Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 10 giugno 2015

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel nostro Paese è necessaria l'approvazione di una disciplina legislativa organica delle unioni civili, che sia in grado di superare l'attuale fase di incertezza e di penalizzazione in cui versano – rispettivamente – le coppie omosessuali che chiedono la registrazione in Italia del matrimonio che hanno contratto all'estero e quelle che non hanno i mezzi per fruire di questa possibilità;
    con ordinanza del 9 aprile 2014 il Tribunale di Grosseto ha ritenuto che il matrimonio tra persone dello stesso sesso celebrato all'estero può essere trascritto nei registri dello stato civile;
    a partire da tale importante precedente, sono ad oggi numerose le città italiane che hanno provveduto alla trascrizione dei matrimoni tra persone dello stesso sesso stipulati all'estero;
    tali atti hanno valore di pubblicità certificativa e, pertanto, non producono effetti nella sfera legale dei registranti né alterano lo stato civile degli stessi;
    la sentenza Schalk e Kopf c. Austria della Corte europea dei Diritti Umani (ric. n. 30141/04) ha spazzato via qualsiasi dubbio di contrarietà all'ordine pubblico dei matrimoni egualitari per gli ordinamenti dei Paesi Membri, come chiariti anche dalla Corte di Cassazione con sentenza 4184 del 2012;
    è caduta pertanto l'ipotesi di intrascrivibilità, sia pure i soli fini di evidenziazione pubblica, prevista dall'articolo 18 del decreto del Presidente della Repubblica n. 396 del 2000 per gli atti firmati all'estero contrari all'ordine pubblico;
    il Ministro dell'interno, con circolare diramata il 7 ottobre 2014, ha invitato i prefetti a «rivolgere ai sindaci formale invito al ritiro di tali disposizioni ed alla cancellazione delle conseguenti trascrizioni» procedendo «all'annullamento d'ufficio degli atti illegittimamente adottati»;
    il TAR del Lazio, in seguito al ricorso nei confronti del decreto del prefetto di Roma del 31 ottobre 2014 che ha annullato le trascrizioni nei registri dello stato civile capitolini, ha ritenuto che le disposizioni stabilite per i suddetti annullamenti non sono valide, in quanto l'annullamento delle trascrizioni di matrimoni contratti all'estero da persone dello stesso sesso può essere disposto solo dall'autorità giudiziaria ordinaria e non da Ministro e Prefetto;
    la Procura della Repubblica di Udine – successivamente ad un esposto contro i provvedimenti dei Prefetti che hanno annullato la trascrizione effettuata dal comune del capoluogo friulano di un matrimonio tra due donne stipulato in Belgio – ha affermato che la legge conferisce al Prefetto precisi poteri sui registri dello Stato civile «ma non legittima né ammette un ruolo così autoritario e di simile “prevaricazione” del Prefetto, quale quello nel caso di specie» e che «Il dominus dello stato civile è e resta il Sindaco [...] le cui prerogative possono essere corrette solo attraverso un procedimento giurisdizionale ad opera del giudice»;
    in seguito a tali vicende e ad un dibattito apertosi nel Paese alcuni sindaci hanno deciso di trascrivere in maniera del tutto simbolica, ma esprimendo un orientamento politico in contrasto alla circolare del Ministero dell'interno. Così il 25 marzo 2015 il comune di Reggio Emilia, nella persona del Sindaco Luca Vecchi, ha trascritto il matrimonio portoghese tra due donne ed il 29 aprile 2015 il Prefetto di Reggio Emilia, Raffaele Rubato, ha annullato l'atto sopracitato così come dalle direttive della circolare del Ministero dell'Interno in materia,

impegna il Governo:

   alla luce dell'evoluzione del quadro giurisprudenziale e della disomogenea interpretazione della normativa vigente in materia di registro dello stato civile, ad adottare le misure necessarie per garantire un eguale trattamento delle medesime situazioni su tutto il territorio nazionale;
   ad intervenire, nell'ambito delle proprie prerogative, per favorire l'approvazione di una legge sulle unioni civili, con particolare riguardo alla condizione delle persone dello stesso sesso.
(1-00892) «Rosato, Campana, Cinzia Maria Fontana, Verini, Lenzi, Piazzoni, Amoddio, Berretta, Ermini, Giuliani, Greco, Giuseppe Guerini, Leva, Magorno, Mattiello, Morani, Giuditta Pini, Rossomando, Rostan, Tartaglione, Vazio, Beni, Mariano, Marzano, Cenni, Amato».


   La Camera,
   premesso che:
    il dibattito in merito alla validità delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero tra persone dello stessa sesso, operata da alcuni sindaci e poi oggetto della circolare del Ministro dell'Interno n. 40o/ba-030/011/DAIT del 7 ottobre 2014, non può in alcun modo sostituire né superare l'esigenza di garantire l'attuazione del diritto inviolabile delle persone di vivere liberamente una condizione di coppia nel rispetto del proprio orientamento sessuale (così come stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 138 del 2010) e di fornire quindi, in piena sintonia con quanto disposto dall'articolo 2 della Costituzione, un riconoscimento e una regolamentazione dei diritti e dei doveri delle persone dello stesso sesso che intendono costituire un'unione affettiva stabile, duratura ed esclusiva;
    la discussione in merito all'efficacia giuridica delle suddette trascrizioni non può essere isolata, né tantomeno può garantire di per sé il riconoscimento di diritti, o la rimozione di discriminazioni che impediscono alle persone omosessuali di essere titolari di situazioni giuridiche soggettive nell'ambito della propria vita di coppia;
    il riconoscimento dei diritti delle persone dello stesso sesso che intendono liberamente regolare rapporti personali e patrimoniali relativi alla loro vita in comune non passa certamente attraverso la validità «amministrativa» delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero, né attraverso un conflitto di competenze tra prefetto e sindaco, o tra giudici;
    il riconoscimento dei richiamati diritti può trovare sostegno solo con uno sbocco legislativo, come confermano i ripetuti richiami della Corte costituzionale, troppo spesso coinvolta in decisioni su un tema su cui permane un pesante vuoto normativo;
    la sollecitazione a legiferare in merito non viene solo dalla giurisprudenza della Corte costituzionale: il Parlamento europeo, fin dalla risoluzione 16 marzo 2000 sul rispetto dei diritti umani, ha chiesto agli Stati di «garantire anche alle coppie dello stesso sesso, parità di diritti rispetto alle coppie ed alle famiglie tradizionali in particolare in materia di legislazione fiscale, regime patrimoniale e diritti sociali»;
    nel nostro Paese le coppie omosessuali rappresentano una realtà ormai accettata, ed il vuoto legislativo in materia di unioni civili si sta traducendo in disparità di trattamento, disuguaglianze, discriminazioni e confusione;
   intervenire diventa quindi necessario, anche alla luce di quanto dibattuto dalla Consulta che, in particolare con la sentenza n. 138 del 2010, ha infatti affermato che l'unione omosessuale una formazione sociale meritevole di tutela ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione, rimettendo al Parlamento il compito di determinarne la disciplina mediante una legge ad hoc;
    la stessa Corte costituzionale esclude, tuttavia, che l'aspirazione a tale riconoscimento – che necessariamente postula una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri dei componenti della coppia – possa essere realizzata soltanto attraverso una equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio. È sufficiente l'esame, anche non esaustivo, delle legislazioni dei Paesi che finora hanno riconosciuto le unioni suddette per verificare la diversità delle scelte operate. «Ne deriva, dunque, che, nell'ambito applicativo dell'articolo 2 della Costituzione, spetta al Parlamento, nell'esercizio della sua piena discrezionalità, individuare le forme di garanzia e di riconoscimento per le unioni suddette»;
    è necessario dunque legittimare tali diritti, conservando e garantendo quelli esistenti, attraversa la piena tutela dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il riconoscimento e la regolamentazione delle coppie omosessuali vanno dunque perseguiti senza promuovere un nuovo modello di società, né contrapposizioni con il matrimonio, ma attraverso l'elaborazione di atti culturalmente e giuridicamente distinti, che possono convivere all'interno di una cornice costituzionale che tuteli i diritti inviolabili della persona, in una società che ha ed avrà sempre il proprio nucleo centrale nella famiglia unita dal matrimonio;
    sarà poi lo stesso legislatore a definire correttamente l'applicazione della nuova disciplina alle coppie dello stesso sesso che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo, definendo le modalità di trascrizione e riconoscimento delle stesse,

impegna il Governo

a favorire un ampio dibattito, che, nel rispetto delle diverse sensibilità presenti all'interno del Parlamento, possa portare ad una organica regolamentazione delle unioni civili, nonché delle modalità di trascrizione di analoghe unioni contratte all'estero, affinché si colmi un vuoto legislativo foriero di ingiustizie, discriminazioni e confusione normativa.
(1-00893) «Brunetta».


   La Camera,
   premesso che:
    il 7 ottobre 2014 il ministero dell'Interno con la circolare N. 40/BA-030/011/dait ha chiesto ai prefetti di invitare formalmente i sindaci a cancellare le trascrizioni delle nozze tra persone dello stesso sesso contratte all'estero, perché tali trascrizioni non sono conformi alle leggi italiane;
    prima di quella data era già emersa già la questione del riconoscimento legale dei registri delle unioni civili in diversi comuni italiani, e molti prefetti si erano rifiutati di avallare giuridicamente la scelta di alcune amministrazioni di permettere l'iscrizione nel registro alle coppie omosessuali che hanno contratto matrimonio all'estero, perché il registro delle, senza una normativa nazionale che lo renda possibile, diverrebbe in questo modo un meccanismo che tende a creare vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge;
    le numerose proposte di legge avanzate in materia, pendenti al momento in Parlamento provano il vuoto normativo rispetto al riconoscimento pubblico delle unioni omosessuali;
    il registro delle unioni civili, invero, non ha alcuna efficacia giuridica, perché non rientra nell'autonomia regolamentare degli enti locali la potestà di disciplinare situazioni di diritto familiare. Tale registro, pertanto ha un'esclusiva natura ideologica e simbolica. I Comuni non hanno competenza per creare un nuovo «status» personale dei loro cittadini, perché l'articolo 117 comma 2 lettera i) della Costituzione riserva esclusivamente alla legge statale la materia «stato civile e anagrafi». In realtà un registro delle coppie di fatto intende fare proprio questo: riconoscendo all'unione civile una determinata soggettività, attribuisce ai soggetti che lo compongono un nuovo status;
    la mancata presa di posizione a sostegno dell'iniziativa del Ministro dell'Interno da parte del Governo, per voce del Presidente del Consiglio dei ministri, rischia di generare una delegittimazione di fatto delle competenze e funzioni attribuite al dicastero dell'interno;
    il rischio di una deriva conflittuale tra i diversi livelli di Governo si acuisce in relazione alle dichiarazioni di solidarietà verso i sindaci che si sono rifiutati di accogliere le disposizioni ministeriali, espresse da autorevoli membri parlamentari della maggioranza che sostiene l'attuale Esecutivo;
    il combinato disposto degli articoli della Costituzione 29 (...famiglia società naturale fondata sul matrimonio...), 30 (... è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire e educare i figli anche se nati fuori del matrimonio ...la legge assicura ai figli nati fuori dal matrimonio ogni tutela giuridica e sociale...), 31 (La Repubblica agevola con misure e altre provvidenze la formazione della famiglia .... con particolare riguardo alle famiglie numerose), enuncia in modo inequivocabile il regime preferenziale della famiglia quale nucleo fondamentale della società;
    secondo i lavori preparatori dell'Assemblea Costituente l'aggettivo «naturale» ex articolo 29 della Costituzione sta ad indicare che la famiglia non è un'istituzione creata dalla legge, ma una struttura di diritto naturale, legata alla natura umana come tale e preesistente rispetto all'organizzazione statale;
    la Costituzione riconosce la famiglia come soggetto sociale, luogo di generazione dei figli (garanzia dell'esistenza stessa della società), pilastro su cui si fondano le comunità locali, il sistema educativo, le strutture di produzione del reddito, il contenimento delle forme di disagio sociale;
    il diritto privato già permette di regolamentare i rapporti tra persone adulte e consenzienti attraverso la stipula di contratti di convivenza (articolo 1322 Codice Civile), nell'ambito ovviamente della sfera privata e della tutela delle libertà personali senza alcuna relazione rispetto a quella che è la famiglia ex articolo 29 della Costituzione;
    creare diritti al fine di riconoscere i desideri del singolo è in contrasto con l'organizzazione della società basata sulla relazione con gli altri in un ottica di vita in comune. Il riconoscimento dei diritti soggettivi esigibili non si può porre in contrapposizione all'interesse collettivo;
    è necessario ricordare che lo scioglimento del consiglio comunale può essere disposto, ai sensi dell'articolo 141 del decreto legislativo 267 del 2000: quando il sindaco abbia compiuto atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, (...);
    le delibere comunali adottate per l'istituzione dei registri delle unioni civili sono palesemente in contrasto con i principi sanciti ex articoli 2, 3, 29, 31 della Costituzione. Quindi, alla luce di quanto detto sarebbe doveroso avviare procedure immediate per lo scioglimento dei Consigli comunali che hanno adottato i registri delle unioni civili ai sensi del citato articolo 141 del decreto legislativo n. 267 del 2000;
    tale situazione di netta contrapposizione tra il Governo centrale e le amministrazioni locali fa emergere un conflitto che se non risolto potrebbe creare una preoccupante destabilizzazione tra i vari livelli di Governo;
    a maggior ragione vanno chiarite situazioni incoerenti che si sono create tra le prese di posizione di più organi costituzionali: Basti pensare, a titolo esemplificativo alla sentenza del Tribunale per i Minorenni di Roma che ha riconosciuto l'adozione di una bimba che vive con una coppia omosessuale di Pordenone, figlia biologica di una sola delle due conviventi, avuta con la fecondazione eterologa. Si tratta del primo caso in Italia di «stepchild adoption»;
    la coppia si era rivolta al Tribunale per il riconoscimento ed il ricorso è stato accolto sulla base dell'articolo 44 della legge relativa all'adozione, la n. 184 del 4 maggio 1983, modificata nel 2001 dalla legge n. 149 del 2001;
    la legge 4 maggio 1983, n. 184 e successive modificazioni prevede che la dichiarazione di disponibilità all'adozione debba essere effettuata da una coppia coniugata da almeno tre anni. Il periodo di convivenza more uxorio è considerato alla stessa stregua di quello del matrimonio, fermo restando il fatto che la coppia deve comunque essere coniugata al momento della presentazione della disponibilità;
    l'articolo 44 prevede, tuttavia, deroghe per alcuni casi specifici:
     quando gli adottandi sono uniti al minore – orfano di padre e di madre – da vincolo di parentela fino al sesto grado o da rapporto stabile e duraturo preesistente alla perdita dei genitori;
     quando un coniuge adotta il figlio, anche adottivo, dell'altro coniuge;
     quando il minore è portatore di handicap e orfano di entrambi i genitori;
     quando non sia possibile l'affidamento preadottivo;
    salvo i casi anzi detti, la normativa vigente non prevede la possibilità di adozione da parte di una coppia non sposata e, dal momento che non è consentito il matrimonio di persone dello stesso sesso, l'adozione da parte di coppie omosessuali non è giuridicamente possibile;
    in materia di adozioni, l'articolo 6 della legge n. 184/1983 e successive modificazioni, riconosce i tre anni della convivenza ma, per concedere l'idoneità all'adozione, non a caso richiede la celebrazione del matrimonio per offrire al minore il massimo sistema di garanzie che può scaturire soltanto da un sistema di diritti e di doveri che vincoli fra loro anche i genitori stessi;
    una «sentenza di tipo ideologico che crea un paradigma presente in altri Paesi, dove però c’è una legge che lo riconosce». Così il giurista Francesco D'Agostino, docente di Filosofia del diritto all'Università di Roma Tor Vergata, commenta la decisione del Tribunale per i minorenni di Roma, che ha permesso l'adozione di una bambina di cinque anni da parte della compagna della madre biologica. Una palese violazione del diritto. «Questo meccanismo che tende a creare di fatto vincoli familiari in contesti ignorati dalla legge – spiega – è particolarmente grave poiché si scontra con la legge italiana sulla fecondazione artificiale, alla luce pure della sentenza della Corte costituzionale. E vero che quest'ultima ha aperto all'eterologa, ma non ha toccato il principio di fondo in base al quale alla fecondazione artificiale devono ricorrere coppie eterosessuali». «Il giudice, in sintesi, ha avallato una situazione che la legge italiana non riconosce» con una «fuga in avanti» inutile «tanto più che il minore non si trova in stato di abbandono». «Se il Parlamento approva una legge ingiusta, perlomeno – conclude il giurista – si può richiedere un referendum per abrogarla, mentre in questo caso il popolo non può fare nulla: siamo all'antitesi della democrazia»;
    è interesse del Parlamento ripristinare l'ordine costituzionale delle attribuzioni, considerato come tale sentenza realizzi ad avviso dei firmatari del presenta atto di indirizzo un radicale sovvertimento del principio della divisione dei poteri, in violazione degli articoli 70, 101, secondo comma e 102, primo comma, della Costituzione;
    in presenza di tali condizioni, per giustificare l'intervento del giudice non sarebbe conferente appellarsi alla impossibilità del «non liquet», considerato che la sua ratio non è certamente quella di consentire la trasformazione del giudice in legislatore, ma anzi è volta, come si sa, a rendere ancor più ineludibile il vincolo al rispetto del sistema legislativo vigente;
    l'Autorità giudiziaria, per conseguire il risultato cui è giunta, avrebbe potuto prospettare piuttosto una questione di legittimità costituzionale: omettendo tale condotta, essa ha invece proceduto alla disapplicazione delle norme di legge che avrebbero precluso la soluzione adottata», sostituendole con una disciplina elaborata ex novo,

impegna il Governo:

   ad assumere una posizione unanime che affermi la inderogabilità dell'annullamento, in quanto illegittime perché in contrasto con la normativa vigente, delle direttive emanate dai sindaci che autorizzano la trascrizione nel registro di anagrafe dei matrimoni omosessuali contratti all'estero;
   a valutare l'opportunità e la sussistenza dei presupposti per avviare le procedure di controllo sugli organi, ai sensi degli articoli 141 e seguenti del decreto legislativo n. 267 del 2000, nei confronti dei comuni che hanno assunto decisioni, come quelle descritte in premessa, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo manifestamente in contrasto con i principi costituzionali.
(1-00894) «Fedriga, Rondini, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Marcolin, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il tema della circolazione della moneta costante è stato oggetto non solo di frequenti dibattiti legati all'evasione e all'elusione fiscale, al riciclaggio e alla necessità della tracciabilità delle transazioni come uno dei relativi metodi di contrasto ma anche di una serie di provvedimenti restrittivi volti a limitarne l'utilizzo in favore di metodi alternativi di pagamento come quelli elettronici;
    secondo quanto si evince dai dati statistici resi noti in audizione alle Commissioni riunite VI e X della Camera dei deputati il 13 gennaio 2015, in Italia l'utilizzo del contante è ancora il metodo di pagamento preferito dagli italiani e questo comporta maggiori costi sociali per i pagamenti nonché minore trasparenza negli scambi;
    nel 2009, in Italia, 90 transazioni su 100 avvenivano in contanti, mentre la media europea era 70. Nel 2012 i pagamenti in contanti si sono ridotti a 87 su 100, ma la media UE è scesa a 60 su 100. Resta, dunque, elevato il ritardo nell'utilizzo di strumenti alternativi che nel nostro Paese si attesta a 75 operazioni annuali per abitante a fronte di circa 194 nell'area dell'euro;
    secondo i dati ISTAT il denaro contante è utilizzato dall'86,3 per cento delle famiglie italiane ed è diffuso in larga misura tra gli anziani single (95,9 per cento) o in coppia (92,8 per cento). Il 37,9 per cento delle famiglie usa il bancomat e il 10,9 per cento la carta di credito: a ricorrere ai sistemi di pagamento automatico sono soprattutto i giovani-adulti (single o in coppia senza figli) e le coppie con 1 o 2 figli. Lo strumento di pagamento meno utilizzato da tutte le famiglie è l'assegno (appena l'1,1 per cento). Nel nostro Paese solo il 13 per cento delle transazioni viene saldato con mezzi di pagamento elettronici, contro una media del 40 per cento nell'Unione europea. In termini di operazioni pro capite con strumenti elettronici di pagamento l'Italia è davanti solo alla Grecia;
    tra le cause che determinano l'enorme uso del contante vi è il numero elevato di italiani che non sono in possesso di un conto corrente bancario e che, pertanto, non utilizzano alcun metodo di pagamento tracciabile ovvero non usano carte di credito o assegni elettronici;
    in Italia i pagamenti elettronici sono in crescita ma a ritmi inferiori rispetto a quelli di altri Paesi; nel 2013 nel nostro Paese sono aumentate del 9 per cento le operazioni di pagamento elettroniche (bonifici automatizzati, carte POS, addebiti preautorizzati) e, tra queste, i pagamenti via internet sono cresciuti del 30 per cento;
    secondo una elaborazione dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre, infatti, in Italia ci sono 15 milioni di unbanked. Lo studio, che verte su dati della Commissione Ue, considera i cittadini europei con più di 15 anni di età che non dispongono di un conto corrente bancario. In Italia, questi sono quasi 15 milioni (il 29 per cento degli italiani over 15). Seguono Paesi come la Romania con poco più di 9.860.000 persone (55 per cento del totale) e la Polonia con poco meno di 9.700.000 cittadini (30 per cento). In Francia e nel Regno Unito i cosiddetti «unbanked» sono in entrambi i Paesi poco più di un milione e mezzo (pari al 3 per cento della popolazione con più di 15 anni). In Germania, invece, la soglia di coloro che non detengono un conto corrente si abbassa a poco più di un milione e quattrocentomila persone (2 per cento);
    altra causa che determina in maniera rilevante il minore utilizzo di metodi di pagamento elettronici è sicuramente la mancanza di incentivi all'utilizzo dei POS (Point of sale) per gli esercenti;
    le elevate commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento, che in media sono più elevati del 50 per cento rispetto agli altri Paesi europei, nonché gli alti costi di installazione e di gestione annuale delle apparecchiature non incoraggiano i commercianti a rendere disponibile alla clientela il metodo di pagamento tramite carta di credito o bancomat;
    l'installazione e la gestione dei POS, infatti, comprendono un canone annuale per l'affitto dell'apparecchiatura e il mantenimento di una linea telefonica dedicata più o meno costosa a seconda della velocità della transazione. Ne consegue che il migliore incentivo alla diffusione dei POS non è costituito dalla sua obbligatorietà, ma dalla riduzione dei costi di gestione;
    il comunicato stampa del Ministero dello sviluppo economico del 28 luglio 2014, a seguito di un'analisi dei costi, ha evidenziato, infatti, costi fissi in media intorno ai 2-5 euro mensili per terminali innovativi e intorno ai 10-15 euro per apparecchiature più tradizionali, che si traducono in un onere medio annuo tra 25-60 euro all'anno nel primo caso e 120-180 euro nel secondo; ciò a fronte di un onere medio della gestione del contante stimato intorno all'1-1,5 per cento rispetto all'entità delle transazioni;
    a dimostrazione di quanto sia esoso per gli esercenti assicurare ai clienti questa forma di pagamento vi è il paragone con gli altri Paesi europei: i pagamenti tramite POS in Francia, ad esempio, sono più del doppio di quelli dell'Italia (398 miliardi di euro contro 160 miliardi) eppure i terminali installati Oltralpe non sono molti di più (1.834.000 contro 1.501.600). Il confronto con la Germania è ancora più indicativo, alla luce degli ultimi dati ufficiali (Banca dei regolamenti internazionali, dicembre 2012): in quel Paese ci sono infatti meno POS che in Italia (720 mila), ma vengono usati per più transazioni (174 miliardi di euro);
    invero, la necessità di incentivare l'utilizzo di POS riducendo le commissioni a carico degli esercenti è stata già accolta dal legislatore; infatti il comma 9 dell'articolo 12 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha previsto che le imprese che gestiscono i circuiti di pagamento e le associazioni delle imprese devono definire le regole generali per assicurare una riduzione delle commissioni a carico degli esercenti in relazione alle transazioni effettuate mediante carte di pagamento; il comma 10 del medesimo articolo 12 ha stabilito che, in caso di mancata definizione e applicazione delle misure di cui al predetto comma 9, le stesse fossero fissate con decreto del Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sentite la Banca d'Italia e l'Autorità garante della concorrenza e del mercato. Analogamente, il comma 5 dell'articolo 15 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221, ha previsto che il Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Banca d'Italia, disciplinasse le modalità di attuazione della disposizione anche con riferimento agli oneri a carico delle imprese ed al costo unitario del pagamento elettronico;
    in attuazione di quanto disposto dal comma 10 del citato articolo 12, con decreto ministeriale 14 febbraio 2014, n. 51, è stato emanato il regolamento sulle commissione applicate alle transazione effettuate mediante carte di pagamento, che fissa regole generali per assicurare la riduzione delle commissioni e le loro condizioni di trasparenza. Ai sensi di tale decreto le commissioni, oltre a remunerare i circuiti di pagamento e i servizi di issuing, coprono i costi finanziari relativi all'anticipazione delle somme transate all’acquirer e da questi al merchant, il rischio di mancata provvista futura (nelle carte di credito) la manutenzione e la sicurezza del sistema informatico;
    il regolamento (UE) n. 2015/751 del Parlamento europeo del Consiglio del 29 aprile 2015, relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 19 maggio 2015, ha fissato tetti alle commissioni interbancarie, pari a 0,3 per cento per le carte di credito e a 0,2 per cento per le carte di debito, lasciando alcune decisioni sulle modalità di attuazione del regolamento agli Stati membri;
    per quanto riguarda invece la disciplina della circolazione della moneta contante, il legislatore italiano è intervenuto più volte per limitarne l'utilizzo;
    l'ultimo provvedimento che ha ridotto la soglia dei pagamenti in contanti e di utilizzo degli assegni bancari/postali trasferibili, nonché dei libretti al portatore è il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, (cosiddetto decreto «Salva Italia»), A decorrere dal 6 dicembre 2011, infatti, la soglia si è abbassata da 2.500 a 1.000 euro; il divieto di violare tale limite si applica a tutti i soggetti residenti nel territorio dello Stato, qualunque sia la loro nazionalità. I soggetti sanzionabili sono sia colui che ha pagato sia colui che ha riscosso gli importi, ivi compreso il lavoratore dipendente che abbia accettato il pagamento dello stipendio superiore a 999 euro in contanti; per evitare ricadute negative sul settore dei turismo tuttavia tale limite non si applica ai non residenti in Italia per i quali il limite per i pagamenti in contanti, nel commercio al dettaglio e per le agenzie di viaggi, è fissato a 15.000 euro;
    attualmente, dunque, sono consentite transazioni in contanti fino a 999,99 euro mentre per importi pari o superiori a 1000,00 euro occorre rivolgersi a banche, istituti di moneta elettronica od a Poste italiane spa;
    di contro, però, secondo quanto si evince dalle analisi della CGIA di Mestre del febbraio 2015, l'ammontare di banconote in circolazione nel nostro Paese nei 2014 è cresciuto e ha sfiorato i 164,5 miliardi di euro. Negli ultimi sette anni di crisi l'incremento percentuale è stato del 30,4 per cento a fronte di una variazione dell'incidenza delle banconote sul Pil del +2,4 per cento e di un aumento dell'inflazione che ha sfiorato il 10 per cento;
    la riduzione della soglia di pagamento in contanti sembra, quindi, non aver incentivato l'utilizzo di metodi di pagamento elettronici e appare altrettanto evidente che non esista una stretta e diretta correlazione tra l'utilizzo del denaro contante e l'evasione fiscale che, invero, sembrerebbe maggiormente causata dall'incisività della pressione fiscale;
    infatti, nonostante l'Italia abbia il limite all'utilizzo del contante più basso d'Europa, l'evasione fiscale non sembra averne risentito. Il dato rilevante è che c’è pochissima correlazione tra la soglia limite all'uso di cartamoneta imposta per legge e il rapporto tra la base imponibile Iva non dichiarata e il Pil, vale a dire, appunto, l'evasione fiscale;
    i dati statistici evidenziano che tra il 2000 e il 2012 (ultimo anno in cui i dati sono disponibili), a fronte di una soglia limite all'uso del denaro che è rimasta pressoché stabile fino al giugno 2008, l'evasione ha registrato un andamento altalenante fino al 2006 per poi scivolare progressivamente fino al 2010. Se tra il 2010 e l'anno successivo la soglia del limite al contante si è ulteriormente abbassata (passando da 5.000 a 1.000 euro), Invasione, invece, è salita fino a sfiorare il 16 per cento del Pil, per poi ridiscendere nel 2012 sotto quota 14 per cento;
    tra i principali membri dell'Unione europea, ben 12 paesi, tra i quali Germania, Austria, Finlandia, Svezia e Danimarca, non prevedevano alcun limite all'uso del contante. La Francia e il Belgio hanno una soglia di spesa con la cartamoneta di 3.000 euro, la Spagna di 2.500 euro e la Grecia di 1.500 euro. L'Italia e il Portogallo, invece, manifestano la situazione più restrittiva con il limite a 1.000 euro;
    il 21 aprile 2015, il Consiglio dei ministri, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, e del Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, ha approvato, in via preliminare, il decreto legislativo sulla fatturazione elettronica, che introduce misure volte ad incentivare, mediante la riduzione degli adempimenti amministrativi e contabili, a carico dei contribuenti, l'utilizzo della fatturazione elettronica a la trasmissione telematica dei corrispettivi, nonché adeguati meccanismi di riscontro tra la documentazione in materia di imposta sul valore aggiunto e le transizioni effettuate, potenziando i relativi sistemi di tracciabilità dei pagamenti nonché a prevedere specifici strumenti di controllo relativamente alle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici;
    il varo del decreto legislativo ed il relativo potenziamento dei sistemi di tracciabilità delle transizioni, così come prevista, potrebbe favorire le condizioni per un riequilibrio del limite dell'uso del contante previsto dalla normativa vigente in linea con la media europea;
    appare evidente, dunque, che, nell'ambito dell'esame dei prossimi provvedimenti sulla tematica, la linea politica del Governo dovrebbe essere volta alla verifica di due condizioni complementari tra di loro: evitare provvedimenti eccessivamente restrittivi dell'uso della moneta contante come metodo di pagamento, riequilibrandone la soglia alla media europea, e promuovere ed incentivare l'uso di metodi di pagamento elettronici che consentano di favorire il contrasto all'evasione e all'elusione fiscale e al riciclaggio,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di:
    a) dare rapida attuazione al regolamento (UE) n. 2015/751 del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2015 relativo alle commissioni interbancarie sulle operazioni di pagamento basate su carta, nelle parti in cui viene data facoltà allo Stato membro di definire alcune misure, al fine di riequilibrare il costo dei mezzi di pagamento elettronici in Italia, ponendoli in linea con la media dei costi in essere presso gli altri Stati europei;
    b) assumere iniziative normative nell'ambito di quanto previsto alla lettera a), per una revisione della disciplina vigente in materia di utilizzo del denaro contante, prevedendo un innalzamento della soglia limite affinché risulti equilibrata ed in linea con quella dei principali Stati europei che adottano restrizioni sulla circolazione della moneta contante;
    c) assumere iniziative normative volte alla integrale detraibilità fiscale dalle imposte sul reddito di tutti gli oneri legati all'installazione o alla gestione dei dispositivi POS, in luogo della loro altrimenti ordinaria deducibilità dal reddito di impresa o di lavoro autonomo;
    d) assumere iniziative volte alla promozione culturale e formativa dei metodi di pagamento elettronici facendo leva sulla trasparenza delle transazioni e sulla velocità e semplicità di utilizzo.
(1-00895) «Matarrese, Mazziotti Di Celso, Librandi, Sottanelli, Vargiu, Galgano».


   La Camera,
   premesso che:
    il tema dell'introduzione di una nuova normativa sulle unioni civili e sulla trascrivibilità del matrimoni stipulati all'estero tra coppie omosessualità è al centro del dibattito politico degli ultimi mesi;
    in particolare, numerosi sindaci italiani hanno disposto la trascrizione di tali matrimoni nei registri dello stato civile;
    il ministro dell'interno, con circolare del 7 ottobre 2014 ha dato istruzioni ai prefetti di invitare i sindaci a ritirare le disposizioni sulla trascrizione e alla cancellazioni delle trascrizioni effettuate e ad annullare d'ufficio gli atti illegittimamente adottati;
    il TAR del Lazio, a seguito di ricorso contro il decreto adottato dal prefetto di Roma che aveva annullato le trascrizioni nei registri dello stato civile effettuate a Roma, ha dichiarato invalide tali disposizioni stabilendo che la competenza ad annullare le trascrizioni spetta all'autorità giudiziaria ordinaria;
    recentemente, alcuni giudici ordinari (ad esempio il tribunale di Grossetto), hanno ritenuto trascrivibili i matrimoni tra persone dello stesso sesso stipulati all'estero, richiamando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (sentenza Schalk e Kopf c. Austria);
    tali pronunce, pur in linea con alcuni princìpi dettati a livello internazionale, non paiono conformi alla sentenza della Corte di Cassazione n. 4184/2012 che, pur riconoscendo che i matrimoni tra persone dello sesso non sono contrari all'ordine pubblico, ha dato risposta negativa al quesito circa la trascrivibilità di tali matrimoni nei registri dello stato civile,

impegna il Governo:

   a favorire per quanto di competenza l'approvazione di una legge sulle unioni civili, che superi l'incertezza normativa con riguardo alle persone dello stesso sesso;
   ad assumere tutte le opportune iniziative, per sensibilizzare i comuni, nelle more dell'approvazione della legge sulle unioni civili, a conformarsi alla legge e alla giurisprudenza della Corte di Cassazione.
(1-00896) «Mazziotti Di Celso, Antimo Cesaro, Rabino, Vecchio, Catania, Galgano, Cimmino».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2013 la spesa complessiva per prestazioni pensionistiche, pari a 272.746 milioni di euro, è aumentata dello 0,7 per cento rispetto all'anno precedente e la sua incidenza sul Pil è cresciuta di 0,22 punti percentuali, dal 16,63 per cento del 2012 al 16,85 per cento del 2013;
    i pensionati sono 16,4 milioni, circa 200 mila in meno rispetto al 2012; in media ognuno di essi percepisce 16.638 euro all'anno (323 euro in più del 2012) tenuto conto che, in alcuni casi, uno stesso pensionato può contare anche su più di una pensione;
    le donne rappresentano il 52,9 per cento dei pensionati e percepiscono assegni di importo medio pari a 13.921 euro (contro i 19.686 degli uomini); oltre la metà delle donne (50,5 per cento) riceve meno di mille euro al mese, a fronte di circa un terzo (31,0 per cento) degli uomini;
    il 41,3 per cento dei pensionati percepisce un reddito da pensione inferiore a 1.000 euro al mese, un ulteriore 39,4 per cento tra 1.000 e 2.000 euro; il 13,7 per cento percepisce tra 2000 e 3000 euro, mentre la quota di chi supera i 3.000 euro mensili è pari al 5,6 per cento;
    nel 2013 il sistema pensionistico italiano ha erogato 23,3 milioni di prestazioni, per un ammontare complessivo pari a 272.746 milioni di euro;
    è quanto emerge dalla rilevazione annuale sui trattamenti pensionistici e sui loro beneficiari condotta dall'Istat e dall'Inps, a partire dai dati dell'archivio amministrativo – Casellario centrale dei pensionati;
    non stupisce se tutti i Governi con cadenza quasi annuale varano almeno un provvedimento che interessa i pensionati: la spesa pensionistica rientra appieno nelle manovre di spending review e pur tuttavia le stesse manovre che colpiscono il reddito pensionistico spesso vengono giustificate anche da politiche di cosiddetta redistribuzione del reddito;
    a pagare, però, sono sempre gli stessi: i ceti medi, i pensionati, i lavoratori dipendenti, le famiglie, sui quali già gravano il maggior costo dei generi di consumo, per effetto dell'aumento dell'IVA o di altre imposte indirette e i drastici tagli nei servizi sociali;
    oggi la politica appare dominata dai bilanci e l'economia si occupa in maniera ragionieristica dei soli «conti» e dimenticano gli uomini, «che dovrebbero essere il metro per valutare la dignità del lavoro», cancellando le certezze giuridiche che sono state i pilastri del rapporto del lavoro dipendente;
    il capitolo previdenza è invece la voce preponderante del bilancio pubblico, affrontato nelle varie manovre;
    più facile appare colpire il reddito dei pensionati e dei lavoratori dipendenti per recuperare risorse e drenare risparmi di spesa;
    il legislatore inspiegabilmente ed ingiustificatamente aumenta gli squilibri, trascurando del tutto di colpire le ricchezze evase al fisco e persino gli introiti derivanti da rendite ben conosciute (quali le rendite catastali e finanziarie), per concentrarsi su una fascia specifica di cittadini (i pensionati), colpevoli unicamente di appartenere ad una categoria e di avere redditi facilmente accertabili ed ancora più facilmente «attaccabili»;
    più volte è intervenuta la Corte Costituzionale lanciando «moniti» al legislatore per porre un freno ai prelievi giustificati dalla cosiddetta «emergenza finanziaria» e divenuti sempre più frequenti e «pesanti» sul reddito ed in particolare sui redditi pensionistici e sui cittadini titolari di pensione;
    con la sentenza n. 116 del 2013 la Corte costituzionale, chiamata a giudicare la legittimità di prelievi sulle pensioni pubbliche e private, ebbe a censurare le norme soggette al suo sindacato «un intervento impositivo irragionevole e discriminatorio ai danni di una sola categoria di cittadini. L'intervento riguarda, infatti, i soli pensionati, senza garantire il rispetto dei principi fondamentali di uguaglianza a parità di reddito, attraverso una irragionevole limitazione della platea dei soggetti passivi, divenuta peraltro ancora più evidente, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'analogo prelievo di cui al comma 2 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 (sentenza n. 223 del 2012).»;
    eppure il nostro ordinamento riconosce una particolare tutela ai trattamenti pensionistici, che hanno natura di retribuzione differita «sicché il maggior prelievo tributario rispetto ad altre categorie risulta con più evidenza discriminatorio, venendo esso a gravare su redditi ormai consolidati nel loro ammontare, collegati a prestazioni lavorative già rese da cittadini che hanno esaurito la loro vita lavorativa, rispetto ai quali non risulta più possibile neppure ridisegnare sul piano sinallagmatico il rapporto di lavoro» (Corte costituzionale, sentenza n. 116 del 2013);
    recentemente la Corte costituzionale con sentenza n. 70 del 2015 nel dichiarare l'illegittimità dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo INPS, nell'accertare la lesione di un diritto costituzionalmente rilevante, ha affermato che: «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, Cost.) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, Cost.). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 Cost. e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, Cost.»;
    la Corte afferma l'esistenza di diritti di rilevanza costituzionale non comprimibili dall’«emergenza finanziaria»: anziani e giovani sono sullo stesso fronte: gli assegni di oggi e di domani diventano precari e non possono fare da bancomat per le esigenze di finanza.;
    la «questione pensioni» diventa, pertanto, emergente e urgente e non riguarda più solo gli anziani, ma coinvolge anche i giovani, poiché la difesa delle pensioni di oggi è una difesa del sistema pensionistico pubblico;
    i pensionati, lungi dal rappresentare un «peso» per la società, costituiscono (purtroppo) un ammortizzatore sociale per le tante famiglie con giovani che soffrono una disoccupazione mai così forte e per coloro che perdono il lavoro, in una condizione diffusa di incertezza del futuro lavorativo, collegata anche ai nuovi contratti del cosiddetto Jobs Act;
    l'associazione Alleanza, pensionati italiani, per mezzo del coordinatore regionale per l'Umbria, Domenico Angelini, ha fatto pervenire ai deputati della 13 esima legislatura e al Presidente della Repubblica richiesta per l'istituzione di un Ministero senza portafoglio che si interessi dei 16 milioni di pensionati;
    è necessario mettere in atto un intervento per tutelare e proteggere il sistema pensionistico pubblico e il reddito dei pensionati che percepiscono assegni modesti,

impegna il Governo:

   a proporre la nomina di un Ministro senza portafoglio dei pensionati con finalità di salvaguardia del sistema pensionistico pubblico e di tutela dei diritti del cittadino pensionato con redditi modesti, e con funzioni di consulenza in materia di riforme previdenziali e di monitoraggio e controllo dell'impatto delle previsioni economiche e finanziarie sui redditi pensionistici più bassi;
   ad affidare tale incarico ministeriale esclusivamente a un soggetto titolare di soli trattamenti pensionistici non superiori a 1.700,00 euro lordi al mese.
(1-00897) «Ciprini, Cominardi, Tripiedi, Grillo, Lorefice, Gallinella, Dall'Osso, Baroni, Gagnarli, Massimiliano Bernini».


   La Camera,
   premesso che:
    da notizie di stampa si apprende che l'On. Giuseppe Castiglione, Sottosegretario di Stato alle Politiche agricole alimentari e forestali, risulterebbe indagato a Catania, nell'ambito della nota inchiesta «Mafia capitale», per la gestione del centro di accoglienza Cara (centro accoglienza richiedenti asilo) di Mineo;
   già nel dicembre del 2014 il nome dell'onorevole Castiglione era comparso in alcune intercettazioni ambientali, avvenute nella sede della Fondazione Integra/Azione a Roma, tra Luca Odevaine e l'imprenditore Silvio Praino, amministratore della Php srl, dalle quali emerge l'intenzione di Odevaine di voler fare pressioni a favore dell'imprenditore che, nella stessa occasione, dice di avere in programma una cena con l'onorevole Castiglione e chiede ad Odevaine cosa possa fare il Sottosegretario;
    la conferma dell'indagine a carico del Sottosegretario è nel decreto di perquisizione degli uffici comunali di Mineo e l'accusa riguarderebbe le ipotesi di turbativa d'asta e turbata libertà di scelta del contraente, nel decreto la procura ipotizza: «turbavano le gare di appalto per l'affidamento della gestione del Cara di Mineo del 2011, prorogavano reiteratamente l'affidamento e prevedevano gara idonee a condizionare la scelta del contraente con riferimento alla gara di appalto 2014»;
    le stesse fonti giornalistiche riportano che l'onorevole Castiglione «nel 2014, su indicazione di Luca Odevaine, membro del Tavolo nazionale immigrazione e, secondo i pubblici ministeri, pedina di Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, avrebbe favorito la coop «La cascina» in un appalto da 100 milioni». «La Cascina» faceva parte di un raggruppamento d'imprese che ha vinto l'appalto in questione e i cui è compreso anche il Consorzio «Calatino terra di Solidarietà» di cui l'onorevole Castigione era stato presidente ed Odevaine, consulente esperto;
    più in particolare sempre da notizie di stampa si apprende che Odevaine parla di un «percorso concordato» con Castiglione e aggiunge: «Per cui alla fine lui capisce... gli dico: Noi dobbiamo creare un gruppo, poi facciamo la gara, però certo favoriamo le condizioni per cui ci sia un gruppo forte che sta roba qua vince» per cui gli presento questi dell'Arciconfraternita a Roma... e poi è nato questo, peraltro è nato e si è sviluppato poi per altri aspetti, perché Castiglione si è avvicinato molto a Comunione e Liberazione, insieme ad Alfano e adesso Comunione e Liberazione di fatto sostiene strutturalmente tutta questa roba di Alfano e del Centro Destra e Castiglione è il loro principale referente in Sicilia, cioè quello che poi gli porta i voti». Andato via Castiglione, Odevaine ha subito trovato nuovi «referenti» nei sindaci entrati a far parte del Consorzio. «Castiglione se n’è andato e io mi sono inventato questo Consorzio di Comuni, i quali all'inizio non volevano il Centro... adesso se provi a levarglielo... te ammazzano... perché, sò soldi per loro, 350 persone ci lavorano»;
    lo stesso Salvatore Buzzi nel corso di una dichiarazione del 31 marzo scorso, riportata dalla stampa, ha dichiarato: «A me questa storia l'ha raccontata Luca Odevaine. So che il Comune indice la gara, il Comune, il Consorzio, indice la gara e credo che il sottosegretario Castiglione sia fortemente interessato a questa cosa, e fa si che la gara venga aggiudicata, almeno così, venga, insomma, indicato chi è il soggetto che dovesse vincerla nel 2012». Il pm chiede: «Solo per chiarezza, è sempre stato Odevaine a dirle queste cose su Castiglione ?». «Sì», risponde Buzzi.»;
    lo scorso 27 maggio, in una lettera indirizzata al ministro Alfano, Raffaele Cantone, Presidente dell'autorità nazionale anticorruzione, definiva illegittimo l'appalto del Cara di Mineo vinto nell'aprile 2014 da un raggruppamento di imprese che comprende «La Cascina» e informava il ministro della scelta di ANAC di sottoporre la questione al giudice contabile per la valutazione di eventuali profili di danno erariale;
    ai sensi dell'articolo 10 della legge 23 agosto 1988, n. 400, recante «Disciplina dell'attività di Governo e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri» i sottosegretari di Stato sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro che il Sottosegretario è chiamato a coadiuvare, sentito il Consiglio dei ministri;
    prima di assumere le funzioni, i Sottosegretari di Stato prestano giuramento nelle mani del Presidente del Consiglio dei ministri con la seguente formula: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservarne lealmente la Costituzione e le leggi e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione»;
    alla luce di quanto descritto sono venute meno le condizioni per la permanenza dell'onorevole Giuseppe Castiglione nella carica e nelle funzioni di Sottosegretario di Stato;
    a prescindere dall'eventuale responsabilità penale dell'onorevole Castiglione, appare, infatti, necessario, al fine di salvaguardare le istituzioni italiane nel loro prestigio e nella loro dignità, che il Governo non consenta ad una persona sottoposta ad indagini per così gravi delitti, in attesa di dimostrare la sua piena innocenza, di continuare ad esercitare le proprie funzioni di Governo,

impegna il Governo

ad avviare immediatamente le procedure di revoca — su proposta del Presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri — della nomina a Sottosegretario di Stato dell'onorevole Giuseppe Castiglione.
(1-00898) «Lorefice, Colonnese, Brescia, Businarolo, Sorial, Frusone, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brugnerotto, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Mantero, Marzana, Micillo, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Spadoni, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni III e IV,
   premesso che:
    sul territorio italiano insistono almeno 50 installazioni militari americane (come può evincersi dal «Base Structure Report - Fiscal Year 2014 Baseline - A Summary of the-Real Property Inventory» del dipartimento della difesa degli Stati) delle quali si possono considerare delle basi vere e proprie solo 7 e cioè Aviano, Ghedi, Vicenza, Livorno, Gaeta, Napoli e Sigonella;
    è opinione dominante, della dottrina internazionalistica, quella secondo la quale il fondamento giuridico delle basi USA in Italia derivi dalla conclusione di accordi bilaterali in ambito NATO, e pertanto dovrebbero servire al perseguimento degli scopi del trattato dell'Atlantico del Nord;
    è possibile distinguere tra strutture militari della NATO e strutture USA: nel primo caso è necessario un accordo con lo Stato membro ospitante, nel secondo caso si procede comunque ad accordi bilaterali Italia-USA che sono stati ricondotti sotto la lettera dell'articolo 3 del Trattato Nato («Allo scopo di conseguire con maggiore efficacia gli obiettivi del presente Trattato, le parti, agendo individualmente e congiuntamente, in modo continuo ed effettivo, mediante lo sviluppo delle loro risorse e prestandosi reciproca assistenza, manterranno e accresceranno la loro capacità individuale e collettiva di resistere ad un attacco armato);
    un autorevole esperto di diritto internazionale, Natalino Ronzitti, ha comunque evidenziato le difficoltà nel distinguere tra basi NATO e basi in uso agli Stati Uniti, sia perché nelle prime possono esistere aree riservate esclusivamente agli USA, sia perché gli accordi istitutivi delle altre installazioni americane in Italia sono coperti da segreto; per quest'ultime, infatti, è stata spesso utilizzata la procedura semplificata con la quale, come è noto, l'accordo entra immediatamente in vigore senza il successivo passaggio in Parlamento per l'autorizzazione alla ratifica del Presidente della Repubblica (articoli 80 e 87 Costituzione), come invece avviene per gli accordi cosiddetti a forma solenne (per i quali si rende necessaria un apposita legge di ratifica);
    al pari di questi ultimi, anche gli accordi internazionali in forma semplificata – almeno a partire dal 1984 – devono però essere pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale;
    difatti, l'articolo 1 della legge 11 dicembre 1984, n. 839 (Norme sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi della Repubblica italiana e sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana) prevede che «si inseriscono e si pubblicano nel testo integrale: gli accordi ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni internazionali, ivi compresi quelli in forma semplificata»;
    risulta, tuttavia, che la predetta disposizione legislativa sia stata regolarmente disattesa;
    ad esempio, il contenuto dell'accordo bilaterale sulle infrastrutture (BIA) – anche noto come «Accordo ombrello» – stipulato in forma semplificata tra Italia e USA in data 20 ottobre 1954, non è mai stato reso pubblico;
    alcuni accordi bilaterali, proprio come il citato BIA, hanno una elevata classifica di segretezza e non possono essere declassificati unilateralmente;
    in sede parlamentare, difatti, stando a quanto riportato dai Ministri della difesa pro tempore intervenuti in materia, gli accordi bilaterali con i quali installazioni militari italiane sono state messe a disposizione di forze alleate «hanno classifica di segretezza a livello di “segreto”, che entrambi i contraenti hanno l'obbligo di rispettare. Non è quindi possibile una loro divulgazione senza il preventivo consenso degli organi di sicurezza competenti delle due parti»;
    secondo l'orientamento della maggioritaria dottrina (Ronzitti, Mortati, Cassese, Barbera, Barile) i trattati segreti sarebbero illegittimi;
    si tratta di tesi che poggiano sulla ricostruzione dei principi costituzionali in materia e su quelli dei rapporti tra organi costituzionali (in particolare tra Governo, Presidenza della Repubblica e Parlamento): se è vero che, da un lato, tra i valori garantiti dalla Carta costituzionale sono da ricomprendere anche la difesa e la sicurezza, dall'altro lato, questi stessi valori, non potranno mai portare al totale annullamento del principio democratico del controllo parlamentare sulla politica estera del  Governo;
    in ogni caso il numero delle 50 basi, delle altre installazioni presenti sul territorio italiano e del personale militare e civile USA in Italia è altissimo; secondo quanto riportato dal sito Defence Manpower Data Center, alla data del 31 luglio 2013, si trovavano in Italia 11.963 militari statunitensi e 5.631 civili;
    la Francia, a partire dal 1966 è fuoriuscita dalla struttura militare integrata, ponendo fine a tutti gli accordi conclusi con gli USA;
    va considerato, infine, che le basi e le installazioni hanno, per l'Italia, costi sia diretti che indiretti;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle – con l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-01979, a prima firma Paolo Bernini, – ha chiesto al Ministro della difesa quali fossero i costi diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato, ma nella risposta fornita dal Sottosegretario di Stato alla difesa non si fa menzione alcuna dei costi che l'Italia sarebbe costretta a sopportare in forza degli accordi bilaterali istitutivi di basi o installazioni militari USA;
    viceversa, da un documento del dipartimento della difesa USA denominato «Allied Contributions to the Common Defence», anche se un po’ datato (2002), emerge come il contributo italiano agli USA, per il mantenimento delle basi sul territorio italiano, ammonterebbe a 366,6 milioni di dollari, importo equivalente al 41 per cento del costo sostenuto dagli Stati Uniti per le basi stesse (contributo ben più alto rispetto al 33 per cento sostenuto dalla Germania ed al 27 per cento a carico del Governo inglese);
    la NATO, a partire dal cosiddetto documento di Washington del 1999, ha mutato e ampliato i propri scopi, con possibile rischio di incompatibilità con l'articolo 11 della Costituzione;
    il predetto documento del ’99 – approvato al vertice di Washington del 23-25 aprile 1999 – e il successivo documento approvato dal vertice dei Capi di Stato e di Governo dell'Alleanza tenutosi a Lisbona il 19 e il 20 novembre 2010, hanno ampliato i poteri e gli scopi della Nato introducendo la possibilità di effettuare missioni cosiddette «operazioni non-Articolo 5» che vanno, dunque, oltre quelle di legittima difesa collettiva a favore di uno Stato membro;
    ciò comporta una proiezione delle azioni NATO verso aree e territori di Paesi terzi rispetto all'Alleanza Atlantica (come è successo, ad esempio, in Kossovo, in Afghanistan e in Libia) con la conseguenza che le basi militari in Italia potrebbero essere utilizzate per scopi non soltanto difensivi con possibili violazioni dell'articolo 11 Costituzione,

impegnano il Governo:

   a procedere a una riduzione delle installazioni e delle basi militari NATO e USA in Italia;
   a rendere di pubblico dominio il numero e l'ubicazione di tutte le installazioni e basi militari NATO e USA in Italia;
   a rendere di pubblico dominio tutti i costi diretti e indiretti a carico del bilancio dello Stato in relazione a ogni singola base e installazione sul territorio italiano;
   a pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, ai sensi della legge n. 839 del 1984, tutti gli accordi bilaterali conclusi a far data dell'entrata in vigore della legge stessa e, comunque, a rendere di pubblico dominio il contenuto di tutti gli accordi bilaterali Italia-USA relativi alle basi e alle installazioni che si trovano sul territorio italiano;
   conseguentemente, ad attivarsi, nei confronti del Governo USA, al fine di ottenere il consenso alla declassificazione di tutti gli accordi bilaterali concernenti basi e/o installazioni militari in Italia.
(7-00701) «Di Battista, Frusone, Grande, Scagliusi, Basilio, Spadoni, Tofalo, Del Grosso, Rizzo, Corda, Paolo Bernini, Manlio Di Stefano, Sibilia».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    con il decreto legislativo n. 30 del 2013, l'Italia ha emanato la norma di attuazione della direttiva 2009/29/CE, che modifica la direttiva 2003/87/CE, al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario per lo scambio di quote di emissione di gas a effetto serra;
    ai sensi dell'articolo 19 del citato decreto legislativo la messa all'asta della quantità di quote determinata con decisione della Commissione europea, ai sensi dell'articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2003/87/CE, è disciplinata dal regolamento sulle aste;
    alla ripartizione delle risorse si provvede con appositi decreti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM), di concerto con il Ministero dello sviluppo economico (MSE) e il Ministero dell'economia e delle finanze (MEF) da emanarsi entro il 31 maggio dell'anno successivo a quello di effettuazione delle aste, nella misura del 70 per cento a favore del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del 30 per cento a favore del Ministero dell'economia e delle finanze;
    il 9 maggio 2014, ai sensi del comma 4 del su citato articolo 19 è stata firmata la convenzione tra il Ministero dell'economia e delle finanze e Gestore del servizio elettrico che disciplina le modalità nelle quali il Gestore del servizio elettrico adempie al proprio ruolo di responsabile del collocamento delle quote italiane, nel rispetto di quanto già previsto dalla regolazione europea di settore e in particolare dal regolamento aste;
    secondo quanto reso noto dal Gestore del servizio elettrico tramite il rapporto annuale sulle aste di quote europee di emissione 2014 al 31 dicembre 2014, in coerenza con quanto previsto dalla convenzione, sono stati trasferiti alla tesoreria dello Stato proventi per oltre 464 milioni di euro relativi alle aste e agli interessi maturati nel corso degli anni 2012 e 2013;
    i ricavi complessivamente generati dalle aste nell'anno 2014, circa 365 milioni di euro resteranno sotto la temporanea custodia del Gestore del servizio elettrico fino al loro trasferimento alla tesoreria dello Stato che, in conformità con le indicazioni della convenzione del Ministero dell'economia e delle finanze – Gestore del servizio elettrico del 9 maggio 2014, deve avvenire entro e non oltre il 20 maggio 2015 al netto dei costi di gestione;
    i proventi delle aste di competenza dell'anno 2013, sono così ripartiti:
     a) il 50 per cento, pari a 213,2 milioni di euro, è assegnato al Ministero dello sviluppo economico per il rimborso dei crediti spettanti agli operatori degli impianti ETS (Emissions Trading System) cosiddetti «nuovi entranti»;
     b) il restante 50 per cento, è destinato alle finalità ambientali ed è suddiviso come segue:
      il 70 per cento, pari a 149,2 milioni di euro, è assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il rimanente 30 per cento, pari a 64 milioni di euro, è assegnato al Ministero dello sviluppo economico;
      con riferimento a queste ultime risorse destinate a finalità ambientali, il Ministero dell'ambiente e quello dello sviluppo economico stanno dando seguito alla realizzazione di programmi per l'efficienza energetica (di cui al decreto legislativo n. 102/2014), la lotta ai cambiamenti climatici e la mobilità sostenibile. In particolare:
       1. per il programma «Miglioramento della prestazione energetica degli immobili della Pubblica amministrazione centrale» sono destinati fino a 20 milioni di euro per l'anno 2014 e fino a 30 milioni di euro annui per il periodo 2015/2020;
       2. per il «Fondo nazionale per l'efficienza energetica» sono destinati fino a 50 milioni annui dal 2014 al 2020;
       3. per il «Programma di promozione delle diagnosi energetiche presso le Piccole e Medie Imprese» sono destinati fino a 15 milioni annui dal 2014 al 2020;
       4. per il «Programma di informazione e formazione per promuovere e facilitare l'uso efficiente dell'energia» sono destinati fino a 1 milione annuo dal 2015 al 2017;
       5. per il «Programma di verifiche e controlli in relazione alla diagnosi energetica per le grandi imprese e le imprese a forte consumo di energia» sono destinati fino a 0,3 milioni annui dal 2014 al 2020;
       6. per il «Il Green Climate Fund (GCF)» è destinata una somma pari a 50 milioni di euro nell'ambito dell'impegno preso dall'Italia;
       7. per il «Fondo mobilità sostenibile» sono destinati fino a 35 milioni di euro,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per modificare, una volta espletati gli obblighi di rimborso dei crediti spettanti agli operatori degli impianti ETS (Emissions Trading System) cosiddetti «nuovi entranti», le disposizioni in merito all'assegnazione dei proventi delle aste in senso di una maggiore efficienza delle allocazioni, da destinare integralmente al finanziamento di ricerca e sviluppo di tecnologie e pratiche di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici secondo le linee generali espresse dalla «Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici»;
   ad assicurare trasparenza nella selezione dei membri del Comitato ETS attraverso l'introduzione di forme di selezione pubblica dei candidati in base alla determinazione di criteri minimi per la selezione;
   a potenziare i dispositivi di controllo per eliminare i margini di speculazione finanziaria sui costi di impresa finalizzati all'abbattimento delle emissioni.
(7-00700) «De Rosa, Busto, Daga, Mannino, Micillo, Terzoni, Zolezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, DURANTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, PANNARALE, SANNICANDRO, SCOTTO, FRATOIANNI, FRANCO BORDO, QUARANTA, PIRAS, DANIELE FARINA, MELILLA, PALAZZOTTO, GIANCARLO GIORDANO, PELLEGRINO, ZACCAGNINI, PAGLIA, NICCHI, MARCON, COSTANTINO e KRONBICHLER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 giugno 2015 i maggiori organi di stampa hanno riportato la notizia di un grave incidente all'Ilva di Taranto, dove un operaio trentacinquenne addetto al controllo della temperatura della ghisa, Alessandro Morricella, è stato investito da un getto incandescente che gli ha causato ustioni sul 90 per cento del corpo;
   l'incidente è avvenuto all'altoforno 2, uno dei due attualmente in attività nello stabilimento, mentre gli altri altiforni (1 e 5) sono attualmente fermi per i lavori di adeguamento alle prescrizioni ambientali (La Repubblica.it, 8 giugno 2015);
   l'altoforno 2, impianto dell'area a caldo, era stato posto sotto sequestro dalla magistratura nel luglio del 2012, ma successivamente concesso in facoltà d'uso all'azienda dal decreto proposto dall'allora Ministro Clini nel dicembre 2012;
   secondo la ricostruzione effettuata dagli agenti della polizia e dai funzionari dello Spesal (Servizio di prevenzione e sicurezza negli ambienti di lavoro), l'operaio stava controllando la temperatura della ghisa quando all'improvviso è stato investito da un getto violento dello stesso materiale, «diventando una torcia umana», nonostante indossasse la tuta (Gazzetta del Mezzogiorno, 9 giugno 2015);
   l'operaio al momento è ricoverato in condizioni gravissime nel reparto rianimazione del Policlinico di Bari;
   a seguito dell'incidente, dalle ore 11 del 9 giugno sino alla stessa ora del giorno successivo, le rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento siderurgico hanno proclamato uno sciopero, sollecitando «tutti gli approfondimenti del caso per individuarne le cause e valutarne i rischi», sottolineando come il fatto, privo di precedenti per la sua gravità, non sia attribuibile alla mera fatalità –:
   di quali elementi dispongano con riferimento ai fatti descritti in premessa e alle iniziative che si intendano adottare per garantire la sicurezza del personale nello stabilimento Ilva di Taranto;
   se siano in grado di fornire ogni elemento a disposizione in merito allo stato del processo di riqualificazione ambientale previsto dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, che ha convertito in legge il cosiddetto «decreto Ilva». (5-05765)


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Ferriera di Servola (Trieste) è un complesso industriale specializzato nella produzione di ghisa che nel corso del 2014 è passato dalla Lucchini in amministrazione straordinaria alla Siderurgica Triestina S.r.l., società del gruppo Arvedi;
   le vicende relative alla Ferriera sono state esaminate e sollevate dall'interrogante in diversi atti parlamentari per le numerose criticità di natura industriale, ambientale e sanitaria legate all'impianto;
   con la legge 24 giugno 2013, n. 71, di conversione del decreto-legge 26 aprile 2013, n. 43, è stata riconosciuta l'area di Trieste quale «area di crisi industriale complessa» (articolo 1, 7-bis);
   il decreto-legge «Destinazione Italia» n. 145 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, all'articolo 4, prevede misure volte a favorire la realizzazione delle bonifiche dei siti di interesse nazionale e interventi particolari per l'area di crisi complessa di Trieste;
   il comma 11 dell'articolo 4 summenzionato, stabilisce la nomina, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, del presidente della regione Friuli Venezia Giulia a commissario straordinario per l'attuazione dell'accordo quadro legato alla realizzazione degli interventi per l'area industriale di Trieste in quanto riconosciuto quale «area di crisi industriale complessa»; tale decreto non risulta a tutt'oggi ancora pubblicato;
   il 30 gennaio 2014 è stato firmato l'accordo di programma, stipulato tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, il Ministero per la coesione territoriale, la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, la provincia di Trieste, il comune di Trieste, l'autorità portuale di Trieste, INVITALIA (Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo di impresa s.p.a.), contenente «la disciplina degli interventi relativi alla riqualificazione delle attività industriali e portuali e del recupero ambientale dell'area di crisi industriale complessa di Trieste» – accordo di programma di Trieste;
   in data 21 novembre 2014 è stato firmato l'accordo di programma per l'attuazione del «Progetto integrato di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo economico produttivo nell'area della Ferriera di Servola», tra il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dello sviluppo economico, d'intesa con la regione autonoma Friuli Venezia Giulia, rappresentata dal presidente della regione e l'autorità portuale di Trieste, rappresentata dal presidente dell'autorità portuale con Siderurgica Triestina S.r.l.;
   il progetto di messa in sicurezza, riconversione industriale e sviluppo dell'area della Ferriera ad opera di Siderurgica Triestina s.r.l. è tuttora in corso;
   nella relazione trimestrale del 3 aprile 2015, avente per oggetto «Stabilimento siderurgico di Servola. Sforamento dei limiti di emissione», l'Arpa Friuli Venezia Giulia ha evidenziato che i valori di benzene, benzo(a)pirene e di PM10 sono saliti dopo la ripresa delle attività a regime operativo standard, con picchi di medie giornaliere che superano la soglia di sicurezza anche del 100 per cento, e non sporadicamente, talvolta per più giorni consecutivi;
   in particolare, dalla relazione si evidenzia che presso la stazione di rilevamento di via San Lorenzo in Selva, proprio quella più vicina alla cokeria, a partire da marzo ci sia stato un netto incremento delle emissioni di benzene, benzo(a)pirene e del particolato PM10;
   sempre dalla relazione si apprende che nel solo mese di marzo sono stati registrati «11 superamenti del valore di 50 microgrammi/metro cubo, non attribuibili al contesto meteo climatico locale», specificando che si sono verificati nelle giornate dell'11, 13, 14, 15, 18, 19, 20, 24, 26, 30, 31 marzo;
   preso atto dei dati ARPA, la direzione centrale ambiente della regione Friuli Venezia Giulia, il 10 aprile 2015, ha emesso il decreto n. 549/AMB con cui «Siderurgica Triestina è diffidata a limitare la marcia della batteria della cokeria e, comunque, a non superare i 67 sfornamenti al giorno»;
   alla data del 24 maggio 2015 detta diffida non era ancora stata ottemperata, come risulta chiaramente dai report settimanali sugli sfornamenti della cokeria, elaborati dalla proprietà stessa, né si è avuta pubblica contezza di ulteriori interventi sanzionatori da parte degli emettitori della diffida stessa;
   dall'articolo del quotidiano Il Piccolo del 5 maggio, si apprende che l'assessore all'ambiente della regione Friuli Venezia Giulia Sara Vito, dopo le proteste giunte da parte di molti residenti, abbia garantito l'interessamento della regione, interessamento che purtroppo non si è ancora concretizzato;
   l'Associazione «NO SMOG» sempre a seguito dei dati registrati dall'Arpa, ha presentato una diffida al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trieste con il quale viene denunciato il superamento dei limiti di legge per il particolato PM10 presso la stazione di rilevamento di via San Lorenzo in Selva, precisando che il 22 aprile 2015 è stata superata la soglia massima di inquinamento concesso dal decreto legislativo n. 155 del 2010 per il particolato PM10 e specificando che dall'inizio del 2015 all'11 maggio gli sforamenti sarebbero stati 43;
   «NO SMOG» segnala, inoltre, che i superamenti della soglia massima di concentrazione, dall'11 aprile al 9 maggio 2015, sono stati ben 16; ritenendo, comunque, che la cokeria non sia la sola fonte di emissione del complesso industriale, l'esposto chiede al procuratore della Repubblica di Trieste di individuare le responsabilità dei soggetti preposti alla tutela della salute pubblica, qualora fossero riscontrati reati omissivi;
   nel corso degli ultimi mesi la situazione starebbe notevolmente peggiorando, sia per quanto concerne le emissioni in atmosfera, sia per quelle acustiche. Numerosi sarebbero, infatti, gli esposti presentati presso le autorità competenti da diversi residenti e in misura crescente le chiamate di protesta ai centralini del comune e della polizia municipale (nel solo mese di aprile sono state verbalizzate 143 segnalazioni). Da un articolo de Il Piccolo del 12 maggio 2015 si apprende, poi, che sarebbero state depositate 10mila firme presso la regione Friuli Venezia Giulia per chiedere il blocco delle attività della Ferriera;
   gli ultimi dati consultabili sul sito web dell'ARPA Friuli Venezia Giulia appaiono molto preoccupanti: al 6 giugno gli sforamenti registrati da gennaio 2015 risultano essere 56, superando di molto la soglia di tolleranza massima dei 35 sforamenti annui indicati nella tabella XI del decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni;
   non risultano a disposizione del pubblico dati analitici sulla qualità dei suoli, anche di proprietà pubblica quali cortili e giardini di plessi scolastici includenti anche scuole materne, prossimi allo stabilimento e bersaglio degli inquinanti provenienti dallo stesso, né le conseguenti eventuali norme comportamentali atte ad evitare rischi per la salute pubblica –:
   se non ritengano di intervenire urgentemente, per quanto di competenza, per impedire il continuo aumento degli agenti inquinanti, ed in che modo;
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intendano adottare, anche di concerto con le istituzioni locali, al fine di tutelare la salute pubblica, in base al principio di precauzione, ormai riconosciuto anche dalla giurisprudenza italiana;
   se ritengano di verificare il puntuale rispetto degli impegni presi da Siderurgica Triestina con l'accordo di programma del 21 novembre 2014. (5-05768)

Interrogazione a risposta scritta:


   FERRARESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la necessità di favorire la massima trasparenza amministrativa e la diffusione delle informazioni consentendo l'accesso all'organizzazione e all'attività delle pubbliche amministrazioni è testimoniata da numerosi interventi normativi succedutisi nel nostro ordinamento, i quali, tuttavia, non sembra abbiano ancora sortito i risultati auspicati; da più parti, anche dalle numerose segnalazioni che provengono da cittadini delusi per le difficoltà e l'impossibilità all'accesso delle loro richieste, si evidenzia la difficoltà riscontrata nella pratica prevista;
   il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni) all'articolo 5 prevede l'obbligo in capo alle pubbliche amministrazioni a pubblicare documenti, informazioni o dati e comporta il diritto di chiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui sia stata omessa la loro pubblicazione;
   l'allegato A elenca e descrive i documenti, le informazioni e i dati previsti dal decreto da inserire all'interno della sezione dei siti istituzionali denominata: amministrazione trasparente;
   il fatto stesso che si indichino quali «documenti, informazioni, dati» inserire di per sé indica gioco forza una parzialità dell'insieme dell'attività delle pubbliche amministrazioni, lasciando al tempo stesso discrezionalità, da parte dell'amministrazione, nel decidere quali informazioni si vogliano e meno ritenere soggette all'obbligo di pubblicazione; con il risultato, contrario all'intento, che non si assicura, a chiunque lo richieda, la conoscenza di qualsiasi informazione inerente l'attività di una amministrazione pubblica, ma solo di quelle oggetto di pubblicazione; nel sistema delineato dal decreto legislativo n. 33 del 2013, affinché possa essere esercitato il cosiddetto diritto di accesso civico, deve preesistere un obbligo normativo di pubblicazione;
   inoltre, nei casi di ritardo o mancata pubblicazione e risposta, da parte del responsabile della trasparenza, la disposizione consente al richiedente l'uso di uno strumento facoltativo, consistente nella richiesta di intervento del titolare del potere sostitutivo, di cui all'articolo 2, comma 9-bis, della legge n. 241 del 1990 ma, essendo tale strumento «facoltativo» e non obbligatorio, potrebbe non essere stato previsto, obbligando quindi il richiedente a rivolgersi direttamente al giudice amministrativo, con grave dispendio di tempo e di risorse, anche in carico al trattamento del caso da parte dei TAR;
   è evidente che, fermi restando i limiti alla diffusione e all'accesso delle informazioni di cui all'articolo 24, comma 1 e 6, della legge 7 agosto 1990, n. 241, da un lato l'aver circoscritto ciò che è obbligo pubblicare e dall'altro la discrezionalità nell'inserimento del materiale da parte delle amministrazioni, ben lontano si rappresenta l'obiettivo del decreto legislativo n. 33 del 2013, che all'articolo 1 descrive la trasparenza «come accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni»;
   non aiuta nella comprensione del migliore utilizzo dello strumento del diritto all'accesso, da parte del cittadino, sapere che, come afferma l'Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC),: «L'accesso civico va tenuto distinto dal diritto di accesso ai documenti amministrativi»;
   il cittadino interessato alle informazioni potrebbe quindi ancora provare ad utilizzare la legge n. 241 del 1990, anche se è noto che fin dalla sua versione originaria fu considerata da taluni come un'occasione perduta, a causa della connotazione ridimensionata del diritto di accesso ai documenti amministrativi rispetto alla proposta formulata dalla commissione (Nigro); lo scoglio su cui si può infrange la richiesta di accesso è rappresentato, oltre che ovviamente dall'articolo 24 (Esclusione dal diritto di accesso), in particolare dall'articolo 25, comma 2, il quale prevede che: «La richiesta di accesso ai documenti deve essere motivata», lasciando anche in questo caso ampia discrezionalità, nel valutare la validità delle motivazioni addotte dal richiedente, da parte del responsabile in capo a rispondere;
   al medesimo articolo, comma 4, si prevede inoltre l'uso del silenzio/diniego: «Decorsi inutilmente trenta giorni dalla richiesta, questa si intende respinta. In caso di diniego dell'accesso, espresso o tacito, o di differimento dello stesso ai sensi dell'articolo 24, comma 4, il richiedente può presentare ricorso al tribunale amministrativo regionale ai sensi del comma 5, ovvero chiedere, nello stesso termine e nei confronti degli atti delle amministrazioni comunali, provinciali e regionali, al difensore civico competente per ambito territoriale, ove costituito, che sia riesaminata la suddetta determinazione»; di nuovo, di fronte alle mancate risposte, al richiedente non resta altra strada che il ricorso al tribunale amministrativo;
   discrezionalità, oggettivamente ostativa all'accesso, si incontra del resto anche nella applicazione dei dettami del decreto legislativo 267 del 2000, il quale, all'articolo 10, comma 1, prevede che: «Tutti gli atti dell'amministrazione comunale e provinciale sono pubblici, ad eccezione di quelli riservati per espressa indicazione di legge o per effetto di una temporanea e motivata dichiarazione del sindaco o del presidente della provincia che ne vieti l'esibizione...»; è evidente, come realtà manifestano sui territori, che un sindaco, o un presidente delle ex province, può censurare a proprio piacimento ogni tipo di richiesta, motivandola a propria discrezione o, come accade, non motivando affatto; nulla si dispone peraltro riguardo ai requisiti di accoglimento della domanda che, pertanto, non si discostano da quelli stabiliti nella disciplina contenuta negli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Cons. di Stato, sez. V, 20/10/2004, n. 6879);
   una disciplina di maggior favore è invece prevista dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, di attuazione della direttiva 2003/4/CE, per l'accesso alle informazioni ambientali che non richiede l'obbligo della motivazione, come confermato dall'articolo 3-sexies del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152: «In attuazione della legge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, e delle previsioni della Convenzione di Aarhus, ratificata dall'Italia con la legge 16 marzo 2001, n. 108, e ai sensi del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195, chiunque, accedere essere tenuto a dimostrare la sussistenza di un interesse giuridicamente rilevante, può alle informazioni relative allo stato dell'ambiente e del paesaggio nel territorio nazionale» –:
   quali iniziative si abbia intenzione di adottare al fine di favorire la diffusione delle informazioni consentendo il pieno accesso all'organizzazione e all'attività delle pubbliche amministrazioni, superando gli ostacoli evidenziati in premessa, dando pieno significato a quella trasparenza elemento fondamentale, richiamato dalla Costituzione Italiana (articolo 97), volto ad assicurare l'attuazione dei principi costituzionali dell'imparzialità e del buon andamento delle pubbliche amministrazioni stesse. (4-09402)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda di Roberto Berardi è stata oggetto nei mesi scorsi di 2 precedenti atti di sindacato ispettivo al Ministro interrogato sia alla Camera che al Senato cui è seguita la risposta scritta del Viceministro Lapo Pistelli e del Sottosegretario Mario Giro nelle quali sono stati ripercorsi i tanti passaggi diplomatici e l'assistenza costante fornita dal Governo a Berardi;
   Roberto Berardi, un imprenditore italiano che lavorava in Guinea Equatoriale è rinchiuso nel carcere di Bata dal gennaio 2013 in condizioni igieniche ed umane decisamente critiche, senza poter ricevere visite, cure mediche e cibo sufficienti;
   Berardi è stato arrestato con l'accusa di frode fiscale e condannato a 2 anni e 4 mesi di carcere o al pagamento di 1,2 milioni. I motivi della detenzione sono assolutamente poco chiari e sono connessi all'attività lavorativa di imprenditore edile iniziata in questo Paese nel 2011 attraverso la società Ebola Construction di cui socio di maggioranza era Teodorìn Nguema Obiang Mangue, figlio del presidente della Guinea Equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo;
   nell'aprile 2014, a margine del vertice dei capi di Stato Ue-Africa, il vicepresidente della Commissione europea Antonio Tajani ha incontrato il presidente della Guinea equatoriale Teodoro Obiang Nguema Mbasogo, il quale aveva assicurato tempi brevi per la concessione della grazia a Roberto Berardi;
   ciò malgrado, la liberazione del Berardi era attesa lo scorso il 19 maggio 2015, ma il giudice ha negato la scarcerazione spiegando di non intendere conteggiare la carcerazione preventiva nel computo della pena già scontata e disponendo un nuovo termine al 7 luglio 2015;
   si teme che in quella data si troverà facilmente un nuovo pretesto per continuare a tenere in cella il Berardi: Tutu Alicante, un dissidente che vive a Washington ed è presidente e fondatore di un'importante ong, EG Justice, ha sostenuto più volte come Berardi sia «il prigioniero personale» del figlio del presidente Teodoro Obiang, il quale ha recentemente azzerato l'intera magistratura e tutti i vertici della giustizia nguemista assumendone il completo controllo –:
   quali informazioni abbia il Governo a proposito della volontà della Guinea equatoriale di rilasciare effettivamente il Berardi il 7 luglio 2015. (5-05762)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MATARRESE, D'AGOSTINO e PIEPOLI. —Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ormai da anni le cronache riferiscono dell'alta percentuale di mortalità delle tartarughe «caretta caretta», specie a rischio di estinzione iscritta nella Lista Rossa della IUCN (Unione Mondiale per la Conservazione della Natura), nel corso delle attività di pesca non condotte correttamente dai pescatori professionali e a causa dei rifiuti incautamente riversati in mare da criminali senza scrupoli;
   sono recenti le ultime notizie di stampa che raccontano della morte di altri cinque esemplari adulti nella zona marina compresa tra Bari e Monopoli e in quella di Porto Cavallo a Polignano. Anche in questo caso la morte delle tartarughe è dovuta all'uso indiscriminato delle reti a strascico, alle eliche delle imbarcazioni, che evidentemente non rispettano le distanze minime dalle coste, e ai rifiuti di vario genere presenti in mare e ingeriti dalle stesse tartarughe. Questi ultimi sono facilmente riscontrabili in quantità rilevanti sulle coste a seguito delle mareggiate e costringono i comuni ad impiegare costantemente ingenti risorse economiche per la loro rimozione;
   secondo informazioni diffuse dal CTS e dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le catture accidentali che si verificano durante le attività di pesca professionale sono il principale pericolo per questa specie. Gli studi riferiscono di oltre 130.000 catture all'anno nel Mediterraneo a causa dell'uso di palangari pelagici (circa 57.000) e demersali (circa 13.000), reti a strascico (circa 40.000) e da posta (circa 23.000), con oltre 50000 possibili casi di decesso; le statistiche ufficiali non comprendono però tutte le navi da pesca esistenti e sottostimano il numero di piccole imbarcazioni; dunque, una stima più realistica potrebbe essere di circa 200 mila catture e di 100 mila decessi;
   di recente sono stati resi noti i risultati dell'indagine conoscitiva condotta da Tartalife, progetto realizzato con lo strumento finanziario del Life+ della Commissione europea e promosso dal Centro nazionale ricerche in collaborazione con l'Istituto di scienze marine, il consorzio Unimar che riunisce le associazioni nazionali di pesca professionale, Legambiente e numerosi parchi e Aree marina protette; il progetto si pone come obiettivo la riduzione della mortalità della tartaruga marina nelle attività di pesca professionale nelle 15 regioni italiane che si affacciano sul mare e nello specifico della «caretta caretta»;
   durante il 2013 sono stati raccolti dal consorzio UNIMAR, in collaborazione con gli altri partner, 539 questionari in 13 regioni costiere della penisola ovvero in Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto, Calabria;
   a confermare che sia l'uso delle reti a strascico o da posta a causare la morte delle tartarughe è il seguente dato: il 71 per cento dei pescatori che hanno risposto al questionario afferma di aver pescato nel 2014 almeno una tartaruga e nel 48 per cento dei casi con la pesca a strascico mentre il 34 per cento con le reti da posta;
   un dato significativo è emerso quando ai pescatori è stato chiesto se fossero a conoscenza di alcuni strumenti di pesca che limitano la cattura accidentale degli esemplari di tartarughe e altre specie. Il 65 per cento dei pescatori intervistati dichiara di non conoscere gli ami circolari, che grazie alla particolare conformazione rendono più difficile l'ingestione dell'amo da parte della tartaruga, nonostante sia dimostrato che il loro utilizzo, in luogo dei cosiddetti ami a «J» tradizionali, riduca di circa il 70 per cento la cattura degli esemplari di caretta caretta senza alterare l'efficienza di cattura delle specie bersaglio (pesce spada, tonno rosso e tonno alalunga);
   l'amo circolare, rimanendo impigliato solo superficialmente, può essere agevolmente rimosso dai pescatori che in questo modo potranno contribuire alla salvaguardia della specie con delle semplici operazioni da svolgere direttamente a bordo dell'imbarcazione;
   l'80 per cento dei pescatori intervistati sostiene di non conoscere il TED (Turde device excluded), una griglia cucita all'interno della rete (prima del sacco terminale) che ha il compito sbarrare la strada alla tartaruga ma non al pesce. Le tartarughe, urtando contro il TED, ritroverebbero la libertà attraverso un'apertura della rete chiusa da un altro panno di rete cucito solo parzialmente;
   il dato che desta maggiore preoccupazione è quello che riferisce che il 55 per cento dei pescatori intervistati dichiara di non essere sufficientemente e correttamente informato su questi metodi innovativi di pesca che tutelano le tartarughe e inoltre gli stessi dicono di aver paura di cambiare modo di pescare;
   secondo quanto affermato dal CNR-ISMAR, i risultati emersi da questa indagine dimostrano che il numero delle catture accidentali di tartarughe marine, che risulta essere pari a 1900 esemplari con un massimo in estate (624) e un minimo in inverno (380), è sicuramente sottostimato e confermano che l'unica strada per contrastare rapidamente il fenomeno è quella di rispondere alla richiesta dei pescatori di maggiore informazione sia sull'uso degli attrezzi più selettivi che sulle questioni tecniche legate alle possibilità di finanziamento. Infine è emersa forte la richiesta di snellire le procedure burocratiche in caso di detenzione di animali durante le operazioni di soccorso che al momento sembrano un ostacolo significativo per convincere i più a partecipare al progetto;
   da quanto espresso appare evidente che il Governo debba orientare le proprie politiche in materia verso la soluzione di tre aspetti essenziali per la tutela di questa specie protetta e che debba promuovere campagne di sensibilizzazione adeguate e puntuali nonché corsi di formazione nei confronti dei pescatori professionali al fine di indirizzarli all'uso di strumenti di pesca selettiva; promuovere sistemi di incentivazione economica e finanziaria in favore dell'acquisto di attrezzi selettivi per la pesca e sistemi di premialità per i pescatori professionali virtuosi che conducono le proprie attività seguendo le buone pratiche; semplificare le procedure burocratiche da eseguire in caso di detenzione di animali a bordo durante le operazioni di soccorso –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare per tutelare la specie protetta della tartaruga «caretta caretta» con particolare riferimento alla possibilità di:
    a) garantire la diffusione adeguata delle informazioni relative al più corretto utilizzo di attrezzi selettivi per la pesca che consentirebbero una rilevante riduzione della mortalità delle tartarughe prevedendo l'aggiornamento in tal senso delle «Linee Guida per il recupero, soccorso, affidamento e gestione delle tartarughe marine ai fini della riabilitazione e per la manipolazione a scopi scientifici»;
    b) intensificare il controllo in mare per prevenire l'inquinamento prodotto da scarichi illeciti di stive di imbarcazioni e natanti in navigazione nonché il rispetto delle distanze minime di sicurezza delle imbarcazioni dalle coste. (5-05773)


   DAGA, MICILLO, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi sono stati presentati diversi atti di sindacato ispettivo in merito al tema delle inadempienze italiane sul fronte della depurazione e dell'adeguamento dell'ordinamento italiano alla normativa europea, anche in relazione alle procedure di infrazione europea in corso, che non hanno ancora ricevuto risposta;
   da alcuni mesi i media continuano a dare notizia della sanzione per i mancati adeguamenti che l'Italia sarà costretta a pagare dal prossimo gennaio (http://www.generalspal.it);
   il Governo, attraverso il capo struttura di missione Erasmo de Angelis, ha annunciato la previsione di investimenti nel settore idrico tutto ed in particolare per far fronte alle procedure di infrazione e alla situazione disastrosa in cui versa il nostro Paese in cui ancora troppi sono gli agglomerati urbani senza servizi di fognatura e depurazione (http://italiasicura.governo.it);
   in particolare, nel sito governativo si afferma quarto segue: «Stima importo penalità (in milioni euro) ITALIA 482: Sicilia 185, Lombardia 74, Friuli Venezia Giulia 66, Calabria 38, Campania 21, Puglia e Sardegna 19, Liguria 18, Marche 11, Abruzzo 8, Lazio 7, Piemonte e Val d'Aosta e Veneto 5. La relazione del novembre 2012 dalla commissione Ue al Parlamento e al Consiglio europeo vede l'Italia in gravissimo arretrato anche sul monitoraggio. Non si conosce lo stato ecologico del 48 per cento delle nostre acque né lo stato chimico per oltre i tre quarti (78 per cento) dei corpi idrici superficiali (nel resto dell'Ue le lacune sono in media del 15 per cento). I dati sono poi aggiornati al 2009. I monitoraggi a livello regionale sono disomogenei e frammentari, come emerge dall'analisi effettuata da Ispra. Vengono monitorati i fiumi e i laghi di sole 15 Regioni su 20. Le Regioni che non hanno un monitoraggio fisso sono Umbria, Sicilia, Calabria, Basilicata e Sardegna. Ma i dati disponibili sono stati raccolti solo in 13 regioni (Abruzzo e Molise non li hanno trasmessi)»;
   nel medesimo sito si afferma inoltre: «C’è poi il caso della delibera CIPE 60/2012, 1,6 miliardi per 180 interventi in Campania, Basilicata, Calabria, Puglia, Sicilia e Sardegna relativi a opere di fognatura e depurazione, impegnati appena 300 milioni per 69 opere, il 18 per cento dell'importo e in particolare in Puglia. 111 opere, le più grandi, per 1,3 miliardi (1.1 in Sicilia) sono a studi di fattibilità o ferme. Il Governo è già intervenuto con lo Sblocca Italia, stabilendo da un lato la revoca delle risorse stanziate dai soggetti attuatori inadempienti e l'invio di commissari governativi con l'obiettivo di aprire i cantieri»;
   l'articolo 7, comma 6, del decreto-legge «Sblocca Italia» prevede: «Al fine di garantire l'adeguamento dell'ordinamento nazionale alla normativa europea in materia di gestione dei servizi idrici, è istituito presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un apposito Fondo destinato al finanziamento degli interventi relativi alle risorse idriche. Il Fondo è finanziato mediante la revoca delle risorse già stanziate dalla delibera del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) 30 aprile 2012, n. 60/2012, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 160 dell'11 luglio 2012, destinate ad interventi nel settore idrico per i quali, alla data del 30 settembre 2014, non risultino essere stati ancora assunti atti giuridicamente vincolanti e per i quali, a seguito di specifiche verifiche tecniche effettuate dall'ISPRA, risultino accertati obiettivi impedimenti di carattere tecnico-progettuale o urbanistico ovvero situazioni di inerzia del soggetto attuatore. Per quanto non diversamente previsto dal presente comma, restano ferme le previsioni della stessa delibera del CIPE n. 60/2012 e della delibera del CIPE 30 giugno 2014, n. 21/2014, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 220 del 22 settembre 2014, relative al monitoraggio, alla pubblicità, all'assegnazione del codice unico di progetto e, ad esclusione dei termini, alle modalità attuative. I Presidenti delle Regioni o i commissari straordinari comunicano al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'elenco degli interventi, di cui al presente comma, entro il 31 ottobre 2014. Entro i successivi sessanta giorni ISPRA procede alle verifiche di competenza riferendone al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. L'utilizzo delle risorse del Fondo è subordinato all'avvenuto affidamento al gestore unico del servizio idrico integrato nell'Ambito territoriale ottimale, il quale è tenuto a garantire una quota di partecipazione al finanziamento degli interventi a valere sulla tariffa del servizio idrico integrato commisurata all'entità degli investimenti da finanziare. I criteri, le modalità e l'entità delle risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto, per quanto di competenza, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti»;
   nonostante le richieste inviate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non è stato possibile fino ad oggi reperire l'elenco dei progetti finanziati nei vari comuni con fondi CIPE prima e dopo l'approvazione del decreto-legge «Sblocca Italia», che avrebbero dovuto essere comunicati al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dai «Presidenti delle Regioni o i commissari straordinari entro il 31 ottobre 2014»;
   non è stato nemmeno possibile sapere se siano stati stabiliti «i criteri, le modalità e l'entità delle risorse destinate al finanziamento degli interventi in materia di adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione sono definiti con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto, per quanto di competenza, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti», a seguito delle verifiche che l'ISPRA avrebbe dovuto compiere entro 60 giorni dalla data del 31 ottobre 2014 –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire tutte le informazioni di cui in premessa, se non ritenga che la norma prevista dal decreto-legge «Sblocca Italia» presenti oggettive difficoltà applicative, alla luce dell'assenza del capito di riassegnazione delle risorse revocate in entrata al bilancio dello Stato, e se non ritenga necessario ed urgente, per superare le procedure di infrazione avviate dall'Unione europea, accelerare, per quanto di competenza, la realizzazione degli interventi, piuttosto che revocare le relative risorse per le quali ad ora manca anche un intervento normativo specifico.
(5-05774)


   PELLEGRINO, PIRAS e ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1997 la società Sardinia Gold Mining ha realizzato quattro miniere a cielo aperto nel comune di Furtei, con un investimento di oltre 13 milioni di dollari, nel sud della Sardegna, a circa 40 chilometri da Cagliari;
   lo sventramento della collina di Santu Miali è valso, in dieci anni di lavoro, appena 5 tonnellate d'oro, 6 d'argento e 15 mila di rame ma ha lasciato un'eredità ben più pesante: ben 300 ettari di fanghi tossici e acque acide che a ogni acquazzone fanno temere il peggio;
   una fuoriuscita dagli invasi sarebbe uno «tsunami ecologico» (come ha spiegato il direttore della bonifica dell'ex miniera, Attilio Usai) in grado di contaminare non soltanto i terreni circostanti, ma anche i fiumi e tutti i bacini da cui dipendono l'agricoltura, la pastorizia e la vita del medio Campidano;
   nel 1997, nel momento dell'avvio dei lavori, i dipendenti della Sardinia Gold Mining erano 110, quando, nel 2008, l'attività è stata interrotta, i dipendenti erano solamente 42. Decretato il fallimento, nel 2009 i libri contabili sono stati portati in tribunale e delle bonifiche dei laghi al cianuro nessuno si è più preoccupato;
   l'Igea, la società controllata dalla regione Sardegna che si occupa delle miniere dismesse, ha il compito di monitorare la situazione, ma, intanto, il lago acido dell'agro di Furtei diventa sempre più grande. Dal 2001 al 2003 la Sardinia Gold Mining è stata controllata dall'ex governatore sardo Ugo Cappellacci, recentemente sconfitto alle regionali da Antonio Pigliaru. La giunta regionale uscente aveva stanziato 11 milioni di euro per la messa in sicurezza del bacino idrico contaminato da cianuro e altri metalli, ma l'Igea, la società pubblica regionale incaricata della dismissione delle ex miniere, ha stimato che la bonifica arriverà a costare decine di milioni di euro;
   nel 2002 Cappellacci affermava che sarebbero stati i privati della Sardinia Gold Mining a provvedere alle bonifiche e ai ripristini successivi alle attività estrattive. In uno slancio a lungo termine si ipotizzò addirittura la costruzione di un eco-parco. Nonostante gli 80 milioni di euro fatturati dalla miniera nel decennio di attività, le promesse sono rimaste disattese –:
   quali iniziative intenda intraprendere per intervenire a tutela della popolazione minacciata da un danno ambientale che incide sulla salute della stessa e prevenire l'estendersi della contaminazione nelle aree circostanti determinando così un vero disastro ecologico di natura irreversibile. (5-05775)


   CASTIELLO e FABRIZIO DI STEFANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della procedura di istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, il 18 maggio 2015 si è tenuta, per iniziativa del presidente della regione Abruzzo dottor Luciano D'Alfonso, una riunione alla quale hanno partecipato il commissario nominato ad acta, architetto De Dominicis, nonché i rispettivi sindaci dei paesi coinvolti, al fine di individuare la delimitazione provvisoria dell'istituendo parco;
   nello specifico, sono stati coinvolti i sindaci dei comuni di Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino Di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo. Tuttavia sono risultati assenti, seppur ricompresi all'interno del perimetro dell'istituendo parco, i sindaci del comune di Villalfonsina e Pollustri. Il motivo della loro mancata partecipazione alla riunione, come essi stessi riportano, non è da collegare ad una loro scelta personale, bensì alla mancata ricezione della convocazione formale da parte dell'autorità competente;
   la riunione si è conclusa con l'accordo che i sindaci sarebbero stati riconvocati entro un breve periodo, necessario per esaminare gli elaborati e predisporre eventuali osservazioni in merito, nonché per valutare la fattibilità di alcune proposte alternative già avanzate in quella stessa sede;
   a seguito dell'approfondito esame della cartografia consegnata dal commissario (al quale si è proceduto con il supporto dei rispettivi uffici tecnici comunali) sono emerse evidenti discrasie con il reale stato dei luoghi, nonché palesi carenze in ordine all'indicazione degli elementi tecnico-scientifici necessari a supportare gli elaborati predisposti;
   in particolare, la perimetrazione provvisoria è stata predisposta su una cartografia (IGM) che risulta datata 1958 e che, pertanto, evidenzia una falsa rappresentazione dello stato dei luoghi con particolare riferimento ad ampie aree che, diversamente da quanto rappresentato, sono ampiamente urbanizzate, antropizzate e sulle quali esistono importanti attività imprenditoriali (industriali, commerciali, turistico-ricettive). Tali aree, quindi, risulterebbero prive di valenza naturalistica, ovvero di quei valori «naturalistici, scientifici, estetici, culturali, educativi e ricreativi» tali da richiedere l'intervento di tutela statale attraverso la speciale e rigida disciplina prevista dalla legge in materia di parchi nazionali;
   in secondo luogo va rilevato che la predetta cartografia è stata realizzata tramite una scala (1/25.000) tale da non consentire una precisa identificazione e delimitazione delle aree e, quindi, dei beni immobili in essa eventualmente ricompresi, con comprensibili conseguenze in ordine alla lesione di interessi legittimi di privati cittadini;
   infine, non risulta che si sia ancora formalizzata la necessaria «intesa» con la regione Abruzzo né sia stata convocata la Conferenza unificata (come previsto dall'articolo 77 del decreto legislativo 31 marzo 1998) in cui sono sentiti anche gli enti locali interessati;
   è evidente che, ove si procedesse, come recentemente diffuso dagli organi di informazione, al recepimento della perimetrazione provvisoria e delle relative norme di salvaguardia, si potrebbe compromettere in maniera irreversibile lo sviluppo del territorio, e sussisterebbero, altresì, atti e procedure con quelli che appaiono agli interroganti concreti elementi di dubbia legittimità anche sul presupposto di una doverosa sottolineatura di rilevanza costituzionale per mancata ottemperanza ai principi costituzionalmente protetti (articoli 5, 117 e 118 della Costituzione) di leale cooperazione, autonomia e decentramento;
   bisogna, altresì sottolineare che la legge 6 dicembre 1991, n. 394 (legge quadro sulle aree protette) considera gli enti locali come principali soggetti del complesso processo istitutivo che passa in primo luogo proprio attraverso la perimetrazione dell'area protetta;
   in una agenzia di stampa del 5 giugno 2015 si apprende che tutti i sindaci coinvolti nell'istituzione del parco della Costa Teatina hanno condiviso un documento, in cui criticano la perimetrazione proposta dal commissario De Dominicis, che sarà inviato, tra l'altro, al Presidente del Consiglio ed alle autorità sovracomunali coinvolte affinché «si possano approfondire le riflessioni sulla perimetrazione, conformando la stessa alle reali esigenze di tutela e valorizzazione del territorio acquisendo i dati scientifici sulle aree protette presenti e biodiversità, evitando di includere all'interno del Parco aree prive di pregio naturalistico quali porti, aree industriali e artigianali, zone altamente antropizzate». I sindaci, conclude la nota, chiederanno altresì di essere ascoltati dalle autorità, in quanto depositari degli interessi delle comunità locali –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda intraprendere al fine di procedere ad un riesame della perimetrazione provvisoria del parco nazionale della Costa Teatina, nonché delle relative norme di salvaguardia, e se ritenga opportuno adottare iniziative affinché siano convocati in breve tempo gli amministratori locali, coinvolti nel processo istitutivo del parco nazionale della Costa Teatina, per poter esporre, nelle modalità e sedi più opportune, le osservazioni in merito. (5-05776)


   MARIANI e BORGHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 19 dicembre è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il regolamento (UE) n. 1375/2014 del 18 dicembre 2014 che sostituisce l'allegato III (caratteristiche di pericolo dei rifiuti) della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive;
   il 30 dicembre 2014 è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea la decisione della Commissione del 18 dicembre 2014 che modifica la decisione 2000/532/CE relativa all'elenco dei rifiuti ai sensi della direttiva 2008/98/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio;
   entrambi i provvedimenti europei sono entrati in vigore il 1o giugno determinando un disallineamento della norma nazionale (allegati D e I della parte IV del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni) rispetto al contesto europeo;
   in materia il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare stava intervenendo con specifico decreto interministeriale come previsto all'articolo n. 264, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni al fine di allineare la norma nazionale con le disposizioni comunitarie;
   il Consiglio di Stato, con parere del 15 maggio 2015, pur rilevando la necessità di un disposto normativo per uniformare le disposizioni nazionale a quelle europee, ha criticato la mancanza di alcuni necessari passaggi e ha evidenziato la necessità di ulteriori spiegazioni per motivare l'intervento con il decreto in parola;
   al momento la mancanza di indicazioni certe ed uniformi in materia di classificazione sta generando sul territorio nazionale gravi ricadute non solo per le imprese ma anche per i comuni e gli organi di controllo che non dispongono di indicazioni certe e uniformi in materia a livello nazionale –:
   con quali tempi il Ministro intenda adottare le iniziative necessarie a sanare quanto prima l'incertezza ed il disallineamento normativo creatosi in materia, dando corso alla pubblicazione del suddetto decreto interministeriale. (5-05777)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008 il comune di Fiano Romano rilasciava alla società Pegaso ’90 spa un permesso di costruire per la realizzazione di un edificio ad uso residenziale. Tale permesso di costruire veniva ben presto sottoposto al vaglio del giudice amministrativo, atteso che autorizzava formalmente l'intervento edilizio all'interno del vincolo paesaggistico «Valle del Tevere»;
   con apposita ordinanza, il tribunale locale competente ordinava al comune di Fiano di effettuare le opportune verifiche istruttorie al fine di accertare la conformità del suddetto permesso alle vigenti prescrizioni urbanistiche. All'esito delle verifiche, l'allora responsabile dell'ufficio tecnico settore urbanistica accertava la corrispondenza di tale permesso alla normativa vincolistica, dichiarando l'area in questione, esterna al perimetro del piano paesaggistico;
   successivamente, la soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici delle province di Roma, Rieti e Viterbo, richiedeva all'amministrazione comunale di compiere una nuova verifica circa l'assoggettabilità dell'area di costruzione dell'edificio a uso residenziale al vincolo «Valle del Tevere», invitando quindi il Comune a controllare la distanza del fabbricato dalla via Tiberina (dovendo risultare superiore a 500 mt) e ordinando altresì allo stesso Comune di emettere, in caso di positivo riscontro, ordine di sospensione dei lavori. A fronte di quanto emerso dalla verifica compiuta sull'area di costruzione della palazzina e tenuto conto di quanto imposto dalla sovrintendenza, il nuovo responsabile dell'ufficio tecnico comunale, frattanto subentrato nelle funzioni, adottava il provvedimento di immediata sospensione dei lavori della palazzina, in ragione della sussistenza del vincolo paesaggistico;
   anche la regione Lazio, in riscontro alla richiesta del comune di Fiano Romano, accertava che il terreno di cui è causa, riportato in catasto, del comune di Fiano Romano era ricompreso nel perimetro dell'area di vincolo della Valle del Tevere. In ragione di ciò, l'amministrazione comunale di Fiano Romano, non poteva che conformarsi a quanto rilevato dalla Regione e quindi, con successivo atto, concludeva il procedimento di riesame disponendo l'annullamento d'ufficio dell'originario permesso di costruire, ordinando l'immediata sospensione dei lavori e la demolizione dei lavori nel frattempo realizzati;
   finanche il Consiglio di Stato ha avuto modo di precisare che il provvedimento emesso dal comune di Fiano Romano il 15 giugno 2009 concernente l'annullamento dell'originario permesso di costruire n. 36 del 2008 «risulta pienamente legittimo, in quanto giustificato dal fatto che il permesso è stato emesso in assenza del previo rilascio della necessaria autorizzazione paesaggistica»;
   nonostante la richiesta della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di procedere all'abbattimento dell'edificio non risulta allo Stato che ciò sia avvenuto –:
   se il Ministro interrogato intenda acquisire elementi in merito alla vicenda descritta in premessa e al rispetto dei vincoli paesaggistici. (4-09403)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, PISANO, RUOCCO, FICO, BUSINAROLO, SORIAL, GALLINELLA, D'INCÀ, BRUGNEROTTO, TRIPIEDI, LUIGI DI MAIO, CARINELLI, CANCELLERI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo del 24 settembre 2013 a firma Sergio Patti pubblicato su La NotiziaGiornale.it è riportato testualmente: «Di andare davvero in pensione, tra questi grandi dirigenti dello Stato, non c’è proprio voglia. E, allora ecco che un altro potentissimo, lo stesso capo del personale dell'Agenzia delle entrate, Girolamo Pastorello, arrivato ai 64 anni (il 13 aprile scorso) ha già inoltrato (a se stesso  ?) la domanda per restare in carica almeno altri due anni, fino ai 67. Uomo risoluto, dai metodi notoriamente urticanti, legatissimo a Befera, Pastorello ricopre consecutivamente lo stesso incarico al personale da 13 anni, nonostante la legge (come il buon senso) indichi chiaramente la necessità di far rotare negli incarichi quei dirigenti che occupano posizioni delicate e fondamentali per le amministrazioni»;
   il dirigente di cui si parla nell'articolo sembra che ancor oggi sia direttore del personale dell'Agenzia delle entrate, pur essendo in pensione;
   con la sentenza n. 37 del 17 marzo 2015 la Corte costituzionale:
    1) ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 8, comma 24, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarle, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 26 aprile 2012, n. 44;
    2) ha dichiarato, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 14, del decreto-legge 30 dicembre 2013, n. 150 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative), convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 27 febbraio 2014, n. 15;
    3) ha dichiarato, ai sensi dell'articolo 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l'illegittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 8, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative);
   il tutto a conferma di una gestione del personale dirigenziale alquanto arbitraria e poco consona ad un ente pubblico;
   il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e la circolare n. 2 del 2015 del Ministro Madia in materia di soppressione del trattenimento in servizio e modifica della disciplina della risoluzione unilaterale del rapporto di lavoro, disciplinano anche la durata dei rapporti di lavoro del personale della pubblica amministrazione;
   oltre al proliferare di incarichi illegittimi secondo la sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, si aggiungono dubbi sull'inutilità di numerose attribuzioni di incarichi nonché la mancanza di trasparenza sui criteri adottati per la loro assegnazione –:
   se il dottor Girolamo Pastorello ricopra attualmente il ruolo di direttore centrale del personale dell'Agenzia delle entrate e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni e i presupposti giuridici in base ai quali lo stesso ricopre il detto incarico, nonché quale sia l'entità del compenso, indennità o altro emolumento che percepisce per l'incarico conferitogli. (5-05778)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, RIZZETTO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la scadenza a breve dei termini per i pagamenti ICI/IMU relativi ai beni demaniali del porto di Trieste assentiti in concessione agli operatori del porto, ha risollevato il problema inerente alla corretta applicazione della normativa in materia;
   la disciplina ICI/IMU relativa ai beni demaniali ha subito una sostanziale modifica a seguito dell'entrata in vigore della legge 30 dicembre 2000, n. 388, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge finanziaria 2001): l'articolo 18, in modifica all'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo del 30 dicembre 1992, n. 504, in materia di «Riordino della finanza degli enti territoriali, a norma dell'articolo 4 della legge 23 ottobre 1992, n. 42», ha stabilito che in caso di concessione di aree doganali il soggetto passivo sia il concessionario;
   in base all'articolo 7, comma 1, lettera b) del decreto legislativo n. 504 del 1992 sono da considerarsi esenti dall'Imposta ICI/IMU i fabbricati classificati o classificabili nelle categorie catastali da E/1 a E/9;
   l'articolo 2, comma 40 e seguenti, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2006, n. 28, ha dettato norme in materia di classificazione degli immobili ed in particolare delle unità immobiliari polifunzionali censite nelle categorie catastali del «Gruppo E», stabilendo che «Nelle unità immobiliari censite nelle categorie catastali E/1, E/2, E/3, E/4, E/5, E/6 ed E/9 non possono essere compresi immobili o porzioni di immobili destinati ad uso commerciale, industriale, ad ufficio privato ovvero ad usi diversi, qualora gli stessi presentino autonomia funzionale o reddituale»;
   il comma 41 del medesimo articolo 2 stabilisce che «Le unità immobiliari che per effetto del criterio stabilito nel comma 40 richiedono una revisione della qualificazione e quindi della rendita devono essere dichiarate in catasto da parte dei soggetti intestatari, entro nove mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto. In caso di inottemperanza, gli uffici provinciali dell'Agenzia del territorio provvedono, con oneri a carico dell'interessato, agli adempimenti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 19 aprile 1994, n. 701; in tale caso si applica la sanzione (...)»;
   l'Agenzia del territorio con circolare 4/T del 13 aprile 2007 ha definito alcuni aspetti introdotti del decreto-legge n. 262 del 2006 e dettato le linee guida per individuare le aree demaniali classificabili nelle categorie catastali esenti d'imposta;
   infatti, secondo tale circolare, le aree demaniali che fanno parte di un compendio destinato a traffico marittimo o ad operazioni strettamente collegate e necessarie all'attività portuale vanno inserite nelle unità immobiliari censite al catasto edilizio urbano nella categoria E/1;
   la risoluzione interpretativa del Ministero dell'economia e delle finanze n. 3/DF del 10 agosto 2009 relativa «all'Imposta comunale sugli immobili (ICI) e relativa disciplina delle aree portuali oggetto di concessione demaniali» ha stabilito: «In particolare, in ordine al concetto “area demaniale”, si precisa che essa è esente da ICI – ai sensi dell'articolo 7, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 504 del 1992 – qualora faccia parte di un compendio destinato al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali e, come tale, vada incorporata in un'unità immobiliare censita al catasto edilizio urbano nella categoria E/1 (...)»;
   inoltre, specifica: «Qualora, invece, all'interno dell’“area demaniale” si realizzino interventi od opere non destinate agli usi suddetti ed aventi caratteristiche tali da far assumere all'area, o a porzione di essa, natura di un'autonoma unità immobiliare ai sensi del decreto ministeriale 2 gennaio 1998, n. 28, si deve procedere alla presentazione delle dichiarazioni in catasto, rappresentando le variazioni intervenute. Dette unità immobiliari potrebbero, quindi, essere assoggettate al pagamento dell'ICI nell'eventualità in cui venissero accertate in una categoria diversa da quelle richiamate nel gruppo “E” del quadro di qualificazione catastale»;
   a ben vedere, tuttavia, la gran parte delle aree del porto di Trieste sono assentite in concessione ai sensi del combinato disposto degli articoli 16 e 18 della legge n. 84 del 1994. I concessionari di aree e banchine devono, infatti, ottenere anche l'autorizzazione ex articolo 16 della legge n. 84 del 1994 mediante la quale vengono autorizzati a svolgere le operazioni portuali di sbarco, imbarco, carico, scarico trasbordo, deposito e movimentazione in genere delle merci in ambito portuale previste;
   la disponibilità della suddetta autorizzazione allo svolgimento delle operazioni portuali rappresenta l'indefettibile presupposto per l'ottenimento prima ed il mantenimento poi della concessione demaniale marittima che consente di disporre delle aree portuali de quo. L'articolo 18 della legge n. 84 del 1994 (rubricato «Concessione di aree e banchine») stabilisce, infatti, che le autorità portuali «danno in concessione le aree demaniali e le banchine comprese nell'ambito portuale alle imprese di cui all'articolo 16, comma 3, per l'espletamento delle operazioni portuali, fatta salva l'utilizzazione degli immobili da parte di amministrazioni pubbliche per lo svolgimento di funzioni attinenti ad attività marittime e portuali»;
   appare a questo punto evidente che la vigente normativa prevede due sole ipotesi di utilizzo delle aree facenti parte del demanio portuale: l'utilizzo diretto da parte di amministrazioni pubbliche e l'utilizzo uti singuli da parte di concessionari privati che assicurino di utilizzare le suddette porzioni di demanio marittimo al fine di svolgervi le operazioni portuali e garantiscano «l'incremento dei traffici e della produttività del porto» (articolo 18, comma 6, lettera a), della legge n. 84 del 1994);
   il legislatore ha ritenuto a tal punto rilevante il corretto utilizzo delle aree portuali nel senso sopra indicato, che ha introdotto nella normativa portuale una serie di disposizioni volte ad attribuire alle autorità portuali un potere sanzionatorio nel caso in cui gli operatori portuali concessionarie ex articolo 18 ed autorizzati ex articolo 16 non movimentassero i volumi di merce preventivati. In proposito si osserva, innanzitutto, che le modalità con cui l'autorità portuale è tenuta a rilasciare le autorizzazioni ex articolo 16 della legge n. 84 del 1994 ed a vigilare sullo svolgimento delle operazioni portuali sono dettate dal decreto ministeriale n. 585 del 1995: l'articolo 3, lettera f), del decreto ministeriale n. 585 del 1995 pone, quale presupposto per il rilascio dell'autorizzazione ex articolo 16, la presentazione da parte dell'operatore portuale di «un programma operativo non inferiore ad un anno con un piano di investimenti [...] e di prospettive di traffici». L'eventuale mancato raggiungimento degli obiettivi preventivati nel programma operativo comporta la sospensione o la revoca dell'autorizzazione allo svolgimento delle operazioni portuali (articolo 7 lettera c) del decreto ministeriale n. 585 del 1995). Anche l'articolo 18, comma 9, della legge n. 84 del 1994 stabilisce che in caso di «mancato raggiungimento degli obiettivi indicati nel programma di attività, di cui al comma 6 lettera a), senza giustificato motivo, l'Autorità portuale, o laddove non istituita, l'Autorità marittima, revocano la concessione». Nel caso specifico l'autorità portuale pretende dai concessionari del porto di Trieste delle precise garanzie relative ai volumi di merce movimentata presso le aree assentite in concessione. In particolare le autorizzazioni rilasciate dall'autorità portuale di Trieste prevedono normalmente che «l'impresa autorizzata, essendo anche concessionaria di aree demaniali e banchine comprese nell'ambito portuale, è tenuta a presentare, ai sensi dell'articolo 18, comma 6, legge n. 84/1994 [...] idonea garanzia fideiussoria in favore dell'autorità portuale di Trieste, irrevocabilmente e senza condizioni, con riferimento specifico alla movimentazione annuale, per operazioni di sbarco/imbarco svolte nel proprio terminale, di cui al programma operativo presentato con istanza di rinnovo/rilascio». Il tenore letterale dei titoli autorizzativi e concessori rilasciati dall'autorità portuale in favore dei concessionari, così come il complesso delle norme che disciplinano il rilascio e la revoca delle concessioni di aree e banchine in ambito portuale consentono, dunque, di concludere che le aree detenute in concessione dalla odierna ricorrente rappresentano per loro stessa natura «un compendio destinato al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali», ovvero che si tratta di luoghi destinati al traffico marittimo e/o ad operazioni strettamente necessarie alle attività portuali;
   l'impostazione sopra prospettata è stata condivisa anche dalla commissione tributaria di Trieste, espressasi a seguito di un contenzioso in materia, che ha stabilito con sentenza 16 gennaio 2012 (30 novembre 2011) n. 1: «Gli immobili dati in concessione dall'autorità portuale a un soggetto privato devono essere accatastati nella categoria del gruppo “E”, con conseguente esenzione da ICI, oggi IMU, in quanto comunque destinati al perseguimento dell'utilità pubblica. Non si può, infatti, parlare di utilizzazione del bene demaniale dal punto di vista commerciale, poiché il suo uso particolare mediante atto di concessione deve essere rivolto esclusivamente allo svolgimento delle funzioni marittime e portuali, considerato che anche in questo modo l'autorità portuale amministra i beni demaniali a lei affidati per promuovere l'attività del porto, svolgendo attività di controllo e coordinamento di tutti i servizi portuali»;
   tuttavia, solo alcuni beni demaniali portuali dello scalo triestino sono stati registrati in categoria catastale E/1, mentre altri sono stati accatastati con categorie diverse ed altri ancora non registrati, con conseguente notifica degli avvisi di accertamento ai soli soggetti concessionari di beni demaniali iscritti a catasto con categoria diversa dalla E/1;
   si rammenta, inoltre, che il particolare regime giuridico al quale sono assoggettati i punti franchi del porto franco di Trieste, inclusi i beni demaniali, è ancora oggi rappresentato dagli articoli da 1 a 20 dell'allegato VIII al trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 reso esecutivo con decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 28 novembre 1947, n. 1430, ratificato con legge 25 novembre 1952, n. 3054, dal Memorandum di Londra del 5 ottobre 1954, dai decreti del commissario generale del Governo per il territorio di Trieste n. 29 del 1995 e n. 53 del 23 dicembre 1959 e, per quanto non in contrasto con le disposizioni sopra citate, dal decreto ministeriale 20 dicembre 1925 n. 1693. La normativa speciale testé menzionata è destinata, proprio perché rappresenta il recepimento di un obbligo internazionalmente assunto dall'Italia, a prevalere sulle norme nazionali o comunitarie con essa eventualmente contrastanti. La perdurante vigenza delle citate fonti normative, oltre che essere suffragata da varie pronunce giurisprudenziali (cfr., fra le altre, tribunale di Trieste, 13 maggio 1997, in Dir. Trasp., 1998, con nota di R. Longobardi, pagina 761), appare confermata dall'inequivocabile tenore di precise disposizioni normative emanate dal legislatore nazionale. Ad esempio l'articolo 6 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1978, n. 714, emanato in attuazione del trattato di Osimo del 10 novembre 1975, conferma che «i limiti dei punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste sono quelli risultanti dalle tabelle A, B, C allegate ...» (trattasi di planimetrie riportanti gli ambiti ed i confini fisici dei punti franchi portuali). La medesima norma sopra richiamata ribadisce, inoltre, che «restano in vigore tutte le speciali disposizioni riguardanti lo stato giuridico, l'esercizio o l'amministrazione dei punti franchi del porto di Trieste». Si evidenzia, inoltre, che anche la vigente legge n. 84 del 1994, recante la riforma dell'ordinamento portuale, all'articolo 6, comma 12, prevede che «è fatta salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste». Si è più sopra accennato come la giurisprudenza abbia costantemente rilevato che la particolare natura delle fonti che disciplinano il regime giuridico del porto franco di Trieste permetta di affermare che lo Stato italiano è internazionalmente obbligato a mantenere in vigore il regime giuridico cui sono assoggettati i punti franchi del porto di Trieste. Con l'ordinanza collegiale dd. 13 maggio 1997 (cit.) il tribunale di Trieste ha, ad esempio, riconosciuto che, poiché la normativa speciale che disciplina il porto Franco di Trieste rappresenta l'attuazione di un obbligo internazionalmente assunto dall'Italia con il trattato di pace del 1947, tali norme sono destinate a prevalere rispetto alla normativa (anche di carattere comunitario) eventualmente contrastante. Nel caso specifico il tribunale ha, conseguentemente, ordinato ex articolo 700 c.p.c. al Ministero dell'economia delle finanze di astenersi dall'applicare, nell'ambito del porto franco di Trieste, il regolamento doganale comunitario;
   nello specifico, per quanto concerne i contenuti degli obblighi assunti dall'Italia con le norme in esame, si richiama l'attenzione sull'articolo 5 dell'allegato VIII del trattato di pace del 1947, con il quale si stabilisce che: «le navi mercantili e le merci di tutti i paesi godranno di un completo libero accesso nel Porto Franco per carico e scarico, sia per beni in transito, sia per beni destinati o provenienti dal Territorio Libero. Le Autorità del Territorio Libero (ora della Repubblica italiana, a seguito della sottoscrizione del Memorandum di Londra del 1954) non percepiranno sulle merci di importazione, in esportazione od in transito attraverso il porto franco né dazi doganali, né altri gravami, che non siano in corrispettivo dei servizi prestati»;
   come è noto, l'ICI/IMU è un'imposta che grava sugli immobili la cui quantificazione prescinde da qualsivoglia correlazione fra entità dell'imposta e servizi resi dal comune al contribuente (peraltro, nell'ambito portuale triestino il comune non rende alcun servizio a favore dei concessionari). Dato che nell'ambito del Porto fianco di Trieste i beni demaniali in concessione sono tutti destinati ad attività concernenti il transito delle merci in arrivo o partenza dal porto franco stesso, l'introduzione di un'imposta sulle infrastrutture portuali destinate al transito delle merci verrà necessariamente a riversarsi sui costi praticati dal concessionario per la movimentazione delle merci e, dunque, si traduce di fatto in un maggior onere a carico delle merci in transito per il porto franco di Trieste. Il che è evidentemente in contrasto con la sopra richiamata normativa speciale, la quale impone che sulle merci in transito per il porto franco di Trieste non siano applicati «né dazi doganali, né altri gravami, che non siano in corrispettivo dei servizi prestati» –:
   se sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali ulteriori elementi abbia in suo possesso;
   se non ritenga di intervenire con atti e provvedimenti mirati per chiarire ineludibilmente l'esatta classificazione catastale nella categoria E/1 «Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei» dei beni demaniali marittimi portuali assentiti in concessione per lo sviluppo dei traffici marittimi;
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere per chiarire ed uniformare definitivamente l'applicazione della normativa in materia di ICI/IMU per i beni demaniali marittimi portuali costituenti «Stazioni per servizi di trasporto, terrestri, marittimi ed aerei»;
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere in proposito, in relazione alla peculiarità del porto franco di Trieste nel rispetto dei princìpi dettati dall'allegato VIII al Trattato di Parigi del 1947, accolti dall'ordinamento dello Stato italiano, ed in che modo;
   quali siano i motivi per cui gli organi statali competenti non siano ancora intervenuti per dare la giusta interpretazione normativa in merito alla materia di cui in premessa ed evitare e/o risolvere il prima possibile i numerosissimi contenziosi già insorti, che recano danno sia agli operatori portuali che agli enti interessati, ma soprattutto allo sviluppo della portualità italiana. (4-09404)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso la sezione dibattimento penale del tribunale di Rimini sono pendenti 280 processi di attribuzione collegiale di cui ben 18 per reati associativi, mentre il dato dei processi penali collegiali definiti è da anni il secondo numero assoluto del distretto;
   i processi per convalida dell'arresto e il contestuale giudizio direttissimo e le convalide dinanzi al Gip oscillano tra gli 800 e i 1000 l'anno, impegnando dal lunedì al sabato almeno un giudice e il personale di cancelleria;
   non è minore il carico di lavoro del settore civile, lavoro e fallimentare, falsato tra l'altro dalla divergenza tra numero di residenti in provincia di Rimini e numero delle presenze effettive, pari a 15 milioni l'anno secondi l'osservatorio statistico della provincia;
   le rilevazioni statistiche del Ministero confermano l'inadeguatezza della pianta organica magistratuale del tribunale di Rimini, ancora penultimo del distretto con 20 giudici compreso presidente e presidente di sezione, e del personale di cancelleria;
   per effetto dell'imminente attuazione dei già deliberati trasferimenti di personale e dei pensionamenti o dimissioni dal servizio entro il 2015, il tribunale di Rimini registrerà una percentuale di scopertura nella carriera dirigenziale, direttiva e di concetto con potere di firma pari al 45,95 per cento su un organico già gravemente sottodimensionato;
   il personale in servizio al termine delle procedure di trasferimento e pensionamento resterà pari a 46 unità su una pianta organica di 68, con una scopertura totale del 32,36 per cento;
   avrà scarsa rilevanza la copertura ipotetica dell'unico posto a concorso a fronte di 4 trasferimenti e 3 pensionamenti;
   in tale situazione il governo del tribunale di Rimini e un andamento accettabile dei servizi (assistenza alle udienze penali, deposito ed esecuzione dei provvedimenti giudiziari, gestione delle procedure esecutive e concorsuali) si preannunciano ampiamente difficoltosi;
   è urgente pertanto la copertura immediata di almeno 2 dei 3 posti vacanti di direttore di cancelleria, di 3 dei 7 posti vacanti di funzionario nonché di altri 3 posti prima dell'effettività dei trasferimenti deliberati;
   altrettanto urgente è la copertura immediata del posto di dirigente –:
   quali iniziative il Ministro abbia intenzione di assumere per risolvere l'allarmante situazione in cui si trova il tribunale di Rimini e per rispondere alla necessità di urgentissima copertura dei posti, eventualmente tramite comando;
   se non ritenga opportuno ricevere una delegazione del tribunale di Rimini insieme ai rappresentanti dell'avvocatura e del personale amministrativo. (5-05761)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, PIRAS e MARCON. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la circolare del 26 maggio 2015 il Ministero della giustizia, attraverso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap), istituisce sezioni destinate a detenuti che abbiano compiuto atti di aggressione nei confronti del personale che lavora nelle carceri;
   nella circolare si legge che la decisione è stata presa per il «lieve» aumento degli episodi di aggressione nei confronti del personale penitenziario;
   come anche spiega Patrizio Gonnella, presidente dell'associazione Antigone, nell'articolo pubblicato il 2 giugno 2015 sul blog de L'Espresso «Libertà Civili», la decisione presa dal Ministero della Giustizia appare rischiosa in quanto rischia di stigmatizzare i detenuti ritenuti «violenti», creando così dei ghetti per i più violenti che comunque dovrebbero essere monitorati da personale penitenziario;
   in seguito alla condanna subita con la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel caso Torreggiani nel 2013, il Ministero della giustizia ha intrapreso dall'anno scorso un percorso di aumento delle ore di socialità dei detenuti perciò non più costretti all'ozio forzato nelle celle anguste, decisione che è stata non solo accolta favorevolmente dalle associazioni di detenuti e che si occupano di detenzione, ma hanno dato ottimi riscontri nell'abbassamento dei casi di recidiva e socializzazione, come ad esempio nel carcere di Bollate, un carcere «aperto», in cui «nei loro spostamenti interni al carcere non sono marcati a uomo ma possono circolare dentro i reparti con sufficiente libertà e vengono responsabilizzati nelle loro scelte» tant’è che ormai si parla di un vero e proprio «modello Bollate» –:
   se il Ministro interrogato intenda rivedere la sua posizione rispetto alla creazione delle sezioni per detenuti violenti, in special modo all'interno della discussione pubblica che avverrà con gli stati generali sulla pena voluti dal Ministero stesso, occasione in cui si potrà discutere delle alternative a questa scelta, e se non ritenga di continuare a promuovere misure a sostegno della socialità dei detenuti che, oltre a contrastare la recidiva, non possono che favorire la rieducazione dei condannati, come prescritto dall'articolo 27 della Costituzione. (4-09405)


   VACCA, COLLETTI, BONAFEDE, FERRARESI e DEL GROSSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 6 maggio a Pescara muore Giandomenico Orlando, 67 anni, a causa delle ferite per accoltellamento subite davanti l'ingresso della pasticceria in via Puccini, di cui era titolare;
   secondo le ricostruzioni degli organi di stampa, Giandomenico Orlando è stato aggredito alle spalle con un coltello tirapugni e subito 4 coltellate, di cui una alla gola;
   il presunto aggressore è Giovanni Grieco, un uomo di 40 anni;
   secondo le ricostruzioni dei media abruzzesi, già da almeno 4 anni la famiglia Orlando subiva le aggressioni e le minacce del presunto omicida a causa dei rumori e degli odori prodotti dalla pasticceria ubicata al piano terra del palazzo in cui vive anche la madre di Giovanni Grieco;
   sempre secondo gli organi di stampa il figlio della vittima era già stato aggredito due volte da Giovanni Grieco e le minacce di lesione e di morte nei confronti dei componenti della famiglia erano innumerevoli;
   i quotidiani raccontano che per tre volte la divisione anticrimine della questura di Pescara scrisse alla procura della Repubblica chiedendo una misura cautelare per Giovanni Grieco, perché violento, aggressivo e per altrettante volte la procura non diede seguito a quelle richieste;
   una prima richiesta di misura cautelare risale al 2013, mentre le ultime due richieste sono del 2014 e del 2015, per le minacce di morte rivolte alla famiglia Orlando;
   Giovanni Grieco aveva già subito una prima condanna per lesioni nel 1998 in quanto prese a pugni il proprio avvocato difensore quando gli presentò il conto di una causa;
   dalle notizie di stampa non si evince se e come la procura di Pescara abbia agito in occasione delle richieste della divisione anticrimine della questura di Pescara –:
   se il Ministro della Giustizia ritenga opportuno valutare se sussistano i presupposti per avviare iniziative ispettivo presso la procura di Pescara alla luce dei fatti descritti in premessa. (4-09412)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   nel corso del suo tour elettorale in Veneto, il segretario nazionale del Psi e viceministro delle infrastrutture e dei trasporti Riccardo Nencini avrebbe recentemente dichiarato: «La finanza di progetto occupa un capitolo interessante nel nuovo Codice degli appalti, c’è attenzione particolarissima sul Ppp. Sulla Valdastico stiamo aspettando il raggiungimento dell'accordo con la Provincia di Trento, per poi proseguire speditamente con la conclusione dell'opera, perché l’input ci arriva anche dall'Unione europea. Veneto e Sicilia sono le due regioni in cui Anas tra strade e ferrovie ha la massa più grossa di investimenti. Sulla Pedemontana c’è l'attività dell'Anticorruzione, Canton lavora con una certa velocità e siamo fiduciosi. Penso che sulla Orte — Mestre possono esserci novità: deve tornare su indicazione della Corte dei conti al Cipe. Le grandi opere devono avere il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici. Non nego che sull'opera possa essere in corso e un'attenzione e un lavoro di revisione, di rimodulazione del progetto»;
   una presa di posizione che appare agli interroganti non perfettamente allineata alle parole pronunciate dal Ministro Graziano Delrio, che sulla Valdastico ha dichiarato «O arriva il sì di Trento o la Costituzione italiana e la Commissione europea la renderanno impossibile»;
   le posizioni appaiono distanti anche relativamente alla Orte-Mestre, già esclusa dal neo Ministro Graziano Delrio dall'elenco delle infrastrutture strategiche e ridotta a infrastruttura ordinaria, affidando la sua realizzazione a un iter standard e quindi alla cancellazione del progetto dall'elenco della Grandi Opere –:
   se intenda chiarire definitivamente la posizione del Governo relativamente alle opere succitate specificando inoltre cosa si intenda per «rimodulazione del progetto.
(2-01006) «Cozzolino, Spessotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane si sono registrati una serie di incidenti, alcuni purtroppo molto gravi, lungo la strada statale «Basentana» che collega Potenza a Metaponto;
   l'ultimo in ordine di tempo nella giornata dell'8 giugno 2015 quando nei pressi dello svincolo di Tricarico un autoarticolato si è ribaltato bloccando la circolazione;
   l'ennesimo incidente oltre pone in maniera ineludibile il tema della sicurezza di una arteria strategica per l'intero Mezzogiorno in quanto collega la A3 alla Jonica;
   oltre agli interventi di messa in sicurezza dal punto di vista strutturale già sollecitati più volte con atti di sindacato ispettivo anche per prevenire rischi occorre intervenire ammodernando l'infrastruttura;
   si è in assenza di una corsia di emergenza, vi è la questione relativa allo spartitraffico, il fondo stradale soprattutto dopo i periodi invernali sui presenta pieno di buche e avvallamenti pericolosi per chi viaggia e anche la qualità dell'asfalto va migliorata –:
   in considerazione di quanto sopra esposto anche al fine di prevenire incidenti e aumentare gli standard di sicurezza se e quali iniziative il Governo intenda porre in essere nei confronti dell'Anas al fine di ammodernare la strada statale Basentana. (5-05760)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   FIANO, LACQUANITI, COVELLO, OLIVERIO, MAGORNO, CARBONE, AIELLO, VILLECCO CALIPARI, BATTAGLIA, BRUNO BOSSIO e STUMPO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Gioia Tauro, nell'aprile 2010 ha eletto il sindaco Renato Bellofiore; a seguito delle sue dimissioni avvenute nel maggio 2014, l'ente locale è attualmente commissariato; il servizio di tesoreria del comune di Gioia Tauro, già scaduto durante l'amministrazione Bellofiore, non ripristinato neppure dai commissari attualmente presenti, non è garantito al comune di Gioia Tauro che si trova, ancora oggi, privo di un tesoriere;
   al momento non vengono corrisposti stipendi al personale dipendente del comune, 220 famiglie in gran parte monoreddito, data l'assenza di un istituto bancario disposto ad avere rapporti con il comune di Gioia Tauro;
   l'assenza di un servizio di tesoreria comporta l'impossibilità di gestire le risorse del comune;
   le conseguenze di tale situazione ricadono in particolare sui soggetti più deboli e bisognosi, a seguito dei numerosi tagli alle risorse, ad esempio per quanto concerne il trasporto dei disabili e gli scuolabus, il riscaldamento di scuole ed asili comunali, ed il conseguente blocco di tutti i servizi comunali (mensa scolastica, veicoli della polizia municipale, contributi alle famiglie disagiate, manutenzione del manto stradale, degli acquedotti e del sistema fognario);
   l'ente non è in grado di gestire la raccolta dei rifiuti, perché la mancanza di liquidità non gli consente di trovare le soluzioni più adeguate, con gravi ricadute sulla salute dei cittadini per i pericoli igienico/sanitari derivanti da questo disservizio;
   il comune in questione è uno dei più importanti della Calabria e del Mediterraneo in considerazione della sua rilevanza economica e geopolitica legata ad un porto strategico e alle risorse territoriali presenti –:
   se e quali iniziative intenda assumere il commissario al fine di verificare quanto riportato in premessa e se il Governo non ritenga urgente che siano assunte iniziative, nei limiti delle competenze commissariali, e in tempi brevissimi, per far ripartire la struttura amministrativa e burocratica, garantendo una corretta e trasparente gestione dei servizi pubblici nonché la piena tutela dei diritti degli operatorie dei dipendenti, dell'ente che contribuiscono ad assicurare ai cittadini la fruizione di tutti i servizi primari offerti dall'ente locale. (5-05766)


   DADONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con legge 7 aprile 2014, n. 56, meglio conosciuta come «legge Delrio», dal nome dell'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri estensore del disegno di legge, si sono modificate una serie di disposizioni e normative relative agli enti locali, ivi comprese quelle relative alla cosiddetta abolizione delle province;
   come è noto le province, intese come realtà territoriali oltre che amministrative e istituzionali non sono realmente abolite ma continuano a sussistere private di una serie di competenze e prerogative, e riformate in termini di organi politico-amministrativi. Ad esclusione di questi due aspetti, le province sono da considerarsi attualmente «vive e vegete» soprattutto dal punto di vista delle risorse umane impiegate a ciascun livello;
   come già accaduto nel recente passato, l'Anci con il sostegno, a giudizio dell'interrogante, non propriamente congruo al proprio status, del sottosegretario alla funzione pubblica Angelo Rughetti, ha segnalato al Presidente del Consiglio le problematiche inerenti alla gestione, il ricollocamento e la razionalizzazione del personale delle province, comprensivo dei ruoli apicali di dirigenza come quelli di direttore generale e di segretario comunale e provinciale;
   nel lungo processo di riordino della pubblica amministrazione sussistono una serie di vuoti e di incongruenze tecnico-normative così come dimostrato ad esempio dal caso della provincia di Cuneo che a norma di legge vigente deve assegnare l'incarico di segretario provinciale – vacante dalla fine del 2014 – per il quale, come denunciato sulle pagine de La Stampa il 28 maggio 2015, dal presidente della provincia Federico Borgna si prevede un esborso di circa 200 mila euro, nonostante la fase di razionalizzazione e riorganizzazione determini un evidente riduzione dei budget di funzionamento dell'ente –:
   se il Ministro non intenda assumere le dovute iniziative al fine di sospendere in via transitoria l'applicazione della normativa vigente relativa alle cariche di segretario provinciale. (5-05767)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   sono ormai numerosi i casi di mancata applicazione della legge n. 54 del 1989, che definisce le disposizioni relative alla comunicazione dei dati del luogo di nascita agli esuli giuliano-dalmati nei confronti di pubblici uffici;
   col trattato di Pace del 1947 ed il trattato di Osimo del 1975, i territori giuliano-dalmati venivano ceduti all'allora Jugoslavia, la legge n. 54 del 1989; definiva all'articolo 1 che «Tutte le amministrazioni dello Stato, del parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rilasciare attestazioni, certificazioni, dichiarazioni, documenti in genere, a cittadini italiani nati in comuni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate ed associate, quando deve essere indicato il luogo di nascita dell'interessato, hanno l'obbligo di riportare unicamente il nome italiano del comune, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene»;
   all'articolo 2 consente che «Le amministrazioni, gli enti, gli uffici di cui all'articolo sono obbligati, su richiesta anche orale del cittadino stesso, ad adeguare il documento alle norme della presente legge»;
   le circolari ministeriali che si sono succedute al fine di chiarire l'esatta applicazione della norma non hanno finora portato sempre ad una chiara e univoca interpretazione della disposizione menzionata;
   in quasi tutti i casi riscontrati continua ad essere menzionato come territorio di nascita la nazione «Jugoslavia»: in diversi casi che ci vengono segnalati gli uffici pubblici inducono nella mancata applicazione della norma, specificando l'indicazione dello Stato e non riportando il nome italiano del comune di nascita;
   per molte di queste persone il problema riveste capitale importanza e tocca la sfera individuale e il senso di appartenenza alla nazione –:
   con quali modalità e in quali tempi intenda sollecitare ed informare le amministrazioni dello Stato comprese quelle locali, ad una più corretta e rispettosa applicazione della legge n. 54 del 1989. (5-05757)


   SILVIA GIORDANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la procura di Napoli ha avviato un'inchiesta nei confronti di Alfonso De Martino presidente dell'associazione onlus «Un'ala di riserva» e della sua compagna con l'accusa di essersi impossessati di denaro destinato all'assistenza agli immigrati;
   l'inchiesta è stata avviata in seguito alla denuncia di due immigrati somali che erano stati arrestati ingiustamente in seguito a false accuse da parte di Alfonso De Martino, i due si erano rivolti a De Martino chiedendo la corresponsione di alcune somme, relative a pocket money. I due spiegarono la circostanza agli inquirenti che indirizzarono le indagini su De Martino;
   il decreto ministeriale del 21 novembre 2008, prevede l'erogazione agli ospiti dei centri governativi per immigrati di un buono economico (il cosiddetto pocket money) del valore di cinque euro ogni due giorni, spendibile all'interno del centro per «le spese quali bolli postali, schede telefoniche, snack alimentari, bibite analcoliche, libri, giornali, riviste e altro»;
   l'ipotesi investigativa si fonda sul presunto traffico di pocket money, De Martino si sarebbe impossessato di tali somme acquistando schede telefoniche presso la rivendita di cui è titolare la sua compagna (ben 582.248 pocket money, sottolineano gli inquirenti);
   nell'inchiesta della procura di Napoli sono contestati i reati di truffa, peculato e appropriazione indebita che hanno condotto, il 23 maggio 2015, all'arresto di De Martino e della sua compagna Rosa Carnevale;
   il 25 maggio 2015 diverse fonti di stampa pubblicano il coinvolgimento nello scandalo anche di don Vincenzo Federico responsabile della Caritas di Teggiano;
   secondo l'ipotesi accusatoria, esponenti della Caritas – che gestiva l'accoglienza di numerosi immigrati sistemati presso alberghi della zona – avrebbero ricevuto da De Martino parte delle ingenti somme ottenute attraverso i pocket money, infatti, secondo quanto accertato dai magistrati, una parte dei «buoni economici» destinati a migranti gestiti dalla Caritas di don Vincenzo Federico sarebbero stati negoziati a Pozzuoli presso l'edicola di Rosa Carnevale. Ciò è stato confermato anche da alcune dichiarazioni rese ai pubblici ministeri dallo stesso De Martino nel gennaio scorso. «Fui io a proporre a Fiore Marotta (collaboratore, spiega ai magistrati, della Caritas di Teggiano riconducibile al responsabile della Caritas Campania don Vincenzo Federico, ndr) di far convergere sulla mia edicola, qualora ne ravvisasse l'esigenza, i ticket che venivano riconosciuti ai loro ospiti in forza del contratto stipulato con la Regione Campania»;
   un articolo pubblicato sul quotidiano la repubblica riporta che una delle ipotesi degli inquirenti è l'esistenza di un «sistema Caritas». Dopo la perquisizione eseguita dalla guardia di finanza negli uffici di don Vincenzo a Teggiano, gli inquirenti stanno esaminando centinaia di carte relative all'accoglienza degli anni 2011 al 2013 e in molti casi emergono collegamenti tra De Martino, consulente di lungo corso per quella Caritas salernitana, e alcune operazioni che sarebbero segnate da illeciti;
   i responsabili della Caritas di Teggiano, al momento dell'interrogazione, risulterebbero indagati per peculato;
   secondo la ricostruzione dell'accusa i poket money finivano in gran parte nelle tasche di un comitato di «gestione» che distraeva quei soldi per finalità private. Il gip Antonio Cairo ha affermato: «Un sistema di frode stabilmente orientato a permanere nel tempo», dunque «non un progetto isolato e occasionale, ma un progetto volto a durare e a garantire a ciascun soggetto un utile che in parte è stato già accertato e che in parte non è ancora pienamente emerso»;
   è compito del Ministero dell'interno effettuare il monitoraggio e il controllo sulla congruenza dei servizi erogati dagli enti gestori, tramite le prefetture territorialmente competenti che, in caso di accertato disservizio, applicano penali, esigono il risarcimento del maggior danno e, nell'ipotesi di gravi inadempienze, hanno la facoltà di risolvere il contratto;
   25 agosto 2014, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno ha emanato una circolare con cui ha richiamato l'attenzione di tutti i prefetti sulla necessità di esercitare la consueta vigilanza sulla corretta corresponsione del buono economico (da erogarsi «nella misura di euro 2,50 pro die/pro capite»), sia nei centri governativi, sia nelle strutture di accoglienza temporanea, esigendo la dovuta rendicontazione da parte dei gestori –:
   se le prefetture competenti abbiano vigilato sulla congruenza dei servizi erogati dall'onlus «Un'ala di riserva» e dalle strutture gestite dalla Caritas di Teggiano, in caso di risposta affermativa, quali siano stati gli esiti di dette procedure;
   se e quali iniziative intenda assumere al fine di chiarire le responsabilità delle gravi carenze evidenziatesi nella gestione delle vicende esposte e provvedere urgentemente, per quanto di propria competenza, a porre rimedio ai descritti accadimenti;
   si esistano discrasie tra il numero delle richieste di asilo presentate presso le questure competenti e i dati – delle prefetture che hanno erogato fondi per i richiedenti asilo;
   quali siano tempi per le audizioni presso la commissione ministeriale della prefettura di Salerno per i rifugiati politici. (5-05764)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 31 maggio 2015 a Rovigo si sono tenute le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale;
   la commissione circondariale ha annullato lo spoglio di due seggi, il 37 Concadirame e il 44 Mardimago, per errori nella compilazione del verbale;
   nel primo caso infatti esso risultava in bianco, mentre nel secondo non erano stati riportati i voti di lista e quelli al sindaco;
   questo ha comportato la non attribuzione di 978 voti, pari al 4 per cento dei voti espressi, con le conseguenze immaginabili in termini di rispetto della volontà del corpo elettorale;
   non vale infatti la motivazione addotta che tali voti sarebbero ininfluenti ai fini della determinazione dei candidati sindaco ammessi al secondo turno, dato che le elezioni riguardano anche la composizione del consiglio comunale, sia in termini di composizione numerica che di candidati eletti tramite preferenze;
   è d'altronde evidente che deve essere tutelato soprattutto il diritto costituzionale ad un voto personale, libero, uguale e segreto per tutti i cittadini, che non può certo essere sospeso per l'errore di un presidente di seggio o la decisione di una commissione circondariale;
   della questione è stato investito il prefetto di Rovigo, che a tutela del corretto svolgimento del turno elettorale, anche in previsione di eventuali ricorsi al TAR, dovrebbe ad avviso dell'interrogante auspicabilmente intervenire per determinare il riconteggio dei voti, senza che valga la motivazione contraria dei tempi stretti, e prima che vengano proclamati gli eletti e insediato il nuovo consiglio comunale –:
   a partire dall'interessamento del Sottosegretario Bocci, di cui si ha notizia a mezzo stampa, come il Governo intenda attivarsi nei limiti di competenza, con la massima urgenza, in relazione ai fatti descritti in premessa. (4-09407)


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il servizio Centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) è stato istituito con la legge n. 189 del 2002;
   il Ministero dell'interno ha affidato la gestione del sistema SPRAR all'Associazione nazionale comuni italiani (ANCI);
   il sistema SPRAR è costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono al fondo nazionale per le politiche e i servizi d'asilo;
   nei giorni scorsi il servizio centrale del sistema SPRAR ha conferito l'incarico di tutor territoriale per i progetti SPRAR delle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige al signor Nicola Grigion;
   il conferimento dell'incarico è avvenuto al termine di una selezione di curriculum;
   si tratta di un ruolo esclusivamente tecnico di assistenza ai progetti territoriali ed al loro sviluppo, perché possano diventare occasione per i richiedenti asilo e rifugiati di riconquistare autonomia;
   la figura del tutor territoriale ha anche un ruolo di monitoraggio attraverso missioni di più giorni per verificare che il bando, le linee guida ed il manuale operativo SPRAR vengano rispettati dai progetti;
   per svolgere compiti del genere serve una persona con una grande esperienza nella relazione diretta con i rifugiati, con conoscenze giuridiche sull'argomento e con capacità di monitoraggio;
   Nicola Grigion ha tutti i requisiti in questione;
   nonostante si tratti di un contratto di collaborazione a progetto sottoscritto da Cittalia, la fondazione che per conto di Anci gestisce il servizio centrale del sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, l'incarico non è stato dato dall'Anci (organo di rappresentanza politica dei Sindaci), ma dallo stesso servizio centrale, la cui indipendenza è indubbia;
   nelle scorse settimane sono state sollevate obiezioni sulla nomina di Nicola Grigion;
   secondo tali obiezioni vi sarebbe una presunta incompatibilità tra Grigion e la carica in questione;
   il decreto legislativo n. 39 del 2013 sull'inconferibilità degli incarichi fa riferimento a condanne per i reati inseriti nel capitolo I del titolo II del libro secondo del codice penale;
   si tratta di reati come corruzione, concussione, abuso d'ufficio e reati commessi da pubblici ufficiali nell'ambito del loro servizio;
   il casellario giudiziale del 18 maggio 2015 di Nicola Grigion risulta vuoto;
   la visura penale del 22 maggio 2015, ovvero quella visibile a forze dell'ordine e magistratura, riporta invece tre decreti penali di condanna di circa 300 euro;
   si riscontrano un imbrattamento e occupazione in concorso nel 2003 durante una manifestazione contro la guerra in Iraq, una manifestazione non autorizzata in concorso nel 2005 ed un'occupazione di un edificio pubblico nel 2007;
   si tratta di questioni estremamente diverse da quelle prese in considerazione dalla normativa sull'inconferibilità degli incarichi;
   i precedenti di polizia non valgono nulla nel senso che viene invece contestato a Grigion;
   le pressioni che stanno avvenendo ai danni di Nicola Grigion sembrano del tutto pretestuose ed infondate;
   l'Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione ha lanciato un appello in sostegno di Nicola Grigion firmato da numerosi autorevoli giuristi ed esperti di immigrazione;
   in un contesto in cui le pubbliche amministrazioni sono spesso toccate da casi reali di corruzione, concussione e vari abusi, reati per cui è prevista l'inconferibilità dell'incarico secondo la legge, la scelta di Grigion rappresenta una garanzia;
   sarebbe inaccettabile se l'incarico ottenuto al termine di una selezione che ha rigorosamente valutato il suo curriculum e le sue qualifiche fosse posto in questione sulla base di un'evidente discriminazione politica;
   il servizio centrale, selezionando il suo profilo, ha dimostrato di voler monitorare e supportare con decisione, trasparenza e competenza, i progetti di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati, che rappresentano un modello di accoglienza da riprodurre, proprio per prevenire e combattere malversazioni e infiltrazioni (come purtroppo segnalato da inchieste giudiziarie quali «Mafia Capitale») di chi sulla pelle dei rifugiati ha voluto speculare –:
   se non ritenga doveroso chiarire una volta per tutte la piena compatibilità di Nicola Grigion con l'incarico di tutor territoriale per i progetti SPRAR delle regioni Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige. (4-09410)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   VACCA, SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, MARZANA, CHIMIENTI, BRESCIA, D'UVA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 4 giugno 2015 dall'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo è stato inviato un documento, prot. N. 0004145, a tutti i dirigenti scolastici della regione e agli ambiti territoriali a firma del direttore generale dottor Ernesto Pellecchia;
   l'oggetto del documento è: «DDL n. 1934/2015 articolo 2: autonomia scolastica ed offerta formativa — “Organico potenziato”»;
   nella missiva si ricorda che il disegno di legge n. 1934 del 2015 è in discussione al Senato e che consente di realizzare pienamente l'autonomia scolastica anche attraverso l'assegnazione di un organico potenziato aggiuntivo;
   nella stessa missiva si invitano i dirigenti scolastici, nelle more della conclusione dell’iter parlamentare di approvazione del disegno di legge, ad individuare le aree omogenee di attività ed i relativi fabbisogni di personale secondo uno schema allegato ed a trasmettere ai rispettivi ambiti territoriali, previa acquisizione della deliberazione degli Organi collegiali entro e non oltre il 20 giugno;
   lo schema allegato alla missiva riporta:
    a) come intestazione del documento «Fabbisogno di posti di organico potenziato autonomia scolastica e valorizzazione dell'offerta formativa — articolo 2 DDL 1934/2015»;
    b) l'indicazione degli estremi della delibera del consiglio di istituto, gli estremi della delibera del collegio docenti;
    c) in maniera specifica tutte le aree omogenee di attività;
    d) il 7 giugno 2015 la notizia della nota dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo era presente su diverse testate on line;
   con nota protocollo n. 0004179 dell'8 giugno 2015, l'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo indica di astenersi dal trasmettere i dati richiesti con la nota protocollo n. 0004145;
   a giudizio degli interroganti la nota protocollo n. 0004145 presenta diversi aspetti che vanno approfonditi. Non è chiaro in particolare su quale presupposto normativo il direttore generale dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo «emani» un atto che dà impulso ad una serie di procedure che gli istituti scolastici devono adempiere, tra le quali l'individuazione da parte del dirigente scolastico di un organico potenziato, la necessità di una delibera del consiglio di istituto e del collegio dei docenti nonché come sia stata individuata la data di scadenza al 20 giugno e se lo schema allegato sia ministeriale o dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo;
   a giudizio dell'interrogante il disegno di legge è solo un fatto e non una legge, per cui se per ogni disegno di legge che sta seguendo un iter parlamentare si dovessero emanare atti di questo genere ci troveremmo di fronte all'ingovernabilità più assoluta;
   la conclusione dell’iter parlamentare di un disegno di legge è, per definizione, sconosciuto perché, ovviamente, è soggetto ad un voto assembleare e può essere oggetto di modifiche di ogni genere;
   l’iter parlamentare di un disegno di legge è incerto anche nei tempi –:
   su quale presupposto normativo possa essere emanato un atto di tale genere che dà avvio a procedimenti formali;
   se la missiva dell'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo sia un atto di iniziativa regionale o conseguenza di un impulso ministeriale;
   nel caso sia una iniziativa ministeriale, chi e perché abbia dato avvio ad un procedimento di tale portata. (3-01533)

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO, RICCIATTI, NICCHI, DURANTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, PIRAS e MARCON. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'Istat erano più di 3 milioni gli italiani che si dichiaravano omo o bisessuali nel 2012, e secondo una ricerca condotta dall'associazione Arcigay con il patrocinio dell'Istituto superiore di sanità, già nel 2005, il 17,7 per cento dei gay e il 20,5 per cento delle lesbiche con più di 40 anni ha almeno un figlio. Attualmente, nonostante non esista un registro nazionale ufficiale delle unioni civili si calcola che i figli di coppie omosessuali siano in Italia circa 100 mila;
   nel 2013 l'Italia ha aderito, attraverso il dipartimento per le pari opportunità e l'ufficio nazionale antidiscriminazioni (UNAR) al Programma del Consiglio d'Europa, che adottava la strategia nazionale LGBT 2013-2015, il cui obiettivo era prevenire e contrastare le discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e l'identità di genere, e attuare e implementare la Raccomandazione del Comitato dei ministri CM/REC (2010)5, per la cui attuazione l'UNAR, in collaborazione con le diverse realtà istituzionali, le associazioni LGBT e le parti sociali ha elaborato una strategia nazionale con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   per la sezione «Educazione e Istruzione», la strategia nazionale aveva individuato specifici obiettivi tra cui: a) ampliare le conoscenze e le competenze di tutti gli attori della comunità scolastica sulle tematiche LGBT; b) prevenire e contrastare il fenomeno dell'intolleranza e della violenza legate all'orientamento sessuale o all'identità di genere; c) garantire un ambiente scolastico sicuro e friendly, al riparo dalla violenza, dalle angherie, dall'esclusione sociale o da altre forme di trattamenti discriminatori e degradanti legati all'orientamento sessuale o all'identità di genere; d) conoscere le dimensioni e le ricadute del bullismo nelle scuole, a livello nazionale e territoriale, con particolare riferimento al carattere omofobico e transfobico, mediante una rilevazione e raccolta sistematica dei dati; e) favorire l’empowerment delle persone LGBT nelle scuole, sia tra gli insegnanti che tra gli alunni; f) contrastare e prevenire l'isolamento, il disagio sociale, l'insuccesso e la dispersione scolastica dei giovani LGBT; g) contribuire alla conoscenza delle nuove realtà familiari, superare il pregiudizio legato all'orientamento affettivo dei genitori per evitare discriminazioni nei confronti dei figli di genitori omosessuali;
   la riforma della cosiddetta «Buona Scuola», che sarebbe servita per formalizzare un impegno concreto nell'ambito dell'istruzione pubblica da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, affrontando le numerose proposte di legge di iniziativa parlamentare che colmavano un vuoto programmatico che ormai riguarda praticamente solo l'Italia nel panorama europeo, è stata un'occasione mancata per raggiungere e perseguire gli obiettivi della «Strategia nazionale»;
   a questo si aggiunga che, come segnala l'avvocato Marco Barone in un articolo apparso il 5 giugno sul portale orizzonte scuola.it, il 4 giugno 2015, nessun delegato istituzionale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si è presentato al workshop convocato a Roma dell'Asse Educazione e Istruzione organizzato da UNAR e RE.A.DY nell'ambito della strategia nazionale;
   lo si apprende da un comunicato delle associazioni lgbt Agedo, Arcigay, ArciLesbica, Associazione Radicale Certi Diritti, Equality Italia, Famiglie Arcobaleno, Gay center, Mit che denunciano testualmente: «convocate a Roma per un workshop: il Miur dà forfait e viene data notizia della rottamazione delle azioni di contrasto al bullismo omofobico previste nell'Asse Educazione e Istruzione della Strategia Unar [...] purtroppo l'incontro, che aveva un carattere conclusivo e di valutazione delle azioni svolte, è stato totalmente negativo. Prima di tutto molto grave è stata l'assenza del MIUR, che in collaborazione con UNAR e READY avrebbe dovuto attuare le misure previste dall'Asse Educazione e Istruzione: nessun interlocutore istituzionale a cui chieder conto di quanto fatto e di quello che si sarebbe potuto fare in futuro. Delle 17 misure previste dall'Asse Educazione e Istruzione in sostanza è stata attuata concretamente e parzialmente una sola (il corso di formazione per le figure apicali tenutosi il 26 e 27 novembre 2014, dove tra 41 partecipanti vi era un solo direttore di un Ufficio Scolastico Regionale), tutto il resto è rimasto sulla carta», comunicato visibile anche sulla pagina nazionale dell'associazione Arcigay;
   nessun comunicato stampa sull'accaduto è reperibile sul sito nazionale del Miur –:
   se il Ministro interrogato abbia abbandonato la strategia nazionale che contrasta le discriminazioni su orientamento sessuale ed identità di genere; se e come intenda dimostrare di voler proseguire e garantire – a livello legislativo specialmente – l'avanzamento dell'Italia su questi temi senza attendere ulteriori condanne dell'Unione europea, nonché attenersi agli impegni presi con le centinaia di organizzazioni che attendono l'attuazione della Strategia nazionale. (4-09406)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MAESTRI e ROMANINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Fincuoghi è una storica azienda del settore ceramico, con sedi e stabilimenti a Sassuolo, Fiorano (Modena), Bedonia e Borgo Val di Taro (Parma). L'azienda, dopo aver attraversato una difficile crisi ed essere stata ammessa, in seconda istanza, al concordato, il 3 ottobre 2011 è stata completamente acquisita, con l'esclusione dello stabilimento di Bedonia, da parte della Kale Group, leader turco e terzo produttore europeo nel settore delle ceramiche;
   all'atto dell'acquisizione il gruppo Kale si è impegnato ad avviare un piano di ristrutturazione aziendale con investimenti per 25 milioni di euro nei successivi 5 per il riposizionamento sul mercato dei tre storici marchi — Edilcuoghi, Edilgress e Campani — e, in particolare, per l'ottimizzazione dell'efficienza produttiva e dei costi di produzione nello stabilimento di Borgo Val di Taro, in provincia di Parma, con l'obiettivo di collocare già nel 2013 lo stabilimento tra i poli di eccellenza in Emilia-Romagna;
   l'8 giugno 2015 l'azienda ha comunicato l'intenzione di cessare tutte le attività produttive dello stabilimento di Borgo Val di Taro, con l'immediata apertura di procedura di messa in mobilità dei dipendenti, che fino al 19 luglio 2015 resteranno in cassa integrazione, benché, solo pochi mesi fa, il Gruppo Kale avesse fornito ampie rassicurazioni su un piano industriale di rilancio, basato su terzisti e su una rinnovata spinta tecnologica;
   in serata si è svolta a Borgo Val di Taro un'assemblea sindacale alla quale sono intervenuti anche i parlamentari, i consiglieri regionali e i sindaci dell'Alta Val Taro nel corso della quale è stata espressa una forte preoccupazione per le ricadute occupazionali di questa chiusura: 122 lavoratori già oggi in cassa integrazione straordinaria;
   l'assessore-regionale alle attività produttive, Palma Costi, ha immediatamente convocato per giovedì 11 giugno un incontro del tavolo regionale per una valutazione della situazione aziendale con l'obiettivo di fare di tutto per salvaguardare lo stabilimento e i livelli occupazionali, ricordando che solo un anno fa era stato rinnovato un accordo per l'utilizzo di ammortizzatori sociali utili alla prosecuzione dell'attività aziendale definendo un'intesa anche sugli esuberi;
   la chiusura dello stabilimento di Borgotaro, che si aggiunge a quella di Bedonia, rappresenta un duro colpo per l'economia della montagna parmense con un depauperamento del proprio patrimonio industriale e un aggravarsi della crisi occupazionale –:
   di quali azioni il Ministro interrogato intenda farsi promotore per affiancarsi alle amministrazioni locali e alla regione Emilia-Romagna con l'obiettivo di scongiurare la chiusura degli stabilimenti ex Fincuoghi di Borgo Val di Taro e salvaguardare gli attuali livelli occupazionali anche assicurando fin d'ora l'accesso ai più utili strumenti di ammortizzazione sociale per sostenere i lavoratori coinvolti. (5-05756)

Interrogazione a risposta scritta:


   BALDASSARRE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'interrogazione a risposta in commissione n. 5-03483 – a cui non è stata ancora data risposta – si rilevavano molteplici criticità in merito alla determinazione commissariale n. 117 del luglio 2014, la determinazione commissariale n. 118 del 17 luglio 2014 e la determinazione commissariale n. 120 del 22 luglio 2014 e altresì i messaggi Hermes 06162 del 18 luglio 2014 19.02.11 e 006273 del 24 luglio 2014 20.18.05;
   dal suddetto interpello — messaggio Hermes 06162 del 18 luglio 2014 19.02.11 — si evinceva che delle 48 posizioni di dirigenza generale, 13 sarebbero strutture di progetto temporaneo (determinazione commissariale 120 del 22 luglio 2014);
   nella documentazione allegata all'audizione del 20 maggio 2015 della Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, il presidente INPS, Tito Boeri, ha rilevato che: «Forti criticità nel modello di servizio (...) sono rinvenibili nell'attuale assetto organizzativo della direzione generale. Il nuovo ordinamento dei servizi propone, infatti, un modello di Direzioni centrali affiancato da un proliferare di Progetti centrali di prima fascia, che rende assai complesso il processo di razionalizzazione delle funzioni e di relazione tra le stesse, determinando la sovrapposizione di competenze o la loro disaggregazione in logica di duplicazione piuttosto che di funzionalità.» e ancora: «(...) solo a livello centrale il Direttore Generale deve interloquire, al netto delle altre funzioni e dei Coordinamenti generali, con 18 direttori centrali e 12 responsabili di progetto di prima fascia centrali, in molti casi responsabili di funzioni talmente affini da creare, come detto, concreti problemi di funzionamento»;
   dalla suddetta relazione si rileva inoltre che: «le osservazioni ed i rilievi di cui sopra hanno interessato la determina commissariale n. 120 del 2014 di istituzione di 13 progetti temporanei (...)» e «determinazioni commissariali n. 117 e 118 del 17 luglio 2014, a parere del Collegio dei Sindaci le stesse sarebbero state assunte in carenza dell'approvazione – da parte dei Ministeri vigilanti e del Dipartimento della funzione pubblica – della dotazione organica (articolo n. 8 della legge n. 88 del 1989) ed in assenza delle previste valutazioni sul Piano industriale da parte delle stesse amministrazioni (articolo 1, comma 9, della legge n. 247 del 2007)» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suddetti;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno intervenire, con ogni strumento di competenza al fine di far luce sulle suddette criticità e verificare che tutte le procedure messe in atto da INPS si siano svolte nel rispetto delle normative vigenti e siano state messe in atto tutte le procedure volte a garantire un effettivo risparmio di spesa, nonché il principio generale di trasparenza e il totale accesso alle informazioni;
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario verificare la correttezza delle procedure messe in atto da INPS in merito ai 13 progetti temporanei e relativi posti funzione di livello dirigenziale generale anche alla luce della dichiarazione del presidente INPS – Tito Boeri – «(...) le stesse sarebbero state assunte in carenza dell'approvazione – da parte dei Ministeri vigilanti e del Dipartimento della funzione pubblica (...)»;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di azioni disciplinari messe in atto dall'ufficio disciplinare interno di INPS volte all'individuazione di responsabilità e di soggetti responsabili delle criticità espresse in premessa. (4-09409)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROSTELLATO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito della procedura di infrazione 2013/2092, il 26 febbraio 2015 la Commissione europea ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per essere venuta meno agli obblighi imposti dagli articoli 69, 70, 80 e 83 del regolamento (CE) n. 1234/2007 (cosiddetto regolamento unico OCM) e dagli articoli da 15 a 17 del regolamento CE n. 594/2004, nonché da precedenti disposizioni di analogo contenuto, non avendo garantito il recupero dei «prelievi» sulle eccedenze rispetto alle quote latte (cosiddetti «prelievi supplementari»);
   il mancato pagamento dei «prelievi», da parte delle imprese italiane, ha costituito oggetto di una serie di procedure di infrazione già promosse dalla Commissione europea fra il 1994 e il 1998, poi archiviate a seguito del ripetuto intervento del legislatore italiano, con una serie di provvedimenti ritenuti dalla Commissione adeguati a soddisfare le proprie richieste. Con la decisione 2003/530, la Commissione ha concesso la rateizzazione dei pagamenti dovuti da quelle aziende che, avendo già contestato in sede giudiziale le ingiunzioni delle amministrazioni italiane al pagamento dei prelievi, si fossero ritirate dal contenzioso;
   un certo numero di produttori ha aderito a detti piani di rateizzazione, ma restano ancora insoluti ben 1,423 miliardi di euro. Questi ultimi corrispondono al debito dei produttori lattieri che non hanno aderito ai programmi di rateizzazione (per scelta o in quanto esclusi dalla «copertura» di cui alla sopra citata decisione dell'Unione europea –:
   se il ministro interrogato, non intenda agire nel breve tempo possibile affinché venga definita la procedura di recupero di tali somme da parte dei produttori che risultano tutt'oggi ancora in debito con lo Stato, al fine di chiudere, in maniera definitiva, la procedura di infrazione in atto comminata dall'Unione europea. (5-05759)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI, FRANCO BORDO, ZACCAGNINI e KRONBICHLER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultimo numero della rivista «The Lancet Oncology» l'agenzia dell'Organizzazione mondiale della sanità, OMS, ha annunciato di aver classificato tre pesticidi nella categoria 2A, cioè «probabilmente cancerogeni», l'ultimo livello prima di «sicuramente cancerogeni»; fra le molecole prese in considerazione dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC) ci sono due insetticidi, il diazinon e il malathion, ma a suscitare scalpore è stato il parere dello IARC sulla terza sostanza, il glifosato;
   il glifosato è stato sintetizzato dalla Monsanto negli anni settanta, è il principio attivo del diserbante Roundup, ed è di fatto l'erbicida più usato al mondo oltre a essere quello che si ritrova più spesso nell'ambiente; è presente in più di 750 prodotti destinati all'agricoltura, silvicoltura, usi urbani e domestici;
   il suo impiego è decisamente aumentato con lo sviluppo delle colture transgeniche resistenti al glifosato;
   l'Italia, secondo un rapporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, ISPRA, è il maggiore consumatore tra quelli dell'Europa occidentale di pesticidi per unità di superficie coltivata, con valori doppi rispetto a quelli della Francia e della Germania. Molto alto anche il numero delle sostanze di cui si trovano importanti tracce nelle acque: 175 tipologie di pesticidi nel 2012 a fronte dei 166 del 2010 e di 118 del biennio 2007-2008. Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono il glifosato e i suoi metaboliti;
   va precisato che gli studi esaminati dall'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, segnalano un aumento del rischio di tumore tra i giardinieri e agricoltori, non nella popolazione generale. Secondo l'Agenzia, «...gli studi caso-controllo di esposizione professionale condotti in Svezia, Stati Uniti e Canada hanno rivelato un aumento del rischio del linfoma di non Hodgkin...»;
   alcuni esperimenti sugli animali hanno mostrato che il diserbante provocava danni cromosomici, un maggiore rischio di tumore alla pelle e al tubolo renale e di adenomi delle cellule pancreatiche;
   queste problematiche e i gravi rischi sulla salute connessi, erano già stati evidenziati il 6 maggio 2015 in Commissione agricoltura della Camera, con un'interrogazione a risposta immediata (5-05514) del Gruppo «Sinistra Ecologia Libertà». In quell'occasione, il sottosegretario Giuseppe Castiglione rispondendo al suddetto atto di sindacato ispettivo, chiariva che «il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali può esprimersi unicamente in merito all'efficacia agronomica dei prodotti fitosanitari, mentre gli aspetti connessi alla tutela della salute umana rientrano tra le competenze del Ministero della Salute» –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se non si ritenga necessario e urgente — anche alla luce delle evidenti suddette criticità e del fatto che l'Organizzazione mondiale della sanità ha classificato il glifosato come probabilmente cancerogeno – assumere iniziative per vietare il medesimo glifosato sul nostro territorio nazionale, al fine di applicare il «principio di precauzione» a tutela della salute degli operatori del settore agricolo, nonché dei consumatori e dell'ambiente, e in attesa di una risposta definitiva sulla sua più che probabile cancerogenicità.
(4-09408)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, PIRAS, QUARANTA, DURANTI, SANNICANDRO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, GIANCARLO GIORDANO, KRONBICHLER, MARCON, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yacht è una società attiva dal 2001, con sede ad Ancona, specializzata nella produzione di yacht di lusso fra i 30 e 100 metri. Controllata dal fondo Yachting Investors Group di Londra, gode di un alto riconoscimento sul mercato per la qualità dei suoi prodotti. In soli 14 anni di attività, la società ha realizzato 32 mega yacht di lusso;
   a causa della congiuntura economica negativa, che ha caratterizzato il comparto della nautica, l'azienda non ha commesse da due anni, ed ha accumulato debiti per 40 milioni di euro;
   fonti di stampa riportano che dei 106 lavoratori impiegati, attualmente lavorano solo 16 operai a rotazione per la manutenzione di due barche (AnconaToday.it, 18 maggio 2015);
   i lavoratori sono da 15 settimane in cassa integrazione. Il prolungamento della cassa ordinaria è stato chiesto fino all'inizio del prossimo agosto, mentre la richiesta di cassa integrazione straordinaria è legata alla dimostrazione di continuità operativa dell'azienda, circostanza tutt'altro che scontata;
   l'agenzia di stampa Ansa ha reso noto, in data 6 maggio 2015, che l'azienda ha annunciato alla rappresentanza sindacale unitaria di aver presentato richiesta di concordato preventivo al tribunale di Ancona; per mancanza assoluta di ordini. Fonti sindacali hanno rivelato che al momento «non ci sono possibili acquirenti interessati a rilevare il cantiere o nuovi investitori all'orizzonte» (Giuseppe Ciarrocchi, segretario regionale della Fiom Cgil, Ansa 6 maggio 2015);
   oltre alla salvaguardia del lavoro per 106 lavoratori, si pone il problema di salvaguardare il know how maturato in un settore dove l'Italia è stato per anni leader indiscusso in tutto il mondo, ruolo che oggi appare fortemente ridimensionato;
   il settore della nautica da diporto risulta particolarmente rilevante per l'economia italiana. Secondo i dati contenuti nell'ultimo Rapporto sull'economia del mare del Censis, il contributo al PIL del turismo nautico si aggira sui 5 miliardi di euro;
   la crisi del 2011-2012 ha comportato la perdita di 18.000 posti di lavoro nella produzione e 20.000 nell'indotto turistico;
   il compendio statistico Il diporto nautico in Italia – Anno 2013, redatto dall'ufficio statistico del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, evidenzia che al 31 dicembre 2013 risultano iscritte in Italia 103.493 unità, a fronte delle 104.738 unità rilevate al 31 dicembre 2012; quasi il 40,9 per cento delle unità appartiene alla classe fino a 10 metri (quelli che il codice definisce natanti da diporto); il 58,8 per cento appartiene alla classe compresa tra i 10 e i 24 metri (quelli che il codice definisce imbarcazioni da diporto) e solo lo 0,3 per cento è oltre i 24 metri (quelli che il codice definisce nave da diporto);
   sempre al 31 dicembre 2013 i posti barca destinati al diporto nautico risultano essere 147.804 posti barca;
   nella serie storica si nota un aumento graduale e costante tra il 2008 e il 2011 sia delle unità da diporto sia dei posti barca, mentre nel 2012 si è rilevata una diminuzione di entrambi i dati confermata nel 2013;
   la medesima ricerca evidenzia uno squilibrio infrastrutturale tra Nord e Sud: il rapporto tra il numero dei posti barca ed i chilometri di costa registra il suo valore minimo (11,1) nell'Italia meridionale; al Centro è 29 e nel Nord è 68,1. L'indice di affollamento (rapporto percentuale tra unità da diporto e posti barca censiti) registra una media nazionale di 70; nell'Italia meridionale ed insulare tale valore è nettamente inferiore (47,1), anche se in questa area la regione Campania risulta in controtendenza con un indice di affollamento di 128 (le regioni con indice di affollamento più alto sono Lazio, Emilia-Romagna e Campania);
   il settore della nautica da diporto è attualmente anche oggetto di interesse da parte dell'Unione europea, nell'ambito della strategia europea per una maggiore crescita e occupazione nel turismo costiero e marittimo contenuta nella Comunicazione della Commissione europea COM(2014)86, presentata il 20 febbraio 2014. L'Unione europea ha, inoltre, recentemente approvato la direttiva 2013/53/UE relativa alle imbarcazioni da diporto e alle moto d'acqua –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di affrontare la crisi dell'industria e del turismo nautico del nostro Paese a partire dalla vicenda della società Isa Yacht. (5-05769)


   BENAMATI, SENALDI, TARANTO e BARGERO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la «DELIBERAZIONE 11 DICEMBRE 2014 609/2014/R/EEL», in tema di applicazione dei corrispettivi degli oneri generali di sistema per reti interne e sistemi efficienti di produzione e consumo, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico ha determinato le modalità operative per la prima attuazione di quanto previsto dall'articolo 24 dal decreto legge 24 giugno 2014, n. 91, come convertito dalla legge 11 agosto 2014 n.116, in relazione all'applicazione degli oneri generali di sistema alla quota di energia elettrica consumata ma non prelevata dalle reti pubbliche all'interno di reti interne di utenza, sistemi efficienti di utenza e sistemi esistenti equivalenti ai sistemi efficienti di utenza;
   secondo le dichiarazioni del febbraio 2015 del Ministro Guidi, i dati elaborati dal Ministero dello sviluppo economico dimostrerebbero chiaramente che gli effetti dell'impegno assunto dal Governo per favorire la competitività delle imprese attraverso la riduzione degli oneri di sistema che gravano sulla bolletta elettrica sono già visibili: imprese e famiglie risparmieranno nel 2015 quasi 2,7 miliardi sulla bolletta elettrica, di cui circa 1,7 miliardi a beneficio delle Pmi con potenza superiore ai 16,5 chilowatt. Nel dettaglio, per le imprese il minore esborso determinato dal «taglia bollette» ammonterebbe a 910 milioni mentre per le famiglie sarebbe pari a 313 milioni. Le ulteriori misure varate impatterebbero positivamente per 771 milioni sulle aziende e per 694 milioni sui consumatori;
   lo scorso aprile il Ministro ha confermato che si è già conseguita una riduzione del prezzo dell'energia elettrica per le piccole e medie imprese con una oscillazione di circa l'8-10 per cento su base annua;
   anche per il presidente dell'Autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico, Guido Bortoni, intervenuto nel corso dell'audizione tenutasi davanti alla commissione industria del Senato nell'ambito dell'indagine conoscitiva sui prezzi finali di elettricità e gas, l'approccio adottato per definire le misure del decreto legge 24 giugno 2014, n. 91 seguirebbe la via corretta, della riduzione degli oneri;
   dallo sconto delle tariffe elettriche sono rimaste finora escluse le piccole e medie imprese con potenza impegnata inferiore ai 16,5 chilowatt che rappresentano una potenziale platea di circa 4 milioni tra imprese e lavoratori autonomi –:
   quali siano in dettaglio i dati accertati e quali azioni si intendano porre in atto nei prossimi provvedimenti per rafforzare la riduzione delle tariffe elettriche alle piccole e medie imprese con consumi al di sotto delle soglie che danno diritto alla riduzione delle accise. (5-05770)


   ALLASIA e FEDRIGA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Alcatel-Lucent occupa in Italia circa 1.300 dipendenti;
   il sito di Trieste è specializzato sul prodotto WDM trasmissione e multiplazione di dati su fibra ottica, che rappresenta il punto di forza dell'attività di Alcatel-Lucent, ad elevatissima tecnologia, tanto che il sito triestino è rimasto l'ultimo degli stabilimenti produttivi del gruppo nel mondo a produrlo;
   le attività del sito di Trieste danno occupazione a più di 850 persone tra i dipendenti, i lavoratori somministrati e l'indotto, sia interno che esterno;
   nel sito di Trieste si svolgono attività di industrializzazione di nuovi prodotti WDM ad altissima tecnologia in stretto contatto con i laboratori di ricerca e sviluppo, nonché attività di integrazione di tutti gli apparati interconnessi con chilometri di fibra ottica, tanto da simulare una vera posa in campo degli stessi, dando la possibilità ai clienti di eseguire prove e misurazioni direttamente in azienda;
   voci sempre più insistenti sostengono una probabile cessione del sito di Trieste; tali voci, che non state ancora smentite dai vertici aziendali, neppure durante l'incontro organizzato presso il Ministero dello sviluppo economico, stanno mettendo in stato di forte agitazione i lavoratori e le loro famiglie;
   il sito triestino ricopre un ruolo strategico non solo per il business del gruppo Alcatel-Lucent, ma anche per lo sviluppo dell'economia del territorio, in quanto produce tecnologie ottiche a livello mondiale con un altissimo livello di competenze specialistiche;
   sembra siano due le multinazionali interessate all'acquisizione del sito di Trieste, Jabil e Flextronics, le quali sono conosciute per avere chiuso, in passato, diversi siti produttivi, delocalizzando le attività e licenziando i lavoratori in Italia;
   l'eventuale cessione ad aziende come la Jabil e la Flextronics, che si occupano essenzialmente di attività di manifacturing con immediati ritorni economici, segnerebbe l'inizio di un percorso che nel tempo porterebbe al trasferimento delle attività nei paesi low cost, dove queste multinazionali hanno già numerosi stabilimenti, e dove le tutele sui lavoratori sono minime, con una perdita importante di occupazione e di competenze per il territorio di Trieste già attraversato da una profonda crisi industriale;
   l'azienda ha definito il sito di Trieste come un «asset fondamentale» per lo sviluppo del business di Alcatel-Lucent, anche in prospettiva di una prossima modifica dell'assetto del gruppo che nel 2016 dovrebbe essere assorbito da Nokia Corporation, ma ad oggi nessun impegno è stato reso noto a garanzia della strategicità produttiva ed occupazionale del sito medesimo;
   la vicenda ha una rilevanza nazionale anche in considerazione del fatto che il gruppo riveste una posizione di primo piano nell'ambito del tavolo permanente per l'innovazione e l'agenda digitale costituito per pianificare i futuri investimenti in Italia sulle telecomunicazioni per la banda ultralarga –:
   quali iniziative intenda adottare per favorire l'immediata convocazione di un tavolo di concertazione tra le parti interessate, al fine di arrivare ad una posizione il più possibile condivisa che confermi la strategicità, del sito produttivo di Trieste, rappresentando questo un'opportunità di sviluppo non solo per Alcatel-Lucent, anche in vista del futuro assorbimento da parte di Nokia Corporation, ma anche per il territorio triestino che ospita uno dei più importanti siti industriali ad alta tecnologia rimasti in Italia. (5-05771)


   CRIPPA, DA VILLA, FANTINATI, DELLA VALLE, CANCELLERI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 4 luglio 2014, n. 102, di attuazione della direttiva 2012/27/UE sull'efficienza energetica, che modifica le direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE, all'articolo 5 prevede il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione;
   in particolare, a partire dall'anno 2014 e fino al 2020, e nell'ambito della cabina di regia di cui all'articolo 4-bis, che si è insediata lo scorso febbraio dopo l'emanazione del gennaio 2015, sono realizzati attraverso interventi sugli immobili della pubblica amministrazione centrale in grado di conseguire la riqualificazione energetica almeno pari al 3 per cento annuo della superficie coperta utile climatizzata o che, in alternativa, comportino un risparmio energetico cumulato nel periodo 2014-2020 di almeno 0,04 Mtep. A decorrere dal 2014 ed entro il 30 novembre di ogni anno;
   il Ministero dello sviluppo economico di concerto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e in collaborazione con l'Agenzia del demanio, predispone un programma di interventi per il miglioramento della prestazione energetica degli immobili della pubblica amministrazione centrale e promuove, altresì, le attività di informazione e di assistenza tecnica eventualmente necessarie alle pubbliche amministrazioni interessate, anche tramite propri enti e società collegate;
   le stesse amministrazioni, con il supporto dell'ENEA e del GSE nel rispetto delle rispettive competenze, assicurano il coordinamento, la raccolta dei dati e il monitoraggio necessario per verificare lo stato di avanzamento del programma, promuovendo la massima partecipazione delle amministrazioni interessate, e la pubblicità dei dati sui risultati raggiunti e sui risparmi conseguiti –:
   quali siano le iniziative finora adottate dal Ministro in merito alle procedure indicate di efficientamento degli immobili pubblici e quali siano i risultati ottenuti. (5-05772)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la vertenza di MercatoneUno si fa sempre più critica, serve uno sforzo congiunto per evitare la chiusura dello stabilimento di Magione e salvaguardare i livelli occupazionali;
   il Ministero dello sviluppo economico sta seguendo, con attenzione la vertenza del Mercatone Uno dopo l'annuncio della chiusura dei 79 negozi presenti sul territorio nazionale e la Regione Umbria si è subito attivata presso il Ministero al fine di salvaguardare lo stabilimento di Magione e tutelare i lavoratori;
   a questo proposito, per quanto concerne la situazione in Umbria, la regione Umbria convocherà nei prossimi giorni un tavolo con tutti i soggetti interessati dalla vicenda, al fine di esaminare nello specifico la situazione dello stabilimento di Magione, in coerenza con le attività del tavolo nazionale, a salvaguardia delle attività produttive e dei livelli occupazionali –:
   quale sia la situazione e quali gli eventuali sviluppi della crisi del gruppo MercatoneUno in amministrazione straordinaria dal mese di aprile e quali iniziative il Governo intenda mettere in campo per tutelare i livelli di occupazione. (5-05758)


   SENALDI, SCUVERA, BENAMATI, BAZOLI, PAOLO ROSSI, ROMANINI e PRINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'accordo di luglio 2014 sull'acquisizione da parte di Whirlpool del 60,4 per cento del capitale di Indesit (pari al 66,8 per cento, dei diritti di voto), dallo scorso febbraio il Ministero dello sviluppo economico ha aperto un costante confronto sul progetto di integrazione tra le due multinazionali indirizzato alla valorizzazione dell'elevato patrimonio di competenze e alla salvaguardia delle posizioni occupazionali, coinvolgendo nelle trattative tutte le parti interessate;
   nonostante la continua interlocuzione con i vertici aziendali, con i sindacati e con i rappresentanti delle Regioni ove sono presenti gli insediamenti produttivi (Toscana, Lombardia, Marche e Campania) con la costante regia del Governo, ad aprile sono stati annunciati 1.350 esuberi;
   come ha recentemente dichiarato il Viceministro dello sviluppo economico Carlo Calenda «dall'inizio dei confronto ad oggi si sono svolti, in vario modo, oltre otto incontri nel corso dei quali, al di là di timidi e contraddittori segnali di disponibilità al confronto, non è stato possibile registrare significative modificazioni delle parti più critiche del piano industriale»; dalle indiscrezioni emerse lo scorso 20 maggio e relative all'ultimo fra gli incontri programmati tenutisi al Ministero dello sviluppo economico, anche alla presenza del Ministro del lavoro, la situazione produttiva e occupazionale degli stabilimenti del gruppo Whirlpool pare infatti essere peggiorata: gli esuberi che il gruppo statunitense prevede in Italia dovrebbero essere saliti a 2.060 (su 6.740 dipendenti totali), ma non vi sono certezze sulle cifre;
   le sigle sindacali hanno definito «inaccettabile» e «irresponsabile» la proposta della multinazionale e il Governo ha a sua volta classificato come «inqualificabile» il piano industriale, che «taglia di un terzo la forza lavoro del gruppo in Italia»; inoltre il Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi ha più volte ribadito la richiesta all'azienda di garantire il rispetto di quanto stabilito nell'accordo del 2013 sull'acquisizione della Indesit, che escludeva qualsiasi licenziamento unilaterale fino al 2018;
   in particolare, il piano industriale esposto lo scorso 20 maggio, pur presentando degli aspetti positivi (come investimenti per mezzo miliardo di euro e il trasferimento in Italia di alcune linee di produzione del gruppo attualmente all'estero), risulta decisamente inadeguato dal punto di vista occupazionale; il progetto dovrebbe infatti prevedere, secondo il gruppo Whirlpool, 1.435 esuberi nell'area industriale (nei 5 stabilimenti di Carinaro, Fabriano, Comunanza, Napoli e None Logistica, da cui andrebbero però sottratti i 280 incrementi occupazionali programmati a Cassinetta), 150 nella ricerca e sviluppo (a Varese, Fabriano e None) e 480 negli uffici amministrativi (200 a Varese, 200 a Fabriano e 80 a Milano), per un totale di 1.785 esuberi (che salgono a 2.060 secondo le stime dei sindacati); Whirlpool starebbe poi valutando di accorpare i siti di Comerio (Varese) e di Milano in un'unica sede da individuare in Lombardia e sarebbe disponibile a congelare gli esuberi fino al 2018 solo a patto di poter contare fino ad allora sugli ammortizzatori sociali –:
   quale sia lo stato della trattativa relativa alla vertenza Whirlpool anche in relazione al numero totale di esuberi previsti a seguito dell'incontro tenutosi il 9 giugno presso il Ministero dello sviluppo economico e quali ulteriori iniziative il Ministro interrogato intenda porre in atto per concordare un definitivo progetto volto alla salvaguardia dell'occupazione, non solo dell'area industriale, ma anche delle funzioni amministrative e di ricerca e sviluppo, alla tutela dei siti interessati e che rispetti gli impegni annunciati da azienda, istituzioni e rappresentanze sindacali. (5-05763)

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 89/106/CEE (ora sostituita dal Regolamento (UE) 305/2011), prevedeva l'obbligo della marcatura CE dei prodotti, ovvero del benestare tecnico europeo, per poter lecitamente immettere sul mercato i prodotti destinati al mercato delle costruzioni;
   la sentenza della Corte di giustizia europea, del 21 ottobre 2010, procedimento C-185/08, specifica che «59 – alla luce delle considerazioni che precedono, occorre risolvere la prima questione nel senso che dispositivi di ancoraggio come quelli di cui trattasi nella causa principale, che fanno parte dell'opera di costruzione alla quale sono fissati al fine di garantire la sicurezza dell'impiego o del funzionamento del tetto di tale opera, rientrano nell'ambito di applicazione della Direttiva 89/106»;
   il regolamento (UE) 305/2011, che abroga la suddetta direttiva 89/106, tra le considerazioni prevede: n. (2) Tali norme influiscono direttamente sui requisiti dei prodotti da costruzione. Tali requisiti si riflettono perciò su norme e omologazioni tecniche nazionali per i prodotti e su altre specifiche e disposizioni tecniche nazionali legate ai prodotti da costruzione. A causa delle loro differenze, tali requisiti ostacolano il commercio all'interno dell'Unione; n. (11) Tali specifiche tecniche armonizzate dovrebbero comprendere prove, calcoli e altri mezzi di cui alle norme armonizzate e ai documenti per la valutazione europea atti a valutare la prestazione in relazione alle caratteristiche essenziali dei prodotti da costruzione; n. (12) I metodi previsti dagli Stati membri nelle loro prescrizioni applicabili alle opere di costruzione e le altre disposizioni nazionali relative alle caratteristiche essenziali dei prodotti da costruzione dovrebbero essere conformi alle specifiche tecniche armonizzate; n. (20) Per permettere ad un fabbricante di un prodotto da costruzione di elaborare una dichiarazione di prestazione di un prodotto da costruzione che non rientra o non rientra interamente nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata, è necessario introdurre una valutazione tecnica europea; n. (22) È opportuno che la redazione di progetti di documenti per la valutazione europea ed il rilascio delle valutazioni tecniche europee siano affidati a organismi di valutazione tecnica (in prosieguo «TAB») designati dagli Stati membri. Affinché i TAB abbiano le necessarie competenze per svolgere tali compiti, è opportuno che i requisiti della loro designazione siano fissati a livello di Unione, e n. (24) Salvo nei casi stabiliti nel presente regolamento, l'immissione sul mercato di un prodotto da costruzione che rientra nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o per il quale è stata rilasciata una valutazione tecnica europea dovrebbe essere accompagnata da una dichiarazione di prestazione in relazione alle caratteristiche essenziali del prodotto da costruzione conformemente alle pertinenti specifiche tecniche armonizzate;
   il regolamento (UE) 305/2011 all'articolo 4, comma 1, prescrive: «Quando un prodotto da costruzione rientra nell'ambito di applicazione di una norma armonizzata o è conforme a una valutazione tecnica europea rilasciata per il prodotto in questione, il fabbricante redige una dichiarazione di prestazione all'atto dell'immissione di tale prodotto sul mercato.». All'articolo 8, comma 2 prescrive inoltre «La marcatura CE è apposta solo sui prodotti da costruzione per i quali il fabbricante ha redatto una dichiarazione di prestazione conformemente agli articoli 4 e 6»;
   con la comunicazione «Designation of a Technical Assessment Body pursuant to the Construction Products Regulation» della direzione generale per il mercato la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica del Ministero dello sviluppo economico alla Commissione europea si designa l'ITC-CNR quale organismo notificato con n. 0970 ai sensi della direttiva 89/106/CEE e del regolamento 305/2011/EU. Sulla base di specifiche notifiche ai sensi dell'articolo 18 della direttiva 89/106/CEE, l'Istituto opera in qualità di NB (Notified Body) quale organismo di certificazione (di prodotto e di FPC), di ispezione e laboratorio di prova per l'attestazione di conformità alle norme EN armonizzate ed agli ETA (European technical approval), secondo i diversi livelli di attestazione della conformità (1+, 1, 2+, 2 e 3) stabiliti dalla Commissione europea in relazione a vari prodotti o famiglie di prodotti da costruzione. Tale attività viene svolta in regime obbligatorio dal termine del periodo di coesistenza, specificatamente fissato all'atto della pubblicazione del riferimento della specifica tecnica europea sul giornale ufficiale (OJ) dell'Unione europea;
   le richieste delle aziende interessate alla produzione ed immissione sul mercato (anche estero) di prodotti destinati all'ancoraggio dei lavoratori con funzione di sicurezza anticaduta, privi di normativa armonizzata, per i quali è richiesto il certificato di valutazione tecnica europea, previa l'emissione di un E.A.D. (The European Assessment Document, it is a harmonised technical specification in the sense of Regulation (EU) 305/2011 (CPR)), allo stato attuale vengono evase con difficoltà. Di conseguenza resta difficilmente accessibile il mercato italiano ed estero alle aziende italiane che vogliono produrre e vendere lecitamente i prodotti destinati a garantire la sicurezza dei lavoratori che operano in quota –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti indicati in premessa e se intenda intervenire per facilitare l'attività di rilascio dei predetti certificati da parte degli organismi a ciò deputati. (4-09411)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Alfreider e altri n. 1-00877, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pastorelli, Dellai, Gigli, Di Lello.

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Prina n. 5-05719, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Quartapelle Procopio, Senaldi, Galperti, Paolo Rossi, Romanini, Zanin, Carra, Preziosi, Dell'Aringa, Rampi, Realacci, Casati, Casellato.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Paglia n. 1-00882, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 437 dell'8 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la tracciabilità è uno strumento necessario per combattere l'evasione fiscale. Il Governo Monti aveva varato un pacchetto di misure per il contrasto dell'evasione fiscale. Lo strumento principale consisteva nella tracciabilità, in base alla quale non potevano essere effettuati pagamenti per importi superiori ai mille euro in contanti; la precedente soglia, stabilita dal Governo Berlusconi era pari a 2.500 euro;
    diversi studi dimostrano come un ricorso più diffuso ai pagamenti elettronici permetterebbe, da un lato, attraverso la tracciabilità delle transazioni, di coadiuvare le azioni di contrasto all'evasione fiscale ed al riciclaggio di denaro, di compliance fiscale e, quindi, favorire l'emersione di ricchezza sommersa, e, dall'altro, di ridurre il costo di gestione del denaro contante a tutto vantaggio dell'economia italiana, aspetto, quest'ultimo, spesso sottovalutato dagli esercenti stessi, ma che secondo dati diffusi dalla Banca d'Italia corrisponde allo 0,5 per cento del prodotto interno lordo, il 49 per cento del quale sarebbe sostenuto da banche ed infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, mentre il restante 51 per cento sarebbe a carico delle imprese;
    il costo dei contanti è elevato; un costo che deriva non solo dalla stampa delle banconote e dal conio delle monete, ma anche dalle spese di distribuzione e di controllo a cui si aggiungono gli oneri per la sicurezza per il trasporto e la conservazione dei valori;
    uno studio della Banca centrale europea ha evidenziato che l'Europa spende ogni anno lo 0,46 per cento del suo prodotto interno lordo (60 miliardi di euro) per il denaro. E in Italia, dove il denaro cartaceo è più diffuso che altrove, i costi ammontano a circa 10 miliardi di euro, pari allo 0,52 per cento del prodotto interno lordo (valore superiore allo 0,40 per cento, rilevato nella media degli altri Paesi europei). Questo significa che per pagare il personale, le perdite, i furti, le apparecchiature, il trasporto, la sicurezza, i magazzini, la vigilanza e le assicurazioni si spende circa 200 euro a testa l'anno;
    c’è anche il tema del costo industriale di fabbricazione delle micro monete, quelle da 1 e 2 centesimi di euro che spesso e volentieri si perdono. Coniare una monetina da 1 centesimo ne costa 4,5, mentre per fabbricarne una da 2 centesimi si spendono 5,2 centesimi. Lo scorso autunno il gruppo parlamentare Sinistra Ecologia e Libertà ha presentato una mozione alla Camera dei deputati sulla questione, calcolando che i costi di fabbricazione sono costati all'Italia 188 milioni di euro in dieci anni;
    la relazione esistente tra l'utilizzo del contante, strumento di pagamento di cui non è possibile seguire le tracce fiscali, e l'evasione è chiara ed è stata evidenziata da diversi studi. Si veda, ad esempio: Rogoff, Kenneth (1998), «Blessing or curse ? Foreign and Underground Demand for Euro Notes, Economic Policy – a European Forum, 261-303», e Goodhart, C., e Krueger, M. (2001), «The Impact of Technology on Cash Usage, discussion paper 374, Financial Markets Group, London School of Economics and Political Science, London, UK»;
    esiste una precisa correlazione tra i prelievi in contante e l'incidenza dell'economia sommersa: la relazione tra l'importo medio unitario dei prelievi di contanti da sportelli automatici bancari, nei vari Paesi europei, e l'economia sommersa, espressa in percentuale di prodotto interno lordo, è chiaramente positiva. Dove si utilizza più contante, l'incidenza dell'economia sommersa è più elevata. In particolare, Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e che contestualmente hanno la più alta incidenza sul prodotto interno lordo dell'economia sommersa;
    comunque, in Italia il ricorso alla moneta elettronica è sempre più diffuso, anche se il gap con il resto dell'Europa resta notevole e potrebbe essere colmato anche grazie agli elevati standard di sicurezza raggiunti. Infatti, l'ultimo Osservatorio Assofin-Crif Decision Solutions-GfK Eurisko, relativo al consuntivo del 2011, rileva la presenza nel nostro Paese di 71,2 milioni di carte per i pagamenti, una media di 1,2 per abitante, numero cresciuto sensibilmente negli ultimi vent'anni, ma che resta inferiore alla media dell'Unione europea (1,5), per non dire dei Paesi più virtuosi come il Regno Unito (2,4 per abitante) o la Svezia (2,2);
    e tuttavia, le operazioni fatte risultano ancora molto contenute nel confronto internazionale: ogni italiano ne fa annualmente solo 24,5 contro le 57 dell'area euro e le 191,1 degli Stati Uniti d'America;
    è, dunque, necessario un intervento organico che, da un lato, limiti fortemente l'utilizzo del denaro contante e, dall'altro, disponga una serie di incentivi per i consumatori e gli operatori del settore;
    alcune direttive europee e norme interne spingono in questa direzione, nella convinzione che tutto il sistema economico e finanziario tragga vantaggi da questa innovazione. Per dare un impulso importante alla maturazione del mercato italiano dei pagamenti elettronici ed avvicinarlo così agli standard europei, Governo e Parlamento hanno varato negli ultimi anni, accanto ad una serie di misure restrittive sull'uso del denaro contante e dei mezzi di pagamento al portatore e di definizione dell'ambito di applicazione dei pagamenti mediante carte di debito, anche una norma per la quale esiste l'obbligo di accettare da privati pagamenti per acquisti di prodotti e prestazioni di servizi di importo superiore a 30 euro a mezzo del cosiddetto pos (point of sale);
    in Italia, i costi complessivi legati al mantenimento ed all'uso del pos sono più alti del 50 per cento rispetto alla media europea. La interchange fee rappresenta circa il 70-90 per cento dell'importo della commissione che viene applicata nel rapporto fra banca dell'esercente e banca del consumatore nel momento della transazione con carte di pagamento. Nel luglio del 2013 la Commissione europea, nell'ambito della revisione della direttiva sui servizi di pagamento, ha presentato una proposta di limitazione dell’interchange fee che prevede un tetto dello 0,2 per cento della transazione per le carte di debito e dello 0,3 per cento della transazione per le carte di credito, tetto che per i primi 22 mesi sarà in vigore solo per le transazioni internazionali e, successivamente, entrerà in vigore anche per quelle nazionali. La stessa Unione europea si aspetta che da questa riduzione derivi una parallela riduzione delle commissioni finali sugli acquisti;
    numerose indagini condotte anche da autorità antitrust hanno dimostrato che l'elevato livello delle commissioni interbancarie produce effetti anticoncorrenziali ed alti costi per gli esercenti commerciali (che poi li riversano sui prezzi finali), ostacolando in tal modo la diffusione dei sistemi di pagamento alternativi e meno costosi, in grado di rendere più semplice la vita dei consumatori e di generare più transazioni per i commercianti;
    il costo delle macchine di incasso contante, applicato non in tutti i Paesi ed in maniera difforme (in certi Paesi incidono solo sulle operazioni transfrontaliere, in altri su tutte le transazioni), viene imputato agli esercenti nell'ambito più generale delle spese a loro fatturate per l'utilizzo delle carte di credito, e spesso finisce per essere ricaricato dagli stessi sul prezzo finale del prodotto a tutto danno del consumatore finale, costituendo, per questo, una restrizione alla concorrenza sui prezzi;
    l'Abi (Associazione bancaria italiana) ha avuto modo di dichiarare a proposito dell'approccio contrario alle macchine di incasso contante da parte della Commissione europea che: «se per Bruxelles le commissioni sono negative per la concorrenza, il costo delle carte di pagamento rischia di aumentare a discapito dei possessori», lasciando in tal modo intendere che la disapplicazione delle macchine di incasso contante comporterà inevitabili ripercussioni sui consumatori, dato che le banche scaricheranno le minori entrate interamente sui correntisti;
    una maggiore quanto auspicata diffusione della moneta elettronica deve passare necessariamente attraverso l'abolizione delle commissioni interbancarie multilaterali, pertanto il Governo deve intervenire in materia, anche di concerto con l'Abi,

impegna il Governo:

   a ridurre il limite dei pagamenti in contanti, che oggi è fissato a 1.000 euro, a 499 euro contestualmente alla riduzione delle commissioni e dei costi di gestione della moneta elettronica per imprese e cittadini;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, per:
    a) stabilire e ridurre con progressione annuale anche l'importo massimo mensile per i prelievi delle persone fisiche e giuridiche;
    b) stabilire l'obbligo di utilizzare strumenti telematici per l'effettuazione delle operazioni di pagamento delle spese delle pubbliche amministrazioni centrali e locali e dei loro enti;
    c) riservare la possibilità di dedurre o detrarre nell'ambito fiscale, sia per le persone fisiche che giuridiche, solo le spese effettuate con strumenti di pagamento che ne consentano la tracciabilità;
   a prendere le opportune iniziative, anche normative, al fine di abolire le commissioni interbancarie multilaterali;
   a prevedere per i commercianti ed i professionisti forme di defiscalizzazione che contemplino il riconoscimento di un credito di imposta a coloro che si dotano del terminale pos;
   a valutare misure di sostegno all'utilizzo della moneta elettronica (eliminazione di commissioni interbancarie, credito d'imposta per l'acquisto di pos, corsi rivolti alle persone anziane, bancomat gratuito per le persone con redditi bassi ed altro), da finanziare anche con i risparmi che via via deriverebbero al Ministero dell'economia e delle finanze, alle banche ed alle infrastrutture per l'offerta dei servizi di pagamento, dal minor utilizzo del contante.
(1-00882)
«Paglia, Melilla, Marcon, Scotto».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Alfreider n. 1-00877, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 435 del 4 giugno 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    la normativa antiriciclaggio di cui al decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, recante «Attuazione della direttiva 2005/60/CE concernente la prevenzione dell'utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo nonché della direttiva 2006/70/CE che ne reca misure di esecuzione», ha previsto specifiche limitazioni all'uso dei contanti, accompagnate da una serie di sanzioni destinate a colpire i soggetti che le avessero violate o tentato di aggirarle. Ciò allo scopo di contrastare il fenomeno del riciclaggio di denaro costituente il frutto o il provento di reati e il perpetrarsi dell'evasione fiscale;
    nello specifico, l'articolo 49 del sopra citato decreto legislativo, successivamente più volte modificato, da ultimo con il decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, vieta il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a 1.000 euro, in luogo dei 2.500 euro previsti in precedenza;
    inoltre, dal 30 giugno 2014 vige l'obbligo per ogni artigiano e libero professionista di munirsi di pos (point of sale) e farsi carico di tutti i costi di mantenimento, visto che per prestazioni o prodotti del valore superiore a 30 euro al cliente dovrà essere consentito l'uso del pos per usare il bancomat o la carta di credito e i costi aggiuntivi del servizio, in ogni transazione, sono a carico dell'esercente;
    la limitazione dell'uso del contante ha causato rilevanti conseguenze nella quotidianità delle operazioni fra privati e una forte penalizzazione della dinamica produttiva delle imprese, determinando effetti distorsivi del mercato e della concorrenza, soprattutto nel confronto con le legislazioni dei Paesi confinanti, se si pensa che a distanza di soli 10 chilometri dal confine italiano è possibile avere una libertà di spesa maggiore, anche solo per la spesa di carburante;
    le statistiche recenti riportano un bilancio negativo della spesa interna, il che significa che gli italiani spendono di più all'estero di quanto non facciano in Italia e la conferma arriva anche dai dati relativi alla presenza di turisti dall'altra parte del Brennero, in forte crescita (Tirolo +4 per cento), mentre si registra un forte calo in Alto Adige/Südtirol, in Trentino e in altre località o regioni di confine, con le dovute conseguenze anche sul commercio e sulla prestazione di servizi, settori strettamente collegati al turismo;
    in ambito europeo gli unici Paesi, oltre all'Italia, che prevedono un limite all'uso del contante sono la Spagna (2.500 euro), la Francia (3.000 euro), il Belgio (15.000 euro), la Danimarca (13.400 euro), Grecia (1.500 euro), la Slovenia (15.000 euro), quasi tutti però per soglie di molto superiori a quella italiana di soli 1.000 di euro, mentre Germania, Austria e Olanda non prevedono limiti più stringenti (valgono, quindi, i 15.000 euro previsti dalla normativa comunitaria);
    è allo studio dell'Unione europea una proposta di modifica della direttiva relativa ai servizi di pagamento nel mercato interno, recante modifica delle direttive 2002/65/CE, 2013/36/UE e 2009/110/CE e che abroga la direttiva 2007/64/CE;
    il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, cosiddetto competitività, conteneva disposizioni che ampliavano l'uso del denaro contante in Italia per i cittadini appartenenti all'Unione europea e allo spazio economico europeo, derogando alla disciplina del limite all'uso del contante per importi superiori a 1.000 euro, prevedendo la possibilità per i cittadini comunitari e per i residenti nello spazio economico europeo di utilizzare il limite per il trasferimento di denaro contante vigente nel Paese di residenza dell'acquirente, e andava a inserirsi in un quadro normativo che già prevede una deroga a 15.000 euro per i cittadini extracomunitari;
    la materia del limite all'uso del contante in Italia viene trattata sempre in abbinamento alla normativa antiriciclaggio, mentre nel settore turistico il limite all'uso del contante si sta rivelando fortemente pregiudizievole, soprattutto nelle regioni di confine, che non possono competere con una normativa più favorevole appena pochi chilometri oltre il confine,

impegna il Governo

a incentivare i pagamenti elettronici e, contestualmente, a valutare l'opportunità di adeguare la normativa italiana attraverso il ripristino di una soglia più elevata per l'acquisto di beni e di prestazioni, in linea con la media degli altri Stati europei, che si attesta intorno a minimo 3.000 euro, ponendo così fine al deflusso verso l'estero, con conseguente perdita di valore aggiunto in quelli che sono i principali settori dell'economia nazionale.
(1-00877)
«Alfreider, Borghese, Matteo Bragantini, Caon, Gebhard, Marguerettaz, Merlo, Ottobre, Plangger, Prataviera, Schullian, Pastorelli, Dellai, Gigli, Di Lello».

Ritiro di un documento di indirizzo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: mozione Brunetta n. 1-00893 del 10 giugno 2015;

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Pellegrino n. 4-05485 del 10 luglio 2014;
   interrogazione a risposta scritta Fedriga n. 4-08993 del 29 aprile 2015;
   interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-05752 del 9 giugno 2015;