CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 18 dicembre 2008
111.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari esteri e comunitari (III)
ALLEGATO
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ALLEGATO 1

Sulla missione a Parigi (21-22 luglio 2008) in occasione della Conferenza dei Presidenti delle Commissioni Affari esteri dei Parlamenti dell'UE.

COMUNICAZIONI

In occasione del semestre di presidenza francese dell'Unione europea, la Conferenza dei Presidenti delle Commissioni Affari esteri dei Parlamenti dell'UE si è riunita a Parigi dal 21 al 22 luglio 2008.
Il Parlamento italiano è stato rappresentato dal Presidente della Commissione Affari esteri della Camera, Onorevole Stefano Stefani, e dal Presidente della Commissione Affari esteri del Senato, Senatore Lamberto Dini.
I lavori della Conferenza sono stati aperti dal presidente della Commissione Affari esteri dell'Assemblea nazionale francese, Axel Poniatowski, che ha osservato preliminarmente come l'Unione europea continui ad essere un gigante economico ed un nano politico, nonostante il fatto che quasi i due terzi dei suoi abitanti ne sostengano il rafforzamento a livello mondiale. Anche il contributo alla cooperazione e allo sviluppo non corrisponde ad un ruolo politico altrettanto incisivo. A giudizio del presidente Poniatowski, l'UE sta subendo la globalizzazione, pur potendo contare sui valori dell'umanesimo liberale. Ha poi rilanciato lo slogan dell'unità nella diversità, fondato sull'armonia tra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, considerando positivamente, almeno in termini di visibilità ed efficacia, il Trattato di Lisbona, e quindi auspicandone la ratifica nonostante il no dell'Irlanda. Tra i principali temi internazionali di interesse, ha fatto riferimento al Kossovo, al Darfur e al potenziale nucleare dell'Iran. Un primo risultato tangibile è a suo avviso stato rappresentato dall'iniziativa francese per l'istituzione dell'Unione per il Mediterraneo. In conclusione, ha ricordato la scomparsa dell'europarlamentare polacco, Geremek, che fu tra i protagonisti della lotta per la libertà nel suo paese.
La relazione introduttiva è stata svolta a nome della presidenza francese dal Ministro degli esteri Bernard Kouchner, secondo cui l'Europa ha uno spirito che non riesce a comunicare ai suoi cittadini. La priorità per l'Europa è oggi a suo avviso rappresentata dal rilancio del rapporto transatlantico, che avrà una nuova finestra di opportunità grazie al cambiamento dell'amministrazione statunitense. Una ritrovata intesa euro-americana dovrebbe inizialmente puntare sulla soluzione politica e non solo militare della crisi afghana, mentre appare ormai recessivo l'intervento in Iraq. Considerando decisiva la questione della sicurezza energetica, l'UE non può ignorare la Russia come partner fondamentale per l'architettura della sicurezza continentale. Al riguardo, Kouchner ha ammesso la mancanza di un esercizio soddisfacente e la divaricazione delle posizioni sia sui diritti umani che sul Kossovo e la Georgia. Ha quindi evidenziato la necessità che l'Unione intensifichi le relazioni con i nuovi paesi emergenti, come la Cina, l'India e il Sud Africa. Ha poi valutato molto favorevolmente il successo politico dell'Unione per il Mediterraneo, che potrebbe rappresentare una speranza supplementare per il processo di pace in Medio Oriente. Ha richiamato poi l'Europa alle sue responsabilità per la lotta alla fame nel mondo e lo sviluppo dell'Africa, riferendosi alle difficili situazioni del Ciad, del Sudan e dello Zimbabwe. Quanto all'Iran, ha confermato la scelta

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delle sanzioni, pur restando aperta la porta al dialogo, dal momento che continua a non risultare chiara la finalità perseguita con l'arricchimento dell'uranio. In conclusione, ha insistito sulla difesa europea, che dovrebbe aumentare il proprio bilancio a fronte delle nuove minacce alla sicurezza.
Nel dibattito successivo, il Presidente Stefani ha sollevato la questione del Sahara occidentale e il Presidente Dini ha ripreso quella delle relazioni tra Russia e Georgia.
Le priorità della presidenza francese sono state illustrate dal Segretario di stato agli affari europei, Jean-Pierre Jouyet, che ha esordito escludendo il ricorso all'Europa a due velocità, nonostante il blocco del Trattato di Lisbona. Si è quindi soffermato sul tema dell'energia, correlandolo alla lotta al riscaldamento climatico ed alle emissioni di carbonio. La forte dipendenza dalla Russia resta al riguardo preoccupante. Ha quindi ribadito l'impegno per il patto europeo sull'immigrazione e l'asilo, in sinergia con la cooperazione allo sviluppo. Per affrontare le nuove minacce, dalla proliferazione nucleare all'insicurezza alimentare, ha auspicato il rafforzamento delle capacità militari e civili dell'Unione, invitando a fare presto.
Il punto sulla politica estera dell'Unione è stato poi fatto dall'Alto Rappresentante Javier Solana, che ha auspicato la conclusione positiva dell'iter di ratifica del Trattato di Lisbona. Nel considerare il conflitto israelo-palestinese il «nodo gordiano» della contemporaneità, ha registrato positivamente i progressi verificatisi in Libano e nel dialogo indiretto tra Israele e Siria, ribadendo comunque la necessità di sostenere l'Autorità palestinese nel suo sforzo di garantire l'ordine pubblico. Nel dirsi preoccupato per la destabilizzazione delle frontiere tra Afganistan e Pakistan e della non facile situazione in Sudan e Zimbabwe, è invece apparso più ottimista sul Kossovo, confidando ormai nel dispiegamento della missione europea. Ha infine fatto riferimento all'opportunità che l'Unione europea si impegni ulteriormente sui cambiamenti climatici e sulla revisione del Trattato di non proliferazione nucleare, prevista nel 2010.
Una testimonianza è stata recata dall'ex Presidente della Repubblica lettone, Vaira Vike-Freiberga, nella sua qualità di vicepresidente del Gruppo di riflessione sull'avvenire dell'Europa 2020-2030, che ha posto l'esigenza di posizionare l'Unione europea sulla scena mondiale per rispondere al disincanto diffuso tra i suoi cittadini. A suo avviso, la nuova Unione dovrebbe ridurre le differenze nei livelli di vita tra i vecchi e i nuovi membri così come tra i grandi e i piccoli paesi, alimentando soprattutto i filoni della cultura, dell'educazione e della ricerca. Pur considerando parimenti essenziale il dialogo dell'Unione con gli Stati Uniti e la Russia, ha rilevato come oggi quest'ultima stia avvantaggiandosi sul mercato energetico senza realmente riformare né il suo sistema politico né quello economico.
Di particolare rilievo è stato senza dubbio l'atteso intervento dell'ex premier britannico Tony Blair, inviato speciale del Quartetto per il Medio Oriente. A suo giudizio, la crisi medio-orientale vive il paradosso di uno stallo negoziale nonostante che la maggioranza della popolazione, sia israeliana che palestinese, voglia la pace. Considera purtroppo negativa al riguardo l'eccessiva frammentazione del quadro politico in entrambe le realtà. Secondo Blair, il processo di pace dovrebbe ripartire invertendo l'attuale tendenza delle parti a negoziare soltanto a fronte di un cambiamento delle condizioni sul terreno. A suo avviso, le parti dovrebbero contemporaneamente negoziare e cambiare la realtà della situazione, altrimenti i modesti progressi seguiti alla conferenza di Annapolis rischiano di vanificarsi. Naturalmente, c'è grande aspettativa per il nuovo indirizzo che l'amministrazione degli Stati Uniti adotterà o meno sulla questione, particolarmente se ciò avvenisse nell'ottica di una maggiore intesa con l'Unione europea. Blair ha infine fatto riferimento al piano che ha recentemente elaborato per la creazione di una zona di sicurezza e di libero scambio presso la

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città di Jenin, grazie al fatto che vi si dispone di poliziotti palestinesi addestrati adeguatamente. Ha infine attaccato l'Iran accusandolo di strumentalizzare il conflitto medio-orientale.
In conclusione è intervenuta la Direttrice esecutiva del Programma alimentare mondiale (PAM), Josette Sheeran, per illustrare l'attività della sua Organizzazione che assiste circa 90 milioni di persone (3 milioni nel solo Darfur), anche se di fame e malnutrizione soffrirebbero complessivamente nel mondo ben 130 milioni di individui. La recente crisi dei prezzi avrebbe peraltro comportato un calo del 40 per cento negli acquisti alimentari. Ha poi fatto riferimento ai casi di successo del Mozambico e del Senegal, in cui il PAM non si è limitato all'assistenza, ma ha favorito lo sviluppo della produzione e del consumo locale. Ha quindi concluso auspicando una sempre maggiore collaborazione tra l'ONU e l'Unione europea per la sicurezza alimentare.

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ALLEGATO 2

Sulla missione a Ginevra (11-12 settembre 2008) in occasione della Conferenza parlamentare sull'Organizzazione mondiale del commercio.

COMUNICAZIONI

La sessione annuale della Conferenza parlamentare sull'Organizzazione mondiale del commercio, organizzata congiuntamente dall'Unione interparlamentare e dal Parlamento europeo, ha avuto luogo a Ginevra, dall'11 al 12 settembre 2008. Per il Parlamento italiano sono intervenuti il Presidente della Commissione esteri della Camera, l'onorevole Stefano Stefani, e per la Commissione esteri del Senato il senatore Claudio Micheloni.
La Conferenza si è incentrata sulla relazione svolta dal Direttore generale dell'Organizzazione mondiale per il commercio, Pascal Lamy, che ha riferito sul fallimento del negoziato dello scorso luglio in cui avrebbero dovuto essere adottate le nuove modalità per i prodotti agricoli e industriali, oltre a taluni progressi relativi ai servizi. A suo avviso, le conseguenze negative di tale fallimento saranno pagate soprattutto dalle classi povere che avrebbero beneficiato del calo dei prezzi derivante dalle aperture dei mercati. Il Doha Round avrebbe infatti diffuso in tutto il mondo maggiore equità sul piano economico, contribuendo decisivamente alla redistribuzione del reddito globale. In particolare, i sussidi all'agricoltura nei paesi ricchi sarebbero calati di circa il 70-80 per cento, con evidenti conseguenze positive per i paesi poveri. Il fallimento di luglio resta a suo avviso ancora più inesplicabile dal momento che in poco tempo si era raggiunto un accordo sulla maggior parte delle questioni (con l'eccezione del cotone). Il negoziato è invece venuto meno per il dissenso soltanto su alcuni dettagli del meccanismo speciale di salvaguardia dell'agricoltura dei paesi in via di sviluppo. Ciononostante, Lamy si è detto fiducioso sulla possibilità di riprendere il negoziato entro la fine dell'anno, e si è pertanto appellato in tal senso ai parlamentari presenti. A suo avviso occorre maggiore coraggio e maggiore capacità di leadership nella comunità internazionale, dal momento che ulteriori dilazioni indebolirebbero il sistema del commercio multilaterale, affievolirebbero la possibilità di raggiungere gli Obiettivi del Millennio e influenzerebbero negativamente anche altri grandi esercizi internazionali, come quello sui cambiamenti climatici.
La Conferenza si è conclusa con l'adozione di una Dichiarazione finale, che manifesta viva preoccupazione per il fallimento del negoziato, riaffermando l'adesione al sistema commerciale multilaterale quale strumento di rafforzamento della sicurezza, della trasparenza e della stabilità: «il mondo ha più che mai bisogno di un sistema commerciale multilaterale giusto, equo e trasparente, che sia il mezzo più efficace per sviluppare e regolare gli scambi internazionali nell'interesse di tutti e in particolare dei paesi in via di sviluppo». La dichiarazione ha poi ribadito gli obiettivi dell'accesso senza dazi doganali ovvero quote dei paesi meno avanzati ai mercati dei paesi sviluppati, in virtù di una sensibile riduzione dei sussidi agricoli, ritenendo a tal fine inadeguati gli accordi a carattere regionale o meramente bilaterale. È poi significativamente stata invocata una riforma istituzionale dell'OMC per migliorarne il funzionamento e rafforzarne la legittimità democratica. Al riguardo, si richiede un approccio inclusivo preservando come pietra angolare

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del processo decisionale la regola del consenso. La dichiarazione insiste altresì sulla necessità che l'OMC diventi un'organizzazione autenticamente universale, eliminando gli ostacoli politici che ancora escludono taluni paesi. Una solida ed efficace dimensione parlamentare dell'OMC è infine riaffermata dal momento che è finita l'epoca in cui la materia del commercio estero potevo restare appannaggio del solo potere esecutivo. A questo proposito, la Conferenza ha adottato anche una serie di linee guida per un codice di condotta delle relazioni tra Governi e Parlamenti in materia di commercio internazionale, con particolare riferimento all'accesso alle informazioni ed ai documenti originali, oltre che alla previsione della partecipazione parlamentare alle delegazioni governative in occasione delle conferenze ministeriali.
Si segnala che non è stato inserito nel testo della dichiarazione finale un emendamento proposto dalla delegazione italiana volto ad introdurre un riferimento alla tutela dell'origine dei prodotti.

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ALLEGATO 3

Sulla missione a New York (23-26 settembre 2008) in occasione della 63ma Assemblea generale delle Nazioni Unite.

COMUNICAZIONI

In occasione della 63ma Assemblea generale delle Nazioni Unite, la delegazione parlamentare italiana, composta dal senatore Lamberto Dini e dal deputato Alessandro Maran, si è recata a New York dal 23 al 26 settembre 2008. Oltre alla partecipazione ai lavori del segmento di alto livello dell'Assemblea generale, ed in particolare della seduta inaugurale, la delegazione ha seguito taluni eventi collaterali di interesse specifico (Obiettivi di Sviluppo del Millennio, Presentazione dell'EXPO di Milano 2015, Riunione dell'Unione interparlamentare) ed ha effettuato incontri sia con esponenti governativi di alcuni Paesi (Siria, Corea del Nord, Iran, Federazione Russa) che con alti funzionari delle Nazioni Unite (1).

(1) A margine si è anche svolto un incontro con una rappresentanza sindacale dei funzionari di nazionalità italiana delle Organizzazioni internazionali, da tempo interessati al riconoscimento in un albo del loro ruolo e ad una serie di misure perequative sul piano previdenziale. Nell'incontro è stato sollecitato l'iter della proposta di legge C. 928 dell'onorevole Pianetta, assegnata in sede referente alla Commissione Lavoro.

In termini generali, i lavori dell'Assemblea sono stati caratterizzati dagli echi della crisi dei mercati finanziari, che ha posto con grande intensità il tema del fallimento della deregulation rispetto alla globalizzazione. Se ne è fatto subito interprete il presidente dell'Assemblea - designato dai Paesi dell'America Latina - l'ex ministro degli Esteri nicaraguegno (del solo paese che ha riconosciuto Abkhazia e Ossezia del Sud), padre D'Escoto Brockmann (prete sandinista), ma il tema è stato ampiamente sviluppato nel successivo intervento del presidente Lula (il Brasile, per tradizione, apre i lavori dell'Assemblea generale).
Anche l'intervento del presidente Bush, immediatamente successivo, vi ha fatto riferimento, benché fosse per la parte prevalente orientato sulla lotta al terrorismo. Si è comunque trattato dell'ultimo discorso da parte della presente Amministrazione USA.
Netta è stata percepita dagli uditori la differenza di tono e di contenuto con l'intervento a nome dell'Unione europea del presidente francese Sarkozy, pur generalmente considerato filo-americano tra i leaders europei. È da segnalare che Sarkozy ha menzionato esplicitamente l'Italia e le sue proposte di allargamento del G8, dichiarandosi pronto a discuterle. Il presidente francese ha chiaramente affermato che non si può governare la società del XXI secolo con le istituzioni del secolo precedente, richiamando la responsabilità politica e morale rivestita dalla comunità internazionale. Tra gli obiettivi, ha poi posto con forza la fine della tragedia in Darfur, la crisi alimentare, la moralizzazione del capitalismo finanziario, il riscaldamento climatico, l'approvvigionamento energetico post-petrolifero. Si è infine rivolto direttamente, nell'ordine, alla Russia, all'Iran, ad Israele, all'Afghanistan, alla Somali e all'Africa, precisando le posizioni dell'Unione europea.
Il ministro Frattini ha quindi preso la parola nella seduta pomeridiana di venerdì, insistendo innanzitutto sul «consenso

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generale» che dovrebbe ricevere ogni ipotesi di riforma dell'ONU («there is no alternative»), ed in particolare del Consiglio di sicurezza, nonché sull'opportunità di rafforzare il ruolo democratico dell'Assemblea generale e le relazioni con le altre Organizzazioni internazionali (con evidente allusione all'Unione europea e al seggio europeo in seno al CdS).
Con riferimento alla presidenza italiana del G8, ha auspicato un più ampio dialogo con le economie emergenti e i paesi meno sviluppati, senza però raccogliere nel dettaglio la menzione del presidente francese, e ha ribadito l'impegno per gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, ponendo l'Africa al centro dell'attenzione.
Il ministro Frattini ha poi richiamato l'attenzione su altri temi quali i cambiamenti climatici, la sicurezza energetica, la lotta al terrorismo internazionale, la protezione dei diritti umani, la non proliferazione. A quest'ultimo proposito, ha rivolto un monito al governo iraniano perché osservi il più alto senso di responsabilità nel riassicurare la comunità internazionale sul contenzioso nucleare.
Circa le crisi regionali, il ministro italiano ha salutato con favore i segnali positivi provenienti dal Medio Oriente, richiamato l'esigenza che per l'Afghanistan siano coinvolti i Paesi confinanti ed evidenziato come dal Caucaso emerga confermata la necessità di prevenire dinamiche competitive.
Dal punto di vista dell'ONU, il Segretario generale Ban Ki Moon ha messo al centro del dibattito il raggiungimento degli Obiettivi del Millennio nel 2015, insistendo sui meccanismi di monitoraggio dei risultati via via acquisiti.
In questo ambito, l'Italia si è distinta per l'organizzazione di un panel sul ruolo del governo locale per gli Obiettivi del Millennio, la cui scadenza coincide con l'EXPO di Milano. Copresieduto dal ministro Frattini e dal sindaco Moratti, l'evento ha visto la partecipazione di amministratori locali di vari paesi e dirigenti dell'ONU, mentre piuttosto scarsa è stata la presenza dei singoli Stati membri.
Il ministro Frattini è pure intervenuto nella tavola rotonda sulla salute e l'educazione, nell'ambito della giornata dedicata agli Obiettivi del Millennio, promossa dal premier britannico Gordon Brown. Nella giornata, l'intervento più eclatante è stato quello del premier cinese, Wen Jiabao, che ha rivendicato gli autonomi sforzi del suo paese per l'uscita dal sottosviluppo unitamente il forte sostegno dato all'Africa nell'assistenza medica e formativa, concludendo con un elogio della democrazia.
Rimarchevole è stato anche il discorso del sottosegretario di stato USA, Henrietta H. Fore, che ha posto al centro della cooperazione allo sviluppo il principio della ownership (responsabilità), sottolineando l'esigenza della lotta alla corruzione e l'importanza del coinvolgimento del settore privato. A suo avviso, la crisi alimentare sarebbe stata determinata dalla scarsità degli investimenti nella ricerca scientifica.
La questione di preminente interesse italiano che ha fatto da sfondo ai lavori dell'Assemblea generale riguarda però, come sempre, la riforma dell'Organizzazione, sotto il profilo dell'allargamento del Consiglio di sicurezza. Ha infatti ripreso un certo vigore l'iniziativa del G4 (Brasile, India, Giappone, Sud Africa), i cui componenti notoriamente aspirano ad un seggio permanente. L'Assemblea ha deliberato di iniziare un negoziato il prossimo anno. È stata presentata una proposta tedesco-cipriota nell'ottica di un allargamento su base regionale, che lascia impregiudicata la natura permanente o meno dei seggi aggiuntivi.
L'Italia è ovviamente impegnata sul fronte dei paesi contrari ad accrescere il numero degli stati detentori di seggi permanenti (insieme a Cina, Pakistan, Argentina) nel gruppo cosiddetto United for Consensus (UfC). È stata tuttavia sottolineata l'esigenza che il gruppo non si limiti ad una posizione critica, ma riesca a concordare anche una proposta alternativa, dal momento che il negoziato potrebbe entrare nel merito. Sul piano del metodo, a suo tempo l'Italia ottenne che in materia fosse stabilito il requisito della

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maggioranza dei due terzi dei componenti dell'Assemblea generale. Anche a questo proposito, si sta comunque ulteriormente insistendo per evidenziare che una riforma di tale portata dovrebbe contare su un consenso sostanzialmente unanime.
Gli incontri bilaterali hanno consentito di fare il punto su alcune delle principali aree di crisi, secondo il criterio di affrontare in sede ONU i partner più difficili, già sperimentato in precedenti occasioni.
Il Ministro degli Esteri della Siria, Al Mouallem, ha confermato l'evoluzione positiva nei rapporti con il Libano destinata a coronare nello scambio degli ambasciatori, mentre il dialogo con Israele risulta sospeso per il cambio della premiership in quel paese.
Il Vice-Ministro degli Esteri della Corea del Nord, Pak Gil Yon, ha invece lamentato il mancato adempimento da parte americana degli impegni assunti a fronte dell'abbandono degli esperimenti nucleari (come la cancellazione dalla lista dei «paesi-canaglia») e quindi ribadito il conseguente rilancio del programma da parte del suo paese.
Il Vice-Ministro degli Esteri dell'Iran, Hosseini, ha confermato la grande amicizia del suo paese per l'Italia, aggiungendo però vivo stupore verso l'atteggiamento del nuovo governo, in particolare per le valutazioni sul presidente Ahmadinejad fatte a Parigi dal nostro premier. Ha poi espresso il timore che un inasprimento delle sanzioni - peraltro ipotizzato in quegli stessi giorni alla stampa dal nostro ministro degli esteri - andrebbe a detrimento degli interessi delle aziende italiane.
Circa la questione del nucleare, l'interlocutore iraniano ha denunciato le pressioni sull'AIEA, contestando la mancanza di prove nel rapporto di El-Baradei ed il fatto che si farebbe riferimento a studi la cui fonte non è stata resa nota. A suo avviso, quindi la questione non è tecnica, ma politica nello scontare l'applicazione di un doppio standard (vedi Israele). Ha poi ribadito che l'Iran non potrebbe mai adoperare a fini militari il potenziale nucleare, non solo per ragioni umanitarie, ma per il divieto della religione islamica.
Il Vice-Ministro degli Esteri della Federazione russa, Yakovenko, dopo aver fatto stato delle eccellenti relazioni bilaterali, ha lamentato la tendenza degli USA a ripristinare il clima della guerra fredda e denunciato il riarmo della Georgia che ha condotto alla crisi di agosto, negando ogni aspirazione territoriale. Il ruolo della Russia nel Caucaso, a suo avviso, è di pace e di garanzia. Nell'imminente conferenza di Ginevra, pertanto, si dovrà individuare il modo di ascoltare anche gli abkhazi e gli ossetini meridionali. Circa la crisi dei mercati, ha invocato una riforma delle istituzioni finanziarie internazionali che prenda atto della fine dell'era del dollaro e delle nuove economie emergenti. Ha infine rivendicato l'atteggiamento responsabile della Russia sulla non proliferazione delle armi di distruzione di massa anche con riguardo all'Iran e alla Corea del Nord, mentre da parte degli USA è venuto il progetto missilistico in Repubblica ceca e Polonia («very disturbing»). La Russia resta interessata alla pace nel rispetto del diritto internazionale perché mira soprattutto a garantirsi le condizioni esterne migliori per proseguire nello sviluppo economico.
La delegazione ha incontrato anche alcuni alti dirigenti delle Nazioni Unite, responsabili nei settori degli affari politici, degli affari economici e sociali, del bilancio e gestione interna, dello sviluppo, del disarmo.
È emersa in generale la prospettiva di una riforma interna dell'ONU, volta alla razionalizzazione delle attività e a raggiungere una maggiore coerenza tra le diverse articolazioni. Al riguardo, avrebbe iniziato ad avere un certo successo l'esperienza dei country-team, per coordinare gli interventi nel paese interessato. Lo stesso Segretario generale, in apertura dell'Assemblea, ha del resto chiesto un cambiamento della cultura dell'Organizzazione, con una maggiore responsabilità nei confronti degli Stati membri. In questo campo, si ricorda che l'Italia è interessata al potenziamento dello Staff College di Torino e della base operativa di Brindisi.

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Con riferimento allo sviluppo, si è insistito sulla misurabilità dei risultati, l'erogazione degli aiuti al livello più vicino ai cittadini, la diffusione delle best practices, registrando però successi più in Asia e America latina che in Africa. Il responsabile UNDP (United Nations Development Program) ha espresso dubbi sull'efficacia della politica europea della c.d. condizionalità (condizionamento degli aiuti ai progressi nella democrazia interna), dal momento che altri paesi come la Cina non la richiedono per cui si crea una contrapposizione con il G77 (paesi in via di sviluppo).
Circa il disarmo, l'Alto rappresentante, il brasiliano Duarte, ha manifestato un generale pessimismo, con l'eccezione del settore delle armi chimiche in cui opera un'efficace convenzione internazionale. Non sono buone le prospettive per la revisione nel 2010 del Trattato di non proliferazione. Non ha poi escluso una pre-emptive strategy da parte israeliana nei confronti dell'Iran.
Anche alla luce dei contatti intercorsi con i funzionari diplomatici della nostra Rappresentanza, si possono riepilogare nel modo seguente le principali questioni trattate.

Europa.

È in corso nel Kosovo un progressivo avvicendamento tra la missione ONU e quella UE. Per rispettare la risoluzione 1244, l'ONU dovrebbe comunque mantenere la sua presenza, benché sempre più ridotta, guidata dal Rappresentante del Segretario generale (il diplomatico italiano Lamberto Zannier). Per fare del Kosovo un'entità sostenibile, si sta lavorando a migliorare le relazioni con la Serbia che tuttavia punta sul ricorso presso la Corte dell'Aja che è oggetto di una risoluzione presso l'Assemblea generale. Circa la Georgia, l'ONU è presente solo in Abkhazia con un mandato in scadenza il 15 ottobre, per cui si pone il problema dei termini del rinnovo stante l'intervenuta dichiarazione di indipendenza. Si attende dalla conferenza di Ginevra una nuova architettura internazionale per le crisi caucasiche. Quanto alla missione UE, a partire dal primo ottobre, resta una c.d. ambiguità costruttiva sulla sua dislocazione, per ora al di fuori dei confini di Abkhazia e Ossezia meridionale.

Africa.

Il dispiegamento della missione in Darfur continua a incontrare problemi logistici, anche se qualche miglioramento c'è stato con la richiesta di arresto del presidente sudanese emessa dalla Corte dell'Aja. In Somalia, la situazione sembra sotto controllo solo a Mogadiscio tanto che anche gli aiuti alimentari risultano problematici. Per il Sahara occidentale, dopo le dimissioni obbligate del Rappresentante del segretario generale che aveva assunto una posizione filo-marocchina, si insiste per il dialogo diretto (ci sono già stati alcuni incontri).

Medio Oriente.

Fa sperare la dinamica positiva tra Siria e Libano. Generale è l'apprezzamento per la missione UNIFIL e per il generale Graziano che la guida. Prosegue la procedura per il tribunale sull'omicidio del premier libanese Hariri (l'Italia è nel Management Committee). Circa l'Iran, la prospettiva di nuove sanzioni ONU è bloccata dal veto di Cina e Russia.

Asia.

In Afghanistan, la situazione è deteriorata soprattutto nelle regioni meridionali. C'è preoccupazione circa la possibilità di tenere le nuove elezioni presidenziali nel settembre 2009. A marzo l'ONU è chiamata al rinnovo della sua missione. Va rilevato che in Consiglio di Sicurezza la Russia ha appoggiato la missione ISAF, non assumendo quindi un atteggiamento pregiudiziale contrario alla NATO anche

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dopo la crisi georgiana, anche se ha lamentato l'entità delle vittime civili. Dalla Birmania vengono risultati sempre più deludenti soprattutto sotto il profilo del dialogo tra governo ed opposizione tanto da fare ipotizzare un nuovo viaggio del Segretario generale come quello che a giugno ha sbloccato gli aiuti umanitari post-ciclone. Nel CdS considerano la crisi birmana di natura interna non solo Russia e Cina, ma anche Vietnam e Indonesia. I due grandi vicini (Cina e India) sembrano fidarsi dei militari al potere a Rangoon che garantirebbero la stabilità del paese che sarebbe in realtà a rischio di conflitti inter-etnici.

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ALLEGATO 4

Sulla missione in Azerbaijan (13-14 ottobre 2008).

COMUNICAZIONI

Su invito del Parlamento azero, il presidente della Commissione, Onorevole Stefano Stefani, si è recato in missione a Baku, in concomitanza con le elezioni per il rinnovo del mandato presidenziale. Nel corso della visita, ha incontrato il presidente della Commissione affari esteri, Samad Seydov, ed il viceministro agli affari esteri, Mamhud Mammadguliyev. Successivamente alla missione, il presidente Stefani ha effettuato il monitoraggio elettorale internazionale delle consultazioni presidenziali nella regione di Qabalah.
Nel corso dei colloqui, è stata ribadita la grande amicizia dell'Azerbaijan per l'Italia. Sul piano bilaterale, la questione di maggiore rilevanza è il progetto ITGI per la realizzazione di un gasdotto che diversificherebbe l'approvvigionamento energetico europeo. Da parte azera, si è tenuto a precisare che non vi è però alcuna volontà anti-russa. In parallelo, è altresì in corso il progetto Nabucco, sempre nell'ottica della molteplicità degli approvvigionamenti, per cui però sembra necessario fare ricorso non solo all'Azerbaijan ma anche al Turkmenistan.
Sul piano regionale, l'Azerbaijan si rapporta tradizionalmente con i tre grandi paesi confinanti - Russia, Turchia ed Iran - ma guarda ormai alla prospettiva dell'integrazione europea come soluzione anche delle tensioni locali, con particolare riferimento al contenzioso con l'Armenia per il Nagorno Karabah. Si richiama però con vigore al riguardo il rispetto del diritto internazionale, ovvero dell'integrità territoriale azera. Il presidente Seydov ha comunque auspicato una ripresa del dialogo dopo le rispettive elezioni presidenziali, senza alcuna conclusione predeterminata. Resta però imprescindibile l'appartenenza della regione all'Azerbaijan, mentre altra cosa è lo status giuridico della popolazione, anche se al momento ad essere stati espulsi sono gli azeri. Nel futuro, peraltro, con la progressiva integrazione nell'Europa, armeni e azeri potrebbero cooperare proficuamente anche nella costruzione di gasdotti ed oleodotti. Il problema non è infatti considerato sotto il profilo etnico, ma come una delle tante gravose eredità dell'URSS.
Certo è che sia armeni che azeri sono chiamati a fare tesoro della recente esperienza della Georgia. A tale proposito, gli interlocutori hanno sottolineato di essere stati i primi ad aver assicurato i soccorsi umanitari e il rifornimento energetico, manifestando comunque stupore per l'iniziativa del presidente Sakashvili. Le relazioni bilaterali restano ottime sia con la Georgia che con la Russia, anche tenendo conto del fatto che molti azeri vivono e lavorano in quest'ultimo paese. Il viceministro Mamhud Mammadguliyev ha però rilevato che lo scoppio della crisi georgiana ha riacceso i riflettori su tutto il Caucaso, facendo finalmente intendere all'UE che non può più disinteressarsene. Sino ad ora, dall'Occidente si è fatta sentire soltanto la voce degli USA, sin dal vertice OSCE di Istanbul del 1999. In tutta evidenza, la Russia sta intanto tornando ad essere la potenza regionale di riferimento, anche in relazione al dossier iraniano.
Oggettivamente, il rispetto del principio dell'integrità territoriale, invocato per il Nagorno Karabah, è comune agli azeri ed ai georgiani. Il presidente Seydov ha lamentato il precedente del Kosovo puntualizzando

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che il suo paese non ne riconoscerà mai l'indipendenza. Il viceministro Mamhud Mammadguliyev ha giudicato la Georgia la prima vittima dell'indipendenza kosovara ed ha espresso perplessità sulla teoria USA dell'esportazione della democrazia che invece, a suo avviso, cresce dal basso e non si costruisce in un giorno.
Con riferimento alla situazione interna, è stata sottolineata la tolleranza religiosa che caratterizza la società azera, la più secolarizzata dell'Islam, peraltro sciita, particolarmente aperta alla cultura ed all'arte, patente smentita del principio dell'ineluttabilità dello scontro tra le civiltà.

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ALLEGATO 5

Sulla missione in Siria (19-21 novembre 2008).

COMUNICAZIONI

Una delegazione della III Commissione Affari esteri e comunitari, guidata dal presidente Onorevole Stefano Stefani e composta altresì dai deputati Paolo Corsini (PD) e Gennaro Malgieri (PdL), si è recata in Siria dal 19 al 21 novembre 2008, su invito dell'omologa Commissione dell'Assemblea del popolo. La delegazione ha incontrato a Damasco: il Presidente dell'Assemblea del popolo, Mahmoud Abrash; il Presidente della Commissione Affari arabi ed esteri dell'Assemblea del Popolo, Suleiman Haddad; il Ministro degli Affari esteri, Walid Mo'allem; il Vice Presidente della Camera dell'industria, Bassel Hamwi; il Ministro dell'Informazione, Mohsen Bilal, e il Vice Presidente della Repubblica, Farouk al-Shara,
A margine della missione, la delegazione ha effettuato un sopralluogo a Kunetra per visitare la zona-cuscinetto rispetto al territorio occupato delle alture del Golan. A livello tecnico, la delegazione ha incontrato inoltre i rappresentanti dell'UE e dell'Alto Commissariato dell'ONU per i rifugiati, Vassilis Bontosoglou e Lauren Jolles.
Si riepilogano di seguito le questioni emerse nel corso dei colloqui, articolate tematicamente.

Medio-Oriente.

Quale priorità della politica estera siriana è ribadita la restituzione delle alture del Golan nell'ottica del ripristino dell'integrità territoriale nazionale e della garanzia del bisogno di sicurezza del popolo siriano. È riaffermata la validità del principio «terra contro pace», ma l'atteggiamento israeliano è percepito ancora molto negativamente sia nel rifiuto di riconoscere i diritti del popolo palestinese, sia nella minaccia di una ripresa espansionistica. Nel richiamare la valenza simbolica di Gerusalemme capitale anche dello Stato palestinese, si sottolinea la necessità del ritorno dei circa settecentomila palestinesi rifugiati in Siria, a cui si sono aggiunti dopo il 1967 circa cinquecentomila siriani espulsi dai territori occupati da Israele.
Il desiderio di pace è diffuso in Siria, soprattutto tra i giovani. C'è piena disponibilità al riconoscimento dello Stato di Israele purché muti atteggiamento e negozi alla luce dell'iniziativa assunta dalla Lega araba con la piattaforma di Beirut per la restituzione dei territori e il ritorno dei profughi. Il Vicepresidente della Repubblica, Farouk al-Shara, ha comunque sottolineato che a questo punto il primo passo tocca ad Israele come forza occupante. Nella consapevolezza che la società israeliana è divisa in una corrente più rigida ed in una più flessibile, si attendono le prossime elezioni da parte siriana senza particolari preferenze: chiunque le vinca, la pace resterà lo sbocco necessario per rendere il Medio Oriente prospero e stabile.
La Siria chiede una pace giusta senza cedere neanche un millimetro del proprio territorio, nel rispetto della legalità internazionale sancita dalle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'ONU n. 242 e n. 338, rivendicando di avere da troppo tempo scelto l'opzione pacifica senza giungere ad alcun risultato e lamentando la non corretta informazione al riguardo da parte dei media occidentali. Il Presidente

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della Commissione per gli affari arabi ed esteri, Suleiman Haddad, ha ricordato a questo proposito il lungo iter del processo negoziale con Israele che, al tempo di Rabin, aveva condotto ad un'intesa sul 90 per cento delle questioni, mentre oggi non si può neanche parlare di un vero e proprio negoziato, dal momento che i contatti avvengono per il tramite della Turchia, che sta giocando un ruolo essenziale. A suo avviso, pesa negativamente la mancanza di un governo forte in Israele. In un quadro generalmente pessimistico, un cauto ottimismo è stato manifestato sulla nuova presidenza statunitense, che dovrebbe almeno farla finita con il «clima isterico» prodotto da quella precedente in tutto il mondo.
La pace resta però l'imperativo categorico: tutti i giorni l'opinione pubblica medio-orientale assiste alle sofferenze dei palestinesi per cui è indispensabile che Israele si ritiri dai territori occupati. Secondo il Ministro degli esteri, Walid Mo'allem, è Israele a dover scegliere se essere una parte della regione medio-orientale oppure degli USA. A suo avviso, non è peraltro possibile escludere Hamas che ha la maggioranza nel Consiglio legislativo palestinese e che ha accresciuto il suo consenso perché Fatah è al governo da sempre e non ha raggiunto la pace. L'interlocutore siriano ha quindi enfatizzato il ruolo del Quartetto in cui l'UE deve assumere un peso pari a quello degli USA, il cui monopolio delle trattative ha prodotto un decennio senza risultati; importante è pure a suo avviso l'apporto della Russia e della Turchia.

Relazioni con l'Iran.

La posizione della Siria verso l'Iran è spiegata sulla base di una coincidenza di richieste in relazione alla situazione dei palestinesi, ricordando come il precedente regime dello scià fosse invece dichiaratamente filo-israeliano. Si segnala al riguardo che Israele mantiene un atteggiamento intransigente, mentre l'Iran non si è mai reso protagonista di alcuna aggressione. Si contesta perciò l'applicazione da parte della comunità internazionale di un doppio standard, per cui si contrasta il programma nucleare iraniano, mentre si accetta l'arsenale nucleare israeliano. Circa le dichiarazioni su Israele e sulla Scioah del presidente iraniano, si è però fatto presente che il presidente siriano non si è mai espresso in tali termini, affermando che la Siria ha sempre condannato i delitti contro l'umanità. Tuttavia, è diffusa nel mondo arabo l'opinione che gli eredi delle vittime del nazifascismo non dovrebbero a loro volta causare massacri e tragedie umanitarie come quelle del popolo palestinese.
Il Vicepresidente della Repubblica, Farouk al-Shara, ha ribadito la dissociazione siriana da tutte le dichirazioni estremistiche dell'Iran ovvero di Israele, precisando però che allo stato non è Teheran ad occupare una significativa porzione della Siria.

Quadro regionale. Situazione in Iraq e Libano.

La Siria ha interesse ad intrattenere i migliori rapporti possibili con tutti i paesi confinanti, facendo il suo dovere in tutte le direzioni, come dimostra l'accoglienza di un milione e mezzo di profughi iracheni. C'è quindi amarezza e stupore per la persistente accusa di sostegno al terrorismo che il presidente americano Bush ha ripetuto anche in occasione dell'ultima sessione dell'Assemblea generale dell'ONU e che si è concretizzata in un attacco in cui sono periti innocenti civili.
Si considerano in positiva evoluzione le relazioni con la Turchia - di cui si auspica l'ingresso nell'UE - ma anche con il Libano e la Giordania che - si tiene a precisare - è rifornita dalla Siria sotto il profilo idrico. Assoluta è invece la chiusura nei confronti dell'indipendentismo curdo: siedono nell'Assemblea siriana 14 deputati curdi su 250, senza però che vi sia alcuna base etnica, anche perché in tutte le famiglie siriane scorre anche sangue curdo.

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Con riferimento all'Iraq, si effettua una distinzione tra il governo nazionale e le forze di occupazione, nel massimo sostegno tuttavia all'integrità territoriale del paese ed alla sua indipendenza. Non si considerano sufficienti i miglioramenti intervenuti e si ricorda che le divisioni interne sono state originate dalla presenza statunitense che ha incoraggiato l'emersione del fanatismo etnico e religioso di cui la Siria si proclama assoluta avversaria. Si auspica la convocazione di una conferenza plenaria di conciliazione tra tutte le componenti irachene, rimarcando l'importanza anche di quella cristiana pur numericamente esigua. Si ha fiducia nella capacità di autogoverno dell'Iraq, che sarebbe facilitata dal ritiro delle truppe americane. In proposito, si ricordano con amarezza gli errori iniziali compiuti dagli USA nello sciogliere l'esercito iracheno e si contesta che non sia stato ancora presentato per la ratifica al Senato di Washington l'accordo bilaterale USA-Iraq, al fine di non rendere vincolanti gli impegni assunti.
Per quanto concerne l'Afghanistan, si ricorda che la Siria è il solo stato arabo a non aver mai riconosciuto il governo talebano, continuando a considerare una minaccia l'alleanza con Al-Qaeda che ha invece potuto contare su altre protezioni. C'è quindi grande preoccupazione per il fatto che anche la NATO si stia rassegnando a trattare con i talebani, trasmettendo un inequivocabile segnale di sconfitta.
Circa la crisi georgiana dello scorso agosto, pur non accettando la possibilità che sia lesa l'integrità territoriale di uno Stato, si dà ragione alla Russia e si rileva la costante ingerenza degli USA in ogni contesto regionale. C'è poi soddisfazione per la ripresa di un rapporto privilegiato con la Francia, di cui si apprezza il ruolo svolto nella crisi caucasica.
Il Ministro degli affari esteri, Walid Mo'allem, giudica comunque suscettibile di miglioramenti la situazione regionale cui la Siria contribuisce positivamente grazie alla saggezza del suo presidente. Si apprezza in particolare l'evoluzione della situazione politica libanese a seguito degli accordi di Doha, con l'elezione del presidente della Repubblica, la formazione di un governo di unità nazionale, l'approvazione di una nuova legge elettorale, anche se nel nord del paese si registra un aumento della minaccia fondamentalista. Entro l'anno, la Siria dovrebbe finalmente procedere all'instaurazione delle relazioni diplomatiche, anche se questa innovazione non sarebbe gradita alle rispettive popolazioni che sarebbero abituate a passare il confine senza formalità a causa degli strettissimi legami intercorrenti. Un Libano forte ed indipendente è comunque auspicato dalle autorità siriane, che si dicono desiderose di avere un vicino stabile non più a rischio. È altresì apprezzata la partecipazione italiana alla missione UNIFIL che è considerata fondamentale per la garanzia della sicurezza del Libano meridionale, pur lamentando le continue violazioni dello spazio aereo da parte israeliana. Quanto agli Hezbollah, il Ministro Walid Mo'allem ha tenuto a precisare che non hanno mai preso l'iniziativa di attaccare Israele - essendosi invece sempre verificatosi il contrario - per cui la loro legittimità quale forza di resistenza libanese sussisterà sino a che durerà l'occupazione territoriale che, a suo avviso, l'Europa dovrebbe invitare Israele a cessare. Il Ministro per l'informazione, Mohsen Bilal, ha poi ricordato come Hezbollah esprima un partito politico parlamentare, dotato di ottimi quadri formatisi anche all'estero, che storicamente rappresenta la parte del Libano meridionale oppressa da un lato da Israele dall'altro dal blocco cristiano-maronita, che ormai però può contare anche sulle rimesse di una vasta emigrazione soprattutto in Africa. Ad oggi, Hezbollah ha liberato il 90 per cento del territorio occupato da Israele, ma la ragion d'essere del movimento - che la Siria appoggia in riferimento alla Carta delle Nazioni Unite distinguendo però tra resistenza e terrorismo - resta nella liberazione dell'altro 10 per cento.

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Politica interna.

È stata ribadita la posizione di principio contraria ad ogni estremismo religioso che caratterizza storicamente la Siria, il paese arabo che per primo ha subito attacchi terroristici ed ha combattuto intensamente il fenomeno dal 1977 al 1982, avendo richiesto invano - si rammenta - allora l'aiuto degli Stati Uniti. La Siria è fiera della sua società multi-confessionale, in cui tutte le correnti del cristianesimo e dell'Islam sono rappresentate, mentre invece si guarda con forte preoccupazione al neo-wahabismo di matrice saudita, ma anche al salafismo ed all'integralismo algerino. Si sottolinea che l'appartenenza religiosa non è riportata sulla carta di identità, che la Costituzione non poggia sull'islamismo e che al governo ci sono anche quattro cristiani. Tuttavia, mentre le grandi città come Damasco ed Aleppo sono maggiormente laicizzate, nelle campagne prende piede il fondamentalismo, a giudizio degli interlocutori siriani a causa della crisi con Israele e della contigua occupazione statunitense (secondo il Ministro per l'informazione, Mohsen Bilal, la vicenda del carcere di Abu Grahib ha recato un danno all'immagine degli USA maggiore di quella di Guantanamo). Al riguardo, il presidente della Commissione affari arabi ed esteri dell'Assemblea del Popolo, Suleiman Haddad, ritiene che il fondamentalismo islamico declinerebbe se si risolvesse la questione medio-orientale, mentre invece prospera proprio per tale causa.
Sul piano politico, il sistema è articolato in nove partiti riuniti nel Fronte progressista nazionale, secondo una formula che - si ammette - non è forse adeguatamente conosciuta in Occidente. È comunque all'esame un'ulteriore estensione del quadro dei partiti. Si guarda però negativamente alle esperienze di Egitto e Giordania in cui talune aperture pluraliste hanno finito per favorire soltanto la crescita di movimenti come i Fratelli musulmani, come ha sottolineato il presidente dell'Assemblea del Popolo, Mahmoud Abrash.
Nell'incontro con il Ministro per l'informazione, Mohsen Bilal, si è poi appreso che operano in Siria tre canali televisivi statali oltre ad un canale satellitare privato e 32 radio autonome. La stampa si incentra su tre quotidiani ufficiali cui si aggiungono quelli di ciascun partito politico e quelli privati. A suo avviso, anche per la diffusione di Internet, l'informazione nel paese non è più controllata, anche se si rileva negativamente uno scarso interesse per le lingue straniere anche tra i giovani, generalmente più attratti oggi dalle letture religiose tradizionali.
Sul piano economico, si conferma la scelta pragmatista del presidente Assad di perseguire quello che è buono per la Siria al di là degli ideologismi. È in corso una transizione verso il mercato, senza però rinunciare ad aspetti del socialismo. Si considera essenziale l'apporto dell'Europa allo sviluppo dell'economia siriana. La Siria ha infatti discrete risorse in campo agricolo, petrolifero e turistico, ma paga le pressioni che derivano dalla crisi medio-orientale. Sul piano industriale, a prevalenza tessile, si registrano invece le ripercussioni della concorrenza cinese sui mercati europei, anche se il basso costo della manodopera continua ad essere un elemento favorevole, a giudizio del vicepresidente degli imprenditori di Damasco, Bassel Hamwi. Gli investimenti internazionali sono particolarmente sollecitati per l'avvio di impianti industriali e per la connessa attività di formazione.

Rapporti bilaterali.

La Siria guarda con particolare interesse all'Italia, perché ha bisogno di paesi amici che capiscano la sua posizione regionale, anche in virtù di una comune base storica. È stata ricordata, al riguardo, l'antica presenza commerciale italiana ad Aleppo e la presenza nella lingua siriana di circa 4.000 parole italiane. In particolare, è apprezzata la comprensione complessiva della questione medio-orientale

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presso tutte le forze politiche italiane. In tale ottica, il Presidente dell'Assemblea, Mahmoud Abrash, ha auspicato il rilancio dei rapporti interparlamentari.
Sul piano commerciale, si apprezza che l'Italia sia il primo partner nell'ambito dell'UE. Il Vicepresidente della Repubblica, Farouk al-Shara, ha segnalato l'opportunità che altrettanta continuità si sviluppi anche nei rapporti politici perché l'Italia diventi paese-ponte per la Siria verso l'Europa.

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ALLEGATO 6

Sulla missione in Turchia (4-6 dicembre 2008).

COMUNICAZIONI

Su invito dell'omologa Commissione della Grande Assemblea Nazionale turca, dal 4 al 6 dicembre si è svolta la visita congiunta delle Commissioni esteri di Camera e Senato in Turchia.
La delegazione in rappresentanza della Commissione, guidata dall'onorevole Giorgio La Malfa, nella sua qualità di presidente del Comitato permanente sulla politica estera dell'Unione europea, è stata composta altresì dagli onorevoli Manuela Repetti (PdL) e Francesco Tempestini (PD).
La delegazione del Senato era composta dal presidente della Commissione, senatore Lamberto Dini, e dai senatori Sergio Divina (LNP) e Claudio Micheloni (PD).
Sulla base di un intenso programma di incontri con i rappresentanti delle massime istituzioni turche, degli organi parlamentari più direttamente interessati dalle questioni di merito e di esponenti dell'opposizione parlamentare, la visita ha consentito di compilare un quadro esaustivo sulle maggiori questioni, a partire dal tema del negoziato di adesione della Turchia all'Unione europea, della connessa questione di Cipro, dell'energia e del ruolo della Turchia nell'attuale scenario internazionale.
Nei diversi incontri è stato regolarmente ribadito l'ottimo stato delle relazioni tra i due Paesi, testimoniati dall'incontro del gruppo parlamentare di amicizia italo-turco di inizio novembre, dalla visita del Presidente della Camera a fine ottobre e dai successivi vertici governativi, l'uno tenutosi a Roma il 4-5 novembre e l'altro a Smirne il 15 novembre. In questo senso la visita delle Commissioni ha completato tale quadro.
Allo stesso modo gli incontri hanno rappresentato un'occasione per ribadire in modo puntuale il pieno favore della maggior parte delle forze politiche presenti in Parlamento per l'ingresso della Turchia nell'Unione europea una volta realizzati tutti i presupposti e le condizioni di adesione richieste da Bruxelles.
Passando ai singoli incontri istituzionali, la visita al Presidente della Repubblica, Abdullah Gul, ha consentito di dare risalto alla missione parlamentare bicamerale, a conferma degli ottimi rapporti bilaterali e del fatto che i rapporti tra i Parlamenti integrano il quadro degli strumenti di dialogo tra i Paesi. È stato evidenziato che la collaborazione interparlamentare tra Turchia e Unione europea risale alla costituzione della Commissione congiunta che opera presso il Parlamento europeo ed è stata intensificata dopo il '99, anno in cui la Turchia ha assunto lo status di Paese candidato, con la sua partecipazione regolare alla COSAC. Il Presidente Dini ha in particolare dato risalto al ruolo attivo svolto dalla delegazione turca, di cui erano membri il presidente Gul e l'ex presidente del Parlamento Kemal Dervis, oggi direttore dell'UNDP, durante i lavori della Convenzione europea per cui a buon diritto si può affermare che il Trattato di Lisbona, che di quell'istituzione è figlio, è anche il Trattato della Turchia. A ciò si aggiunge che la Turchia ha aderito senza riserve alla Carta dei diritti, secondo la quale l'Unione europea non è fondata sulla contrapposizione religiosa ma su comuni ideali di libertà.
È stato espresso pieno consenso da parte della delegazione verso l'iniziativa politico-diplomatica assunta dalla Turchia

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in occasione della crisi in Caucaso, così come per la mediazione tra Siria e Israele e per la ripresa del dialogo con l'Armenia.
Il Presidente Gul ha sottolineato che gli ottimi rapporti bilaterali possono essere di esempio per gli altri Paesi e ha immediatamente trattato le questioni di maggior interesse richiamando i dati relativi all'interscambio commerciale, pari a 17 miliardi di dollari, con progetti assai rilevanti e investimenti assai cospicui in tutti i settori. La Turchia è consapevole del ruolo svolto e della visione lungimirante che contraddistingue il nostro Paese sull'ingresso della Turchia nell'Unione europea. Il Presidente Gul ha rilevato come in alcuni Paesi tale visione strategica si perda a tutto vantaggio di questioni di politica interna che non riguardano in alcun modo il negoziato turco. Il Presidente Gul, riflettendo una posizione che è assai diffusa in Turchia, ha quindi provocatoriamente insistito sulla necessità che vi sia un pronunciamento autentico sul favore o meno all'ingresso turco, una volta realizzate tutte le condizioni sul piano giuridico e commerciale, alla luce del ruolo strategico svolto da un Paese che ha il secondo maggiore esercito nell'ambito della NATO. Se l'Europa è davvero interessata alla Turchia, anche in ragione del suo essere un corridoio energetico tra il Vecchio continente e l'Asia, non è opportuno frapporre continui piccoli ostacoli sul percorso di adesione ma è più corretto rinvia alla conclusione del negoziato l'espressione di un sì o un no definitivi. Sul tema energetico, il Presidente Gul ha osservato che non si comprendono le ragioni per la mancata apertura del relativo capitolo del negoziato, considerata l'urgenza della questione dell'approvvigionamento energetico, come se l'Europa, ha rilevato Gul, non avesse sufficiente fiducia in sé stessa per procedere nella direzione già presa. Gul ha quindi enfatizzato sull'impegno di tutte le istituzioni turche per il raggiungimento della piena integrazione della Turchia nell'area euroatlantica, le cui fondamenta sono state gettate sin dalla partecipazione della Turchia alla fondazione del Consiglio d'Europa.
Il Presidente Gul ha insistito sul fatto che il processo di riforme, avviato ormai da circa dieci anni ed essenziale per il negoziato europeo, è comunque finalizzato al miglioramento della condizione del popolo turco.
Sulla questione cipriota, Gul ha polemizzato sulla linea perseguita dall'Unione europea che, a fronte del sì turco al piano Annan, ha finito quasi per colpevolizzare la Turchia in un'operazione di rimozione circa le reali responsabilità per la mancata soluzione della crisi. Gul ha anche espresso rilievi sulle critiche mosse all'esercito turco, come se esso costituisse uno degli oppositori al superamento della crisi. Secondo Gul, la questione cipriota è insomma strumentalizzata da molti interlocutori per porre ostacoli al percorso di adesione.
Sul tema dell'ingresso il presidente Dini ha richiamato la nota posizione della Francia sul negoziato con la Turchia ed è stato sottolineato che il progetto di una partnership privilegiata in luogo della piena adesione è da considerare del tutto superato. Indubbiamente la Turchia deve continuare nel progetto di riforme anche se i cosiddetti criteri di Copenhagen sono stato soddisfatti. Sulla questione cipriota la Turchia ha pienamente accolto la proposta del Segretario Generale delle Nazioni Unite ed è auspicabile il raggiungimento di un accordo relativo alla forma di Stato e alla divisione di poteri tra le due entità presenti sull'isola.
Al termine dell'incontro, il Presidente Gul ha auspicato che le questioni affrontate possano essere superate e che l'Italia, insieme agli altri Paesi «amici», possa sostenerne l'ingresso in Europa in tutte quelle sedi in cui la Turchia non possa essere direttamente rappresentata.
Nell'incontro con le Commissioni il primo ministro, Recep Tayyip Erdogan, ha sottolineato come i rapporti tra l'Italia e la Turchia siano in continua evoluzione soprattutto nel campo dell'energia, della sicurezza e della difesa. Alla luce dei positivi esiti del primo vertice intergovernativo italo-turco a Smirne, che d'ora in poi avrà cadenza annuale, Erdogan ha ricordato

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l'importante progetto culturale di istituzione di un'università italo-turca. Ha quindi ricordato che nei primi mesi del 2009 si terrà il secondo media forum italo-turco. Preannunciando gli impegni per la campagna elettorale per le elezioni amministrative nella primavera del 2009, Erdogan ha sottolineato che il carattere strategico di tutti i settori della cooperazione tra i due Paesi. Ha quindi auspicato da parte dell'Italia la prosecuzione dell'impegno per favorire l'ingresso turco nell'Ue. Ha segnalato una ripresa dell'attività terroristica da parte del PKK che utilizza organizzazioni non governative attive sul territorio europeo per reperire fonti di finanziamento; su tale versante ha auspicato che l'Italia si attivi per sradicare tale fenomeno adottando misure insieme agli altri Stati europei. Ha infine richiamato i dati dell'interscambio commerciale, segnalando che l'Italia è il terzo interlocutore della Turchia per l'export, il quarto per l'import, e l'importante progetto comune per la costruzione di elicotteri.
È stato altresì ricordato il recente ingresso della Turchia quale membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite anche nella prospettiva di una positiva soluzione della questione cipriota. Sul tema della crisi finanziaria internazionale, la ripresa della collaborazione tra la Turchia e il Fondo Monetario Internazionale è da considerare positivo non solo nell'ottica di fare affluire fondi verso il Paese ma anche per sancire la validità della politica economica condotta dal governo di Ankara.
Erdogan ha infine sottolineato l'importanza di non cedere alla tentazione protezionistica che comporta un rischio per i Paesi industrializzati come per quelli in via di sviluppo. Richiamando la posizione assunta dal G20, occorre affrontare la crisi in atto garantendo sostegno ai Paesi più deboli e tenendo conto delle loro diverse sensibilità sui temi del commercio internazionale.
Nella giornata successiva, le Commissioni hanno svolto incontri con interlocutori parlamentari, a partire dalla Vice Presidente del Parlamento, Sukran Guldal Mumcu, esponente del partito di opposizione CHP. Come nei precedenti incontri, è stato dato conto del buono stato dei rapporti bilaterali, ulteriormente confermati dal protocollo di collaborazione siglato con la Camera dei deputati. Su sollecitazioni dell'onorevole La Malfa circa il sostegno che le istituzioni turche assicurano al processo di adesione, la vicepresidente Mumcu ha segnalato che tutti i partiti presenti nella Grande Assemblea Nazionale Turca sono favorevoli all'ingresso e che tuttavia si registra amarezza per gli ostacoli che si frappongono al sereno svolgersi del percorso di adesione malgrado l'impegno di tutte le Commissioni parlamentari e dell'Assemblea che ha in corso di esame la riforma del diritto commerciale turco. Il rilievo è direttamente da riferire alla questione cipriota, considerato che in nessun atto ufficiale dell'Unione europea tale dossier è considerato condizionale alla piena adesione. La signora Mumcu ha auspicato che da parte europea vi sia un riconoscimento per i passi compiuti sia sul piano delle nuove norme che del cambiamento di mentalità da parte della Turchia. La delegazione italiana ha in diversi interventi ribadito che il processo di adesione persegue una sua logica per cui, se il Paese candidato integra tutti i requisiti, la conclusione è inevitabile. Nel corso di tale colloquio l'onorevole Tempestini ha in particolare sottolineato l'orientamento bipartisan da parte dell'Italia sul tema del negoziato di adesione della Turchia: in Italia si guarda con favore al ruolo attivo svolto dalla Turchia per la stabilizzazione e la pace in Asia, nel bacino del Mediterraneo e nei Balcani. Ha quindi rivolto un quesito relativo al dossier sui diritti civili e la parità di genere al quale la vicepresidente Mumcu ha riposto riferendo che nella società turca le donne, che sono titolari del diritto di voto dal 1934, hanno conseguito una posizione quasi paritaria all'uomo in diversi settori, con la grave eccezione della politica considerata la percentuale pari al 10 per cento per quanto concerne i seggi parlamentari ricoperti da donne. Ha peraltro espresso la contrarietà diffusa all'introduzione

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di quote rosa. Il senatore Micheloni ha quindi sottolineato che le difficoltà del negoziato di adesione della Turchia esprimono un vizio profondo dell'Europa e non della Turchia, come dimostrato dalle ragioni che hanno indotto i cittadini francesi ad esprimere un voto contrario alla ratifica del Trattato di Lisbona. Il dossier Turchia ben si adatta ad essere strumentalizzato a finalità di politica interna ed è per questo motivo che è necessario mantenere saldo l'impegno preso nei confronti di tale Paese. In qualità di parlamentare eletto all'estero, ha auspicato che anche la Turchia possa valorizzare il rapporto con le comunità di propri connazionali che vivono e lavorano all'estero. Infine l'onorevole La Malfa ha ricordato l'importante progetto di collaborazione tra i due Parlamenti sul piano amministrativo con il Twinning Project, la cui conclusione è stata celebrata dal Presidente Fini in occasione della sua recente visita ad Ankara.
Nel corso dell'incontro con rappresentanti della Commissione esteri turca, presieduta dall'onorevole Murat Mercan, ha avuto luogo uno scambio sulle linee di politica estera della Turchia, che secondo gli interlocutori turchi potrebbe svolgere un ruolo decisivo per il ripristino della pace nelle maggiori aree di crisi e per la soluzione di problemi di natura regionale e globale. Il Presidente Mercan ha evidenziato che le maggiori questioni internazionali e di interesse europeo coinvolgono la Turchia in modo determinante: il Caucaso, i Balcani, il Medio Oriente, l'Afghanistan. Ha quindi segnalato che così come presso il Parlamento francese è stato costituito un gruppo di monitoraggio sulla Turchia, sarebbe auspicabile che un'analoga iniziativa fosse assunta da Paesi che, a differenza della Francia, sostengono l'ingresso turco in Europa. Il Presidente Mercan si è espresso sull'Unione per il Mediterraneo, auspicando che essa, a differenza del processo di Barcellona, possa avere successo nell'interesse della soluzione della questione israelo-palestinese. Nell'esprimere l'augurio che il segretario generale di questo nuovo foro di dialogo possa essere di nazionalità o turca o italiana, il presidente Mercan ha affermato che l'Unione per il Mediterraneo potrà conseguire risultati se essa manterrà il proprio focus su temi di natura economica e culturale, aventi forte impatto sulla vita e dunque sul consenso dei cittadini, rinviando ad altre sedi la trattazione di questioni squisitamente politiche.
Al quesito posto dall'onorevole La Malfa sulla richiesta della Georgia di ingresso nella Nato, il presidente Mercan ha detto che su tali temi la maggioranza e l'opposizione convergono nel senso di sostenere che è tempo che l'Unione europea definisca i suoi rapporti di lungo termine con la Russia e accolga la Turchia. Occorre altresì attenuare l'influsso esercitato dai Paesi membri dell'Unione europea che hanno un approccio più emotivo nei confronti della Russia, come la Polonia. È infatti impossibile definire una politica condivisa nei confronti della Russia finché permangono tali le posizioni della Polonia, così come è arduo definire una politica per il Mediterraneo date le note prese di posizione da parte di Cipro. Con la Russia, occorre tenere conto della sensibilità di questo importante interlocutore che ha a cuore il tema dell'accesso al mare e nei cui confronti non ci si può limitare ad una mera «politica di contenimento». Il presidente Mercan ha evidenziato che la crisi georgiana ha richiesto equilibrio per evitare conseguenze peggiori e impone di considerare la prospettiva della Russia in ordine all'eventuale ingresso nella Georgia nella Nato. Ha quindi sottolineato che il presidente Putin ha per la prima volta espresso la necessità di un accordo strategico con la Turchia per la gestione dei problemi dell'area e per gli interessi energetici. Ha altresì rimarcato che la Turchia intende mettere in atto una politica estera basata sull'equilibrio e il buon senso. Infine ha messo in risalto che l'Unione europea compete sul mercato della domanda di energia con India e Cina e che, insieme agli Stati Uniti, deve rivedere la propria politica sull'Afghanistan e sulla stessa Turchia, con particolare riferimento alle posizioni di Francia e Germania.

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Al quesito dell'onorevole Repetti che ha chiesto quanto incide sul processo di riforma la demoralizzazione degli elettori turchi per la risposta europea, Mercan ha riferito che allo stato attuale soltanto il 50 per cento dei cittadini turchi è favorevole all'ingresso e il 20 per cento è convinto che avrà esito positivo e tali valori percentuali incidono indubbiamente sull'iter per le riforme interne. L'onorevole Tempestini ha osservato che le difficoltà interne all'Unione europea, emerse con la crisi finanziaria internazionale e nel percorso di ratifica del Trattato di Lisbona, rappresentano un problema in più per la Turchia, mentre l'onorevole La Malfa ha chiesto se la Turchia potrebbe mai fare proprio un progetto di federazione degli Stati europei, considerato che l'Unione europea rappresenta un progetto politico, oltre che economico.
A tali quesiti il presidente Mercan ha dato risposta osservando che l'Unione europea prende attualmente decisioni sulla base di un compromesso più che di vero consenso e che essa è governata da due visioni, l'una filo-inglese che vede nell'Europa un soggetto economico, e l'altra filo-tedesca e francese che fa dell'Europa un soggetto politico. Per Mercan l'Ue non può essere un soggetto solo economico considerato che i Paesi europei hanno interessi economici contrastanti ed è destinata a diventare un attore politico globale. A suo avviso, occorre adesso lavorare sui meccanismi decisionali, provvedendo ad una seria trasformazione interna e accogliendo la Turchia e i Balcani per poi sviluppare un sistema di difesa distinto dalla Nato, in linea con una visione davvero multilaterale delle relazioni internazionali. La Turchia, che chiede all'Unione di gestire l'allargamento con coerenza, in questo contesto può accresce il soft power esercitato dall'Europa.
Nell'incontro con il Vice primo ministro Cemil Çiçek sono state nuovamente affrontate le tematiche connesse al nodo di Cipro, considerato da Çiçek emblematico della politica dei doppi standard che l'Unione europea applica nei confronti della Turchia. L'incontro ha consentito di approfondire questioni relative alla lotta contro il terrorismo, terreno su cui la Turchia ha dato uno dei maggiori contributi alla comunità internazionale. Çiçek ha sostenuto che nella lotta contro il PKK, la cui regia è oggi in territorio nordiracheno, occorre tenere conto che tale organizzazione terroristica riceve i suoi maggiori introiti dall'Europa, anche grazie alle circa quattrocento associazioni che la sostengono e che svolgono attività di fund raising. Il PKK gestisce ad oggi gran parte del traffico di stupefacenti diretti verso l'Europa e si avvale del sostegno offerto da mass media europei. Çiçek ha anche rilevato che nessun Paese europeo ha mai estradato in Turchia terroristi del PKK, né li ha mai processati. Un terzo dei militanti del PKK sono cittadini non turchi e lo stesso Ocalan non a caso deteneva un passaporto europeo al momento del suo arresto. Ha affermato che contro il terrorismo occorre cooperazione a livello internazionale, al momento molto carente, diversamente si rischiano episodi analoghi a quello accaduto in India.
Nel corso dell'incontro è stato sollevato dall'onorevole La Malfa il tema dei diritti civili che rischiano di essere strumentalizzati al pari di Cipro per allontanare il traguardo dell'adesione. Su tale versante la Turchia può fare molto per rassicurare gli interlocutori europei anche se, ha osservato Çiçek, la minaccia del terrorismo aggrava l'intero contesto.
Nel corso dell'incontro con il Vice presidente della Commissione Affari Europei del Parlamento turco, Lutfi Elvan, è emerso che il Parlamento sta lavorando alla definizione del nuovo Piano nazionale di riforme, annunciato dal Governo Erdogan, e che dal 2009 il processo di riforma riprenderà soprattutto per quanto riguarda l'adeguamento ai criteri politici di Copenhagen. È altresì stato segnalato che il partito di maggioranza deve mediare tra la volontà di proseguire nel progetto di riforma e il debole consenso da parte dell'opinione pubblica turca. Uno dei maggiori problemi del negoziato riguarda, per

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Elvan, la non conoscibilità dei requisiti minimi richiesti da Bruxelles per l'apertura di ulteriori capitoli.
L'incontro con il Presidente della Commissione per i Diritti Umani, Mehmet Zafer Uskul, ha consentito di conoscere le iniziative più recenti assunte dal Parlamento turco su tale terreno a partire dalla revisione dell'articolo 90 della Costituzione in base al quale adesso il diritto interno è cedevole rispetto al diritto internazionale umanitario. Uskul ha riferito della recente approvazione di nuove norme per la tutela dei diritti dei disabili e degli sviluppi in tema di diritti culturali. Ha segnalato che è adesso possibile in Turchia dare nomi curdi ai nuovi nati, stampare testi in lingua curda, riprodurre musica e insegnare il curdo. A partire dal primo gennaio 2009 un canale della televisione di Stato sarà dedicato alle trasmissione in lingua non turca. Ha quindi riferito che dal 2007 ad oggi circa 30 leggi sono state approvate su tali temi. Indubbiamente si segnalano casi di tortura e violazione di altri diritti, come pure la commissione di delitti d'onore. La Commissione, che è composta da 23 membri, istituisce dei comitati ad hoc sui singoli casi ed interagisce con l'Esecutivo per ottenere informazioni e documentazione sugli interessati. La Commissione, che non ha poteri d'inchiesta, si attiva per svolgere istruttorie anche sulla base di una notizia assunta informalmente e, anche grazie al forte sostegno dei mass media, ottiene risultati grazie anche a semplici dichiarazioni rese agli organi di informazione. In merito alla nuova procedura nei confronti di Leyla Zana, il presidente Uskul ha segnalato che al momento è stata pronunciata una sentenza di colpevolezza in primo grado per attività di sostegno al terrorismo.
Infine la delegazione ha avuto un incontro con il leader del partito di opposizione kemalista, Deniz Baykal, che ha dato conto della linea bipartisan della Turchia sui temi della politica estera e della lotta contro il terrorismo. Baykal ha mosso rilievi al partito di maggioranza sul tema della democrazia: ha sottolineato che essa non si realizza attraverso mere revisioni costituzionali e che il partito di Erdogan detiene al momento il monopolio dei media ed è profondamente segnato dal fenomeno della corruzione, divenuta il principale strumento di finanziamento della politica. Ha segnalato che vi è un tentativo in atto di politicizzazione della magistratura e ha quindi svolto considerazioni sull'economia turca, osservando che l'accordo raggiunto con il FMI non è adeguato all'economia del Paese, segnato da una crisi reale e non solo finanziaria. Sui temi della laicità e della possibile presenza di movimenti fondamentalisti in Turchia, Baykal ha osservato che il partito di governo non è in grado di misurare e prevedere gli effetti che le riforme contrarie al valore della laicità potranno determinare. Baykal ha sottolineato che in Turchia sono affluiti molti capitali da istituzioni religiose estere e che se ad oggi la Turchia è l'unico Paese a maggioranza islamica integrato nell'economia globale, in cui la parità tra uomo e donna è un dato reale e regna lo stato di diritto, è grazie alla laicità. Si tratta di un aspetto che differenzia la Turchia dagli altri Paesi islamici che non si sono integrati con l'Occidente e che finora ha costituito una diga solida contro il fondamentalismo. L'islam secondo Baykal colma in modo spontaneo e senza sforzi tutte le lacune che la laicità lascia nella società e da questo punto di vista il Governo Erdogan rappresenta un pericolo, come ha affermato di recente la Corte costituzionale turca.

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ALLEGATO 7

Sulla missione in Serbia (10-11 dicembre 2008).

COMUNICAZIONI

Su invito della Commissione esteri dell'Assemblea nazionale serba, una delegazione della III Commissione, guidata dal presidente, Onorevole Stefano Stefani, e composta altresì dai deputati Alessandro Maran (PD) ed Enrico Pianetta (PdL), si è recata in missione a Belgrado dal 10 all'11 dicembre 2008. La delegazione ha incontrato nella sede parlamentare: il Presidente della Commissione Esteri, Dragoljub Micunovic; il Presidente della Commissione Integrazione europea, Laslo Varga; il Presidente del Parlamento, Slavica Djukic-Dejanovic. Gli incontri a livello governativo hanno avuto luogo con il Ministro per il Kossovo, Goran Bogdanovic; il Ministro degli Affari esteri, Vuk Jeremic, il Consigliere diplomatico del Presidente della Repubblica, Jovan Ratkovic, il Primo Ministro, Mirko Cvetkovic, il Vice Primo Ministro, Bozidar Djelic.
Si riepilogano di seguito i temi emersi nei colloqui.

Quadro regionale.

La Serbia intrattiene buoni rapporti con i paesi vicini, anche se il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo da parte di Montenegro e Macedonia ah segnato un certo stallo. Quanto alla Bosnia-Erzegovina, c'è consapevolezza della sua delicata situazione, ma si ritiene che un miglioramento delle relazioni serbo-croate favorirebbe anche una sua maggiore coesione interna. In generale, il presidente della Commissione affari esteri, Dragoljub Micunovic, ha denunciato i pericoli dei ritornanti nazionalismi, che sono però paganti sul piano elettorale. Al riguardo, ha lamentato le accuse di genocidio che ancora sono rivolte alla Serbia da parte bosniaca e croata, dimenticando le sofferenze che anche i serbi hanno patito ad esempio a Vukovar. Si dovrebbe, invece, a suo avviso, mettere da parte gli antichi odi e concentrarsi sul comune futuro europeo migliorando le reciproche relazioni.

Integrazione europea.

L'Assemblea nazionale serba, che ha già ratificato l'Accordo di stabilizzazione e di associazione (ASA) con l'UE, è impegnata a legiferare per ottemperare ai requisiti dell'ingresso nell'area di Schengen e della presentazione della candidatura di adesione. La Serbia sente di appartenere all'Europa a pieno titolo, dal punto di vista geografico, storico e culturale. Il Governo serbo - che si considera il più filo-europeo nella storia del paese - a sua volta, ha preannunciato che dall'inizio del nuovo anno applicherà unilateralmente l'ASA in via interinale. Si tratta di un passo non privo di conseguenze, se si pensa che la Serbia rinuncerebbe a dazi doganali per circa 250 milioni di euro senza alcuna contropartita. Si registra tuttavia nell'opinione pubblica filo-europea un senso di amarezza per la recente ripetizione del veto olandese al CAGRE dell'8 dicembre, accrescendosi la sensazione da un lato che si ponga alla Serbia un traguardo dopo l'altro, dall'altro lato che stia generalmente rallentando l'attenzione europea per la complessiva integrazione dei Balcani occidentali. Il rischio è che in tal modo si blocchi il processo democratico in corso e si procrastinino le

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riforme interne. Si teme altresì che prima o poi la questione del Kosovo possa essere intesa come pregiudiziale nel cammino verso l'ingresso nell'UE.
Quanto al requisito della piena collaborazione con il Tribunale per i crimini dell'ex-Jugoslavia, si ricorda di aver estradato in otto anni 44 accusati, per cui ne restano in libertà soltanto due che sono oggetto di costanti ricerche. Si era invano sperato che l'arresto di Karazdic avrebbe fugato gli ultimi dubbi sulla lealtà della Serbia, ma i Paesi Bassi continuano a pretendere la cattura di Mladic, sull'onda del ricordo della tragedia di Srebenica.
La cancellazione del regime dei visti per i cittadini serbi - ovvero l'ammissione nello spazio Schengen - è un obiettivo primario anche per l'effetto simbolico che rivestirebbe sul piano dell'accentuazione della coscienza europea. Se infatti è vero che la scelta europea gode del consenso popolare, a giudizio del Ministro degli esteri, Jeremic, occorre però conservarlo, dimostrando ai serbi che la stessa Europa è pronta ad accoglierli.
Il Vice Primo Ministro Djelic ha ricordato che la Commissione europea aveva ipotizzato che la Serbia avrebbe potuto ricevere lo status di paese candidato sin dall'anno prossimo. Al riguardo, il Paese si è dato un programma nazionale per l'integrazione nell'Unione europea che preconizerebbe l'adesione nel 2012. Nel rendersi conto che le imminenti elezioni europee inducono molti governi alla prudenza circa ulteriori allargamenti dell'Unione, sottolinea come la Serbia abbia risposto positivamente a tutte le osservazioni di volta in volta formulate dalla Commissione europea sul piano dell'armonizzazione legislativa, nonché sull'implementazione dei requisiti Schenghen (sono stati rilasciati 150 mila nuovi passaporti a lettura ottica). A suo avviso, l'Unione europea dovrebbe concedere alla Serbia l'applicazione dell'ASA almeno per un periodo di sei mesi di prova, eventualmente rinnovabili.
Un segnale in tale direzione smentirebbe la crescente impressione che hanno i serbi di essere ancora considerati come il paese di Milosevic, nonostante che siano passati otto anni dall'avvio della democratizzazione. È tuttavia a suo avviso più generale, e non limitato alla sola Serbia, il calo di attenzione dell'Unione europea verso i Balcani occidentali, sia sotto il profilo politico che economico.

Kosovo.

La Serbia continua a considerare come proprio il Kosovo sulla base del principio dell'integrità territoriale che nella stessa regione è stato applicato per la Bosnia-Erzegovina, mentre per Slovenia e Croazia si era accettato quello dell'autodeterminazione.
Le autorità serbe hanno espresso soddisfazione per i successi diplomatici conseguiti presso l'ONU dapprima con la risoluzione approvata dall'Assemblea generale per il quesito da porre alla Corte internazionale di giustizia circa la dichiarazione di indipendenza del Kosovo e poi con la risoluzione approvata dal Consiglio di sicurezza circa la neutralità della missione EULEX rispetto allo status finale dello stesso Kosovo, che ai loro occhi costituisce una sorta di reviviscenza della risoluzione 1244 in cui è racchiuso il principio dell'integrità territoriale della Serbia. Il Ministro per il Kosovo, Goran Bogdanovic, ha tuttavia segnalato l'ormai scarsa fiducia nelle missioni internazionali da parte della locale popolazione serba che sulla sua pelle ha sperimentato l'impossibilità di recuperare piena libertà di movimento ovvero di ottenere la restituzione dei propri beni. Nel ribadire che la Serbia non potrà mai accettare una rinuncia territoriale, ha auspicato quindi come soluzione un ritorno al negoziato diretto tra le parti, non essendo accettabile l'attuale condizione per cui una delle due ha prevalso sull'altra in modo assoluto. Ha invece confermato la totale disponibilità serba al riconoscimento della più ampia autonomia alla regione, purché si tenga conto di tutte le minoranze che vi risiedono e non si configuri una soggettività internazionale dotata di un seggio all'ONU. Quanto al rapporto con gli albanesi, il

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ministro Bogdanovic ha invitato a rivedere insieme le ingiustizie storiche subite. Un ulteriore round negoziale potrebbe peraltro essere favorito da una pronuncia in tal senso della Corte internazionale. Con riferimento all'Italia, ha segnalato la violazione del diritto internazionale compiuta con il riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, che non ha affatto contribuito alla stabilizzazione regionale dal momento che ha invece alimentato le tendenze separatiste presenti in molti altri Stati (Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Macedonia, Romania). Per quanto riguarda il dispiegamento di EULEX, nel rimarcare la buona volontà serba, ha tuttavia lamentato che alcuni suoi esponenti alimentano l'incomprensione esprimendosi in termini indipendentistici. In ogni caso, la Serbia è intenzionata ad usare soltanto mezzi diplomatici per la protezione della propria minoranza in Kosovo ed esclude assolutamente ogni gesto ostile benché minimo.
Il Vice Primo Ministro Djelic ha comunque insistito non solo sull'illegittimità ma anche sull'irrazionalità del riconoscimento dell'indipendenza del Kosovo, la cui economia non potrà mai essere autosufficiente. Ritiene altresì che non solo la minoranza serba, ma anche tutte le altre minoranze presenti nel Kosovo non si sentano tutelate dall'attuale governo. A suo avviso, con il tempo risulterà chiaro a tutta la comunità internazionale l'errore compiuto e l'Europa dovrà elaborare una diversa e più originale soluzione della questione.

Relazioni con la Russia.

La Serbia è grata alla Federazione russa del costante appoggio assicuratole sul piano internazionale sulla base dei noti vincoli storici, religiosi e linguistici, considerandone l'alleanza la su seconda priorità strategica dopo l'UE. È ben consapevole del fatto che la recente crisi caucasica si ricollega a quella del Kosovo, che ha naturalmente alimentato le tendenze russofile. Ciononostante, non ha mai preso in considerazione l'ipotesi di riconoscere l'Abkhazia e l'Ossezia meridionale. Il legame strategico con la Russia è stato confermato dall'accordo energetico che dovrebbe essere finalizzato entro l'anno. La capacità minima dovrebbe essere di 15 miliardi di metri cubi di gas all'anno. In tal modo, la Serbia diventerebbe la fonte di diffusione del gas russo in tutta la regione. Al momento, la Serbia importa dalla Russia il 90 per cento del gas e l'80 per cento del petrolio.

NATO.

L'ipotesi di un'adesione alla NATO è considerata meno probabile ed urgente di quella all'UE. Il tema è particolarmente delicato per il ricordo delle vittime della guerra del 1999. La Serbia condivide tuttavia la strategia di sicurezza dell'Alleanza Atlantica al punto che - a giudizio del governo serbo - la sua collaborazione risulta assai più consistente di quella di altri paesi della regione anche più vicini all'adesione. Assoluta è infatti la consapevolezza dell'importanza della NATO nella stabilizzazione dei Balcani occidentali. Si considera comunque sufficiente la cornice istituzionale assicurata dalla Partnership for Peace. Particolare apprezzamento è stato espresso per l'azione che l'Italia ha svolto come paese di contatto con la NATO.

Politica interna.

La Serbia è oggi governata da una coalizione i cui due principali membri, i democratici ed i socialisti, sono stati avversari storici. A giudizio della Presidente dell'Assemblea, Djukic-Dejanovic, l'inedita alleanza è il frutto di una forte pressione di stabilità giunta dal basso, che ha fatto superare il passato. Il programma di governo, ferma restando la difesa del Kosovo, ha come priorità assoluta l'integrazione europea, quindi lo sviluppo economico senza lo smantellamento dello stato sociale e la lotta alla corruzione ed alla criminalità. Una Dichiarazione di riconciliazione

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nello scorso ottobre ha sancito i termini dell'accordo politico che sta funzionando senza frizioni offrendo anche ad altri paesi un modello di dialogo e compromesso. Non si esclude neanche l'integrazione di altre formazioni politiche nel prossimo futuro.
Si esclude che la crisi del Kosovo abbia ripercussioni separatiste in Vojvodina, a cui il Governo è pronto a garantire lo sviluppo dell'autonomia secondo un disegno di legge in corso di esame che ne adotterebbe lo Statuto e ne definirebbe le sfere autonome in materia finanziaria, economica e culturale.
Il Primo Ministro, Cvetkovic, pur sottolineando le difficoltà sopravvenute con la crisi internazionale, ha assicurato che il bilancio statale riuscirà a contemperare un quadro restrittivo con alcuni incentivi: ci saranno quindi tagli alle spese statali e aiuti al sistema economico. La crescita del PIL, attestatasi intorno al 7 per cento negli ultimi anni, dovrebbe però dimezzarsi nel 2009, mentre l'inflazione rallenterebbe di qualche punto (8 per cento). Non si può dire che si siano tuttavia raggiunti i livelli pre-bellici, anche perché allora il calo della produzione industriale fu del 70 per cento. A suo giudizio, comunque, l'economia serba è più forte della Bulgaria e pari a quella della Romania, forse più debole della Croazia, ma meno difficile della Macedonia, della Bosnia e del Montenegro.
La collaborazione con il FMI è giudicata favorevolmente. Il miglioramento dell'ambiente economico resta un obiettivo governativo: dalla bassa pressione fiscale alla facilitazione della burocrazia soprattutto nell'edilizia alla garanzia della certezza del diritto. Rilevanti investimenti saranno diretti alle infrastrutture per realizzare entro il 2010 il completamento della rete autostradale e ferroviaria, rendendo finalmente accessibili località sinora isolate al fine di risolvere le disparità territoriali. Con riferimento agli investimenti stranieri, è stato poi evidenziato che i comuni possono cedere gratuitamente i terreni necessari agli impianti industriali.
Con riferimento alle infrastrutture, il Vice Premier Djelic ha altresì annunciato la pubblicazione di due bandi di gara per la realizzazione di centrali termiche, senza contare il progetto del gasdotto Southstream. Ha invece lamentato lo stallo del progetto ferroviario Belgrado-Var così come di quello autostradale per Pogdoriza; sarebbe necessario rilanciarli per favorire il collegamento della Serbia alla costa del Montenegro.

Rapporti bilaterali.

L'amicizia italo-serba è considerata un dato di fatto ed un saldo sostegno per lo sviluppo politico ed economico del Paese. C'è gratitudine per l'appoggio italiano in seno all'UE. Nelle parole del consigliere diplomatico del presidente Tadic, Jovan Ratkovic, l'Italia costituisce il partner principale della Serbia ed il suo più grande alleato nell'UE e nella NATO. Si apprezza altresì la cooperazione in corso con alcune delle principali regioni italiane.
L'interscambio è valutato positivamente, così come l'entità degli investimenti italiani, soprattutto nel campo bancario, assicurativo ed automobilistico. Si sottolinea al riguardo da parte serba l'offerta di una manodopera specializzata di alta qualità ad un costo concorrenziale. La presidente dell'Assemblea nazionale, Djukic-Dejanovic ha sollecitato l'approfondimento delle relazioni interparlamentari in particolare tra le Commissioni interessate al processo di integrazione europea.