donatori sulla base però di logiche e standard non sempre coincidenti con quelli insiti nella filosofia degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio.

2. Programma dei lavori

Il programma dell'indagine conoscitiva, deliberato dalla Commissione nel settembre del 2008, ha indicato come obiettivo generale quello dell'approfondimento sull'attività della comunità internazionale per il raggiungimento degli otto Millennium Development Goals (MDG).
Il programma ha in particolare previsto lo svolgimento di un'azione di monitoraggio sulle iniziative assunte dai Paesi del G8 anche alla luce degli indirizzi derivanti dai lavori dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite e dalle riunioni tematiche, come ad esempio la Conferenza di Accra (Terzo forum sull'efficacia degli aiuti, settembre 2008) o la Conferenza internazionale di Doha (dicembre 2008) per la valutazione dello stato delle iniziative di finanziamento dello sviluppo, assunte nel quadro della Conferenza di Monterrey del 2002. Il programma ha menzionato espressamente l'analisi dell'interazione fra Paesi donatori e tra livello istituzionale, settore privato e società civile. Inoltre, conformemente agli indirizzi emersi nel Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, l'indagine è stata indirizzata alla valutazione di iniziative, aspetti finanziari ed eventuali rapporti con istituzioni internazionali utili a qualificare la posizione dell'Italia sulle diverse questioni e ad individuare le modalità più opportune per dare maggiore visibilità, soprattutto nelle sedi europee, all'impegno italiano.
Il programma dei lavori d'indagine ha individuato gli interlocutori da audire nei rappresentanti del Governo italiano, nei vertici di organizzazioni ed agenzie internazionali competenti in materia, accademici ed esperti, esponenti di organizzazioni non governative, rappresentanti di organi di informazione ed esponenti del settore privato.
Considerata l'entità del lavoro da svolgere, il termine di conclusione dell'indagine conoscitiva, inizialmente fissato al 31 dicembre 2009, allo scadere dell'anno di presidenza del G8, è stato successivamente prorogato al 31 marzo 2010 in ragione dell'impossibilità di calendarizzare entro il termine previsto il fitto programma di audizioni di rappresentanti di organizzazioni internazionali e di personalità internazionali già invitate. Tale termine è stato quindi ulteriormente prorogato al 31 ottobre 2010 in considerazione dell'opportunità di proseguire l'attività di indagine fino alla Riunione di Alto Livello sugli Obiettivi del Millennio (il cd. Vertice del Millennio), convocata dal Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, dal 20 al 22 settembre 2010 a New York e in cui l'Italia, al pari degli altri Stati membri, ha portato il proprio piano d'azione per garantire la realizzazione degli Obiettivi entro la scadenza del 2015.

3. Organizzazione e articolazione dei lavori

All'interno della predetta cornice programmatica i lavori dell'indagine si sono articolati in una serie di audizioni individuate in modo da delineare una visione il più possibile unitaria e coerente sulle questioni della lotta alla povertà senza trascurare una conoscenza di settore, per singoli obiettivi, nella consapevolezza che l'elencazione degli otto Obiettivi ha natura

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convenzionale e risponde ad un'esigenza di efficace comunicazione nei confronti dell'opinione pubblica mondiale e dei destinatari politici degli indirizzi delle Nazioni Unite. L'approccio ai temi della povertà non può infatti che essere onnicomprensivo e deve anzi scongiurare ogni frammentazione degli interventi che possa condurre ad inefficienze se non a gravi omissioni.
Come già accennato, l'organizzazione dei lavori dell'indagine conoscitiva è stata scandita dai due maggiori eventi che hanno segnato il biennio di lavoro del Comitato permanente: la presidenza italiana di turno del G8 del 2009 e la preparazione del Vertice del Millennio delle Nazioni Unite del settembre 2010.
Il lavoro di indagine svolto nel 2009 ha consentito di acquisire un rilevante patrimonio conoscitivo, denso di spunti di lavoro sia ai fini dell'azione parlamentare che di quella governativa. Conseguentemente, anche in vista dello svolgimento del Vertice dei Capi di Stato e di Governo dei Paesi del G8, tenutosi a L'Aquila dall'8 al 10 luglio 2009, la Commissione ha valutato opportuno procedere alla stesura di un documento intermedio (vedi allegato 1) sui lavori dell'indagine conoscitiva nell'intento di formulare specifiche proposte di lavoro da sottoporre alla valutazione del Governo italiano, impegnato nella organizzazione del Vertice. Tale documento è stato approvato dalla Commissione all'unanimità il 24 giugno 2009.
È da segnalare che, al fine di dare risalto ai contenuti di indirizzo recati dal documento intermedio, il 2 luglio 2009 si è svolto presso la Camera dei deputati un seminario interparlamentare, organizzato dal Comitato permanente sugli Obiettivi di Sviluppo del Millennio in collaborazione con la Campagna del Millennio delle Nazioni Unite - agenzia istituita nel 2000 dall'allora Segretario Generale Kofi Annan con un mandato sui temi della comunicazione istituzionale e con le società civili nazionali sui temi degli MDG - incentrato sul tema «Il ruolo dei Parlamenti nazionali per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio». All'iniziativa hanno preso parte parlamentari italiani ed esteri provenienti da Europa, Asia e Africa, per discutere le best practices quanto all'azione di indirizzo e controllo svolta dai Parlamenti nazionali nei confronti degli Esecutivi. I lavori si sono conclusi con l'adozione di una Dichiarazione Finale (vedi allegato 2) consegnata al Ministero degli affari esteri italiano, on. Franco Frattini.
La successiva fase di lavoro, svoltasi tra il secondo semestre del 2009 e per tutto il 2010, ha consentito di completare il quadro conoscitivo sulle questioni generali in tema di cooperazione allo sviluppo in connessione sia alle politiche dell'Italia sia alle linee di tendenza sul piano internazionale. In tale fase si è soprattutto proceduto ad approfondimenti mirati ai singoli Obiettivi del Millennio.
Il lavoro d'indagine è stato quindi completato con la partecipazione di una delegazione del Comitato permanente3 al Vertice del Millennio, svoltosi a New York dal 20 al 22 settembre 2010 e in cui sono state definite le linee di azione della comunità internazionale per il raggiungimento degli Otto Obiettivi entro la confermata scadenza del 2015. A margine dei lavori del Vertice la delegazione ha preso parte ad un evento organizzato dall'Unione interparlamentare volto a definire il ruolo dei Parlamenti nazionali nel processo di realizzazione degli MDG. Peraltro, la stessa Uip ha condotto nel 2010, in collaborazione con la Campagna del Millennio dell'ONU, uno studio comparato sui singoli Parlamenti impegnati con esplicite iniziative istituzionali a favore degli MDG. In questo contesto, in cui l'Italia si è attestata come unico tra i Paesi donatori ad essersi attivato in tal senso (sia mediante l'istituzione del Comitato che con l'indagine conoscitiva), insieme ad altri cinque Parlamenti di Asia e Africa (Sudafrica, Mozambico, Kenya, Indonesia, India).

3. Hanno preso parte alla missione il presidente del Comitato, l'on. Enrico PIANETTA, e l'on. Mario BARBI. Alla missione hanno partecipato anche l'on. Francesco TEMPESTINI e l'on. Michaela BIANCOFIORE in rappresentanza della Commissione affari esteri.

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Si riporta qui di seguito l'elenco delle audizioni complessivamente svolte:
Coordinatrice Esecutiva della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite, Evelyn Herfkens (16 ottobre 2008);
Direttore della Campagna del Millennio delle Nazioni Unite, Salil Shetty (27 novembre 2008);
Rappresentante permanente d'Italia presso l'OCSE, ambasciatore Antonio Armellini (29 gennaio 2009);
rappresentanti di Social Watch (Jana Silverman, segretario internazionale di Social Watch, Jason Nardi, coordinatore della coalizione italiana di Social Watch, Sabina Siniscalchi, rappresentante della Fondazione culturale responsabilità etica, Farida Bena, responsabile dell'ufficio campagne UCODEP e OXFAM international, e Tommaso Rondinella, rappresentante dell'associazione Lunaria) (26 febbraio 2009);
Sindaco di Milano, Letizia Moratti, nella qualità di Commissario straordinario del Governo per la realizzazione dell'Expo Milano 2015 (26 febbraio 2009);
rappresentanti di ActionAid e di parlamentari della Tanzania e dell'Uganda (Laurent Wambura, HIV/AIDS officer, della Tanzania; Omari Shaban Kwaangw', parlamentare della Tanzania; Elizabeth Nakiboneka, HIV/AIDS officer, dell'Uganda; Nalwanga Sekalo Lukwago Rebecca, parlamentare dell'Uganda e Iacopo Viciani di ActionAid) (12 marzo 2009);
il direttore generale per la cooperazione allo sviluppo della Commissione europea, Stefano Manservisi (24 marzo 2009);
componenti della Commissione per l'aiuto allo sviluppo dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) (Laurence Dubois-Destrizais, Ministro plenipotenziario e consigliere per gli affari economici alla rappresentanza francese presso l'OCSE; Laurent Amar, Capodipartimento per le strategie di sviluppo del Ministero degli affari esteri francese; Helen Zorbala, Ministro plenipotenziario e Vicedirettore generale del Ministero degli affari esteri ellenico per la cooperazione allo sviluppo; Genny Bonomi, economista e policy analist presso il DipartimentoPeer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC; Steve Darvill, Humanitarian Aid advisor dello stesso Dipartimento Peer Review and Evaluation dell'OCSE/DAC) (14 maggio 2009);
rappresentanti del Centro Studi di Politica Internazionale (CESPI) (José Luis Rhi-Sausi, Direttore, e Marco Zupi, Direttore scientifico) (20 maggio e 16 giugno 2009);
sherpa del Governo italiano per il G8, ambasciatore Giampiero Massolo (17 giugno 2009);
direttore generale per la Cooperazione allo sviluppo del Ministero degli affari esteri, ambasciatore Elisabetta Belloni (29 luglio 2009);
vice direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale, ambasciatore Staffan de Mistura (22 ottobre 2009),
Amministratore dello United Nations Development Programme (UNDP), Helen Clark (12 novembre 2009);
rappresentanti di ActionAid Marco Simonelli eLivia Zoli (1o dicembre 2009);
direttore dell'Education for All international Coordination Team dell'Unesco, Olav Sejm e rappresentanti della Coalizione italiana per la Campagna globale per l'educazione Elena Avenati - Save the Children Italia, Farida Bena - Oxfam International e Ucodep, Marco Petrini, - Associazione MAGIS (Movimento e azione dei Gesuiti italiani per lo sviluppo), Daniela Invernizzi - ACRA (Associazione di Cooperazione rurale in Africa e America latina (15 giugno 2010);
rappresentanti dell'Organizzazione mondiale della sanità, della Partnership for Maternal, Newborn and Child Health e di Save the children, Flavia Bustreo, Mario Merialdi, e Francesco Aureli (1o luglio 2010);

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direttore generale del Dipartimento del Tesoro, Vittorio Grilli (27 luglio 2010);
direttore esecutivo per l'Italia della Banca mondiale, Giovanni Majnoni (29 luglio 2010);
segretario generale del Comitato nazionale italiano permanente per il microcredito, Riccardo Maria Graziano (5 ottobre 2010).

4. Il 2009: il documento intermedio, la presidenza italiana del G8 e il Rapporto 2010 sugli MDG

In questa sede appare opportuno richiamare brevemente le risultanze del documento intermedio, approvato dalla Commissione nel 2009, con cui si è inteso contribuire in modo costruttivo all'impegno italiano nell'anno di presidenza di turno del G8. Esso ha innanzitutto evidenziato il ruolo delle istituzioni parlamentari nel processo di realizzazione degli Obiettivi, traguardo che si conferma del tutto alla portata della nostra generazione. Il documento ha dato risalto alla necessità che anche nella sede parlamentare si applichi un approccio complessivo alle tematiche dello sviluppo tale da valutare le politiche di aiuto in modo complementare a quelle sul commercio globale, sull'ambiente e sulla promozione internazionale del sistema produttivo italiano. Leadership politica decisa, piani e politiche di sviluppo chiari, bilanci nazionali ben predisposti, lotta alla corruzione e un coinvolgimento di tutti i possibili attori coinvolti nella lotta contro la povertà sono ulteriori aspetti qualificanti della strategia di raggiungimento degli Obiettivi che il documento intermedio ha contribuito ad evidenziare.
Il documento, nel dare conto dello stato di attuazione degli impegni da parte dei maggiori Paesi europei, ha evidenziato il gap italiano quanto alla percentuale di Pil destinato agli aiuti allo sviluppo, ferma allo 0,19 per cento a fine 2007 nel quadro di una media dei Paesi OCSE/DAC pari allo 0,28. Il documento registrava anche il dato relativo alla presenza di nuovi donatori internazionali tra i Paesi di nuova industrializzazione, quali ad esempio la Cina e molti Paesi arabi, i quali pongono alla comunità internazionale quesiti sostanziali sulla capacità di collegare gli aiuti al perseguimento di determinati standard qualitativi non indifferenti alla questione dei diritti umani.
Nel segnalare taluni limiti connessi alla strategia di lotta alla povertà adottata dall'ONU con l'agenda del Millennio, il documento ha dipinto un quadro sull'Italia in cui emergono come dati salienti l'elevata quota di cooperazione veicolata attraverso il canale multilaterale (nel 2007 pari al 68 per cento del totale degli aiuti a fronte di una media OCSE/DAC del 30 per cento), un'elevata frammentazione degli aiuti e una marcata tendenza all'imprevedibilità delle risorse destinate alla cooperazione.
Un'acquisizione centrale del documento intermedio ha riguardato il contributo importante che l'Italia può dare al superamento della recessione globale a condizione che il nostro Paese rispetti con puntualità gli impegni presi in sede internazionale e mantenga inalterata la propria politica di attenzione alle questioni dei diritti umani.
Il documento ha quindi indicato talune questioni meritevoli di approfondimento e discussione, tra cui la riforma complessiva degli strumenti legislativi in materia di cooperazione allo sviluppo, l'attuazione di un'agenda concordata e più efficiente in linea con la Dichiarazione di Parigi, il potenziamento del quantum in particolare a favore dell'Africa, la valorizzazione in sede internazionale della specifica esperienza italiana in materia di cooperazione decentrata.
Il documento si è infine caratterizzato per una specifica valenza propositiva insita nelle linee di intervento indicate nella sua parte conclusiva. Tra queste è apparso significativo il tema della mutual accountability; il rapporto tra impegni e adempimenti; il binomio quantità/qualità degli aiuti; infine, il ruolo dei Parlamenti nei confronti dei governi ma soprattutto dell'opinione pubblica.

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In sostanziale armonia con le sollecitazioni della Commissione, la successiva acquisizione di rilievo istituzionale è stata rappresentata dalla Dichiarazione finale del Summit del G8 de L'Aquila con cui sono stati definiti taluni impegni per la realizzazione degli MDG. Nel quadro di una nuova filosofia di più stretta partnership con gli altri consessi economici mondiali, a partire dal G20, il Vertice ha definito una strategia globale di ripresa dalla crisi economica formulando la richiesta di una verifica nel 2010 circa lo stato di attuazione degli MDG. Dopo i previsti riferimenti alla necessità di sbloccare il negoziato del Doha Round e ai temi dell'instabilità dei prezzi dei prodotti energetici e agricoli, il Vertice ha varato talune iniziative utili al raggiungimento degli Obiettivi: mantenere aperti i mercati; dimezzare i costi di transazione dei soldi inviati dagli emigrati nei Paesi di origine; rafforzare la partnership con l'Africa per migliorare l'accesso all'acqua e ai servizi igienici; sostenere gli strumenti innovativi di finanziamento per la salute; dare all'agricoltura e alla sicurezza alimentare la giusta priorità in cima all'agenda internazionale, aumentando i finanziamenti multilaterali per aiutare le strategie ad ampio raggio dei singoli Paesi e migliorare la coordinazione dei meccanismi esistenti. Tra gli esiti del Vertice si richiama la Dichiarazione congiunta G8-Africa ma soprattutto l'impegno al reperimento di 20 miliardi di dollari entro i successivi tre anni tramite l'Iniziativa de L'Aquila di supporto alla sicurezza alimentare e allo sviluppo rurale dei Paesi più poveri.
Il contesto in cui si sono inseriti il contributo della Commissione e quello del Summit G8 è quello descritto nel Rapporto annuale sul monitoraggio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, presentato il 23 giugno 2010 dal Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon sulla base dei dati relativi al 2009.
Preliminarmente si ricorda che il Segretario generale delle Nazioni Unite presenta un rapporto all'Assemblea generale sui progressi effettuati, basandosi sui dati forniti dagli indicatori aggregati a livello globale e regionale. Gli Obiettivi, i target e gli indicatori, come definiti nel 2002, sono stati usati fino al 2007, quando il quadro di monitoraggio degli Obiettivi di sviluppo è stato rivisto al fine di includere i quattro nuovi target decisi dal World Summit del 2005 e, conseguentemente, i nuovi indicatori. Il Rapporto 2010, come i precedenti, si basa su dati raccolti ed elaborati da Agenzie specializzate e da un Gruppo di esperti, sotto la direzione del Dipartimento degli Affari economici e sociali del Segretariato delle Nazioni Unite (UNDESA).
Il dato centrale registrato dal Rapporto 2010 riguarda il continuo progredire della comunità internazionale verso il raggiungimento degli MDG, nonostante la crisi economica globale, ma l'eccessiva lentezza dei progressi. Importanti risultati sono stati conseguiti nella riduzione della povertà estrema, nella lotta all'HIV/AIDS e alla malaria, nell'accesso all'acqua potabile. Minori successi si possono segnalare in aree critiche, quali il miglioramento della salute materna e l'accesso a servizi sanitari.
In particolare, la percentuale delle persone che vivono in povertà estrema (con meno di 1,25 dollari al giorno) è stata drasticamente ridotta negli ultimi due decenni: i tassi di povertà estrema, infatti, sono scesi dal 46 per cento del 1990 al 27 per cento del 2005 e con una previsione di continua diminuzione fino al 15 per cento nel 2015. Cina e Sudest asiatico sono le aree di maggior successo; altrove, i progressi sono stati più lenti. Nella stessa regione asiatica, permangono disparità enormi tra ricchi e poveri, e tra comunità urbane e rurali. Le bambine continuano a non avere minori opportunità soprattutto nel settore educativo: una bambina che vive in una famiglia povera ha una possibilità quattro volte inferiore a quella di un bambino che si trova nella medesima situazione di frequentare la scuola. E se in America Latina e Caraibi sono stati compiuti importanti progressi sul fronte della salute infantile e dell'uguaglianza di genere, in alcune regioni dell'Africa meno della metà delle donne ricevono assistenza medica al momento del parto.

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Il Rapporto esorta ad aumentare gli sforzi su diversi fronti, soprattutto al fine di: creare posti di lavoro, incentivare lo sviluppo economico, incoraggiare la sicurezza alimentare, promuovere l'energia pulita e rafforzare la cooperazione tra Paesi ricchi e quelli poveri.
In occasione della presentazione del Rapporto il Segretario Generale ha annunciato l'istituzione di un MDG Advocacy Group, composto da 17 eminenti personalità della politica ma anche dell'alta finanza che lavoreranno per ampliare il sostegno al raggiungimento degli MDGs. Il Presidente rwandese Paul Kagame ed il Primo Ministro spagnolo José Luis Rodríguez Zapatero presiedono congiuntamente il Gruppo, che ha tenuto in luglio la sua prima riunione.

5. L'attività di indagine tra 2009 e 2010. Le questioni pendenti a cinque anni dalla scadenza del 2015

Alla luce del quadro delineato nel documento intermedio e nella prospettiva della definizione di un piano d'azione italiano per la realizzazione degli MDG entro il 2015, nella seconda parte dell'indagine si sono svolte numerose audizioni caratterizzate da un sguardo privilegiato ai singoli obiettivi, anche se è stata spesso ricordata la forte interdipendenza tra gli obiettivi: una maggiore disponibilità di cibo e reddito favorisce lo sviluppo dell'istruzione, che a sua volta ha ricadute positive sulla parità di genere, e la prevenzione delle malattie. Nello stesso tempo una popolazione sana è in grado di studiare e produrre meglio e così via. In un parte significativa di questo secondo ciclo di audizioni il Comitato ha focalizzato l'approfondimenti sui temi dell'Italia, con particolare attenzione all'interazione tra il Ministero degli affari esteri e il Ministero dell'economia e delle finanze nella decisione sul quantum e sul quomodo delle risorse destinate agli aiuti allo sviluppo.
Quanto al primo Obiettivo, è stato ricordato che in relazione alle situazioni di grave crisi alimentari si assiste al passaggio ad aiuti sotto forma di contributi finanziari rispetto a forniture dirette di alimenti che rischiano di innescare un processo negativo, abbassando la possibilità di produrre cibo. Per superare le difficoltà logistiche connesse a crisi particolarmente acute occorre sviluppare la produzione di sostanze ad altissimo valore nutrizionale. È stato auspicato un maggiore impegno del nostro Paese in questo campo, anche nell'ottica della prossima Expo 2015 di Milano dedicata all'alimentazione.
Oltre alla crisi economica sono stati evidenziati altri fattori che rischiano di pregiudicare i progressi fatti negli ultimi anni. In primo luogo l'incremento dei prezzi del cibo, solo parzialmente rientrato e che rischia di riesplodere. Punti critici per provvedere ad una adeguato quantità di cibo sono rappresentati dalle aree coltivate per i biocarburanti, dagli acquisti di vaste aree in molti Stati africani da parte di Paesi terzi e le vaste superfici non coltivate.
A questo si aggiungono i sempre più frequenti disastri naturali. È stato osservato che la Conferenza di Copenaghen rappresentava una sfida cruciale per lo sviluppo e il suo esito negativo rappresenta un'ulteriore motivo di preoccupazione.
È stato fatto notare con preoccupazione che la proporzione di aiuto pubblico allo sviluppo destinata allo sviluppo agricolo sia scesa dal 17 per cento nel 1980 a meno del 4 per cento; il tutto in una fase di rapido accrescimento della popolazione mondiale e di deciso incremento dell'instabilità climatica.
Passando al secondo Obiettivo, permane un ruolo centrale dell'educazione per lo sviluppo. Nessun Paese è mai salito per la scala dello sviluppo umano senza un costante investimento destinato all'educazione per favorire la costruzione di società più inclusive. Vi sono segnali che la situazione attuale sia peggiore di quanto facciano pensare alcuni indicatori. In particolare il forte incremento delle iscrizioni ha avuto un impatto negativo sulla qualità dei risultati dell'apprendimento a causa di un numero insufficiente di insegnanti.

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Occorre un corpo docente qualificato per fornire un apprendimento di qualità. Secondo alcune stime c'è bisogno globalmente di almeno 2 milioni di nuovi insegnanti. In relazione ad essi vi è poi un problema relativo non solo al livello delle retribuzioni, i salari o alla formazione, ma anche rispetto allo status degli insegnanti all'interno della società.
Gli Obiettivi legati ai temi della salute sono la riduzione della mortalità infantile (n. 4), la riduzione della mortalità materna, l'accesso universale alla salute riproduttiva delle donne (n. 5) e la prevenzione della diffusione dell'HIV, della malaria e delle altre malattie trasmissibili, tra cui anche la tubercolosi (n. 6). La politica di cooperazione allo sviluppo italiana si è distinta in particolare nel settore sanitario e nel perseguimento dell'Obiettivo di sviluppo del Millennio 6 mentre vi sono ritardi significativi rispetto agli Obiettivi nn. 4 e 5. Per la prima volta la Dichiarazione finale del G8 a L'Aquila ha previsto due paragrafi sostanziali relativi a tale problematica e ha, dunque, segnalato ai capi di Stato l'esistenza di un problema importante su cui essi devono agire, nonché l'esistenza di un consenso già globale sulla salute materno-infantile, con i filoni portanti di una risposta globale.
Si stima che l'obiettivo 4, con i trend attuali, non sarà raggiunto prima del 2045. Si stima che circa 250 mila donne e almeno 5,5 milioni di bambini che oggi muoiono ogni anno potrebbero salvarsi con misure semplici e a basso costo come assistenza specializzata al momento del parto e, subito dopo, i vaccini, trattamenti per la polmonite, per la diarrea e per la malaria, allattamento esclusivo al seno.
In primo luogo è necessaria la formazione. Viene stimata la necessità di formare al meno un milione di operatori di comunità, cui si aggiungono 2,5 milioni di operatori sanitari più specializzati, come dottori, infermieri od ostetriche. Serve inoltre comunicazione per ottenere le informazioni necessarie sulle scelte che le donne e gli uomini possono compiere sulla loro salute riproduttiva. A tal fine è in particolare necessario formare gli operatori sanitari di comunità, principalmente donne, portatori di messaggi semplici ed efficaci. Azioni di questo tipo hanno prodotto risultati estremamente positivi in Paesi come il Bangladesh e l'Indonesia.
Si è notato che, nonostante negli ultimi dieci anni a livello globale i finanziamenti pubblici siano aumentati sulla salute, criticamente non è aumentato il finanziamento sulla pianificazione familiare, il family planning, soprattutto a livello di cooperazione allo sviluppo dei diversi Paesi mondiali. Abbiamo visto una stagnazione, per esempio, sull'accesso ai contraccettivi e alla capacità di ridurre la natalità eccessiva.
Quanto all'Obiettivo 6, oltre il 70 per cento dei malati si trova in un solo continente: l'Africa, e in Africa subsahariana in particolare. Nel 2001, nel corso del G8 di Genova, venne ideato e lanciato come strumento innovativo il Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria. che ha è arrivato a rappresentare quasi un quarto delle risorse impiegate per il contrasto a queste gravi patologie.
In tema di accesso universale ai farmaci si sono raggiunti dei grossi risultati. Le percentuali di coloro che avevano accesso ai trattamenti erano bassissime e ora siamo arrivati a percentuali molto alte. Va però segnalato che quasi la metà delle persone in cura esce dalla terapia prima di due anni, spesso per costi accessori apparentemente irrisori, come quello dei trasporti, ma che sono insostenibili per popolazioni che vivono con meno di un dollaro al giorno.
Le cure per l'AIDS stanno indebolendo i sistemi sanitari con scarse infrastrutture e risorse umane che non riescono a continuare a lavorare sulle normali patologie. È stato quindi espresso apprezzamento per l'incremento del sostegno del nostro Paese alle strutture sanitarie di base con personale qualificato.
Rimane in ogni caso essenziale rafforzare la prevenzione; allo stato attuale per

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ogni due persone che entrano in terapia antiretrovirale ce ne sono contemporaneamente cinque che vengono infettate.
Quanto al ruolo dell'Italia, l'indagine conoscitiva ha proposto a più riprese la questione delle carenze nella quantità di aiuti e in particolare la notevole riduzione del contributo del nostro Paese ad istituzioni quali il World Food Programme (WFP), l'UNDP e il Fondo globale per la lotta all'HIV, alla tubercolosi e alla malaria.
Sul tema il lavoro d'indagine ha garantito l'apporto conoscitivo necessario a sostegno di iniziative parlamentari volte a fornire specifici indirizzi all'azione del Governo, soprattutto in vista del Vertice del Millennio svoltosi nel settembre del 2010 a New York. Si richiamano a tal proposito le mozioni presentate da tutti i gruppi e approvate dall'Assemblea il 15 settembre 2010 al fine di impegnare il Governo, tra l'altro, a programmare, compatibilmente con le esigenze di risanamento della finanza pubblica, le modalità e i tempi per onorare tutti gli impegni internazionali specificamente assunti dall'Italia in materia di sviluppo, in particolare relativamente alla Convenzione di Londra sulla sicurezza alimentare, al Fondo globale per la lotta all'AIDS, alla tubercolosi e alla malaria, all'Aquila food security initiative e nei confronti di banche e fondi di sviluppo, nel contesto di un graduale piano di riallineamento dell'aiuto pubblico allo sviluppo italiano. Le mozioni hanno anche consentito di assumere l'indirizzo relativo alla razionalizzazione delle iniziative di cooperazione, mantenendo nel Ministero degli affari esteri il naturale fulcro di decisione politica e coordinamento, e alla promozione di misure che favoriscano il rafforzamento e l'aggiornamento delle risorse umane disponibili per la cooperazione italiana, in linea con quanto raccomandato dall'Ocse all'Italia nel 2009, a seguito della peer review. In quella sede il Governo si è assunto tra l'altro anche l'impegno relativo a dare priorità, coerentemente con il piano in dodici punti proposto dalla Commissione europea, ad un piano di azione annuale, realistico e verificabile, inteso al raggiungimento, progressivo e graduale, di una percentuale di prodotto interno lordo destinata all'aiuto pubblico allo sviluppo secondo gli obiettivi europei stabiliti.
Occorre, in generale, un approccio complessivo allo sviluppo che tenga conto del fatto che i processi di sviluppo vengono avviati non solo attraverso lo strumento dell'aiuto pubblico, per il quale occorre mettere a sistema in maniera più organica anche il contributo che proviene dagli enti locali, ma anche mediante altri strumenti quali gli investimenti, le politiche commerciali, la promozione del microcredito, le attività solidali e quant'altro.
In questo quadro si deve cercare di coordinare meglio gli aiuti a diverso livello. Importante è la collaborazione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministero degli affari esteri che detiene la visione strategica che assicura anche l'efficacia e la qualità dell'aiuto.
In ogni caso la cooperazione a livello comunitario rappresenta una dimensione fondamentale per quanto riguarda l'aiuto allo sviluppo da parte del nostro Paese. Negli ultimi tre anni il valore medio della nostra contribuzione è stato di circa un miliardo di euro all'anno, pari a circa il 40 per cento dell'impegno complessivo del nostro Paese ai Paesi in via di sviluppo. Occorre quindi che il maggior coordinamento si effettui anche su scala europea.
La cooperazione può essere uno strumento atto a favorire una penetrazione dei mercati esteri, anche senza ricorrere al legamento dell'aiuto. Una nota positiva è rappresentata dall'ottima capacità delle imprese italiane di risultare aggiudicatarie nelle gare di appalto per la realizzazione di opere civili indette a fronte di finanziamenti della Banca mondiale
Gli interventi infrastrutturali, soprattutto nel settore dell'acqua, dei servizi sanitari, della comunicazioni e della produzione di energia elettrica, rappresentano sicuramente un precondizione per lo sviluppo.
È stato osservato che il presupposto di qualsiasi percorso significativo che possa

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contribuire a migliorare la performance dell'Italia nei confronti dello sviluppo, non può che passare attraverso una maggiore consapevolezza dell'opinione pubblica italiana dell'importanza dell'aiuto pubblico allo sviluppo e delle politiche di sviluppo come strumento di stabilità e sicurezza a livello globale e che il Parlamento può contribuire a diffondere tale consapevolezza.
Si pone però un problema di trasparenza e di chiarezza nel modo di comunicare, in primo luogo al Parlamento, i dati che riguardano gli impegni internazionali del nostro Paese ma degli impegni che abbiamo preso a lunga scadenza, di quelli che abbiamo mantenuto, di quelli che non siamo stati in grado di mantenere.