Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 11 luglio 2014

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


  La Camera,
   premesso che:
    il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, è stato adottato, come recita il suo preambolo, in considerazione della «straordinaria necessità ed urgenza di emanare disposizioni per il contenimento della spesa pubblica e per il contrasto all'evasione fiscale ai fini della stabilizzazione finanziaria, nonché per il rilancio della competitività economica»;
    nel quadro di una serie di previsioni finalizzate al contenimento ed alla riduzione della spesa pubblica si colloca l'articolo 9, relativo al contenimento delle spese in materia di pubblico impiego che, al comma 21, testualmente recita: «I meccanismi di adeguamento retributivo per il personale non contrattualizzato di cui all'articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, così come previsti dall'articolo 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448, non si applicano per gli anni 2011, 2012, 2013 ancorché a titolo di acconto, e non danno comunque luogo a successivi recuperi. Per le categorie di personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previste dai rispettivi ordinamenti. Per il personale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici»;
    in applicazione del citato comma 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, quindi, per l'intero triennio 2011/2013, le retribuzioni del personale interessato, tra cui rientra il personale delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, sono state pertanto escluse tanto dai meccanismi di adeguamento di cui all'articolo 24 della legge n. 448 del 1998, quanto dall'applicazione degli aumenti retributivi («scatti» e «classi» di stipendio) collegati all'anzianità di ruolo, quanto, addirittura, dal riconoscimento dei benefici economici correlati alle progressioni di carriera, senza possibilità successiva di recupero;
    l'articolo 16, comma 1, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 111 del 2011, prevede che con uno o più regolamenti da emanare ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400, su proposta dei Ministri per la pubblica amministrazione e l'innovazione (ora Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), e dell'economia e delle finanze sia possibile prorogare di un anno ovvero al 2014, le sopradette disposizioni restrittive;
    il Consiglio dei ministri pro tempore, in data 21 marzo 2013, ha deciso di avviare l’iter di uno specifico decreto del Presidente della Repubblica per estendere il blocco sopra citato al 2014;
    l'articolo 1 del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2011, n. 74, ha previsto l'incremento del citato fondo di 115 milioni di euro, per ciascuno degli anni 2011-2012 e 2013, ed ha esteso la destinazione del medesimo fondo al finanziamento di assegni una tantum, in favore del personale interessato alla corresponsione delle relative indennità, bloccate dall'articolo 9, commi 1 e 21, del decreto-legge n. 78 del 2010;
    l'istituzione del citato fondo è finalizzata, come emerge anche dal dibattito parlamentare relativo ai due decreti-legge sopra richiamati e dagli impegni assunti dal Governo, ad assicurare al personale interessato una compensazione economica conseguente agli effetti relativi all'applicazione del congelamento di alcuni elementi retributivi, di cui ai citati commi 1 e 21 dell'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010;
    i fondi disponibili per l'anno 2011 sono stati sufficienti per assecondare tutte le esigenze del personale, che ha maturato i requisiti per la corresponsione delle indennità cosiddette «congelate» nello stesso anno 2011, mentre le somme disponibili del sopra citato fondo sono del tutto insufficienti per gli anni 2012 (46 per cento) e 2013 (16 per cento); in merito, in sede di conversione del decreto-legge 26 marzo 2011, n. 27, il legislatore, all'articolo 1, comma 2, per reperire le somme necessarie al soddisfacimento delle esigenze, ha previsto espressamente l'impiego delle risorse utilizzabili del fondo unico per la giustizia e dei risparmi provenienti dalle missioni internazionali di pace;
    in proposito, occorre rammentare che la Corte costituzionale, in occasione di pregresse manovre economiche, recanti deroghe temporanee ai ricordati meccanismi rivalutativi di adeguamento, disposte, in particolare, in occasione dell'altrettanto grave congiuntura economica del 1992, aveva già indicato i limiti entro i quali un tale intervento potesse ritenersi rispettoso dei richiamati principi costituzionali, osservando che «norme di tale natura possono ritenersi non lesive del principio di cui all'articolo 3 della Costituzione (sotto il duplice aspetto della non contrarietà sia al principio di uguaglianza sostanziale, sia a quello della non irragionevolezza), a condizione che i suddetti sacrifici siano eccezionali, transeunti, non arbitrari e consentanei allo scopo prefisso»;
    in quel caso il sacrificio era limitato ad un anno, mentre ora, in presenza di una reiterazione a percussione di misure patrimoniali afflittive, la natura eccezionale e transitoria di una disposizione non può più essere predicata, credibilmente e plausibilmente, anche per la prevedibilità della sua reiterazione nel tempo futuro;
    gli ordinamenti del personale in argomento sono connotati da un'estrema gerarchizzazione e bloccare le progressioni economiche comporta effetti iniqui e sperequativi tra il personale stesso ed anche rispetto al restante personale della pubblica amministrazione;
    inoltre, la specificità dello status giuridico e di impiego, sancita all'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183, del personale delle Forze armate, di polizia e di quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, caratterizzato da una mobilità e flessibilità d'impiego, sul territorio nazionale e all'estero, non riscontrabile in nessun altro settore del pubblico impiego, ha come corollario che l'assunzione di più gravose responsabilità e la sopportazione di maggiori rischi e disagi conseguenti all'avanzamento nel grado siano compensati da specifici istituti retributivi a ciò indirizzati,

impegna il Governo:

   a non assumere iniziative volte a reiterare le previsioni di cui all'articolo 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico per l'anno 2015, in ossequio alle linee guida già approvate dal Governo l'8 aprile 2014 con il documento di economia e finanza 2014;
   a valutare la possibilità di assumere iniziative per sospendere, a partire dal secondo semestre 2014, il blocco degli effetti economici delle progressioni di carriera e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, utilizzando le risorse già disponibili per le una tantum e quelle eventualmente recuperabili dai bilanci già consolidati dei dicasteri interessati.
(1-00534) «Caruso, Dellai, Adornato».


   La Camera,
   premesso che:
    le valute virtuali sono mezzi di pagamento che operano, in una comunità di riferimento, con le stesse modalità delle valute correnti pur presentando rispetto ad esse alcune peculiarità. In primo luogo, non hanno corso legale, pertanto l'accettazione è solo su base volontaria; in secondo luogo, non vengono emesse da enti governativi, secondo le tradizionali normative, ma sono generalmente emesse da società non finanziarie secondo regole accettate dai membri della comunità cui la valuta è rivolta;
    dette valute, oltre all'esposizione ai rischi operativi, sono soggette a elevati rischi di credito, di liquidità e di frode derivanti dalla carenza normativa e dall'assenza di un meccanismo pubblico di supervisione;
    la crescente diffusione delle valute virtuali ed alcuni episodi di frode hanno sollevato l'attenzione delle istituzioni. La Banca centrale europea ne ha illustrato le peculiarità e delineato una classificazione in tre schemi definiti in base al tipo di interazione che le monete virtuali hanno rispetto alle valute correnti e all'economia reale;
    l'Associazione bancaria europea è intervenuta nel mese di dicembre 2013 richiamando una serie di rischi da valutare prima di effettuare operazioni di acquisto, scambio o semplicemente per mantenere il possesso di monete virtuali;
    tra le valute virtuali sinora immesse sul mercato il bitcoin è quella che sino ad oggi ha riscosso il maggior successo;
    la nascita di bitcoin è avvenuta nel 2009 ed è associata al nome del creatore Satoshi Nakamoto, la cui vera identità non è mai stata rivelata;
    bitcoin è una rete di consenso che accetta un sistema di pagamento ed è una forma di denaro completamente digitale. Si tratta della prima rete decentralizzata di pagamento peer-to-peer gestita dai suoi utenti senza alcuna autorità centrale o intermediario. La disponibilità di nuove monete cresce in base a una dinamica predefinita per arrivare a un massimo previsto di emissione pari a 21 milioni di unità;
    nel corso del 2013 il tasso di cambio del bitcoin rispetto al dollaro statunitense ha registrato considerevoli oscillazioni. Si è passati dai 66 usd per bitcoin di luglio 2013 agli oltre 1.131 di novembre 2013 per arrivare agli attuali 650 usd circa per bitcoin. Il controvalore dell'economia bitcoin al cambio attuale ammonta a circa 8,5 miliardi di usd;
    recentissimamente uno studio del servizio di ricerca del Parlamento europeo ha rilevato come i bassi costi di transazione e l'anonimato rappresentino i due elementi di forza del bitcoin;
    questa tipologia di moneta, infatti e come si è detto, non poggia su un ente centrale utilizzando un database distribuito tra i nodi della rete che tengono traccia delle transazioni sfruttando la crittografia per generare nuova moneta e attribuire la proprietà;
    in data 9 luglio 2014 è stata diffusa la notizia che l'Unità di informazione della Banca d'Italia ha avviato approfondimenti sul potenziale di rischio di riciclaggio e finanziamento del terrorismo del bitcoin, anche in considerazione di alcune segnalazioni di operazioni sospette ricevute con riguardo ad anomale compravendite, realizzate per mezzo di carte di pagamento o in contante con controparti estere;
    in particolare, nell'ambito del rapporto sull'attività svolta nel 2013 dall'Unità di informazione finanziaria (Uif), della Banca d'Italia, si legge che «Le operazioni in bitcoin, pur registrate in appositi database consultabili in rete non consentono di identificare i soggetti intervenuti nelle transazioni, facilitando così lo scambio di fondi in forma anonima e l'utilizzo di tale strumento di pagamento nel contesto dell'economia illegale». I bitcoin sono nati nel 2009 dall'idea di creare un metodo di pagamento digitale per l'acquisto di beni e servizi alternativo alla moneta avente corso legale. La nuova moneta virtuale si è progressivamente diffusa fino a raggiungere – secondo dati disponibili su fonti aperte – la soglia di 12,5 milioni di bitcoin in circolazione, per un controvalore in euro pari a circa 6 miliardi (al cambio medio di marzo 2014). «Si tratta di un metodo di pagamento che non presuppone l'identificazione degli utenti che realizzano le transazioni e non è soggetto a regolamentazione o a controllo da parte di autorità pubbliche – evidenzia il rapporto – I bitcoin possono essere reperiti agevolmente attraverso piattaforme specializzate, gestite da società estere, che consentono l'attivazione di un apposito conto on-line, analogo al conto corrente bancario». Attraverso il conto è possibile comprare e vendere bitcoin, scambiarli con valuta avente corso legale e acquistare beni e servizi offerti da esercenti on-line e fisici. «Il valore del bitcoin – si legge ancora – è estremamente volatile ed espone gli utilizzatori a significativi rischi di speculazione. Inoltre, non risulta vi siano garanzie o forme di controllo che tutelino i clienti o le società che gestiscono bitcoin dal rischio di indebite appropriazioni (ad esempio furto informatico o hackering)»;
    sempre nella giornata del 9 luglio 2014, anche il procuratore generale di Roma, Luigi Ciampoli, ha lanciato l'allarme sulla moneta virtuale utilizzata per transazioni on-line. In particolare, il procuratore ha sottolineato il rischio che il bitcoin possa essere utilizzato come strumento per ripulire il «denaro sporco» o per finanziare in maniera occulta varie forme di criminalità, terrorismo internazionale compreso, e auspica interventi normativi che diano certezza di tracciabilità e chiarezza di identificazione di tutte le persone coinvolte in operazioni di trasferimento di bitcoin;
    alla luce di quanto precede appare non più procrastinabile l'intervento del Governo ad adottare precise e rigorose iniziative normative tese a contrastare una criminalità quasi sempre più attenta e veloce del legislatore a sfruttare ogni smagliatura o carenza del sistema;
    pur essendo quello del bitcoin, come pure sottolineato dal procuratore generale Ciampoli – un sistema che potrebbe anche comportare per la collettività nuove interessanti prospettive, richiede comunque adeguati interventi normativi che mettano al riparo gli operatori da forme di incertezza e scarsa visibilità, che troppo spesso non sono solo fenomeni di scarsa attenzione o trascuratezza, ma di sapiente orchestrazione criminale,

impegna il Governo:

   a porre in essere con urgenza ogni iniziativa di competenza finalizzata a limitare la diffusione del bitcoin sino a quando non siano state adottate tutte le opportune iniziative normative sia sul piano europeo sia sul piano nazionale tese a regolamentare in modo compiuto ed organico l'intera materia relativa all'utilizzo della suddetta tipologia di moneta virtuale e, più in generale delle crittovalute, con particolare riferimento al pieno assoggettamento alla normativa antiriciclaggio e alla tracciabilità e identificabilità delle operazioni;
   ad assumere iniziative per rafforzare il sistema di monitoraggio delle transazioni che avvengono attraverso l'utilizzo del bitcoin.
(1-00535) «Paglia, Scotto, Nicchi, Melilla, Giancarlo Giordano, Pannarale, Marcon».


  La Camera,
   premesso che:
    il Governo Berlusconi, con il decreto-legge n. 78 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2010, in considerazione della necessità e dell'urgenza di emanare provvedimenti per il contenimento della spesa pubblica, derivante dallo stato particolarmente preoccupante nel quale versavano i conti dello Stato, dispose – per il triennio 2010-2013 – il blocco della contrattazione e delle retribuzioni, per tutto il comparto della pubblica amministrazione, sia per gli adeguamenti stipendiali che per gli aumenti retributivi collegati all'anzianità di ruolo e alle progressioni di carriera comunque denominate, escludendo ogni possibilità successiva di recupero;
    per quanto attiene al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, tale disposizione ha investito alcuni istituti specifici connessi al particolare servizio svolto quali l'assegno funzionale e gli incrementi parametrali non riferibili a promozioni e progressioni di carriera;
    la rappresentanza militare (Cocer Interforze), quando il Ministro della difesa pro tempore, Ignazio La Russa, espose il provvedimento ai delegati, a quanto consta ai firmatari del presente atto di indirizzo ebbe occasione di muovere diverse ed importanti obiezioni che già allora segnalarono una condizione di particolare malessere, con particolare riferimento al fatto che chi aveva maturato promozioni, progressioni di carriera comunque denominate ed anche i relativi scatti stipendiali legati alle indennità operative e di funzione prima del 2010 non avrebbe subito le conseguenze del provvedimento, né quindi avrebbe contribuito in alcuna maniera al risanamento dei conti pubblici; conseguentemente, in tale occasione, oltre che creare un danno riconducibile solo ad una parte del personale, si è anche provveduto a generare un'ulteriore ingiustizia, con l'effetto che a pagare il prezzo fossero i più giovani e quindi le nuove generazioni;
    nonostante alcuni atti parlamentari che già nella XVI legislatura chiedevano la rimozione del blocco in questione, il blocco medesimo è stato prorogato nella XVII legislatura (decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013) a tutto il 2014, con il parere negativo di ampia parte delle forze politiche della minoranza, pur in presenza di una generica rassicurazione sul superamento di questa disposizione a far data dal 1o gennaio 2015;
    la valutazione degli effetti sociali prodotti dalla decisione assunta nel 2010 assume delle caratteristiche particolarmente penalizzanti per il personale militare se si restringe il punto di osservazione al comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico, in virtù innanzitutto del fatto che – a differenza di quanto mostrerebbero le date di approvazione dei provvedimenti finora citati – l'ultimo contratto del settore risale all'anno 2009 e che, dunque, i contratti delle Forze armate, di pubblica sicurezza e del Corpo dei vigili del fuoco, sono fermi a far data da allora e che la particolare configurazione del trattamento economico dei militari si poggia, altresì, sulla naturale progressione di carriera per gradi ed anzianità: quindi, un anno doppio rispetto al restante personale del pubblico impiego derivante dalla tanto decantata ed abusata, quanto inutile «specificità»;
    si tratta quindi di cinque anni di blocco contrattuale, anni che – in termini più generali – coincidono con la fase apicale della crisi economica e sociale più lunga ed intensa che la storia della Repubblica ricordi e che ha prodotto un impoverimento generalizzato del Paese, del ceto medio e della classe lavoratrice in particolare;
    il ruolo giocato in questo senso da scelte politiche e normative di carattere depressivo come la norma sopra citata è di tutta evidenza, così come l'effetto sociale drammatico prodotto dalla stagione dei «tagli lineari», della spending review e dell'austerità in generale;
    la compressione salariale e – dunque – dei consumi e degli stili di vita consolidati delle famiglie di lavoratori ha determinato nelle Forze armate una fenomenologia già da tempo visibile e percepita nel resto del Paese, ovvero che le dinamiche interne al comparto oggi aderiscono in maniera plastica a quelle del resto della società: alla base vi è una regressione tangibile e grave nelle condizioni materiali di vita, al vertice il consolidamento di una condizione di relativo privilegio;
    la stessa legge n. 244 del 2012 di riforma e riordino dello strumento militare esplica i suoi effetti in chiave riduttiva – meno 50.000 unità in forza – principalmente sul personale – militare e civile – della difesa, in ossequio all'obiettivo dichiarato di liberare risorse per gli investimenti, già sbilanciate ben oltre la quota del 25 per cento, cui sembrerebbe volgere il disegno di legge ben considerando le risorse complessive allocate per tale esigenze tra il Ministero della difesa e il Ministero dello sviluppo economici, nello sviluppo, nella produzione ed acquisizione di sistemi d'arma. Logica conseguenza anche questa di una scelta di politica industriale orientata in maniera decisa all'implementazione dell'industria nazionale degli armamenti a discapito del valore umano delle Forze armate e del loro impiego in ambiti di civile necessità;
    allo stato attuale si assiste a uno dei più classici paradossi: da una parte, un eccesso retorico di esaltazione del ruolo e della «specificità» delle Forze armate e di pubblica sicurezza e del personale che vi opera, dall'altra, la diminuita retribuzione in termini reali, la carenza cronica di alloggi per il personale, i veicoli di servizio fermi a causa della carenza di carburante, il sacrificio operato sulle condizioni di sicurezza nelle quali questi lavoratori si trovano ad operare;
    le politiche depressive adottate in questi anni hanno prodotto il risultato di diffondere una condizione di pesante malessere, inquietudine ed incertezza sul futuro, in un settore delicatissimo come quello delle Forze armate e di pubblica sicurezza e dei vigili del fuoco, frequentemente caratterizzato da nuclei familiari monoreddito e con figli a carico;
    a questo stato di cose si aggiungano gli effetti della riforma previdenziale del 2012, dunque gli effetti sull'assegno pensionistico derivanti dal passaggio al sistema contributivo; va fatta, inoltre, l'ovvia constatazione che l'inferiore gettito contributivo derivante dal blocco degli adeguamenti stipendiali andrà ulteriormente ad influire sull'entità degli assegni medesimi;
    a dimostrazione di ciò basti citare le indicazioni riportate dalle numerose audizioni dei Cocer svoltesi in questi mesi presso la Commissione difesa della Camera dei deputati o ricordare l'originale ed educata protesta «del caffè» inscenata dai sottufficiali del ruolo sergenti affinché tale stato di malessere potesse uscire dal silenzio cui è costretto dalla cosiddetta «specificità», condizione che sta determinando anche importanti problemi sul terreno dell'operatività del comparto;
    occorre perciò ripensare e cambiare, per il comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico e, più in generale, per il pubblico impiego, le politiche fin qui adottate, operando in maniera tale da riconnettere la prospettiva della ripresa economica alla ripresa dei consumi e ad un recupero tangibile sul terreno delle condizioni di vita ed economiche dei lavoratori italiani, compresi i dipendenti militari e civili del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico,

impegna il Governo:

   a non assumere assolutamente iniziative volte a prorogare oltre il 31 dicembre 2014 il blocco della contrattazione e degli adeguamenti stipendiali, degli effetti economici delle promozioni, delle progressioni di carriera comunque denominate e degli automatismi retributivi per il personale del comparto difesa-sicurezza e soccorso pubblico;
   ad assumere iniziative volte a sospendere il blocco disposto dal decreto del Presidente della Repubblica n. 122 del 2013 – a decorrere dal 1o agosto 2014 – o comunque a trovare risorse perequative, al fine di annullarne gli effetti in maniera da consentire fin da subito un primo ristoro del danno economico subito dai lavoratori del settore.
(1-00536) «Piras, Duranti, Scotto».


   La Camera,
   premesso che:
    i dati emersi dall'ultima rilevazione del primo trimestre 2014 di Unioncamere Campania segnalano il rafforzarsi di una tendenza pesantemente negativa. Tra cessazioni di imprese, procedure fallimentari e aziende avviate alla liquidazione il saldo è di nuovo fortemente negativo nell'immediato ma con una pesante conferma tendenziale. Dati impressionanti che portano al 28 per cento (4 per cento in più della media nazionale) le procedure fallimentari e un aumento di oltre il 50 per cento di aziende in procedura di liquidazione e/o di scioglimento. Il dato ancor più negativo che colpisce è la tendenza fortemente incrementata di cessazione di attività nelle società di persone e i fallimenti nelle società di capitale;
    analogo indicatore giunge dalla relazione sull'economia campana per il 2013 realizzata da Banca d'Italia. Indicatori che confermano una tendenza all'accentuarsi dei profili di negatività delle dinamiche occupazionali ed economiche in Campania. La relazione di Banca d'Italia consente di cogliere in profondità gli elementi di regressività ormai strutturalmente indotti nel sistema economico campano e i riflessi sulle condizioni di povertà di larghissimi strati della popolazione;
    caratteristiche più puntuali sul tema dell'occupazione ovvero della disoccupazione strutturale, in netto e tendenziale aumento, pervengono dalla relazione Istat relativa al primo trimestre del 2014. Il tasso di disoccupazione sale dal 22,2 del primo trimestre 2013 al 23,5 del primo trimestre 2014;
    gli indicatori economici della Campania si rivelano essere drammatici;
    a questa tendenza si associano i dati sulla dinamica occupazionale, sulla cessazione dei rapporti di lavoro e sul costante aumento del livello di disoccupazione. Un tasso di occupazione stimato al 40 per cento che fa della Campania la regione al livello più basso ed inferiore di 17 punti della media nazionale;
    non servirà certo ad invertire questa tendenza consolidata il programma Youth Guarantee, che presentato anche in Campania dall'attuale assessore regionale al lavoro, rischia di diventare, per come è stato costruito e per come sono orientate le modalità di spesa, non una occasione di rilancio per le politiche pubbliche per il lavoro, ma una occasione per imprese e Agenzie private, che riceveranno gran parte dei finanziamenti. Il rischio reale è che sia, soprattutto in Campania e nel mezzogiorno, un meccanismo per finanziare le agenzie private, in crisi per la caduta della domanda, piuttosto che orientarsi e favorire il reddito e l'occupazione dei disoccupati, in questo caso giovani;
    l'insieme di questi profili negativi porta la regione Campania a caratterizzarsi, nella vicenda economica e sociale del Paese, al punto più basso della sua storia produttiva, economica e sociale;
    eppure la Campania e con essa l'attuale Governo regionale ormai prossimo alla scadenza naturale, possedeva tutte le condizioni per affrontare le dinamiche della crisi economica e soprattutto evitare un declino che appare oggi difficilmente recuperabile;
    come già aveva rilevato la Banca d'Italia nel suo rapporto congiunturale sulla Campania del 2013 «nuove opere previste dal Piano di azione per la coesione e un più rapido avanzamento nell'utilizzo dei fondi dell'Unione europea, concentrati in misura significativa nella realizzazione di grandi progetti infrastrutturali, potrebbero contrastare il calo degli investimenti pubblici»;
    la regione Campania nel marzo 2010 con il ricambio alla guida di Palazzo Santa Lucia da parte dell'attuale presidente, onorevole Stefano Caldoro, disponeva di una dotazione finanziaria enorme, di varia provenienza;
    non era stato approvato, per scelte politiche dell'allora maggioranza di Governo e del Ministro Tremonti, dal Cipe nell'anno precedente il programma attuativo regionale dei vecchi fondi Fas oggi Fondo di azione e coesione, con una dotazione finanziaria di circa 4,3 miliardi. Una dotazione finanziaria, quindi pressoché intatta, se si esclude l'allora previsione contenuta nel decreto-legge di chiusura dell'emergenza rifiuti di coprire, per 350 milioni, i costi di realizzazione dell'impianto di Acerra. Erogazione poi avvenuta direttamente da parte del Ministero dello sviluppo economico a valere su queste risorse;
    la dotazione finanziaria complessiva (FESR, FSE e FEASR) della programmazione 2007-2013, per l'insieme dei programmi si attestava in circa 10 miliardi di euro, comprensivo del cofinanziamento si trovava di fatto solo allo stadio iniziale, in buona parte programmata ed impegnata su attività e progetti per la gran parte condivisa con gli attori locali. Tra di essa trovava spicco la dotazione infrastrutturale sui trasporti e alcuni programmi come il Più Europa e il programma per la città di Napoli;
    vi era ancora una dotazione finanziaria cospicua risalente alla programmazione 2000-2006 e fatta di risorse cosiddette liberate per l'utilizzo nell'ambito di quella programmazione dei cosiddetti progetti coerenti su cui erano finanziati, in parte lavori che non si erano conclusi al 30 giugno 2009, data di conclusione della certificazione del programma 2000-2006;
    una regione che veniva certamente da una fase estremamente difficile, passata attraverso la gravissima situazione dei rifiuti;
    la scelta compiuta nel 2010 con le norme contenute nel decreto-legge 78 per affrontare le procedure conseguenti allo sforamento del patto di stabilità del 2009, di fatto hanno reso impraticabile qualsiasi utilizzo delle risorse disponibili come strumento anticiclico nella gravissima situazione economica che stava raggiungendo il suo culmine. Una scelta, quella imposta dalle norme ed applicata rigidamente dal Governo regionale, che ha prodotto un disastro nell'intero territorio regionale. Sono stati bloccati, di fatto tutti i cantieri avviati negli anni precedenti, impianti di depurazione, reti fognarie, reti ferroviarie e reti stradali, opere pubbliche dei comuni, l'intero programma dei fondi europei. Investimenti di grande impatto, e citiamo qui a titolo di esempio il blocco della commessa per la realizzazione di nuovi treni in appalto alla Firema o la costruzione nella penisola sorrentina di un modernissimo impianto di depurazione. Nello stesso tempo nuovi investimenti, come quelli che importanti gruppi industriali pensavano di realizzare, come i gruppi Ferrarelle e Doria, a cui la precedente amministrazione regionale aveva approvato, con lo strumento del contratto di programma regionale, le proposte presentate, venivano bloccate per poi essere riavviate solo nell'ultimo anno;
    è la stessa Banca d'Italia nella sua ultima relazione che coglie questo aspetto e ne segnala le conseguenze: «Un più tempestivo utilizzo delle disponibilità finanziarie provenienti dai Fondi strutturali dell'Unione europea avrebbe potuto attenuare gli effetti del calo della domanda interna. Il rispetto degli ambiziosi obiettivi di potenziamento della competitività dell'economia regionale, programmati all'avvio del ciclo 2007-2013, ne avrebbe oggi rafforzato le prospettive di ripresa»; del resto, l'evidenza del blocco assoluto delle risorse europee a partire dal 2010 lo si ritrova nella, contrazione del Pil regionale che proprio in questi anni assume un dato che tracima, pari al 5 per cento superiore alla media nazionale;
    per non citare l'assoluta assenza di peso politico ed amministrativo in vicende come quelle che in questi anni hanno coinvolto le realtà d'impresa collegate al gruppo Finmeccanica, ed anzi utilizzare le polemiche nei confronti di aziende come Ansaldo, per ritardi sui lavori in corso e/o su problemi manutentivi del materiale rotabile consegnato nell'area napoletana, come puro elemento di discolpa per il dramma in cui è stato fatto precipitare l'intero sistema dei trasporti regionale. Una così pesante dinamica negativa nel settore del trasporto pubblico che diventa un ulteriore elemento aggiuntivo per i cittadini per gli elevati costi connessi all'utilizzo dei mezzi di trasporto in questa regione (mediamente il 3 per cento in più della media nazionale). Nel 2013 sono inoltre peggiorati i giudizi sul servizio di trasporto pubblico locale. In Campania la quota di popolazione che ha utilizzato i trasporti pubblici locali è diminuita rispetto all'anno precedente per tutte le tipologie di mezzo: autobus (-1,7 per cento), pullman extraurbano (-2,9 per cento), treno (-1,9 per cento);
    con la sostanziale soppressione della bigliettazione integrata e il ritorno a quella di azienda, viene meno l'idea e la possibilità che l'integrazione tra le aziende fosse un elemento che consentiva ai cittadini e utenti di disporre di un servizio collettivo ed unitario;
    del resto è lo stesso meccanismo che in questi giorni la giunta regionale ha approvato, deliberando di indire procedure di gara per l'affidamento dei servizi di trasporto, su gomma, su ferro e sul mare, procedendo ad uno spacchettamento dell'offerta. Una proposta inaccettabile, che collide con ogni idea di integrazione e di riduzione delle strutture societarie ed in assoluta controtendenza con ogni ipotesi di riorganizzazione del sistema del trasporto pubblico che è in corso di realizzazione nel paese. Priva inoltre, di ogni meccanismo di salvaguardia per i lavoratori e con una dotazione finanziaria assolutamente insufficiente;
    il blocco ha operato nei fatti su lavori ed investimenti in corso di realizzazione, con impegni giuridicamente vincolanti assunti prevalentemente o dalla precedente amministrazione regionale e/o da una duplicità di soggetti attuatori (enti locali, Asi, strutture straordinarie di Governo, altro). La conseguenza ulteriore e che questa decisione ha alimentato un contenzioso amministrativo e giuridico tra istituzioni e con le imprese. I costi legali che si sopporteranno per la ripresa di queste attività, come è già evidente nel settore dei trasporti, rischiano di superare, in molte occasioni il valore degli investimenti che dovevano essere realizzati;
    nel corso di questi anni, il blocco totale degli investimenti pubblici in conto capitale, ha intensificato un processo di deindustrializzazione, già presente in Campania, né è possibile ipotizzare che la politica industriale sia sinonimo di privatizzazioni, in un quadro in cui da oltre 15 anni non c’è nessuna politica industriale e pubblica che riguardi il nostro Paese, senza contare che con la crisi economica si è ulteriormente accentuato il divario tra l'industria campana e il resto del Paese. Il valore aggiunto industriale (dati Istat) è diminuito del 20 per cento, il doppio della media nazionale che è del 10,8;
    è praticamente scomparso tutto il settore degli appalti ferroviari, presenza industriale significativa a livello regionale, che invece a ridosso degli investimenti attivati nel decennio precedente era riuscita a tenere un suo livello di occupazione e di attività produttiva; così come, per l'assenza di politiche nazionali e regionali di sostegno, lo stesso settore del termalismo vive serie e profonde difficoltà;
    come segnala anche l'ultimo rapporto della Banca d'Italia sulla Campania tra le realtà produttive che nel 2007 contavano almeno mille addetti sono praticamente nulli i segnali di ripresa del settore automotive e cantieristica (che hanno perduto oltre il 70 per cento dell’export). Sono crollate tutte le attività di produzione non metallifere, conseguenti al crollo dell'edilizia e nell'area della provincia di Caserta è praticamente scomparsa quasi interamente l'industria di produzione elettronica;
    paradossale se non drammatica appare invece tutta la vicenda collegata al porto di Napoli e alle attività collegate a questo settore. Mentre prosegue la perdita di peso commerciale delle realtà portuali campane e la costante perdita di flussi di viaggiatori, le vicende collegate alla decisione di destinare attraverso lo strumento del grande progetto risorse europee per l'adeguamento dello stesso, sono inesorabilmente bloccate. Come bloccata è tutta la struttura di governo dell'autorità portuale, commissariata. Come bloccata è rimasta la stessa necessità di realizzare nell'area di Castellammare il nuovo bacino per Fincantieri. Occorre una vera politica di sostegno alla cantieristica, cosa che altre amministrazioni regionali praticano costantemente, e non sporadici spot; 
    in questo quadro i segnali positivi che vengono o dall'agroalimentare (produzioni casearie, ortofrutticole e cerealicole), da preservare ed incrementare come filiera a partire dalla valorizzazione e diffusione della cultura e delle pratiche gastroeconomiche connesse alla «dieta mediterranea» o dall'abbigliamento, soprattutto quello di alta gamma, incidono poco dato il numero non elevato di addetti sul totale della regione. Mentre fa storia a sé il settore Aerospazio (Alenia in particolare), sul quale pesano le scelte del gruppo dirigente uscente di Finmeccanica e di quello costretto ad uscire a seguito di inchieste giudiziarie. Scelte segnate, in Campania come in altre parti del Paese, dall'indebolimento progressivo delle componenti industriali nel settore ferroviario;
    perfino quando con l'intervento del Ministro della coesione territoriale Fabrizio Barca, nel 2012 venivano resi liberi spazi finanziari consistenti fuori al patto di stabilità e si ridefinivano e riprogrammavano le risorse europee e si riallocavano le risorse ex Fas nel Fondo di azione e coesione, quelle somme non sono poi state concretamente erogate ed immesse nel circuito economico regionale. Vi è un dato che segnala ulteriormente questa incapacità ed è rilevabile dall'allegato al recentissimo DEF del Governo Renzi del Ministero dello sviluppo economico sugli interventi nelle aree sottoutilizzate. La Campania raggiunge appena il 1,22 per cento di attuazione della programmazione;
    una regione che si è caratterizzata per un livello di inefficienza clamorosa. Basti pensare a come si è operato sul versante rifiuti. Al presidente della regione Campania con la legge n. 196 del 2010 sono stati conferiti i poteri per nominare commissari per realizzare discariche, impianti di compostaggio, termovalorizzatori. Sono stati nominati circa 15 commissari. In quasi quattro anni non solo non è stato avviato un lavoro, ma tranne in un caso, non sono state neanche aggiudicate o bandite gare, individuato aree. Si è solo prodotto un conflitto insanabile con le popolazioni e le comunità locali su annunci di possibili interventi;
    la Campania, le amministrazioni locali ed i cittadini hanno visto cumularsi agli effetti della crisi economica internazionale con una dimensione del governo regionale, detentore delle leve finanziarie pubbliche, travolto da inconsistenza ed incapacità di governo, faide intestine al ceto politico di centrodestra ed una vergognosa assemblea elettiva coinvolta in decine di provvedimenti giudiziari,

impegna il Governo:

   a prendere le opportune iniziative affinché il Dipartimento per lo sviluppo verifichi ed esegua con continuità il monitoraggio dei programmi di attuazione e spesa della programmazione 2007-2013 della regione Campania, e per evitare, nelle more dell'effettiva funzionalità dell'Agenzia per la coesione territoriale, qualsiasi possibilità di disimpegno delle risorse già assegnate;
   ad assicurare che l'istituita Agenzia per la coesione territoriale, per la programmazione 2014-2020, operi, anche con le nuove risorse umane assegnare dalle disposizioni di legge, al di fuori di ogni forma di condizionamento e nell'autonomia operativa necessaria ad assumere le funzioni previste, prevedendo che l'intero costo della tecno-struttura che i contribuenti pagano, sia legato al valore che essa produce valutabile attraverso la definizione di un sistema di indicatori che consenta di rendere realmente misurabili i risultati, al fine di evitare ulteriore spreco di danaro pubblico;
   ad assumere iniziative per predisporre un apposito documento di programmazione e finanza sul Mezzogiorno e sulla Campania che alla luce della nuova programmazione 2014-2020 dei Fondi strutturali e della programmazione 2014-2020 del Fondo di sviluppo e coesione determinato con la legge di stabilità 2014, dia unitarietà e coerenza a nuove politiche di sviluppo e di lavoro;
   a predisporre, nel citato documento di programmazione e finanza sul Mezzogiorno le linee guida di salvaguardia dell'apparato produttivo ancora esistente e una nuova politica industriale nel Mezzogiorno e in Campania su cui orientare risorse ed investimenti per il prossimo decennio;
   a definire negli strumenti della programmazione 2014-2020 l'utilizzo di parte delle risorse del Fondo sociale europeo per realizzare politiche attive di lavoro e inserimento professionale nei confronti dei giovani disoccupati meridionali nei campi del turismo sostenibile, dei beni culturali e della fruizione degli stessi, dell'innovazione tecnologica e nel campo dei servizi sociali, che devono essere volti ad incrementare e ammodernare i sistemi di welfare nel rispetto della cittadinanza di genere, escludendo meccanismi di intermediazione formativa;
   a riservare in ogni caso alla regione Campania parte della dotazione disponibile nella programmazione 2014-2020 sia dei Fondi strutturali che del Fondo di azione e coesione, per le politiche per il riassetto ambientale alla luce dell'eventuale emergenza connessa al rischio Vesuvio ed alle conseguenze prevedibili non soltanto sul versante della protezione civile.
(1-00537) «Scotto, Giancarlo Giordano, Ferrara, Fratoianni».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 9 del decreto legge 18 ottobre 2012, n. 179 «Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese», dispone la pubblicazione sui siti Internet delle amministrazione pubbliche dei dati prodotti dalle amministrazioni stesse come conseguenza delle proprie attività istituzionali;
    la norma in parola dispone anche che i dati stessi siano rilasciati con licenze di tipo aperto per un loro più ampio riutilizzo, anche con finalità commerciali e resi disponibili gratuitamente o con l'addebito di costi marginali;
    come sottolinea il rapporto del secondo semestre 2013 dell'Agenda per l'Italia digitale, «lo scopo è quindi quello di far si che i dati siano visti come un vero e proprio “asset”, un elemento sistemico infrastrutturale in grado di portare ricchezza per il Paese, opportunità di sviluppo economico, di crescita occupazionale, di riduzione degli sprechi e di aumento dell'efficienza operativa della Pubblica Amministrazione»;
    particolare rilievo in questo contesto hanno i dati geografici, prodotti in grandi quantità sia dalle amministrazioni statali che da quelle regionali e locali;
    uno studio realizzato nel giugno 2013 per conto del Governo britannico «Assessing the Value of OS OpenData to the Economy of Great Britain» ha cercato di misurare l'impatto economico del rilascio in modalità OpenData dei prodotti dell'Ordnance Survey britannico, l'ente cartografico di Stato analogo al nostro Istituto Geografico Militare, sulla base dell'iniziativa OS OpenData, avviata nell'aprile 2010;
    secondo lo studio, questo pur limitato campione di dati, in quanto comprende solo dati geografici prodotti a livello centrale, genererà un aumento del prodotto interno lordo di quel Paese compreso tra i 13 e i 28,5 milioni di sterline (tra 16 e i 35 milioni di euro) e un aumento in termini reali delle entrate tributarie compreso tra i 4,4 e gli 8,3 milioni di sterline (tra 5,4 e 10,2 milioni di euro);
    l'amministrazione della Difesa produce grandissime quantità di dati di immediato interesse per l'economia del Paese grazie al lavoro di enti quali l'istituto geografico militare di Firenze, l'istituto idrografico della marina di Genova, Centro informazioni geotopografiche aeronautiche di Pratica di Mare, il Centro nazionale di meteorologia e climatologia aeronautica di Pratica di Mare;
    nessuno di questi enti rende tuttavia disponibili i dati prodotti secondo quanto stabilito dalla normativa nazionale in materia di OpenData;
    l'istituto geografico militare, in particolare, produce la cartografia ufficiale italiana e una grande quantità di dati essenziali per favorire lo sviluppo di attività e iniziative che possono ricevere grande impulso dalla disponibilità di tali dati di grandissimo valore e utilità specialmente se utilizzati in applicazioni che sfruttano le enormi potenzialità della geolocalizzazione e della georeferenzialità;
    l'istituto geografico militare, ad esempio, vende a caro prezzo i grigliati necessari per le conversioni fra sistemi di coordinate diversi, problema ricorrente in Italia in quanto abbiamo dati geografici in quattro sistemi di coordinate differenti che ostacolano il loro uso integrato;
    sempre l'istituto geografico militare produce una base dati dei toponimi d'Italia ricavati dalle tavolette al 25.000; si tratta di dati estratti da una cartografia in certi casi vecchia di decine di anni, che non viene più aggiornata da molto tempo. Lo stesso database dei toponimi è stato aggiornato solo recentemente ma esclusivamente per tener conto dei mutamenti dei limiti amministrativi;
    nonostante dunque i costi per il suo mantenimento siano ormai molto ridotti, il database completo viene venduto dall'istituto fiorentino ad oltre 36 mila euro, in violazione alle disposizioni di cui all'articolo 52 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, come modificato dal citato articolo 9 del decreto legge n. 179 del 2012 che stabilisce come «l'Agenzia per l'Italia digitale deve stabilire, con propria deliberazione, i casi eccezionali, individuati secondo criteri oggettivi, trasparenti e verificabili, in cui essi sono resi disponibili a tariffe superiori ai costi marginali»;
    a titolo di confronto un analogo prodotto denominato «Gazetteer», riferito alla toponomastica britannica, può essere liberamente scaricato dal sito dell'Ordnance Survey con una licenza d'uso libera;
    il ritardo enorme che le amministrazioni militari detentrici di dati di interesse generale, in particolare l'istituto Geografico Militare, oltre ad essere in violazione di precise norme di legge e regolamentari, ostacola lo sviluppo di iniziative economiche e non economiche che potrebbero grandemente beneficiare il Paese stimolando il riuso innovativo dei dati pubblici,

impegna il Governo

a dare immediate disposizioni agli enti militari che detengono dati di interesse generale, e in particolare l'Istituto geografico militare di Firenze, l'istituto idrografico della marina di Genova, Centro informazioni geotopografiche aeronautiche di Pratica di Mare, il Centro nazionale di meteorologia e climatologia aeronautica di Pratica di Mare, affinché rendano disponibili gratuitamente attraverso i propri siti Internet, così come disposto dalla legislazione vigente, e nel più breve tempo possibile, i dati in loro possesso in modalità aperta e con licenza d'uso che ne consenta il riutilizzo per attività anche commerciali senza necessità di ulteriori autorizzazioni.
(7-00413) «Frusone, Artini».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 69 del 2013 (cosiddetto decreto «del fare») ha ampliato, a certe condizioni, fino a 120 rate mensili la durata dei piani di rateazione dei debiti iscritti a ruolo, nel caso in cui il contribuente si trovi, per ragioni estranee alla propria responsabilità, in una comprovata e grave situazione di difficoltà legata alla congiuntura economica, ed ha stabilito che il beneficio della rateazione dei debiti tributari possa essere mantenuto anche nel caso di mancato pagamento di un numero non superiore a 8 rate;
    nonostante tale previsione, risulta che il mancato pagamento di una sola delle rate del piano di rateazione impedisce tuttora il rilascio delle attestazioni di regolarità fiscale e contributiva nei confronti delle imprese che si rendano responsabili di tale mancato pagamento, sebbene le imprese stesse continuino comunque ad usufruire dei predetti piani di rateazione, qualora il numero di rate impagate non superi le 8;
    pertanto molte imprese, pur avvalendosi, ai sensi di tale normativa, di un piano di rateazione dei propri debiti iscritti a ruolo di importo rilevante (superiore a 10.000 euro), qualora non siano in grado di onorare puntualmente tutte le rate del piano stesso, vengono indicate, nella relativa attestazione di regolarità fiscale, come soggetti morosi;
    ciò comporta l'esclusione di tali imprese da gare d'appalto per contratti pubblici e il mancato pagamento dei crediti da loro vantati verso le pubbliche amministrazioni, con conseguente collasso finanziario ed economico delle stesse imprese;
    tale situazione deriva in primo luogo dal ritardo con cui le pubbliche amministrazioni erogano i pagamenti dovuti a tali soggetti, con grave nocumento per l'equilibrio economico e finanziario di questi ultimi, che, spesso anche a causa di tali ritardi, non sono nelle condizioni di poter onorare con puntualità i propri debiti fiscali, divenendo così preda di un perverso meccanismo che li qualifica come evasori o morosi per colpe non proprie;
    nelle circostanze evidenziate si crea evidentemente un grave disagio economico, oltre che morale, per i contribuenti interessati;
    in tale contesto appare evidente l'esigenza di intervenire al più presto su questa problematica, allineando le previsioni in materia di rateazione dei debiti iscritti a ruolo con quella relativa al rilascio dei predetti documenti di regolarità fiscale e contributiva,

impegna il Governo

ad adottare le necessarie iniziative, per modificare la normativa in materia di certificazione di regolarità fiscale, nel senso di prevedere che la predetta certificazione sia rilasciata ai contribuenti i quali si stiano avvalendo, ai sensi dell'articolo 52, comma 1, lettera a), del decreto-legge n. 69 del 2013, di un piano di rateazione dei propri debiti iscritti a ruolo, anche nel caso di mancato pagamento fino a un massimo di 8 rate, in modo da consentire ai contribuenti che si trovino in tale situazione di riscuotere i crediti da loro vantati nei confronti di pubbliche amministrazioni per fornitura di beni e servizi, nonché di accedere alle gare di appalto per contratti pubblici
(7-00411) «Ribaudo, Causi, Pelillo, Moretto, Ginato».


   La X Commissione,
   premesso che:
    il tessuto industriale della regione Molise, già caratterizzato da una fragilità strutturale, è stato ultimamente indebolito dall'aggravarsi della crisi economica;
    a fine giugno una importante manifestazione di lavoratori, imprenditori, disoccupati, pensionati e studenti, nonché dei sindaci delle municipalità molisane e dei sindacati, a cui ha partecipato anche il segretario nazionale della CGIL, ha denunciato questo grave stato di crisi del territorio;
    tale situazione di disagio è stata oggetto di un richiamo esplicito da parte del Papa in occasione della visita pastorale in Molise dello scorso 5 luglio, che si è riferito in particolare all'importanza del lavoro per la salvaguardia della dignità umana;
    secondo il documento pubblicato da Sviluppo Italia, in Molise la disoccupazione giovanile ha raggiunto livelli record del 49 per cento; la crisi si è abbattuta in particolare sui settori della moda, dell'agroalimentare e della metalmeccanica;
    uno dei territori maggiormente colpiti risulta essere il distretto produttivo di Bojano-Isernia-Venafro, in cui operano aziende di grandi dimensioni e di elevata specializzazione come Gam spa – nel settore agroalimentare – Ittierre spa – nel settore della moda – e altre imprese nel settore metalmeccanico e automotive le cui difficoltà determinano pesanti ricadute anche sull'indotto;
    sono a rischio nell'area suddetta tra lavoratori diretti e indotto circa 2.000 posti di lavoro per un territorio di poco più di 100.000 abitanti;
    i principali comuni dell'area coinvolta hanno già adottato specifiche delibere di Consiglio comunale, trasmesse alla Presidenza del Consiglio dei ministri e al Ministero dello sviluppo economico, nelle quali chiedono che sia posta all'attenzione del Governo l'eccezionale gravità della crisi industriale e occupazionale che stanno attraversando;
    con la delibera della giunta regionale n. 163 del 29 aprile 2014, ai sensi dell'articolo 27 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, ha demandato al Presidente della regione il compito di coordinare ogni possibile strategia innovativa di intervento nelle aree di crisi ed ha formalmente presentato, al Ministero dello sviluppo economico, istanza di riconoscimento della «situazione di crisi industriale complessa» per il territorio ricompreso nell'asse geografico tra i comuni di Campochiaro e Venafro,

impegna il Governo

ad assumere, con urgenza, ogni utile iniziativa che consenta il riconoscimento della «situazione di crisi industriale complessa» per il territorio della regione Molise ricompreso nell'asse geografico tra i comuni di Campochiaro e Venafro.
(7-00412) «Folino, Venittelli, Leva».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   la riduzione della presenza militare e lo smantellamento della base americana nell'arcipelago di La Maddalena avrebbe dovuto favorire lo sviluppo di iniziative economiche innovative soprattutto nel settore del turismo, con particolare riferimento a quello ambientale, balneare, del diportismo e congressuale e, ad oggi si registra un andamento insoddisfacente rispetto a quella prospettiva;
   la mancata bonifica del sito militare dismesso, la scandalosa gestione delle opere finalizzate allo svolgimento del G8 (poi trasferito a L'Aquila), l'assenza di un progetto più generale di riconversione dell'economia locale, costituiscono elementi decisivi che hanno concorso a un impoverimento generalizzato della comunità locale;
   l'amministrazione comunale di La Maddalena si è da sempre impegnata in modo particolare per favorire un nuovo modello di sviluppo, e sarebbe sbagliato lasciarla operare in solitudine in questa delicata fase di transizione dalla vecchia economia fondata su una forte dipendenza dalla presenza militare a una nuova, che punta alla valorizzazione delle proprie risorse territoriali e ambientali;
   la presenza militare statunitense – in loco per lunghi quarant'anni – ha concorso in maniera determinante a modificare la struttura economica, sociale e persino la psicologia profonda della comunità locale, determinando una integrazione economica che, una volta dismessa, non poteva che generare, in assenza di una attività coordinata di costruzione dello sviluppo, un contraccolpo violento, ragione per cui, in primis, lo Stato avrebbe dovuto – ed ancora dovrebbe – farsi carico di un risarcimento al prezzo pagato dalla comunità maddalenina agli interessi dell'Alleanza con gli USA ed a quello nazionale;
   in tale contesto, a fini di sviluppo economico ecosostenibile e della tutela ambientale, riveste una funzione decisiva il parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena, istituito con legge n. 10 del 4 gennaio 1994, il cui ente gestore è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1996;
   tale soggetto è risultato per lungo tempo inadempiente (così come già rilevato dalla Corte dei conti con delibera n. 02/2006 della sezione regionale di controllo per la Sardegna) rispetto a quanto stabilito dall'articolo 12, comma 3, della legge n. 394 del 1991 – legge quadro sulle aree protette – ovverosia nella redazione del piano del Parco, principale strumento di pianificazione e di indirizzo urbanistico-economico del territorio;
   il Parco nazionale risulta ancora inadempiente nella redazione del piano pluriennale economico e sociale così come stabilito dall'articolo 14, comma 2, della legge n. 394 del 1991;
   il Consiglio direttivo dell'ente ha concluso il suo mandato in data 10 febbraio 2013;
   il Piano del parco, così come definito dalla legge n. 394 del 1991, è stato predisposto dal Presidente dell'ente con deliberazione n. 5 del 15 marzo 2014, senza alcun coinvolgimento dell'amministrazione locale;
   i rapporti tra ente parco e amministrazione comunale risultano, a vent'anni dalla sua istituzione, fortemente conflittuali così come manifestato in una serie di delibere del consiglio comunale;
   a oltre un anno dal termine del mandato del consiglio direttivo, non si è ancora proceduto alla nomina dei nuovi membri, né tantomeno alla nomina dei membri della comunità del parco già designati con nota prot. 4960 del 21 febbraio 2014 dall'ex presidente della regione autonoma della Sardegna Ugo Cappellacci;
   tale ritardo comporta un prolungamento del regime monocratico in cui l'ente gestore si trova ad operare e che lo stesso risulta inadeguato alla luce della peculiare condizione di area protetta ricadente all'interno di un solo comune;
   nel corso di tale regime, e in particolare a far data dal settembre 2013, l'ente gestore ha visto perdere un consistente parte del proprio personale così come già sottolineato con interrogazione a risposta scritta 4-02059 presentata dal senatore Luciano Uras in data 15 aprile 2014;
   per le ragioni citate in premessa l'ente gestore si trova in condizioni di paralisi politica e amministrativa;
   tale condizione arreca grave danno economico e occupazionale alla comunità di La Maddalena;
   tale condizione arreca grave danno d'immagine all'area protetta di cui alla presente interrogazione;
   tali condizioni siano aggravate dalle recenti vicende giudiziarie che hanno condotto il procuratore della Repubblica di Olbia-Tempio a porre sotto indagine il Presidente e il Responsabile dell'Area tecnica dell'ente e a ordinare contestualmente le perquisizioni delle rispettive abitazioni –:
   quali siano le iniziative che il Governo intenda assumere al fine di imprimere definitiva attuazione ai progetti di sviluppo eco-sostenibile del territorio del Parco;
   quali siano i tempi di nomina del nuovo consiglio direttivo e della comunità del parco del parco nazionale dell'Arcipelago di La Maddalena;
   quali siano le attività di vigilanza assunte o che il Ministro competente intenda assumere rispetto alle criticità citate in premessa.
(2-00628) «Piras».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   il processo chiamato internazionalizzazione è, di fatto, una nazionalizzazione anglofona degli altri popoli;
   malgrado gli «inglesizzatori» sostengano che l'inglese di oggi è una «lingua franca» di proprietà di nessuno, nella realtà dei fatti, questa opinione non ha alcun fondamento: a) perché se anche esistesse qualcosa come «l'inglese di comunicazione internazionale», i lingua madre inglese non dovrebbero comunque spendere un centesimo per impararlo, il che non cambia di una virgola dell'enorme trasferimento di risorse che i Paesi non anglofoni fanno ai Paesi anglofoni come, anche, delle discriminazioni derivanti; b) che piaccia o no, di fatto sono gli anglofoni di lingua madre a detenere il monopolio legittimo della correzione linguistica, tanto quanto lo Stato detiene il monopolio legittimo della forza;
   sono i madrelingua inglese gli unici ad avere il diritto di stabilire ciò che è corretto o scorretto nella loro lingua. L'inglese non è un bene condiviso, poiché non avremo mai l'autorità di farne la «nostra» lingua, a meno di non rinunciare fin dalla nascita alla nostra lingua materna inglesizzandoci completamente e facendo morire la nostra identità tradizionale, in altre parole decretando la fine della biodiversità linguistica e della lingua italiana;
   si possono identificare almeno 6 tipi di risorse che divengono appannaggio, per nascita, dei linguamadre inglese:
    a) si concede ai cittadini dei Paesi anglofoni un mercato notevole in termini di materiale pedagogico, di corsi di lingua, di traduzione e interpretazione verso l'inglese, di competenza linguistica nella redazione e la revisione di testi, e via dicendo;
    b) i madrelingua inglese non devono mai investire tempo o danaro per tradurre i messaggi che trasmettono o desiderano comprendere;
    c) i madrelingua inglese non hanno un reale bisogno d'imparare altre lingue e ciò si traduce, per i Paesi anglofoni, in un risparmio enorme, a cominciare dalle spese d'istruzione. Si stima che il gettito che ne deriva annualmente al Regno Unito è di circa 18 miliardi di euro;
    d) tutte le risorse finanziarie e temporali che non vengono dedicate all'apprendimento delle lingue straniere, possono essere investite nello sviluppo, nella ricerca e nell'insegnamento/apprendimento di altre discipline;
    e) anche se i non-anglofoni compiono un considerevole sforzo per imparare l'inglese, non riescono mai, salvo eccezioni, ad avere un grado tale di padronanza che possa loro garantire l'uguaglianza di fronte ai madrelingua:
     1) uguaglianza nella comprensione;
     2) uguaglianza nei casi di presa di parola in un dibattito pubblico;
     3) l'uguaglianza nelle negoziazioni e nei conflitti;
   tra cittadini europei anglofoni dalla nascita, e non, una differenza è quella nelle opportunità di assunzione: sono una enormità gli annunci economici che, a livello europeo, offrono lavoro solo a persone di madrelingua inglese (English mother tongue, English native speakers) con la conseguenza che cittadini europei pur con un'ottima conoscenza dell'inglese e magari superiori capacità professionali vengono discriminati e non possono essere assunti;
   il Senato Accademico dell'università pubblica milanese «Politecnico di Milano», con delibera in data 21 maggio 2011, ha deciso di portare avanti «l'inglesizzazione» dell'ateneo, vietando l'italiano e adottando il solo inglese per tutti i corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca;
   avverso detta delibera, un centinaio di professori dell'ateneo presentarono ricorso al Tar della Lombardia, che, con sentenza del 23 maggio 2013 (n. 1348/2013 – Presidente Adriano Leo), annullava la decisione del Senato Accademico del Politecnico di Milano con la motivazione «Le scelte compiute dal Senato accademico con le delibere impugnate si rivelano sproporzionate, sia perché non favoriscono l'internazionalizzazione dell'Ateneo, ma ne indirizzano la didattica verso una particolare lingua e verso i valori culturali di cui quella lingua è portatrice, sia perché comprimono in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanto gli studenti»;
   il rettorato del Politecnico di Milano e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca (MIUR) si sono appellati al Consiglio di Stato, chiedendo l'annullamento della sentenza del TAR, previa sospensione interinale dell'efficacia e il Consiglio di Stato ha fissato nuova udienza pubblica per il 25 novembre 2014 previa acquisizione d'ulteriore documentazione;
   il Ministro pro tempore per l'istruzione, l'università e la ricerca, Stefania Giannini, in data 2 agosto 2013 ha firmato la lettera aperta al Presidente della Repubblica e ai diversi ministeri interessati, MIUR in primo luogo, «Conoscere e usare più lingue è fattore di ricchezza» promosso dall'Accademia della Crusca e cofirmato dall'Associazione per la Storia della Lingua Italiana, dalla Società di Linguistica Italiana, dalla Società Italiana di Didattica delle Lingue e Linguistica Educativa, dalla Società Italiana di Linguistica Applicata, dalla Società Italiana di Didattica delle Lingue e Linguistica Educativa, nella quale, in relazione alla vicenda del Politecnico, si rimarcava «con rammarico e viva preoccupazione il persistere della linea di progressiva emarginazione e di abbandono dell'italiano nei gradi alti della formazione universitaria» e, ancora e soprattutto si affermava come «Il testo del ricorso in appello al Consiglio di Stato da parte del Politecnico di Milano solleva, per di più, un grave problema che va al di là della specifica vicenda giudiziaria, poiché mette in gioco il ruolo stesso dell'italiano come lingua ufficiale della Repubblica, evocando la mancanza dell'indicazione esplicita in Costituzione e non considerando che l'ufficialità è affermata chiaramente in leggi e sentenze della Corte costituzionale. I firmatari di questa lettera si impegnano a promuovere ogni iniziativa volta a richiamare l'attenzione delle istituzioni e dell'opinione pubblica su tutti i temi emergenti da tali fatti, che ritengono di cruciale importanza proprio nel campo della formazione professionale, oltre che culturale, delle nuove generazioni»;
   il 14 maggio 2014, durante la trasmissione di Radio 2 «Radio Anch'io», alla domanda del Direttore di Italia Oggi, Pier Luigi Magnaschi «il Politecnico di Milano ha deciso d'insegnare le materie specialistiche in inglese. Alcuni professori hanno fatto ricorso. Il Tar ha dato ragione a loro. Che cosa si può fare per impedire che si ripeta uno scandalo di questo tipo» il Ministro Giannini ha testualmente risposto «Ma guardi, che sia il TAR a pronunciarsi sulle libere scelte delle università anch'io lo trovo abbastanza sconcertante, in questo come in altri casi»;
   la delibera del Senato Accademico del Politecnico di Milano, in data, 15 dicembre 2011 prevede che «la lingua ufficiale dell'Ateneo per le Lauree Magistrali ed i Corsi di Dottorato sia esclusivamente la lingua inglese» con gravi perdite economiche ed occupazionali nell'editoria scientifica italiana e dell'indotto ad essa afferente e, ancor più grave e letale perdita di sovranità linguistica italiana nei confronti di una lingua straniera, proprio in una università statale che, del sapere scientifico e architettonico italiano, dovrebbe garantirne vita e vitalità, insieme ai diritti umani linguistici dei nostri giovani e docenti ad apprendere e insegnare nella lingua madre della Repubblica, della Nazione, della Costituzione;
   il Presidente del Consiglio, così come tutti i ministri, hanno espressamente giurato il 22 febbraio 2014: «Giuro di essere fedele alla Repubblica, di osservare lealmente la Costituzione e le leggi, e di esercitare le mie funzioni nell'interesse esclusivo della Nazione»;
   l'agenzia AgenParl del 4 luglio 2014, ha pubblicato una nota del Segretario dell'Associazione Radicale Esperanto, Giorgio Pagano, in cui si riporta che, nonostante la sentenza del TAR Lombardia del 23 maggio 2013 abbia annullato la delibera del Senato accademico del Politecnico di Milano nella parte in cui ha approvato il divieto dell'uso della lingua italiana e l'adozione della sola lingua inglese per i corsi di laurea magistrale e di dottorato, il rettore e il Senato Accademico abbiano continuato nella politica a favore della lingua straniera;
   infatti, si legge nella nota, confrontando i dati dell'anno accademico 2012-13 con quelli, post sentenza, approvati dal Senato Accademico per il 2014-15 e riguardanti la sola Scuola dell'ingegneria industriale e dell'informazione, emerge che, praticamente, non esiste più un solo corso di studi esclusivamente in italiano mentre, quelli interamente in lingua inglese sono stati addirittura quadruplicati e portati da 8 a 31;
   nella stessa nota viene anche spiegato dietro quali pressioni in danaro ciò sia avvenuto e cosa prevede l'accordo tra i Consigli di corso di studio e il Senato accademico per giustificare, di fronte alla Giustizia, i mancati adempimenti previsti dalla sentenza del TAR Lombardia. In sintesi: 36 mila euro per almeno un corso di laurea fornito esclusivamente in inglese e, per quanto riguarda la giustificazione giudiziaria, il Politecnico di Milano sosterrà che, mentre i giudici meneghini avevano bloccato l'inglesizzazione del Politecnico annullando la delibera del Senato Accademico, qui si tratta di delibere dei Consigli di corso di studio. Occultando il fatto che, senza l'approvazione da parte del Senato accademico, tali deliberazioni dei CCS sono nulle;
   in relazione a quanto sottoscritto nella lettera aperta summenzionata – avvertendo come il Politecnico di Milano metta «in gioco il ruolo stesso dell'italiano come lingua ufficiale della Repubblica, evocando la mancanza dell'indicazione esplicita in Costituzione e non considerando che l'ufficialità è affermata chiaramente in leggi e sentenze della Corte costituzionale» – e considerando come il politecnico di Milano, condannato dal TAR a fermare l'inglesizzazione dell'ateneo a spese della lingua della Repubblica, non solo non vi abbia adempiuto ma abbia intensificato l'inglesizzazione in modo esponenziale;
   il Ministro dovrebbe dissociarsi immediatamente al ricorso numero di registro generale 5151 del 2013 nel quale il Ministro è co-ricorrente insieme al Politecnico di Milano;
   la diaspora italiana nel pianeta è di circa 80 milioni di persone, la seconda del mondo dopo quella cinese, e che a Firenze il 21-22 ottobre si terranno gli Stati Generali della Lingua Italiana nel Mondo con sottotitolo provvisorio «L'italiano ci cambia la vita» o «L'italiano cambia il mondo» –:
   se il Governo, alla luce di quanto affermato in premessa, non ritenga di affrontare urgentemente, di fatto e di diritto, nelle opportune sedi istituzionali nazionali ed europee, con gli strumenti più idonei e celeri, la questione della «nazionalizzazione anglofona» del nostro Paese con conseguente perdita di sovranità linguistica italiana, gravi perdite economiche e di pari opportunità di mercato;
   se il Governo non ritenga di dover porre il tema trattato anche in sede europea coinvolgendo gli altri Paesi europei interessati dal fenomeno, a fronte della mancanza di un'autentica lingua federale europea o di una lingua comune della razza umana, e se, nel contempo, non ritenga urgente richiedere misure di compensazione per la discriminazione linguistica alla quale vengono sottoposti i popoli non anglofoni e, in subordine, non francofoni e germanofoni;
   se il Governo non ritenga di dover fare chiarezza, sulla contraddittorietà dei suoi comportamenti e prese di posizione – persino avverse alla legittimità giuridica del TAR nell'esercitare i propri poteri istituzionali nei confronti delle università italiane, in merito al processo di nazionalizzazione anglofona dei nostri atenei – anche rinunciando immediatamente nel ricorso numero di registro generale 5151 del 2013 nel quale è co-ricorrente insieme al Politecnico di Milano;
   se il Governo non ritenga operare immediatamente per una riconversione del processo d'inglesizzazione scolastica ed universitaria in processo di internazionalizzazione della e nella lingua italiana, in Italia e all'estero. In modo da non dover assistere alla miseria intellettuale della celebrazione degli «Stati generali della lingua italiana» mentre in Italia essa viene negletta;
   se il Governo non ritenga di dover esigere, come la Germania ha fatto dal 2000, che l'italiano sia aggiunto come quarta lingua di lavoro dell'Unione. Magari coinvolgendo la Spagna affinché l'assicurare maggior democrazia e giustizia linguistica europea abbia un minimo di equilibrio tra Nord e Sud Europa, anziché oggi assolutamente squilibrato con ben tre lingue del Nord e nessuna del sud Europa nel novero delle lingue di lavoro, di fatto le vere lingue ufficiali, dell'Unione europea.
(2-00629) «Borghese».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende da fonti di stampa, J.M., ragazzo di 22 anni, che vive in provincia di Firenze, ha recentemente lanciato sul suo profilo Twitter l’hashtag #vorreiprendereiltreno in risposta ad un tweet del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore, Maria Chiara Carrozza, evidenziando ancora una volta il problema della non accessibilità dei mezzi pubblici per i cittadini affetti da disabilità;
   il ragazzo sottolinea, in particolare, le peripezie e le difficoltà quotidiane nel trovare un treno dotato di pedana per salirvi a bordo;
   l'ironia con la quale il ragazzo ha evidenziato attraverso il web il proprio disagio, ha raccolto la solidarietà e la partecipazione di molti cittadini, desiderosi di capire come risolvere il problema di J.M. e di tutti coloro che ogni giorno incontrano ostacoli insormontabili, fisici o sociali, al pieno godimento della propria vita;
   l'articolo 16 della Costituzione garantisce il diritto alla mobilità di ogni cittadino;
   l'articolo 3 della Costituzione sancisce il principio di eguaglianza e demanda al legislatore il compito di rimuovere tutti gli ostacoli di ordine economico e sociale che possano impedirne la concreta attuazione;
   con l'entrata in vigore in Italia della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità del 2006 mediante la legge n. 18 del 2009, il diritto alla mobilità si è qualificato ulteriormente come diritto all'accessibilità;
   al fine di dare attuazione ai principi fin qui richiamati, il nostro ordinamento prevede l'adozione da parte dei comuni di piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche (PEBA);
   il piano per l'eliminazione delle barriere architettoniche è uno strumento di gestione urbanistica per pianificare gli interventi per rendere accessibili gli edifici e spazi pubblici, previsti dalla legge del 1986, n. 41, articolo 32, commi 21 e 22 e, dall'articolo 24, comma 9, della legge n. 104 del 1992;
   questi piani avrebbero dovuto essere adottati, fin dal febbraio 1987, dagli enti centrali e locali in base alle rispettive competenze, pena, per i piani di pertinenza dei comuni e province, la nomina di un commissario ad hoc da parte della regione;
   in materia di piani per l'eliminazione delle barriere architettoniche, l'articolo 38 della legge n. 41 del 1986 al comma 21, prevede che: «per gli edifici pubblici già esistenti non ancora adeguati alle prescrizioni del decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1978, n. 384, dovranno essere adottati da parte delle Amministrazioni competenti piani di eliminazione delle barriere architettoniche entro un anno dalla entrata in vigore della presente legge» ed al successivo comma 22: «Per gli interventi di competenza dei comuni e delle province, trascorso il termine previsto dal precedente comma 21, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano nominano un commissario per l'adozione dei piani di eliminazione delle barriere architettoniche presso ciascuna amministrazione»;
   detta normativa è stata modificata ed integrata dall'articolo 24, comma 9 della legge n. 104 del 1992, il quale, a sua volta, prevede quanto segue: «I piani di cui all'articolo 32, comma 21, della citata legge n. 41 del 1986 sono modificati con integrazioni relative all'accessibilità degli spazi urbani, con particolare riferimento all'individuazione e alla realizzazione di percorsi accessibili, all'installazione di semafori acustici per non vedenti, alla rimozione della segnaletica installata in modo da ostacolare la circolazione delle persone handicappate»;
   il decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1996, n. 503, recante «Regolamento recante norme per l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici, spazi e servizi pubblici», detta le disposizioni specifiche per quanto riguarda i treni, le stazioni e le ferrovie, prevedendo all'articolo 25, comma 1, che «le principali stazioni ferroviarie devono essere dotate di passerelle, rampe mobili o altri idonei mezzi di elevazione al fine di facilitare l'accesso alle stesse ed ai treni alle persone con difficoltà di deambulazione. In relazione alle specifiche esigenze tecniche degli impianti ferroviari è consentito il superamento, mediante rampe inclinate, anche di dislivelli superiori a m. 3,20. In assenza di rampe, ascensori, o altri impianti necessari per un trasferimento da un marciapiede ad un altro, il disabile su sedia a ruote può utilizzare i passaggi di servizio a raso purché accompagnato da personale di stazione appositamente autorizzato»;
   il comma 3 del medesimo articolo, prevede che «per consentire la sistemazione del disabile su sedia a ruote all'interno delle carrozze ferroviarie deve essere opportunamente attrezzato un adeguato numero di carrozze da porre in composizione di alcuni treni in circolazione su linee principali»;
   il successivo comma 4 stabilisce che «l'ente che gestisce il servizio è tenuto ad evidenziare i treni ed i servizi offerti alla clientela portatrice di handicap, sia nelle stazioni che nel proprio “orario ufficiale”»;
   il comma 6 statuisce che «il Ministero dei trasporti, sulla base delle indicazioni fornite dal dipartimento per la famiglia e la solidarietà sociale, definisce d'intesa con quest'ultimo e tenute presenti le peculiarità dell'esercizio ferroviario, gli interventi e la loro pianificazione, le relative modalità di finanziamento nonché i criteri di copertura dei maggiori oneri derivanti dall'attuazione delle norme di cui al presente articolo, entro i limiti degli ordinari stanziamenti di bilancio»;
   infine l'articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 503 del 1996 prevede, al comma 7, che «le norme del presente regolamento non sono vincolanti per gli edifici e per gli impianti delle stazioni e delle fermate impresenziate, sprovviste cioè di personale ferroviario sia in via temporanea che in via permanente» –:
   se non si ritenga necessario provvedere ad una ricognizione delle amministrazioni pubbliche che abbiano adottato il piano di eliminazione delle barriere architettoniche;
   se il Presidente del Consiglio dei ministri ed i Ministri interrogati non ritengano opportuno promuovere urgentemente iniziative normative volte ad ampliare anche alle stazioni ferroviarie ed alle fermate cosiddette «impresenziate», l'obbligo di dotarsi di infrastrutture atte a facilitare l'accesso alle stazioni e ai treni da parte delle persone con difficoltà di deambulazione;
   se non intendano, altresì, promuovere un tavolo di monitoraggio dell'accessibilità allo scopo di coinvolgere enti locali, soggetti gestori del trasporto pubblico e associazioni di volontariato, al fine di individuare le criticità e risolvere il problema dell'accessibilità al sistema dei trasporti per le persone affette da disabilità. (5-03213)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 è stata fondata a Vienna la joint venture OBB-Breitspur Planungsgesellschaft mbH, cui partecipano le società ferroviarie statali di Russia, Ucraina, Slovacchia e Austria, per la costruzione di una rete ferroviaria a scartamento largo da Košice (Slovacchia orientale) a Bratislava e Vienna (Austria);
   il progetto, proposto dai russi in base agli standard dei propri binari a scartamento largo (incompatibili con quelli europei) ha come obiettivo quello di potenziare i volumi di traffico, migliorare i collegamenti diretti e ridurre il tempo del trasporto merci Asia-Europa;
   la nuova linea prevede un'estensione delle infrastrutture ferroviarie di circa 450 chilometri e la costruzione di un nuovo centro logistico, un hub container di grandi dimensioni, nell'area Bratislava-Vienna «Twin city region»;
   nel 2011 è stato articolato lo studio di prefattibilità strategico, commissionato da Breitspur Planungsgesellschaft a Roland Berger Strategy Consultants, che illustra le diverse fasi di sviluppo del progetto, confermandone la possibile realizzazione tecnica e giuridica, oltre a sottolinearne l'enorme potenziale sotto il profilo occupazionale e di scambio merci;
   il 5 luglio 2013 i CEO delle Ferrovie austriache, russe, slovacche e ucraine hanno firmato un «Memorandum of Understanding» per l'inizio e il finanziamento della prossima fase del progetto «Connessione 1.520 mm ferroviario Košice-Vienna» e del relativo bando d'appalto per l'elaborazione di uno studio di fattibilità (parte tecnica e ambientale);
   ad oggi la joint venture ha già investito 2,5 milioni di euro nella fase di prefattibilità e il presidente delle ferrovie russe RZD, Vladimir Yakunin, ha stimato un finanziamento complessivo per il progetto di circa 6,36 miliardi di euro;
   nel dicembre 2012, durante la conferenza organizzata a Palazzo Clerici (Milano) su «Il corridoio Transeurasiatico Razvitie: una nuova dimensione della cooperazione», il presidente delle Ferrovie Russe Vladimir Yakunin ha illustrato in teleconferenza il piano dell'infrastruttura ferroviaria e in quell'occasione il vicepresidente delle Ferrovie dello Stato Alberto Mazzola ha annunciato l'intenzione di realizzare un collegamento merci tra Mosca e Trieste e unire questo percorso al corridoio Košice-Vienna per mezzo di nuovi nodi logistici;
   estendere fino a Trieste il progetto ferroviario summenzionato potrebbe contribuire a rilanciare il ruolo del capoluogo giuliano e del suo porto, che potrebbe configurarsi come il principale punto di riferimento per il collegamento meridionale dell’hub ferroviario di Bratislava-Vienna;
   la posizione geografica di Trieste la pone come un appetibile crocevia per sistemi intermodali nave-rotaia, vista la profondità dei terminal portuali presenti e considerate le linee ferroviarie esistenti che andrebbero però migliorate eliminando colli di bottiglia come quello del Bivio San Polo. In questo modo il capoluogo giuliano potrebbe giocare un ruolo di primo piano per il trasporto merci su rotte e tracciati sicuri dall'Asia all'Europa –:
   se il Governo sia a conoscenza del piano infrastrutturale promosso dalla joint venture summenzionata;
   quali siano gli orientamenti in relazione al progetto e se si stia valutando la partecipazione. (4-05489)


   BALDASSARRE, ARTINI, BONAFEDE, GAGNARLI e SEGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo pubblicato sul «Il Fatto Quotidiano», in data 29 marzo 2013, il comune di Firenze avrebbe erogato un flusso di denaro pari a 5 milioni di euro circa verso una società controllata e a sua volta verso alcune società riconducibili «all’entourage del sindaco e alla sua stessa famiglia»;
   la controllata del comune di Firenze si chiama Museo dei ragazzi e le aziende private sono numerose in particolare CrossMedia e Dotmedia;
   l'articolo suddetto riferisce inoltre che la procura avrebbe aperto un fascicolo sulla vicenda che vede coinvolte le suddette società e il flusso di denaro – circa 5 milioni di euro – proveniente da Palazzo Vecchio;
   ai vertici della compartecipata sarebbero arrivate due nuove figure: Lucia De Siervo e Matteo Spanò, molto legati agli ambienti del Presidente del Consiglio dei ministri a quanto riporta l'articolo suddetto;
   secondo l'articolo suddetto l'appalto assegnato, senza gara, scadrà il 28 dicembre 2016 e altresì secondo la delibera del comune di Firenze, il Museo dei ragazzi, dovrebbe tenere nelle proprie casse l'80 per cento degli introiti dei musei e il 20 per cento dovrebbe essere riversato nelle casse del comune;
   dall'articolo si evince che l'80 per cento degli introiti dei musei che dovrebbero rimanere nelle casse del Museo dei ragazzi, viene suddiviso con la società CrossMedia – società controllata da Marco Carrai, l'amico che ha pagato il famoso affitto al Presidente del Consiglio Renzi;
   le spese per la struttura suddetta, fino al 2011, ammontavano a circa 500 mila euro;
   appaiono agli interroganti singolari le coincidenze che vedono coinvolto il Presidente del Consiglio dei ministri e alcuni soggetti a lui «vicini» –:
   quali elementi intenda fornire il Presidente del Consiglio dei ministri sui fatti enunciati in premessa essendo interesse prioritario del Parlamento e della pubblica opinione fugare ogni ombra al riguardo. (4-05490)


   MASSIMILIANO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 13 dicembre 2012, a Pieve a Nievole comune della provincia di Pistoia, si è verificato un ennesimo efferato caso di femminicidio durante il quale Massimo Parlanti, reo confesso e condannato con rito abbreviato a 18 anni di carcere, ha ucciso l'ex moglie Beatrice Ballerini;
   da quanto si apprende dagli organi di informazione, si ha notizia secondo la quale Massimo Parlanti potrebbe percepire a causa di una falla legislativa, il 60 per cento della pensione maturata dall'ex moglie Beatrice Ballerini;
   dagli stessi organi di informazione si apprende che ai figli di Beatrice Ballerini, avuti durante il matrimonio con Massimo Parlanti, ex marito colpevole reo confesso dell'omicidio della stessa, e attualmente accuditi da Lorenzo Ballerini, fratello di Beatrice Ballerini, spetta il 40 per cento della suddetta pensione;
   da qualche giorno Lorenzo Ballerini, fratello di Beatrice Ballerini, ha iniziato una campagna di raccolta firme online per presentare una petizione che tra vari punti chiede al Presidente del Consiglio dei ministri «un meccanismo automatico che preveda la dichiarazione di “indegnità a succedere” per l'assassino del coniuge. Questo è quello che chiedo nel nome di mia sorella e di tutte le donne uccise»;
   lo stesso Lorenzo Ballerini, spiega che: «Il meccanismo legale dell'indegnità a succedere va richiesta appositamente mediante azione legale di tipo civile. La legge n. 125 del 2011, una legge apposita arrivata nel 2011 di cui non tutti gli uffici sono ancora correttamente informati, contengono le parole “con sentenza passata in giudicato”, le quali fanno sì che si debba attendere l'appello, se non la Cassazione. Nel frattempo i bambini non possono percepire la pensione a tutela di un potenziale diritto dell'assassino. La formulazione della legge ed i principi giuridici combinati fanno sì che il risultato sia il seguente: per tutelare il diritto potenziale di un probabile assassino (nel nostro caso certo, perché – fra l'altro – reo confesso), si nega il diritto certo a dei minori che, oltre che essere sicuramente innocenti, sono sue vittime. Il risultato è che – ad oggi – se i minori chiedessero la quota del 60 per cento che non gli viene corrisposta, questa verrebbe loro negata»;
   la petizione ha raggiunto e superato in un paio di giorni la soglia di centomila firme, mettendo in evidenza quanto sia sentito il bisogno da parte dei cittadini di una normativa che faccia chiarezza e che indirizzi il legislativo verso una modifica della normativa di riferimento, lesiva sia per la dignità di ormai troppe vittime che del grado di civiltà di un'intera nazione –:
   se sia al corrente del fatto che Massimo Parlanti, reo confesso dell'assassinio di Beatrice Ballerini, possa percepire ovvero stia percependo (in virtù del diritto di reversibilità) il 60 per cento della pensione maturata da quest'ultima;
   se intenda rispondere alla petizione avviata da Lorenzo Ballerini, fratello di Beatrice Ballerini nonché tutore dei suoi figli;
   quali iniziative normative intenda intraprendere affinché sia creata una normativa di buon senso che eviti situazioni come quella in premessa in cui, oltre alla garanzia del rispetto dei diritti acquisiti, venga prioritariamente garantita la difesa e la tutela dei soggetti lesi e delle vittime. (4-05503)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 188-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (norme in materia ambientale) prevede che la tracciabilità dei rifiuti debba essere garantita dalla loro produzione sino alla loro destinazione finale;
   a tal fine viene istituito, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009, il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102 del 2009;
   il SISTRI ha il duplice obiettivo di semplificare l’iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore;
   destinatari dell'obbligo di iscrizione al sistema erano inizialmente 640 mila aziende, coinvolte nel SISTRI secondo il contratto iniziale tra la Selex e il ministero dell'ambiente;
   il Sistema è stato soggetto a notevole stratificazione normativa, cui sono stati destinatari soprattutto i soggetti tenuti ad aderire;
   in particolare, si segnala che l'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, novella I commi 1, 2 e 3 dell'articolo 188-ter delle norme in materia ambientale;
   tale novella comporta l'esclusione dall'obbligo di iscrizione al SISTRI di tutti coloro che non trasportano rifiuti non pericolosi: il comma 2 novellato difatti recita «Possono aderire al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), su base volontaria i produttori, i gestori e gli intermediari e i commercianti dei rifiuti diversi da quelli di cui al comma 1»;
   successivamente, con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 27 aprile 2014 la platea iniziale si è ristretta di altre 150 mila aziende, dal momento che è stato eliminato l'obbligo di iscrizione al SISTRI delle imprese con meno di dieci dipendenti;
   già in precedenza, con l'articolo 52 del decreto-legge n. 83 del 2012 è stata disposta la sospensione del SISTRI per l'anno 2012, fino al 30 giugno 2013: «per consentire i necessari accertamenti sul funzionamento» del sistema, vengono sospesi il termine di entrata in operatività del sistema per un massimo di 12 mesi e i conseguenti adempimenti delle imprese;
   in seguito alle progressive restrizioni della platea iniziale, sono stati aperti numerosi contenziosi in merito al pagamento delle quote del 2010 e 2011, ma come riportano autorevoli fonti di stampa, l'esito dei giudizi cambia sensibilmente a seconda della composizione del collegio giudicante;
   molte imprese ad oggi escluse dall'obbligo di iscrizione al SISTRI hanno provato a cancellarsi dal sistema, al fine di evitare di dover pagare il contributo, senza esito;
   al fine di evitare questa criticità, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato in data 24 giugno 2014 un Comunicato di chiarimento riguardante il pagamento del contributo annuale e la cancellazione dell'iscrizione da SISTRI dei soggetti non obbligati ai sensi del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e che non aderiscono volontariamente al sistema;
   il direttore generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, avvocato Maurizio Pernice, ha chiarito che «I soggetti già iscritti al Sistri, che ai sensi dell'articolo 11, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 non sono più tenuti ad aderire né aderiscono volontariamente al Sistema, non devono versare il contributo annuale alla scadenza del 30 giugno 2014, anche se a tale data la procedura di cancellazione dell'iscrizione non è stata avviata o non è conclusa. Le modalità semplificate per la cancellazione dal Sistri dei soggetti iscritti che non sono tenuti ad aderire al sistema medesimo, nonché per la restituzione dei dispositivi, saranno definite con ulteriore comunicazione» –:
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere al fine di salvaguardare il diritto al rimborso delle quote versate negli anni 2010 e 2011 da imprese che non hanno mai usufruito del SISTRI, vista la mancata messa in funzione e le continue sospensioni, e che sono peraltro state successivamente esentate dall'obbligo di adesione, ai sensi degli atti con forza di legge e di natura secondaria indicati in premessa;
   quali iniziative siano state predisposte al fine di garantire la definitiva cancellazione dal sistema per quelle imprese il cui obbligo di iscrizione sia venuto meno, ai sensi degli atti con forza di legge e di natura secondaria indicati in premessa. (4-05493)


   PETRAROLI, DE ROSA, DE LORENZIS e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 maggio 2011, è stato depositato lo Studio d'impatto ambientale (SIA) relativo al progetto del «Nuovo Master Plan dell'aeroporto di Milano Malpensa», con la richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   proponente dell'opera è l'ENAC (Ente nazionale per l'aviazione civile), con sede in Roma, che ha delegato la redazione e il deposito del progetto e dello studio d'impatto ambientale a SEA (Società esercizi aeroportuali) Aeroporti di Milano Spa;
   l'avviso di deposito dell'istanza e della SIA è stato pubblicato il 20 maggio 2011, ed è stata pertanto avviata la procedura regionale per l'espressione del parere al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in relazione alla richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale;
   la regione Lombardia, con delibera X/13 del 3 aprile 2013 ha espresso parere favorevole, con prescrizioni, al Ministero dell'ambiente e della tutela, del territorio e del mare, relativo al progetto del «Nuovo Master Plan dell'aeroporto di Milano Malpensa»;
   con nota dell'11 aprile 2013 (prot. DVA-2013_0008613) è stata concessa una sospensione, da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del procedimento di 9 mesi per approfondimenti progettuali; la direzione generale del MATTM competente per materia, con nota del 23 gennaio 2014, non ha accolto la richiesta di proroga avanzata dall'ente nazionale per l'aviazione civile il 30 dicembre 2013, in quanto carente di motivazione e, pertanto, ai sensi dell'articolo 10-bis, della legge n. 241 del 1990, ha informato l'ENAC di tale decisione;
   con nota del 7 febbraio 2014 l'Enac, nel prendere atto della mancata concessione dell'ulteriore proroga, ha trasmesso un documento tecnico di sintesi riguardante la rielaborazione del progetto Master plan che conterrebbe, a suo avviso, una diminuzione del previsto ampliamento del sedime aeroportuale in funzione di quanto emerso in sede di riunioni tecniche;
   la direzione generale del Ministero, con nota del 10 febbraio 2014, nel trasmettere la documentazione alla Commissione di valutazione impatto ambientale ha disposto il riavvio dell'istruttoria tecnica;
   nella zona di Malpensa è già stata aperta una procedura di infrazione da parte dell'Unione europea, la n. 2012/4096, per il danno ambientale arrecato al SIC (sito di importanza comunitaria) Brughiera del Dosso IT2010012;
   il parere motivato espresso dall'Unione europea, in data 16 aprile 2014, in merito alle procedura l'infrazione 2012/4096, richiede espressamente di sanare il ritardo relativo a misure di conservazione e designazione come Zone speciali di conservazione (ZSC) di questo sito;
   la regione Lombardia ha approvato, con dgr 1873, le Misure di conservazione relative al SIC in data 23 maggio 2014, come conseguenza del parere dell'Unione europea;
   il parco del Ticino ha proposto, come soluzione per fermare la procedura di infrazione, la costituzione di un nuovo Sito di importanza comunitaria (SIC) e Zone di protezione speciale (ZPS) da realizzarsi nella zona interessata all'ampliamento dell'aeroporto di Malpensa, in quanto zona unica e rara da un punto di vista ambientale, ricca di specie animali e vegetali tutelate dalla «Direttiva Habitat 92/43/CEE» e dalla «Direttiva Uccelli 2009/147/CE»;
   la proposta, formalizzata da parco a regione Lombardia con lettera in data 25 ottobre 2011, consiste nel fare diventare un'area di 856 ettari, che interesserebbe i comuni di Lonate Pozzolo (Va), Castano Primo e Nosate (Mi) a far parte della rete natura 2000;
   l'area è di notevole pregio naturalistico: le brughiere di Malpensa e Lonate ricoprono un ruolo strategico rispetto alle connessioni ecologiche a livello locale, provinciale e regionale;
   si tratterebbe di tutelare un immenso patrimonio di biodiversità, infatti:
    nell'area sono stati censiti 332 taxa di cui 59 alloctoni e 57 autoctoni per quanto riguarda le specie vegetali. Sono state riconosciuti i seguenti habitat (secondo la Direttiva 92/43/CEE «Habitat»): Lande Secche Europee, Praterie magre. Querceti di Farnia e Vecchi querceti;
    per quanto riguarda l'avifauna sono state censite 228 specie: 78 nidificanti, 56 di interesse comunitario, 8 nidificanti, 48 migratrici;
    è il secondo sito lombardo come numero di specie di interesse comunitario, un sito di interesse internazionale per il Succiacapre ed il sito più importante a livello nazionale come luogo di sosta dell'Averla Piccola;
    è inoltre presente la farfalla cenoninfa di Edipo (Coenonjmpha oedippus) che ad oggi è la specie di farfalla più minacciata d'Europa;
    qualora il Masterplan dell'aeroporto di Malpensa dovesse essere approvato, potrebbero verificarsi pesanti conseguenze per il patrimonio floristico e faunistico lombardo: perdita di habitat e specie protette, nuove procedure di infrazione delle direttive Unione europea Habitat 92/43/CEE ed uccelli 2009/147/CE, interruzione della rete ecologica regionale e del parco del Ticino –:
   quali provvedimenti intendano adottare i Ministri interrogati, ciascuno nell'ambito delle rispettive competenze, per evitare la compromissione irreversibile di una zona di rilevanza fondamentale per la biodiversità. (4-05494)


   PETRAROLI, DE ROSA e DELLA VALLE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il lago di Varese ha una superficie pari a circa 15 chilometri quadrati ed una profondità media di 11 metri, bagna in tutto nove comuni nella provincia di Varese: Varese, Azzate, Bardello, Biandronno, Bodio Lomnago, Buguggiate, Galliate Lombardo, Cazzago Brabbia e Gavirate;
   è alimentato quasi esclusivamente dalle acque di pioggia e dallo scioglimento delle nevi della zona collinare e pedemontana limitrofa. L'unico immissario significativo è il Canale Brabbia, che riversa nel lago di Varese le acque in uscita dal lago di Comabbio mentre l'emissario è il fiume Bardello, che sfocia nel lago Maggiore;
   il lago di Varese rappresenta una zona umida di particolare rilevanza ecologica, area di svernamento di numerosi uccelli acquatici come riportato dal «patto per il lago di Varese (valido per il quinquennio 2008-2013)» pagina 1 a firma di: Lega Italiana Protezione Uccelli – (Lipu Onlus) Varese, Lega Ambiente, Verdi Ambiente e Società (VAS) Amici della Terra;
   il lago, infatti, rappresenta una zona di protezione speciale (ZPS) ovvero un sito selezionato in base alla direttiva comunitaria 79/409/CEE (cosiddetta Direttiva uccelli);
   il lago di Varese è quello che è stato maggiormente colpito dai fenomeni di eutrofizzazione che hanno inciso sui laghi italiani negli ultimi 50 anni;
   il fenomeno dell'eutrofizzazione è una tipica manifestazione di inquinamento cronico dei bacini lacustri. La causa di questo fenomeno è la super-concimazione delle acque del bacino ad opera di sostanze nutritive con conseguente crescita anomala delle alghe (esplosione algale);
   l'abnorme apporto di nutrienti algali (fosforo e azoto) provenienti dal bacino imbrifero (prevalentemente scarichi civili), caratterizzato a partire dalla seconda metà degli anni ’50 da un forte incremento demografico e industriale, ha innescato il processo di eutrofizzazione del lago;
   i principali effetti indesiderati che si generano in seguito all'eutrofizzazione, come riportato dall'Università dell'Insubria «FENOMENI DI INQUINAMENTO DELLE ACQUE NATURALI» da pagina 1 a pagina 4 sono: 1. intorbidimento e colorazione delle acque, 2. diminuzione del contenuto di ossigeno disciolto nelle acque, 3. scomparsa progressiva delle specie ittiche più pregiate;
   si ritiene necessaria una migliore taratura degli indici per poter valutare correttamente lo stato ecologico del Lago di Varese in cui la comparsa di alcune specie di fitoplancton sembra falsare il giudizio finale. L'errore di valutazione è parzialmente compensato dall'indice LTLeco (Livello Trofico per lo stato ecologico, introdotto dal decreto ministeriale n. 260 del 2010 (che modifica le norme tecniche del decreto legislativo n. 152 del 2006)) che abbassa lo stato ecologico in terza classe, tuttavia il giudizio finale appare eccessivamente ottimistico (fonte ARPA Lombardia: «Stato delle acque superficiali della provincia di Varese. Anno 2012 RAPPORTO ANNUALE 2012 – DIPARTIMENTO DI VARESE – Settembre, 2013 pag. 74) –:
   di quali elementi disponga il Governo e se intenda incrementare, per il tramite del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, i controlli sugli scarichi nel lago di Varese. (4-05504)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 luglio 2014 sul sito internet www.grnet.it è stato pubblicato un articolo dal titolo «Aeronautica: deficit di democrazia interna nelle FF.AA è pericolo per la società» all'interno del quale veniva pubblicata una delibera del CoCeR Marina Militare;
   con la suddetta delibera della sezione marina si spiega che al comandante della motovedetta CP 2068 Capo di 1a classe Maurizio Comunale dislocata presso la capitaneria di porto di La Maddalena e per fini didattici dipendente dalle scuole sottufficiali, è stata notificata una «contestazione degli addebiti» ai fini dell'avvio di procedimento disciplinare di corpo, a firma del Comandante di Mariscuola La Maddalena C.V. Gabrini;
   tale constatazione è riferita ad una mail inviata, sulla posta elettronica privata di un delegato del Consiglio centrale rappresentanza militare, nella quale si spiegava che a causa di una doppia dipendenza, non era ancora chiaro quale Comando era responsabile delle comunicazioni per il pagamento del FESI dell'equipaggio della motovedetta CP 2068, chiedendo un interessamento informale del CoCeR;
   conseguentemente a tale segnalazione, per le vie brevi i delegati CoCeR rappresentavano la problematica agli uffici competenti, contribuendo fattivamente alla soluzione di una importante questione, agevolando la stessa amministrazione –:
   se il Ministro ritenga il procedimento disciplinare compatibile con lo spirito e la lettera della legge sulla rappresentanza militare in particolare con le disposizioni che tutelano le prerogative di esercizio del mandato e il rapporto dei delegati con la loro base;
   se intenda accogliere a carattere generale le richieste del CoCeR Marina affinché si ricordi ai comandanti di Corpo il ruolo e le prerogative della rappresentanza militare e il diritto dei delegati di esercitare pienamente il mandato conferito tramite elezione, dai militari stessi. (4-05500)


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal signor Fausto Biloslavo nell'edizione de Il Giornale del 10 luglio 2014, la difesa processuale dei due Marò accusati dalla giustizia indiana di avere ucciso due pescatori al largo delle coste del Kerala, sparandogli dei colpi d'arma da fuoco da bordo del mercantile Lexie, sarebbe finora costata all'erario della Repubblica non meno di 5 milioni di dollari, corrispondenti a 3,6 milioni di euro;
   le spese sarebbero state coperte in proporzioni non note dal Ministero della difesa e da quello dell'interno, che avrebbero attinto le risorse necessarie da un non meglio precisato «conto apposito»;
   sempre stando a quanto scrive Biloslavo, la cifra sarebbe servita a pagare i servizi di una nota agenzia legale indiana – la Titus & Co di Nuova Delhi – e soprattutto a reclutare Mukul Rohatgi, un principe del foro indiano appena nominato procuratore generale dal nuovo Governo indiano guidato dal leader nazionalista Narendra Modi;
   parte della cifra sarebbe andata inoltre ad una nota agenzia britannica specializzata nella promozione e gestione degli arbitrati internazionali, lo studio legale Behtlehem;
   nel frattempo, le uniche cose ottenute dal nostro Paese sono state il trasferimento del giudizio dalla Corte del Kerala ad altro foro di nomina politica e la possibilità per i due Marò di soggiornare nella nostra ambasciata a Delhi –:
   se il Governo possa ed intenda confermare quanto affermato dal signor Fausto Biloslavo, precisando la posta di bilancio dalla quale sono stati attinti i fondi per finanziare la difesa legale dei Marò ed elencando le ragioni che hanno portato a scegliere studi legali tanto esosi. (4-05502)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   RUOCCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il nuovo ciclo di programmazione europeo per il settennato 2014-20 prevede un'allocazione di fondi strutturali all'Italia di 41 miliardi di euro, di cui oltre 24 solo alle regioni del Mezzogiorno. Questa cifra va raddoppiata con la quota di co-finanziamento italiano;
   i fondi strutturali destinati all'Italia consistono essenzialmente in due veicoli: il Fondo sociale europeo (FSE), che si occupa prevalentemente di formazione, sussidi al lavoro, inclusione sociale, e il Fondo europeo per lo sviluppo regionale (FESR), che si occupa prevalentemente di sussidi alle imprese e infrastrutture;
   secondo lo studio fatto dai due economisti Roberto Perotti e Filippo Teoldi, pubblicato sul Lavoce.info: «Nel 2012, l'Italia ha versato all'Unione Europea 16 miliardi di euro, e ne ha ricevuti 11 miliardi. Di questi, 3 miliardi riguardano i fondi strutturali che l'Unione europea distribuisce alle regioni meno sviluppate»;
   nello studio si legge inoltre che «nel periodo 2007-2012, un totale di quasi 700.000 progetti sono stati finanziati in Italia con il FSE, per una spesa totale di 13,5 miliardi. La gran parte di questi fondi sono stati usati per finanziare circa 500.000 progetti di formazione di vario tipo, per una spesa totale di 7,4 miliardi»;
   tuttavia, mentre praticamente tutti i progetti di formazione sono attuati da regioni o province, solo il 4 per cento del finanziamento totale proviene dalle regioni (quasi niente dalle province); il resto è finanziato in parti uguali da Stato italiano e Unione europea;
   lo scopo del cofinanziamento europeo è dunque completamente negato: chi cofinanzia le iniziative è lo Stato, ma chi le attua sono le regioni. Esse hanno dunque pochissimi incentivi ad assicurarsi che questi progetti funzionino effettivamente;
   inoltre, la Corte dei conti, a febbraio, ha detto che dal 2003 ad oggi gli «euro-furti» (frodi, imprenditori fasulli, finti progetti, costi gonfiati, incarichi irregolari) hanno raggiunto la cifra record di un miliardo e 200 milioni di euro. Solo nel 2012 ne sono stati scovati 344 milioni. Nel 2013 poi la Guardia di finanza ha recuperato altri 228 di milioni, arrivati come fondi strutturali, non usati per crescita o posti di lavoro, ma come lucro nelle tasche del malaffare –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per superare i limiti e le carenze di gestione correlati al cofinanziamento spesso bloccato nelle maglie della burocrazia pubblica;
   se non si ritenga urgente ridefinire il piano di distribuzione e di utilizzo dei fondi europei al fine di utilizzare questi fondi in progetti efficaci che diano all'Italia più investimenti, crescita, sviluppo e occupazione. (4-05496)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da diverse agenzie di stampa del 10 luglio 2014, pare che nel carcere di Torino sia stato rinvenuto un telefono cellulare, perfettamente funzionante, nella cella di un detenuto rumeno;
   già la scorsa settimana, sempre all'interno del medesimo istituto penitenziario, nel corso di una perquisizione in una cella nella quale erano detenuti, questa volta, due cittadini albanesi, erano stati trovati ben due telefoni cellulari;
   sulla gravissima vicenda era subito intervenuto il Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria, che per voce del suo Segretario Generale, Donato Capece, aveva chiesto all'amministrazione penitenziaria di «schermare» gli istituti penitenziari e di dotare tutti i reparti di appositi rilevatori di telefoni cellulari «per ristabilire serenità lavorativa ed efficienza istituzionale»;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria non ha dato riscontro alle segnalazioni del Sappe in merito ai due gravi episodi sopra riportati né alle proposte dallo stesso sindacato avanzate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative e provvedimenti intenda adottare il Governo per risolvere il problema evidenziato e garantire maggiore sicurezza al servizio penitenziario. (4-05497)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dall'inizio dell'anno sono giunti nel nostro Paese, solo via mare, circa 65.000 clandestini, grazie anche all'operazione Mare Nostrum e alle politiche in materia di immigrazione dell'attuale maggioranza, in primis l'abrogazione del cosiddetto reato di clandestinità, di cui all'articolo 10-bis del decreto legislativo 286 del 1998, che hanno ormai reso l'Italia meta privilegiata dell'immigrazione clandestina per le organizzazioni che lucrano sulla tratta degli esseri umani;
   pare che, secondo fonti del Ministero dell'interno, ci siano sulle coste africane dalle 600.000 agli 800.000 persone in attesa di imbarcarsi per giungere clandestinamente in Italia;
   secondo quanto disposto dalla circolare ministeriale dell'8 gennaio 2014, ad ogni clandestino che presenti una domanda di asilo, indipendentemente dalla sua fondatezza o meno, devono essere assicurati «oltre vitto (rispettoso dei principi e abitudini alimentari) e alloggio, la gestione amministrativa degli ospiti, l'assistenza generica alla persona compresa la mediazione linguistica, l'informazione, primo orientamento ed assistenza alla formalizzazione della richiesta di protezione internazionale, il servizio di pulizia, la fornitura di biancheria e abbigliamento adeguato alla stagione, prodotti per l'igiene, pocket money di euro 2,5 al giorno, una tessera/ricarica telefonica di euro 15 all'ingresso» e assistenza sanitaria;
   dopo le recenti conferme sull'arrivo di altri clandestini richiedenti asilo nella provincia di Udine, alla richiesta di istituire un tavolo con le autorità Centrali per la copertura delle spese che necessariamente la regione e gli enti locali dovranno affrontare per far fronte a questa emergenza, l'assessore regionale alla salute, Sandra Tedesca, ha precisato che «i costi sono già a carico delle prefetture che si occupano di gestire questi flussi. E anche l'impiego, di personale del Servizio sanitario regionale avverrà nell'ambito di accordi che già ci sono e con la copertura di costi a carico dello Stato»;
   l'invio, di ulteriori clandestini, secondo il piano del Ministero dell'interno, ha avuto gravi ripercussioni sia per il sistema di accoglienza, ormai al collasso, sia per motivi di ordine pubblico, come attestano diversi episodi riportati dalla stampa –:
   se trovi conferma che la regione Friuli Venezia Giulia e gli enti locali non devono affrontare alcun tipo di spesa neppure anticipandola per i costi dell'accoglienza e assistenza sanitaria, come dichiarato anche alla stampa dall'assessore Sandra Tedesca, e quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per assicurare che i clandestini non si allontanino dalla zona e dalle strutture in cui vengono ospitati, onde garantire la sicurezza dei cittadini ivi residenti per ovvie ragioni di ordine pubblico. (4-05491)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 9 luglio 2014, in Commissione diritti umani del Senato il Ministro interrogato ha annunciato di voler ridurre gli attuali tempi di permanenza nei centri di identificazione ed espulsione a un limite massimo di 180 giorni, invece dei 18 mesi attuali previsti dalla normativa nazionale in recepimento di quella comunitaria (decreto-legge del 23 giugno 2011, n. 89);
   sempre nella stessa occasione, il Ministro ha inoltre precisato che i centri di identificazione ed espulsione stanno operando ben oltre la loro capacità ricettiva e si punta ad accelerare le procedure per l'esame delle domande di asilo. Saranno incrementate le Commissioni territoriali per l'asilo ed il circuito Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo) salirà a 20 mila posti;
   attualmente sono solo 5 i centri di identificazione ed espulsione operativi (Bari, Caltanissetta, Roma, Torino, Trapani Milo) per circa 500 posti, rispetto ai 12 prima esistenti;
   secondo notizie riportate dalla stampa, nel 2013 sono stati trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione 6.016 clandestini, di cui solo 2.749 sono stati rimpatriati, mentre quest'anno, anche a causa della chiusura di più della metà dei centri per l'identificazione e l'espulsione presenti in Italia, gli ospiti dei centri di identificazione ed espulsione sono stati molto meno, ossia 2.124, dei quali addirittura solamente 1.036 rimpatriati;
   è la stessa normativa comunitaria, in particolare la direttiva 2008/115/Ce, a imporre agli Stati membri al capo IV il trattenimento in appositi centri per l'identificazione del cittadino di un Paese terzo entrato o trattenutosi clandestinamente onde procedere alla sua successiva espulsione;
   la direttiva medesima precisa all'articolo 15, comma 6, che il trattenimento, di norma di 6 mesi, sia prolungato a 18 mesi, nei casi in cui «nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo, l'operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa: a) della mancata collaborazione da parte del cittadino di un paese terzo interessato o b) dei ritardi nell'ottenimento della necessaria documentazione dei paesi terzi»;
   i numeri sopra indicati relativi agli effettivi rimpatri dimostrano che se non è addirittura stato compiuto dal Governo «ogni ragionevole sforzo» nei 18 mesi previsti dall'attuale normativa, in linea con le disposizioni comunitarie, onde procedere all'allontanamento effettivo dei clandestini presenti sul territorio, ancor meno verrà fatto riducendo i termini di permanenza a soli 6 mesi;
   solo dall'inizio di quest'anno e solo via mare sono giunti clandestinamente sul territorio italiano 65.000 persone e, secondo dati ufficiali pubblicati sul sito del Ministero dell'interno, dal 1990 al 2013 delle richieste d'asilo presentate solo circa il 9 per cento ha ottenuto lo status di rifugiato –:
   se il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni e dei numeri sopra riportati, non ritenga più opportuno incrementare il numero degli attuali centri di identificazione ed espulsione, rimettendo in funzione anche quelli che nel 2013 sono stati chiusi a causa dei danni provocati dagli ospiti ivi trattenuti in attesa dell'espulsione;
   per quali motivi non siano stati effettuati i rimpatri di tutti i clandestini presenti nei centri di identificazione ed espulsione nel 2013 e quest'anno, e se, a fronte delle eventuali problematiche evidenziate nell'identificazione o esecuzione dei rimpatri stessi, non ritenga altresì opportuno che permangano gli attuali 18 mesi di trattenimento. (4-05492)


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo del 2014 è stato allestito a Caltagirone (CT) un centro per l'accoglienza di minori non accompagnati presso la «Villa Gravina di Montevago», un edificio storico sito alla periferia sud della città;
   l'edificio, utilizzato negli scorsi anni ad uso ufficio è stato individuato dal commissario prefettizio di Augusta che ha affidato la gestione del centro alla cooperativa «La forza della vita», ente che si occupa prevalentemente di assistenza agli anziani e che gestisce una comunità per minori migranti presso Porto Palo;
   l'amministrazione di Caltagirone, nella persona del sindaco e di numerosi assessori, ha mostrato subito forti dubbi sull'idoneità della struttura e sulle procedure di attivazione del centro;
   l'assessore ai servizi alla persona Chiara Gulizzi ha affermato che «la struttura in questione non sarebbe stata debitamente autorizzata né in possesso dei requisiti richiesti»;
   né l'assessore né il sindaco di Caltagirone erano stati preventivamente informati dell'attivazione della struttura e del trasferimento dei minori migranti;
   la struttura ospita attualmente 105 minori stranieri non accompagnati;
   fonti giornalistiche riportano, a pochi mesi dall'apertura del centro, condizioni di vita totalmente intollerabili: carenze igienico-sanitarie gravissime, pasti scadenti, mancanza di attività di supporto all'integrazione, mancata corresponsione del «pocket money»;
   tali carenze hanno creato tensioni all'interno del centro che sono sfociate in proteste e blocchi stradali da parte degli ospiti, che chiedono di essere trasferiti presso comunità alloggio di più piccole dimensioni in cui siano garantiti i loro diritti –:
   se il Ministro non intenda disporre un'ispezione presso la struttura, al fine di verificare le condizioni di vita all'interno del centro, l'adeguatezza della struttura ad ospitare un centro per minori nonché l'operato della cooperativa di gestione;
   se non intenda conoscere i tempi di trasferimento dei minori attualmente ospiti presso il centro di Caltagirone in strutture in cui essi possano godere delle particolari tutele che l'ordinamento interno ed internazionale offre loro in funzione della loro particolare vulnerabilità;
   se non intenda conoscere il numero di minori ospitati in questi mesi presso il centro di accoglienza sito presso «Villa Gravina di Montevago» e verso quali comunità sono stati effettuati i trasferimenti. (4-05501)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PALMIERI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 agosto 2011 le Commissioni riunite V e VII hanno approvato la risoluzione n. 7-00673, riguardante un piano straordinario di messa in sicurezza degli edifici scolastici, che impegnava il Governo pro tempore ad attenersi, ai fini dell'assegnazione delle risorse di cui all'articolo 2, comma 239, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, alle priorità di cui all'elenco 1 allegato alla risoluzione riportante gli istituti scolastici beneficiari;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto il parere del Consiglio di Stato riguardo all'elenco delle scuole beneficiarie di questi contributi, dato che esso comprende anche scuole non statali. Secondo quanto indicato dal comma 239 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009, infatti, i contributi sono destinati agli enti territoriali cui è riconducibile la proprietà degli edifici scolastici interessati;
   il Presidente del Consiglio e il ministro interrogato hanno più volte annunciato un piano di finanziamenti per la ristrutturazione e la messa in sicurezza delle scuole;
   la legge 10 marzo 2000, n. 62, dice con chiarezza che il sistema pubblico dell'istruzione è composto dalle scuole statali e dalle scuole paritarie, di ogni ordine e grado;
   il Consiglio di Stato interpellato dal Ministro ha sospeso l'emissione del parere in attesa di un pronunciamento della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero per i rapporti con il Parlamento, del Ministero dell'Interno, del Ministero dell'economia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative affinché si proceda all'approvazione di una norma che chiarisca una volta per tutte la controversia. (5-03211)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ, COZZOLINO, DA VILLA, BUSINAROLO, SPESSOTTO e BRUGNEROTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato italiano, in applicazione alla riforma del Titolo V della Costituzione ed in osservanza al principio di sussidiarietà ha riconosciuto in capo al Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico del Club alpino italiano numerose competenze, tanto che il corpo di leggi e provvedimenti di riferimento dello stesso ha subito negli anni una profonda trasformazione, connotandone l'attività in modo sempre più puntuale sul versante del pubblico servizio e su quello della pubblica utilità;
   l'articolo 1, comma 1 della legge del 21 marzo 2001, n. 74 «riconosce il valore di solidarietà sociale e la funzione di servizio di pubblica utilità del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (CNSAS) del Club alpino italiano (CAI); Al comma 2 è poi espressamente previsto che il CNSAS provveda «in particolare, nell'ambito delle competenze attribuite al CAI dalla legge 26 gennaio 1963, n. 91, e successive modificazioni, al soccorso degli infortunati, dei pericolanti e al recupero dei caduti nel territorio montano, nell'ambiente ipogeo e nelle zone impervie del territorio nazionale»;
   l'articolo 5-bis della legge 26 febbraio 2010, n. 26 prevede che il CNSAS contribuisca, «altresì, alla prevenzione ed alla vigilanza degli infortuni nell'esercizio delle attività alpinistiche, sci-alpinistiche, escursionistiche e degli sport di montagna, delle attività speleologiche e di ogni altra attività connessa alla frequentazione a scopo turistico, sportivo, ricreativo e culturale, ivi comprese le attività professionali, svolte in ambiente montano, ipogeo e in ambienti ostili e impervi»;
   la legge del 18 febbraio 1992, n. 162 prevede che i volontari del Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico (CNSAS) e del Club alpino italiano (CAI) hanno diritto ad astenersi dal lavoro nei giorni in cui svolgono le operazioni di soccorso alpino e speleologico o le relative esercitazioni, nonché nel giorno successivo ad operazioni di soccorso che si siano protratte per più di otto ore;
   detti volontari, se lavoratori autonomi, hanno diritto a percepire un'indennità per il mancato reddito, relativo ai giorni in cui si sono astenuti dal lavoro, dietro presentazione di relativa istanza, già assoggettata a ritenuta di acconto del 20 per cento e dal 1994 ad un importo di euro 2,00 a titolo di imposta di bollo. Differentemente, i volontari lavoratori dipendenti beneficiano direttamente del pagamento della retribuzione spettante, senza essere assoggettati ad alcuna forma di imposizione;
   le procedure per beneficiare dell'erogazione di tali indennità sono regolate dal decreto del Ministro del lavoro e della previdenza sociale del 24 marzo 1994, n. 379, mentre l'importo delle indennità, spettanti al volontario, sono determinati annualmente da un decreto ministeriale apposito (da ultimo, per il 2014, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 30 maggio 2014);
   a seguito di richieste di chiarimenti, in merito all'importo dell'imposta di bollo da applicare, da parte di alcuni uffici territoriali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alle istanze presentate dai volontari del Corpo, il Ministero ha proposto, in data 17 febbraio 2014 un interpello n. 954-83/2014 all'Agenzia delle entrate al fine di conoscere, se su dette istanze vada applicata l'imposta di bollo e se si, in quale misura;
   l'Agenzia delle entrate, nella risposta al suddetto interpello, in data 13 giugno 2014, comunicava al Ministero che le predette istanze, sono assimilate, ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 ad «atti soggetti a bollo sin dall'origine o in caso d'uso» nella misura di euro 16,00, specificando che l'imposta di bollo nella misura di 2,00 euro prevista dall'articolo 13, commi 1 e 2, della citata tariffa è riservata a documenti diversi dalle istanze, quali le fatture, note, conti e simili e altri documenti recanti addebitamenti e accreditamenti;
   rispondendo alle direzioni territoriali, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, in data 26 giugno 2014, ha comunicato che ai fini dell'accoglimento di ciascuna istanza, non si dovrà più applicare il bollo di 2,00 euro, bensì quello di 16,00 euro per ogni foglio;
   il CAI e le sue sezioni, ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 91 del 26 gennaio 1963, sono equiparati alle amministrazioni dello Stato, e il decreto del Presidente della Repubblica del 26 ottobre 1972, n. 642 all'articolo 1 prevede che gli atti amministrativi dello Stato non sono soggetti all'imposta di bollo;
   i volontari del CAI e del CNSAS, in quanto appartenenti in modo del tutto organico secondo le previsioni statutarie, ed esercitando funzioni di pubblico servizio (Cass. Pen. N. 6687/97), non dovrebbero pertanto essere soggetti all'imposta di bollo così come previsto dal parere dell'Agenzia delle entrate all'interpello del Ministero –:
   se e quali iniziative normative intendano intraprendere al fine di ripristinare il regime tributario e fiscale, precedente al parere dell'Agenzia delle entrate del 13 giugno 2014, per garantire il principio di uguaglianza, sancito dall'articolo 3 della Costituzione, al fine di eliminare una situazione di disparità tra i volontari lavoratori autonomi e i volontari lavoratori dipendenti;
   se e quali azioni intendano intraprendere al fine di tutelare ed incentivare un servizio fondamentale per il territorio montano e le sue comunità, oltre che per l'utenza turistica, che ha subito già continui tagli nel corso degli ultimi anni, e che è svolto prevalentemente da volontari, ai quali, lo stesso Stato, attribuisce competenze pressoché esclusive nel terzo settore, addirittura con funzioni di coordinamento di altre organizzazioni, enti ed amministrazioni per talune fattispecie operative. (4-05495)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il «Regolamento legno» n. 995 del 2010 è un regolamento dell'Unione europea del 20 ottobre 2010 volto a contrastare il commercio all'interno dell'Unione di legname non legale, proveniente da filiera garantita. Esso vieta la commercializzazione di legno raccolto illegalmente e dei prodotti da esso derivati nell'Unione europea e stabilisce alcuni obblighi degli operatori. Il regolamento si applica in tutti gli Stati membri a partire dal 3 marzo 2013;
   a più un anno dall'entrata in vigore dell'importante sopraccitato regolamento, le associazioni ambientaliste, anche in questi giorni, Greenpeace, Legambiente, Terra ! e WWF stanno reiterando le denunce di mancata applicazione in Italia della normativa europea promossa per fermare il commercio di legno non certificato nei 28 Paesi dell'Unione europea;
   dopo la sua emanazione nel 2010, il Governo avrebbe dovuto garantirne l'applicazione ma secondo quanto si apprende da alcuni articoli di stampa e sul social media l'attività di controllo nazionale sul legno illegale stenta a decollare Fatto ancor più grave se si considera che l'Italia è tra i più importanti mercati al mondo per il commercio del legno. Il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, l'autorità incaricata di vigilare sulla norma, come lamentano le maggiori associazioni ambientaliste del Paese, sembra non aver ancora messo in atto i controlli e le sanzioni da applicare a chi commercia legno tagliato illegalmente o a chi non applica la dovuta diligenza, ovvero chi non controlla la filiera di legno dall'origine;
   lo sfruttamento di legno illegale, oltre a depauperare irreversibilmente estesissime e preziosissime aree di flora ad alto fusto, nasconde sovente lo sfruttamento in condizioni terribili di lavoratori indigeni;
   il 16 maggio 2014, il titolare del Dicastero delle politiche agricole, alimentari e forestali onorevole Martina, si era impegnato da subito a emanare gli adeguati strumenti normativi per garantire la rigorosa applicazione del sopraccitato regolamento legno, ma fino ad oggi l'impegno non ha avuto esito;
   l'interrogante sulla medesima questione ha presentato l'atto di sindacato ispettivo n. 4/04116 senza aver ottenuto risposta, nonostante i ripetuti solleciti –:
   se il Ministro voglia dare seguito al suo impegno pubblico conseguentemente a quanto lamentato dalle maggiori associazioni ambientaliste;
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo per dare piena attuazione ed effettività al sopraddetto regolamento comunitario, in tutti gli Stati membri. (4-05498)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al titolo II Rapporti Etico-Sociali della Costituzione Italiana l'articolo 32 così recita: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Le Nazioni Unite, così come nello statuto dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, collocano il diritto alla salute alla base di tutti gli altri diritti fondamentali che spettano agli individui senza alcuna distinzione di genere, provenienza, religione, razza e censo;
   negli ultimi mesi, come più volte riportato nei capitoli dell'inchiesta dell'autorevole settimanale L'Espresso «Cancro, chi è povero muore», in Italia pare delinearsi lo scenario della possibilità di accesso alle importantissime cure anticancro di ultima generazione solo ai pochissimi cittadini che possono spendere anche migliaia di euro per l'acquisto dei sopraddetti farmaci;
   come chiarisce Daniela Minerva nel suo articolo su L'Espresso dell'11 luglio 2014, l'articolo 12 del decreto n. 158 del 2012 – decreto Balduzzi consente la messa in commercio di costose medicine anticancro non dispensate dal servizio sanitario nazionale, quindi tali farmaci devono essere pagati direttamente dai pazienti. In attesa che l'Agenzia definisca il prezzo che il Servizio sanitario nazionale è disposto a pagare trattandolo con le industrie, le medicine sono registrate e vendute a chi se le può acquistare al prezzo di riferimento europeo. Si introduce così, con profili di incostituzionalità, una nuova fascia di prezzo: la Cnn – fascia C, ovvero a carico del cittadino, non negoziata;
   conseguentemente le cure più costose e più nuove escono pian piano dal prontuario farmaceutico, nel silenzio generale, per essere destinate solo a chi ha i soldi o una buona assicurazione che, a onor del vero raramente, gliele fornisce. Il fatto è che si profila una nuova generazione di medicine oncologiche e non solo, che costano moltissimo (spendiamo infatti ogni anno in farmaci anti-cancro oltre un miliardo e mezzo di euro) e al tempo stesso si apre un grande dilemma bioetico: tali trattamenti farmacologici spesso funzionano ma è difficilissimo stabilire in che misura saranno capaci di arrestare l'avanzata di quello specifico cancro che affligge quello specifico paziente e spesso lo fanno solo per pochi mesi, se non poche settimane. Così a fare da sfondo alla vergogna di quanto è accaduto in Italia c’è un dilemma sul prezzo della vita. Il dubbio è perciò, come si evince dall'inchiesta de L'Espresso, contemporaneamente tecnico-scientifico ed etico che l'Agenzia italiana del farmaco non ha, nonostante il congruo tempo passato, ancora sciolto;
   l'Agenzia italiana del farmaco (AIFA) è infatti l'autorità nazionale competente per l'attività regolatoria dei farmaci in Italia. È un Ente pubblico che opera in autonomia, trasparenza e economicità, sotto la direzione del Ministero della salute e la vigilanza del Ministero della salute e del Ministro dell'economia e delle finanze. Collabora con le regioni, l'Istituto superiore di sanità, gli Istituti di ricovero e cura a  carattere scientifico, le associazioni dei pazienti, i medici e le società scientifiche, il mondo produttivo e distributivo. Le Priorità strategiche dell'AIFA sono:
    a) contribuire alla tutela della salute attraverso i farmaci;
    b) garantire l'equilibrio economico di sistema: rispetto del tetto di spesa programmato;
    c) garantire l'unitarietà sul territorio del sistema farmaceutico;
    d) promuovere la ricerca indipendente e gli investimenti ricerca-sviluppo nel settore farmaceutico;
    e) assumere un ruolo di prestigio in ambito nazionale e internazionale;
   comparando quanto fino ad oggi compiuto sulla questione da altri Paesi in materia di farmaci innovativi appare utile spostare l'asse del dibattito su quali siano i farmaci che vanno veramente registrati. Suggerendo, come promosso ad esempio dall’American Society of Clinical Oncology che alcuni, forse molti, sono così marginali da poter essere lasciati fuori dal prontuario. Perché nel moltiplicarsi incessante dei cosiddetti proiettili biologici, le prove cliniche indicano che quelli davvero capaci di cambiare la sorte dei malati non sono tanti. E che, invece, si registrano molte molecole purtroppo marginali, che assicurano solo qualche settimana di vita in più a volte al prezzo di effetti collaterali pesantissimi;
   per un'analisi completa della questione innovazione nel trattamento farmaceutico e equilibrio delle finanze pubbliche non va poi dimenticato, oltre alla revisione dei farmaci nel Prontuario il cui brevetto è in scadenza, il necessario sostegno alla diffusione dei farmaci bio-equivalenti che permettono pari capacità di cura a fronte di un cospicuo risparmio sanitario. Così come confermato da Silvio Garattini, illustre farmacologo italiano: «Quando hanno l'autorizzazione a entrare in commercio, i biosimilari hanno superato tutti i controlli necessari. Sono stati verificati, e non presentano per il paziente problemi nel loro utilizzo»;
   anche in passato la Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia denunciò gli «aspetti preoccupanti e discriminatori» che si annidano nell'articolo 12 comma 5 del decreto legislativo n. 158 del 2012, decreto Balduzzi e a loro fa eco il Collegio italiano primari oncologi medici ospedalieri che su questo tema scrissero una lettera aperta al Ministro della salute Beatrice Lorenzin. Le associazioni fanno altresì notare che, a dispetto di quanto previsto dal decreto stesso circa la necessità di rendere disponibili su tutto il territorio nazionale i farmaci innovativi registrati da AIFA, nelle more della contrattazione tra l'Agenzia italiana del farmaco e le case produttrici sul prezzo a carico del Servizio nazionale sanitario, il farmaco salvavita venga messo in commercio a totale carico del paziente. In caso di malattie gravi come il cancro, documenta l'associazione, il costo della terapia per una famiglia può anche superare le 5-6 mila euro a somministrazione, divenendo insostenibile;
   nell'anno 2000 secondo la classifica dei migliori sistemi sanitari del mondo predisposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel suo rapporto annuale «Health Systems: Improving Performance» poneva al primo posto al mondo la Francia e subito dopo l'Italia. Secondo i dati confermati anche da Bloomberg nel 2013 il nostro Paese è al sesto posto. Secondo quanto recentemente pubblicato dal Sole 24 Ore la spesa sanitaria per il 2013 è stata di 109,254 miliardi, in riduzione dello 0,3 per cento rispetto al 2012, con un rallentamento della dinamica degli ultimi anni, e, per il terzo anno consecutivo, un tasso di crescita negativo rispetto all'anno precedente. Per il 2014 la previsione è di una spesa di 111,474 miliardi, con una variazione rispetto al 2013 del 2 per cento, mentre nel periodo 2015-2018 la spesa sanitaria, rispetto al 2014, crescerà a un tasso medio annuo del 2,1 per cento. Nello stesso periodo il Pil nominale cresce in media del 3 per cento e, quindi, il rapporto tra la spesa sanitaria e Pil si attesta, alla fine del periodo sul 6,8 per cento;
   nell'agosto 2013 nel cosiddetto decreto «del fare» fu stabilito che l'AIFA dovesse esaminare i dossier e decidere, entro massimo cento giorni dalla richiesta dell'industria, se un farmaco oncologico deve o non deve essere registrato in Italia e dispensato gratuitamente ai malati. Ad oggi secondo quanto si è apprende da L'Espresso questa prescrizione normativa non è stata adottata dall'AIFA e le aziende farmaceutiche commercializzano i loro nuovi farmaci anti-cancro liberamente ed al di fuori del Servizio sanitario nazionale;
   se il Ministro interrogato voglia chiarire con la massima urgenza lo stato di accesso alle migliori cure farmaceutiche per i malati che ricorrono al Servizio sanitario nazionale e quanti e quali farmaci «innovativi» siano stati venduti in fascia «CCN» in Italia ed in quali canali di vendita. Se il Ministro della salute, per quanto di competenza, non voglia sollecitare l'AIFA ad ottemperare alla citata norma dei «cento giorni» e inoltre ad adottare un protocollo di selezione univoco per la messa a disposizione, ad intero carico del Servizio sanitario nazionale ed uniformemente in tutto il Paese, dei farmaci anticancro di ultima generazione. (4-05499)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE e PASTORINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il commissario straordinario del gruppo ILVA, dottor Gnudi ha comunicato alle organizzazioni sindacali in sede dell'incontro tenutosi in data 2 luglio 2014, l'intenzione di posticipare ai lavoratori dello stabilimento di Genova Cornigliano il pagamento del premio di produzione, premio di produzione che rappresenta per i lavoratori del gruppo una sorta di quattordicesima mensilità contenendo essa anche i ratei dei premi precedentemente erogati trimestralmente e da alcuni anni pagati annualmente insieme al premio di produzione con lo stipendio di giugno, intenzione poi rientrata dopo uno sciopero e un corteo promosso dai lavoratori;
   permane tra i lavoratori una sensazione di estrema incertezza creatasi con la nomina dello stesso dottor Gnudi in sostituzione del precedente commissario dottor Bondi, che aveva presentato un piano industriale dalle cui linee guida emergeva la prospettiva di uno sviluppo della società che garantiva investimenti economici rilevanti, ambientalizzazione dello stabilimento di Taranto e mantenimento dei livelli occupazionali; per quanto riguarda lo stabilimento di Genova Cornigliano, nello stesso piano, oltre al completamento degli investimenti sulle zincature esistenti, si apriva la prospettiva di un forte investimento sul ciclo della latta coerente con la situazione di mercato della latta stessa che in Italia vale circa 800 mila tonnellate, costituendo il più grande mercato nell'Unione europea; si consegnava quindi allo stabilimento genovese una vera missione che senza quell'investimento e prospettiva industriale invece non si intravede; su molti quotidiani in queste settimane viene avanzata l'ipotesi di un ingresso nella società, ILVA, in qualità di azionista di ArcelorMittal che possiede in Europa già una trentina di impianti di zincatura, ed in particolare in Francia ed in Spagna di impianti che producono latta;
   già oggi l'attuale fase di sovracapacità produttiva di acciaio grezzo ha portato proprio ArcelorMittal a fermare definitivamente diversi altiforni in Europa; insieme ad ArcelorMittal si prefigurerebbe un ingresso nel gruppo ILVA anche di Arvedi e Marcegaglia, il primo diretto concorrente di ILVA ed il secondo cliente ma anche concorrente per quanto riguarda importanti prodotti quali lo zincato ed i tubi, con il forte rischio che quanto sopra riportato potrebbe determinare nel medio periodo non lo sviluppo di ILVA ma un suo possibile ridimensionamento; da ciò potrebbe derivate un conseguente impatto sul livello dei prezzi dell'acciaio in Italia e una ulteriore perdita di competitività della manifattura oggi rifornita da ILVA, oltreché un ulteriore ridimensionamento dei livelli occupazionali a Taranto, Novi Ligure e Cornigliano –:
   quali siano le prospettive industriali del gruppo ILVA, successivamente alla sostituzione del commissario dottor Bondi, con il dottor Gnudi, se il piano industriale presentato precedentemente sia confermato, se l'investimento sul ciclo latta previsto per lo stabilimento della latta rientri ancora nei piani aziendali;
   quali iniziative il Governo ritenga possibile mettere in campo per assicurare le garanzie necessarie alla concessione del «prestito ponte» indispensabili per garantire l'operatività del gruppo Ilva nei prossimi mesi. (5-03210)


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'incontro che si è svolto nella giornata del 9 luglio 2014 tra Eni e organizzazioni sindacali si sono rotte le trattative per quanto concerne il nuovo piano industriale in particolar mondo nell'ambito del settore della raffinazione;
   l'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi ha evidenziato gravi perdite nel settore a causa di un surplus europeo di raffinato garantendo una prospettiva produttiva solo al sito di Sannazzaro provincia di Pavia e di Milazzo per la quota che riguarda il gruppo;
   a rischio sono le raffinerie di gela, Taranto, Livorno e Porto Marghera oltre al sito petrolchimico di Priolo;
   a Porto Marghera sono operative due raffinerie, Versailes e Raffinazione ed occupano complessivamente 600 unità lavorative;
   solo pochi mesi fa l'ex amministratore delegato Scaroni aveva assicurato la continuità produttiva di Marghera attraverso un piano di riconversione, con 100 milioni di euro di investimenti, per produrre olio vegetale da miscelare con il diesel in grado di salvare i due terzi dei posti di lavoro in essere;
   per la controllata Versailes ex Polimeri Europa era invece in essere il progetto del cracking della virginafta oltre alla previsione di realizzare un impianto di chimica verde finalizzato a produrre biolubrificanti mediante brevetto di una multinazionale americana;
   a seguito di queste notizie i lavoratori degli impianti di Porto Marghera hanno già incrociato le braccia per due giorni il 7 e 8 luglio 2014 bloccando la pipe line e le navi cisterna che forniscono gli impianti industriali emiliani minacciando ulteriori proteste;
   un cambio così repentino di strategie industriali a distanza di pochi mesi rischia di pregiudicare quegli importanti segnali di rilancio dell'area di Porto Marghera ponendo a rischio centinaia di posti di lavoro diretti nonché dell'indotto –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere per scongiurare la chiusura dei due impianti di Porto Marghera, Versailes e Raffinazione, assicurando invece il prosieguo degli investimenti che erano stati annunciati solo pochi mesi fa e che assicuravano un futuro produttivo agli impianti di raffinazione anche attraverso politiche di riconversione e investimenti nella chimica verde. (5-03212)

Interrogazione a risposta scritta:


   MATARRELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'UNCI – Unione nazionale cooperative italiane è un'associazione di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo, nonché di revisione, su delega del Ministero dello sviluppo economico, giuridicamente riconosciuta con decreto ministeriale 18 luglio 1975, iscritta al n. 299 del 1981 del registro delle personalità giuridiche presso la prefettura di Roma e sottoposta, ai sensi del decreto legislativo n. 220 del 2002 e dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 28 novembre 2008, n. 197, alla vigilanza e al controllo del Ministero dello sviluppo economico;
   l'Unione è articolata in federazioni regionali e provinciali e nel biennio ispettivo 2009-2010 ha sottoposto a revisione 49.992 cooperative, per un valore complessivo di produzione pari a 2.428.007.280,42 di euro e un numero di soci pari a 195.597;
   di diretta emanazione dell'UNCI sono le associazioni nazionali di settore: UNCI PESCA, che si avvale di finanziamenti stanziati nell'ambito di programmi comunitari nazionali e regionali di sviluppo del settore della pesca e dell'acquacoltura, ex ASCAT, che raggruppa le cooperative agricole e di trasformazione agroindustriale; ANCOS che aggrega i consorzi e le cooperative sociali aderenti a UNCI, e altro organismo importantissimo è la PROMOCOOP, società partecipata al 98 per cento da UNCI e il cui consiglio di amministrazione era presieduto dal presidente d'onore di UNCI, ha esperito numerose azioni legali congiuntamente alla presidenza d'onore dell'unione ad altri soggetti ed enti associati all'unione;
   a giudizio dell'interrogante, su questa vicenda giurisdizionale, gli organi dell'Unione ebbero modo di scontrarsi, poiché, da un lato, lo statuto del 2000 riduceva le prerogative del Presidente d'onore, già oggetto di inequivocabile perplessità da parte del Ministero dello sviluppo economico, con la nota protocollo numero 0039146 del 28 aprile 2010, in quanto non meramente onorifiche;
   la situazione sopra descritta, ha comportato una vera e propria frattura nella base associativa dell'UNCI, con la formazione, di due gruppi di federazioni territoriali, antagonisti e contrapposti ed inevitabili, pesanti ripercussioni all'interno e all'esterno dell'organizzazione;
   tale vicenda, che a tutt'oggi è oggetto di una controversa vertenza giudiziaria che per stabilire la legittimità di un unico rappresentante UNCI nazionale e ha visto in passato chiamare in causa il Ministero sviluppo economico (MISE) a seguito di interrogazione parlamentare a risposta scritta 4/15368 in data 19 marzo 2012 nella seduta di annuncio 606 a firma dell'onorevole Daniele Toto nella quale si denunciavano comportamenti poco chiari da parte del gruppo dirigente Promocoop, Ente di stretto controllo UNCI, con conseguente accertamento dello stesso Ministero dello sviluppo economico sull'operato dei vertici;
   il controllo degli ispettori del Ministero dello sviluppo economico evidenziò un utilizzo improprio di fondi pubblici impegnati in attività completamente diverse a cui erano destinati, che di fatto aveva penalizzato la promozione di attività cooperative UNCI stabilendo, di conseguenza, la inadeguatezza dell'intero consiglio di amministrazione di Promocoop e collegio sindacale, imponendone il ricambio immediato;
   allo stato attuale malgrado le prescrizioni del Ministero dello sviluppo economico, di fatto è stato, ad avviso dell'interrogante, disatteso quanto indicato dal Ministero stesso, essendo stato designato quale presidente Pasquale Amico, ex vicepresidente, ed essendo stato riconfermato il signor Michele Marinelli, già condannato per bancarotta fraudolenta nei confronti dello Stato;
   con riferimento al citato rinnovo degli organismi sociali peraltro risulta, da comunicazioni intercorse, che il socio di minoranza di Promocoop non sarebbe stato convocato in Assemblea secondo quanto stabilito dallo Statuto e, anzi, non avrebbe ricevuto alcuna comunicazione formale;
   ciò ha prodotto l'impossibilità per lo stesso di esprimersi in merito al citato rinnovo degli organismi sociali;
   tali anomalie non sarebbero state rilevate da parte della Camera di commercio –:
   quali azioni siano state poste in essere dal Ministro interrogato in merito all'accertato uso improprio dei fondi pubblici ricordato in premessa anche considerata la sostanziale continuità del gruppo dirigente di Promocoop;
   se non ritenga necessario ripristinare i requisiti indicati dal Ministero dello sviluppo economico per una corretta trasparente gestione della Promocoop al fine di impiegare i fondi pubblici a favore delle cooperative associate all'UNCI. (4-05505)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Zaccagnini n. 2-00626, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 luglio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Kronbichler, Paglia.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Binetti n. 1-00309, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 150 del 13 gennaio 2014.

   La Camera,
   premesso che:
    l'infanzia oggi è considerata portatrice di diritti. Si tratta di una conquista maturata lentamente nella storia. Ma storicamente si sa che a molti bambini questo diritto non è stato, né è oggi, assicurato, per varie ragioni, individuali, economiche, politiche e sociali. Si tratta di una grande questione che coinvolge tutti gli aspetti della vita di una società, nel passato come nel presente. Una società internazionale e globalizzata, soprattutto quando si parla di adozione internazionale;
    l'adozione internazionale è l'adozione di un minore di cittadinanza non italiana, dichiarato adottabile dalle autorità del suo Paese. L'adozione viene perciò fatta in quel Paese, davanti alle autorità e secondo le leggi nazionali ed internazionali ivi vigenti. In Italia il tribunale per i minorenni rilascia un decreto specifico di idoneità a questo tipo di adozione. Perché questa adozione sia efficace in Italia è necessario seguire procedure particolari, stabilite dalle leggi italiane ed internazionali. Altrimenti l'adozione straniera non è valida e il minore non può entrare nel nostro Paese. Per di più, in certi casi, l'inosservanza delle leggi sull'adozione costituisce reato;
    lo strumento principale su cui si basano le procedure per l'adozione internazionale è rappresentato dalla Convenzione dell'Aja per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale del 29 maggio 1993, che prende in esame la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale. L'Italia ha aderito a questa convenzione ratificandola con la legge n. 476 del 1998, che modifica la legge n. 184 del 1983. Rappresenta una garanzia sia per tutelare i diritti dei bambini e di chi desidera adottarli, sia per sconfiggere qualsiasi traffico di minori che possa instaurarsi surrettiziamente attraverso il meccanismo delle adozioni. In Italia la Commissione per le adozioni internazionali (Cai) è l'autorità da cui dipende l'applicazione della Convenzione dell'Aja;
    a titolo di esempio, sono oltre 5000 i minori abbandonati ogni anno nei Paesi dell'Europa dell'est, dove, nonostante i notevoli cambiamenti sociali ed economici e le riforme che stanno attraversando la regione del CEE/CIS (Central, Eastern Europe/Commonwealth of Independent States), la maggior parte dei Paesi fa ancora affidamento sull'istituzionalizzazione, ignorando l'evidenza che gli orfanotrofi sono esattamente il contrario di ciò che è nell'interesse dei minori, lasciando loro, per tutta la vita, profonde cicatrici fisiche e cognitive;
    l’iter da seguire per un'adozione internazionale è strutturato in modo molto chiaro e le sue norme non possono essere in alcun modo eluse; la procedura è complessa, in alcuni casi appare perfino inutilmente complicata, ma lo è ad esclusiva garanzia dei minori da adottare. Le coppie che desiderano adottare un bambino, infatti, debbono ottenere previamente un decreto di idoneità e quindi devono conferire l'incarico a curare la procedura di adozione agli enti autorizzati, che svolgono tutte le pratiche necessarie nel Paese di origine del minore. Agli enti sono assegnate le funzioni relative alla procedura di una pratica di adozione internazionale, sia in Italia che all'estero: dalle prime informazioni rivolte alla coppia, agli adempimenti richiesti nel Paese di origine del minore. Solo gli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali sono legittimati ad occuparsi delle pratiche in materia di adozione internazionale, sulla base di precisi requisiti. Una volta ricevuta dall'autorità straniera la proposta di incontro con il minore da adottare, l'ente autorizzato ne informa gli aspiranti genitori adottivi e li assiste per tutte le visite necessarie;
    se gli incontri della coppia con il minore si concludono positivamente, viene emanato da parte della competente autorità giudiziaria straniera il provvedimento di adozione. L'ente autorizzato trasmette successivamente tutti gli atti relativi all'adozione alla Commissione per le adozioni internazionali, che ne verifica la correttezza formale e sostanziale. In caso di esito positivo dei controlli, la Commissione per le adozioni internazionali rilascia la «autorizzazione nominativa all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore adottato»;
    in questo contesto il compito della rete diplomatico-consolare italiana è quello di collaborare, per quanto di competenza, con l'ente autorizzato per il buon esito della procedura di adozione (articolo 32, comma 4, della legge n. 184 del 1983 come modificata dalla legge n. 476 del 1998). Tale attività può riguardare la legalizzazione e il controllo della documentazione, nonché l'assistenza, laddove necessario, anche attraverso l'agevolazione dei contatti con le autorità locali, in particolare in quei Paesi che non hanno ratificato la Convenzione dell'Aja. Per potere entrare in Italia, il minore adottato deve essere munito di un visto d'ingresso per adozione che viene apposto sul passaporto estero rilasciato dal Paese d'origine. Ai fini della concessione del visto da parte della rete diplomatico-consolare, è necessario che sia pervenuta l'autorizzazione all'ingresso e alla permanenza in Italia del minore della Commissione per le adozioni internazionali. La pratica di visto viene evasa nel minor tempo possibile, per venire incontro alle esigenze della coppia. L'effettivo rilascio del visto è tuttavia subordinato ai tempi tecnici di trattazione. Ai sensi dell'articolo 33 della legge n. 184 del 1983, come modificata dalla legge n. 476 del 1998, è fatto divieto alle autorità consolari di concedere a minori stranieri il visto d'ingresso nel territorio dello Stato a scopo di adozione al di fuori delle ipotesi previste dalla legge stessa e senza la previa autorizzazione della Commissione per le adozioni internazionali. Una volta che il minore è entrato in Italia, la questura competente rilascia in suo favore un permesso di soggiorno per adozione. La procedura di adozione si conclude con l'ordine da parte del tribunale per i minorenni di trascrizione del provvedimento di adozione nei registri di stato celibe. Con la trascrizione il minore diviene cittadino italiano (articolo 34, comma 3, della legge n. 184 del 1983). L'adozione pronunciata dall'autorità competente di un Paese straniero a istanza di cittadini italiani, che dimostrino al momento della pronuncia di aver soggiornato continuativamente nello stesso e di avervi avuto la residenza da almeno due anni, viene riconosciuta ad ogni effetto in Italia dal tribunale per i minorenni, purché conforme ai principi della Convenzione dell'Aja (articolo 36 della legge n. 184 del 1983). Il tribunale per i minorenni competente è quello del luogo di ultima residenza della coppia o, nel caso in cui non sia possibile stabilire quale sia stata l'ultima residenza, quello di Roma. Queste disposizioni possono sembrare eccessive, ma sono necessarie per garantire ai bambini abbandonati ed ai loro futuri genitori adottivi un'adozione legalmente corretta e rispettosa dei diritti di tutti i protagonisti;
    avere un figlio adottivo è aprire nella propria famiglia uno spazio non solo fisico, ma soprattutto mentale per l'accoglienza di un bambino o di una bambina, generato da altri, con una sua storia, che desidera continuare con i nuovi genitori, con cui formerà una vera famiglia, come una «sua» seconda possibilità di vita. Solo così, partendo dal desiderio di avere un figlio, e costruendovi sopra un percorso personale e di coppia che sia di vera accoglienza, si può iniziare correttamente la strada dell'adozione. Nel caso dell'adozione di un bambino straniero questo percorso è più articolato ma per molti versi anche più ricco. L'adozione internazionale permette di accogliere a far parte integrante della propria famiglia bambini di altri Paesi, con cultura, lingua, tradizioni diverse. Per questo, per tutelarne i diritti, la normativa si fa più complessa, ma offre in cambio la sicurezza sullo stato di abbandono del bambino, una più approfondita preparazione ed un migliore sostegno alle coppie che hanno deciso di intraprendere questo percorso. L'adozione internazionale ha conosciuto in questi anni un fortissimo sviluppo. Nel 1982 le adozioni di bambini stranieri pronunciate dai tribunali per i minorenni italiani erano in tutto meno di trecento. Nello stesso periodo venivano registrate più di mille adozioni nazionali. Nel 1991 sono entrati in Italia a scopo di adozione più di duemila settecento minori stranieri, mentre i bambini italiani dichiarati adottabili erano meno di mille;
    la tendenza all'aumento nelle adozioni internazionali è stata costante e ha visto nel 1999 l'ingresso in Italia di tremila bambini stranieri adottati, mentre le domande di idoneità all'adozione internazionale sono state più di settemila. Uno sviluppo così rapido del fenomeno non è riscontrabile solo nel nostro Paese, ma lo si osserva in tutti i Paesi economicamente sviluppati, in cui il miglioramento delle condizioni socio-economiche ha avuto come conseguenza la riduzione del numero dei bambini abbandonati, mentre il calo delle nascite ha fatto aumentare le richieste di adozione, che si sono indirizzate così verso l'unica strada possibile, quella internazionale;
    le adozioni internazionali sono possibili solo quando un minore sia stato dichiarato in stato di abbandono e quindi è adottabile dalle competenti autorità di un Paese estero. La procedura di adozione avviene, come è naturale, almeno in parte davanti alle autorità del Paese stesso ed è regolamentata dalla legge 4 maggio 1983, n. 184, modificata dalla legge 31 dicembre 1998, n. 476, con cui si ratifica la Convenzione dell'Aja. Tra le normative di riferimento bisogna considerare sempre anche quelle del Paese di provenienza del bambino e le eventuali convenzioni specifiche in materia tra i due Paesi. La procedura dell'adozione internazionale è complessa. I requisiti per l'adozione internazionale sono gli stessi previsti per l'adozione nazionale, articolo 6 della legge n. 184 del 1983, modificata dalla legge n. 149 del 2001. L'adozione internazionale inizia con un'indagine sulle famiglie che fanno specifica richiesta di adozione internazionale, per valutarne le potenzialità genitoriali, raccogliendo informazioni sulla loro storia personale, familiare e sociale. La coppia in possesso del decreto di idoneità deve rivolgersi ad uno degli enti autorizzati dalla Commissione per le adozioni internazionali, che svolge le pratiche necessarie per tutta la complessa procedura. La Commissione per le adozioni internazionali autorizza l'ingresso del bambino adottato in Italia e la sua permanenza, dopo aver certificato che l'adozione sia conforme alle disposizioni della Convenzione dell'Aja;
    in questi ultimi anni si è andato diffondendo sempre più, a livello nazionale e a livello internazionale, la ferma convinzione che i diritti dei minori ad avere una famiglia sia assolutamente prioritaria rispetto a qualsiasi altra logica, e per il minore il diritto a conservare la propria famiglia non può essere messo in discussioni dalle condizioni di povertà e di disagio, su cui invece lo Stato o le regioni sono chiamati ad intervenire concretamente. La legge 28 marzo 2001, n. 149, ha introdotto, infatti, alcune modifiche alla disciplina dell'adozione, tra cui vale la pena ricordare l'articolo che sottolinea il diritto del minore ad avere una famiglia, mentre evidenzia che «Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia». Per questo, continua l'articolo 1, lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie competenze, sostengono, con idonei interventi, nel rispetto della loro autonomia e nei limiti delle risorse finanziarie disponibili, i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l'abbandono e di consentire al minore di essere educato nell'ambito della propria famiglia. Un'analoga sensibilità, pur con i naturali distinguo, si sta estendendo anche nel campo delle adozioni internazionali, in cui i rispettivi Stati sono attualmente più prudenti, quando non decisamente ostili a concedere i permessi di adozione. Fondamentale in questi casi è il ruolo svolto dalla Commissione per le adozioni internazionali che collabora con le autorità centrali per le adozioni internazionali degli altri Stati e propone la stipulazione di accordi bilaterali in materia di adozione internazionale; autorizza l'attività degli enti che debbono assistere le famiglie; promuove la cooperazione fra i soggetti che operano nel campo dell'adozione internazionale e della protezione dei minori; promuove iniziative di formazione per quanti operano o intendano operare nel campo dell'adozione; autorizza l'ingresso e il soggiorno permanente del minore straniero adottato o affidato a scopo di adozione; certifica la conformità dell'adozione alle disposizioni della Convenzione, come previsto dalla Convenzione stessa. A causa del numero esiguo di minori adottabili in Italia rispetto alle domande di adozione, l'adozione internazionale è in costante aumento. Le autorizzazioni concesse all'ingresso di minori stranieri, corrispondente alla fase conclusiva dell'adozione internazionale, sono passate dalle 1.797 del 2001, alle oltre 4000 del 2012;
    i genitori che decidono di adottare un bambino sanno che le spese sostenute, spesso molto elevate, potranno essere «dedotte» per un 50 per cento; sanno anche di poter godere dei necessari congedi nel periodo in cui si svolge la pratica di adozione nei Paesi stranieri e anche questo va certificato dall'ente che li assiste (articolo 31, comma 3 della n. 476 del 1998). Fra le spese certificabili o documentabili sono comprese quelle riferite all'assistenza che i bambini hanno ricevuto, alla legalizzazione dei documenti, alla traduzione degli stessi, alla richiesta di visti, ai trasferimenti, al soggiorno, all'eventuale quota associativa nel caso in cui la procedura sia stata curata da enti, ad altre spese documentate finalizzate all'adozione del minore. Molte spese però possono superare l'effettiva disponibilità dei genitori per cui la normativa prevede che possano chiedere un anticipo sul trattamento di fine rapporto: «questo può essere anticipato per compensare le spese sostenute durante i congedi parentali per astensione facoltativa; il TFR viene considerato, in questo caso, un aiuto economico per gli stipendi non percepiti durante il congedo o per le spese sostenute in quel periodo»;
    la crisi delle adozioni internazionali, testimoniata dai dati statistici disponibili, richiede una revisione della materia, proprio a partire dalla ratifica italiana alla Convenzione dell'Aja, per una maggiore e migliore cooperazione sia in materia di responsabilità genitoriale che di misure di protezione dei minori. Sono le priorità indicate dall'Associazione amici dei bambini per arginare una situazione preoccupante. I numeri parlano di 6.237 decreti di idoneità ottenuti dalle coppie nel 2006, scesi a 4.509 nel 2009 e a 4.000 nel 2012. Le cause di tale calo sono la burocrazia, gli alti costi degli iter, la complessità dell'orientamento all'adozione affidato agli enti. Per uscire dalla crisi l'Associazione amici dei bambini si fa forte non solo delle 14.000 firme a sostegno del manifesto Oltre la crisi. Più famiglie e più adozioni. Verso una nuova legge delle adozioni internazionali, inviate ai presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; il 5 giugno 2013 il Ministro della giustizia pro tempore, Annamaria Cancellieri, ha affrontato il tema in Commissione giustizia della Camera dei deputati, proponendo la costituzione di una commissione interministeriale ad hoc, composta dal suo stesso dicastero e da quelli degli affari esteri, dell'integrazione e delle pari opportunità, per dare impulso alla riforma delle adozioni internazionali. La commissione di studio deve elaborare proposte normative per «dare nuovo impulso» alle adozioni e ne fanno parte: Griffini (Associazione amici dei bambini), Caserta (Azione per famiglie nuove) e Tesauro (Save the Children Italia), membri scelti fra le varie associazioni;
    secondo il presidente dell'Associazione amici dei bambini, Marco Griffini, la revisione della norma attuale è indispensabile per dare speranza alle 14 mila famiglie che hanno firmato il manifesto e che costituiscono la punta dell'iceberg di un esercito di famiglie che potrebbe fare dell'adozione la scelta di vita, ma la cui speranza viene distrutta dalla burocrazia. È assurdo e mortificante che per adottare un bambino si debbano aspettare 3 o 4 anni, con spese enormi;
    sono passaggi chiave: il passaggio dalla selezione all'accompagnamento delle coppie prima, durante e dopo l'adozione; lo snellimento dell’iter, l'abbattimento dei costi; la razionalizzazione della spesa pubblica; l'adozione inserita nella politica estera del Paese; una serie di modalità innovative di accoglienza;
    sarebbe opportuna la totale gratuità di queste adozioni (come proposto dall'Associazione amici dei bambini): «È una richiesta di giustizia ed equità: ad oggi, l'adozione internazionale è l'unico diritto del minore per il quale occorre trovare non solo una famiglia disposta all'accoglienza, ma anche una famiglia che paghi», è una possibilità in più per i minori abbandonati in attesa di famiglia;
    un aspetto delicato delle adozioni internazionali è anche quello rappresentato dalla religione del bambino, che investe la kafala, l'istituto di tutela e di protezione del minore islamico, riconosciuto dalla Convenzione Onu del 1989 ma non disciplinato in Italia. Si può far conoscere la possibilità di adozione dei bambini che provengono dal mondo islamico in una chiave diversa, per offrire la possibilità anche alle famiglie di origine straniera arabo-musulmane radicate in Italia di diventare anch'esse protagoniste di questo percorso di adozione attraverso la kafala,

impegna il Governo:

   ad avviare un percorso di snellimento per quanto riguarda la burocrazia, anche attraverso una revisione dell'attuale normativa;
   a valutare in concreto la possibile eliminazione delle idoneità del tribunale per i minori e la semplificazione dell’iter di selezione delle coppie, fino ad oggi ad esclusivo carico dei servizi pubblici, a vantaggio di una procedura più razionale di accompagnamento e formazione pre e post adozione delle coppie stesse, che preveda la collaborazione fra i servizi pubblici e quelli privati degli enti autorizzati;
   ad esercitare un controllo sui costi complessivi sostenuti dalle famiglie che vogliono adottare un bambino con le procedure internazionali, per valutare come venire incontro ad eventuali necessità non previste;
   a valutare la proposta dell'Associazione amici dei bambini di rendere l'adozione internazionale totalmente gratuita;
   a chiedere ed ottenere maggiori garanzie per le adozioni e per i bambini, per non trovarsi davanti a Paesi che possono cambiare le loro decisioni in corso d'opera.
(1-00309) «Binetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Villarosa n. 4-05310, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 253 del 26 giugno 2014.

   VILLAROSA, D'UVA, CANCELLERI, ALBERTI, PETRAROLI, BARBANTI, SEGONI, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Comet BIO srl ha partecipato ad un bando del Ministero dello sviluppo economico 13 dicembre 2011, per la realizzazione di progetti innovativi finalizzati alla produzione di energia elettrica o di calore attraverso il riutilizzo e la valorizzazione delle biomasse;
   in particolare alla lettera d) dell'articolo 7 di tale bando si può leggere inequivocabilmente che gli impianti di cogenerazione e trigenerazione devono prevedere a regime una potenza superiore ad 1MWe ed inferiore a 4MWe. A tale bando la Comet BIO srl arriva sesta con un punteggio di 72 punti;
   nel comune di Furnari (ME), in contrada Marraffino, il Gruppo Comet BIO srl avrebbe intenzione di costruire un impianto di cogenerazione (produzione combinata di energia elettrica e termica) alimentato da biomasse;
   il sito ove è prevista l'installazione di tale impianto si trova ad una distanza dalla fascia costiera di circa 4 chilometri e la frazione abitata di Condurso si trova a soli 370 metri in linea d'aria, in una zona collinare prettamente a vocazione agricola che vanta anche la presenza anche di pregiati vigneti e uliveti;
   quest'ambito collinare di Furnari presenta molte peculiarità dal punto di vista ambientale, paesaggistico e naturalistico a tal punto che l'amministrazione ha dato, ai progettisti nelle direttive per il PRG, chiare indicazioni al fine di tutelare e valorizzare queste aree collinari proponendo l'istituzione di Parchi Naturalistici, percorsi turistici per la fruizione di siti archeologici individuati dalla soprintendenza dei beni culturali;
   esso trovasi in prossimità del sito di importanza comunitaria denominato Laguna di Oliveri-Tindari, codice ITA030012 e i venti del quadrante sud-orientale lo attraversano prima di giungere al sito di importanza comunitaria;
   il comune di Furnari negli anni passati è stato riconosciuto dall'assessorato regionale al turismo con apposito D.A n. 1430 del 1o giugno 2010 «Comune ad economia prevalentemente turistica e città d'arte»;
   il sindaco di Furnari ha proposto e ottenuto con delibera del 4 giugno 2014 la modifica, in senso restrittivo, degli articoli 173 e 414 del regolamento comunale riguardante l'igiene e la sanità del territorio a difesa dell’habitat naturale della popolazione residente, delle risorse idriche, naturalistiche, agricole e biologiche nonché delle colture esistenti nel territorio e delle aziende agricole e zootecniche che traggono dallo stesso le loro risorse naturali, dal pericolo derivante dall'introduzione di nuove tecnologie di dubbia compatibilità con le caratteristiche del sito;
   in particolare con la modifica del regolamento comunale di igiene e sanità del comune di Furnari, aumenterebbe la distanza territoriale dal centro abitato di manifatture, fabbriche, depositi insalubri, di qualsiasi specie e natura di discariche per rifiuti speciali pericolosi e non, di centrali termoelettriche (comprese quelle a biomassa e biogas), che così non dovrebbe essere minore ai 1.500 metri lineari da edifici o abitazioni singoli (residenziali o di pubblico servizio) e almeno 4.000 metri lineari dai centri abitati o di pubblico servizio (dal limite esterno, al fine di evitare un peggioramento della qualità dell'aria e delle condizioni di salubrità del territorio comunale);
   il consiglio comunale di Furnari in data 30 maggio 2014, convocato in merito alla discussione riguardante la realizzazione, nel territorio comunale, di un impianto di cogenerazione alimentato a biomasse, ha deliberato all'unanimità il proprio totale dissenso al progetto di realizzazione di tale impianto;
   in data 5 giugno 2014 si è tenuta una prima conferenza di servizi presso la sala consiliare del comune di Furnari convocata con nota prot. n. 4921 del 16 maggio 2014, che ha determinato l'aggiornamento della suddetta conferenza a martedì 22 luglio 2014, dando mandato alla COMET BIO srl di integrare una serie di documenti necessari per l'eventuale proseguimento dei lavori ed estendendo la convocazione per la prossima conferenza di servizi anche all'amministrazione preposta alla gestione della misura pubblica di agevolazione, Ministero dello sviluppo economico stante l'opportunità di un raccordo diretto in quanto ente finanziatore;
   durante la conferenza di servizi sono state rilevate ulteriori criticità derivanti dalla vicina condotta del metano della SNAM GAS SPA, e dal conseguente potenziale pericolo di avere un gasdotto nelle immediate vicinanze del sito individuato per la realizzazione di questo impianto di cogenerazione alimentato da biomasse, dato che tali tipologie di impianti hanno un'elevata pericolosità ed una certa frequenza di incidenti anche abbastanza gravi, tipo l'incendio dell'agosto 2013 verificatosi a Sciaves (BZ);
   la soprintendenza beni culturali e ambientali di Messina, nella conferenza di servizi del 5 giugno 2014, si è espressa con un diniego all'autorizzazione in quanto il progetto ricade nel paesaggio locale 7, sottopaesaggio 7o così definito e sottoposto a livello di tutela 1 dal piano paesaggistico dell'Ambito 9, adottato con D.D.G del dipartimento regionale dei beni culturali e dell'identità siciliana del 4 dicembre 2009 n. 8470;
   l'articolo 6 del decreto legislativo n. 28 del 2011 ha introdotto la procedura abilitativa semplificata per la costruzione ed esercizio di impianti alimentati da fonti rinnovabili di cui ai paragrafi 11 e 12 delle linee guida approvate con decreto del Ministro dello sviluppo economico 10 settembre 2010;
   la regione siciliana, con decreto presidenziale 18 luglio 2012, n. 48, ai sensi del comma 9 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 28 del 2011, ha esteso la soglia di applicazione della P.A.S. agli impianti alimentati da fonti rinnovabili e le opere connesse fino a 1MWe, così come è avvenuto per la legge regionale delle Marche, la n. 3 del 2012, dichiarata poi illegittima con la sentenza 93 del 2013 della Corte costituzionale in quanto, in base alla direttiva Europea 2011/92/UE, tutti gli impianti di qualsiasi tipo e potenza devono avere la valutazione di impatto ambientale;
   in data 15 marzo 2012 il Ministro dello sviluppo economico emette un decreto mediante il quale, «tenuto conto delle formulate dalle Regioni nel corso del Comitato tecnico congiunto di attuazione del POI Energia dell'8 febbraio 2012 in ordine alla gravosità ed alla complessità dell’iter amministrativo relativo all'autorizzazione degli impianti per la produzione di energia elettrica da biomasse con potenza superiore ad 1 MWe» dispone, all'articolo 3, un abbassamento della potenza minima a regime portandola a 0,65 MWe stravolgendo, di fatto, nelle intenzioni e negli effetti, tutto il dispositivo originario del bando iniziale;
   in base a quanto esposto in premessa, appare abbastanza evidente il contrasto tra la normativa comunitaria e nazionale e la normativa di alcune regioni italiane, come nel caso della regione siciliana, che escludono indebitamente alcune tipologie di progetti dalle procedura di valutazione di impatto ambientale, facendo così permanere per lo Stato italiano gli elementi di criticità che hanno portato alla procedura di infrazione 2009/2086 –:
   se non ritengano di valutare l'opportunità di intervenire al fine di evitare un aggravamento della situazione che ha già portato alla procedura di infrazione 2009/2086;
   se non ritengano il caso di prendere in considerazione l'eventualità di annullare gli effetti del decreto ministeriale 15 marzo 2012 in quanto emanato proprio per permettere la progettazione e realizzazione di impianti di cogenerazione alimentati a biomasse senza una valutazione di impatto ambientale, tra l'altro indispensabile indipendentemente dalla potenza dell'impianto, così come sentenziato dalla Corte costituzionale, sentenza n. 93 del 2013. (4-05310)

  Si pubblica il testo riformulato della risoluzione in commissione Benedetti n. 7-00405, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 260 del 9 luglio 2014.

   La XIII Commissione,
   premesso che:
    ai fini della tracciabilità della produzione di latte di bufala, è attiva sul portale del Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, una specifica applicazione telematica, accessibile tramite credenziali personali, che consente la trasmissione dei dati all'amministrazione;
    il decreto ministeriale n. 473 del 14 gennaio 2013 riporta le disposizioni nazionali per la rilevazione della produzione di latte di bufala in attuazione dell'articolo 7 delle legge 3 febbraio 2011, n. 4, e prevede l'obbligo, da parte degli allevatori bufalini, di registrare giornalmente il quantitativo di latte prodotto da ciascun animale bufalino presente in stalla e in produzione e di trasmettere i dati al Sistema informativo agricolo nazionale (SIAN) secondo le modalità di cui all'articolo 5 del medesimo decreto;
    la circolare ministeriale PQA 7013 del 22 aprile 2013 attuativa del citato decreto n. 473 del 2013 dispone l'obbligo per l'allevatore di trasmettere con cadenza mensile, entro i primi 10 giorni lavorativi del mese stesso, la dichiarazione dei dati di produzione del primo giorno del mese per singolo capo bufalino unitamente all'indicazione del numero delle bufale in produzione e al quantitativo di latte di massa prodotto per il mese precedente;
    l'allevatore ha inoltre l'obbligo di trasmettere, entro il primo giorno lavorativo di ciascuna settimana del mese, la dichiarazione settimanale con i quantitativi di latte di massa prodotti nella settimana precedente;
    il piano attuale dei controlli presenta alcune criticità tra le quali: la scarsa rappresentatività, posto che la violazione dell'obbligo di trasmissione dei dati non prevede alcuna sanzione e pertanto ad oggi solo poche decine di allevatori risultano iscritti, il sistema di registrazione della produzione, in quanto la cadenza settimanale o mensile con la quale le quantità sono riportate rende difficile la verifica della tracciabilità e l'impossibilità di rilevare eventuali ingressi di latte da Paesi stranieri poiché il monitoraggio è limitato alla quantità e non riporta il dato preciso sulla provenienza e destinazione;
    con deliberazione n. 110, seduta del 27 maggio 2013 la regione Campania ha stabilito di estendere a tutti gli operatori della filiera lattiero-casearia bufalina, che operano sul territorio amministrativo della regione, la richiesta di aderire ad un sistema volontario di tracciabilità di filiera, al fine di garantire la leale concorrenza del mercato, la sicurezza dei consumatori, ma soprattutto la trasparenza, la reputazione e la credibilità del comparto campano, rafforzando e completando le misure introdotte dalla legge n. 4 del 3 febbraio 2011, attraverso una specifica piattaforma informatica, realizzata in collaborazione con l'assessorato alla sanità e con l'istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno di Portici-ORSA;
    il progetto, denominato «S.I.T.A. sistema informatico per la gestione della tracciabilità e rintracciabilità nella filiera agroalimentare», è stato approvato con la DGR 1543 dell'8 ottobre 2009;
    il sistema informatico si basa sull'utilizzo, da parte dei diversi segmenti della filiera di una piattaforma che consente agli allevatori l'inserimento dei dati relativi alle produzioni quantitative giornaliere di latte e alla sua destinazione, ai trasportatori l'inserimento dei dati relativi al latte movimentato (cioè i quantitativi provenienti da ciascuna azienda conferitrice e caseifici di destinazione), e ai caseifici l'inserimento dei dati relativi al latte in entrata e ai derivati prodotti;
    per quanto attiene alla norma sulla separazione degli stabilimenti l'uso della piattaforma consente di dimostrare inequivocabilmente la provenienza del latte bufalino dall'areale della DOP mentre con riferimento agli obblighi sulla tracciabilità del latte bufalino la piattaforma permette l'elaborazione del dato del latte prodotto settimanalmente;
    il sistema prevede inoltre l'incrocio dei dati dei capi in lattazione (anagrafe bufalina dell'istituto zooprofilattico di Teramo) con il quantitativo giornaliero del latte di massa nonché con i prodotti da esso derivati;
    consente di tracciare e monitorare lungo tutta la filiera i flussi di materia prima e di prodotto realizzato, per evitare che nel sistema entri latte non idoneo;
    aderiscono attualmente al sistema campano 834 allevatori che conferiscono i dati relativi alla quantità giornaliera e alla destinazione del latte;
    la gestione della piattaforma informatica è affidata all'Osservatorio regionale sulla sicurezza alimentare, costituito dagli assessorati regionali all'agricoltura e sanità e dall'istituto zooprofilattico sperimentale per il Mezzogiorno, che opera anche con verifiche in campo finalizzate alla validazione dei dati introdotti nel sistema dai vari soggetti,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per estendere all'intero territorio nazionale l'uso del sistema di registrazione informatica già disponibile presso l'Osservatorio regionale per la sicurezza alimentare (ORSA) avendo cura di garantirne la gestione pubblica.
(7-00405) «Benedetti, Massimiliano Bernini, Gagnarli, L'Abbate, Lupo, Parentela, D'Ambrosio, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Tofalo».

ERRATA CORRIGE

  Interpellanza urgente Rubinato e altri n. 2-00627 pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 261 del 10 luglio 2014. Alla pagina 14925, prima colonna, alla riga ventiseiesima deve leggersi: «Ascani, Malpezzi, Moretto, Taricco, De» e non «Ascani, Malpezzi, Taricco, De», come stampato.