ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00117

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 87 del 14/04/2023
Abbinamenti
Atto 1/00064 abbinato in data 17/04/2023
Atto 1/00073 abbinato in data 17/04/2023
Atto 1/00081 abbinato in data 17/04/2023
Atto 1/00121 abbinato in data 17/04/2023
Atto 1/00123 abbinato in data 26/04/2023
Firmatari
Primo firmatario: BONELLI ANGELO
Gruppo: ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Data firma: 14/04/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
ZANELLA LUANA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
FRATOIANNI NICOLA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
EVI ELEONORA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
BORRELLI FRANCESCO EMILIO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
DORI DEVIS ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
GHIRRA FRANCESCA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
GRIMALDI MARCO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
MARI FRANCESCO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
PICCOLOTTI ELISABETTA ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023
ZARATTI FILIBERTO ALLEANZA VERDI E SINISTRA 14/04/2023


Stato iter:
26/04/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 17/04/2023
Resoconto DORI DEVIS ALLEANZA VERDI E SINISTRA
 
PARERE GOVERNO 26/04/2023
Resoconto GAVA VANNIA VICE MINISTRO - (AMBIENTE E SICUREZZA ENERGETICA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 26/04/2023
Resoconto BICCHIELLI PINO NOI MODERATI (NOI CON L'ITALIA, CORAGGIO ITALIA, UDC, ITALIA AL CENTRO)-MAIE
Resoconto BONELLI ANGELO ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Resoconto CASTIGLIONE GIUSEPPE AZIONE - ITALIA VIVA - RENEW EUROPE
Resoconto GATTA GIANDIEGO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE
Resoconto FONTANA ILARIA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BERGAMINI DAVIDE LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto SERRACCHIANI DEBORA PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA
Resoconto ALMICI CRISTINA FRATELLI D'ITALIA
Fasi iter:

ATTO MODIFICATO IL 17/04/2023

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 17/04/2023

DISCUSSIONE IL 17/04/2023

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 17/04/2023

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 26/04/2023

NON ACCOLTO IL 26/04/2023

PARERE GOVERNO IL 26/04/2023

DISCUSSIONE IL 26/04/2023

RESPINTO IL 26/04/2023

CONCLUSO IL 26/04/2023

Atto Camera

Mozione 1-00117
presentato da
BONELLI Angelo
testo presentato
Venerdì 14 aprile 2023
modificato
Mercoledì 26 aprile 2023, seduta n. 92

   La Camera,

   premesso che:

    la siccità in Italia sta diventando sempre più comune negli ultimi decenni, con conseguenze devastanti per l'agricoltura, l'ambiente e la popolazione. Le cause principali della siccità sono legate al cambiamento climatico, che sta aumentando la temperatura globale e alterando i modelli di precipitazione, ma anche a un uso insostenibile della risorsa idrica;

    il grido di allarme lanciato dagli scienziati dell'Ipcc (il Panel intergovernativo sui cambiamenti climatici) con l'ultimo rapporto pubblicato a fine marzo 2023, indica chiaramente come non ci sia più tempo da perdere per fronteggiare l'emergenza climatica. Il surriscaldamento del pianeta, con un aumento della temperatura media globale di 1.1 °C rispetto all'era preindustriale (1850-1900), sta già avendo impatti diffusi e disastrosi che colpiscono la vita di milioni di persone in tutto il mondo, con l'aumento di ondate di calore, siccità e inondazioni che stanno già superando il livello di guardia;

    in questo scenario si inserisce l'estate 2022, forse quella dove si è registrata la peggiore siccità in Europa da 500 anni a questa parte e il 2023 che si preannuncia ancora più drammatico. L'Italia ha chiuso il 2022 con un pesante deficit idrico, aggravato dalla siccità che ha colpito duramente tutto il Nord e parte del Centro per oltre un anno. A subire le conseguenze maggiori sono stati soprattutto i terreni irrigui e i prati-pascoli, che sono stati colpiti da un intenso deficit di pioggia di lungo periodo, ma la siccità ha influito pesantemente anche sull'agricoltura e sull'energia idroelettrica prodotta, che ha subito una forte riduzione di circa il 40 per cento. Secondo i dati della piattaforma Entso-E, il calo è visibile già dalla metà del 2021, ma il 2022 è stato un anno eccezionale rispetto ai sei precedenti e anche i valori dei primi mesi del 2023, sono molto inferiori aggravando ulteriormente la situazione;

    appare molto preoccupante la situazione della siccità nel Nord-Ovest del Paese, come evidenziato da diverse fonti, in particolare, l'Ordine dei geologi, che ha riferito come le riserve di acqua in Lombardia sono di circa il 45 per cento in meno rispetto alla media tra il 2006 e il 2020, con il livello dei laghi inferiore di poco più del 50 per cento e il manto nevoso sulle montagne solo al 46,2 per cento della media. Questa grave siccità ha causato il ridotto livello dei fiumi e dei laghi della regione, che rappresenta un problema per l'ecosistema e per le attività umane che ne dipendono. Rispetto al massimo valore d'invaso il Lago di Garda, ad esempio, ha un riempimento del 35 per cento, che lo porta a soli 13 centimetri dal record minimo del periodo risalente al 1989, mentre il Lago di Como ha una percentuale di riempimento pari al 20 per cento e un livello di –5,8 cm, circa 20 cm al di sotto dei livelli normali. Il Lago Maggiore ha un riempimento del 38 per cento, inferiore alla norma, mentre il Fiume Po a Ponte della Becca (Pavia) si trova a –3,2 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate;

    l'altra causa della siccità in Italia è l'uso insostenibile dell'acqua, di cui non conosciamo appieno i consumi annui. Se per gli usi civili, periodicamente rilevati dall'Istat, sappiamo che si erogano ai cittadini circa 4,7 miliardi di metri cubi l'anno, ai quali va aggiunto un terzo dovuto alle perdite delle reti di distribuzione, le stime sugli usi industriali non sono mai state aggiornate da oltre 20 anni, mentre l'incertezza maggiore riguarda gli usi irrigui. Il Censimento dell'agricoltura 2010 stima che per irrigare i 2,42 milioni di ettari di superficie irrigua nazionale si impiegano circa 11,1 miliardi di metri cubi all'anno, che tenuto conto delle elevate perdite di distribuzione delle reti irrigue implicherebbe un prelievo di circa 25 miliardi di metri cubi;

    al netto delle perdite l'Italia è il Paese dell'EU con i consumi domestici più elevati (220 litri/abitante/giorno contro i 150 della Grecia e i 132 della Spagna – fonte: Blue Book 2022) e ciò per la totale mancanza di incentivi per favorire la diffusione di soluzioni che nel resto d'Europa si stanno diffondendo, come la raccolta della pioggia e il riuso delle acque grigie depurate;

    la fatiscenza degli acquedotti porta ad una perdita di acqua pari al 42 per cento, potremmo dare da bere ad una popolazione di 40 milioni di abitanti: nonostante questa emergenza infrastrutturale il PNRR prevede solo 900 milioni di euro di investimento per affrontare la dispersione dell'acqua dalle condutture;

    secondo l'ultimo dossier di Legambiente «Nevediversa 2023. Il turismo invernale nell'era della crisi climatica», l'Italia, stando alle ultime stime disponibili, è tra i Paesi alpini più dipendenti dalla neve artificiale, con il 90 per cento di piste innevate artificialmente, seguita da Austria (70 per cento), Svizzera (50 per cento), Francia (39 per cento). Tale sistema di innevamento artificiale non è una pratica sostenibile e di adattamento, dato che comporta consistenti consumi di acqua, energia e suolo in territori di grande pregio. In particolare, il rapporto di Legambiente stima un consumo annuo di acqua che già ora potrebbe raggiungere 96.840.000 di metri cubi, corrispondente al consumo idrico annuo di circa una città da un milione di abitanti. Inoltre, per rifornire di neve artificiale i 23.800 ettari di piste innevabili sull'arco alpino è stato determinato un consumo energetico complessivo di ben 600 gigawattora, che corrisponde «al consumo annuo di energia elettrica di 130.000 famiglie di quattro persone», come specificato dal Cipra;

    l'azione condotta fin qui dai Governi è stata per lo più improntata ad un uso reiterato dei commissariamenti, da quelli per il dissesto idrogeologico a quelli per accelerare la predisposizione e attuazione del Piano nazionale di interventi nel settore idrico, dal commissario unico nazionale per la depurazione, ai commissari delegati per gli interventi urgenti per la gestione della risorsa idrica con un approccio dettato dall'emergenza e dall'estemporaneità degli interventi, per lo più di carattere infrastrutturale e di ulteriore artificializzazione del reticolo idrico, senza affrontare in modo ordinario e pianificato la gestione delle acque;

    nel nostro Paese attualmente vi sono 532 grandi dighe, di cui solo 374 in pieno esercizio, mentre 7 risultano ancora in costruzione, 76 in attesa di collaudo, 41 a invaso limitato e 33 fuori esercizio temporaneo (Annuario dei dati ambientali 2020, Ispra, 2021), mentre per le piccole dighe sono state raccolte informazioni su 26288 invasi, molti dei quali recentemente costruiti. Da rilevare poi che, sulla spinta degli incentivi, gli impianti di produzione di energia idroelettrica e la conseguenza frammentazione del reticolo idrico soprattutto montano, sono aumentati enormemente nell'arco di un decennio, passando da 2249 nel 2009 a 4337 nel 2018 (Terna, 2018). Impianti piccoli, con un contributo energetico strategico trascurabile (+0,7 per cento di potenza installata in 10 anni) ma con elevati impatti ambientali;

    in Italia, come in altri Paesi mediterranei, le politiche di approvvigionamento idrico hanno puntato ad accrescere la «capacità di regolazione» dei deflussi superficiali, creando invasi in cui accumulare le acque nel periodo piovoso per utilizzarle durante quello arido. Questa strategia ha tuttavia ben pochi margini per essere ulteriormente attuata, considerando che le sezioni dei corsi d'acqua dove era più facile ed efficace realizzare invasi sono ormai già abbondantemente sfruttate e che il riempimento dei volumi di accumulo esistenti sta diventando sempre più difficile a causa del mutato regime delle precipitazioni, a partire da quelle nevose, visto che con i grandi laghi alpini e gli invasi artificiali semivuoti sembra molto ottimistico pensare che realizzarne di nuovi possa risolvere il deficit idrico;

    negli ultimi decenni, sono risultati sempre più evidenti i notevolissimi impatti ambientali e socio-economici degli sbarramenti dei fiumi. Secondo l'analisi delle pressioni sulle acque svolta in attuazione della direttiva quadro 2000/60, dighe e altri ostacoli sono, infatti, il fattore di pressione più significativo in almeno il 30 per cento dei corpi idrici europei e causa del mancato raggiungimento del buono stato ecologico in almeno il 20 per cento di essi;

    le dighe, oltre ad impattare drammaticamente la popolazione ittica, hanno determinato (insieme alle escavazioni in alveo) un cronico deficit di sedimenti su estese porzioni del reticolo idrografico italiano, con incisione degli alvei ed erosione costiera e conseguenti danni a ponti e opere di difesa, rendendo necessario un ingente esborso di risorse per ricostruire o stabilizzare tali infrastrutture e per realizzare opere di difesa dei litorali. Incisione degli alvei ed erosione delle coste sono fattori primari di depauperamento delle falde freatiche e di intrusione del cuneo salino, ovvero proprio quei fenomeni che vengono spesso imputati esclusivamente alla siccità e che si pretende di combattere con nuove dighe;

    all'accumulo negli invasi si collegano poi altri problemi significativi, come la perdita di molta acqua per evaporazione, l'aumento elevato di temperature negli invasi più piccoli, con formazione di condizioni anossiche, fioriture algali e sviluppo di cianotossine (uno dei problemi di qualità dell'acqua emergenti di maggior rilievo a livello mondiale), fattori che compromettono il successivo utilizzo di queste acque e la necessità di sfangamento degli invasi, che spesso comportano interventi costosi e complessi sul piano tecnico, impatti ambientali rilevanti e la difficoltà di reperire siti idonei, nel caso in cui i fanghi vadano smaltiti ai di fuori del corso d'acqua;

    risulta pertanto evidente come gli invasi lungo i corsi d'acqua non rispettino assolutamente il principio Dnsh (Do no significant harm), che prevede che gli interventi previsti dai PNRR non arrechino danno significativo all'ambiente e vanno nella direzione diametralmente opposta rispetto alla Strategia europea per la biodiversità 2030 e alla proposta di Regolamento europeo per la «Nature Restoration», che chiedono invece di ripristinare la connettività dei corsi d'acqua, rimuovendo sbarramenti che creano più danni che benefici e non di costruirne di nuovi;

    anche la realizzazione di impianti di desalinizzazione per aumentare la disponibilità idrica non è sostenibile come soluzione strutturale di approvvigionamento idrico per il Paese e può essere presa in considerazione solo in casi di necessità, in determinati periodi dell'anno e solo per realtà particolari, ad esempio le piccole isole. Sono, infatti, molto elevati tanto i costi economici quanto quelli energetici e ambientali associati a questa tecnologia, considerando che i residui del trattamento, ad esempio, sono costituiti da una «melma» ipersalina (la salamoia) ricca di anti-incrostanti, metalli e cloruri, il cui smaltimento determina notevoli impatti dove viene scaricata, tendendo a stratificarsi in prossimità del fondale marino e alterando gravemente habitat e specie;

    per sopperire all'eccesso di domanda irrigua rispetto alla disponibilità idrica, troppo spesso inoltre si fa ricorso al meccanismo della deroga al deflusso ecologico, che dovrebbe restare una misura di assoluta emergenza. Ora la deroga, applicata anche nella misura del 70 per cento e per l'intera stagione irrigua, sta diventando, di fatto, un istituto ordinario in diverse regioni, vanificando così gli sforzi in corso per passare da un ormai obsoleto deflusso minimo vitale a un vero e proprio deflusso ecologico, che tenga in considerazione i diversi aspetti rilevanti del regime idrologico e le funzioni e servizi ecosistemici a essi associati. La realizzazione di nuovi invasi rischia, non solo di alterare ulteriormente il regime idrologico di corsi d'acqua già fortemente impattati, ma di determinare un'ulteriore spinta per altre deroghe;

    secondo stime Anbi in Italia all'agricoltura sono imputabili 14,5 miliardi di metri cubi di acqua l'anno, pari al 54 per cento dei consumi totali e in tale contesto appare quanto mai necessario, a fronte non solo delle crisi idriche ma di quelle sistemiche che rendendo sempre più difficile e costoso l'accesso ai fattori su cui si è basata la produttività agricola, promuovere un sistema agroalimentare che richieda un minor uso idrico, anche attraverso una riconversione del sistema dell'industria zootecnica e ridefinire l'organizzazione dei paesaggi agrari e delle pratiche agronomiche, con l'adozione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei territori agrari e della loro capacità di trattenere e far infiltrare le acque meteoriche e prevenire il degrado dei suoli, con l'adozione generalizzata di pratiche colturali che implementino il contenuto di sostanza organica nei suoli e la loro capacità di assorbire le piogge e trattenere umidità;

    l'agricoltura intensiva ha poi determinato un estremo impoverimento dei suoli agricoli. Secondo Ispra il 28 per cento del territorio italiano presenta segni di desertificazione, che non è solo un problema di mancanza d'acqua. Secondo i dati Crea (2017) in Italia il contenuto di carbonio organico nei suoli è in media pari all'1 per cento: questo indica suoli disfunzionali, inclini alla desertificazione, meno capaci di trattenere acqua e nutrienti, dalla minore capacità produttiva. Si stima che aumentando di solo l'1 per cento il contenuto di sostanza organica nel suolo, la capacità di trattenere acqua aumenti di quasi 300 metri cubi per ettaro. La superficie agricola italiana è di circa 17 milioni di ettari, si tratta quindi di un accumulo di oltre 5 miliardi di metri cubi, quasi la metà di quella che si può attualmente accumulare negli invasi delle grandi dighe italiane (11,8 sono i miliardi di metri cubi invasabili attualmente stimati);

    il luogo migliore dove stoccare l'acqua rimane la falda e la ricarica controllata della falda determina un ventaglio ampio di benefici oltre quello dello stoccaggio: falde più alte sono di sostegno a numerosi habitat umidi, lentici e lotici si previene la subsidenza indotta dall'abbassamento della falda; falde più elevate rilasciano lentamente acqua nel reticolo idrografico sostenendo le portate di magra; livelli di falda alti contrastano l'intrusione del cuneo salino. I sistemi di ricarica controllata della falda costano in media 1,5 euro per metri cubi di capacità di infiltrazione annua, mentre per gli invasi i costi arrivano a 5-6 euro per metri cubi di volume invasabile. I sistemi di ricarica controllata consumano molto meno territorio e per essi è più facile trovare siti idonei; metodi «naturali» come le aree forestali di infiltrazione, già realizzate ed efficacemente dimostrate in alcuni contesti agricoli, andrebbero incentivate e potrebbero, fornire diversi servizi ecosistemici aggiuntivi;

    l'ostacolo principale all'infiltrazione delle piogge nel suolo è data dalla forte cementificazione del territorio e dall'impermeabilizzazione dei suoli che ha ridotto progressivamente la capacità di rigenerazione delle falde idriche, determinando il rapido convogliamento delle acque nei sistemi di fognatura urbana. Il consumo di suolo viaggia ad una velocità di 2 mq/sec, secondo i dati Ispra il recupero delle acque piovane in ambito urbano risulta viceversa assolutamente strategico, considerando che i dati pluviometrici relativi a 109 città capoluogo di provincia nel 2023, anno in cui le piogge sono state anche inferiori alle medie storiche di riferimento, indicano in circa 13 miliardi di metri cubi l'acqua piovana dispersa, una quantità corrispondente a circa il 40 per cento dei prelievi medi annui di acqua in Italia (circa 33 miliardi di metri cubi);

    per far sì che le precipitazioni permangano più a lungo sul territorio, alimentando le falde e smorzando i picchi di piena, invece di scorrere velocemente a valle, un'altra misura fondamentale è la restituzione di spazio ai fiumi, riducendone la canalizzazione e ripristinando la connessione tra gli alvei e le pianure inondabili, anche rimuovendo opere di difesa e, quando necessario, ricostruendole a maggior distanza dal fiume. In questa direzione va anche il ripristino della connettività monte-valle, rimuovendo o modificando parte degli sbarramenti esistenti, per recuperare le forti incisioni subite dagli alvei nei decenni scorsi a causa dell'eccesso di escavazioni nei corsi d'acqua e all'effetto di dighe e invasi;

    l'indagine «Il riutilizzo delle acque reflue in Italia», realizzata da Utilitalia (la Federazione delle imprese idriche, ambientali ed energetiche), sostiene che il riuso delle acque reflue depurate in agricoltura ha un potenziale enorme (9 miliardi di metri cubi all'anno, l'acqua che esce dai depuratori), ma in Italia viene sfruttato solo per il 5 per cento (475 milioni di metri cubi), a causa di limiti normativi, pregiudizi degli agricoltori e una governance non ancora ben definita. È quindi necessario superare i limiti culturali su questa soluzione, cui dovremo necessariamente ricorrere nei prossimi anni e che, se progettata con criterio, ovvero seguendo i principi della gestione del rischio, e associata a una capillare attività di monitoraggio della qualità, garantisce che l'acqua recuperata sia utilizzata e gestita in modo sicuro per la salute e l'ambiente;

    le soluzioni sopra indicate dovrebbero essere tra le misure previste dai piani di gestione dei bacini idrografici e dettagliate dalle regioni nell'ambito dei piani regionali di tutela delle acque come prescritto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, per cui non servono piani straordinari concepiti sull'onda emotiva dell'emergenza, ma eventuali procedure straordinarie limitate ad affrontare particolari criticità e urgenze, mentre è necessario prevedere dotazioni finanziarie adeguate per l'attuazione di una strategia nazionale integrata per l'attuazione di politiche idriche al tempo del cambiamento climatico,

impegna il Governo:

1) ad adottare iniziative di competenza volte ad istituire un fondo di 8 miliardi di euro da destinare alla sostituzione-manutenzione degli acquedotti fatiscenti attraverso la rimodulazione del fondo complementare del PNRR;

2) a individuare, sentita Arera e le associazioni degli enti d'ambito e dei gestori dei Sii, gli eventuali ostacoli e i meccanismi di reperimento delle risorse finanziarie che permettano di accelerare il percorso volto a portare le perdite delle reti civili al di sotto del 25 per cento (per le perdite percentuali) ed entro i 15 mc/km/gg (per le perdite specifiche lineari) e di introdurre un nuovo criterio in aggiunta ai 6 definiti dalla «regolazione della qualità tecnica del servizio idrico integrato», che premi i gestori che massimizzano il riuso delle acque depurate;

3) ad istituire, con il supporto di Ispra, Istat, Irsa-Cnr e le altre istituzioni tecnico-scientifiche in grado di contribuire, protocolli di raccolta dati e modelli logico/previsionali che consentano di conoscere e rendere disponibili ai cittadini stime affidabili delle disponibilità delle risorse idriche, dei consumi reali e della domanda potenziale;

4) ad adottare iniziative volte a definire e adottare per ogni bacino idrografico piani di bilancio idrico con misure di gestione delle siccità che devono essere inserite nella pianificazione territoriali e tenute in considerazione del rinnovo delle concessioni idriche, in modo da superare definitivamente l'attuale approccio emergenziale;

5) a definire un quadro normativo e regolamentare per favorire il riuso in ambito irriguo delle acque reflue secondo il regolamento UE 741/2020, anche associando agli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sistemi di fitodepurazione e lagunaggio, al fine di garantire una maggiore persistenza degli accumuli in superficie, contribuendo alla ricarica delle falde;

6) a definire, di concerto con l'Anci, una strategia sui criteri minimi edilizi che porti alla riduzione dei consumi idrici domestici e il ricorso ad acque non potabili (acque di pioggia accumulate o acque grigie depurate) per gli usi compatibili (risciacquo dei WC, lavatrice, lavaggi esterni) in modo da portare il valore medio dei consumi civili di acqua potabile a non oltre i 150 litri abitante giorno;

7) a definire e disporre misure di limitazione dei sistemi di innevamento artificiale, nel quadro di un nuovo modello di turismo invernale montano ecosostenibile, che contenga il consumo di acqua;

8) a definire una strategia di trasformazione del nostro sistema agroalimentare, identificando misure fortemente orientate:

  a) a favorire la diffusione di colture e sistemi agroalimentari meno idroesigenti;

  b) a promuovere la diffusione di misure mirate all'incremento della funzionalità ecologica dei paesaggi e suoli agrari e della loro capacità di ritenzione idrica;

  c) a ridurre gli allevamenti intensivi;

  d) a contenere i consumi irrigui anche attraverso la digitalizzazione e l'innovazione tecnologica;

9) ad adottare le iniziative di competenza volte ad arrestare la costruzione di nuovi grandi invasi artificiali e di nuove dighe lungo i corsi d'acqua e l'escavazione in alveo, che pregiudicano il deflusso ecologico dei fiumi determinando un fortissimo impatto sul sistema idrografico e in generale sulle funzioni vitali dell'ecosistema fluviale;

10) a favorire interventi di rinaturalizzazione dei corsi d'acqua previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza;

11) ad adottare iniziative volte a garantire la piena attuazione degli obblighi di rilascio del deflusso ecologico nei corpi idrici, per assicurare una maggior resilienza degli ecosistemi acquatici in condizioni di siccità e anche al fine di ripristinare le naturali funzioni di ricarica delle falde acquifere, associandolo a misure di ricarica artificiale;

12) a recepire le misure previste dalle strategie per la «Biodiversità 2030», «From farm to fork» e «Suolo» nell'ambito del New Green Deal dell'Unione europea e riprese dalla recente proposta normativa «Pacchetto Natura» presentata dalla Commissione europea;

13) ad adottare iniziative normative che portino a consumo suolo zero entro il 2030 per fermare anche l'impermeabilizzazione dei terreni;

14) ad avviare una un programma nazionale di riqualificazione e ripristino della connettività dei corsi d'acqua, come misura di adattamento al cambiamento climatico, in coerenza con gli obblighi della direttiva quadro acque e con gli impegni della strategia europea per la biodiversità e in sinergia con la direttiva alluvioni;

15) ad adottare iniziative volte a destinare almeno 2 miliardi di euro l'anno per un periodo di 10 anni per interventi di riqualificazione morfologica ed ecologica dei corpi idrici naturali e del reticolo minore;

16) a favorire il riutilizzo dell'acqua nei cicli industriali anche per ridurre gli scarichi inquinanti.
(1-00117) (Nuova formulazione) «Bonelli, Zanella, Fratoianni, Evi, Borrelli, Dori, Ghirra, Grimaldi, Mari, Piccolotti, Zaratti».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

protezione delle acque

corso d'acqua

risorse idriche