CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 9 dicembre 2010
412.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (V e XIV)
COMUNICATO
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ATTI DELL'UNIONE EUROPEA

Giovedì 9 dicembre 2010. - Presidenza del presidente della V Commissione Giancarlo GIORGETTI. - Interviene il sottosegretario di Stato per l'economia e le finanze Sonia Viale.

La seduta comincia alle 18.30.

Regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1467/97 per l'accelerazione e il chiarimento delle modalità di attuazione della procedura per i disavanzi eccessivi.
(COM(2010)522 def.).

Direttiva del Consiglio relativa ai requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri.
(COM(2010)523 def.).

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro.
(COM(2010)524 def.).

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure esecutive per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro.
(COM(2010)525 def.).

Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1466/97 per il rafforzamento della sorveglianza delle posizioni di bilancio nonché della sorveglianza e del coordinamento delle politiche economiche.
(COM(2010)526 def.).
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Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulle prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici.
(COM(2010)527 def.).

(Esame congiunto, ai sensi dell'articolo 127, comma 1, del Regolamento, e rinvio).

Le Commissioni iniziano l'esame congiunto delle proposte di atti dell'Unione europea in titolo.

Gabriele TOCCAFONDI (PdL), relatore per V Commissione, fa presente che e sei proposte presentate dalla Commissione il 29 settembre scorso attengono essenzialmente a tre ambiti: la modifica del Patto di stabilità; l'introduzione di una nuova procedura per la prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi; l'armonizzazione dei quadri nazionali di bilancio. Rileva che, sotto il primo profilo, si prospettano modificazioni ai due regolamenti vigenti sul Patto di stabilità e crescita, con riferimento sia al braccio preventivo sia a quello correttivo. Osserva come, per quanto riguarda il braccio preventivo, la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1466/97 (COM (2010)526) fonda il controllo delle finanze pubbliche sul nuovo concetto di una politica di bilancio prudente, incentrata sulla convergenza verso l'obiettivo a medio termine del pareggio di bilancio. Ritiene che, a questo scopo, gli Stati membri dovrebbero assicurare un miglioramento annuale della propria posizione di bilancio pari ad almeno lo 0,5 per cento; per i Paesi con alto livello di debito ovvero squilibri macroeconomici eccessivi il Consiglio potrebbe richiedere un aggiustamento superiore allo 0,5 per cento.
Osserva inoltre che la Commissione europea e il Consiglio dovrebbero valutare e sanzionare non solo le situazioni di disavanzo eccessivo, ma anche le deviazioni significative da una politica di bilancio prudente, identificate in uno scostamento dello 0,5 per cento rispetto al percorso di raggiungimento dell'obiettivo di medio termine. Sottolinea come le raccomandazioni della task force Van Rompuy sul punto avallino sostanzialmente le proposte della Commissione.
Con riferimento al braccio correttivo del Patto, su cui interviene la proposta di modifica del regolamento (CE) n. 1467/97 (COM(2010)522), ricorda che la proposta prevede - tra le altre cose - che l'andamento del debito sia monitorato con più rigore e trattato alla stessa stregua dell'andamento del disavanzo ai fini dell'adozione delle decisioni nel quadro della procedura per i disavanzi eccessivi. Pertanto, gli Stati membri il cui debito supera il 60 per cento del PIL dovrebbero adottare misure per ridurlo ad un ritmo soddisfacente, definito come una riduzione di un ventesimo dell'eccedenza, registrata nel corso degli ultimi tre anni, rispetto alla soglia del 60 per cento. Fa presente che, secondo alcune elaborazioni, l'applicazione di questa previsione potrebbe comportare per l'Italia una riduzione annuale del debito pari al 2,9 per cento e in valori assoluti a 45,7 miliardi di euro. Osserva come il rapporto finale della task force sembra prospettare una disciplina meno rigida: non si ripropone, infatti, la riduzione di un ventesimo della eccedenza di debito pubblico rispetto alla soglia del 60 per cento, ma si rinvia alla legislazione secondaria ovvero ad un codice di condotta, l'elaborazione dei «criteri quantitativi», della metodologia e delle disposizioni transitorie per valutare se la riduzione del debito sia soddisfacente. Sempre secondo il parere elaborato dalla task force, attenzione particolare verrebbe rivolta all'impatto che le riforme dei sistemi previdenziali possono avere sull'andamento del debito pubblico. Precisa che tale disciplina dovrebbe, comunque, ricevere applicazione solo una volta che saranno cessate le procedure per deficit eccessivo tutt'ora in essere. Ritiene, inoltre, al fine di verificare il rispetto della prevista percentuale di riduzione, bisognerebbe comunque attendere ulteriori tre anni, presumibilmente fino al 2016. fa presente che, secondo la

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proposta della Commissione, la valutazione dell'andamento del debito, dovrebbe tuttavia tener conto anche di alcuni fattori di rischio, quali: la presenza di tassi di crescita della ricchezza nazionale particolarmente bassi; la struttura del debito; le passività sia implicite che esplicite connesse all'invecchiamento, ovvero, la sostenibilità a lungo termine dei sistemi previdenziali; il livello di indebitamento del settore privato. Ritiene che quest'ultimo fattore, inserito per un'espressa richiesta del Governo italiano, presenta una particolare importanza per il nostro Paese. Osserva che, considerando, infatti, il debito aggregato, che include il debito della pubblica amministrazione e quello del settore privato, incluse le società finanziarie, l'Italia, con il 336,9 per cento del PIL, si collocherebbe tra i grandi Paesi nella migliore posizione dopo la Germania, con il 290,2 per cento, e prima della Francia, con il 351,7 per cento, della Spagna, con il 371,2 per cento e del Regno Unito, con il 530,7 per cento. Mentre la media dei 14 paesi dell'Unione europea è del 442,9 per cento. Rileva che, al fine di sanzionare più efficacemente gli Stati membri dell'eurozona che violino le nuove regole della parte sia preventiva sia correttiva del Patto, con la proposta di regolamento sull'effettiva applicazione della sorveglianza di bilancio nell'area dell'euro (COM(2010)524), si stabiliscono sanzioni finanziarie progressive. Per quanto riguarda la parte preventiva, fa sottolinea che deviazioni significative da una «politica di bilancio prudente» comporterebbero per lo Stato membro interessato l'obbligo di costituire un deposito fruttifero pari allo 0,2 per cento del PIL. Il deposito, con gli interessi maturati, verrebbe restituito una volta che il Consiglio abbia verificato che la situazione di bilancio sia stata risanata. Osserva che, per quanto riguarda la parte correttiva, in base alle proposte della Commissione e della task force, ai Paesi che registrano un disavanzo eccessivo si applicherebbe un deposito non fruttifero pari allo 0,2 per cento del PIL. Ritiene che esso verrebbe convertito in ammenda in caso di non osservanza della raccomandazione di correggere il disavanzo eccessivo. Fa presente che la decisione di comminare le sanzioni sarebbe proposta dalla Commissione e si considera approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata, secondo il criterio della cosiddetta «maggioranza inversa», degli Stati dell'area euro, senza tener conto del voto dello Stato interessato. Il Consiglio potrebbe ridurre l'ammontare del deposito solo all'unanimità o sulla base di una proposta della Commissione e di una richiesta motivata dello Stato membro interessato. Fa presente che, in caso di mancata restituzione, le entrate derivanti da queste ammende, o dagli interessi maturati sul deposito fruttifero, verrebbero distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell'area euro non sottoposti ad alcuna procedura. Ricorda che, anche su questo punto la task force Van Rompuy ha prospettato regole più flessibili: in caso di scostamento significativo dal processo di aggiustamento del bilancio pubblico, la Commissione europea invierebbe una allerta precoce. Entro un mese dall'allerta, il Consiglio dell'UE, sulla base di una raccomandazione della Commissione, adotterebbe una raccomandazione contenente le misure correttive ed il termine entro il quale adottarle. Tali raccomandazioni sarebbero approvate con l'ordinaria maggioranza qualificata e non a maggioranza inversa come proposto della Commissione; solo se lo Stato membro interessato non adotta le misure raccomandate entro i sei mesi successivi, allo stesso Stato verrebbe imposto un deposito fruttifero dal Consiglio deliberante a «maggioranza inversa». Evidenzia come, a completamento del Patto di stabilità e crescita in senso stretto, una disciplina fortemente innovativa è introdotta dalla proposta di direttiva concernente i requisiti per i quadri di bilancio degli Stati membri (COM(2010)523). Fa presente che la proposta fissa, anzitutto, le regole minime che dovrebbero essere rispettate dagli Stati membri nella raccolta, redazione e trasmissione dei dati di bilancio. Osserva come, in secondo luogo, la

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proposta della Commissione imporrebbe agli Stati membri di inserire nei propri ordinamenti regole di bilancio e parametri numerici che recepiscano i valori di riferimento previsti a livello europeo e fissino procedure di controllo, precisando gli effetti del mancato rispetto delle medesime regole da parte dei soggetti interessati. In terzo luogo, sottolinea la proposta di introdurre una pianificazione almeno pluriennale del bilancio nazionale, con un'indicazione delle entrate e delle spese programmate e degli aggiustamenti richiesti per realizzare l'obiettivo di finanze pubbliche solide. Infine, si prevederebbe l'obbligo, per il quadro di bilancio nazionale, di comprendere l'intero sistema di finanza pubblica, in particolare nei Paesi con assetti decentrati: l'assegnazione delle responsabilità di bilancio tra i diversi livelli di governo dovrebbe essere chiaramente definita e soggetta ad adeguate procedure di controllo. Ritiene che una delle innovazioni più rilevanti del nuovo sistema di governance economica sia costituita dalla sorveglianza sugli squilibri macroeconomici che si articola in meccanismi sia presentivi sia correttivi. Osserva che la parte preventiva è disciplinata dalla proposta di regolamento sulla prevenzione e la correzione degli squilibri macroeconomici (COM(2010)527) che demanda alla Commissione una valutazione periodica dei rischi derivanti dagli squilibri macroeconomici in ciascuno Stato membro. La valutazione, come precisato dalla task force, andrebbe operata nel contesto dell'esame dei Programmi nazionali di riforma elaborati nell'ambito della Strategia per la crescita e l'occupazione «UE 2020», e dei Programmi di stabilità e convergenza. Rileva che la valutazione sarebbe basata su un quadro di riferimento composto da indicatori economici, la cui individuazione è rinviata ad una fase successiva, ma che potrebbero comprendere: il bilancio delle partite correnti; il tasso di cambio effettivo basato sui costi unitari del lavoro; il debito del settore pubblico e privato. Fa presente che lo scorso novembre la Commissione europea ha predisposto a questo scopo un documento di lavoro relativo agli indicatori da utilizzare a tale scopo, sottoposto al Comitato di politica economica e ai membri supplenti del Comitato economico e finanziario, organi consultivi del Consiglio ECOFIN e della Commissione. Ritiene che, sulla base della valutazione, la Commissione avvierebbe un riesame approfondito riguardante gli Stati membri a rischio per individuare i problemi sottostanti e potrebbe rivolgere ai medesimi Stati - come precisato dalla task force - una «allerta preventiva». Per gli Stati membri che presentano gravi squilibri, tali da mettere a rischio il funzionamento dell'Unione economica e monetaria, il Consiglio adotterebbe raccomandazioni e avvierebbe una procedura per gli squilibri eccessivi. Sottolinea che lo Stato che sia oggetto di tale procedura dovrebbe sottoporre un piano di azione correttivo al Consiglio, il quale fisserebbe un termine per l'adozione di misure correttive. Con riferimento alla parte correttiva, in base alla proposta di regolamento sulle misure per la correzione degli squilibri macroeconomici eccessivi nell'area dell'euro (COM(2010)525), osserva che lo Stato dell'eurozona che ometta ripetutamente di dare seguito alle raccomandazioni del Consiglio formulate nel quadro della procedura per gli squilibri eccessivi al fine di porre fine ad una situazione di squilibrio, pagherebbe un'ammenda annua pari allo 0,1 per cento del suo PIL. Sottolinea che la decisione di comminare un'ammenda è proposta dalla Commissione e si considera approvata dal Consiglio a meno che esso non la respinga con voto a maggioranza qualificata degli Stati membri dell'eurozona, senza tenere conto del voto dello Stato interessato. L'ammenda sarebbe restituita al Paese interessato qualora desse seguito alle raccomandazioni del Consiglio. Sottolinea che, in caso di mancata restituzione, le entrate derivanti dalle ammende, verrebbero distribuite, sulla base dei rispettivi PIL, tra i Paesi membri dell'area euro non sottoposti ad alcuna procedura. Evidenzia, come già fatto in altre circostanze, la procedura innovativa del «semestre europeo» che consiste in un ciclo di procedure volto ad assicurare un

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coordinamento ex ante delle politiche economiche europee, ha come obiettivo quello di fornire elementi per una discussione ex ante sulle politiche di bilancio, ma proprio per questo permane una certa preoccupazione per il ruolo dei singoli parlamenti nazionali all'interno di questo nuovo strumento di valutazione e discussione. Richiede inoltre un approfondimento dell'aspetto contenuto all'interno della proposta COM(2010)522 del nuovo principio della politica di bilancio prudente, per cui l'obiettivo essenziale è quello di assicurare che le entrate straordinarie non siano spese ma destinate alla riduzione del debito. Fa presente che le sei proposte legislative presentate il 29 settembre 2010 saranno poi esaminate nelle prossime settimane dal Consiglio e dal Parlamento europeo. In conformità al Protocollo sul ruolo dei parlamenti nazionali allegato al Trattato di Lisbona, le proposte non potranno essere iscritte all'ordine del giorno del Consiglio ai fini della loro adozione o della adozione di una posizione nell'ambito delle procedure legislative con cui esse sono esaminate prima del 13 dicembre. In tale data scade, infatti, il termine di otto settimane dalla messa a disposizione delle proposte, nelle rispettive lingue ufficiali, a tutti i parlamenti nazionali. Di fatto, sulle proposte si è già svolto un negoziato in seno all'ECOFIN, all'Eurogruppo e alla task force Van Rompuy. Ritiene che alcuni punti chiave siano tuttavia ancora controversi e ci sono pertanto margini per un intervento parlamentare. Deposita quindi una proposta di documento finale (vedi allegato 1).

Sandro GOZI (PD), relatore per la XIV Commissione, evidenzia di avere elaborato anch'egli una proposta di documento finale (vedi allegato 2), che sottopone alla valutazione dei colleghi auspicando che si possa lavorare per una soluzione condivisa ed unitaria, come già avvenuto in passato nei lavori delle Commissioni riunite V e XIV.
Evidenzia quindi che le sei proposte legislative in esame (cinque di regolamento ed una di direttiva) concernono uno dei tre pilastri del nuovo sistema di governance economica europea, la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica (a questo profilo si riferiscono due delle cinque proposte di regolamento) e l'applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita, cui si riferiscono le altre tre delle proposte di regolamento e la proposta di direttiva).
Il secondo pilastro del nuovo sistema è costituito dal meccanismo di coordinamento ex ante delle politiche economiche e di bilancio nell'ambito del semestre europeo di cui il Consiglio ECOFIN del 7 settembre 2010 ha già deciso l'avvio dal 2011 apportando alcune modifiche al Codice di condotta sull'attuazione del Patto di stabilità e crescita.
Il terzo pilastro è infine costituito dalla creazione di un meccanismo permanente di gestione delle crisi per salvaguardare la stabilità finanziaria della zona euro. Su questo aspetto, già oggetto di indicazioni generali nella relazione della task force sulla governance economica presieduta da Van Rompuy, i Ministri dell'Eurogruppo, nel corso della riunione straordinaria del 28 novembre 2010, hanno approvato una dichiarazione che indica gli elementi essenziali del nuovo meccanismo, che andrebbe istituito previa apposita modifica dei Trattati. Tuttavia, negli ultimi giorni è emersa al riguardo una proposta ben più ambiziosa, formulata già dal professor Monti e ripresa dal Ministro Tremonti e dal Presidente dell'Eurogruppo Juncker, di istituire una Agenzia europea del debito che potrebbe finanziare fino al 50 per cento e, in circostanze eccezionali, anche fino al 100 per cento, i titoli emessi dagli Stati membri.
È evidente che, pur dovendo considerare formalmente le sei proposte in questione le Commissioni riunite non potranno non tenere conto di questo più ampio contesto per definire indirizzi negoziali effettivi per il Governo.
Prima di passare ad analizzare specificamente le proposte legislative in esame, intende formulare alcune considerazioni preliminari sul senso e sull'efficacia dell'intervento delle Commissioni V e XIV.

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Ricorda infatti che l'esame delle proposte di riforma della governance economica europea costituisce l'ultimo atto di una costante attenzione rivolta da parte delle Commissioni alle iniziative avviate dalle Istituzioni dell'Unione europea in questa materia. Intende anzi rivendicare come la Camera abbia - ben prima che la crisi finanziaria ponesse la questione al centro dell'agenda europea - affermato in più occasioni e con forza che la creazione di un governo economico europeo è condizione imprescindibile per la sopravvivenza della moneta unica e l'avanzamento del processo di integrazione. Su questo tema, quindi, si è riusciti a dimostrare la capacità del Parlamento di seguire in tutte le sue fasi l'evoluzione delle scelte politiche europee, togliendo ogni alibi a chi - nelle istituzioni e fuori dalle istituzioni - accusa il Parlamento di inerzia o scarso interesse per gli affari europei. Al tempo stesso, non può non rilevare che gli indirizzi tempestivamente espressi dalle Commissioni a marzo - in sede di esame della strategia 2020 - e a luglio - in esito all'esame della comunicazione della Commissione europea sulla governance - nonché dall'Aula, nella risoluzione approvata quasi all'unanimità nello scorso luglio in esito all'esame del programma di lavoro della Commissione europea per il 2010, sembrano in ampia misura essere stati ignorati sia dal Governo, primo destinatario delle pronunce parlamentari, sia dalla Commissione europea. Ultimo e grave atto di questo atteggiamento - che andrebbe stigmatizzato sia dalla maggioranza sia dall'opposizione - è l'annullamento dell'audizione del Ministro Tremonti sulle proposte in esame, prevista per il 30 novembre 2010. Rileva come si possa giudicare negativamente o positivamente la condotta del Ministro in seno all'ECOFIN o all'Eurogruppo, ma come sia inaccettabile che il Ministro Tremonti - a differenza di suoi autorevoli colleghi di Governo, quali i ministri Sacconi e Frattini - non sia mai intervenuto in prima persona a discutere di questi temi in Parlamento. Temi ai quali ha invece dedicato ampia attenzione nelle sue dichiarazioni alla stampa. Prende atto delle comunicazioni di stampa secondo cui il Ministro si presenterà nella giornata di domani di fronte alle Commissioni riunite assieme al Commissario europeo Rehn. Auspica che sia così e che in futuro non sia necessario avere la presenza della Commissione europea per ottenere quella del Ministro Tremonti.
Ricorda che in Germania tutti i passaggi importanti - dal sostegno alla Grecia, alle prospettive di riforma del Patto di stabilità, dal semestre europeo al nuovo meccanismo di stabilizzazione - sono stati discussi non solo dalle Commissioni competenti ma addirittura, in alcuni casi, in Aula, con la presenza del Ministro delle finanze Wolfgang Schaeuble o di altri rappresentanti del Governo. E va altresì ricordato che il Ministro Tremonti brillava per la sua assenza durante la discussione in Aula del decreto legge «salva Grecia».
Il mancato seguito dato dal Governo agli indirizzi parlamentari ha prodotto un danno irreparabile per il Parlamento. Occorre riconoscere, con grande realismo, che probabilmente le posizioni che le Commissioni esprimeranno avranno a questo punto scarse possibilità di incidere sugli elementi fondamentali del nuovo sistema di governance. Il periodo di otto settimane posto dal Protocollo n. 1 a garanzia della possibilità dei parlamenti nazionali di esprimere indirizzi ai propri Governi prima che il Consiglio si pronunci - che scade il 13 dicembre 2010 - è stato rispettato formalmente ma non nella sostanza. I negoziati sul nuovo sistema di governance economica europea condotti in seno alla Task force, presieduta dal Presidente Van Rompuy, e ai margini delle ultime riunioni dell'ECOFIN e del Consiglio europeo hanno infatti già prospettato diversi punti di accordo. Si tratta di un episodio grave che a suo avviso andrà stigmatizzato nel documento finale delle Commissioni V e XIV e che deve portare a riflettere, più in generale, sulla effettiva incidenza delle pronunce parlamentari in assenza di un raccordo efficace con il Governo.

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Passando quindi ad un esame del contesto politico ed economico nel quale si inseriscono le sei proposte legislative in esame, ricorda che queste concernono uno dei tre pilastri del nuovo sistema di governance economica europea, la creazione di una più forte sorveglianza macroeconomica e l'applicazione più rigorosa del Patto di stabilità e crescita. È tuttavia indispensabile svolgere un discorso più ampio che collochi tali proposte nel quadro di una più complessiva, generale revisione della governance economica europea e dei poteri stessi dell'Unione in tema di politiche fiscali, di bilancio e per lo sviluppo, in un processo evolutivo che potrebbe comportare un cambiamento dei Trattati istitutivi e produrre finalmente quel salto in avanti nella costruzione europea che, nel rispetto dei principi democratici e delle prerogative nazionali, pare indispensabile per consentire all'Europa di affrontare le sfide del futuro.
Osserva quindi che l'origine della crisi della zona euro è innanzitutto politica: i governi continuano ad agire in un'ottica emergenziale, senza indicare un disegno politico più ampio basato sullo sviluppo di una vera e propria politica economica comune, superando gli attuali meccanismi, deboli e incompleti, di coordinamento tra Stati membri e dotando l'Unione europea del potere di decidere gli elementi essenziali di una politica economica veramente comune e di un bilancio adeguato rispetto agli obiettivi stabiliti nei Trattati. Il Parlamento italiano ravvisa nell'intreccio di questi temi, nella ampiezza delle questioni e nella gravità dei rischi che l'Unione, la moneta unica e gli stessi stati membri devono affrontare, un passaggio storico che, se affrontato con coraggio e lungimiranza, all'interno di un quadro strategico comune, può rappresentare una grande opportunità politica. Per questo motivo non può non preoccupare il ruolo inadeguato che il Governo italiano sembra giocare nel negoziato politico europeo, su posizioni defilate, in difficoltà per le spinte politiche divergenti rispetto all'Europa storicamente presenti nella maggioranza, scarsamente autorevole per l'incerto sostegno parlamentare dell'Esecutivo e che si rispecchia nella ridotta considerazione internazionale per il nostro Ministro dell'Economia, indicato dal Financial times nell'annuale ranking dei Ministri europei dell'Economia solo al quattordicesimo posto, per citare solo l'ultimo esempio. Rileva altresì come preoccupazione costante del Parlamento italiano, in tutti gli atti di indirizzo approvati, sia stata quella di evitare che l'unica risposta alla crisi e all'instabilità dell'area Euro sia una rigida ortodossia finanziaria e una focalizzazione esclusiva sul tema dei debiti pubblici senza che siano messi in campo strumenti di politica economica e fiscale che equilibrino l'impatto sull'economia reale e sulla vita delle persone, riducendo così il forte rischio di effetti pro ciclici e depressivi. Con una crescita bassa o nulla in vari Stati membri tra cui l'Italia, infatti, si rimarrà in una situazione di incertezza con possibili future turbolenze sui mercati, spread tra diversi titoli del debito pubblico al rialzo e ulteriori difficoltà di consolidamento fiscale tali da mettere a forte rischio la tenuta stessa dell'Unione monetaria. In particolare, nel breve periodo le nuove misure di consolidamento fiscale prese allo stesso tempo da tutti i paesi della zona euro rischiano di avere un impatto ulteriormente negativo sulla domanda e, del resto, le attuale divergenze di produttività e competitività tra Stati membri e gli squilibri da esse generati sono sostenibili solo con una ripresa della crescita sia nell'area centrale che in quella periferica della zona euro.
Non essendosi fatto il Governo portatore di precise istanze formulate nei due atti di indirizzo approvati dalle Commissioni Bilancio e Politiche dell'Unione europea, il sistema prospettato dalle proposte della Commissione e della Task force appare gravemente carente nella sua stessa impostazione generale essendo prevalentemente incentrato sul ripristino della disciplina di bilancio che per quanto necessaria non è tuttavia in grado di assicurare dinamiche di crescita adeguate a garantire la stessa sostenibilità dei debiti sovrani dell'area euro.

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Anzitutto, rileva un evidente disallineamento nelle proposte tra il rigore dei vincoli e sanzioni previste per il rispetto della stabilità macroecononomica e la debolezza del coordinamento delle misure per la crescita e l'occupazione, incluse nella strategia 2020 e affidate ai consueti ed inefficaci meccanismi di peer review; ciò è stato efficacemente messo in rilievo anche nel corso dell'audizione del CER. Eppure l'entità e le modalità della riduzione del debito e del pareggio di bilancio a medio termine, prospettate dalle proposte della Commissione, sono perseguibili e socialmente sostenibili solo con un elevato tasso di crescita del PIL, come giustamente sottolineato dal professor Spaventa. È difficilmente comprensibile perché l'Italia sia disposta ad accettare, in cambio di modeste correzioni, un mero irrigidimento del Patto di stabilità e crescita che - in assenza di regole e misure efficaci per la crescita - condannerebbe probabilmente il Paese a un mero contenimento della spesa senza margini per sostenere lo sviluppo.
Sarebbe inappropriato - a suo parere - sostenere a questo riguardo che l'Italia è sostanzialmente al sicuro essendo stata riconosciuta l'importanza del debito privato per l'assunzione di misure correttive e preventive sui disavanzi eccessivi. Contrariamente a quanto sostenuto dal Governo, il debito privato, nelle proposte della Commissione come in quelle della task force, non tempera affatto la rigidità del parametro del 60 per cento, ma è solo uno dei fattori di cui si dovrà tenere conto nel modulare l'entità e il ritmo della riduzione.
In secondo luogo, le proposte presentate dalla Commissione europea non prestano sufficiente attenzione alle politiche per la crescita e per la correzione di tali squilibri. Un'enfasi eccessiva è stata posta sul braccio correttivo del nuovo Patto di stabilità e di crescita, che in ogni caso interverrebbe in una fase troppo avanzata con situazioni finanziarie nazionali già molto compromesse. È quindi necessario rafforzare ulteriormente il braccio preventivo, attraverso un più forte sistema di allerta precoce, pubblicazione delle performance dei singoli paesi e piena trasparenza delle decisioni del Consiglio ECOFIN e Eurogruppo. In questo quadro, pur condividendo la cultura della stabilità e la necessità di una riduzione del nostro debito nazionale, freno alla crescita del Paese, il Governo deve assumere un ruolo più incisivo nel proporre in sede europea meccanismi più «intelligenti» e flessibili per il rientro dei Paesi fortemente indebitati che evitino di aggravare la situazione di difficoltà, così come deve sostenere le posizioni che respingono forme di sanzioni automatiche o semiautomatiche ed escludere decisamente l'ipotesi di riduzioni o sospensioni dell'accesso ai Fondi comunitari per gli Stati inadempienti.
In particolare, richiede una particolare attenzione l'ipotesi - prospettata dalla task force e dalla dichiarazione dell'Eurogruppo dello scorso 28 novembre - di modificare il Trattato sul funzionamento dell'Unione europea solo per inserire la sospensione del voto, in caso di reiterata violazione delle regole dell'Unione economica e monetaria, e il meccanismo di stabilizzazione. Non è poi chiaro se si intende procedere alle modifiche in questione con la revisione semplificata - teoricamente possibile trattandosi di norme della parte terza del Trattato sul funzionamento dell'Unione - oppure con il procedimento di revisione ordinaria. Si tratta infatti di riforme di grande rilevanza istituzionale che altererebbero l'equilibrio tra gli Stati membri e tra essi e l'UE e che vanno ratificate dai parlamenti con consapevolezza della loro portata. Andrebbe infine valutata con attenzione l'opportunità di una revisione organica di tutte le disposizioni in materia di politica economica e monetaria, o quanto meno di quelle relative all'area euro, alla luce delle novità intervenute negli ultimi mesi.
Rileva, in terzo luogo, che mancano specifiche proposte volte alla creazione di un legame tra gli strumenti di governance economica e le necessarie sinergie tra il bilancio dell'UE e i bilanci nazionali. È evidente - come sottolineato nei documenti finali approvati - che, a fronte delle dimensioni ridotte del bilancio europeo e

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della crisi economica finanziaria, occorre anzitutto quantificare le risorse complessive destinate al perseguimento di ciascuna politica e finalità e poi utilizzare gli strumenti di governance per volgere le medesime risorse verso obiettivi comuni. Anche questo elemento di criticità, più volte sottolineato dalla Camera, è stato condiviso dal CER nel corso della sua audizione.
Sempre nell'ottica di rafforzare le politiche europee per lo sviluppo e la crescita, l'Italia deve in questi giorni esplicare un ruolo positivo e più fattivo nel promuovere un accordo tra Consiglio e Parlamento europeo per l'adozione del bilancio dell'Unione europea per l'anno 2011, prospettandosi altrimenti, con l'esercizio provvisorio sulla base del sistema dei dodicesimi, un vero e proprio blocco dell'Europa e di tutte le più rilevanti politiche comunitarie, un fallimento da scongiurare per evitare gravi conseguenze politiche ed economiche. A tal fine, occorre superare le resistenze di alcuni Stati membri ed accettare le richieste del Parlamento europeo sul mantenimento di alcuni meccanismi di «flessibilità» per spese extra non previste dal Bilancio nonché la richiesta di associazione al processo negoziale del prossimo quadro finanziario pluriennale, in cambio del sostanziale assenso da parte dello stesso Parlamento a limitare l'incremento in Bilancio degli stanziamenti di pagamento al solo 2,9 per cento di per sé ben al di sotto delle ambizioni e delle reali necessità europee.
Inoltre, come sottolineato anche dal professor Spaventa nel corso della sua audizione, non sono espressamente formulati nelle proposte gli indicatori che dovrebbero essere utilizzati per la vigilanza macroeconomica e, in particolare, per verificare rigorosamente l'attuazione della strategia 2020. Un documento di lavoro su questi punti è stato sottoposto dalla Commissione europea al Comitato di politica economica, in vista dell'esame da parte dell'ECOFIN: anche in questo caso si è scelta una procedura poco trasparente, utilizzando un documento che per sua natura non è trasmesso ai parlamenti nazionali e addirittura non reso pubblico.
Nel quadro dello stesso negoziato sul nuovo progetto di bilancio europeo e della futura discussione del quadro finanziario pluriennale, pare indispensabile superare le obiezioni di alcuni Stati e sostenere anche le richieste di nuove risorse proprie che servirebbero ad alimentare il perseguimento, a livello europeo, degli obiettivi di Europa 2020 e che costituirebbero uno strumento importante per equilibrare il rigore giustamente preteso a livello di conti pubblici nazionali. In questo contesto, tra le altre proposte avanzate, occorre riproporre l'idea dell'istituzione di una tassa europea sulle transazioni internazionali. Importante sarebbe, inoltre, sostenere forme nuove di accesso e di utilizzo ai Fondi strutturali europei essendosi rivelato il meccanismo del cofinanziamento nazionale, in tempi di limitate risorse nazionali e di necessario rigore finanziario, un ostacolo all'effettivo impiego delle risorse impegnate, come accertato da recenti indagini ed analisi pubblicate, in base alle quali solo il 10 per cento dei 347 miliardi stanziati per gli interventi strutturali sarebbero stati impegnati. Sarebbe forse il momento di prevedere, almeno in via transitoria o per alcuni settori, la possibilità di aumentare il concorso europeo alla spesa e ridurre l'onere nazionale, introducendo deroghe transitorie legate alla crisi.
In quarto luogo, il nuovo meccanismo di stabilizzazione, nonostante l'Eurogruppo del 28 novembre abbia parzialmente temperato le richieste tedesche, sembra presupporre una distinzione tra Paesi dell'area euro di serie A e paesi di serie B, a sovranità limitata, che potrebbe incidere anche sull'Italia, sin dalle prossime emissioni di suoi titoli di debito. In particolare, rispetto alla proposta di includere clausole standard di azione collettiva nei termini e condizioni dei titoli pubblici emessi a partire da giugno 2013 andrebbe verificato se tali meccanismi non rendano eccessivamente difficile e onerosa la collocazione di emissioni di debito proprio da parte di Paesi già in situazione critica, come l'Italia, e non incentivino manovre speculative. Ciò a maggior ragione

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nel momento in cui le proposte della Commissione prevedono un'attenzione forse eccessiva alla dinamica del debito pubblico, prevedendone una riduzione in base a parametri rigidi e semiautomatici. Va sostenuta comunque la previsione dell'obbligo per gli Stati in difficoltà di negoziare un piano di ristrutturazione del debito con i propri creditori del settore privato.
Anche alla luce di questi fattori di criticità sarebbe preferibile, nell'interesse dell'Italia e della costruzione europea nel suo complesso, l'istituzione di una Agenzia europea del debito. Anzitutto, in tal modo, si creerebbe un mercato globale per i titoli europei, in grado di raggiungere, progressivamente, una liquidità comparabile a quella dei buoni del tesoro USA, che, oltre a proteggere i Paesi dalla speculazione, contribuirebbe a mantenere i capitali esistenti in Europa e ad attirarne di nuovi, favorendo l'integrazione dei mercati finanziari europei e agevolando gli investimenti in funzione della crescita economica. Un mercato dei titoli di stato siffatto sarebbe estremamente liquido, armonizzato, standardizzato e con un merito di credito unico per gli Stati europei; sarebbe così possibile limitare le speculazioni sui mercati del debito pubblico e costringere gli obbligazionisti privati ad assumersi il rischio e la responsabilità delle proprie decisioni d'investimento. Inoltre, si assisterebbe gli stati membri in difficoltà senza favorire l'azzardo morale, grazie al meccanismo di switch tra titoli in base ad un'opzione di sconto, verosimilmente maggiore per i titoli dei Paesi in difficoltà. Gli Stati membri avrebbero comunque la convenienza di non dover pagare tassi d'interesse più alti su titoli di debito non coperti tramite gli E-bond. L'Agenzia dovrebbe essere anche in grado di emettere nuovi titoli di debito pubblico europeo (Euro Bonds) per generare nuove e ingenti risorse da destinare ad investimenti ed infrastrutture europee di rilevanza strategica.
A medio e lungo termine, come già richiesto dalle Commissioni V e XIV nel documento adottato in luglio, occorrerà poi valutare la costituzione di un vero e proprio Fondo Monetario Europeo, con capitale adeguato e capacità di intervento sui mercati per proteggere l'euro. Infine, vanno con urgenza rafforzate le istituzioni finanziarie europee, in particolare la Banca Europea per gli Investimenti e la Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo che potrebbero venire unificate in una grande banca per le infrastrutture e lo sviluppo, con adeguata capitalizzazione.
Infine, manca ogni riferimento allo sviluppo della dimensione esterna della governance, che pur sarebbe possibile utilizzando le disposizioni del Trattato che già consentono la creazione di rappresentanze unitarie nelle istituzioni finanziarie internazionali. È sempre più urgente assicurare una rappresentanza unitaria della zona euro in seno al Fondo Monetario Internazionale, nel cui Board oggi i rappresentanti europei sono divisi in varie constituencies che includono altri paesi con diverse strutture e interessi economici. Una rappresentanza unitaria dell'Unione europea sarà necessaria anche in seno al G20, in cui riunione dopo riunione emerge chiaramente come l'influenza degli europei sia inversamente proporzionale al numero di Europei che si siedono al tavolo e quanto alto sia il «costo della non Europa» in ambito economico e finanziario globale.

Massimo VANNUCCI (PD), nell'auspicare la redazione di un documento condiviso, rileva che l'Europa sta attraversando una fase delicatissima, per uscire dalla quale ritiene necessaria una spinta in avanti. Ricorda che in sede europea si sta svolgendo un confronto particolarmente serrato sulle tematiche oggetto delle proposte di atti dell'Unione europea in esame e che pertanto il Parlamento dovrebbe addivenire ad una posizione comune. Rileva che i Paesi colpiti dalla crisi avevano livelli di deficit e di debito pubblico ben al di sotto dei parametri e che quindi la crisi ha tratto origine dagli squilibri derivanti dall'eccessiva esposizione finanziaria delle famiglie e delle imprese, successivamente trasferitasi sul debito pubblico. Sottolinea

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come una eccessiva attenzione sulle questioni del debito pubblico potrebbe far perdere di vista la necessaria attenzione nei riguardi del sistema creditizio e che quindi occorrerebbe rafforzare tale aspetto nei documenti predisposti dai relatori. Con riferimento alla questione del rientro dal debito pubblico, evidenzia come sia necessario un incremento della crescita economica, sottolineando a tal fine come sia importante il rafforzamento della concorrenza. Ritiene come sia altresì necessario a tal fine una grande fase di investimenti pubblici. Sottolinea quindi l'opportunità di una verifica qualitativa dei conti pubblici più che una applicazione dei parametri europei in maniera meramente ragionieristica, evidenziando in proposito come occorra introdurre meccanismi di monitoraggio. Ricorda che, malgrado gli interventi correttivi per la riduzione della spesa pubblica, la spesa di parte corrente continua a crescere e rileva che una impostazione eccessivamente rigoristica potrebbe avere effetti depressivi sull'economia. Sottolinea come debba essere maggiormente considerato il debito aggregato, ricordando in proposito che, come chiarito anche recentemente da Il Sole 24 Ore, dal raffronto tra i dati relativi all'area dell'euro, del dollaro, della sterlina e dello yen, emerge come l'area dell'euro abbia i migliori indicatori fondamentali. Evidenzia come, se vi fosse una valutazione complessiva della situazione europea, come accade per gli Stati Uniti, dove i problemi finanziari dei singoli Stati non inficiano la credibilità complessiva del Paese, gli attacchi speculativi sarebbero molto minori. Ricorda che, rispetto ai parametri economici dei Paesi dell'area dell'euro, l'Italia contribuisce in maniera virtuosa rispetto a tutti i parametri salvo quello del rapporto tra il debito pubblico e il PIL, che tuttavia sconta un dato storico, comunque, a suo avviso, ben gestito. Rileva che è necessario non concentrare tutte le attenzioni sul debito pubblico, ma occorre intervenire sul deficit per prevenire gli squilibri finanziari. Richiamando l'intervento dell'onorevole Toccafondi, ritiene che la cifra di oltre 45 miliardi di euro all'anno che si imporrebbe all'Italia per la riduzione progressiva del debito pubblico non sia assolutamente sostenibile, anzi evidenzia come essa sarebbe pericolosa e sbagliata per l'economia del Paese. Al contrario ritiene condivisibile la proposta di trasferire una parte del debito sovrano degli Stati al livello europeo. Conclusivamente raccomanda maggiore attenzione sulle questioni del deficit e dell'avanzo primario.

Lino DUILIO (PD), prima di affrontare il contenuto delle proposte di atti normativi dell'Unione all'esame della Commissione, osserva come ci siano preoccupanti segnali di scarsa consapevolezza della serietà delle questioni affrontate dalle medesime proposte. Ritiene, infatti, significativa la scarsa partecipazione alla seduta da parte dei deputati della maggioranza, sottolineando altresì come non possa non rilevarsi la circostanza che il rappresentante del Governo non sia più presente alla seduta, dimostrando - al di là delle legittime ragioni di tale assenza - la mancanza di consapevolezza da parte dell'Esecutivo della rilevanza delle decisioni che presto saranno assunte a livello europeo. A questo proposito, osserva inoltre che sarebbe stato opportuno un maggiore approfondimento dell'attività istruttoria sulle proposte in esame, procedendo all'audizione del Ministro dell'economia e delle finanze in una fase antecedente all'audizione del Commissario europeo. Al riguardo, rileva, inoltre, l'inopportunità della contemporanea presenza del Ministro e del Commissario europeo, dal momento che la presenza di un rappresentante delle istituzioni dell'Unione europea necessariamente impedirà di affrontare in modo puntuale una serie di profili critici posti dai provvedimenti adottati dal Governo e dalla maggioranza negli ultimi anni. In particolare, osserva che una eventuale audizione separata avrebbe consentito di chiedere conto al Ministro degli effetti di provvedimenti come il decreto-legge n. 78 del 2009 e il decreto-legge n. 78 del 2010, che, nonostante i tagli lineari operati, non sono riusciti a scalfire l'ammontare del debito pubblico italiano

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che continua ad essere prossimo al 120 per cento del Prodotto interno lordo del nostro Paese. Osserva, al riguardo, come la politica delle riduzioni lineari della spesa seguita dal Governo, oltre a causare un crescente scompenso nei cittadini colpiti dai tagli, non ha consentito di raggiungere un avanzo primario e, quindi, un andamento virtuoso dei conti pubblici e non ha determinato alcuna forma di sostegno alla crescita economica. Ritiene, quindi, assolutamente imprescindibile che in questa sede ci si interroghi su quali possano essere gli strumenti per coniugare il necessario rigore nella tenuta dei conti pubblici con l'esigenza di promuovere una adeguata crescita economica, evitando di prefigurare nuove dolorose manovre prive di riflessi positivi in termini di sostegno alla ripresa dell'economia reale. Sottolinea, altresì, che l'intervento del Ministro dell'economia in una sede distinta rispetto al Commissario europeo avrebbe consentito anche di chiarire alcune affermazioni rese dal Ministro stesso in occasione dell'esame della Decisione di finanza pubblica, quando aveva assicurato che i nuovi criteri in ordine alla valutazione del debito sarebbero stati adottati in sede europea solo a decorrere dal 2016, indicando altresì che nella valutazione si sarebbe tenuto conto del debito del settore privato. Su un piano più generale, osserva come sui temi delle riforma della governance economica dell'Unione aleggi il fantasma della mancanza di una precisa assunzione di responsabilità di carattere politico, a fronte dell'indisponibilità dimostrata dalla Germania rispetto alla difficile situazione economica e finanziaria di altri Paesi dell'area dell'euro. In questo quadro, ritiene che le proposte della Commissione, improntate a criteri meramente ragionieristici, non costituiscano una soluzione adeguata ai gravi problemi che l'Unione è chiamata ad affrontare, sottolineando come sarebbe assai opportuno recuperare talune delle proposte contenute nei documenti finali approvati in passato dalle Commissioni V e XIV della Camera in materia di governance economica. In particolare, nel sottolineare che la speculazione colpisce i Paesi più deboli sfruttando le divisioni esistenti tra i diversi Stati europei, ritiene assolutamente imprescindibile la costituzione di un Fondo monetario europeo, che rappresenterebbe uno strumento permanente di stabilizzazione dell'area euro, superando le criticità emerse nel corso delle recenti crisi, quando i singoli Paesi sono accorsi in ordine sparso al capezzale del Paese vittima delle manovre speculative. In questa ottica, ritiene altresì necessario valutare ipotesi innovative per individuare soluzioni di carattere strutturale alle recenti crisi economiche e finanziarie, giudicando, in particolare, opportuno verificare la possibilità di costituire una Agenzia europea di rating, in modo da superare una delle cause dell'instabilità recentemente manifestatasi. Ribadisce, in questo contesto, la necessità di sperimentare soluzioni che consentano di affiancare ad interventi volti a garantire la stabilità delle finanze pubbliche dei Paesi dell'Unione, misure che assicurino una crescita economica nel medio-lungo periodo, sottolineando come le prospettive di crescita di più ampio respiro siano oggetto di attenta valutazione da parte dei mercati, che valutano la solidità tendenziale delle finanze dei diversi Paesi, disinteressandosi di squilibri di breve e brevissimo periodo. A questo riguardo, ritiene che ci si debba interrogare su quali politiche intenda adottare l'Unione in materia di crescita economica, sottolineando come in tutti i dibattiti che si svolgono nelle istituzioni europee pressoché tutti gli interventi e le proposte si incentrano sulla tenuta dei conti pubblici, mentre il tema della crescita sia sostanzialmente negletto. A suo avviso, non può ipotizzarsi la prosecuzione di un sistema nel quale le politiche di crescita sono sostanzialmente rimesse alla buona volontà degli Stati membri, ma si rendono necessarie lo sviluppo di grandi politiche di investimento a livello europeo, da finanziare anche attraverso titoli di debito pubblico europei. Nel ribadire che la stabilità dei conti rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente per la crescita economica, osserva tuttavia che è

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assolutamente necessario ridurre il livello di debito del nostro Paese. In proposito, nel ritenere non condivisibili i meccanismi automatici proposti dalla Commissione, osserva come sarebbe preferibile che l'Unione europea avviasse un'interlocuzione con ciascun Paese che presenti un debito eccessivo al fine di pervenire all'elaborazione di un piano di rientro che tenga conto delle peculiarità delle diverse situazioni economico-finanziarie. Nel sottolineare come tale proposta consentirebbe una migliore valutazione delle caratteristiche fondamentali delle diverse economie, evidenzia altresì come l'interlocuzione che si svilupperebbe darebbe vita ad una contrattazione di carattere politico e non meramente ragionieristico, che non potrebbe non rafforzare l'integrazione politica all'interno dell'Unione. In ogni caso, ritiene che dovrebbe riconsiderarsi il parametro del debito individuato dai Trattati, ricordando come anche nelle audizioni recentemente svoltesi si sia sottolineato come, nell'individuazione di tale parametro, si fosse assunta l'ipotesi di una crescita del Prodotto interno lordo del 5 per cento annuo, che, nelle attuali condizioni economiche, non può non apparire velleitaria.

Renato CAMBURSANO (IdV) richiamando i documenti approvati dalle Commissioni relativamente al rafforzamento del coordinamento delle politiche economiche, sottolinea che ad essi il Governo italiano non ha annesso la adeguata importanza nell'ambito della sua attività negoziale in sede europea. Chiede quindi se il documento che le Commissioni si accingono ad approvare sulle sei proposte di atti dell'Unione europea in esame potrà essere effettivamente un documento di lavoro, ovvero sia destinato a rimanere agli atti del Parlamento italiano. Sottolinea come per garantire maggiore efficacia al lavoro parlamentare si sarebbe dovuto avviare l'esame di tali proposte in anticipo. A titolo personale esprime perplessità sulle proposte recentemente avanzate dal Ministro Tremonti relativamente agli eurobond ed alla costituzione di un'agenzia europea per il debito. Ricorda di aver sostenuto, in occasione di precedenti occasioni di dibattito su altri documenti europei, l'opportunità dell'emissione di titoli europei del debito pubblico, tuttavia sottolinea che la sua proposta aveva finalità ben diverse da quella avanzata dal Ministro Tremonti. Ricorda, infatti, di aver sostenuto tale iniziativa al fine di favorire la crescita attraverso un programma di investimenti, mentre l'attuale proposta relativa agli eurobond è volta semplicemente alla copertura, entro il limite del 60 per cento, dei debiti nazionali. Ritiene che tale proposta possa essere pericolosa poiché essa farebbe sorgere difficoltà nel collocamento della quota di debito residua, come testimoniato dall'immediato aumento del differenziale tra i titoli italiani e quelli tedeschi all'indomani della proposta. Esprime quindi forti preoccupazioni sulle scelte fin qui seguite per ripianare i debiti dei Paesi europei in crisi, ricordando in proposito quanto emerso nelle audizioni dei rappresentanti del CER e del Prof. Spaventa. Sottolinea in particolare che, riversandosi in definitiva tali costi sui cittadini, emergono forti rischi di scontri sociali. Ritiene che l'Unione europea non dovrebbe preoccuparsi solo dei profili fiscali e di bilancio, ma dovrebbe controllare gli squilibri interni alle economie degli Stati membri, con particolare riferimento ai problemi derivanti dalla scarsa competitività e dalle rigidità del mercato del lavoro. Sottolinea come, oltre alla stabilità finanziaria, serva un ritorno alla politica, che, pur tenendo conto delle problematiche connesse al debito pubblico, pensi soprattutto ad incrementare la crescita economica. Sottolinea, inoltre, l'opportunità di non prevedere solo un rigido apparato sanzionatorio, in caso di mancato rispetto dei parametri economici, ma anche un coerente braccio preventivo, da realizzare attraverso il monitoraggio dei singoli Paesi da parte delle istituzioni europee, nonché attraverso un incremento dei controlli nazionali. A tal proposito rileva l'opportunità di istituire una Autorità di sorveglianza sui conti pubblici che possa essere effettivamente indipendente

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dal Governo. Ritiene inoltre che occorra favorire un incremento della concorrenza, addivenire ad una drastica riforma del sistema bancario, tenendo ben presenti le regole relative alla tutela della concorrenza, nonché procedere ad un allineamento dei sistemi fiscali. In proposito, pur ricordando la contrarietà dell'onorevole Martino su tale ultimo aspetto, motivata come una limitazione alla concorrenza tra gli Stati europei, rileva che proprio la presenza di Paesi con regimi fiscali particolarmente vantaggiosi ha favorito la speculazione finanziaria internazionale. Conclusivamente sottolinea l'opportunità di maggiori controlli sui movimenti di capitali, con particolare riferimento ai Paesi dell'area dell'euro.

Rolando NANNICINI (PD), nell'osservare come le relazioni svolte dai due relatori costituiscano un'ottima base per il prosieguo dell'esame delle proposte di direttiva e di regolamento, rileva tuttavia come nell'ambito del documento finale, sarebbe opportuno inserire alcune considerazioni in ordine al quadro generale macroeconomico in cui si inseriscono tali proposte. In proposito, rileva come nel dibattito svoltosi negli ultimi mesi, ci si sia interrogati più volte in ordine all'utilità per i Paesi economicamente più forti del mantenimento dell'unione economica e monetaria, sottolineando come, a suo avviso, tali interrogativi non abbiano alcuna ragion d'essere. In proposito, osserva che il 57 per cento delle esportazioni della Germania sono dirette a Paesi dell'Unione europea evidenziando che, in ragione dei tassi di cambio al momento dell'adozione della moneta unica, l'Italia ha visto ridurre le esportazioni verso la Germania. A suo giudizio, quindi, eventuali misure volte a garantire la stabilità nell'area dell'euro non dovrebbero essere considerate alla stregua di interventi di solidarietà tra i diversi Stati, in quanto rappresentano invece interventi da realizzare nell'interesse di tutti i Paesi che rientrano in tale area. Quanto agli effetti complessivi dell'adozione della moneta unica, rileva che, a distanza di quasi 10 anni, la stabilità determinata dalla divisa europea sulla base di una valutazione convenzionale di sicurezza delle economie degli Stati membri sembra aver lasciato il posto ad una incertezza complessiva, che ha portato ad attacchi speculativi nei confronti degli Stati periferici dell'area dell'euro. In questo contesto osserva che la Germania non si è comportata nel modo più opportuno, dal momento che, in occasione della recente crisi greca, interventi volti a garantire la stabilità di un Paese che contribuisce in modo non trascurabile al Prodotto interno lordo dell'Unione sono stati pesantemente influenzati dalla prossimità di una consultazione elettorale regionale. Nel ritenere, pertanto, che la crescita dell'Unione non possa realizzarsi in mancanza di un reale spirito unitario tra gli Stati membri, sottolinea come sarebbe opportuno riconsiderare gli obiettivi a suo tempo definiti in materia di debito pubblico, ricordando che il parametro del 60 per cento del Prodotto interno lordo era stato elaborato prevedendo una crescita economica pari al 5 per cento annuo. Ritiene, pertanto, necessari interventi che superino l'approccio burocratico che caratterizza le proposte elaborate dalla Commissione, sottolineando come il rafforzamento della moneta unica e degli scambi all'interno dell'Unione europea rappresenti un vantaggio per tutti gli Stati membri e, quindi, anche per la Germania, che, attraverso lo sviluppo del mercato unico, ha incrementato considerevolmente le proprie esportazioni. Giudica, quindi, necessario superare gli egoismi nazionali per individuare soluzioni durature ai difetti evidenziatisi negli ultimi anni nella governance economica europea.

Giancarlo GIORGETTI, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame delle proposte legislative dell'Unione europea alla seduta di domani.

La seduta termina alle 20.