Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 18 settembre 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la dotazione regionale delle reti infrastrutturali dei trasporti calabresi è complessivamente la metà della media nazionale e la condizione della mobilità soffre di rilevanti criticità che determinano gravissime ricadute negative su cittadini e imprese;
    tra le più evidenti criticità si rammentano la mancanza di una integrazione intermodale e intramodale di cui sono esempi evidenti i collegamenti degli aeroporti calabresi con la rete ferroviaria; l'incertezza nei tempi di realizzazione delle opere autostradali (di cui è un esempio evidente la mancata conclusione dei lavori di realizzazione dell'autostrada Salerno-Reggio Calabria); la scarsa capacità di governare i processi di pianificazione. Progettazione e realizzazione del sistema (di cui è esempio evidente l'assenza di un progetto per migliorare la linea ferroviaria Battipaglia-Reggio Calabria); la mancanza di coerenza rispetto alle politiche nazionali ed europee (in questo caso l'esempio evidente è connesso al rischio di una sostanziale emarginazione della regione Calabria rispetto alle reti Ten ed i relativi progetti prioritari);
    l'asse portante della viabilità regionale e interregionale è costituito dall'autostrada A3, che si estende per circa 300 chilometri e da essa, attualmente ancora interessata da lavori di ammodernamento come puntualmente evidenziati da numerosi atti parlamentari, si diramano a pettine le principali vie di comunicazione stradale. La strada statale 18, lungo la costa tirrenica, e la strada statale 106, lungo la costa ionica, costituiscono i collettori principali per i flussi provenienti dalle zone collinari e montane, mediante strade provinciali e comunali. Complessivamente le strade statali che percorrono il territorio regionale si sviluppano per circa 3.300 chilometri, quelle provinciali per circa 5.700 chilometri, quelle comunali per circa 6.700 chilometri. Per quanto riguarda quasi tutto il versante tirrenico, la gran parte delle funzioni di arteria di grande comunicazione, che storicamente venivano assolte dalla strada statale 18, sono state assorbite dalla A3, mentre, relativamente al versante ionico, esso registra ancora elevati gradi di congestionamento e di criticità, relativamente agli standard geometrici, qualitativi e di sicurezza, generati dal fatto che la strada statale 106 rappresenta, in sostanza, l'unica arteria stradale per gli spostamenti sulle medie distanze. A completare la rete stradale principale calabrese, troviamo cinque assi trasversali: la SS 280 Lamezia Terme – Catanzaro Lido; la SS 107 che congiunge Paola a Crotone; la variante strada statale 281 Marina di Gioiosa – Rosarno; l'asse stradale che da Guardia Piemontese (strada statale 283) si dirige verso la Sibaritide (strada statale 534); la trasversale delle Serre, in corso di realizzazione;
    la rete di trasporto pubblico collettivo calabrese su gomma, risulta poi decisamente sottodimensionata se confrontata con i dati delle altre regioni. Circa 90, inoltre, sono le aziende esercenti servizi di trasporto pubblico collettivo operanti nella regione, differenti per dimensione produttiva;
    la rete ferroviaria calabrese si estende per circa 855 chilometri, in gran parte lungo la fascia costiera che nel corso degli ultimi anni purtroppo sta registrando una drastica riduzione del numero delle corse garantite da Trenitalia per motivi di spending review. Sulla rete ferroviaria calabra circolano quotidianamente circa 230 treni per un totale di circa 40.000 posti offerti. La rete ferroviaria è costituita da 253 chilometri a doppio binario ed elettrificati e da 602 chilometri a binario semplice, dei quali però solo 149 chilometri sono elettrificati. La rete di trasporto ferroviaria è articolata in due linee primarie (linea tirrenica da Reggio Calabria a Praia per 240 chilometri, linea ionica da Reggio Calabria a Rocca Imperiale per 391 chilometri), da due linee trasversali e due reti complementari di collegamento. Le linee trasversali (Paola – Sibari 92 Km e Lamezia – Catanzaro Lido 48 chilometri), entrambe a binario semplice, sono in grado di offrire modesti livelli di servizio con conseguente compressione del diritto alla mobilità dei cittadini. La rete complementare, ancora più modesta per prestazioni, qualità e sicurezza, comprende la linea costiera Eccellente – Tropea – Rosarno (per 71 chilometri) e la rete delle ferrovie regionali calabre, costituita da due gruppi di linee per circa 243 chilometri;
    il traffico aereo calabrese si sviluppa mediante 3 aeroporti: Lamezia Terme, Reggio Calabria, Crotone, ma la mancata espressione della potenzialità del trasporto aereo calabrese è dovuta principalmente, come già detto, ad una carenza quantitativa e qualitativa delle strutture di supporto. Aerostazioni, parcheggi auto e parcheggi velivoli, raccordi viari e ferroviari alle reti principali, servizi di trasporto pubblico di adduzione e di scambio, sistemi informativi e di assistenza, custodia veicoli ed altro necessitano, infatti, di opere di ammodernamento e potenziamento per supportare e sostenere il trasporto aereo sia nella dimensione interregionale che internazionale. Ciò consentirebbe la possibilità di creare nuove rotte aeree centrate sugli aeroporti calabresi, dai collegamenti euromediterranei ai collegamenti con altre città del Mezzogiorno e con altre regioni del centro-nord Italia;
    il sistema portuale calabrese è, infine, costituito da una serie di porti di diverse dimensioni e funzioni, localizzati su entrambi i versanti della regione. Per quanto riguarda la movimentazione delle merci, si possono distinguere 6 scali principali: Reggio Calabria, Villa San Giovanni, Vibo Valentia, Crotone, Corigliano e soprattutto Gioia Tauro. Per le caratteristiche peculiari della regione, enorme rilevanza è assunta dalla rete di porti turistici che necessiterebbero, tuttavia, di un quadro strategico di riferimento. Tra essi si ricorda il porto di Crotone, fino a pochi anni fa, destinato esclusivamente al traffico industriale, ed oggi in fase di riconversione, quello di Tropea e Roccella Jonica, sino ai porti del sistema costiero dell'intera fascia tirrenica calabrese. Quest'ultimo tratto di costa registra una crescente domanda di portualità (più di 20 nuovi progetti di porti turistici), aprendo ampi e variegati temi di discussione sull'utilità degli interventi, la sostenibilità, la rilevanza economica e l'impatto ambientale;
    il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha recentemente comunicato la pubblicazione dell'aggiornamento dell'Anagrafe delle opere pubbliche incompiute di interesse nazionale. L'elenco doveva essere compilato sull'apposito sistema entro il 30 giugno 2015 dalle regioni e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e si riferisce alle opere incompiute al 31 dicembre 2014. Nel dettaglio la ripartizione regionale vede in testa la Calabria con ben 93 opere incompiute su un numero complessivo di 649 opere pubbliche che non sono state completate in Italia, al netto di quelle afferenti alla regione Sicilia;
    appare quanto mai urgente intervenire con decisione per rilanciare il sistema infrastrutturale e trasportistico della regione Calabria attraverso interventi strategici coerenti con le esigenze di un territorio dalle enormi potenzialità;
    purtroppo la regione Calabria, come pure la regione Sicilia, ormai da molti, troppi anni, si trova al centro di un dibattito che comprende l'area dello Stretto e la potenziale realizzazione di un'opera faraonica: il ponte sullo Stretto di Messina. Si tratta di un dibattito poco utile allo sviluppo di questo territorio in termini complessivi, con il rischio concreto di rendere sterile qualsiasi iniziativa efficace per il futuro della Calabria e affossare l'obiettivo prioritario di potenziare e riqualificare le infrastrutture esistenti;
    sotto tale profilo suscitano particolare perplessità le recenti dichiarazioni rilasciate alla stampa nazionale da parte del Ministro dell'interno, onorevole Angelino Alfano, che ha dichiarato, si presume per motivi eminentemente elettorali quanto segue: «Non vediamo la ragione per la quale non si debba più parlare di ponte sullo Stretto. Abbiamo pronto un disegno di legge per rimettere al centro la questione, anche se sappiamo che una parte della sinistra italiana si oppone» e ancora «non è possibile che l'Alta velocità arrivi fino a Reggio Calabria e poi ci si debba “tuffare” nello Stretto, per poi ricominciare a viaggiare a... bassa velocità. Questo è un progetto che vogliamo rilanciare»;
    peraltro, attualmente, l'alta velocità arriva a Salerno e nel novembre 2014 l'allora Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, onorevole. Maurizio Lupi, aveva chiarito dichiarando pubblicamente che: «Il capitolo sul Ponte sullo Stretto è chiuso perché lo ha chiuso qualcun altro. Le leggi in Italia si rispettano» e ancora: «Qualcuno, nel 2012, ha approvato con legge la decisione di mettere in liquidazione la società “Ponte sullo stretto di Messina”. Ci sono contenziosi in corso, e quindi lo Stato dovrà, tenendo conto di quella legge, fare gli atti e prendere le decisioni conseguenti»,

impegna il Governo:

   ad adottare con urgenza ogni iniziativa, anche normativa, finalizzata a pervenire alla definitiva conclusione di tutti i lavori connessi all'autostrada Salerno-Reggio Calabria, definendo al contempo delle soluzioni per rilanciare la rete infrastrutturale dei trasporti calabresi, alla luce delle considerazioni espresse in premessa nel presente atto di indirizzo sulla necessità di realizzare finalmente in forma integrata il sistema dei trasporti calabrese, potenziando e riqualificando il complesso delle infrastrutture esistenti (strade, autostrade, rete ferroviaria, aeroporti e porti) e rafforzando la rete di trasporto pubblico collettivo calabrese su gomma;
   ad adottare un approccio di analisi del territorio calabrese dove le persone e le imprese siano posti al centro del sistema, favorendo modelli partecipativi all’iter decisionale pubblico che consenta di raccogliere le istanze provenienti dal basso e ricondurle a un approccio di sistema;
   ad adottare ogni iniziativa di competenza volta a favorire da parte della regione Calabria il perseguimento dello sviluppo sostenibile, in linea con gli altri territori europei, in modo tale che il sistema dei trasporti calabrese possa contribuire ad incrementare il livello di occupazione nella regione, il livello di coesione territoriale, la sicurezza dei cittadini, il contrasto allo spopolamento del territorio e, ancora, a ridurre i livelli di emissione di inquinanti nel territorio;
   a confermare che la realizzazione dell'opera relativa al Ponte sullo Stretto di Messina rappresenti realmente un capitolo chiuso per l'attuale Esecutivo, nonché ad astenersi da qualsiasi iniziativa volta a favorire in qualsiasi modo il rilancio e la realizzazione del progetto del Ponte sullo Stretto di Messina.
(1-00987) «Franco Bordo, Scotto, Pellegrino, Zaratti, Costantino, Palazzotto, Paglia, Airaudo, Placido, Piras, Ricciatti, Ferrara, Marcon, Duranti, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Pannarale, Sannicandro, Zaccagnini».


   La Camera,
   premesso che:
    il Governo in carica ha ereditato le precedenti e numerose misure di blocco o contenimento della contrattazione collettiva nel pubblico impiego:
    l'emanazione del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, recante «Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica» ha determinato, per quanto concerne il pubblico impiego, il congelamento dei trattamenti economici per tre anni, con la finalità del contenimento delle spese, mediante l'articolo 9, comma 21, in base al quale le retribuzioni del personale interessato sono state escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi, i cosiddetti «scatti» e «classi di stipendio», collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    successivamente il decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, ha previsto, all'articolo 16, comma 1, con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la semplificazione e la pubblica amministrazione e dell'economia e delle finanze, la possibilità di prorogare di un anno, ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    la formulazione dell'articolo 40 e dell'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 modificano gli spazi delle relazioni sindacali come precedentemente configurati dalla legge e dalla contrattazione collettiva;
    l'articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, modificato dall'articolo 54 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, testualmente recita «tramite appositi accordi tra l'Aran e le Confederazioni rappresentative, secondo le procedure di cui agli articoli 41, comma 5, e 47 (...) sono definiti fino a un massimo di quattro comparti di contrattazione collettiva nazionale, cui corrispondono non più di quattro separate aree per la dirigenza (...)»;
    occorre, pertanto, giungere preliminarmente ad un accordo attuativo delle citate disposizioni, al fine di ricondurre alle previsioni normative il numero dei comparti, quale premessa per la riapertura del tavolo contrattuale;
    la legge 23 dicembre 2014, n. 190, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2015) ha prorogato fino al 31 dicembre 2015 il blocco economico della contrattazione nel pubblico impiego, già previsto dalla normativa vigente fino al 31 dicembre 2014, con conseguente slittamento del triennio contrattuale dal 2015-2017 al 2016-2018;
    pur con la conferma del blocco contrattuale, la stessa legge di stabilità 2015 ha comunque opportunamente sbloccato gli automatismi e le progressioni per determinate categorie di pubblici dipendenti (tra tutti, le forze di polizia) e, in particolare, ha ripristinato gli effetti economici legati alle progressioni di carriera e gli assegni connessi con il merito e con l'anzianità di servizio;
    la Corte costituzionale il 23 luglio 2015, in relazione alle questioni di legittimità costituzionale sollevate con le ordinanze r.o. n. 76/2014 e r.o. n. 125/2014, con decorrenza dalla pubblicazione della sentenza, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del blocco della contrattazione collettiva per il lavoro pubblico, così come risulta dalle norme impugnate e da quelle che lo hanno prorogato che rischiano di rendere strutturale tale blocco;
    la Corte costituzionale ha ribadito la piena legittimità – già affermata in sentenze precedenti – dell'intervento del legislatore volto a far fronte a esigenze eccezionali di riequilibrio del bilancio pubblico, riaffermando alcune peculiarità del settore pubblico rispetto a quello privato, che permangono anche dopo la cosiddetta «contrattualizzazione» dell'impiego pubblico, negando altresì che il blocco temporaneo abbia determinato una situazione di insufficienza della retribuzione alla stregua dell'articolo 36 della Costituzione, osservando che prima del blocco i livelli salariali del settore pubblico si erano già attestati su livelli superiori, a parità di contenuto della prestazione lavorativa, rispetto al settore privato;
    nell'affermare l'illegittimità costituzionale sopravvenuta del blocco della contrattazione collettiva nel settore pubblico, la Corte costituzionale ha precisato che la riattivazione della negoziazione collettiva costituisce un dato essenzialmente procedurale, «disgiunto da qualsiasi vincolo di risultato»;
    già antecedentemente alla sentenza della Corte costituzionale, in data 17 giugno 2015, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, rispondendo ad un'interrogazione «in merito alla sospensione o alla revoca, a partire dal secondo semestre 2015, del blocco della contrattazione nazionale del pubblico impiego», in tale sede ha riferito – sostanzialmente d'intesa con la Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione – che il Governo nella sua collegialità ha ritenuto di confermare il blocco della contrattazione collettiva economica per il pubblico impiego prorogato al 2015 ma parzialmente compensato da un periodo di bassa inflazione. È evidente tuttavia che il blocco dei contratti non può essere la normalità e per questo l'auspicio è di riaprire il prima possibile una normale contrattazione;
    successivamente, durante il passaggio al Senato della Repubblica del disegno di legge delega approvato ad agosto 2015, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, la stessa Ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione, ha preannunciato la volontà del Governo di superare il blocco della contrattazione, dopo cinque anni di fermo della parte economica dei contratti collettivi di lavoro nel pubblico impiego;
    il rinnovo del contratto collettivo per tre milioni e mezzo di lavoratrici e lavoratori del pubblico impiego è una scelta utile per l'economia e indispensabile per riconoscere il valore al lavoro pubblico;
    la valorizzazione dei lavoratori del pubblico impiego è condizione necessaria per la piena realizzazione degli obiettivi positivi di semplificazione, qualità e maggiore efficacia della pubblica amministrazione perseguiti della legge 7 agosto 2015, n. 124;
    il processo di semplificazione e di innovazione prefigurato dalla legge 7 agosto 2015, n. 124, individua all'articolo 17 i principi e criteri direttivi cui debbono uniformarsi i decreti attuativi sul riordino e la semplificazione della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche e dei connessi profili di organizzazione amministrativa e, all'articolo 11, introduce un nuovo modello organizzativo della dirigenza pubblica,

impegna il Governo:

   a favorire la chiusura degli accordi di cui all'articolo 40 del decreto legislativo n. 165 del 2001, ai fini della conclusione rapida e comunque entro il 2015 del processo di ridefinizione dei comparti, così come previsto dal citato decreto legislativo n. 165 del 2001 e successive modificazioni, apportate dal decreto legislativo n. 150 del 2009, anche con soluzioni innovative, in coerenza con l'impianto della legge n. 124 del 2015;
   a prevedere, nell'ambito della prossima manovra finanziaria e nel quadro delle compatibilità finanziarie individuate in quella sede, adeguate risorse da destinare al rinnovo dei contratti del pubblico impiego.
(1-00988) «Di Salvo, Miccoli, Gnecchi, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Cuomo, Damiano, Giacobbe, Gribaudo, Incerti, Patrizia Maestri, Martelli, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta, Simoni, Tinagli, Zappulla».


   La Camera,
   premesso che:
    la rotta del Mediterraneo ha assunto un ruolo centrale per i flussi migratori verso i Paesi del continente europeo e l'Italia è divenuta una delle porte di accesso più utilizzate verso l'Unione europea dai Paesi africani e mediorientali;
    la situazione sulle coste italiane è iniziata ad aggravarsi già nel 2014 quando, secondo l'Alto Commissariato ONU per i rifugiati (UNHCR), il numero degli arrivi dei migranti e dei richiedenti asilo aveva raggiunto circa le 100.000 persone, oltre il doppio del numero totale rispetto al 2013. La situazione sta ulteriormente peggiorando nell'anno corrente e il numero di arrivi via mare è destinato a crescere, dal momento che già nei primi sette mesi del 2015 il dato è già superiore a quota 90 mila;
    la situazione si è ulteriormente complicata per effetto del Regolamento di Dublino che, sebbene alla sua terza riformulazione, privilegia ancora il Paese di primo approdo del richiedente asilo, quale Paese responsabile della disamina della domanda di protezione internazionale;
    è del tutto evidente che l'ondata migratoria che sta caratterizzando il continente europeo mostra una portata completamente nuova e dimensioni eccezionali, ed è destinata a protrarsi per almeno i prossimi venti anni;
    i dati rilasciati dalla Commissione nazionale per il diritto d'asilo mostrano che nel 2014 il numero delle domande d'asilo provenienti dai migranti sono aumentate vertiginosamente. Se nel 2013, le richieste presentate erano 26.620, nel 2014 sono più che raddoppiate raggiungendo quota 64.886. Di queste domande le commissioni territoriali, competenti a decidere in ordine al riconoscimento dello status di rifugiato, nell'intero anno 2014 sono riuscite ad esaminarne solamente 36.330;
    come mostrato da un'inchiesta del Sole 24 Ore, l'infrastruttura pubblica dello Stato, competente per le domande di asilo presentate dai migranti, è decisamente meno efficiente di quella di altri Paesi europei. Basti pensare che la Germania, nell'ultimo anno e mezzo, ha fatto fronte ad un numero di migranti tre volte superiore rispetto all'Italia e che nel 2014 gli uffici competenti hanno smaltito ben 128.911 richieste su 173.072 che ne sono state presentate. Presso l'Ufficio francese della protezione dei rifugiati e apolidi, nel 2014, sono state presentate 64.811 domande di asilo ed i suoi funzionari ne hanno smaltite 45.454;
    in Italia, la capacità di smaltimento delle domande di asilo resta, quindi, di quattro volte inferiore a quella della Germania, considerato che nei primi cinque mesi del 2015 le commissioni territoriali sono riuscite ad esaminare appena 20.142 pratiche;
    ad aggravare la situazione vi è, altresì, la modalità con cui vengono compilate le domande di richiesta d'asilo. Mentre in Francia devono essere ben motivate, con la compilazione di moduli di circa 20 pagine, in Italia la procedura è molto più leggera considerato che basta riempire solo quattro pagine del modulo di richiesta d'asilo con la possibilità, quasi mai esercitata, di allegare documentazione ulteriore;
    l'imponente fenomeno migratorio sta riversando tutti i suoi effetti anche sul nostro ordinamento giurisdizionale, in quanto, ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e dell'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011 qualora le Commissioni territoriali rigettino una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, è ammesso ricorso, entro trenta giorni successivi alla comunicazione del provvedimento, dinanzi al tribunale che ha sede nel capoluogo di distretto di Corte d'appello in cui ha sede la Commissione territoriale che ha pronunciato il provvedimento;
    i tribunali ordinari, già oberati di lavoro, si trovano a dover gestire migliaia di ricorsi, e che, in carenza di strutture e di personale, i ricorsi avanzati dai migranti, le cui spese sono direttamente a carico dello Stato, durano in media dai due ai quattro anni, allungando in questo modo i tempi di permanenza degli immigrati irregolari sul nostro territorio;
    il sistema giurisdizionale così strutturato riversa, a parere dei firmatari del presente atto, la sua totale inefficienza, anche sui diritti degli stessi migranti,

impegna il Governo

ad assumere le iniziative di competenza per individuare presso i tribunali ordinari delle sezioni specializzate che si dedichino in maniera esclusiva alle materie relative ai fenomeni migratori ed in particolare ai ricorsi dei migranti avverso i provvedimenti di diniego sullo status di rifugiato e/o di espulsione al fine di ridurre drasticamente i tempi di permanenza sul nostro territorio dei migranti stessi.
(1-00989) «Ravetto, Brunetta».

Risoluzione in Commissione:


   La XII Commissione,
   premesso che:
    le malattie rare (MR) sono state identificate dall'Unione europea come uno dei settori della sanità pubblica per i quali è fondamentale la collaborazione tra gli Stati membri e fin dal 1999, con la Decisione n. 1295, sono state oggetto di raccomandazioni comunitarie che hanno portato ad adottare una serie di programmi con obiettivi ampiamente condivisi;
    il contesto in cui si collocano attualmente le malattie rare travalica i confini nazionali e abbraccia tutta l'Europa in una lunga sinergia di progetti come Europlan, Eurordis, Orphanet e prossimamente, nel 2016, le Reti europee di riferimento per le malattie rare;
    l'Italia è stata presente fin dall'inizio in tutti gli organismi che si sono occupati di ricerca scientifica nel campo delle MR a vari livelli: genetico, metabolico, farmacologico e assistenziale; inoltre negli organismi impegnati dalla diagnosi precoce alla organizzazione della rete e dei servizi collegati; nonché nel favorire l'integrazione tra le associazioni di malati. La competenza specifica e la disponibilità alla collaborazione hanno fatto sì che il nostro Paese meriti la stima e la considerazione di tutti i partner europei;
    ai sensi del Regolamento emanato dalla Comunità europea – n. 141 del 2000 –, sono considerate rare quelle patologie «la cui prevalenza non è superiore a 5 su 10.000 abitanti». In Italia si calcola una stima approssimativa di circa 2 milioni di malati, moltissimi dei quali in età pediatrica; le malattie rare sono circa 8.000 e si dovrebbe distinguere tra malattie rare e malattie rarissime, perché pongono problemi diversi e richiedono; approccio diverso: 5.000 MR colpiscono meno di una persona su di un milione; un migliaio hanno una prevalenza compresa tra 1:1.000.000 e 1:100.000; 200 una prevalenza tra 1:10.000 e 1:100.000 e «solo» un centinaio hanno una prevalenza tra 1:2.000 e 1:10.000;
    come è emerso più volte durante le audizioni svolte nel corso della indagine conoscitiva in materia, deliberata dalla XII Commissione della Camera, e conclusasi con l'approvazione di un documento conclusivo il 28 luglio 2015, la scarsa disponibilità di conoscenze scientifiche, connessa alla rarità delle malattie, determina spesso lunghi tempi di latenza tra l'esordio della patologia e la diagnosi, incidendo negativamente sulla prognosi del paziente;
    le industrie farmaceutiche, a causa della limitatezza del mercato di riferimento, hanno scarso interesse a sviluppare la ricerca e la produzione dei cosiddetti «farmaci orfani», potenzialmente utili per tali patologie;
    in alcuni passaggi del Piano nazionale per le malattie rare 2013-2016 si nota un gap, sia rispetto allo sviluppo delle conoscenze scientifiche, che all'evoluzione degli assetti normativi e alla nuova consapevolezza maturata dai pazienti e dalle associazioni che li rappresentano e ne difendono i diritti. E proprio sul piano dei diritti le richieste dei pazienti si fanno sempre più incalzanti e meno disposte alla rassegnazione nei confronti di un sistema burocratico a volte lento e farraginoso;
    la Rete nazionale delle malattie rare, istituita in Italia nel 2001, ha previsto fin dall'inizio il registro nazionale delle malattie rare (RNMR) e ha regolamentato l'esenzione da una serie di costi per le patologie inserite in una determinata lista, stabilita dal decreto ministeriale n. 279 del 2001: «Regolamento di istituzione della rete nazionale delle malattie rare e di esenzione dalla partecipazione al costo delle relative prestazioni sanitarie ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b) del decreto legislativo 29 aprile 1998, n. 124.», lista che da allora non è stata più aggiornata;
    la Rete nazionale delle malattie rare è costituita da tutte le strutture e dai servizi dei sistemi regionali, che per la loro documentata esperienza sono riconosciuti a livello di ciascuna regione come centri di riferimento in grado di svolgere funzioni altamente specialistiche, sul piano della ricerca e della assistenza, per la competenza dei professionisti che vi lavorano e per la dotazione tecnico-scientifica degli strumenti di cui dispongono;
    le attività, i servizi e le prestazioni destinate alle persone affette da MR sono parte integrante dei livelli essenziali di assistenza (LEA), che lo Stato – attraverso il servizio sanitario nazionale – è tenuto ad erogare alle persone che ne sono affette. I LEA, come è noto, sono forniti a tutti i cittadini attraverso i sistemi regionali, nel rispetto dei criteri di efficacia, qualità ed appropriatezza, sulla base dei principi di equità, universalità di accesso ai servizi sanitari e solidarietà;
    per un paziente affetto da una malattia rara, rientrare o meno tra i LEA può comportare un cambio di prospettiva molto importante non solo sotto il profilo della qualità e delle agevolazioni dell'assistenza, ma anche, sotto il profilo strettamente economico, dal momento che comporta l'esenzione dalla partecipazione per le prestazioni sanitarie, ai sensi dell'articolo 5, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 124 del 1998;
   all'istituzione della Rete nazionale hanno fatto seguito due importanti accordi Stato-regioni, nel 2002 e nel 2007, dopodiché c’è stato un deciso rallentamento nelle iniziative a favore dei malati rari;
    l'assistenza ai malati rari richiede una serie molto complessa e articolata di interventi, che coinvolgono l'organizzazione, la programmazione e il finanziamento dell'intero Sistema sanitario nazionale. Le difficoltà che i malati rari incontrano, per vedere realmente soddisfatti i loro bisogni di presa in carico, dipendono in parte dalla complessità delle azioni e degli interventi richiesti dalle specifiche patologie e dalla molteplicità dei soggetti coinvolti per fornire loro un servizio adeguato, in parte dalla obiettiva diversità dei sistemi sanitari regionali, soprattutto sotto il profilo della qualità; in parte, infine, da elementi strutturali, alcuni dei quali potrebbero essere fin da ora oggetto di azioni positive di miglioramento;
    il 18 marzo 2014 il Parlamento ha approvato una mozione unitaria in tema di malattie rare in cui erano contenuti una serie di impegni, di cui solo alcuni hanno trovato piena soddisfazione da parte del Governo, il principale dei quali resta l'approvazione e la conseguente pubblicazione del Piano nazionale per le malattie rare,

impegna il Governo:

   ad individuare criteri, modelli e indicatori di riferimento per la valorizzazione delle eccellenze presenti nei centri di riferimento italiani, siano essi dedicati alla ricerca o all'attività clinico-assistenziale e ovunque si trovino (università, negli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico o nelle strutture ospedaliere nazionali), per realizzare un monitoraggio efficace degli standard di eccellenza, a livello scientifico, clinico-assistenziale ed organizzativo;
   a supportare la Commissione europea nella procedura di valutazione e selezione dei centri di riferimento italiani che entreranno a far parte delle Reti europee di riferimento per le malattie rare su di una base rigorosamente meritocratica, che si avvalga di indicatori precisi e condivisi;
   a diffondere le informazioni relative alle Reti europee di riferimento per le malattie rare, agli standard necessari per entrare a farne parte e alle opportunità che potrebbero scaturire fin da subito per la ricerca a vario livello, stimolando processi di autovalutazione della qualità del lavoro nel proprio centro;
   a creare una mappatura dei centri di riferimento e delle unità operative che afferiscono ad ognuno di essi, rendendola pubblica non solo sul sito del Ministero della salute e a quello dell'Istituto superiore di sanità, ma anche negli ospedali e negli ambulatori dei pediatri e dei medici di medicina generale, al fine di ottenere un quadro puntuale di ciò che si fa in un centro, di chi lo fa, di come si fa, di quante persone vi possono accedere nell'arco di tempo previsto, e con quali risultati;
   a proporre modelli di integrazione e di collaborazione tra i nodi di eccellenza delle reti e i diversi operatori del servizio sanitario nazionale, in modo da favorire la conoscenza reciproca e lo scambio di competenze necessarie per garantire una attività scientifica e assistenziale sempre più efficace sull'intero territorio nazionale;
   a promuovere uno sviluppo della rete nazionale delle malattie rare per renderle sempre più efficace e completa; nonché a potenziare il Registro nazionale delle malattie rare, insistendo sull'uso di sistemi di codifica delle malattie rare uguali su tutto il territorio, sulla completezza delle informazioni raccolte, con regolare e tempestiva trasmissione all'Istituto superiore di sanità, e sulla flessibilità rispetto ad ulteriori possibili sviluppi;
   a potenziare la capacità di ricerca e di formazione dei centri, attraverso la partecipazione a progetti di ricerca scientifica dedicati alle: malattie rare sia sotto il profilo diagnostico-assistenziale che sotto quello della organizzazione dei servizi e dei modelli di presa in carico dei pazienti a livello individuale e familiare;
   a verificare che in tutti i tavoli dove si trattano le malattie rare siano sempre presenti i rappresentanti delle associazioni di malati rari, accreditate e dotate di un comitato scientifico, non solo nel caso in cui si tratti di soggetti che rappresentano una pluralità di associazioni, ma anche quando siano singole associazioni che hanno raggiunto livelli di esperienza e di competenza personale di riconosciuto valore;
   a investire sulla sicurezza dei pazienti affetti da malattie rare attraverso: un'elevata e comprovata competenza dei professionisti, linee guida e buone pratiche sul piano clinico-assistenziale di riconosciuta qualità scientifica, la capacità di giungere a diagnosi precoci in modo corretto, l'inserimento dei pazienti in progetti di sperimentazione farmacologica ad elevata probabilità di successo la presenza di un monitoraggio costante e continuo delle procedure;
   ad investire sull'aggiornamento dei pediatri di base e dei medici di medicina generale perché collaborino attivamente con i Centri di riferimento nel riconoscimento di «sintomi sentinella»;
   ad investire nella prevenzione primaria e secondaria, attraverso un'opportuna diffusione delle informazioni a livello nazionale sui fattori di protezione e un effettivo contenimento dei fattori di rischio;
   a facilitare la ricerca sul piano farmacologico attraverso misure di defiscalizzazione sufficientemente attrattive per gli investitori – ad esempio con la formazione di associazione temporanee di imprese (ATI) – soprattutto quando si tratta di farmaci orfani il cui mercato è inevitabilmente limitato, in particolare se si tratta di farmaci orfani che potrebbero fungere da salvavita;
   a facilitare l'accesso dei pazienti ai farmaci off label, utilizzando il Fondo Agenzia italiana del farmaco, anche attraverso un opportuno coinvolgimento dei medici curanti, in modo da garantire ai malati un costante ed efficace interessamento nei loro confronti, pur in assenza per il momento di soluzioni certe e definitive;
   a predispone un meccanismo che consenta l'inserimento nei LEA delle malattie rare il cui iter di riconoscimento come malattie rare sia stato completato, attraverso una opportuna commissione multi-disciplinare e in modo semi-automatico, senza dover attendere ogni volta l'adozione di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri ad hoc o, in alternativa, garantire ai pazienti, il cui iter di riconoscimento come malati rari sia stato completato, le stesse facilitazioni delle malattie rare incluse tra i LEA, sia pure in via transitoria, e in attesa che venga pubblicato il previsto, decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di aggiornamento dei LEA.
(7-00779) «Binetti, Amato, Lenzi, Monchiero, Silvia Giordano».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO e CHIMIENTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'affidamento con il metodo dell'esternalizzazione, dei servizi di pulizia dei plessi scolastici italiani, in breve tempo, ha portato al sistema degli appalti per le pulizie con tecniche di ribasso delle offerte, il tutto con pesanti ricadute sulle condizioni lavorative degli impiegati nelle ditte vincitrici dell'appalto e conseguenti incapacità di garantire il servizio nelle istituzioni scolastiche;
   sin dalla relazione tecnica del Governo, allegata al decreto-legge n. 69 del 2013, veniva evidenziato che tale sistema noli ha mai prodotto nessun risparmio e, al contrario, ha portato ad un continuo aumento dei costi per le assunzioni a tempo indeterminato del personale e dei collaboratori scolastici necessari per far funzionare il servizio;
   nella recentemente approvata legge n. 107 del 2015 cosiddetta «Buona Scuola», non è stata considerata la risoluzione di detto problema, non ponendo migliorie a tale sistema che è stato mantenuto invariato nella sua forma;
   in data 10 settembre 2015, veniva riportato sul sito «il caffè.TV di Latina», il comunicato stampa delle sigle sindacali Filcams Cgil e Fisascat Cisl, dove veniva considerata l'insostenibilità della situazione riguardante i quasi mille lavoratori, coinvolti nelle vicende degli appalti storici e dei cosiddetti ex Lsu operanti nelle pulizie di tutti i plessi scolastici delle province di Frosinone e Latina;
   veniva ricordato che da febbraio 2014 (data in cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, attraverso il Consorzio Consip, ha assegnato l'appalto delle pulizie delle scuole alle aziende Ma.ca., Servizi Generali e Smeraldo) ad oggi, i lavoratori sono stati oggetto di soprusi e vessazioni di ogni genere, tra cui il mancato pagamento degli stipendi, il mancato rispetto dei parametri orari e, come indicato nella legge 104 sui temi inerenti la malattia, maternità e altro, al non riconoscimento degli istituti di legge previsti. Si ricordava che tutti i lavoratori considerati, svolgono le loro funzioni con contratto part-time e che, in diversi casi, lavorano solo per una o due ore al giorno per pulire più di dieci aule;
   sul tema, sono stati organizzati incontri presso il Ministero della pubblica istruzione con la presenza del Ministero del lavoro, dell'Ufficio Scolastico Regionale e delle istituzioni locali; si sono svolte manifestazioni, iniziative pubbliche, fatte denunce, comunicati stampa e, in data 31 luglio 2015, si è svolto un incontro presso la Presidenza del Consiglio. In tutte le occasioni appena citate, sono state denunciate, anche per iscritto, le gravi inadempienze delle aziende coinvolte rispetto al capitolato d'appalto e le gravi situazioni di disagio e in qualche caso di indigenza a cui i lavoratori sono sottoposti. Nonostante tutti gli sforzi effettuati, i sindacati hanno denunciato la mancata risoluzione del problema, aggiungendo che dopo l'ultimo incontro avuto presso il MIUR in data 06 agosto 2015, la situazione è addirittura peggiorata;
   sempre i sindacati ricordano che, insieme alla grave situazione dei lavoratori che proseguono nel fare il loro mestiere solo ed esclusivamente per senso di responsabilità anche senza stipendio, si aggiunge il disagio dei cittadini e degli studenti che, con l'apertura imminente del nuovo anno scolastico, si troveranno a frequentare aule non pulite;
   a giudizio dei sindacati, oltre ai problemi già citati, esiste anche un non corretto utilizzo dei soldi pubblici, reso ancor maggiore dal grave momento di crisi che il Paese sta attraversando;
   per tutti i motivi sopra indicati, i sindacati Filcams Cgil e Fisascat Cisl, hanno deciso di attivare la procedura di raffreddamento prevista dalla legge 146 del 1990 e di attivare tutte le iniziative legali e di protesta per tutelare i lavoratori coinvolti e, se ciò non dovesse bastare, di fermare tutte le attività lavorative a partire dalla metà del prossimo ottobre –:
   quali misure il Governo intenda attuare per garantire la regolare erogazione degli stipendi per tutti i sopracitati lavoratori delle scuole delle province di Frosinone, Latina e di tutti i lavoratori che si trovino nelle medesime situazioni a livello nazionale;
   se il Governo non ritenga opportuno, anche adottando iniziative normative, rendere il servizio di pulizie dei plessi scolastici nazionali di diretta competenza statale, non ricorrendo alle esternalizzazioni, al fine di evitare eccessivi ed inutili sperperi di denaro pubblico. (5-06423)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZAN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il blog del Corriere della Sera «La 27esima ora» riporta la notizia di una scuola media paritaria, l'istituto arcivescovile di Trento, nella quale il professore di religione avrebbe adottato un testo per l'insegnamento della materia (utilizzando il libro «Voglio imparare ad amare» di Gimmi Rizzi, edizioni Elledici) contenente gravi affermazioni relativamente all'omosessualità e ai rapporti omosessuali;
   a denunciare la vicenda sarebbero state due mamme che si sono rivolte all'Arcigay di Trento dopo che i figli avevano loro comunicato la trattazione del tema in classe e il disappunto con cui molti alunni avevano accolto le informazioni contenute nel libro di testo;
   nelle pagine del volume, si legge che l'omosessualità «è un disordine nella costruzione della propria identità sessuale» e «una tendenza contro il progetto di Dio» e ancora che «un rapporto fra omosessuali è dunque sempre da condannare»; si dice inoltre che «all'origine dell'omosessualità non vi stanno cause genetiche (in altre parole gay non si nasce) ma vi stanno certe relazioni che il soggetto ha vissuto in famiglia e in altri ambienti che lo hanno portato ad un disordine nella costruzione della propria a identità sessuale (per es. bisogni affettivi non soddisfatti durante l'infanzia)» e che pertanto «è alquanto opportuno accompagnare l'omosessuale perché modifichi il suo orientamento sessuale»;
   dall'articolo si legge che il professore di religione e vicepreside dell'istituto, Giampiero Guerra, che avrebbe usato il libro nelle sue classi, ha confermato all'Arcigay di Trento che il testo in questione è tuttora tra quelli impiegati per l'educazione all'affettività dei ragazzi;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, affinché agli alunni iscritti sia garantita un'adeguata e corretta informazione sul tema dell'omosessualità e dei rapporti omosessuali, senza falsità e manipolazioni ideologiche;
   quali iniziative urgenti il Ministro intenda assumere, di concerto anche con il dipartimento pari opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, per scongiurare il verificarsi di episodi similari e tutelare pienamente gli alunni nelle scuole da insegnamenti faziosi che a giudizio dell'interrogante istigano alla discriminazione e al bullismo omofobico e ledono la dignità delle persone omosessuali. (4-10407)


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'applicazione delle norme dell'articolo 6-bis, comma 5, del decreto-legge 387/1987, convertito dalla legge 472 del 1987 ha suscitato controversie interpretative sia in merito all'effettiva data di decorrenza ed entrata in vigore delle disposizioni ivi previste, sia in merito all'effettiva ampiezza della platea dei beneficiari;
   sarebbe in particolare opportuno specificare a quest'ultimo riguardo quali corsi di agenti effettivi ed ausiliari della Polizia di Stato vi siano ricompresi –:
   se il Governo non ritenga, di assumere iniziative volte a fornire un'interpretazione autentica delle norme richiamate in premessa relativamente alla loro data di decorrenza ed entrata in vigore, nonché alla tipologia dei corsi per agenti effettivi ed ausiliari della Polizia di Stato che possano esservi ricompresi. (4-10409)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   Alberto Mastrogiuseppe, Michela Caresani, Daniele Buresta e la ragazza belga Vana Chris Vanpuyvelde risultano dispersi al largo dell'isola di Sangalaki, a est del Borneo in Indonesia dal 15 Agosto;
   il gruppo, che si era affidato al tour operator Derawan Ocean Dive che ha organizzato l'escursione e l'immersione al largo dell'isola, era composto anche da altri due italiani che hanno praticato snorkeling e quindi non hanno seguito gli altri durante l'immersione;
   l'allarme è stato dato dal conducente del motoscafo che in precedenza aveva portato il gruppo nei pressi dell'isola poiché, all'ora concordata, i quattro partecipanti all'immersione non erano tornati in superficie;
   le ricerche hanno presto portato al ritrovamento della sola guida, di nome Oslan, che afferma di essere riemerso con tutto il gruppo ma che le correnti in superficie erano così forti che si sono ritrovati lontanissimi dalla posizione iniziale e per questo motivo ha lasciato l'attrezzatura e ha nuotato, da solo, in cerca del motoscafo;
   secondo le procedure standard, ogni sub avrebbe dovuto avere un palloncino che ne segnalasse la presenza una volta riemerso e quindi non un unico palloncino come in questa occasione;
   non coinciderebbero neppure gli orari perché la guida avrebbe detto di essere riemerso alle ore 15 col gruppo, di essere stato coi ragazzi un'ora e di essere andato poi a cercare aiuto, venendo ritrovato dopo due ore ma risulta che fossero le 17 quando è stato tratto in salvo;
   inoltre il motoscafo, infrangendo le normali procedure, non ha seguito i ragazzi durante l'immersione e la guida, che ha avuto difficoltà a indicare le coordinate del punto d'immersione, afferma di aver perso il computer da polso, rendendo impossibile così il recupero di preziosi dati sull'immersione;
   infine, secondo le informazioni ottenute sul posto dalla sorella di Alberto Mastrogiuseppe, Claudia Mastrogiuseppe, la Derawan Ocean Dive e la guida Oslan non sono in possesso della relativa licenza per operare;
   nonostante gli sforzi delle famiglie e del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale che collabora giornalmente con le autorità indonesiane e ha inviato in loco un proprio funzionario a seguire le operazioni, le pur tempestive e prolungate ricerche effettuate con imbarcazioni, elicotteri e successivamente anche con sommozzatori, sono terminate il 25 Agosto senza produrre alcun risultato –:
   quali iniziative intenda avviare il Governo per rafforzare l'interlocuzione e la collaborazione con le autorità indonesiane, a partire dall'ottenimento e traduzione del verbale della polizia dell'Indonesia, affinché si giunga quanto prima, alla luce delle suddette informazioni, a un chiarimento circa le dinamiche dell'accaduto e l'individuazione di eventuali responsabili;
   se ci sia la possibilità di riprendere le ricerche in modo mirato data la mancanza di prove tangibili sulle sorti dei quattro dispersi. (4-10406)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA, MANNINO, MICILLO, BUSTO, ZOLEZZI, TERZONI e DAGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recentemente la Commissione tecnica della Valutazione d'Impatto Ambientale ha rilasciato un parere negativo riguardante il progetto di autostrada Broni-Pavia-Mortara;
   l'asse di mobilità principale della provincia di Pavia riguarda la direttrice sud-nord e non est-ovest, l'autostrada risulta quindi sprovvista di utilità pratiche e non è funzionale alle esigenze logistiche del territorio;
   è già esistente un collegamento autostradale sull'asse est-ovest rispetto al quale la Broni-Pavia-Mortara offrirebbe un risparmio di tempo di percorrenza piuttosto contenuto, stimato in poco più di 10 minuti;
   il tracciato dell'autostrada pregiudicherebbe terreni di grande pregio agricolo, faunistico e naturalistico, in particolar modo nell'area, già compromessa, della Lomellina, nota a livello internazionale per le varie e pregiate qualità di riso;
   un ampio tratto dell'autostrada sarebbe rialzato, con la conseguente necessità di scavare nuove, enormi cave per il rifornimento dei materiali necessari alle relative opere edilizie. Di fatto, tale autostrada verrebbe a costituire una barriera che pregiudicherebbe l'interscambio in termini di biodiversità e naturali spostamenti faunistici, causando altresì la frammentazione di importanti corridoi ecologici;
   l’iter autorizzativo appare di dubbia legittimità costituzionale, trattandosi di autostrada interregionale e non regionale (considerato il collegamento con la «Stroppiana» in Piemonte), la competenza diretta, quindi, dovrebbe essere del Ministero Centrale e non della regione Lombardia. Tale profilo di incostituzionalità potrebbe dar adito a ricorsi in sede giudiziaria. Fu proprio il Ministero dell'ambiente, con nota protocollata il 18 dicembre 2006 a sostenere che «la procedura in corso da parte di Regione non può ritenersi legittima»;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Graziano Delrio, durante un'audizione alla Camera ha affermato che l'interesse del suo Ministero è riqualificare e manutenere le infrastrutture esistenti evitando altre opere deleterie per il territorio italiano, già strutturato oltre le reali necessità –:
   se il Governo, alla luce del parere negativo già espresso dalla Commissione VIA e della posizione espressa dal Ministro Delrio, non ritenga opportuno chiudere l’iter autorizzativo della Broni-Pavia-Mortara con un rigetto definitivo, in quanto il progetto non risulta conforme alla normativa sulla tutela dell'ambiente e presenta gravi criticità progettuali, già rilevate dalla Commissione, nel 2014, in un documento di 60 pagine. (5-06426)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   NESCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso denominato «Tonnara di Bivona» in Vibo Valentia è un bene incamerato tra le pertinenze del pubblico demanio marittimo;
   il cespite è escluso dagli elenchi soggetti alla legge regionale della Calabria n. 17 del 21 dicembre 2005, nonché dalle recenti norme del federalismo demaniale (di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 3 del decreto-legislativo n. 85 del 2010), sicché la vigilanza di merito spetta alla capitaneria di porto;
   la soprintendenza competente esercita sul bene in argomento la vigilanza per l'applicazione del codice per i beni culturali (ex articoli 57 e 106 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni) da parte degli enti che ne hanno la proprietà o la gestione;
   ai sensi dell'articolo 57-bis del suddetto codice, ogni uso del bene deve essere preventivamente autorizzato dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Calabria;
   il quadro territoriale regionale (Q.T.R.) ha incluso la «Tonnara di Bivona» nella categoria dei beni identitari ai sensi dell'articolo 143 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e dell'articolo 51 del rammentato quadro territoriale regionale;
   il bene, si legge sul blog «Comune portosantavenere» (su piattaforma «Blogspot»), «sin dal 1990 ha fruito di una serie di finanziamenti pubblici (Soprintendenza BAP di Cosenza e regione Calabria) ai fini del recupero ed uso museale», con «una cifra che supera i 2 milioni di euro»;
   con lettera, nell'ottobre 2012 l'associazione antimafia «Gerbera gialla» chiese al comune di Vibo Valentia e alla procura della Repubblica come mai il suddetto museo del mare, finanziato per 1.304.000 di euro dalla regione Calabria con fondi del Por Calabria 2000/2006, non fosse stato completato e – si legge sul blog «Comuneportosantavenere» – «al suo posto sorge, invece, la sede estiva dei Vigili Urbani e quella di un'associazione locale»;
   contestualmente, la medesima associazione domandò quale fosse lo stato finale dei lavori e il relativo conto, l'esistenza di certificato di ultimazione lavori, di collaudo statico e di collaudo tecnico-amministrativo, nonché l'esistenza di parere circa la destinazione d'uso finale da parte della Soprintendenza ai beni monumentali e, all'occorrenza, del contenuto di codesto atto;
   il 30 agosto 2011, la redazione del summenzionato blog interpellò la Corte dei conti per sapere «se un uso difforme del bene storico rispetto ai finanziamenti ottenuti sia possibile», anche con il timore che tale prassi «possa condurre a breve allo stravolgimento strutturale dell'opera, compromettendo definitivamente il suo valore storico ed il suo uso culturale a vantaggio della (...) comunità, vanificando le risorse umane e finanziarie sin qui spese per la sua valorizzazione»;
   nel maggio 2013, lo stesso sindaco di Vibo Valentia, Nicola D'Agostino, sottolineò pubblicamente, presenti il prefetto di Vibo Valentia, il commissario dell'ente provincia e ufficiali di carabinieri e Guardia di finanza, che la «Tonnara di Bivona» è un bene di competenza demaniale, poi informando della sospensione delle concessioni d'uso rilasciate dal Comune nel 2010 e 2011 (su YouTube);
   l'8 dicembre il bene in argomento è stato utilizzato come seggio per le elezioni primarie del Partito democratico –:
   se sia a conoscenza dei fatti qui esposti;
   in virtù di quale norma e di quale titolo il bene risulti ad oggi utilizzato discrezionalmente dal comune di Vibo Valentia per usi diversi da quelli previsti nell'ambito dei finanziamenti erogati;
   se in capo al comune di Vibo Valentia – per gli usi sin qui disposti – risultino concessione d'uso e pareri autorizzativi da parte della competente soprintendenza BSE;
   quali verifiche possa promuovere in ordine allo stato e ai costi dei lavori finanziati;
   quali misure, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare perché il bene sia restituito alla sua funzione, nel rispetto delle normative vigenti. (3-01706)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «Canne della Battaglia» è un sito archeologico situato a metà strada tra la città di Barletta e Canosa di Puglia (BT). Canne della Battaglia è stato il luogo di uno dei numerosi scontri tra romani e cartaginesi, probabilmente il più celebre scontro avvenuto fra i due popoli, di cui ancora si narra in ogni scuola dell'obbligo, è infatti una storia ancora oggi ben ricordata e studiata sui libri di scuola. Il sito, quindi, ha un valore storico, artistico e culturale non comune, che attrae un notevole flusso turistico;
   nel decreto ministeriale del 23 dicembre 2014, finalizzato alla riforma museale dello Stato, questo sito archeologico è stato escluso dall'elenco pugliese degli istituti, luoghi e immobili dei poli museali;
   a seguito di una missiva del Sindaco di Barletta Pasquale Cascella, del gennaio 2015 indirizzata al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro ha specificato che l'elenco inserito nel decreto sarebbe solo un «primo elenco» che ha lasciato sospese diverse aree archeologiche del paese dove sarebbero previsti scavi archeologici. Nella stessa missiva, si comunicava che l'elenco sarebbe dovuto essere integrato, tenendo conto dell'esito della ricognizione ancora in atto dei programmi delle rispettive Sopraintendenze, in modo da risolvere le problematiche riguardanti il rapporto tra gli interventi archeologici e le strutture museali collocate all'interno delle stesse aree;
   nella stessa missiva si confermava l'impegno a considerare le specifiche questioni di Canne della Battaglia, anche in relazione al programma di valorizzazione dell'insieme delle aree archeologiche del paese –:
   quali siano le iniziative intraprese in ordine alla questione descritta in premessa;
   se e quali integrazioni si intendono apportare all'elenco di cui al decreto ministeriale 23 dicembre 2014. (4-10405)


   GAGNARLI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a giugno 2015 la Federazione dei Veterinari Europei (FVE) ha espresso la propria posizione ufficiale sugli animali detenuti in circhi e spettacoli viaggianti ed ha invitato i Governi di tutti gli Stati membri dell'Unione europea a proibire l'uso di animali esotici nei circhi mettendo in evidenza che la loro natura selvatica mal si sposa con la situazione di detenzione e cattività cui sarebbero costretti;
   sono già 9 gli Stati dell'Unione europea che hanno vietato l'uso di animali esotici, dei quali, solo qualche giorno fa è entrata a far parte anche l'Olanda, e altri 9 quelli che hanno limitato l'uso di alcune specie;
   in Italia, nonostante le diverse e numerose battaglie portate avanti fuori e dentro il Parlamento, l'utilizzo, degli animali negli spettacoli itineranti e nei circhi è ancora tutelato, grazie ad una legge di 50 anni fa (legge 337 del 1968) e anzi, promosso attraverso l'attribuzione, ogni anno, di finanziamenti che ammontano a circa 3 milioni di euro;
   l'ultimo sondaggio EURISPES 2015 ha rilevato che il 68,3 per cento degli italiani è contraria all'uso di animali nei circhi, ma nonostante questo significativo segnale, nessuna azione concreta è stata messa in atto dallo Stato centrale e le poche iniziative promosse al fine di arginare la presenza dei circhi con animali nel nostro Paese si devono solo a singoli comuni italiani;
   l'ultimo in ordine di tempo è il Comune di Arezzo che, il 14 settembre 2015 ha approvato un atto di indirizzo che dispone il divieto di attendamento di circhi e mostre viaggianti con animali selvatici o esotici al seguito;
   tale divieto, tuttavia, così come altri, rischiano di non poter essere effettivamente applicati in assenza di una normativa nazionale di riferimento;
   la detenzione, l'addestramento e l'esibizione di animali in spettacoli comporta sofferenze e maltrattamento agli animali; inoltre la loro vita in situazioni di detenzione e cattività è incompatibile con le loro caratteristiche etologiche e va senz'altro nella direzione opposta a quella della tutela del benessere animale che dovrebbe essere prerogativa di ogni Stato civile;
   il 24 settembre 2013 il Senato della Repubblica ha approvato, con parere favorevole del Governo, l'Ordine del giorno n. 9/01014/35 che impegna lo stesso a realizzare «nei prossimi provvedimenti, una riduzione progressiva dei contributi, a valere sul Fondo Unico per lo Spettacolo ad esercenti attività circense e spettacolo viaggiante con animali fino a pervenire al completo azzeramento dei contributi nell'esercizio finanziario 2018»;
   inoltre, il decreto ministeriale 1o luglio 2014 recante «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo dal vivo, a valere sul Fondo unico per lo spettacolo, di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163» non dispone il divieto ma si limita ad introdurre la valutazione dell'attività circense senza animali tra gli indicatori stimabili nel quadro dell'innovazione e della qualificazione dell'offerta –:
   a che punto sia l'adempimento dell'impegno preso dal Governo circa la revoca del finanziamento pubblico allo sfruttamento degli animali nei circhi, erogato ogni anno dal Ministero dei beni culturali, e se ritenga che questo possa essere effettivamente azzerato entro il 2018;
   se non intenda al più presto assumere iniziative normative volte a vietare l'utilizzo degli animali nei circhi, riconvertendo le attività circensi in attività che non prevedano l'utilizzo degli animali.
(4-10413)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LEVA, FOLINO, STUMPO, BRUNO BOSSIO e GIORGIO PICCOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 21 aprile 2000, n. 185 in materia di incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego ha consentito, come si rileva dai dati pubblicati dall'agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia), di promuovere in maniera efficace la creazione e lo sviluppo d'impresa nel nostro Paese con un conseguente impatto positivo in termini di occupazione;
   l'autoimpiego, in particolare, disciplinato dal Titolo II del decreto legislativo di cui sopra, è costituito da tre misure: lavoro autonomo microimpresa, e franchising. Gli investimenti, fissati in un massimo di 25.823 euro per il lavoro autonomo e di 129.114 euro per la microimpresa, sono finanziabili fino al 100 per cento (in parte con contributo a fondo perduto ed in parte con mutuo a tasso agevolato); tutte le misure prevedono, inoltre, contributi a fondo perduto per la copertura delle spese di gestione in fase di start-up;
   l'attuazione delle misure previste dall'autoimpiego ha permesso la creazione di 194.446 posti di lavoro a fronte di 5,3 miliardi di euro di agevolazioni concesse per la nascita di 111.650 nuove imprese. Tali dati, aggiornati al 31 luglio 2015, sono rilevabili dal sito ufficiale dell'Agenzia nazionale per l'attrazione di investimenti e lo sviluppo d'impresa (Invitalia);
   ogni nuovo posto di lavoro creato attraverso l'autoimpiego risulta quindi avere un costo medio, in termini di incentivo pubblico erogato, pari a 27.256,92 euro. Il dato qualifica immediatamente l'efficienza dello strumento in termini di costi/benefici, soprattutto se confrontato con altri e ben più onerosi interventi pubblici in materia di sviluppo imprenditoriale e di politiche attive del lavoro. È da considerare, inoltre, che la metà degli incentivi diretti sono erogati in forma di mutuo a tasso agevolato, la cui restituzione va quindi ad abbattere ancora il costo medio per iniziativa creata e consente l'alimentazione del fondo;
   l'autoimpiego (le cui agevolazioni, a differenza di altri strumenti, non prevedono l'assistenza di garanzie reali o finanziarie), è gestito con procedure chiare, trasparenti e collaudate, grazie al loro costante aggiornamento nel corso degli oltre 15 anni di applicazione, conosciute e percepite come di semplice accesso dai potenziali beneficiari;
   per il Mezzogiorno, in particolare, a rischio secondo lo Svimez di «desertificazione umana e industriale», l'autoimpiego rappresenta una concreta ed efficace alternativa nella ricerca di occupazione da parte di giovani e meno giovani che intendono investire le proprie competenze in una iniziativa imprenditoriale in forma autonoma o societaria;
   si rileva, inoltre, l'importanza delle suddette misure (che basano l'incentivazione sulla solidità dell'idea imprenditoriale) in termini di promozione della cultura d'impresa e della progettualità in territori dalle caratteristiche sociali storicamente meno inclini di altri all'intrapresa economica;
   sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015 è stato pubblicato l'avviso di sospensione delle misure agevolative a causa dell'esaurimento di fondi e pertanto dal 9 agosto 2015 è stata sospesa la possibilità di presentare richiesta per le agevolazioni di cui sopra –:
   se il Governo non ritenga necessario e opportuno intervenire immediatamente affinché venga rifinanziato il Fondo per gli incentivi all'autoimprenditorialità e all'autoimpiego, al fine di non estinguere una efficace, concreta e collaudata misura di lotta alla disoccupazione, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno maggiormente colpite dalla crisi industriale e dalla disoccupazione, soprattutto giovanile.
(5-06422)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa — Gazzetta del Sud del 30 agosto 2015 — un comportamento anomalo dell'autorità portuale di Messina, in ordine alla conduzione del porto di Tremestieri;
   in particolare, in attesa delle prime sciroccate autunnali, l'autorità portuale, per risolvere in anticipo il noto problema dell'insabbiamento del porto riducendo al minimo le conseguenze, si è avvalsa delle soluzioni tecniche proposte dalla società danese Dhi, aggiudicando un intervento di dragaggio di media entità, quantificato in 20.000 metri cubi di sabbia, da poter eseguire immediatamente quando il piccolo porto sarà invaso dalla ghiaia la prima volta;
   secondo quanto afferma la stessa autorità portuale, è stata spedita all'assessorato regionale all'ambiente della regione siciliana la terza richiesta scritta del parere favorevole per quest'intervento da eseguire al primo insabbiamento ma, purtroppo, non è arrivata ancora alcuna risposta; l'autorità portuale desume che anche questa volta la richiesta dovrà essere avanzata dopo l'evento meteo, e ciò renderà inevitabile l'accumularsi dei soliti «tempi morti» che si volevano azzerare;
   in questi giorni l'amministrazione comunale di Messina e la deputazione nazionale della stessa città stanno chiedendo a gran voce i poteri speciali per procedere con il nuovo porto di Tremestieri (Messina), finalizzato a liberare la città dai TIR. Contro l'assegnazione di tali poteri e la prosecuzione dei lavori del nuovo porto, che ha un costo di 80 milioni di euro, si sono dichiarate Italia Nostra e alcune associazioni ambientaliste;
   a prescindere dagli sviluppi attesi sui poteri speciali e il finanziamento del porto da 80 milioni, la vera novità appresa dai giornali è che, per affrontare la questione degli insabbiamenti nell'immediato, l'autorità portuale ha deciso una gara — con procedura abbreviata — per attuare la soluzione più rapida proposta da Dhi: quella dell'escavo all'imbocco del porto, di una fossa profonda 15 metri, che dovrebbe assorbire i flussi di sabbia di due mareggiate eccezionali. Un effetto garantito, pare, per 1-2 anni secondo il progetto che sarà pronto a metà settembre, per un importo di circa 500.000 euro;
   a giudizio dell'interrogante, occorre promuovere una verifica sulla gestione degli ultimi anni del porto di Tremestieri e sulla incredibile vicenda della via del Mare, la strada che dovrebbe collegare l'autostrada al porto naturale della città, progettata 19 anni fa, i cui lavori non sono mai iniziati nonostante i finanziamenti concessi;
   i cittadini di Messina hanno la sensazione che si voglia ancora insistere a spendere fondi in un porto artificiale, mentre il porto storico di Messina viene sottoutilizzato, anche a causa del disimpegno della compagnia Cartour, che da diversi mesi imbarca da Catania i mezzi che fanno rotta per Salerno, nonché a causa della riduzione dei servizi delle Ferrovie dello Stato italiane;
   si evidenzia il danno che sembra aver provocato alla costa il porto già realizzato a Tremestieri a causa della deviazione del flusso delle correnti marine, inconveniente che diventerebbe ancor maggiore con l'ampliamento di detta struttura, se dovesse passare il progetto all'esame del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   si deve inoltre aggiungere che i tempi di percorrenza Tremestieri-Villa sono doppi rispetto a quelli che si hanno da Messina, con il risultato di un maggior inquinamento atmosferico sviluppato dalle navi, anche se esso verrebbe allontanato dalla città di Messina, e che si prospetta un doppio pedaggio, che finisce con l'essere ricaricato su tutti i cittadini in transito e sulle merci che vengono importate ed esportate dalla Sicilia;
   occorre prendere in considerazione le questioni sopra evidenziate, urgentemente, prima che vengano prodotti sprechi e danni irreversibili –:
   se il Ministro non intenda avviare una urgente verifica ministeriale sulla conduzione del porto di Tremestieri in relazione alla gestione delle frequenti operazioni di rimozione dei detriti sabbiosi;
   se il Ministro non intenda avviare una indagine ministeriale per comprendere perché non sia stata realizzata in 19 anni la cosiddetta via del Mare, che dovrebbe collegare l'autostrada con il porto naturale di Messina che continua a restare sottoutilizzato. (4-10404)


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni ormai la ex ferrovia centrale umbra, attiva da oltre un secolo, versa in condizioni disastrose a causa della scarsa manutenzione effettuata nel tempo;
   il malfunzionamento della tratta è ormai insostenibile per i pendolari che ogni giorno si muovono su questa linea, che attraversa tutta la regione Umbria, in quanto spesso essa è interrotta, non elettrificata (ad esempio la tratta che va da Sant'Anna a Città di Castello), nonostante i diversi investimenti effettuati nel tempo, nonché dotata di vetture vecchie che, oltre alla normale manutenzione, avrebbero bisogno di una revisione straordinaria;
   alcuni tratti, come quello di Pallotta, sono inoltre dotati di un doppio binario che non funziona e la cui utilità è quindi dubbia; nonostante la realizzazione, inaugurata nel 2004, sia costata diversi milioni di euro ma non è mai stata completata;
   anche le stazioni necessitano di una evidente manutenzione, poiché spesso si trovano, come quella di Ponte San Giovanni, in stato di abbandono, con lavori di riqualificazione fermi da tempo, cosa che danneggia sia i cittadini pendolari, sia l'immagine del servizio ferroviario regionale;
   a tutto questo si aggiunge, nella stazione di Umbertide, dove si trova l'officina di riparazione dei treni della ex ferrovia centrale umbra, il completo abbandono di alcuni convogli, costati oltre 18 milioni di euro e che potrebbero funzionare ed essere efficienti; tali convogli sono, infatti, progettati per raggiungere una velocità massima di 160 chilometri orari, ben al di sopra dei 90 chilometri orari imposti dai limiti strutturali dei binari regionali, ma, come già sottolineato, la rete non è elettrificata;
   l'USTIF (Ufficio trasporti e impianti fissi del MIT che controlla le ex ferrovie a gestione commissariale), inoltre, ha deciso un lungo rallentamento, che non permette ai convogli di superare i 50 chilometri orari, poiché si viaggia su un tratto dell'infrastruttura ferroviaria non sicuro e nel quale due anni fa c’è stato un deragliamento;
   da quanto fin qui esposto risulta evidente la disastrosa condizione in cui versa questa linea, utilizzata ogni giorno a rischio e pericolo degli stessi pendolari umbri;
   oggi la proprietà della ex ferrovia centrale umbra, ora Umbria Mobilità, ricade sulla Busitalia Spa, mentre l'infrastruttura ferroviaria è in mano ad una società ad hoc della regione Umbria, ma è evidente che le responsabilità ricadono in epoche precedenti, in cui la gestione era interamente regionale e poi comunale, con la famosa «Azienda Unica» che vedeva soci oltre la stessa regione, i comuni di Perugia, Terni, Spoleto, Città di Castello e le due province di Terni e Perugia –:
   se, in base a quanto esposto in premessa, pur essendo la questione della ex ferrovia centrale umbra di evidente competenza regionale e privata, non ritenga che la situazione attuale della linea che attraversa tutta l'Umbria, collegandola anche ad alcune zone della Toscana, non rappresenti un'evidente lesione del diritto di mobilità dei cittadini e se non ritenga opportuno intervenire per quanto di propria competenza. (4-10414)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di stabilità 2015) all'articolo 1 comma 618 dispone che il regime giuridico internazionale di punto franco del Porto Vecchio di Trieste sia spostato ad altre zone legate alle attività portuali per posizione, funzione e logistica;
   il successivo comma 619 stabilisce che: «... le aree, le costruzioni e le altre opere appartenenti al demanio marittimo comprese nel confine della circoscrizione portuale, escluse le banchine, l'Adriaterminal e la fascia costiera del Porto vecchio di Trieste, sono sdemanializzate e assegnate al patrimonio disponibile del comune di Trieste per essere destinate alle finalità previste dagli strumenti urbanistici. Il comune di Trieste aliena, nel rispetto della legislazione nazionale ed europea in materia, le aree e gli immobili sdemanializzati e i relativi introiti sono trasferiti all'Autorità portuale di Trieste per gli interventi di infrastrutturazione del Porto nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di punto franco.»;
   si apprende da articoli di stampa locale (Il piccolo del 27 e 28 marzo 2015) che nel mese di marzo il sindaco Cosolini ed il commissario dell'autorità portuale Zeno D'Agostino abbiano raggiunto, alla presenza di rappresentanti della Direzione Generale e della Struttura Territoriale dell'Agenzia del territorio e di dirigenti della regione, un accordo formale per la sdemanializzazione dell'area del Porto Vecchio individuando le aree da destinare al patrimonio disponibile del Comune – magazzini storici, edifici ed aree scoperte – e quelle da lasciare al demanio marittimo – tutta la linea di costa, le banchine inclusa la stazione marittima del Molo Quarto, l'Adriaterminal, gli stabilimenti balneari del dopolavoro ferroviario e del Cral del porto e le società nautiche con sede sul terrapieno di Barcola;
   in particolare, nell'articolo del 28 marzo 2015 viene riportata l'intenzione del sindaco Cosolini di voler accelerare i tempi per la sdemanializzazione e di procedere allo spostamento del punto franco nonché alla vendita delle aree e degli immobili a investitori internazionali appena dopo l'estate;
   come riportato dal Il Piccolo del 9 luglio 2015, l'accordo per la delimitazione dei confini tra gli immobili dell'antico scalo da trasferire al patrimonio disponibile del comune e quelli di proprietà del demanio marittimo è stato firmato l'8 luglio dal direttore dell'agenzia del Demanio Roberto Reggi, dalla presidente regionale Debora Serracchiani, dal commissario straordinario del Porto Zeno D'Agostino, dal comandante della Capitaneria di porto Natale Serrano e dal dirigente del Provveditorato interregionale alle opere pubbliche Giorgio Lillini;
   da un articolo de Il Piccolo del 20 agosto si apprende che la giunta Cosolini abbia approvato, con delibera, una convenzione con l'autorità portuale relativa all'espletamento in autunno di una gara per l'individuazione di un Advisor che abbia finzioni di consulenza in merito all'approvazione del Piano Strategico per la Valorizzazione del Porto Vecchio. Inoltre, l'articolo specifica che si sia individuata, per il vincitore della gara, la somma di 180 mila euro di cui 110 a carico del comune e 70 dell'autorità portuale;
   sul blog «F.A.Q. Trieste» è stato pubblicato il 2 settembre 2015 un commento in merito alla sdemanializzazione del Porto Vecchio ripercorrendo le tappe temporali dell’iter attuativo e mettendo in evidenza il ritardo dell'intero procedimento rispetto alle previsioni ottimistiche annunciate lo scorso marzo dal sindaco Cosolini; inoltre, vengono annotate una serie di riflessioni relative al passaggio delle aree e delle strutture dal demanio marittimo al patrimonio comunale, che mettono in risalto la necessità di interventi amministrativi e di passaggi burocratici specifici quali la registrazione, la valutazione, la catalogazione ed infine il trasferimento al comune dei beni e delle strutture. Viene anche evidenziato che per la realizzazione di tutti i procedimenti amministrativi si debbano sostenere delle spese, di cui non si conosce l'ammontare, e sia necessario del tempo che difficilmente si possa prevedere –:
   quali iniziative, anche normative, intendano adottare per garantire chiarezza e trasparenza nelle procedure amministrative necessarie per la realizzazione della sdemanializzazione del Porto Vecchio di Trieste;
   se esista una stima dei costi e dei tempi reali dell'intero procedimento di sdemanializzazione dell'area e del trasferimento del Punto Franco internazionale e quale sia il valore effettivo del Porto Vecchio di Trieste;
   se reputino necessario prevedere dei controlli, di concerto con il comune di Trieste, la regione Friuli Venezia Giulia, l'autorità portuale di Trieste e l'Agenzia del demanio, per definire i costi dell'operazione ed evitare che lievitino eccessivamente a danno dei cittadini e dell'economia della città di Trieste. (4-10416)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONE VALENTE e COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Capo Dipartimento n. 2/2005 del 30 maggio 2005, è stata istituita la Sezione Cinofila del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, articolata in una Sezione Cinofila Nazionale e, sul territorio, in Nuclei Cinofili Regionali e Provinciali;
   successivamente con decreto n. 6/08 del 16 maggio 2008 sono stati istituiti, presso le competenti Direzioni regionali, i Nuclei Cinofili delle regioni: Calabria, Emilia-Romagna, Liguria, Lombardia, Molise, Piemonte, Sicilia, Toscana e Veneto;
   in realtà, le Unità Cinofile dei Vigili del Fuoco nascono a Torino nel 1939, con lo scopo di effettuare attività di ricerca di dispersi sotto le macerie per poi essere progressivamente destituite per mancanza di personale specializzato;
   solo agli inizi degli anni novanta il Corpo Nazionale dei vigili del fuoco iniziò a riconoscerne l'importanza nelle operazioni di soccorso ed intraprenderne un lieve ripristino, tanto che oggi a Volpiano (in provincia di Torino) ha sede la Scuola Nazionale;
   negli ultimi anni la diffusione del servizio cinofilo ha contribuito a un costante e progressivo aumento del numero degli interventi tale da superare ormai i 1000 interventi annui a livello nazionale;
   attualmente sono attivi quattro nuclei cinofili riconosciuti: uno a Genova, costituito da dieci unità condotte da 4 vigili discontinui e 6 permanenti, uno a Reggio Emilia con 8 unità di vigili volontari, uno a Volpiano con 11 unità operative condotte da permanenti e da volontari ed uno a Verbania con una unità di un vigile permanente; a questi si aggiungono, inoltre, unità non ancora riconosciute a Cosenza, Mestre, Bergamo e Latina;
   la componente volontaria appartenente alle «Alte Qualificazioni Componente Cinofila dei Vigili del Fuoco» è composta da personale discontinuo, altamente specializzato e addestrato; ne fanno parte istruttori e operatori di comprovata competenza e capacità che rappresentano una risorsa preziosa e indispensabile, la cui funzione è garantita dal superamento annuale di una prova di verifica per il mantenimento operativo della qualifica;
   la suddetta componente è sempre stata equiparata a quella permanente e, come tale, utilizzata e inserita nelle turnazioni operative previste dalle circolari e dai regolamenti, in quanto svolge un ruolo insostituibile nell'individuazione e nel salvataggio delle persone;
   tuttavia, l'organizzazione dei nuclei cinofili non è regolamentata a livello centrale, se non attraverso un riconoscimento specifico da parte del Dipartimento dei singoli nuclei sviluppatisi in ambito locale; l'attività è svolta quindi spontaneamente da personale volontario e permanente come una componente dell'attività di soccorso; al personale è riconosciuta la professionalità operativa ma non la qualifica di specializzazione e neanche l'esclusiva destinazione operativa di impiego come invece avviene nel caso dei sommozzatori;
   la situazione di precarietà cui sono sottoposti i vigili discontinui appartenenti alle unità cinofile è quanto mai critica ed una loro stabilizzazione sarebbe auspicabile, tenuto conto anche della pericolosa situazione di rischio internazionale di matrice terroristica cui l'Italia è esposta negli ultimi tempi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno provvedere, in tempi brevi, ad una regolamentazione a livello centrale, nonché alla stabilizzazione a tempo indeterminato di tutto il personale (nello specifico si tratta di circa 40 unità di personale) appartenente al ruolo di vigile discontinuo cinofilo, al fine di poter meglio svolgere le funzioni che la normativa conferisce ad esso nell'ambito del soccorso pubblico;
   se non ritenga opportuno predisporre una organizzazione a livello centrale che abbia un centro nazionale cinofilo con il compito specifico di coordinare i nuclei regionali e di disciplinare ed indirizzare, al contempo, le modalità di intervento operativo e quelle di addestramento;
   se non ritenga conseguentemente opportuno promuovere l'istituzione in tutte le regioni dei nuclei regionali con il compito di coordinare gli interventi operativi e di programmare l'attività addestrativa delle unità cinofile. (5-06421)


   CAPONE e MASSA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   grande attenzione sulla stampa territoriale è stata data in queste ultime settimane a quanto emerso dall'inchiesta dell'operazione «Eclissi» condotta dalla Direzione distrettuale antimafia, e specificamente ad un filone che apre uno spaccato preoccupante sui proventi legati alla politica e in particolare ai guadagni provenienti dalle affissioni dei manifesti delle elezioni comunali a Lecce città nel 2012;
   in particolare dai verbali emergerebbe una stima dei proventi derivanti da questo specifico segmento pari a diverse decine di migliaia di euro, l'esistenza di fatto di un monopolio criminale per l'attività di affissioni elettorali e come «i clan si sarebbero organizzati per spartirsi il lavoro di affissione e, ovviamente, gli introiti»;
   nelle ricostruzioni giornalistiche si legge: «Il voto delle comunali del 2012, i rapporti con i politici e i condizionamenti della Sacra corona unita. È un intreccio ricostruito nel fascicolo sulle affissioni dei manifesti elettorali dell'inchiesta «Eclisse» chiusa nei giorni scorsi dalla Direzione distrettuale antimafia. Nelle carte ci sono intercettazioni e attività investigative che aprono uno squarcio sui rapporti tra la criminalità organizzata e candidati al consiglio comunale di tre anni fa. Uomini legati ai clan leccesi che avrebbero tessuto rapporti con alcuni politici del Centrodestra sia nelle primarie di febbraio del 2012 che nelle elezioni comunali del 6 maggio dello stesso anno»;
   ed in effetti dai verbali emergerebbe come i «protagonisti» facciano parte della squadra di un boss della Sacra Corona Unita, come gli uomini del clan siano ben decisi a orientare il voto verso un simbolo preciso («Devi scrivere... dove c’è lui, il simbolo del Popolo della libertà») e come tali relazioni abbiano poi prodotto i risultati attesi;
   si comprende dunque il grave allarme in città che tali rivelazioni stanno provocando, a maggior ragione alla luce degli eventi successivi, ovvero che l'influenza del clan criminale si sarebbe estesa dalle primarie alle elezioni comunali e dunque successivamente alla giunta in carica con la nomina ad assessore del candidato sponsorizzato, e il modo in cui tali ricostruzioni minerebbero la legittimità della giunta comunale attualmente in carica spingendo a chiedersi come e se in questi anni tali relazioni abbiano potuto continuare ad influenzare le decisioni amministrative e il governo della città;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda attivare, nell'ambito delle proprie competenze e prerogative, alla luce di quanto esposto in premessa. (5-06424)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   l'accesso ai corsi di laurea in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria è soggetto alla programmazione nazionale stabilita dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sulla base delle esigenze occupazionali previste dalle regioni e delle richieste degli atenei, avanzate in relazione alle risorse di docenza e strumentali da essi dichiarate;
   il divario tra la domanda di formazione in Medicina e l'offerta degli atenei italiani permane profondo, con un rapporto in atto che consente di soddisfare una domanda per ogni sei aspiranti;
   a fronte di tale rapporto sfavorevole, migliaia di studenti riescono comunque ad accedere in sovrannumero attraverso l'instaurazione di contenziosi amministrativi, quasi sempre conclusisi con successo ancorché estremamente costosi;
   pertanto il criterio della selezione per merito, qualora di merito si possa parlare con le attuali modalità basate su discutibilissimi e discussi test, viene di fatto aggirato attraverso procedure extra universitarie;
   attorno alla selezione basata sui test è cresciuto negli anni un vero e proprio mercato delle preparazioni, gestito, prevalentemente, con modalità che risultano, a giudizio degli interpellanti, opache da tutti i punti di vista, da organizzazioni private che lucrano sulle aspettative di tantissimi giovani e delle loro famiglie;
   inoltre diverse migliaia di ragazze e ragazzi italiani, sempre in ragione dell'attuale sistema di accesso ai corsi attivati nelle università del Paese, si iscrivono ogni anno in atenei di altra Stati europei, ancora una volta affrontando ingenti costi economici e di altro tipo;
   in pratica l'accesso ai corsi di laurea in Medicina risulta sempre più dipendente dalle condizioni economiche delle famiglie, in netto e palese contrasto con la tutela generalizzata del diritto allo studio previsto all'articolo 34 della Costituzione;
   eventi come quello registratosi a Enna (per altro perfettamente in linea con le norme comunitarie dell'UE) con la programmata apertura di un corso di laurea in Medicina di un ateneo statale della Romania, denunciano da un lato la gravità della situazione sotto il profilo della garanzia del diritto allo studio, e dall'altro – alla luce della dimensione europea dell'istruzione superiore, del processo di Bologna e degli accordi sottoscritti dal Governo italiano e delle direttive comunitarie – la insostenibilità degli attuali criteri di definizione dell'offerta formativa delle università italiane, che ci si ostina a basare, a parere degli interpellanti, su presunti quanto antistorici ed illogici fabbisogni regionali, in presenza non solo di regioni di diversissime dimensioni geografiche e demografiche, ma anche di un mercato del lavoro sempre più internazionale, specialmente in questo settore;
   con le limitazioni imposte dal contingentamento dell'offerta formativa, si alimenta ogni forma di speculazione di lucro sulla formazione medica, senza peraltro garantire le tanto decantate compatibilità tra risorse disponibili negli atenei e programmazione degli accessi, come senza ombra di dubbio dimostra la moltiplicazione surrettizia dei posti a seguito dei numerosissimi casi di contenzioso amministrativo;
   il sistema di selezione basato sui test è spesso tarato secondo gli interpellanti artatamente su livelli, se non dell'ultimo anno di Medicina, certamente su competenze e conoscenze molto avanzate rispetto ai livelli richiesti in ingresso: ciò che finisce con il sostenere e alimentare il mercato delle lucrose preparazioni private –:
   se non ritenga che non abbia molto senso costringere migliaia di italiani a laurearsi all'estero, essendo identico l'impatto sul mercato del lavoro che si avrebbe consentendo loro di laurearsi in Italia;
   se non ritenga che sia irrazionale consentire che migliaia di giovani vengano indirizzati verso il mercato extra-universitario delle preparazioni quando queste stesse preparazioni potrebbero essere svolte dalle università, arricchendone le fonti di finanziamento;
   se non ritenga che sia venuto il momento di rivedere la programmazione degli accessi sulla base di aspettative occupazionali riferite a bacini regionali, quando il mercato del lavoro per la Medicina è ormai a carattere internazionale;
   se non ritenga che l'attuale modello formativo faccia eccessivamente dipendere la possibilità per il sistema sanitario di avere domani un buon medico dalle condizioni economiche delle famiglie degli aspiranti medici;
   se non ritenga che il permanere, senza correzioni, dell'attuale modello, rischi di fatto di delegare alla magistratura la disciplina degli accessi ai corsi di Medicina, ben sapendo che in questo modo viene inficiata la logica che dovrebbe stare alla base del sistema del numero chiuso.
(2-01084) «Capodicasa, Stumpo, Raciti, Zappulla, Ribaudo, Amoddio, Culotta, Iacono, Greco, Gullo, Berretta».

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, SIMONE VALENTE, D'UVA e SIBILIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'ISEE è lo strumento di valutazione, attraverso criteri unificati, della situazione economica di coloro che richiedono prestazioni sociali agevolate;
   l'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109 sono state novellate dall'articolo 23, comma 12-bis, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, disponendone l'abrogazione a far data dai 30 giorni dall'entrata in vigore delle disposizioni di approvazione del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica concernente le informazioni necessarie per la determinazione dell'ISEE;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, sono state revisionate le modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE). Questo provvedimento stabilisce che l'ISEE è proporziona dell'indicatore della situazione reddituale e all'indicatore della situazione patrimoniale;
   con decreto interministeriale 7 novembre 2014 è stato approvato il modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159;
   l'articolo 8 comma 3 del decreto legislativo del 29 marzo 2012, n. 68 prescrive che le condizioni economiche dello studente iscritto o che intende iscriversi a corsi di istruzione superiore su tutto il territorio nazionale sono individuate sulla base dell'Indicatore della situazione economica equivalente, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, e successive modificazioni, anche tenuto conto della situazione economica del territorio in cui ha sede l'università. Tali condizioni economiche determinano sia l'accesso alle prestazioni per il diritto allo studio universitario, sia l'esonero o l'importo graduato della tassa di iscrizione all'università;
   l'utilizzo dello strumento ISEE per determinare la situazione economica delle famiglie è stata spesso criticata in quanto ritenuta inadeguata a rappresentare puntualmente la reale situazione economica delle famiglie;
   in questi giorni molti studenti universitari italiani si stanno immatricolando iscrivendo all'università e quindi possono presentare il proprio ISEE per accedere alle prestazioni sul diritto allo studio o per richiedere la graduazione dell'importo di iscrizione all'università;
   come già anticipato dalle associazioni studentesche universitarie qualche mese fa, il nuovo ISEE avrebbe comportato una contrazione del numero di studenti che possono accedere alle borse di studio. Di fatto la situazione venutasi a creare è ben più grave in quanto molti studenti sono stati scoraggiati a presentare la domanda di prestazioni sul diritto allo studio;
   a giudizio degli interroganti, come era già stato dichiarato, il Governo sta mettendo in campo diversi escamotage tecnici per ridurre le cosiddette «spese sociali», invece di adottare una politica che tenda ad estendere la platea degli aventi diritto perché privi di mezzi o comunque con situazioni reddituali insufficienti;
   a giudizio degli interroganti, l'accesso ai corsi di studio dovrebbe essere garantito e incoraggiato attraverso una riduzione della tassa di iscrizione, l'incremento delle prestazioni sul diritto allo studio rafforzando i servizi abitativi e la mobilità degli studenti e incrementando sia gli importi che il numero di borse di studio;
   se i dati denunciati sui media dalle associazioni studentesche universitarie dovessero essere confermati ci troveremmo di fronte ad una situazione che impedirebbe, di fatto, sia l'accesso che la conclusione dei percorsi di studio universitari –:
   se i dati denunciati dalle associazioni studentesche siano corrispondenti alla realtà;
   se, in caso affermativo, il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con apposito provvedimento per salvaguardare quegli studenti che di colpo non possono più accedere alle prestazioni sul diritto allo studio;
   se il Governo intenda incrementare le risorse sul diritto allo studio universitario e revisionare il decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 68. (3-01707)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA e CARIELLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in conformità con le disposizioni legislative in materia di accesso ai corsi di laurea a numero programmato, per l'anno accademico 2015-2016, l'ammissione dei candidati ai corsi di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a) della legge 2 agosto 1999, n. 264, avviene a seguito di superamento di apposita prova sulla base delle disposizioni assunte con apposito decreto ministeriale;
   il decreto ministeriale del 3 luglio 2015, n. 463, ha disciplinato, così come previsto dalla legge 2 agosto 1999, n. 264, le modalità di svolgimento dei test per i corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato a livello nazionale per l'anno accademico 2015-2016;
   come disposto dall'articolo 2 del citato decreto ministeriale «La prova di ammissione ai corsi di laurea magistrale in Medicina e Chirurgia e in Odontoiatria e Protesi dentaria, alla quale partecipano i candidati comunitari, i candidati non comunitari di cui all'articolo 26 della legge n. 189/2002 citata in premessa e i candidati non comunitari residenti all'estero, è unica per entrambi i corsi ed è di contenuto identico sul territorio nazionale»;
   l'articolo 12 del decreto ministeriale del 3 luglio 2015, n. 463, specifica che i bandi di concorso emanati con decreto rettorale entro il termine di 60 giorni dallo svolgimento delle prove, devono prevedere disposizioni atte a garantire la trasparenza di tutte le fasi del procedimento ai sensi della legge n. 241/1990 e successive modificazioni;
   per l'anno accademico 2015-2016 la prova di ammissione ai corsi di medicina e chirurgia, odontoiatria e protesi dentaria, è stata fissata, a norma dell'articolo 9 del decreto ministeriale del 3 luglio 2015, n. 463, in data 8 settembre 2015, scadenza unica per tutto il territorio nazionale;
   il test di ammissione alla facoltà di medicina e odontoiatria svoltosi l'8 settembre 2014 su tutto il territorio nazionale è stato oggetto di segnalazioni circa presunte irregolarità sulle procedure da adottare in tema di trasparenza;
   da notizia di stampa riportata in data 16 settembre 2015 dal quotidiano La Repubblica – Bari sulla propria versione consultabile online, si apprende che presso l'università degli studi di Bari si è verificata una violazione delle essenziali e inderogabili norme a garanzia della regolarità delle prove di ammissione;
   secondo quanto denunciato dall'articolo succitato, dall'associazione studentesca «LINK» e dal rappresentante degli studenti in Senato Accademico, Francesco Innamorato, presso l'università degli studi di Bari è stata riscontrata una grave violazione del materiale ministeriale oggetto della prova di ammissione;
   si evince che le buste all'interno delle quali erano custoditi i plichi con le domande del test di ammissione erano aperte e, sempre secondo le testimonianze dei partecipanti al test, una di queste era completamente priva dell'adesivo del Ministero e, una volta accertata tale manomissione, sarebbe stata sostituita dalla commissione presente in aula, che avrebbe provveduto a mettere a verbale l'accaduto;
   inoltre, da altre segnalazioni dei partecipanti, sempre riportate dall'articolo, si evince che al termine della prova, dopo che i commissari hanno ritirato le penne per completare i quiz, una ragazza avrebbe continuato a barrare i quesiti della prova di ammissione utilizzando un'altra penna che aveva in tasca;
   tuttavia, lo stesso giorno dei test di ammissione alla facoltà di medicina e odontoiatria, il rettore dell'università degli studi di Bari, Antonio Uricchio, ha smentito le segnalazioni, asserendo di aver verificato personalmente le procedure e confermando la regolarità dello svolgimento del test;
   si precisa che presso l'università degli studi di Bari anche lo scorso anno, in data 8 aprile 2014, si è verificata una grave violazione del materiale ministeriale oggetto della prova di ammissione per la facoltà di medicina e odontoiatria, successivamente comprovata dalle indagini condotte dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e già oggetto dell'interrogazione a risposta scritta n. 4-04645 –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intenda verificare la veridicità dei fatti esposti in premessa, ovvero intenda intervenire nel rispetto delle sue competenze qualora tali irregolarità venissero confermate da accertamenti ministeriali;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di impedire che tali violazioni possano verificarsi nel corso delle prove di ammissione ai corsi di laurea a ciclo unico ad accesso programmato a livello nazionale per gli anni successivi. (4-10408)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPONE, MARIANO, LENZI, PICCIONE, BURTONE e VICO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   tra le misure di lotta alla povertà riservate al Mezzogiorno, il Governo ha previsto un intervento volto a contrastare la povertà assoluta, in quanto i dati disponibili evidenziano una particolare incidenza del fenomeno nelle regioni del Sud Italia;
   nella nota del Governo riguardante il Mezzogiorno al lavoro. Misure urgenti per l'occupazione giovanile e contro la povertà nel Mezzogiorno è indicato, infatti, che il 12 per cento dei meridionali è in permanente condizione di grave deprivazione e che al Sud un cittadino su tre della popolazione ha sperimentato forme di grave deprivazione in uno degli ultimi due anni, contro un cittadino su cinque nell'intero paese (Sud incluso);
   con queste finalità è stata estesa a tutto il Mezzogiorno la sperimentazione della Carta acquisti, di cui all'articolo 60 del decreto-legge 9 febbraio 2012, n. 5, precedentemente riservata ad alcuni comuni con popolazione superiore a 250.000 abitanti, individuati in: Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino, Venezia, Verona;
   l'estensione della sperimentazione della Carta acquisti a tutto il Mezzogiorno è finanziata con 167 milioni di euro per gli anni 2014 e 1015, mentre non risulterebbero risorse per l'anno 2016;
   attualmente le risorse per questa misura derivano da risorse già destinate al Mezzogiorno, in particolare dalla riprogrammazione delle risorse del Fondo di rotazione di cui alla legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate ai Programmi operativi 2007/2013 e alla rimodulazione delle risorse del medesimo Fondo di rotazione, già destinate agli interventi del Piano di Azione Coesione, ai sensi dell'articolo 23, comma 4, della legge 12 novembre 2011, n. 183, previo consenso, per quanto occorra, della Commissione europea;
   le risorse disponibili sono ripartite tra tali ambiti territoriali, con provvedimento del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze e il Ministro per la coesione territoriale, in maniera che ai residenti di ciascun ambito territoriale, destinatario della sperimentazione, siano attribuiti contributi per un valore complessivo di risorse proporzionale alla stima della popolazione in condizione di maggior bisogno residente in ciascun ambito;
   allo stato attuale l'estensione nelle regioni meridionali della sperimentazione non sembrerebbe avviata –:
   quali siano stati fino ad oggi i motivi di un così notevole ritardo nell'attivazione dell'estensione della sperimentazione e se il Ministro interrogato non ritenga opportuno attivarsi fin d'ora affinché, anche per il 2016, il Governo possa stanziare i finanziamenti necessari per prorogare ed eventualmente estendere questa misura.
(5-06425)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:

   da troppi anni, tra riforme mal riuscite e tagli indiscriminati, i livelli essenziali di assistenza in molte regioni del nostro Paese non sono più realmente garantiti;

   tra le regioni maggiormente colpite è sicuramente la Campania;

   continue cessioni di sovranità dal settore pubblico a quello privato accreditato, che oramai eroga il 60 per cento delle prestazioni, hanno progressivamente determinato un gravissimo squilibrio nel sistema sanitario regionale;

   l'applicazione del «cosiddetto decreto Balduzzi» in merito alla riorganizzazione dei punti nascita sta per produrre ulteriori migrazioni sanitarie dalla Campania verso altre regioni, poiché molti privati accreditati campani stanno dismettendo i punti nascita presenti sul territorio regionale;

   tali dismissioni stanno avvenendo anche in casi non rientranti nell'ambito di applicazione del succitato decreto, poiché la vera ratio alla base di queste scelte la volontà di spostarsi verso attività più remunerative;

   così si rischia di alterare completamente l'offerta dei sistema sanitario nazionale in Campania;

   un'applicazione rigida del decreto provocherà con ogni probabilità un ulteriore indebitamento di una rete ospedaliera già ampiamente al di sotto degli standard numerici nazionali;

   solo nel settore ospedaliero accreditato si perderebbero oltre mille posti letto, e con essi capacità assistenziale, produttiva ed occupazionale;

   sono, tra l'altro, diverse decine le procedure di mobilità collettive avviate nei confronti di professionalità specifiche e difficilmente ricollocabili, aspetto da non sottovalutare in un'area travolta dalla crisi economica come la Campania;

   anche quest'anno, inoltre, già nel mese di luglio sono terminati i budget assegnati alla regione, quindi per quanto riguarda riabilitazioni, diagnostica e laboratoristica i cittadini e le cittadine stanno già venendo rinviati alla sanità low cost per ottenere analisi e prestazioni;

   questi settori sono, in Campania, quasi del tutto gestiti dal privato accreditato;

   l'annuale esaurimento anzitempo dei budget per prestazioni ambulatoriali erogate da strutture accreditate, figlio sistematico di errate programmazioni economico-finanziarie, un'ulteriore riprova di una programmazione disancorata dalla realtà locale e che bada solo a far quadrare i conti in modo ragionieristico in nome di un ipotetico pareggio di bilancio;

   ad oggi non stato ancora nominato dal Governo il nuovo Commissario alla Sanità della regione Campania;

   l'allarme stato lanciato da diverse realtà dalla federazione regionale della FP-CGIL Campania all'AIOP Campania ed alla Confindustria Campania hanno inviato alle istituzioni note alle istituzioni;

   se non ritenga doveroso ed urgente un promuovere la convocazione di un tavolo di crisi nazionale che scongiuri i licenziamenti già avviati e la chiusura di strutture indispensabili a garantire il diritto alla salute;

   se non ritenga necessario ipotizzare delle deroghe allo «sforamento» dei tetti di spesa per evitare che la popolazione della Campania si veda negato il diritto alla salute. (4-10410)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   consultori familiari sono istituiti dalla legge n. 405 del 29 luglio 1975, al cui articolo 1 si specifica che il servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità ha come scopi l'assistenza istituisce i consultori familiari, al cui articolo n. 405 l'assistenza psicologica e sociale per la preparazione alla maternità ed alla paternità responsabile e per i problemi della coppia e della famiglia, anche in ordine alla problematica minorile; la somministrazione dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte dalla coppia e da singolo in ordine alla procreazione responsabile nel rispetto delle convinzioni etiche e dell'integrità fisica degli utenti; la tutela della salute della donna e del prodotto del concepimento; la divulgazione delle informazioni idonee a promuovere ovvero a prevenire la gravidanza consigliando i metodi ed i farmaci adatti a ciascun caso;
   nella legge n. 405 del 1975 si fa esplicito riferimento al fatto che le somme non impiegate in un esercizio possono essere impiegate negli anni seguenti e che «tali finanziamenti possono essere integrati dalle regioni, dalle province, dai comuni o dai consorzi di comuni direttamente o attraverso altre forme da essi stabilite»;
   lo Stato assegna risorse per finanziare il servizio, con un fondo ripartito tra le regioni entro il mese di febbraio di ogni anno sulla base dei seguenti criteri: il 50 per cento in proporzione alla popolazione residente in ciascuna regione e il residuo 50 per cento in proporzione al tasso di natalità e di mortalità infantile, in base ai dati ISTAT;
   l'Italia festeggia quest'anno i 40 anni della legge sui consultori familiari. Secondo un'inchiesta dell’Espresso, la presenza sul territorio dei consultori familiari è ancora carente rispetto alle norme previste: ne mancherebbero circa mille rispetto agli standard previsti come obiettivo nel 1975 (uno ogni 20 mila abitanti), con in testa il record negativo della Lombardia e delle regioni del Nordest. Stando a quanto si apprende dall'inchiesta giornalistica, in Lombardia i consultori sarebbero solo 209, meno della metà rispetto a quelli previsti dalla legge. Riporto testualmente dall'inchiesta: «In Veneto sarebbero solo 99 sugli ipotizzati 250 e in Friuli Venezia Giulia e in Provincia di Trento ne sono presenti solo un terzo rispetto alla cifra prevista. Il primato negativo va alla provincia di Bolzano, dove i consultori pubblici sono zero: quelli presenti infatti sono tutti privati»;
   nel 2004, il Ministero della salute ha avviato una prima rilevazione ricognitiva sulla situazione dei consultori familiari pubblici. In quell'analisi emergeva già la distanza rilevante fra gli obiettivi previsti dalla legge e la situazione reale sul territorio italiano. I dati di oggi sembrano mostrare una realtà addirittura peggiorata;
   in controtendenza rispetto ai consultori familiari pubblici si registra un aumento dei consultori familiari privati, specie per quelli di enti religiosi o che si ispirano direttamente alla religione cattolica. A livello nazionale, secondo l'inchiesta giornalistica dell’Espresso, si contano 283 consultori privati d'ispirazione religiosa, tra Cfc e Ucipem, le principali organizzazioni del settore, con poche eccezioni in Regioni dove i consultori pubblici sono di più rispetto agli obiettivi previsti dalla legge, come avviene in Basilicata, Emilia Romagna, Toscana e Valle d'Aosta;
   dall'inchiesta, emergono anche casi-limite, come in Lombardia, dove tutti i consultori privati accreditati sono cattolici (tutti, tranne uno), o come quella del Lazio, dove la decisione del Presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti di impedire l'obiezione al loro interno è stata per ora sospesa dal Tar;
   nell'ambito della stessa inchiesta, emergerebbe anche una difficoltà per il Ministero di recuperare e recepire, anche per mancanze degli uffici regionali, i dati di tutte le Regioni su un tema così delicato e privato. Appaiono evidenti le difficoltà che incontra una donna che scelga di interrompere la gravidanza. In alcune regioni, infatti, il rapporto tra colloqui per l'Ivg e il successivo rilascio del certificato, mette in luce delle anomalie, come nelle Marche, dove, secondo l'inchiesta, viene rilasciato un solo certificato per ogni 12,3 donne che lo hanno chiesto;
   appare anche rilevante il caso in cui i consultori pubblici finiscono per diventare centro di smistamento verso i CAV, i Centri per la vita, istituti di ispirazione religiosa, strutture private gestite da volontari e sostenute, secondo l'inchiesta dell’Espresso, «al 68 per cento con soldi pubblici, di cui il 58 sono versati da comuni, ASL e province, che in alcuni casi inviano a queste strutture anche vittime di tratta e di diverse forme di disagio, mentre per l'altro dieci per cento si tratta di non meglio definiti “contributi pubblici vari”. Attualmente in Italia ce ne sono 355, presenti principalmente in Lombardia, Piemonte, Veneto e Sicilia. Anche perché spesso non hanno nemmeno i medici necessari: in 7 regioni i ginecologi sono in media meno di uno per centro. In altre otto regioni non si va sopra l'uno e mezzo. Il che significa non poter garantire sempre il servizio» –:
   se sia prevista nel corso di quest'anno o nell'ambito della legislatura in corso un'altra rilevazione ministeriale sui dati esposti in premessa, se si registrino ancora difficoltà nel censimento dei consultori rispetto agli obiettivi previsti dalla legge, se persistano le difficoltà di recepimento dei dati dalle regioni e se il Governo  tramite il Ministero della salute, intenda intervenire in questa delicata questione.
(4-10415)


   CAPUA e VARGIU. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l’European centre for disease prevention and control ha recentemente pubblicato un report sulle attività di prevenzione e di trattamento dell'HIV/AIDS in 55 Paesi europei e dell'Asia Centrale, dimostrando i sostanziali progressi nella diagnosi e nel trattamento della patologia;
   la letteratura scientifica internazionale è concorde nel sottolineare come la diagnosi precoce della sieropositività rappresenti un momento fondamentale della lotta all'HIV e alla patologie correlate, in quanto consente l'immediato inizio di un trattamento farmacologico mirato a mantenere condizioni ottimali del paziente per il tempo più lungo possibile;
   in particolare in Italia, i virologi sono concordi nell'adottare un approccio terapeutico «test and treat», con intervento immediato al riconoscimento della sieropositività, avendo ormai abbandonato la prassi di dare inizio al trattamento terapeutico anti HIV sulla base del superamento della soglia nella conta delle cellule Cd4;
   i dati dello studio Ecdc purtroppo confermano come nel 2013, neppure la metà dei soggetti a rischio nei Paesi europei testati sia stato effettivamente sottoposto a test diagnostico e come ben il 47 per cento dei soggetti diagnosticati sia stato riconosciuto in fase avanzata, con conseguente riduzione dell'efficacia del trattamento sanitario;
   uno dei motivi che rende difficile la diagnosi precoce della sieropositività HIV è la ritrosia sociale da parte dei soggetti a rischio a presentarsi presso le strutture pubbliche per eseguire il pur semplice test di identificazione del virus;
   in particolare, in Francia, le associazioni di sensibilizzazione su HIV e AIDS hanno calcolato che circa 30.000 individui potrebbero essere sieropositivi HIV senza sapere d'esserlo, con conseguenti ritardi nell'approccio terapeutico e rischi di contagi nei confronti dei partner sessuali;
   per ovviare a tale barriera culturale, che rischia di depotenziare l'intervento antiretrovirale e di ridurre l'efficacia delle attività di prevenzione nella diffusione del virus, diversi Paesi occidentali hanno introdotto la vendita al pubblico, in farmacia, dei kit dei test «fai da te», che vengono considerati «totalmente affidabili» qualora effettuati almeno tre mesi dopo l'avvenuto contagio;
   in particolare, negli USA è in libero commercio il test «ORAQUICK» che si effettua attraverso un tampone orale e «l'HIV test yourself» che necessita di una goccia di sangue dal dito. In Gran Bretagna è disponibile il «BIOSURE HIV self test» e in Francia è stato recentemente autorizzata la vendita del «AUTOTES VIH» che, analizzando una goccia di sangue estratta dal dito, come nei test per la misurazione della glicemia, consente risposte entro 15 minuti, con un indice di attendibilità pari al 99,8 per cento;
   il costo dei kit per l'esecuzione del test appare relativamente accessibile, variando dai 40 dollari negli USA, ai 40 euro in GB, ai 25 euro del più recente test francese;
   anche in Italia è del tutto ipotizzabile che esista una fascia di popolazione a rischio che è restia a rivolgersi alle strutture sanitarie per motivi sociali e che sarebbe indubbiamente avvantaggiata nella esigenza di diagnosi precoce da un più facile accesso al kit diagnostico direttamente attraverso la disponibilità immediata dei kit in farmacia;
   la diagnosi precoce dell'HIV positività resta pertanto un importantissimo obiettivo sanitario e sociale per le implicazioni sull'immediato inizio del trattamento terapeutico, ma anche sul contenimento della diffusione del contagio virale –:
   quali iniziative intenda intraprendere perché sia reso immediatamente disponibile anche in Italia, nella vendita attraverso le farmacie al pubblico, con efficacia controllata e al prezzo di mercato più basso possibile, il kit per la autodiagnosi della positività all'HIV. (4-10417)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   COZZOLINO, MASSIMILIANO BERNINI, TRIPIEDI e COMINARDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana n. 187 del 13 agosto 2015 è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015 n. 124 recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), del testo prevede, tra le altre cose, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra Forza di polizia;
   l'estrema complessità tecnica della materia potrebbe andare ad incidere sul delicato e complesso «sistema sicurezza» del Paese, anche in termini di eventuali ricadute di carattere operativo, economico, di status giuridico-professionale e previdenziale su operatori di una Forza di polizia ad ordinamento civile quale è il Corpo forestale dello Stato –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno convocare le organizzazioni sindacali del Corpo forestale dello Stato per esporre e condividere le linee che il Governo intenderà seguire nella elaborazione degli eventuali decreti attuativi.
(4-10412)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'interno, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   secondo i dati raccolti da Confagricoltura e Fondazione Open e diffusi durante il convegno «Contrabbando e Contraffazione: difendiamo la filiera italiana», il fenomeno della contraffazione alimentare sottrae al nostro Paese risorse per circa 4 miliardi di euro l'anno, che secondo il Censis si traducono in oltre 20 mila posti di lavoro in meno e una fetta di mercato rilevante sottratta alle potenzialità di sviluppo del comparto agricolo;
   il business del food fake è ormai un'industria criminale globale dilagante che danneggia pesantemente le aziende produttrici, soprattutto quelle italiane, le quali, oltre ad avere il problema della contraffazione vera e propria, devono competere anche con l'industria alimentare dell’italian sounding;
   il food fake costituisce anche un rischio per la salute dei consumatori che possono acquistare e utilizzare prodotti di dubbia qualità ed origine, pensando che si tratti di cibi made in Italy e dunque sicuri e controllati;
   perfino l'Interpol si sta occupando della lotta al cibo contraffatto: in una delle ultime maxi operazioni, la Ospon IV, l'organizzazione internazionale della polizia criminale ha setacciato le dogane di 47 paesi scovando più di 2.500 tonnellate di merce illecita o contraffatta;
   nei primi sette mesi del 2015 la Guardia di finanza ha sequestrato oltre 162 mila chili di cibi contraffatti: la regione più colpita dai sequestri sono le Marche con 44.564 chilogrammi di alimenti (in gran parte falsi prodotti biologici), seguita da Veneto (30.705 chilogrammi), Liguria (27.100 chilogrammi), Calabria (25.575 chilogrammi) e Basilicata (11.683 chilogrammi);
   secondo un sondaggio Format per il Ministero dello sviluppo, su 1.000 imprese agroalimentari con più di 10 addetti, il 41,8 per cento ha subito almeno una contraffazione dei propri prodotti in Italia; nelle imprese con almeno 250 dipendenti il fenomeno è ancora più presente: tre quarti di queste aziende dichiarano di essere state vittime di contraffazione;
   il fatturato stimato della vendita in Italia di prodotti agroalimentari contraffatti ammonta a oltre 1 miliardo di euro: tra i prodotti presi di mira ci sono vino, olio, formaggi, salumi, miele e pasta;
   secondo il presidente di Confagricoltura Mario Guidi «Allargando il fenomeno al resto del mondo, stimiamo che i prodotti agroalimentari contraffatti o “allusivi” al Made in Italy rappresentino un mercato complessivo di quasi 70 miliardi di euro»;
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza della gravità del fenomeno descritto in premessa, sia dal punto di vista economico che come ricaduta sulla sicurezza alimentare e in che modo si stiano attivando, per quanto di loro competenza, per contrastare questa forma di criminalità;
   se i Ministri interpellati non considerino necessario impegnarsi ed in che modo per promuovere la valorizzazione e tutela dei marchi del Made in Italy, intensificare i controlli, aggiornare continuamente la legislazione e implementare l'adozione di tecnologie di tracciabilità e rintracciabilità delle filiere dei prodotti più moderne ed efficaci, in modo da difendere il settore produttivo italiano e la salute dei cittadini;
   se i Ministri interpellati, per quanto di competenza, non considerino necessario realizzare un'analisi delle ricadute del problema dei prodotti alimentari contraffatti sulla salute degli italiani e, in che modo intendano sensibilizzare e informare i cittadini rispetto ai rischi per la salute che derivano dall'attività di questa industria criminale.
(2-01085) «Sorial».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CATANOSO, CARFAGNA, BERGAMINI e POLIDORI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Invitalia, l'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa, ha pubblicato, sul proprio sito e sulla Gazzetta Ufficiale n. 183 dell'8 agosto 2015, un avviso che comunica che dal 9 agosto u.s. non è più possibile presentare la richiesta di accesso alle agevolazioni all'autoimpiego a causa dell'esaurimento delle risorse disponibili;
   in conseguenza di ciò, startup, progetti innovativi e investimenti per tutti coloro che volevano accedere al bando per gli incentivi per l'autoimpiego, previsto dal titolo II del decreto legislativo 185 del 2000 sembrerebbero definitivamente tramontati;
   attualmente, nella sola Sicilia ci sono circa 700 domande in attesa di valutazione per l'ammissione alle, agevolazione concesse dal decreto legislativo 185 del 2000, presentate a partire dal mese di marzo ad oggi e circa 2.200 nel complesso delle altre regioni meridionali interessate alla misura;
   vi sono due considerazioni da fare: la prima è che Invitalia dovrebbe deliberare le domande entro e non oltre 6 mesi dalla data di presentazione, quindi ci ritroveremo a fine mese alla scadenza del suddetto termine e ad oggi nessuna delle 700 domande è stata messa in valutazione. Anche se domani mattina si iniziasse a valutare le domande presentate e non ancora esitate, le stesse dovrebbero aspettare altri 3 mesi circa per essere definite, per cui il termine verrebbe spostato a 9 mesi. La seconda considerazione da fare è che tutte le società che hanno deciso di intraprendere un percorso imprenditoriale grazie all'aiuto del decreto legislativo 185 del 2000, hanno dovuto sostenere dei costi iniziali (Costituzione società, Atti notarile, iscrizione CCIAA, attribuzione partita iva, costi di realizzazione format di domanda), i quali non ottenendo più nessun aiuto, si trasformerebbero in perdite pure;
   oltre alle 700 domande in attesa di valutazione si aggiungono altre 180 domande circa, che sono state già valutate, sono state ammesse alle agevolazioni e che attendono la delibera e la convocazione per la stipula del contratto;
   alcune di queste 180 domande sono state presentate nel 2014 e tali attese stanno solo causando perdite e debiti ad attività nascenti;
   da tenere sotto osservazione c’è anche la sospensione dell'erogazione dei saldi d'investimento che le aziende già avviate stanno attendendo da parecchio tempo e che negli ultimi mesi non si stanno più erogando. Tali saldi servono per coprire gli investimenti già realizzati e servono a pagare le aziende fornitrici delle attrezzature e dei beni di investimento;
   tali ritardi oltre a danneggiare le start-up stanno fortemente danneggiando tutte le aziende esistenti fornitrici;
   a giudizio dell'odierno interrogante, uno strumento finanziario importante come quello previsto dal decreto legislativo 185 del 2000, non può essere soppresso in un momento così delicato per lo sviluppo economico del nostro Paese e specialmente per il meridione –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative per rifinanziare la misura prevista dal decreto legislativo 185 del 2000 Titolo II ed, eventualmente, quali siano i tempi previsti per il rifinanziamento e la riapertura delle agevolazioni;
   quali provvedimenti intenda adottare Invitalia nei riguardi delle 2.200 domande presentate precedentemente al blocco dell'8 agosto 2015 e quanto devono ancora attendere le 180 aziende le cui domande sono già state valutate e attendono solo la delibera;
   quali iniziative intenda assumere nei riguardi di Invitalia per cercare di velocizzare i tempi per l'erogazione dei saldi d'investimento attesi dalle imprese già oggetto di agevolazione. (5-06420)

Interrogazione a risposta scritta:


   LACQUANITI, BERLINGHIERI, COMINELLI e SBERNA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   IKEA è un'azienda multinazionale fondata in Svezia da Ingvar Kamprad, con sede legale principale a Leida, nei Paesi Bassi, specializzata nella vendita di mobili, complementi d'arredo e altra oggettistica per la casa;
   Ikea dal 1989 è presente in Italia dove ora ha 21 punti vendita, con un fatturato di 1,64 miliardi di euro e 6.587 dipendenti (al 31 agosto 2011);
   il punto vendita di Brescia, ubicato nel comune di Roncadelle, occupa circa 30.000 mq, è uno dei più importanti per giro d'affari del nostro Paese ed è in via di ampliamento; al termine dei lavori, il nuovo punto di vendita occuperà più di 90.000 mq;
   IKEA ha aderito a Federdistribuzione, che non ha adottato il nuovo contratto nazionale del commercio rinnovato nel marzo 2015;
   IKEA ha unilateralmente disdetto tutti i contratti integrativi territoriali e nazionali, dopo il fallimento delle trattative tra sindacati e azienda avvenuto il 3 luglio, Filcams Cgil, Fisascat Cisl e Uiltucs hanno indetto per l'11 luglio il primo sciopero nazionale a cui hanno aderito quasi tutti i lavoratori interessati, l'80 per cento secondo stime sindacali;
   il 2 agosto 2015 anche i lavoratori del punto di vendita bresciano hanno aderito alle agitazioni proclamate a livello nazionale;
   i contratti integrativi disdetti prevedevano un premio fisso aziendale oltre alle maggiorazioni per le giornate festive e domenicali;
   il premio fisso incideva del 20 per cento sulla retribuzione dei dipendenti part-time, circa l'80 per cento del totale, costituendone una componente necessaria per il raggiungimento di un salario minimamente adeguato;
   le maggiorazioni festive e domenicali davano un apporto importante ai salari, diversamente piuttosto bassi, oltre a riconoscere il disagio per i dipendenti impegnati in queste giornate normalmente deputate al riposo e alla vita personale e familiare  –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di agevolare una soluzione della vertenza, per salvaguardare i già non elevati livelli salariali per i dipendenti di IKEA Italia ricostruendo in tal modo un sano rapporto tra lavoratori, sindacati e dirigenza aziendale. (4-10411)

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Iacono e altri n. 5-06326, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Di Salvo.

  L'interrogazione a risposta scritta Catanoso n. 4-10274, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Carfagna, Bergamini, Polidori.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Nesci n. 5-04953 del 9 marzo 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-01706;
   interrogazione a risposta scritta Catanoso e altri n. 4-10274 del 9 settembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-06420.