CAMERA DEI DEPUTATI
Mercoledì 25 settembre 2013
89.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
ALLEGATO

ALLEGATO 1

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Istituire un programma di formazione europea delle autorità di contrasto (COM(2013)172 final) – Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio (COM(2013)173 final).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea,
   esaminata, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, la «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Istituire un programma di formazione europea delle autorità di contrasto (COM(2013)172 final)» e la «Proposta di Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia dell'Unione europea per la cooperazione e la formazione delle autorità di contrasto (Europol) e abroga le decisioni 2009/371/GAI del Consiglio e 2005/681/GAI del Consiglio (COM(2013)173 final)»;
   sottolineato che gli atti in esame assumono rilievo non soltanto nella prospettiva dell'Unione europea ma anche per i singoli Paesi membri in considerazione del ruolo fondamentale che Europol svolge ai fini dello scambio di informazioni, del coordinamento delle operazioni per la prevenzione e la lotta alla criminalità organizzata transnazionale e al terrorismo, come ribadito e sostenuto nel programma di Stoccolma per lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia 2010-2014, adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2009;
   evidenziato che la proposta di regolamento appare pienamente conforme al principio di sussidiarietà, in quanto la riforma legislativa di Europol, per il suo carattere di agenzia dell'Unione, non potrebbe essere attuata né a livello nazionale né attraverso una iniziativa interna di Europol stessa, ma richiede l'intervento del colegislatore europeo, anche al fine di garantire la coerenza della riforma stessa con «l'approccio comune» in materia agenzie previsto dall'accordo interistituzionale siglato da Consiglio, Parlamento europeo e Commissione il 19 luglio 2012; appare peraltro evidente che la prevenzione e la lotta contro il crimine transnazionale richiede un sistema di coordinamento superiore rispetto alla sola prospettiva nazionale e giustifica una azione a livello UE;
   ricordato che la proposta di regolamento in oggetto fornisce la base giuridica per una nuova Agenzia, che sostituisce e succede all'attuale ufficio Europol nonché a Cepol (Accademia europea di polizia), di cui assorbe le funzioni;
   osservato in proposito che l'accorpamento di Cepol e di Europol, con il conseguente ravvicinamento tra funzione formativa e mansioni operative, permetterebbe – a costi inferiori rispetto all'attuale azione disgiunta – una semplificazione e razionalizzazione delle strutture esistenti nonché la realizzazione di un programma Pag. 237di formazione europea più efficace e maggiormente incentrato sugli aspetti della cooperazione;
   ribadita sul punto la necessità – emersa in sede di discussione sia presso le Commissioni I e XIV della Camera che presso la stessa Commissione Libertà civili, Giustizia e Affari interni del Parlamento europeo – di garantire che la fusione delle due strutture non penalizzi in alcun modo le funzioni svolte da Cepol, che sinora ha dato ottima prova nelle attività di formazione dei funzionari delle autorità nazionali impegnate nel contrasto alle varie forme di criminalità organizzata, né pregiudichi le iniziative formative specifiche previste dagli Stati membri per il personale delle autorità di contrasto;
   ricordato che la proposta di regolamento è diretta a dare attuazione all'articolo 88 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che affida allo strumento del regolamento la disciplina della struttura, del funzionamento, della sfera di azione e dei compiti di Europol e che lo stesso Trattato prevede che il regolamento deve altresì stabilire le modalità per il controllo dell'attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i Parlamenti nazionali;
   evidenziato come il rafforzamento del ruolo affidato ai Parlamenti in questa materia tragga origine dalla necessità di preservare le garanzie democratiche in un settore, quello della cooperazione di polizia, in cui occorre procedere con la massima attenzione per conciliare adeguatamente l'esigenza di un'azione energica ed efficace nel contrasto alle gravi forme di criminalità e la tutela dei diritti fondamentali dei cittadini;
   tali previsioni sono peraltro in linea con gli orientamenti contenuti nella Comunicazione COM(2010)776 sul controllo democratico di Europol, già oggetto di esame nella scorsa legislatura da parte della XIV Commissione, che aveva in quella occasione – con parere favorevole con osservazioni approvato il 16 marzo 2011 – sottolineata la necessità di garantire un efficace controllo da parte dei Parlamenti nazionali;
   rilevata tuttavia l'assenza, nel testo del regolamento, di disposizioni puntuali riguardanti il coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo sull'attività di Europol; se, da un lato, la proposta prevede la trasmissione di documenti di programmazione dell'attività di Europol (programma di lavoro annuale e pluriennale) al Parlamento europeo e ai Parlamenti nazionali in modo da consentire la verifica ex ante delle attività, dall'altro, le disposizioni contenute nel testo appaiono carenti laddove non consentono di tradurre concretamente le modalità attraverso le quali i Parlamenti nazionali di fatto concorrerebbero al controllo, in particolare ex post;
   osservato inoltre che, rispetto al quadro giuridico attuale, la Commissione europea ha inteso aumentare le informazioni che gli Stati membri devono comunicare a Europol, previsione rispetto alla quale occorre valutare la fattibilità e la sostenibilità amministrativa;
   richiamati, in particolare, i contenuti dell'articolo 29, che prevede che Europol possa instaurare e mantenere relazioni di cooperazione con gli organismi dell'Unione, conformemente ai loro obiettivi, le autorità di contrasto di paesi terzi, gli istituti di formazione sulle attività di contrasto di paesi terzi, le organizzazioni internazionali e le parti private, che implicherebbero la possibilità di scambio di dati con i partner citati se ciò sia necessario allo svolgimento dei compiti di Europol;
   valutata al riguardo l'opportunità di promuovere sistemi che rendano più omogenei i dati nonché l'adozione di cautele nella loro raccolta e condivisione con parti private, anche chiarendo la tipologia dei soggetti privati con i quali si potrebbe procedere allo scambio di informazioni e sulle ragioni che dovrebbero giustificare tale condivisione;Pag. 238
   ricordato, più in generale, che il regolamento reca disposizioni relative rispettivamente alle garanzie in materia di protezione dei dati e ai mezzi di tutela (ricorso al garante europeo della protezione dei dati, ricorso giurisdizionale e responsabilità) dei diritti violati a causa del trattamento dei dati e che la proposta mira a rafforzare l'attuale regime di protezione dei dati applicabile a Europol nel tentativo di individuare un punto di equilibrio tra la tutela delle persone fisiche e le esigenze proprie delle attività di contrasto, in linea con i principi che ispirano il regolamento (CE) n. 45/2001 concernente la tutela delle persone fisiche in relazione al trattamento dei dati personali da parte delle istituzioni e degli organismi comunitari, nonché la libera circolazione di tali dati, allineandosi altresì alla convenzione n. 10823 e alla raccomandazione n. R(87) 1524 del Consiglio d'Europa, nonché alla decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio sulla protezione dei dati personali trattati nell'ambito della cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale;
   sottolineata in ultimo l'esigenza che il presente parere sia trasmesso, unitamente al documento finale approvato dalla Commissione di merito, al Parlamento europeo nonché alla Commissione europea nell'ambito del dialogo politico informale;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con la seguente condizione:
   si provveda ad integrare il testo al fine di una migliore e più puntuale definizione degli strumenti e delle procedure attraverso i quali si tradurrebbe concretamente la previsione del coinvolgimento dei Parlamenti nazionali nel controllo delle attività di Europol;

  e le seguenti osservazioni:
   si valuti l'opportunità di prevedere disposizioni volte a garantire che la soppressione di Cepol e l'attribuzione delle relative competenze ad Europol non determini un indebolimento delle attività di formazione che attualmente Cepol svolge;
   in materia di trattamento delle informazioni e di scambio di dati tra autorità di polizia, si prevedano disposizioni volte a garantire l'omogeneità dei dati, l'efficacia dei meccanismi di controllo, nonché l'adozione di cautele nella loro raccolta e condivisione con parti private, anche chiarendo la tipologia dei soggetti privati con i quali si potrebbe procedere allo scambio di informazioni e sulle ragioni che dovrebbero giustificare tale condivisione.

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ALLEGATO 2

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita. Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività (COM(2013)165 final) – Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita. Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste (COM(2013)166 final).

PROPOSTA DI PARERE FORMULATA DAL RELATORE

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea,
   esaminate, ai sensi dell'articolo 127 del Regolamento, le Comunicazioni della Commissione europea sull'istituzione di uno strumento di convergenza e di competitività (COM(2013)165) e sul coordinamento ex ante delle grandi riforme (COM(2013)166);
   tenuto conto degli elementi di conoscenza e di valutazione emersi dalle audizioni svolte presso la Commissione Bilancio nell'ambito dell'indagine conoscitiva relativa all'esame delle due Comunicazioni;
   considerata la risoluzione sulle future proposte relative all'Unione economica e monetaria approvata il 23 maggio 2013 dal Parlamento europeo;
   rilevato che gli interventi prospettati dai documenti in esame hanno un significativo impatto sulle competenze e sugli strumenti di azione dell'Unione europea nonché sui rapporti tra l'ordinamento europeo e quelli nazionali ed investono, pertanto, direttamente le competenze della XIV Commissione;
   premesso che:
    le Comunicazioni in esame sono intese ad avviare la realizzazione di una «cornice integrata di politica economica» che dovrebbe costituire uno dei pilastri di una nuova ed autentica Unione economica e monetaria, secondo la tabella di marcia approvata dal Consiglio europeo nel dicembre 2012;
    la realizzazione di un effettivo coordinamento delle politiche economiche – dopo una lunga fase in cui le Istituzioni dell'Unione hanno privilegiato il rafforzamento di regole e procedure a presidio della finanza pubblica – risponde ad un obiettivo da lungo tempo perseguito dall'Italia e deve costituire il primo passo verso la realizzazione di un governo europeo dell'economia e verso una integrazione politica in senso federale;
    è pertanto necessario che alla presentazione di proposte legislative sulle materie oggetto delle comunicazioni in esame si accompagni un rapido avanzamento dei lavori sulla mutualizzazione del debito sovrano, sulla costituzione di un meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie e sugli altri elementi costitutivi di un'autentica Unione economica;
    questi passaggi implicano una ampia condivisione di sovranità e la conseguente compressione dei margini per le scelte di politica economica nazionali. È’ pertanto opportuno che ci si adoperi al più presto per integrare questo nuovo strumento nel sistema dei trattati e delle istituzioni comuni per evitare che si determinino Pag. 240indebite alterazioni degli equilibri tra gli Stati membri e sia assicurata la legittimità democratica. È’ da valutare inoltre se questa integrazione sia possibile a trattati vigenti o se sia da considerare all'interno di una necessaria revisione dei Trattati;
    occorre assicurare inoltre il massimo coinvolgimento possibile dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e, ove appropriato, delle parti sociali nelle procedure previste ai fini sia del coordinamento delle riforme economiche sia della stipulazione di accordi contrattuali. In tal modo, oltre a garantire la legittimità democratica delle nuove procedure, si assicurerebbe l'effettiva condivisione delle grandi riforme economiche da parte dei Paesi interessati, evitando che esse possano di fatto essere imposte dalle Istituzioni dell'Unione o dai mercati;
    i meccanismi contemplati dalle comunicazioni in esame e, in generale, dalla cornice integrata per le politiche economiche sono stati pensati fondamentalmente con il fine di sostenere la convergenza della competitività dei paesi membri attraverso liberalizzazioni e semplificazioni, investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali (in particolare ricerca e sviluppo, formazione e università di qualità). Ciò deve avvenire in conformità con le raccomandazioni per ciascun Paese adottate nell'ambito del semestre europeo. Sarebbe però opportuno che il sostegno alla produttività sia inteso in senso ampio includendo anche misure a favore dell'occupazione e utili a porre rimedio agli effetti sociali della crisi economica;
    alcune delle opzioni di intervento prospettate dalle comunicazioni in esame presentano numerosi elementi di criticità e di ambiguità in merito ad aspetti di particolare delicatezza;
    desta forti perplessità il ricorso ad accordi contrattuali bilaterali per l'accesso al sostegno dello strumento di convergenza. Non appare infatti chiara la natura e l'efficacia giuridica di tali strumenti negoziati e il loro valore aggiunto rispetto a procedure e regole adottate secondo le procedure previste dai Trattati. L'adozione degli accordi bilaterali potrebbe inoltre:
   inficiare l'unitarietà dell'ordinamento europeo, esaltando la diversa «capacità negoziale» di ciascun Paese, in contrasto con il principio della parità degli Stati membri;
   pregiudicare la coerenza complessiva delle strategie da perseguire pregiudicando l'obiettivo del più stretto coordinamento delle politiche economiche;
   non assicurare trasparenza e un effettivo ruolo dei parlamenti nazionali nella definizione delle condizioni per beneficare del sostegno finanziario trasfuse negli accordi;
    non appare condivisibile, tra le opzioni per il finanziamento dello strumento di convergenza, il ricorso ai contributi dei Paesi partecipanti calcolati in base al rispettivo Reddito nazionale lordo (RNL), tenuto conto che l'Italia è già contribuente netto al bilancio dell'UE e terzo sottoscrittore del capitale dell'ESM di cui peraltro non ha sinora usufruito;
    in ogni caso, lo strumento di convergenza dovrebbe essere incluso nel bilancio dell'UE come entrata esterna con destinazione specifica, che quindi non rientrerebbe nei massimali fissati nel regolamento sul quadro finanziario pluriennale;
    con riferimento al coordinamento ex ante delle riforme economiche, non appare condivisibile la proposta della Commissione di limitarlo ai mercati dei prodotti, dei servizi – inclusi i servizi finanziari – e del lavoro nonché ad alcune riforme tributarie;
    è invece necessario, al fine di assicurare in modo stabile crescita ed occupazione, salvaguardando la coesione sociale, che il coordinamento ex ante ed il sostegno dello strumento di convergenza riguardino anche misure intese a sostenere l'occupazione, l'inclusione sociale, la lotta alla povertà nonché l'armonizzazione dei Pag. 241sistemi nazionali di tassazione al fine di ridurre la concorrenza fiscale dannosa;
    è condivisibile la proposta della Commissione di rendere il coordinamento delle riforme vincolante per gli Stati della zona euro, assicurando comunque il coinvolgimento degli altri Stati membri dell'Unione nonché di utilizzare quale piattaforma principale per il coordinamento i programmi nazionali di riforma;
    rilevata l'esigenza che il presente parere sia trasmesso, unitamente al documento finale della Commissione di merito, al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione europea nell'ambito del dialogo politico;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE

  con le seguenti condizioni:
   con riguardo allo strumento di convergenza e agli accordi bilaterali:
    1) si riservi lo strumento ai paesi in ritardo di competitività e in zona preventiva e non già in procedura di infrazione. Per i paesi in procedura di infrazione ci sono già specifici strumenti;
    2) si subordini il ricorso agli accordi bilaterali, ai fini dell'accesso allo strumento di convergenza, alla previa dimostrazione, mediante una più accurata e trasparente valutazione, del loro valore aggiunto rispetto alle procedure di coordinamento vigenti per il coordinamento ex ante delle strategie macroeconomiche nell'ambito del Semestre europeo;
    3) siano previste la massima trasparenza e pubblicità possibili nella fase della negoziazione degli accordi tra la Commissione e i singoli Stati membri;
    4) siano destinate fonti di finanziamento autonome e dedicate allo strumento di convergenza, che dovrebbe essere incluso nel bilancio dell'UE al di fuori dei massimali di spesa fissati dal quadro finanziario pluriennale;
    5) sia assicurata la complementarità del nuovo strumento con gli strumenti finanziari esistenti, quali, in particolare, i Fondi strutturali;
    6) il sostegno finanziario dello strumento di convergenza sia ristretto, come proposto dalla Commissione, a progetti di riforma connessi con le raccomandazioni ricevute dal paese interessato nell'ambito del semestre europeo e della procedura per gli squilibri macroeconomici;
    7) siano, al fine di prevenire e contrastare comportamenti opportunistici, condizioni rigorose per l'accesso al finanziamento dello strumento di convergenza e un sistema di monitoraggio efficace sull'effettiva attuazione delle riforme;
    8) si preveda il sostegno da parte dello strumento di convergenza anche ad interventi volti a sostenere l'occupazione e la coesione economica e sociale. Le riforme da finanziare non dovrebbero, in ogni caso, determinare un impatto negativo sull'inclusione sociale, sui diritti dei lavoratori, sull'assistenza sanitaria e su altre questioni sociali, nemmeno nel breve termine;
   con riferimento al coordinamento delle riforme macroeconomiche:
    9) il coordinamento sia attuato nell'ambito delle procedure esistenti e, in particolare, del semestre europeo e sia reso vincolante per tutti gli Stati della zona euro, assicurando comunque il coinvolgimento degli altri Stati membri dell'Unione su base volontaria;
    10) l'oggetto delle riforme da coordinare sia definito, anche in coerenza con quanto indicato al capoverso 11), in modo ampio rispetto alle proposte delle Commissione, affinché esse comprendano anche misure per sostenere l'occupazione, porre rimedio agli effetti sociali della crisi economica e armonizzare i sistemi fiscali nazionali al fine di ridurre la concorrenza fiscale dannosa tra gli stati membri; Pag. 242
   con riguardo alla legittimità democratica:
    11) il Parlamento europeo sia coinvolto, su un piano di parità con il Consiglio, nella approvazione degli accordi contrattuali negoziati dalla Commissione con gli Stati membri e nel coordinamento delle riforme economiche ex ante. In particolare, il Parlamento europeo dovrebbe avere la possibilità, analogamente al Consiglio, di proporre modifiche al piano nazionale di riforma quando ciò sia giustificato dagli effetti previsti sugli altri Stati membri e sul funzionamento dell'UEM;
    12) sia assicurato l'intervento effettivo e sistematico dei parlamenti nazionali nel coordinamento delle riforme ex ante nella negoziazione degli accordi bilaterali con particolare riguardo alla definizione delle riforme da finanziarie e delle condizioni per l'accesso al sostegno dello strumento di convergenza. A questo scopo, oltre ai meccanismi di raccordo tra ciascun Parlamento ed il rispettivo Governo, dovrebbe essere attivato un dialogo politico diretto, sistematico e strutturato, tra i Parlamenti nazionali ed i rappresentanti della Commissione europea sia nella fase della negoziazione sia in quella dell'applicazione dell'accordo contrattuale;
    13) si preveda, altresì, la trasmissione diretta ai parlamenti nazionali, da parte della Commissione europea, dei pareri da essa espressi sui rispettivi piani nazionali di riforma, prima che essi siano sottoposti al Consiglio e all'Eurogruppo.

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ALLEGATO 3

Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2012 (C. 1572 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI RELAZIONE FORMULATA DAL GRUPPO SEL

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea,
   esaminato il Rendiconto generale dell'Amministrazione dello Stato per l'esercizio finanziario 2012 (C. 1572);
   premesso che:
    il Rendiconto per l'anno 2012 riflette sostanzialmente i risultati dell'azione del Governo Monti;
    l'indebitamento netto delle Pubbliche amministrazioni è sceso nel 2012 al 3 per cento del Pil, registrando un calo di otto decimi di punto e di 12 miliardi nei valori assoluti. Rispetto al valore toccato nel 2009 (5,4 per cento) l'indebitamento si è quasi dimezzato; è rimasto però più che doppio rispetto al livello pre-crisi del 2007 (1,7 per cento);
    la flessione dell'indebitamento è stata conseguita, lo scorso anno, in virtù di un miglioramento dell'avanzo primario di circa 21 miliardi, in parte assorbito dalla maggiore spesa per interessi, che è aumentata di 8,4 miliardi e ha raggiunto il 5,5 per cento del Pil;
    rispetto al picco di indebitamento del 2009, l'avanzo primario registra, in termini cumulati, un aumento di quasi 51 miliardi che, a fronte di un aumento di 15 miliardi della spesa per interessi, si traduce in una riduzione del disavanzo complessivo di circa 35 miliardi. Le componenti correnti e in conto capitale contribuiscono a tale miglioramento per, rispettivamente, 25 e 10 miliardi. Il confronto con il 2007, anno di massimo ciclico prima dell'avvio della crisi e di minimo storico dei livelli di indebitamento, evidenzia tuttavia il permanere di un maggiore disavanzo di oltre 22 miliardi (1,3 punti in quota di Pil);
    spicca il miglioramento di oltre 16 miliardi (0,7 punti di Pil) registrato in questo arco di tempo dal saldo in conto capitale, che incorpora l'accentuato ridimensionamento degli investimenti pubblici;
    la presenza di ampi scostamenti dai livelli di minimo indebitamento del 2007 dà misura della mancata realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica inizialmente assunti per il 2012. Le manovre attuate con i decreti-legge 98, 138 e 201 del 2011 si sono aggiunte alle misure di contenimento già varate col DL 78/2010, portando a quasi 60 miliardi la correzione del bilancio pubblico per l'anno 2012;
    nel conto programmatico della pubblica Amministrazione del 2012 venivano in particolare iscritte maggiori entrate discrezionali per quasi 43 miliardi, circa la metà delle quali attribuibili al solo DL 201/2011. Nelle valutazioni espresse nel DEF 2012, tali interventi avrebbero dovuto portare l'avanzo primario a 57 miliardi di euro, riconducendo così l'indebitamento all'1,7 per cento del Pil, appunto il valore pre-crisi del 2007;
    tali obiettivi venivano rivisti in corso d'anno, in considerazione di una caduta del prodotto di dimensioni ben Pag. 244superiori a quelle attese. La Nota di aggiornamento del settembre scorso, portava al 2,6 per cento il dato programmatico di indebitamento, con un avanzo primario ridimensionato a circa 45 miliardi;
    anche queste valutazioni si sono rivelate troppo ottimistiche: il dato di consuntivo fissa il disavanzo 6,4 miliardi al di sopra dell'obiettivo rivisto, con un avanzo primario più basso di circa 6 miliardi; la differenza rispetto al DEF 2012 è di 20,5 miliardi per l'indebitamento e di 18 miliardi per il saldo primario. La correzione apportata agli andamenti della finanza pubblica è stata dunque pari alla metà degli effetti attesi;
    non meno fallimentare è stato il bilancio economico-sociale del Governo Monti;
    lo stock del debito pubblico italiano è cresciuto nel corso del 2012 dal 120 per cento al 127 per cento del Pil. La recessione prosegue malgrado – sarebbe meglio dire «a causa di...» – tutti i sacrifici che hanno gravato su lavoratori e lavoratrici, famiglie e pensionati. Lo spread si è abbassato solo grazie all'intervento della BCE;
    dopo il taglio delle pensioni, l'aumento delle accise e dell'Iva (tutte tasse indirette che colpiscono proporzionalmente in misura maggiore i ceti popolari), l'IMU sulla casa, la liberalizzazione del mercato del lavoro che toglie diritti ai lavoratori senza ottenere un solo posto di lavoro in più, siamo arrivati a questi risultati a dire poco preoccupanti;
    né il drastico prolungamento dell'età pensionabile, né le così dette liberalizzazioni, né il tentativo di abolire l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, hanno nulla a che vedere con la riduzione del debito pubblico italiano. Anzi, il rapporto debito/prodotto interno lordo è ancora cresciuto per via della recessione incalzante;
    dunque, sacrifici – a senso unico a carico dei ceti popolari – mentre il debito rimane immutato, anzi cresce, la disoccupazione aumenta, le tasse aumentano e calano i consumi. In definitiva, i problemi sono stati solo rinviati;
    a dicembre del 2011 il Governo Monti prevedeva per il 2012 una diminuzione del Pil dello 0,4 per cento. Ma il Pil italiano nel 2012 è diminuito del 2,4 per cento (il Governo ha dunque commesso un errore grossolano nelle previsioni, e meno male che si trattava di «tecnici»), i consumi durevoli e gli investimenti del 10 per cento. La recessione ha affondato l'economia ma anche i conti pubblici;
    il Governo Monti non solo non ha previsto la dimensione della recessione, ma in gran parte l'ha causata. Le manovre di tasse e tagli, infatti, hanno prodotto una riduzione del Pil di un punto percentuale. Lo certifica nel suo bollettino (luglio 2012) la Banca d'Italia (e lo ha ammesso persino Monti). La cura ha dunque fatto molto più male della malattia;
    dopo i 145 miliardi recuperati con le due manovre d'emergenze estive di Tremonti, datate 2011, i «tecnici» hanno tagliato la spesa e tassato gli italiani per 63,2 miliardi (tra manovra «Salva Italia» e «Spending review»). Le manovre hanno complessivamente causato una riduzione del reddito del Paese di circa 16 miliardi. Rendendo così più difficili da raggiungere gli obiettivi per i quali tagli e tasse erano stati escogitati;
    la pressione fiscale ha raggiunto, dopo i provvedimenti dei governi Berlusconi e Monti, la ragguardevole percentuale vicina al 45 per cento, una delle più alte al mondo;
    nel corso del 2012 – secondo l'Istat – si è osservato un progressivo aggravarsi delle condizioni del mercato del lavoro che ha risentito della persistente flessione dell'attività economica. Contemporaneamente, il tasso di disoccupazione è fortemente aumentato (dall'8,4 per cento nel 2011 al 10,7 per cento nel 2012) fino a toccare l'11,2 per cento nel quarto trimestre del 2012 e l'11,5 per cento nel mese di marzo 2013. Tasso che andrebbe corretto Pag. 245al rialzo tenendo conto anche del consistente ricorso alla Cassa integrazione guadagni;
    nei fatti, la recessione in atto ha fatto sì che – secondo quanto emerge dai dati della Confindustria – tra il secondo trimestre 2012 e lo stesso periodo del 2011, in Italia i disoccupati siano 758mila in più. A fine 2013, la forza lavoro non utilizzata (valutando sia i disoccupati che i fruitori di cassa integrazione) salirà al 13,9 per cento, dal 12,8 per cento di fine 2012. Cifre a cui bisogna aggiungere il dato sui lavoratori ormai scoraggiati che non cercano neanche più lavoro uscendo di fatto dalle statistiche, stimati dall'Istat in misura pari a circa 2,897 milioni nel 2011, in aumento su base annua di circa il 5 per cento;
    una grossa fetta della popolazione femminile è tagliata fuori dal mercato del lavoro, e la disoccupazione riguarda un terzo dei giovani italiani. Dal 2007 al 2011 il tasso di disoccupazione giovanile in Italia è infatti passato dal 24 al 32 per cento, con un ulteriore balzo al 39,3 per cento nel primo trimestre 2012. La crisi incide in misura maggiore su i più giovani, perché sono loro i principali utilizzatori dei contratti di lavoro temporaneo ed i primi ad essere licenziati;
    il nostro Paese sta tragicamente vivendo una vera e propria emergenza occupazionale, che si aggraverà nei prossimi mesi;
    i consumi delle famiglia si sono notevolmente ridotti;
    una delle principali determinanti dell'attuale recessione, iniziata nella seconda metà del 2011, è la caduta del reddito disponibile, che ha determinato una profonda contrazione dei consumi delle famiglie. Nel 2012, infatti, in presenza di una flessione del prodotto interno lordo reale del 2,4 per cento, il potere d'acquisto delle famiglie è diminuito del 4,8 per cento. Si tratta di una caduta di intensità eccezionale e che giunge dopo un quadriennio caratterizzato da un continuo declino (nel 2011 il reddito reale era inferiore di circa il 5 per cento rispetto a quello del 2007, ultimo anno in cui aveva presentato una dinamica positiva);
    i redditi da lavoro sono rimasti pressoché stabili in termini nominali, subendo comunque la perdita di potere d'acquisto dovuta all'inflazione. I redditi da lavoro dipendente hanno segnato nel 2012 una crescita nulla, mentre erano aumentati dell'1,8 per cento nel 2011 e dello 0,7 per cento nella media del periodo 2009-2011;
    l'incidenza delle imposte correnti sul reddito disponibile delle famiglie è salita al 16,1 per cento, un punto percentuale in più rispetto all'anno precedente e al livello più alto dal 1990. Se al prelievo fiscale corrente si aggiungono le altre imposte sulla produzione, l'incidenza del prelievo sul reddito disponibile sale al 16,5 per cento, con un incremento di 1,3 punti percentuali rispetto all'anno prima. Considerando i contributi sociali effettivi e figurativi, l'incidenza del carico fiscale e contributivo corrente sul reddito disponibile tocca il 30,3 per cento, a fronte del 29,4 per cento del 2011;
    non si risolverà certo la crisi con le politiche di «austerità espansiva» che l'hanno provocata. Pensare che il taglio nei deficit pubblici possa essere compensato dall'aumento di altre componenti della domanda aggregata è una pia illusione. Come mostrato in studi e dall'esperienza pratica (vedi Grecia), il moltiplicatore fiscale in una fase di recessione è positivo, e l'austerità porterà quindi ad un calo del Pil maggiore del calo del debito rendendo impossibile raggiungere l'obiettivo della riduzione del rapporto debito/Pil;
    come ha affermato persino il Centro studi di Confindustria (Nota del C.S.C. del 25 Giugno 2012): «Le condizioni economiche dell'Area euro si stanno rivelando molto peggiori di quel che era stato previsto pochi mesi fa. Le misure finora adottate dalla BCE e dai governi, alla luce dell'andamento delle variabili reali e della reazione dei mercati finanziari (con una stretta Pag. 246interrelazione in entrambe le direzioni tra le prime e i secondi), si sono dimostrate del tutto inadeguate. In particolare, le politiche di bilancio improntate al solo rigore, invece di stabilizzare il ciclo, stanno facendo avvitare su se stessa l'intera economia europea»;
    una politica diversa era possibile; si sarebbe potuto avviare riforme strutturali come un maggior ruolo del pubblico nella gestione delle banche ed una tassazione stabile e reale sulle transazioni finanziarie; si sarebbe potuto fissare una quota adeguata del Pil da destinare alla formazione e alla ricerca; adottare una tassazione sui grandi patrimoni; varare una legge urbanistica per proteggere il nostro territorio dall'indiscriminata e pericolosa cementificazione; si potevano separare le banche commerciali da quelle d'affari; limitare l'utilizzo dei prodotti finanziari rischiosi; regolamentare i movimenti di capitali; creare un agenzia pubblica di rating; intervenire con più efficacia nel contrasto all'evasione fiscale; impostare una politica industriale volta alla conversione ecologica del nostro sistema produttivo e dei servizi ed infine adottare una reale politica contro la corruzione e gli sprechi di denaro pubblico;
    niente di tutto ciò è stato fatto con le conseguenze economiche e sociali che sono sotto agli occhi di tutti;
    nell'ultimo decennio la spesa pubblica è aumentata in valori assoluti di quasi 200 miliardi (dati Istat) e per la Corte dei Conti la spesa pubblica primaria è aumentata di circa il 5 per cento in media all'anno, accrescendo l'incidenza sul PIL di quasi 8 punti;
    tenendo ferma la spesa reale, bastava impiegare quel dividendo per azzerare il deficit pubblico, e sarebbero rimaste ulteriori risorse sia per investire sia per ridurre le imposte. Invece, si è fatto il contrario: si è alzata la spesa, alzato le tasse a livelli record e ulteriormente alzato il debito pubblico. Il paese è rimasto così schiacciato da una gravissima recessione, ben più grave di quelle registrate da altri paesi UE;
    si è, invece, instaurata nel nostro paese ed a livello europeo una spirale perversa di politiche di austerità che incidono negativamente sulla crescita deprimendo il PIL, che a sua volta diminuisce le entrate dello Stato e ne aumenta le spese per fare fronte alla disoccupazione crescente;
    il pericolo rappresentato da politiche di austerità a senso unico era stato ben delineato dal Presidente della Corte dei Conti che nell'ambito dell'audizione sul DEF 2012, svolta presso le Commissioni Bilancio riunite di Camera e Senato, aveva rilevato che: «il pericolo di un corto circuito rigore/crescita non è dissipato nell'impianto del DEF 2012-2015, impegnato a definire il profilo di avvicinamento al pareggio di bilancio in un arco di tempo molto breve. L'urgenza del riequilibrio dei conti si è tradotta, pertanto, inevitabilmente nel ricorso al prelievo fiscale, forzando una pressione già fuori linea nel confronto europeo e generando le condizioni per ulteriori effetti recessivi indotti dalle stesse restrizioni di bilancio. Con un consistente depauperamento dei benefici attesi e con il rischio di ricorrenti ma non risolutivi adeguamenti dell'intensità delle manovre correttive»;
    nell'ambito dell'attuale crisi economica ed occupazionale non è pensabile il proseguimento delle politiche di austerità, o misure quali quelle che si sono rivelate pesantemente recessive, al contrario serve un insieme di misure organiche di politica economica che superino le politiche di austerity a favore di interventi ed investimenti di sostegno alla domanda, al lavoro, ai redditi, alla lotta alla povertà;
   valutato altresì che:
    l'Europa ha risposto alla crescente instabilità dei mercati finanziari imboccando la strada dell'austerità. A partire dalla primavera 2010 sono stati così varati programmi di riequilibrio dei conti pubblici ambiziosi, simultanei e concentrati in un lasso di tempo relativamente breve. Nei Paesi periferici il riequilibrio dei conti pubblici è avvenuto al prezzo di pesanti Pag. 247ricadute economiche e sociali (catastrofiche, nel caso greco), ed è stato parzialmente vanificato dalla recessione indotta proprio dalle politiche di austerità;
    è sostanzialmente l'analisi delle cause profonde della crisi ad essere sbagliata. Essa viene fatta risalire alla «crisi dei debiti sovrani», mentre i debiti sovrani sono peggiorati a seguito della crisi e non viceversa. Nel biennio della grande recessione l'aumento del rapporto tra debito pubblico e PIL è stato nei Paesi periferici solo leggermente superiore alla media dell'eurozona. La sfiducia dei mercati finanziari è stata innescata dai crescenti squilibri macroeconomici tra i sistemi produttivi più forti (Germania in primis), molto competitivi e in forte avanzo commerciale, e i Paesi periferici considerati – a causa di debolezze strutturali che sono andate aggravandosi negli anni duemila – meno capaci in prospettiva di onorare i propri debiti pubblici;
    per questi motivi è stato un errore, nella scorsa legislatura, inserire in Costituzione con le modifiche all'articolo 81, il pareggio di bilancio come previsto dal cd. «Fiscal compact»;
    l'attuale crisi di sistema comporta la necessità di proporre un nuovo modello socioeconomico ove gli obiettivi da perseguire per la costruzione di un'Europa equa e giusta devono valicare il confine della pur necessaria promozione della stabilità finanziaria e della crescita economica ed incentrarsi anche e soprattutto su una rimodulazione del concetto di solidarietà e di comunità da applicarsi alle relazioni tra i paesi membri;
    i programmi dell'Unione sottolineano l'importanza dell'integrazione ma impongono politiche di austerità che la rendono difficile, mentre la costruzione di un concetto giusto di «Europa» dovrebbe porre al suo centro la solidarietà tra le diverse espressioni socio/culturali europee essendo questo il presupposto necessario allo sviluppo di ogni politica volta alla realizzazione della stabilità finanziaria e della crescita economica;
    il Governo Monti italiano ha recepito passivamente il tema dell’austerity imposta a livello comunitario;
  delibera di

RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

Pag. 248

ALLEGATO 4

Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2013 (C. 1573 Governo, approvato dal Senato).

PROPOSTA ALTERNATIVA DI RELAZIONE FORMULATA DAL GRUPPO SEL

  La XIV Commissione Politiche dell'Unione europea,
   esaminate le Disposizioni per l'assestamento del bilancio dello Stato e dei bilanci delle Amministrazioni autonome per l'anno finanziario 2013 (C. 1573);
   considerato che:
    l'Assestamento per l'anno 2013, è sostanzialmente determinato dalle politiche messe in atto dal Governo Letta;
    il disegno di legge di assestamento per il 2013 evidenzia un peggioramento dei saldi di bilancio in termini di competenza rispetto alle previsioni iniziali della legge di bilancio per il 2013;
    il saldo netto da finanziare passa infatti da –6.185 milioni a –31.065 milioni, con un peggioramento di 24.881 milioni, pari a circa il 400 per cento rispetto all'entità del medesimo aggregato indicata dalla legge di bilancio; detto importo deriva dalla somma di un peggioramento di 15.029 milioni, dovuto a variazioni per atto amministrativo, imputabili prevalentemente all'incremento delle spese per 16.586 milioni;
    in particolare, vanno ricordati l'avvenuta istituzione, disposta dal decreto-legge n. 35 del 2013, del fondo finalizzato ad assicurare la liquidità per i pagamenti dei debiti della pubblica amministrazione, ed un peggioramento per 9.851 milioni derivante dalle proposte dell'assestamento stesso, riconducibili alle minori entrate finali, per un importo pari a 12.356 milioni, risultante da una forte diminuzione delle entrate tributarie (per 14.521 milioni) solo in parte compensata dall'aumento delle entrate extratributarie (per 2.088 milioni) e dalla vendita ed ammortamento di beni patrimoniali, pari a 77 milioni;
    per quanto concerne le spese finali, le variazioni tra previsioni assestate e previsioni iniziali fanno registrare un incremento pari a 14.082 milioni (in conto competenza), ascrivibili per la gran parte alla spesa in conto capitale. La spesa corrente cresce, invece, in misura lieve (0,24 per cento, pari a 954 milioni) al netto degli interessi. A fine anno la spesa per interessi sul debito dello Stato sarà pari a 89.162 milioni (500 milioni in meno rispetto alle previsioni);
    i dati contabili dell'assestamento evidenziano, dunque, numerose criticità di gestione del bilancio. Si tratta, in primo luogo, del netto peggioramento dei saldi di bilancio in termini di competenza, con il saldo netto da finanziare che peggiora di circa il 400 per cento, anche a causa della contrazione del gettito IVA per oltre 10 miliardi di euro;
    le manovre di correzione dei conti pubblici per il 2012 hanno sì consentito il miglioramento di alcuni saldi (peraltro solo di alcuni e in misura minore di quanto ci si sarebbe potuto attendere), ma hanno generato anche effetti depressivi Pag. 249sull'economia, come dimostra il calo delle entrate tributarie già in difficoltà e in forte recessione;
    le cifre dei dati di bilancio fanno intravedere una situazione socioeconomica molto preoccupante: la disoccupazione in aumento, l'impoverimento di sempre più estesi strati di popolazione, la chiusura di piccole e medie imprese, la mancanza di sviluppo. Né le prospettive future appaiono migliori ove si consideri che, secondo le previsioni più aggiornate, riportate nelle considerazioni finali del Governatore della Banca d'Italia all'assemblea dei soci del 31 maggio 2013, anche quest'anno si chiuderà con un forte calo dell'attività produttiva e dell'occupazione;
    a questi andamenti si aggiunge quello ancora più preoccupante costituito dall'andamento del debito pubblico, che ha ampiamente superato la soglia di 2.050 miliardi di euro e si avvicina ai 2.100 miliardi di euro: altro che pareggio di bilancio previsto in Costituzione;
    sin dal suo insediamento il Governo aveva promesso l'avvio di un'incisiva azione di spending review ma, ad oggi, a parte la norma che prevede di nominare un commissario ad hoc, ancora non si sono riscontrati effetti pratici;
    nel frattempo, si sono susseguiti provvedimenti di maggiore spesa coperti da ipotetiche maggiori entrate: come il decreto-legge n. 91, il cosiddetto decreto valore-cultura, che all'articolo 14 incrementa la misura delle accise sugli oli e sull'alcol. Ulteriori spese si preannunciano nel decreto-legge in tema di pubblica istruzione approvato ieri dal Governo e ulteriori spese sono contenute nel decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione sulle pubbliche amministrazioni, con sanatorie di 100.000-150.000 precari. Molto dubbie anche le coperture del DL n. 102/2013;
    intanto la previsione per il Pil 2013 passa da un meno 1,3 ad un meno 1,7-1,8 per cento del Pil;
    l'obiettivo del Governo italiano di un disavanzo pubblico sotto il 3 per cento nel 2013 è a «rischio crescente», secondo la Banca centrale europea. Il bollettino mensile della BCE pubblicato il 12 settembre scorso passa in rassegna i recenti provvedimenti in materia di finanza pubblica e attribuisce il peggioramento dei conti al sostegno al settore finanziario e al primo rimborso di arretrati della pubblica amministrazione;
    nel suo bollettino di settembre, la Bce nota che le informazioni preliminari sul fabbisogno di cassa a fine luglio 2013 indicano un deficit di 51 miliardi di euro, pari al 3,3 per cento del prodotto interno lordo, contro i 28 miliardi (1,8 per cento del Pil) dello stesso periodo dell'anno scorso. «Il peggioramento – dice il documento – mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento dell'obiettivo di disavanzo delle pubbliche amministrazioni nel 2013 (2,9 per cento del Pil)». Il bollettino ricorda anche che l'abolizione della prima rata dell'Imu sulla prima casa comporterà un mancato gettito di 2,4 miliardi di euro circa, pari allo 0,1 per cento del Pil, che, nei piani del Governo, sarà compensato da un contenimento della spesa e maggiori entrate. Anche le minori entrate dovute al rinvio di tre mesi dell'aumento di un 1 per cento dell'Iva saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate;
    il Governo ha ribadito anche in questi giorni, per bocca del ministro dell'Economia, Fabrizio Saccomanni, l'intenzione di rispettare l'impegno preso in sede europea;
    il vero problema verrà dopo con l'applicazione del cosiddetto «fiscal compact», il quale prevede una riduzione del debito pubblico superiore al 60 per cento del Pil di un ventesimo l'anno, per vent'anni. Una mannaia pesantissima, che per l'Italia potrebbe significare un obbligo a tagli netti del debito per 40-50 miliardi l'anno che difficilmente potranno essere sostituiti dal ricavato di dismissioni di proprietà pubbliche;Pag. 250
    l'attuale Governo ha più volte ribadito la sua continuità con l'operato dei Governi precedenti, operato che, unitamente agli effetti della crisi, ha ridotto il nostro Pil dal 2008 ad oggi di 230 miliardi (stima della Corte dei Conti), che ha portato lo stock del nostro debito dal 103 per cento del Pil, risultato raggiunto nel 2007 dal Governo Prodi, all'attuale 134 per cento, livello mai raggiunto, e che ha penalizzato i ceti popolari, riducendo i consumi, aumentando la disoccupazione, la povertà, nonché il divario tra una minoranza dei più abbienti e la maggior parte della popolazione, mentre la ripresa economica è al di là da venire;
    infatti, anche se si sostiene che «la situazione dell'economia comincia a migliorare, anche in conseguenza delle iniziative governative intraprese nei mesi scorsi», tutto ciò appare notevolmente distante dalla realtà;
    d'altronde, lo ammette la stessa Relazione del Governo sulle modifiche agli obiettivi programmatici di finanza pubblica (Doc. LVII-bis, n. 2), dove afferma che «la previsione di crescita annua contenuta del DEF (pari a –1,3 per cento) dovrà essere rivista verso il basso». Ancora una volta le previsioni governative, viziate dall'illusione che le politiche di austerità possano risultare espansive, sono erronee. La congiuntura favorevole significa solo un minore ritmo di contrazione dell'economia;
    nel novero delle economie europee, quella italiana presenta segni di maggiore affanno, con il Pil ancora contrassegnato dal segno meno dopo 8 trimestri consecutivi. Secondo l'ultima stima di Eurostat, nel secondo trimestre 2013 il Pil è cresciuto dello 0,3 per cento sia nell'Eurozona sia nella Ue-27, mentre in Italia si è avuto un –0,2 per cento. Beninteso, il dato complessivo dell'Eurozona e della Ue non dice che l'Europa è uscita dalla crisi in cui è piombata da più di un lustro ormai: ben altri ritmi dovrebbe avere la crescita per recuperare il terreno perduto e compensare i danni che stanno provocando le politiche di austerità. Nondimeno in un contesto che fa registrare qualche segnale di ripresa, l'Italia rimane al palo;
    ancora meno rassicuranti sono le stime che ha fornito recentemente l'Ocse: per il 2013 si prevede ulteriore contrazione della ricchezza nazionale (-1,8 per cento) in rapporto al 2012, che, come si sa, si chiuse con un vistoso calo del 2,4 per cento su base annua;
    sono preoccupanti anche i dati sull'occupazione, se è vero, come l'Istat rileva, che il tasso di disoccupazione è tornato al 12 per cento (un punto percentuale in più sulla media europea) e quello giovanile vicino al 40 per cento, in aumento del 4,3 per cento rispetto al 2012. Solo nell'ultimo anno i disoccupati sono aumentati di 325.000 unità. E in queste stime non si dà conto, in maniera disaggregata, della situazione drammatica, specifica, in cui versano tanti disoccupati con oltre 40 o 50 anni d'età, quelli che hanno perso il lavoro in età avanzata e sono ancora molto lontani dalla pensione, anche per effetto delle recenti «riforme» della previdenza che hanno sensibilmente aumentato l'età pensionabile;
    tale situazione critica del nostro apparato produttivo viene confermata anche dalla crescita del numero delle vertenze gestite dalla task force del Ministero dello sviluppo economico con circa 700 casi affrontati dall'inizio della crisi ad oggi e con altre 150 aziende in amministrazione controllata, casi che coinvolgono tutti i settori;
    colpisce anche la vera e propria epidemia che ha colpito la piccola e media impresa: le aziende che hanno chiuso battenti tra gennaio e marzo 2013 sono state ben 31.000. Un dato, come ha fatto rilevare recentemente Il Sole 24 Ore, peggiore addirittura rispetto al 2009, l'anno più buio della crisi, quando il saldo negativo si fermò intorno alle 30.000 unità;
    anche i consumi soffrono della crisi. L'ultima indagine Istat sul commercio al dettaglio mostra una diminuzione Pag. 251del 3 per cento a giugno rispetto all'anno precedente, la dodicesima consecutiva (si prevede un –2,2 per cento su base annua rispetto all'anno precedente). Un calo continuo, che non risparmia nemmeno i beni di primissima necessità, come gli alimenti ed i farmaci;
    una situazione così delicata che quantunque l'Italia agganciasse la flebile ripresa europea (per il 2014 è impensabile prevedere una ripresa superiore al punto di Pil), ciò sarebbe assolutamente insufficiente a mettere benzina nella sua economia. Per uscire da questa recessione prolungata, riparando pure i danni procurati dal combinato disposto di crisi e austerità, il nostro Paese dovrebbe crescere nei prossimi anni ad un tasso del 3-4 per cento almeno;
    per l'anno 2014 è del tutto illusorio ipotizzare una ripresa perfino superiore ad un punto di Pil;
    del tutto ingiustificato, dunque, l'ottimismo dimostrato dagli esponenti governativi, a seguito della chiusura della procedura di infrazione per deficit eccessivo, gravante sull'Italia dal 2009;
    i provvedimenti previsti dal decreto-legge n. 102 del 2013, si legge nella Relazione citata, «avranno un impatto favorevole sull'economia». In realtà, confermando la cancellazione della prima rata dell'Imu 2013, rinviando alla legge di stabilità la decisione sulla seconda rata e spostando sulla «service tax» il compito di sostituire l'Imu nel 2014, il Governo non ha solo ribadito la sua abilità nella tattica del rinvio, ma ha operato una ridistribuzione del carico fiscale che penalizza i giovani, i più poveri, i territori più in difficoltà;
    viene cancellata la prima rata dell'Imu 2013 per le abitazioni principali (e le pertinenze). Lo stesso accade per terreni agricoli e fabbricati rurali strumentali. Dall'intervento scaturisce una sforbiciata al gettito Imu del 2013 pari a 2.396,2 milioni;
    dal 2014 si introduce la «service tax»: si tratta non solo dell'ennesimo cambio di nome della stessa imposta, ma anche di uno spostamento del carico fiscale: da imposta pagata dai proprietari (cioè patrimoniale) come Ici e Imu, a imposta pagata da chi vive in una casa, cioè anche dagli inquilini;
    per finanziare l'abolizione dell'Imu prima casa anche per i proprietari che non avevano bisogno di questa agevolazione, si fa pagare agli inquilini una parte della futura service tax;
    inoltre, si rinuncia ad affrontare adeguatamente il disagio abitativo di chi è colpito da sfratto per morosità, in assenza di un mercato dell'affitto a prezzi sostenibili. Anzi si riducono le risorse destinate a questo scopo:
   le risorse per il Fondo sociale per l'affitto e per il Fondo per la morosità incolpevole, partiranno solo dal 2014 e si rivelano più esigue del previsto: 60 milioni per il primo e 40 milioni per il secondo, sono da ripartire tra il 2014 e il 2015. Forse a quella data, gli inquilini interessati avranno già perso la casa;
   il Fondo sociale per l'affitto quando fu istituito 15 anni fa, aveva una dotazione statale di 300 milioni di euro ed erogava un contributo medio annuo alle famiglie modenesi che copriva 6 mensilità di affitto;
   con lo stanziamento di soli 30 milioni di euro nel 2014 (e altri 30 milioni nel 2015) unitamente all'aumento esponenziale delle famiglie in disagio economico ed abitativo, il contributo annuo alle famiglie in difficoltà non potrà che essere insignificante;
    nel frattempo si abolisce l'unica imposta patrimoniale esistente in Italia. In linea generale, i motivi per la sopravvivenza di un'imposta patrimoniale sugli immobili c'erano e ci sono tutti. Peraltro lo chiederebbe anche la Costituzione che chiede di commisurare le tasse alla capacità contributiva. E non c’è dubbio sul fatto che chi possiede una casa ha maggiore Pag. 252capacità contributiva di chi non ce l'ha. Semmai è necessario discutere di come esentare una fascia di proprietari poveri, con scarso reddito: ma solo di questi, non di altri. Invece, l'Imu sulla prima casa è abolita per tutti (quest'anno la pagheranno solo i proprietari di ville e castelli);
    se si guarda alle generazioni le cose sono chiare: i giovani sono tutti inquilini o potenziali tali, salvo i figli delle famiglie con più di una casa. Tra gli under 30, la maggioranza è danneggiata dal decreto. Un'ulteriore conferma del fatto che la retorica giovanilista dispensata all'insediamento dal governo Letta era, appunto, retorica. E non basta certo, per riequilibrare i pesi, riavviare la macchina dei mutui a vita, con gli incentivi a indebitarsi per comprare casa: non tutti potranno farlo. Certo aiuterà i più grandi operatori del mercato immobiliare, che non sanno più a chi vendere gli smisurati quartieri che hanno costruito alle periferie delle nostre città;
    nel decreto 102/2013 è contenuto un altro regalo ai costruttori: sulle case nuove, costruite e invendute, non si pagherà l'Imu. Cioè i costruttori risparmieranno qualcosa come 35 milioni (nel complesso), a fronte di un patrimonio invenduto che si aggira sugli 1,5 miliardi (stime riportate dal Sole 24 ore del 29 agosto 2013);
    in sintesi: meno tasse sul patrimonio; più tasse sull'abitare; meno certezze sulle entrate dei Comuni; qualche incerto taglio di spese per coprire il mancato incasso della prima rata dell'Imu; rinvio per le coperture della seconda rata;
    il decreto 102/2013 conferma poi lo stanziamento di altri 500 milioni di euro per la cassa integrazione in deroga. Confermata inoltre la tutela per altri 6.500 esodati per una spesa complessiva di 151 milioni nel 2014; 164 nel 2015; 124 nel 2016; 85 nel 2017; 47 nel 2018 e infine 12 nel 2019: ai cassaintegrati ed agli esodati sono andate le briciole che restano dopo avere trovate le coperture per l'Imu;
    con questo decreto il Governo ha praticamente azzerato il fondo per l'occupazione, che finanziava per 650 milioni l'anno la decontribuzione degli aumenti salariali previsti da accordi di secondo livello. Il fondo era già stato falcidiato dalla legge di stabilità 2013 che sottraeva 150 milioni. Altri 250 milioni sono stati tolti dal fondo dai provvedimenti del Governo sulla sospensione della prima rata Imu e sul primo rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Gli ultimi 250 milioni sono stati stornati ora con questo decreto e le nuove norme sulla Cig e sull'eliminazione della prima rata Imu;
    i tagli per le coperture sono al fondo per l'occupazione (meno 250 milioni), alla manutenzione della rete ferroviaria, alla lotta all'evasione fiscale, alle energie rinnovabili ed alla sicurezza;
    anche le altre coperture, alcune delle quali del tutto incerte, sono inique:
   vengono ridotti di 20 milioni i finanziamenti per assumere nuovi ispettori da impegnare nel contrasto all'evasione fiscale, riduzione che si porta dietro altri 10 milioni che erano stati stanziati per incentivare la mobilità e le trasferte del personale impiegato nel contrasto all'evasione e alle frodi fiscali, al lavoro nero, al gioco clandestino;
   altri 300 milioni vengono prelevati dai 40 conti Mps dove erano state versate le risorse della Cassa conguaglio settore elettrico per finanziare l'efficienza energetica e le rinnovabili;
   ancora: 300 milioni vengono sottratti agli investimenti e alla manutenzione straordinaria della rete ferroviaria;
   vengono tagliati diversi capitoli di spesa per le assunzioni tra polizia, vigili del fuoco (erano state promesse 1.000 assunzioni per i pompieri) e forze armate. In tutto, 35 voci ministeriali ridotte per quasi un miliardo;
   è prevista una stretta sulla detraibilità delle Polizze Vita, con un aggravio per i contribuenti pari a 458,5 milioni di euro Pag. 253per l'anno 2014, a 661 milioni di euro per l'anno 2015 e a 490 milioni di euro a decorrere dall'anno 2016;
   viceversa è prevista una sanatoria per le società che gestiscono le slot machine che dovevano pagare 98 miliardi di euro di multe e sanzioni per non avere collegate le slot al cervellone dei Monopoli di Stato, cifra che prima è stata ridotta drasticamente dalla Corte dei Conti a circa 2,5 miliardi ed ora con l'attuale ulteriore mega sconto, dovranno pagare solo 600 milioni. Tra di loro anche società gestite da personaggi in odore di mafia;
    un elemento positivo è comunque la previsione di un ulteriore tranche di pagamento dei debiti degli enti locali nel corso del 2013 per ulteriori 7,2 miliardi;
    ma data l'incertezza, in particolare di questi pagamenti e dell'adesione delle società concessionarie dei giochi alla sanatoria prevista, si è dovuti ricorrere ad una clausola di salvaguardia che autorizza il Governo ad aumentare l'importo degli acconti Ires e Irap e delle accise per complessivi 1,5 miliardi di euro. A novembre, dunque, saranno possibili aumenti degli acconti Ires ed Irap e delle accise;
    il decreto ha fatto, dunque, un grosso favore ai ricchi ed alla rendita, distribuito un po’ di risorse del tutto insufficienti ai cassintegrati in deroga ed a poche migliaia di «esodati», mentre ha aumentato la pressione fiscale a carico dei ceti popolari;
    se la politica del Governo dovesse continuare su questa impostazione con la legge di stabilità ed i provvedimenti collegati la situazione economico-sociale non potrebbe che peggiorare;
    nell'ambito dell'attuale crisi economica ed occupazionale non è pensabile una nuova manovra economica pesantemente recessiva, al contrario servono scelte coraggiose che permettano al nostro paese, in tempi brevi, di ridare slancio alla crescita, di alleggerire la pressione fiscale sul lavoro; serve un insieme di misure organiche di politica economica che superino le politiche di austerity a favore di interventi ed investimenti di sostegno alla domanda, al lavoro, ai redditi, alla lotta alla povertà, quali:
   un vero e proprio Piano per il Lavoro per il prossimo triennio fondato su una politica di investimenti pubblici, di sostegno alle imprese, la riconversione ecologica dell'economia, la promozione di un piano straordinario di «piccole opere», di sostegno al welfare;
   una diversa politica fiscale che alleggerisca la pressione sul lavoro e le imprese e colpisca maggiormente le rendite finanziarie e i grandi patrimoni e la speculazione finanziaria sulla base di una più incisiva imposta sulle transazioni finanziarie;
   una politica di contenimento della spesa pubblica, riducendo i finanziamenti per le «infrastrutture strategiche» (grandi opere), gli investimenti nei sistemi d'arma (in particolare gli F35), i sussidi alle scuole private;
   una rinnovata politica industriale fondata sugli investimenti in innovazione e ricerca, nella green economy, nelle produzioni e consumi sostenibili nella direzione di un nuovo modello di sviluppo;
   una politica di investimenti nella formazione, conoscenza e nella ricerca, aumentando le risorse per la scuola e l'università, combattendo la dispersione e l'abbandono scolastico;
   la previsione di obiettivi più stringenti e adeguati a quello che ci viene chiesto a livello comunitario nell'ambito della realizzazione della strategia «Europa 2020», obiettivi che nel DEF 2013 sono indicati al ribasso e che devono essere rivisti verso l'alto;
   prevedere un organico piano di investimenti nel welfare che preveda l'introduzione del reddito di cittadinanza, l'introduzione dei Livelli Essenziali di Assistenza (LIVEAS) previsti dalla legge n. 328/2000, un piano straordinario per gli asili nido pubblici su tutto il territorio;Pag. 254
   valutato altresì che:
    anche a seguito dell'uscita dell'Italia dalla procedura di infrazione per deficit eccessivo, la preoccupazione apparentemente prevalente della Commissione europea è rivolta a favorire la crescita economica e le riforme di struttura ritenute necessarie a promuoverla. Tuttavia, le condizioni di equilibrio finanziario vengono ancora evocate come vincolo necessario ed ineludibile, sebbene sia riconosciuto che le sole politiche di bilancio non siano uno strumento sufficiente per favorire la crescita del prodotto interno lordo;
    la Commissione non tiene in conto adeguato quanto recentemente dichiarato dallo stesso FMI nel suo ultimo rapporto sull'Europa, nel quale vengono riconosciuti gli errori e le contraddizioni delle politiche di austerità perseguite dalle autorità internazionali nel corso della crisi del debito sovrano della Grecia, che hanno finito per alimentare la spirale recessiva e creato nuove e spaventose condizioni di povertà diffusa nel Paese ellenico;
    i dati diffusi sulla disoccupazione nella UE nel primo trimestre 2013, che segnalano la cifra impressionante di 26.5 milioni di persone disoccupate o inoccupate, mentre la disoccupazione giovanile è arrivata alla soglia stratosferica di 5,7 milioni unità, non sembrano produrre alcun cambio in questa impostazione generale di politica economica e sociale;
    nella visione ideologica della Commissione Europea, la crisi in atto, definita sia ciclica sia strutturale, può essere affrontata esclusivamente in chiave di equilibrio di bilancio e solo un rientro dagli eccessi di debito pubblico e privato può permettere all'economia della zona Euro di rincamminarsi lungo un percorso di crescita sostenibile, innanzitutto continuando a tagliare il «troppo costoso» modello sociale europeo;
    le raccomandazioni della Commissione Europea, in coerenza con l'impostazione del Six Pack, attribuiscono obiettivi quantitativi e precise procedure sanzionatorie solo per gli obiettivi di finanza pubblica, mentre per le politiche finalizzate a prevenire l'insorgenza di squilibri macroeconomici prevedono solo un meccanismo di allerta e valori-soglia privi di valore tassativo e di procedure di enforcement, con l'eccezione del fiscal compact;
    il quadro di finanza pubblica delineato nel DEF 2013 (predisposto dal Governo Monti, fatto proprio dal Governo Letta e recepito dalla Commissione Europea) non sembra lasciare alcuno spazio significativo di manovra a politiche anticicliche, di crescita economica e contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, limitandosi a proiettare la filosofia dell'austerità anche nel triennio prossimo venturo, impegnandosi alla realizzazione di un disavanzo strutturale dello 0,4 per cento del Pil nel 2014 ed al pareggio di bilancio strutturale nel 2015-2016 e basandosi su previsioni di crescita del Pil del tutto irrealistiche nel 2014-2016 (+1,3 per cento / +1,5 per cento);
    in assenza di rinegoziazioni dei Trattati e di radicali cambi di strategia nella politica di bilancio, il problema del «commissariamento» dell'Italia via procedure d'infrazione e sanzioni è quindi solo rinviato nel tempo;
    in senso opposto, l'indispensabile rinegoziazione della cosiddetta «golden rule» (vale a dire lo scorporo degli investimenti dal calcolo del vincolo di deficit del 3 per cento) potrebbe rappresentare una leva significativa se consegnata alla sovranità del Parlamento nazionale, sebbene ancora insufficiente se collegata solo a programmi co-finanziati dai fondi strutturali europei. Lo shock di domanda aggregata necessario per riattivare un processo di crescita virtuoso si colloca nell'ordine di almeno 40-50 miliardi, quindi 4-5 volte più ampia di quella determinata dai soli programmi cofinanziati dai fondi strutturali europei;
    la leva fiscale dovrebbe inoltre essere manovrata con la finalità prevalente di favorire la ripresa della domanda per consumi (attraverso sostanziali aumenti Pag. 255del reddito disponibile delle famiglie) e per investimenti (attraverso incentivi al reinvestimento degli utili) oltre al consolidamento della struttura produttiva con interventi mirati specificamente ad incentivare la crescita della dimensione d'impresa;
    l'attuale crisi di sistema comporta la necessità di proporre un nuovo modello socioeconomico ove gli obiettivi da perseguire per la costruzione di un'Europa equa e giusta devono valicare il confine della pur necessaria promozione della stabilità finanziaria e della crescita economica ed incentrarsi anche e soprattutto su una rimodulazione del concetto di solidarietà e di comunità da applicarsi alle relazioni tra i paesi membri;
    i programmi dell'Unione sottolineano l'importanza dell'integrazione ma impongono politiche di austerità che la rendono difficile, mentre la costruzione di un concetto giusto di «Europa» dovrebbe porre al suo centro la solidarietà tra le diverse espressioni socio/culturali europee essendo questo il presupposto necessario allo sviluppo di ogni politica volta alla realizzazione della stabilità finanziaria e della crescita economica;
  delibera di

RIFERIRE IN SENSO CONTRARIO.

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ALLEGATO 5

DL 102/2013: Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici (C. 1544 Governo).

PARERE APPROVATO DALLA COMMISSIONE

  La XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea),
   esaminato il testo del decreto-legge n. 102 del 2013 recante Disposizioni urgenti in materia di IMU, di altra fiscalità immobiliare, di sostegno alle politiche abitative e di finanza locale, nonché di cassa integrazione guadagni e di trattamenti pensionistici (C. 1544 Governo);
   rilevato che il provvedimento in oggetto reca disposizioni di natura fiscale, stabilendo l'abolizione definitiva per il 2013 della prima rata IMU per le abitazioni principali e per altre categorie di immobili, introducendo misure per riattivare il circuito del credito e mettere in moto politiche abitative attraverso il sostegno ai mutui meritevoli di intervento sociale e la riduzione della cedolare secca, prevedendo un incremento di 7 miliardi di euro per il pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni alle imprese, nonché provvedendo al rifinanziamento degli ammortizzatori sociali e all'adozione di ulteriori misure di salvaguardia in materia di trattamenti pensionistici;
   ricordato che il Consiglio Europeo del marzo 2012, sottolineando l'insufficienza degli sforzi comuni per dare seguito alla strategia «Europa 2020», ha evidenziato, tra i possibili interventi per il rilancio della strategia per il lavoro e la crescita, la riforma dei sistemi tributari, in modo da renderli più efficaci ed efficienti, l'eliminazione delle esenzioni ingiustificate, l'ampliamento della base imponibile, il contrasto alla frode e all'evasione fiscale, l'alleggerimento dell'onere fiscale sul lavoro e un più deciso contrasto dell'economia sommersa e dell'evasione;
   richiamata altresì l'Analisi annuale della crescita 2013, nella quale la Commissione europea ha affermato che gli Stati membri dovrebbero invertire la tendenza in corso, puntando a «spostare l'onere fiscale complessivo verso basi imponibili meno nocive per la crescita e la creazione di posti di lavoro»; allo stesso tempo, gli Stati membri dovrebbero rendere i sistemi tributari «più efficienti, competitivi ed equi»;
   con specifico riferimento all'Italia, il punto 5 delle raccomandazioni del Consiglio sul programma nazionale di riforma 2013 chiede esplicitamente il varo di una riforma fiscale per trasferire il carico da lavoro e capitale ai consumi, beni immobili e ambiente. Inoltre, l'Italia dovrebbe condurre una lotta incisiva all'evasione fiscale, all'economica sommersa e al lavoro irregolare;
   auspicato che, dopo l'approvazione del provvedimento in esame, si possa realizzare in tempi brevi un intervento di più ampia portata, per una riforma fiscale neutra in termini di gettito e di natura strutturale e complessiva, tale da realizzare un incisivo spostamento del carico fiscale dal lavoro, per favorire l'occupazione e la lotta all'evasione fiscale, in linea con le indicazioni dell'Unione europea;Pag. 257
   sottolineato altresì che il decreto-legge in esame mantiene e aggrava il tributo della TARES che – per entità e modalità di riscossione – rischia di mettere in difficoltà, oltre alle famiglie, anche le piccole e medie imprese;
   rilevata in proposito l'opportunità che sia avviata dal Parlamento e dal Governo una riforma complessiva della disciplina relativa ai tributi locali, volta a razionalizzare e rendere più equo il sistema e a tutelare cittadini, famiglie e imprese;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

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ALLEGATO 6

DL 104/2013: Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca (C. 1574 Governo).

PROPOSTA DI PARERE FORMULATA DAL RELATORE

  La XIV Commissione (Politiche dell'Unione europea),
   esaminato il disegno di legge C. 1574 Governo «DL 104/2013: Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca»;
   ricordato che il decreto-legge reca disposizioni per gli studenti e le famiglie, disposizioni per le scuole – per il relativo personale, nonché per le Istituzioni di alta formazione e specializzazione artistica e musicale – e altre disposizioni, riguardanti, in particolare, università, alta formazione e specializzazione artistica e musicale, ricerca;
   richiamate le disposizioni di cui agli articoli 165 e 166 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), che stabiliscono che l'Unione contribuisce allo sviluppo di un'istruzione e di una formazione professionale di qualità incentivando la cooperazione tra Stati membri e sostenendo ed integrando la loro azione, nel rispetto della responsabilità dei singoli Stati quanto al contenuto dell'insegnamento e all'organizzazione del sistema di istruzione e formazione e che l'azione dell'Unione in materia di istruzione si esplica attraverso la fissazione di obiettivi comuni e lo scambio di buone pratiche fra Stati membri, nonché attraverso il finanziamento di programmi volti al perseguimento degli obiettivi fissati;
   evidenziato come le misure recate dal provvedimento si collochino nel quadro dei principi e degli indirizzi definiti dall'Unione europea in materia di istruzione e formazione;
   ricordato in particolare che il 28 giugno 2011 il Consiglio ha adottato una raccomandazione sulle politiche di riduzione dell'abbandono scolastico e che il contrasto della dispersione scolastica figura tra le priorità della Strategia Europa 2020, con l'obiettivo di ridurre i tassi di abbandono precoce dei percorsi di istruzione della popolazione tra 18 e 24 anni al di sotto del 10 per cento (l'obiettivo nazionale per l'Italia è pari al 15-16 per cento); il Consiglio, nelle sue conclusioni di marzo 2013, è intervenuto sul tema «Investire in istruzione e formazione» invitando gli Stati membri, nel rispetto del principio di sussidiarietà, a intensificare gli sforzi per prevenire la dispersione scolastica;
   richiamata la proposta di raccomandazione della Commissione europea «Garanzia per il giovani», fatta propria dal Consiglio il 22 aprile 2013, per assicurare ai giovani fino a 25 anni di età un'offerta di lavoro, di prosecuzione dell'istruzione scolastica, di apprendistato o di un tirocinio di qualità elevata (COM(2013)729). Al fine di dare concreta attuazione alla raccomandazione, la Commissione ha presentato la comunicazione «Lavorare insieme per i giovani d'Europa – Invito ad agire contro la disoccupazione giovanile» in cui sono elencate le azioni proposte dalla Commissione per combattere la disoccupazione giovanile;
   ricordato altresì che la Strategia Europa 2020, per quanto riguarda la lotta alla disoccupazione giovanile, prevede l'iniziativa prioritaria «Youth Opportunities Pag. 259Initiative» volta a promuovere l'apprendistato e i tirocini per i giovani e ad aiutare coloro che hanno abbandonato la scuola o un percorso formativo ad acquisire le competenze necessarie a trovare un lavoro;
   evidenziata la Comunicazione della Commissione europea del 20 novembre 2012 «Ripensare l'istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici» (COM(2012)669), ove si ritiene prioritario lo sfruttamento pieno delle tecnologie, in particolare di internet, nel settore dell'istruzione, con un ammodernamento delle infrastrutture di tecnologia dell'informazione a disposizione delle scuole;
   rilevato che la revisione e il rafforzamento del profilo professionale di tutte le professioni dell'insegnamento figurano tra le priorità indicate dalla Commissione nella citata comunicazione del novembre 2012; a tal fine si prevedono un riesame dell'efficacia e della qualità accademica e pedagogica della formazione iniziale degli insegnanti, l'introduzione di sistemi coerenti e dotati di risorse adeguate per la selezione, il reclutamento, l'inserimento e lo sviluppo professionale del personale docente e il rafforzamento della competenza digitale degli insegnanti, lo sviluppo di regolari verifiche della performance degli insegnanti;
   evidenziata la necessità – anche con riferimento ai contenuti dell'articolo 1 del decreto-legge, che autorizza la spesa di 15 milioni di euro per l'anno 2014 per l'attribuzione di contributi e benefici a favore degli studenti delle scuole secondarie di primo e secondo grado in possesso di requisiti inerenti merito, esigenza di servizi di ristorazione o trasporto, condizione economica – di adoperarsi affinché sia pienamente garantito l'esercizio del diritto allo studio anche a livello universitario, destinando fondi adeguati a garantire borse di studio e strutture di accoglienza per gli studenti che non hanno le opportunità economiche per sostenere i costi dell'università, valutando tra questi i più meritevoli;
   sottolineata quindi l'opportunità – con riferimento alle disposizioni recate dall'articolo 15 del provvedimento, che prevede la definizione di un piano triennale 2014-2016 per l'assunzione a tempo indeterminato di personale docente, educativo e ATA, nonché la rideterminazione della dotazione organica di diritto relativa ai docenti di sostegno e l'autorizzazione all'assunzione di ulteriori unità di personale a decorrere dall'a.s. 2013/2014 – di procedere quanto prima alla copertura di tutte le cattedre vacanti, prevedendo la stabilizzazione del maggior numero di docenti precari e l'inserimento in organico nella scuola di nuove figure professionali (psicologi, pedagogisti, tutor specialisti nella gestione di disabilità gravi), anche a tal fine destinando investimenti in formazione in itinere qualificata per i docenti, orientata alle best practice in Italia e in Europa;
   con riferimento infine alle disposizioni di cui all'articolo 7, laddove si prevede che nell'a.s. 2013/2014 sia avviato in via sperimentale un programma di didattica integrativa finalizzato ad evitare la dispersione scolastica, sia garantito che le risorse a tal fine stanziate si collochino nel quadro di un progetto di ampio respiro, che destini adeguate risorse per gli istituti che hanno risultati qualitativi più bassi; ciò al fine di elevare lo standard qualitativo del sistema scuola italiano ed evitare di penalizzare i territori con maggior disagi sociali ed economici;
  esprime

PARERE FAVOREVOLE.

Pag. 260