CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 5 giugno 2012
660.
XVI LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Politiche dell'Unione europea (XIV)
COMUNICATO
Pag. 282

SEDE REFERENTE

  Martedì 5 giugno 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 14.05.

Legge comunitaria 2012.
C. 4925 Governo.

(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 30 maggio 2012.

  Mario PESCANTE, presidente, ricorda che nella seduta dello scorso 30 maggio, in occasione della valutazione di ammissibilità delle proposte emendative presentate, ha precisato che sono stati seguiti in questa occasione criteri ancora più rigorosi e selettivi di quelli già consolidatisi nella legislatura in corso in relazione ai disegni di legge comunitaria. Si è infatti ritenuto di valutare non soltanto se gli interventi normativi prospettati con gli emendamenti fossero riconducibili a materie oggetto di specifiche disposizioni legislative europee, sentenze della Corte di giustizia ovvero a contestazioni avanzate dalla Commissione europea mediante procedure di infrazione o casi EU Pilot ma di Pag. 283verificare anche se tali interventi non fossero palesemente inadeguati o incongrui rispetto alle disposizioni da attuare o alle contestazioni mosse all'ordinamento italiano.
  L'applicazione di questo più rigoroso criterio di ammissibilità discende dall'esigenza di evitare che l'esame del disegno di legge comunitaria sia ritardato dalla discussione di emendamenti su materia complesse e controverse, non strettamente volti ad adempiere obblighi scaduti o in scadenza, pregiudicando il tempestivo recepimento delle direttive contenute in allegato al disegno di legge.
  Nella medesima seduta, l'onorevole Pini ha chiesto alla Presidenza di rivedere il giudizio di inammissibilità espresso sull'articolo aggiuntivo 7.07 Fava, Pini, Rainieri.
  A tale proposito intende innanzitutto ricordare che la direttiva 31/2000 all'articolo 15, comma 1, esclude in capo al prestatore di servizi della società dell'informazione (internet service provider – ISP) un obbligo generale di sorveglianza, nonché un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite; all'articolo 15, comma 2, la direttiva prevede inoltre che gli «Stati membri possono stabilire che i prestatori di servizi della società dell'informazione siano tenuti a comunicare alle autorità competenti, a loro richiesta, informazioni che consentano l'identificazione dei destinatari dei loro servizi con cui hanno accordi di memorizzazione dei dati».
  Conformemente a quanto previsto dalla direttiva, il legislatore italiano con decreto legislativo n. 70 del 2003, all'articolo 17, comma 1, stabilisce che il prestatore non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza, e al comma 2, lettera b) impone al prestatore l'obbligo di «fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l'identificazione del destinatario dei suoi servizi con cui ha accordi di memorizzazione dei dati, al fine di individuare e prevenire attività illecite».
   Le sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione Europea nei casi Oreal vs eBay (luglio 2011) e Scarlet vs Sabam (novembre 2011), citate dai proponenti nella motivazione dell'articolo aggiuntivo 7.07, si limitano ad interpretare la direttiva 31/2000, confermando l'assenza di un obbligo generale di sorveglianza da parte dei Fornitori di Accesso ad Internet, riconoscendo, altresì, la facoltà per gli Stati membri di prevedere nella normativa interna alcuni obblighi specifici a carico del prestatore di servizi della società dell'informazione.
  L'intervento proposto dall'articolo aggiuntivo 7.07 intende modificare la disciplina vigente (articoli 16 e 17 del decreto legislativo 70/2003), introducendo ulteriori previsioni, che pur inquadrandosi nelle facoltà previste dalla direttiva, come interpretata dalla Corte di Giustizia UE, non sono necessarie a dare corretta attuazione alla direttiva, in ordine alla quale, peraltro, non sono state notificate procedure di infrazione a carico dell'Italia, né sono state pronunciate sentenze di condanna.
  L'articolo aggiuntivo 7.07 non è stato ritenuto ammissibile con riferimento alla legge comunitaria, in quanto, in coerenza con l'articolo 9 della legge n. 11 del 2005, la legge comunitaria è lo strumento con cui lo Stato italiano procede all'adeguamento della normativa italiana che sia in contrasto con l'ordinamento comunitario e/o che necessiti di modifiche o integrazioni, anche sulla base dell'accertamento con sentenza della incompatibilità di norme legislative e regolamentari dell'ordinamento giuridico nazionale.
  Nessuna delle condizioni sopracitate ricorrono nell'articolo aggiuntivo 7.07, posto che la normativa interna già recepisce pienamente il dettato della normativa dell'UE e che le sentenze citate prevedono la mera facoltà per gli Stati membri – non l'obbligo – di introdurre previsioni più restrittive rispetto a quelle europee in materia di obblighi specifici a carico dei prestatori di servizi (ISP).
  Per tali motivi conferma la valutazione di inammissibilità dell'articolo aggiuntivo 7.07 già formulato.
  Ricorda che nella medesima seduta del 30 maggio l'onorevole Pini ha anche contestato Pag. 284le valutazioni di inammissibilità formulate con riferimento all'articolo aggiuntivo 7.016 – a sua firma – e agli identici articoli aggiuntivi 7.01 Lanzillotta, 7.018 Formichella e 7.020 Porcino, volti ad escludere il servizio di posta massiva dal servizio universale. A tale proposito intende ribadire che essi non danno attuazione a specifici obblighi normativi o giurisprudenziali derivanti dall'ordinamento dell'UE.
  Va al riguardo rilevato che la sentenza della Corte di giustizia del 23 aprile 2009 nella causa C-357/07, espressamente richiamata nel testo dell'emendamento 7.016, fornisce una interpretazione di servizio pubblico postale esclusivamente ai fini dell'applicazione della esenzione dall'IVA prevista dall'articolo 132, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2006/112/CE, relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.
  In particolare, la sentenza precisa che detta esenzione è applicabile soltanto alle prestazioni di servizi e alle cessioni di beni ad esse accessori che i servizi pubblici postali effettuano in quanto tali, vale a dire a titolo della loro qualità di operatore che si obbliga a garantire in uno Stato membro la totalità o una parte del servizio postale universale. L'esenzione IVA, pertanto, non si applica alle prestazioni di servizi né alle cessioni di beni accessori a dette prestazioni le cui condizioni siano state negoziate individualmente.
  Le modifiche prospettate dagli articoli aggiuntivi 7.01, 7.020. 7.018 e a 7.016 non sono, tuttavia, intese a precisare, in coerenza con la sentenza, il regime IVA applicabile alle prestazioni di servizi postali, ed in particolare agli invii di posta massiva, ma incidono sulla più ampia definizione di servizio postale universale di cui all'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261.
  La modifica normativa prospettata dagli emendamenti 7.01, 7.020. 7.018 e 7.016 risulta, pertanto, per le finalità, la portata e gli effetti perseguiti, ultronea rispetto all'adeguamento al principio interpretativo affermato, con riguardo alla sola disciplina IVA, nella sentenza della Corte di giustizia sopra richiamata.
  Anche in questo caso, permane la valutazione di inammissibilità degli articoli aggiuntivi 7.016 – a sua firma – e degli identici articoli aggiuntivi 7.01 Lanzillotta, 7.018 Formichella e 7.020 Porcino.

  Marco MAGGIONI (LNP) prende atto delle motivazioni addotte dalla Presidenza con riferimento al giudizio di inammissibilità sull'articolo aggiuntivo 7.07, che potranno essere oggetto di valutazione da parte dei firmatari della proposta emendativa.
  Si limita in questa sede a esprimere dissenso sui criteri generali di ammissibilità enunciati dal Presidente Pescante, laddove afferma che l'applicazione del più rigoroso criterio di ammissibilità discende dall'esigenza di evitare che l'esame del disegno di legge comunitaria sia ritardato dalla discussione di emendamenti su materia complesse e controverse. Ritiene che l'esigenza di non affrontare questioni di particolare complessità e delicatezza politica non possa in alcun modo essere adottata quale discrimine in ordine all'ammissibilità o meno di una proposta emendativa. Si tratta a suo avviso di una posizione che rischia di incidere sulle prerogative proprie della XIV Commissione e dell'Assemblea.
  Segnala a tale proposito che le difficoltà che incontra al Senato l'esame del disegno di legge comunitaria per il 2011, con particolare riguardo all'articolo 25 riguardante la responsabilità civile dei giudici, non derivano dal livello di complessità della materia affrontata, quanto dalla coesione o meno della maggioranza sull'argomento.

  Mario PESCANTE, presidente, ribadisce che il criterio in precedenza enunciato non fa riferimento agli emendamenti su materia complesse e controverse tout court, ma a quelli non strettamente volti ad adempiere obblighi scaduti o in scadenza.

Pag. 285

  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.20.

SEDE CONSULTIVA

  Martedì 5 giugno 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 14.20.

Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense.
C. 3900 e abb., approvato dal Senato.

(Parere alla II Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Mario PESCANTE, presidente, intervenendo in sostituzione del relatore, onorevole Formichella, ricorda che la Commissione dovrebbe esprimersi entro la corrente settimana, poiché l'inizio dell'esame del provvedimento in Assemblea è previsto già a partire da lunedì 11 giugno.
  Desidera segnalare che si tratta di un testo che merita adeguato approfondimento, anche per quanto concerne i profili di competenza della XIV Commissione, come peraltro evidenziato nella documentazione predisposta dagli uffici. Un dibattito idoneo potrà svolgersi alla presenza del relatore, già nella seduta di domani, anche tenendo conto delle modifiche che saranno apportate dalla Commissione Giustizia, presso la quale sono stati depositati più di 700 emendamenti.
  Illustra quindi i contenuti del provvedimento, limitandosi alla descrizione del contenuto dell'articolato, che reca la riforma organica della disciplina della professione di avvocato.
  Ricorda che l'attuale disciplina della materia è principalmente contenuta nel regio decreto-legge 1578/1933 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), e nel relativo provvedimento attuativo (regio decreto 37/1934). L’iter delle proposte di legge confluite nel testo unificato approvato in prima lettura dal Senato il 23 novembre 2010 era iniziato il 4 febbraio 2009.
  I principali profili di novità contenuti nel testo consistono nei seguenti: l'inserimento tra le attività riservate in esclusiva agli avvocati delle attività di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale (articolo 2); la nuova disciplina delle società tra avvocati e, in particolare delle società multidisciplinari (articolo 4); la figura dell'avvocato specialista (articolo 8); l'obbligo di formazione continua (articolo 10); l'obbligo di assicurazione per la responsabilità civile (articolo 11); la vincolatività dei minimi tariffari e il sostanziale ripristino del divieto del patto di quota lite (articolo 12); l'obbligo di esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, pena la cancellazione dall'albo (articolo 20); la nuova e più rigorosa disciplina del tirocinio professionale e del regime di incompatibilità per il praticante; le modifiche alla disciplina del procedimento disciplinare, anche sotto il profilo degli organi competenti (articoli 49-62).
  Più in dettaglio il provvedimento è composto di sei titoli per un totale di 66 articoli.
  Il Titolo I (articoli 1-13) reca disposizioni generali. L'articolo 1 delinea in termini generali il contenuto della riforma della professione di avvocato e demanda la sua attuazione a regolamenti ministeriali. L'articolo 2 individua il contenuto della professione, inserendo tra le attività riservate in esclusiva agli avvocati le attività di consulenza legale e assistenza legale stragiudiziale. L'articolo 3 elenca i doveri dell'avvocato ed i principi cui deve ispirarsi la sua attività; esso inoltre determina in termini generali il contenuto del codice deontologico, rimettendo ad un decreto ministeriale le modalità di pubblicazione e di accesso al medesimo. L'articolo 4 interviene in materia di esercizio della professione forense in forma associata o societaria. Esso, in particolare ammette le Pag. 286società e le associazioni multidisciplinari tra professionisti e conferma, invece, il divieto di costituire società di capitali per lo svolgimento di attività forense. L'articolo 5 impone all'avvocato e ai suoi collaboratori l'osservanza del dovere di riservatezza e del segreto professionale. L'articolo 6 dispone in ordine al domicilio professionale dell'avvocato (determinante per individuare l'albo professionale al quale lo stesso dovrà iscriversi) e prevede la pubblicazione da parte degli ordini professionali dell'elenco degli indirizzi di posta elettronica comunicati dagli avvocati iscritti. L'articolo 7 modifica la formula del giuramento da parte dell'avvocato, prevedendo altresì che esso sia prestato innanzi al Consiglio dell'ordine, piuttosto che agli organi giudiziari. L'articolo 8 introduce le specializzazioni; l'avvocato potrà indicare il titolo di specialista in vari rami del diritto, senza che questo comporti riserva di attività professionale, dopo aver seguito scuole e corsi di formazione di durata non inferiore a due anni e dopo aver superato un apposito esame presso il CNF. Una volta conseguito il titolo, l'avvocato potrà conservarlo solo curando il proprio costante aggiornamento. L'articolo 9 interviene in materia di pubblicità professionale, dettando alcuni principi di ordine generale e rimettendo al CNF la determinazione dei criteri concernenti le modalità delle informazione e della comunicazione. L'articolo 10 introduce per gli avvocati (salvo alcune categorie specificamente indicate) l'obbligo di costante aggiornamento professionale secondo regole che dovranno essere stabilite dal CNF. L'articolo 11 introduce anche per gli avvocati l'obbligo di assicurarsi per la responsabilità civile derivante dall'esercizio della professione. L'articolo 12 interviene sulla materia delle tariffe professionali, reintroducendo la vincolatività dei minimi tariffari e il divieto del patto di quota-lite. L'articolo 13 interviene in tema di mandato professionale e di sostituzioni e collaborazioni, sancendo in particolare la natura personale dell'incarico e della responsabilità dell'avvocato, anche nel caso di sostituzione o di società o associazione professionale.
  Il Titolo II (articoli 14-22) disciplina gli albi, gli elenchi e i registri. L'articolo 14 indica gli albi, elenchi e registri che devono essere istituiti da parte dei Consigli dell'ordine, rinviando ad un regolamento del Ministro della giustizia le modalità applicative per la tenuta e l'aggiornamento dei medesimi; sulla base di tali albi ed elenchi il CNF annualmente redige l'elenco nazionale degli avvocati. L'articolo 15 novella le disposizioni di attuazione e coordinamento del codice di procedura penale in tema di elenco dei difensori d'ufficio, intervenendo sui requisiti richiesti per l'iscrizione nell'elenco. L'articolo 16 disciplina l'iscrizione nell'albo degli avvocati e nel registro dei praticanti, dettando procedure specifiche per il caso di avvocati provenienti da altri Stati membri dell'UE o di avvocati extra-comunitari; la disposizione disciplina anche la procedura per l'eventuale cancellazione e reiscrizione all'albo. L'articolo 17 disciplina il regime delle incompatibilità con l'esercizio della professione di avvocato, confermando, in particolare, relativamente ai lavoratori dipendenti, il divieto di iscrizione all'albo anche nel caso di attività part-time. L'articolo 18, in deroga a tale disciplina, prevede la compatibilità della professione di avvocato con l'insegnamento di materie giuridiche nelle scuole secondarie e nelle università, con i limiti stabiliti dall'ordinamento universitario per i docenti e i ricercatori a tempo pieno. L'articolo 19 disciplina la sospensione dall'esercizio dell'attività professionale su richiesta dell'avvocato o per lo svolgimento di alcune funzioni pubbliche e per la durata della carica. L'articolo 20 richiede all'avvocato l'esercizio effettivo, continuativo, abituale e prevalente della professione, pena la cancellazione dall'albo, e rinvia ad un regolamento ministeriale, previo parere del CNF, la definizione delle modalità di accertamento di tali requisiti. L'articolo 21 disciplina il patrocinio innanzi alle giurisdizioni superiori, prevedendo l'iscrizione nel relativo albo a seguito del superamento Pag. 287di un esame o della frequenza, valutata positivamente, della Scuola superiore dell'avvocatura. L'articolo 22 prevede l'iscrizione obbligatoria in un elenco speciale per gli avvocati degli uffici legali specificatamente istituiti presso gli enti pubblici; a tali soggetti deve essere assicurata la piena autonomia e indipendenza da ogni altro ufficio nella trattazione degli affari legali dell'ente e un trattamento economico adeguato alla funzione professionale svolta.
  Il Titolo III (articoli 23-37) disciplina gli organi e le funzioni degli ordini forensi. L'articolo 23 disciplina l'ordine forense, costituito dall'insieme degli iscritti negli albi degli avvocati, prevedendo la sua articolazione nel CNF e negli ordini circondariali. L'articolo 24 dispone in ordine agli ordini circondariali, ai quali è attribuita in via esclusiva la rappresentanza istituzionale dell'Avvocatura a livello locale; gli ordini circondariali hanno sede presso ciascun tribunale (l'ordine circondariale di Roma presso la Corte di cassazione). L'articolo 25 individua gli organi degli ordini circondariali e degli ordini circondariali del distretto. In base all'articolo 26, gli avvocati iscritti all'albo circondariale ed agli elenchi speciali costituiscono l'assemblea degli iscritti, organo al quale spettano, oltre che funzioni consultive, anche l'elezione dei componenti del consiglio e l'approvazione dei bilanci. L'articolo 27 interviene in materia di consigli dell'ordine, individuandone il numero di componenti, fissandone in 4 anni la durata in carica, rinviando ad un regolamento attuativo la disciplina di dettaglio delle modalità di elezione e stabilendone l'articolazione interna. L'articolo 28 interviene in materia di funzioni dei consigli dell'ordine; le novità più rilevanti riguardano la sottrazione a tali organi della competenza disciplinare e l'attribuzione ai medesimi di compiti ulteriori, legati in particolare alla formazione degli avvocati e ai requisiti dell'esercizio dell'attività professionale. L'articolo 29 disciplina il collegio dei revisori, composto da avvocati iscritti al registro dei revisori contabili nominati dal presidente del Tribunale. L'articolo 30 prevede che i consigli dell'ordine con almeno 9 componenti possano anche funzionare per commissioni. L'articolo 31 introduce ulteriori ipotesi di scioglimento dei consigli dell'ordine e prevede che lo scioglimento sia disposto su proposta del CNF e previa diffida al consiglio. L'articolo 32 interviene in materia di Consiglio nazionale forense, prolungandone la durata, incidendo sul numero dei componenti e disciplinandone le modalità di elezione. L'articolo 33 elenca le funzioni attribuite al Consiglio nazionale forense; si tratta di funzioni di rappresentanza e di vertice dell'avvocatura, di natura normativa, consultive, di proposta e giurisdizionali. L'articolo 34 disciplina l'esercizio della funzione giurisdizionale da parte del CNF, delineando sommariamente il procedimento e rinviando alle disposizioni contenute nel regolamento attuativo della legge professionale (regio decreto 37/1934). L'articolo 35 detta ulteriori disposizioni in materia di competenza giurisdizionale del CNF, affida il controllo contabile e di gestione al collegio dei revisori e prevede lo svolgimento dell'attività non giurisdizionale del CNF anche attraverso l'istituzione di commissioni di lavoro. L'articolo 36 prevede l'eleggibilità al CNF degli avvocati iscritti all'albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, che non abbiano subito, nei 5 anni precedenti, una sanzione disciplinare più grave dell'avvertimento, e disciplina le incompatibilità. L'articolo 37 introduce un ulteriore organo, il Consiglio nazionale forense, al quale spetta la formulazione di proposte in tema di giustizia, diritti fondamentali dei cittadini e professione forense.
  Il Titolo IV (articoli 38-48) interviene in materia di accesso alla professione forense, disciplinando il tirocinio professionale e l'esame di Stato. L'articolo 38, con la finalità di rafforzare i rapporti di collaborazione tra consigli dell'ordine e facoltà di giurisprudenza, prevede la stipula di convenzioni da parte dei consigli circondariali e del CNF. L'articolo 39 interviene in materia di tirocinio per l'accesso alla professione; tra i profili di maggiore novità si segnalano: l'incompatibilità della Pag. 288pratica con qualunque rapporto di impiego pubblico e la limitazione della possibilità di impieghi subordinati privati; l'eliminazione della possibilità di sostituire la frequenza di uno studio professionale con la frequenza alla scuola di formazione forense; la previsione di un rimborso delle spese sostenute dal praticante per conto dello studio professionale e, dopo il primo anno, di un «rimborso congruo» per l'attività svolta. L'articolo 40 estende ai praticanti i doveri e le norme deontologiche previste per gli avvocati e la competenza disciplinare del Consiglio dell'ordine. L'articolo 41 dispone che il tirocinio di durata biennale debba essere accompagnato da un approfondimento teorico da realizzare attraverso la frequenza obbligatoria e con profitto di appositi corsi di formazione, che spetta al CNF regolamentare. L'articolo 42 demanda ad un regolamento del Ministero della giustizia la disciplina delle modalità di svolgimento del praticantato pressi gli uffici giudiziari. L'articolo 43 disciplina la conclusione del tirocinio, attestata dal certificato di compiuta pratica, e conferma che il praticante è ammesso a sostenere l'esame di Stato nella sede di corte di appello nel cui distretto ha svolto il maggior periodo di tirocinio. L'articolo 44 detta disposizioni generali sull'esame di Stato, ribadendo la cadenza annuale delle prove di esame, indette con un apposito decreto del Ministro della giustizia, sentito il CNF. L'articolo 45 delinea la nuova articolazione dell'esame di Stato. Tra le novità più significative si segnalano: la motivazione del voto assegnato alle prove scritte; la modifica della disciplina delle prove orali; la previsione secondo cui le prove si svolgono col solo ausilio dei testi di legge, senza commenti e citazioni giurisprudenziali. La disposizione introduce anche una nuova fattispecie di reato a carico di chiunque faccia pervenire ai candidati all'interno della sede d'esame testi relativi al tema proposto. L'articolo 46 disciplina le commissioni esaminatrici (intervenendo in particolare sulla relativa composizione) e alcuni aspetti della procedura d'esame e prevede il potere ispettivo del CNF sulla regolarità dello svolgimento delle prove. L'articolo 47 prevede che, per i primi 5 anni dall'entrata in vigore della riforma (termine prorogabile con decreto ministeriale giustizia) sia possibile svolgere il tirocinio senza la prescritta frequenza dei corsi di formazione previsti dall'articolo 41. L'articolo 48 prevede un'applicazione graduale della nuova disciplina sull'esame di Stato.
  Il Titolo V (articoli 49-62) interviene sul procedimento disciplinare. L'articolo 49 sottrae la competenza in materia di procedimento disciplinare al consiglio dell'ordine che ha la custodia dell'albo in cui il professionista è iscritto, per conferirla a due organismi (il consiglio istruttore di disciplina e il collegio giudicante) operanti a livello distrettuale. L'articolo 50 detta i criteri per definire la competenza territoriale. L'articolo 51 afferma l'obbligatorietà dell'esercizio dell'azione disciplinare da parte del Consiglio istruttore di disciplina e configura un tentativo obbligatorio di conciliazione rispetto a specifiche violazioni disciplinari. L'articolo 52 conferma, in generale, il termine quinquennale di prescrizione dell'azione disciplinare, prevedendo invece, nel caso di condanna per reato non colposo, un termine di due anni dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna. L'articolo 53 disciplina l'istruttoria disciplinare (affidata ad un collegio istruttorio nell'ambito del Consiglio istruttore di disciplina), che può durare al massimo sei mesi e concludersi con l'archiviazione, nel caso di manifesta infondatezza della notizia, o con l'apertura del procedimento. L'articolo 54 disciplina il dibattimento e la decisione di accertamento della responsabilità disciplinare; questa fase, che avviene dinanzi al collegio giudicante, non potrà protrarsi per più di 18 mesi. L'articolo 55 dispone in ordine alla decisione che conclude il procedimento disciplinare e individua le possibili sanzioni disciplinari (avvertimento, censura, sospensione e radiazione). L'articolo 56, anche attraverso rinvii alle disposizioni vigenti, disciplina l'impugnazione innanzi al CNF delle decisioni disciplinari e il ricorso alle Sezioni unite della Cassazione avverso la sentenza del CNF. L'articolo 57 Pag. 289sancisce in generale l'autonomia del processo disciplinare rispetto al processo penale avente ad oggetto gli stessi fatti, anche se il successivo articolo 58 prevede ipotesi di riapertura del procedimento disciplinare in relazione agli esiti del processo penale. L'articolo 59 prevede la sospensione del procedimento disciplinare nel caso in cui l'incolpato sia cancellato dall'albo. L'articolo 60 individua i casi e disciplina il procedimento per la sospensione cautelare del professionista o del praticante dall'esercizio della professione; la sospensione in ogni caso non può avere durata superiore a un anno. L'articolo 61 disciplina l'esecutorietà delle decisioni emesse in sede disciplinare, attribuendo la competenza per l'esecuzione della sentenza al consiglio dell'ordine nel quale è iscritto il professionista incolpato. L'articolo 62 attribuisce al CNF poteri ispettivi per il controllo del regolare funzionamento dei Consigli istruttori di disciplina e in relazione ai procedimenti disciplinari in corso presso i consigli dell'ordine di appartenenza.
  Il Titolo VI (articoli 63-66) reca infine disposizioni transitorie e finali. L'articolo 63 delega il Governo all'emanazione di un testo unico di riordino delle disposizioni vigenti in tema di professione forense. L'articolo 64 disciplina la fase transitoria in attesa della piena operatività della riforma, che si realizzerà successivamente all'entrata in vigore dei regolamenti attutivi. La medesima disposizione disciplina anche la proroga del CNF e dei consigli circondariali in carica e l'emanazione del codice deontologico nel termine di un anno dall'entrata in vigore della legge. L'articolo 65 interviene in materia di previdenza forense, stabilendo che la disciplina vigente in materia di prescrizione dei contributi previdenziali non si applichi alle contribuzioni dovute alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. L'articolo 66 contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria.
  Nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Norme in materia di bevande analcoliche a base di frutta.
Testo unificato C. 4108 D'Ippolito Vitale e abb.

(Parere alla XIII Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Isidoro GOTTARDO (PdL), relatore, ricorda che la Commissione Agricoltura ha adottato nella seduta del 16 maggio scorso un testo unificato delle proposte C. 4108, 4114 e 5090 in materia di produzione e vendita delle bevande analcoliche a base di frutta. Il testo è composto da 9 articoli.
  L'articolo 1 indica la finalità del provvedimento, volto al miglioramento del livello competitivo della coltivazione della frutta italiana destinata alla produzione di bevande analcoliche.
  L'articolo 2 introduce modifiche alla legge n. 286/1961 in materia di bevande analcoliche vendute con denominazioni di fantasia. Si tratta delle bevande il cui gusto ed aroma fondamentale deriva dal contenuto di essenze di agrumi, o di paste aromatizzanti di agrumi (come ad esempio i prodotti commercializzati col nome Lemonsoda, Sprite, eccetera). Alla preparazione di questi prodotti, non disciplinata da specifiche disposizioni europee, si applicano gli articoli 1 e 2 della legge n. 286/1961, che attualmente ne consente la colorazione solo se le bevande contengono succo di agrumi almeno nella misura del 12 per cento: la modifica proposta innalza tale percentuale minima al 20 per cento e abroga le disposizioni che regolano l'addizione di coloranti nelle menzionate bevande, che resta pertanto disciplinata dalle norme di carattere generale di cui al decreto ministeriale n. 209/96, di attuazione delle norme europee sull'uso di additivi alimentari, compresi i coloranti.
  L'articolo 3 eleva al 20 per cento il contenuto minimo di succo naturale contenuto nelle bevande analcoliche commercializzate con il nome di uno o più frutti ovvero recanti denominazioni che a tali frutti si richiamano (ad esempio aranciata, Pag. 290limonata) attualmente disciplinate dal regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 719/1958.
  L'articolo 4 modifica il decreto legislativo n. 151 del 2004 per quanto riguarda la produzione e commercializzazione dei succhi di frutta (l'allegato I del decreto definisce il «succo di frutta» come il prodotto ottenuto da frutta fresca o conservata al freddo mentre l'allegato IV qualifica come «nettari» le bevande in cui sia presente un tenore minimo di succo o purea compreso tra il 25 per cento ed il 50 per cento). La modifica è volta a vietare l'aggiunta di zuccheri nei succhi di frutta, come disposto dalla recente direttiva 2012/12/CE; conformemente alla direttiva è inoltre previsto un periodo transitorio in cui è consentita la commercializzazione dei prodotti immessi sul mercato o etichettati prima della data di entrata in vigore del divieto, data fissata al 28 ottobre 2013.
  Ricorda, con riferimento alla direttiva 2012/12/CE, che la norma nasce dall'esigenza di adeguare le disposizioni della direttiva 2001/112/CE allo sviluppo delle norme internazionali in materia, in particolare della norma del Codex relativa ai succhi e nettari di frutta (norma Codex 247-2005) che è stata adottata dalla Commissione del Codex Alimentarius nel 2005, e del Codice di buone pratiche della Associazione europea dei produttori di succhi di frutta (AIJN). Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri è il 28 ottobre 2013. Sono previste disposizioni transitorie a tutela degli interessi degli operatori economici che hanno immesso sul mercato o etichettato i propri prodotti prima dell'entrata in vigore delle disposizioni nazionali di recepimento della direttiva. Inoltre, al fine di consentire ai produttori di informare adeguatamente i consumatori sulle nuove disposizioni in merito alle indicazioni nutrizionali, la direttiva prevede la possibilità di utilizzare, per un periodo limitato, una dichiarazione indicante che i succhi di frutta non contengono zuccheri aggiunti.
  L'articolo 5 introduce per tutte le menzionate bibite analcoliche a base di frutta, per i succhi di frutta e per i nettari l'obbligo di indicare in etichetta l'origine o la provenienza del prodotto (ovvero il luogo dove è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale), l'origine o provenienza della frutta utilizzata (luogo di coltivazione), la percentuale del frutto naturale contenuto. Per le modalità attuative si applicano le disposizioni di cui alla L. n. 4/2011 in materia di etichettatura dei prodotti alimentari nonché le procedure di cui agli articoli 4 e 19 della direttiva 2000/13/CE.
  Segnala che l'indicazione del luogo di origine o di provenienza come «luogo in cui è avvenuta l'ultima trasformazione sostanziale e il luogo di coltivazione della frutta utilizzata nella preparazione o nella produzione dei prodotti di cui al comma 1 appare solo in parte coincidente con la definizione di origine utilizzata dal Reg. (CE) n. 1169/2011, che sul punto rinvia al Codice doganale comunitario (Reg. (CE) n. 450/2008). Quest'ultimo, all'articolo 36, definisce l'origine come il paese o il territorio in cui le merci sono interamente ottenute oppure il paese o territorio in cui hanno subito l'ultima trasformazione sostanziale (nel caso in cui si tratti di merci alla cui produzione hanno contribuito due o più paesi o territori).
  L'articolo 6 istituisce il logo nazionale per le bevande analcoliche a base di frutta, per i succhi di frutta e per i nettari prodotti con l'uso esclusivo di frutta di origine o di provenienza italiana, e per i quali tutte le fasi di produzione e trasformazione siano interamente realizzate sul territorio nazionale. Le caratteristiche e la disciplina d'uso del logo nazionale sono demandate ad un successivo decreto del Ministro per le politiche agricole alimentari e forestali.
  Segnala in proposito che l'obbligo imposto da uno Stato membro di dichiarare l'origine di un dato prodotto potrebbe configurarsi come una misura ostativa della libera circolazione delle merci e contraria al disposto dell'articolo 34 TFUE.
  L'articolo 7 destina il 50 per cento degli introiti derivanti dall'irrogazione delle Pag. 291sanzioni conseguente all'attuazione dei programmi antifrode, di cui al successivo articolo 8, al finanziamento di campagne di promozione sul mercato nazionale e sui principali mercati internazionali delle bevande analcoliche a base di frutta che utilizzano il logo nazionale. Le campagne sono predisposte dal Ministero per le politiche agricole di concerto con i Ministeri dello sviluppo economico e della salute, compatibilmente con gli orientamenti dell'Unione europea in materia di aiuti di Stato.
  Segnala che tale previsione potrebbe porsi in contrasto con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, secondo la quale la promozione della commercializzazione di prodotti fatti in taluni paesi o regioni, sottolineandone la provenienza, potrebbe configurare violazione della libera circolazione delle merci, in quanto può indurre i consumatori ad acquistare tali prodotti, escludendo quelli importati,. Richiama sul punto la sentenza C-325/00, che ha condannato la Repubblica federale tedesca per aver introdotto un marchio riservato ai prodotti agro-alimentari realizzati interamente in Germania, e le successive pronunce: C-6/02 Commissione contro Francia; C-255/03 Commissione contro Belgio.
  L'articolo 8 promuove programmi straordinari di lotta alle frodi, condotti dal Ministero per le politiche agricole attraverso l'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF). Il comma 2 dispone che possano essere richieste all'ICQRF da parte delle amministrazioni o enti pubblici e da soggetti privati, analisi afferenti a parametri qualitativo-merceologici delle bevande in oggetto. Il 50 per cento degli introiti derivanti dall'irrogazione delle sanzioni conseguente all'attuazione dei programmi e i proventi delle tariffe per le analisi di cui al comma 2 sono poi riattribuiti all'Ispettorato per l'attività anti frode.
  L'articolo 9 definisce l'impianto sanzionatorio: il comma 1 punisce con la reclusione fino a 2 anni e la multa fino a 20 mila euro – ai sensi dell'articolo 517-quater del codice penale – chiunque, al fine di trarne profitto, importi, detenga per la vendita, venda o metta in circolazione bibite analcoliche a base di frutta, succhi di frutta e nettari che presentino indicazioni di origine o di provenienza o il logo nazionale contraffatti.
  Infine il medesimo articolo, al comma 2 prevede una sanzione amministrativa pecuniaria (da 3 mila a 20 mila euro) per chiunque impieghi o utilizzi il logo nazionale di cui all'articolo 4 in violazione della disciplina prevista. L'illecito amministrativo – rilevato dall'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari – troverà applicazione ogni qualvolta la condotta non integri gli estremi del reato.
  Con riferimento alla normativa dell'Unione europea, ricorda che, in tema di etichettatura dei prodotti alimentari e di informazioni che debbono essere fornite ai consumatori, la direttiva 2000/13/CE all'articolo 3 stabilisce che l'indicazione del luogo d'origine o di provenienza è obbligatoria qualora l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore circa l'origine o la provenienza effettiva del prodotto alimentare. Tuttavia, l'articolo 4 della direttiva consente che soltanto riguardo a determinati prodotti alimentari, e non in generale per tutti indistintamente i prodotti alimentari, possano essere rese obbligatorie, con norme comunitarie o in mancanza di queste in forza di una norma nazionale adottato dal singolo Stato membro, indicazioni aggiuntive diverse da quelle previste dall'articolo 3 della direttiva medesima.
  Nel caso tale obbligo discenda da una norma nazionale, lo Stato membro interessato deve attivare la procedura informativa prevista dall'articolo 19 della direttiva citata, comunicando alla Commissione e agli altri Stati membri le misure adottate e precisandone i motivi. Lo Stato membro può adottare le misure previste soltanto tre mesi dopo tale comunicazione e purché non abbia ricevuto parere contrario della Commissione.
  Per completezza, rammento che a decorrere dal 13 dicembre 2014 si applicherà Pag. 292il nuovo Reg. (CE) n. 1169/2011 che ha sostituto, abrogandola, la precedente direttiva 2000/13. Norme dall'analogo tenore (articolo 9, paragrafo 1 e articolo 10) confermano che l'indicazione del paese d'origine o del luogo di provenienza è obbligatoria nel caso in cui l'omissione di tale indicazione possa indurre in errore il consumatore in merito al paese d'origine o al luogo di provenienza reali dell'alimento; l'obbligo è tuttavia esteso all'ipotesi in cui il paese d'origine o il luogo di provenienza di un alimento sia indicato e non sia lo stesso di quello del suo ingrediente primario (lett. i) dell'articolo 9 e articolo 26).
  Analogamente a quanto previsto dalla direttiva 2000/13/CE, anche il nuovo Reg. (CE) n. 1169/2011 stabilisce – nel caso in cui gli Stati membri adottino disposizioni che richiedono ulteriori indicazioni obbligatorie per specifiche categorie di alimenti – una procedura di notifica preventiva alla Commissione europea (articolo 39).
  Azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno e nei paesi terzi sono consentite dal Reg. (CE) n. 3/2008 che stabilisce che possano anche essere finanziate in tutto o in parte mediante il bilancio comunitario, ma vieta che siano orientate in funzione di marchi commerciali, o che incentivino il consumo di un determinato prodotto in virtù della sua origine specifica, che può essere indicata solo se si tratti di una designazione acquisita nell'ambito della normativa comunitaria.
  Le norme di applicazione sono recate dal Reg. (CE) n. 501/2008 che indica anche il contenuto dei messaggi principali ed i canali di diffusione degli stessi; le azioni debbono essere inserite in programmi, della durata minima di 12 mesi ma che si esauriscono entro 36 mesi, annualmente trasmessi alla Commissione entro il 15 febbraio (per il mercato interno) o entro il 30 giugno (se relativi ai paesi terzi).
  Osserva, in conclusione, che la proposta di legge è volta a tutelare la produzione nazionale di agrumi e frutta, come auspicato dagli agricoltori; vi è tuttavia sulla questione la forte contrarietà del settore industriale della lavorazione, poiché, elevandosi al 20 per cento il contenuto minimo di succo naturale contenuto nelle bevande analcoliche, le disposizioni introdotte rischiano di penalizzare il comparto rispetto ai competitori stranieri. In tal senso, interpreta le disposizioni di cui agli articoli 5 e 6 in materia di etichettatura introdotte dalla XIII Commissione, quali forme di compensazione che valorizzano la produzione italiana di qualità.
  Si tratta nel complesso di disposizioni che – come ha evidenziato nella relazione – sollevano profili assai problematici in ordine alla loro compatibilità con le disposizioni dell'Unione europea e che testimoniano di una presa di posizione molto forte della XIII Commissione nei confronti della Commissione europea. Sottolinea, in tal senso, la delicatezza della posizione della XIV Commissione, riservandosi di formulare una proposta di parere che, pur prendendo atto della volontà politica espressa dalla Commissione Agricoltura, metta in luce le criticità esposte.

  Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.40.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 5 giugno 2012. — Presidenza del presidente Mario PESCANTE.

  La seduta comincia alle 14.40.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni correttive ed integrative al decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 44, di attuazione della direttiva 2007/65/CE relativa al coordinamento di determinate disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri concernenti l'esercizio delle attività televisive.
Atto n. 454.

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

Pag. 293

  La Commissione prosegue l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno, rinviato nella seduta del 9 maggio 2012.

  Isidoro GOTTARDO (PdL), relatore, ricorda che nella seduta dello scorso 9 maggio aveva segnalato l'opportunità di attendere lo svolgimento delle audizioni previste presso le Commissioni riunite VII (Cultura) e IX (Trasporti) prima di concludere l'esame dello schema di decreto in esame. Le audizioni non hanno tuttavia avuto luogo e appare pertanto opportuno – tenuto conto del fatto che il termine per l'espressione del parere è ormai scaduto lo scorso 8 maggio – esprimere il parere prescritto.
  Ricorda che l'adozione dello schema di decreto legislativo si è resa necessario al fine di rispondere alle contestazioni mosse dalla Commissione europea nell'ambito della procedura EU-Pilot 1890/11/INSO, la cui documentazione è stata messa a disposizione dal Governo.
  Dalla documentazione si evince che le perplessità della Commissione europea in ordine alla vigente legislazione italiana si concentrano su due aspetti: 1) la tutela dei minori rispettivamente nelle trasmissioni televisive «lineari» (cioè con palinsesto fisso) e in quelle «non lineari» («a richiesta»); 2) la disciplina della trasmissione dei messaggi promozionali (trailers) delle opere cinematografiche europee.
  In particolare, con riferimento al primo aspetto, la documentazione sottolinea che, da un lato l'attuale disciplina italiana (articolo 34 decreto legislativo n. 177/2005) non appare prevedere un divieto integrale di trasmissione di contenuti gravemente nocivi per i minori, come invece previsto dall'articolo 27 della direttiva 2010/13/UE), poiché nella disciplina italiana tale divieto appare subordinato alla considerazione dell'orario di trasmissione.
  Dall'altro lato la disciplina italiana appare applicarsi indistintamente a servizi televisivi «lineari» e «a richiesta», laddove la normativa europea (articolo 12 della direttiva 1201/13/UE) prevede per i servizi a pagamento una disciplina meno severa, consentendo la trasmissione di contenuti gravemente nocivi a condizione che tali contenuti siano messi a disposizione del pubblico solo in maniera tale da escludere che i minori vedano o ascoltino normalmente tali servizi di media audiovisivi a richiesta.
  Al riguardo, rileva che le modifiche apportate dall'articolo 1 dello schema di decreto legislativo all'articolo 34 del decreto legislativo n. 177 appaiono coerenti con le richieste della Commissione europea. Infatti, al comma 1 sono state espunte le parole «anche in relazione all'orario di diffusione» per quel che concerne il divieto di trasmissione di contenuti gravemente nocivi; è stato poi introdotto un nuovo comma 4 che prevede che il divieto non si applichi ai servizi televisivi a richiesta a condizione che tali servizi siano messi a disposizione del pubblico solo in maniera tale da escludere che i minori vedano o ascoltino tali servizi e comunque con imposizione di un sistema di controllo specifico e selettivo che vincoli all'introduzione di un sistema di protezione e ad idonea segnaletica.
  Con riferimento al secondo aspetto (disciplina della trasmissione dei trailers delle opere cinematografiche europee), dalla documentazione si evince che la Commissione europea ha richiesto chiarimenti sulla esclusione, introdotta all'articolo 38, comma 12 del decreto legislativo n. 177 del 2005, dei messaggi promozionali di opere cinematografiche europee dai limiti di affollamento pubblicitario. Tale esclusione si prefigura infatti come una deroga ulteriore e non prevista rispetto a quelle già contemplate dall'articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2010/13/UE (le deroghe previste dalla direttiva riguardano gli annunci dell'emittente relativi ai propri programmi e ai prodotti collaterali da questi direttamente derivati, agli annunci di sponsorizzazione e agli inserimenti di prodotti).
  Al riguardo, rileva che l'articolo 2 dello schema di decreto legislativo procede ad una riformulazione dell'articolo 38 del decreto legislativo n. 177 del 2005 che conferma comunque l'esclusione dei messaggi Pag. 294promozionali di opere cinematografiche europee ai fini del calcolo dei limiti di affollamento pubblicitario, subordinando però tale esclusione al fatto che la trasmissione dei messaggi sia operata gratuitamente o a condizioni di favore secondo quanto stabilito dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con procedure di co-regolamentazione. Inoltre, mentre nel citato articolo 38 si fa riferimento a «messaggi pubblicitari» la modifica apportata si riferisce a «messaggi promozionali».
  In tal senso, le modifiche proposte sembrerebbero rispondere – anche attraverso la modifica lessicale da ultimo richiamata – ai rilievi contenuti nella procedura EU-Pilot.
  Alla luce di tali considerazioni formula una proposta di parere favorevole con osservazione (vedi allegato).

  Mario PESCANTE, presidente, al fine di consentire ai colleghi una valutazione della proposta di parere formulata dal relatore e nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2010/60/UE che dispone deroghe per la commercializzazione delle miscele di sementi di piante foraggere destinate a essere utilizzate per la preservazione dell'ambiente naturale.
Atto n. 470.

(Esame, ai sensi dell'articolo 126, comma 2, del Regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame dello schema di decreto legislativo all'ordine del giorno.

  Massimo POMPILI (PD), relatore, evidenzia che lo schema di decreto in esame attua la direttiva n. 2010/60 che prevede un regime di deroga al divieto di commercializzazione di sementi che non siano iscritte nei registri di varietà o nel catalogo comune europeo, divieto stabilito dalle norme di carattere generale che disciplinano l'attività sementiera (direttiva 66/401/CEE, recepita sul piano interno con la legge n. 1096/71 e con il decreto del Presidente della Repubblica n. 1065/73).
  Tale deroga è diretta a consentire l'utilizzo di miscele di sementi di piante foraggere destinate alla preservazione dell'ambiente naturale, le cui componenti spesso non soddisfano i requisiti richiesti per l'iscrizione nel registro comunitario delle varietà in quanto non sufficientemente omogenee. Al fine di incentivare un utilizzo economico di tali miscugli di preservazione, anche in ragione della loro funzione di tutela della biodiversità agraria, la normativa europea ha autorizzato la loro commercializzazione a determinate condizioni.
  Per garantire che le miscele commercializzate come miscele di sementi per la preservazione soddisfino le condizioni previste per l'applicazione di tali deroghe, è necessario subordinare la loro commercializzazione ad un'autorizzazione, da concedere su domanda. In particolare, gli Stati membri possono autorizzare la commercializzazione delle miscele di sementi a condizione che le miscele siano conformi alle disposizioni dell'articolo 5 della direttiva – che disciplina le condizioni per le miscele di sementi per la preservazione raccolte direttamente – o dell'articolo 6, che disciplina invece le condizioni delle miscele di sementi per la preservazione coltivate.
  La direttiva dispone altresì l'obbligo per gli Stati membri di procedere ad ispezioni visuali nei rispettivi siti di raccolta e di accertarsi, tramite monitoraggio, del rispetto delle disposizioni in essa contenute. Si stabilisce inoltre che i produttori operanti nel territorio di ciascuno Stato notifichino per ogni stagione il quantitativo delle miscele per la preservazione commerciale e che gli Stati membri, a richiesta, notifichino alla Commissione tali informazioni, oltre a quelle inerenti le autorità responsabili delle risorse citogenetiche o le organizzazioni da essi riconosciute in tale settore.
  Il termine per il recepimento della direttiva è stato fissato al 30 novembre 2011. A causa del suo mancato recepimento nell'ordinamento italiano, la Commissione, Pag. 295il 25 gennaio 2012, ha aperto una procedura di infrazione inviando una lettera di messa in mora ex articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'UE (procedura di infrazione n. 2012/81).
  Lo schema di decreto in esame si compone di 16 articoli.
  L'articolo 1 contiene le definizioni di: zona fonte (zona speciale di conservazione da individuare sulla base della direttiva 92/43/CEE cosiddetto habitat, che prevede l'individuazione di siti d'importanza comunitaria): sito di raccolta che deve essere allocato all'interno di una zona fonte; miscela di sementi raccolte direttamente o coltivate, ovvero moltiplicate al di fuori del sito di raccolta.
  L'articolo 2 prevede la possibilità di autorizzare la commercializzazione di miscele di sementi foraggere di vari generi destinate alla conservazione dell'ambiente naturale e alla conservazione delle risorse genetiche (miscele di sementi per la preservazione). Dette miscele possono anche contenere sementi di piante non foraggere, ma se contengono varietà da conservazione soggiacciono alla disciplina recata in materia dal decreto legislativo n. 149/09.
  L'articolo 3 prevede che al momento dell'autorizzazione alla commercializzazione venga determinata la zona di origine della miscela, zona che può anche essere situata al di fuori del territorio nazionale, la cui individuazione richiede in tale ipotesi il comune accordo dei due Stati membri. Le informazioni fitosanitarie necessarie alla determinazione delle zone d'origine sono quelle procurate da regioni e province autonome, o organizzazioni riconosciute.
  L'articolo 4 enumera le indicazioni che debbono essere riportate nel documento di autorizzazione alla commercializzazione (nome o denominazione del produttore e sua sede, metodo di raccolta e germinalità dei componenti delle miscele coltivate, percentuale in peso dei componenti, quantità della miscela cui si riferisce l'autorizzazione, zona di origine, restrizione alla commercializzazione nella zona di origine, zona fonte, sito di raccolta e tipo di habitat, anno di raccolta).
  Gli articoli 5 e 6 dettano le condizioni per l'autorizzazione delle miscele di sementi per la preservazione raccolte direttamente e per quelle coltivate: nelle prime in ogni caso le diverse componenti debbono essere presenti in percentuali tali da ricreare il tipo di habitat del sito di raccolta, le seconde debbono provenire da sementi raccolte nella zona fonte di un sito non seminato con varietà selezionate da almeno 40 anni prima della data di presentazione della domanda da parte del produttore.
  L'articolo 7 definisce la procedura per ottenere l'autorizzazione, che è concessa dall'INRAN o dalle regioni e province a statuto autonomo, nonché le verifiche poste a carico dei medesimi soggetti.
  L'articolo 8 dispone restrizioni quantitative alla commercializzazione delle sementi per la preservazione, che compongono le miscele di piante foraggere, il cui peso non deve superare il 5 per cento del peso totale delle miscele di foraggere commercializzate nel medesimo anno sul territorio nazionale.
  L'articolo 9, in relazione con la restrizione disposta dal precedente articolo, introduce l'obbligo a carico dei produttori di comunicare, prima dell'inizio della produzione: la quantità delle sementi per le quali intendono chiedere l'autorizzazione, la posizione e dimensione del sito di raccolta, nonché la posizione e le dimensioni dei siti di moltiplicazione per le produzioni coltivate.
  Sulla base dell'articolo 10 le miscele in esame possono essere commercializzate esclusivamente in imballaggi sigillati dal produttore con un cartellino o altro sigillo. L'etichettatura (articolo 11) è assicurata dalla presenza di una scritta, che può essere stampata sul cartellino, che deve indicare obbligatoriamente talune informazioni (dicitura «norme UE», denominazione e sede del responsabile che ha apposto il cartellino, metodo di raccolta, anno di sigillatura, zona di origine, zona fonte, sito di raccolta, tipo di habitat, indicazione facente riferimento alla miscela di sementi, numero di lotto, percentuale in peso dei componenti la miscela, Pag. 296peso netto, indicazione della natura dell'additivo se utilizzato, germinabilità specifica se necessario).
  L'articolo 12 individua nell'INRAN il soggetto cui compete la verifica dell'attuazione delle disposizioni in esame, che deve avvenire in modo costante tramite monitoraggio.
  L'articolo 13 prevede che i produttori notifichino alle regioni e province autonome, all'INRAN, e al MIPAAF, i quantitativi commercializzati di miscele di sementi per la preservazione.
  L'articolo 14 dispone che il MIPAAF notifichi alla Commissione europea le autorità responsabili delle risorse fitogenetiche.
  L'articolo 15 contiene la clausola di cedevolezza.
  L'articolo 16, infine, impone che dall'attuazione del provvedimento non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

  Mario PESCANTE, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.50.

AVVERTENZA

  I seguenti punti all'ordine del giorno non sono stati trattati:

ATTI DEL GOVERNO

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2010/78/UE recante modifica delle direttive 98/26/CE, 2002/87/CE, 2003/6/CE, 2003/41/CE, 2003/71/CE, 2004/39/CE, 2004/109/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2009/65/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.
Atto n. 478.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni integrative e correttive del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59, di attuazione della direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno.
Atto n. 468.

Pag. 297