ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00091

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 66 del 10/03/2023
Abbinamenti
Atto 1/00053 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00090 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00092 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00093 abbinato in data 15/03/2023
Atto 1/00094 abbinato in data 15/03/2023
Atto 1/00095 abbinato in data 15/03/2023
Firmatari
Primo firmatario: D'ORSO VALENTINA
Gruppo: MOVIMENTO 5 STELLE
Data firma: 10/03/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
ASCARI STEFANIA MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
CAFIERO DE RAHO FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
GIULIANO CARLA MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
SCUTELLA' ELISA MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
AIELLO DAVIDE MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
CAPPELLETTI ENRICO MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
IARIA ANTONINO MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
PAVANELLI EMMA MOVIMENTO 5 STELLE 10/03/2023
PELLEGRINI MARCO MOVIMENTO 5 STELLE 13/03/2023


Stato iter:
15/03/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/03/2023
Resoconto CAFIERO DE RAHO FEDERICO MOVIMENTO 5 STELLE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/03/2023
Resoconto GIANASSI FEDERICO PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA
Resoconto MURA FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA
 
PARERE GOVERNO 15/03/2023
Resoconto SISTO FRANCESCO PAOLO VICE MINISTRO - (GIUSTIZIA)
 
DICHIARAZIONE VOTO 15/03/2023
Resoconto COLUCCI ALESSANDRO NOI MODERATI (NOI CON L'ITALIA, CORAGGIO ITALIA, UDC, ITALIA AL CENTRO)-MAIE
Resoconto DORI DEVIS ALLEANZA VERDI E SINISTRA
Resoconto COSTA ENRICO AZIONE - ITALIA VIVA - RENEW EUROPE
Resoconto CALDERONE TOMMASO ANTONINO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE
Resoconto D'ORSO VALENTINA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto BISA INGRID LEGA - SALVINI PREMIER
Resoconto GIANASSI FEDERICO PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA
Resoconto VARCHI MARIA CAROLINA FRATELLI D'ITALIA
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/03/2023

DISCUSSIONE IL 13/03/2023

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/03/2023

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 15/03/2023

PROPOSTA RIFORMULAZIONE IL 15/03/2023

NON ACCOLTO IL 15/03/2023

PARERE GOVERNO IL 15/03/2023

DISCUSSIONE IL 15/03/2023

IN PARTE PRECLUSO IL 15/03/2023

VOTATO PER PARTI IL 15/03/2023

RESPINTO IL 15/03/2023

CONCLUSO IL 15/03/2023

Atto Camera

Mozione 1-00091
presentato da
D'ORSO Valentina
testo presentato
Venerdì 10 marzo 2023
modificato
Mercoledì 15 marzo 2023, seduta n. 69

   La Camera,

   premesso che:

    la difesa dei diritti fondamentali dell'individuo non può non passare anche attraverso l'attenzione che il legislatore pone nei confronti delle vittime dei reati. Posto che la dottrina costituzionalistica ha individuato il fondamento della tutela dei «soggetti deboli» nel collegamento con il principio di uguaglianza (articolo 3 della Costituzione), è proprio nell'ambito del diritto e del processo penale che la tutela delle vittime va garantita maggiormente, in quanto spetta al giudice – dotato a livello normativo di tutti gli strumenti necessari – intercettare le esigenze di queste ultime nel processo;

    non di rado, molti Stati sono condannati dalla Corte europea dei diritti dell'uomo in quanto considerati responsabili per non aver predisposto o attuato nel caso concreto una specifica tutela penale dei diritti fondamentali. Come espresso dalla stessa Corte, ciò si impone anche al fine di «preservare la fiducia del pubblico nel principio della legalità e per evitare qualsiasi parvenza di complicità o di tolleranza relativamente a degli atti illegali» (Cedu, Avşar c. Turchia; Opuz c. Turchia);

    la giurisprudenza diffusa a livello europeo, invero, impone agli Stati membri di adoperarsi affinché il procedimento penale si svolga con modalità tali da garantire anche il coinvolgimento e la soddisfazione dei diritti delle vittime. Si tratta dei cosiddetti obblighi procedurali, derivanti dagli articoli 2 e 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, che prescrivono agli Stati di adoperarsi, in caso di violazione delle suddette disposizioni, per garantire lo svolgimento di indagini effettive e idonee ad accertare i fatti di reato, anche in prospettiva di tutela e di ristoro della vittima del reato;

    è di tutta evidenza che il ruolo della vittima abbia finito per perdere sempre più rilevanza, e ciò è dimostrato anche dall'assenza, nel codice di procedura penale, della nozione di «vittima», laddove vengono usate le definizioni di «offeso dal reato», «persona offesa», «persona offesa dal reato». Pertanto vi è la necessità di far recuperare alla vittima una posizione di centralità nel processo di accertamento della violazione e della punizione che subisce il colpevole;

    è fondamentale, dunque, che il processo penale, in quanto tale, si traduca in concreto in uno strumento ontologicamente funzionale alla soddisfazione delle istanze del soggetto danneggiato dal reato;

    le fonti europee hanno gradualmente dimostrato un'attenzione sempre maggiore, sul piano del diritto penale, rispetto alla salvaguardia delle garanzie non solo dell'accusato, ma anche della vittima. Il considerando n. 9 della direttiva 2012/29/UE afferma che «un reato è non solo un torto alla società, ma anche una violazione dei diritti individuali delle vittime»;

    nella stessa Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, che si presta a una continua interpretazione evolutiva «in the light of present-day conditions», sono rinvenibili evidenti segnali della crescente valorizzazione delle prerogative delle vittime del reato;

    come già accennato, assumono rilevanza i numerosi arresti della Corte europea dei diritti dell'uomo in relazione alle cosiddette positive obligation nell'ambito di alcune garanzie tutelate dalla Convenzione, quali gli articoli 2, 3, 4 e 8. Ci si riferisce non solo agli obblighi da parte degli Stati di rendere penalmente rilevanti quelle condotte lesive dei più importanti tra i beni fondamentali, ma anche, e soprattutto, ai doveri di carattere procedurale, che prescrivono ai Paesi contraenti indagini effettive e complete;

    degna di nota, in tale contesto, è la decisione nel caso Petrella c. Italia, ove i giudici della Corte europea dei diritti dell'uomo hanno condannato l'Italia per la violazione dell'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, in quanto la vittima non aveva potuto costituirsi parte civile nel procedimento penale, a causa del sopraggiungere del termine della prescrizione del reato nel corso delle indagini preliminari;

    come noto, gli effetti distorsivi dell'istituto della prescrizione – come era delineato prima della riforma operata nel Governo Conte I con la legge n. 3 del 2019, cosiddetta «spazzacorrotti», che ha sospeso il corso della prescrizione dopo la sentenza di primo grado – pregiudicavano fortemente le istanze di giustizia delle vittime del reato, che sono spesso rimaste inascoltate quando, per il verificarsi della causa estintiva, le stesse non hanno potuto ottenere un accertamento definitivo della verità, con ciò comportando di fatto una denegata giustizia e minando la fiducia dei cittadini nella capacità dello Stato di assolvere al compito fondamentale di assicurare il rispetto della legalità e la tutela dei diritti. In sostanza, il meccanismo della prescrizione è stato troppo a lungo utilizzato come occulto e mirato fattore di deflazione del carico degli uffici giudiziari, in assenza della volontà politica di potenziare gli organici della magistratura. Un effetto distorsivo dell'istituto della prescrizione in questi anni ha portato anche all'intasamento del carico delle corti d'appello e al parziale svilimento dei riti speciali. La sospensione della prescrizione – avvenuta grazie alla cosiddetta legge «spazzacorrotti» – avrebbe determinato un minore interesse a proporre appello, costituendo piuttosto un incentivo a definire il processo attraverso i riti speciali, se non fosse intervenuta l'introduzione del nuovo istituto dell'improcedibilità per superamento dei termini di fase, che torna – invece – ad incoraggiare la proposizione delle impugnazioni nella speranza di veder finire nel nulla i processi;

    l'attuazione del principio del giusto processo, come contemplato dall'articolo 111 della Costituzione, non è idoneo a giustificare un'eventuale reviviscenza del meccanismo della prescrizione sostanziale, così come esistente prima dell'entrata in vigore della già richiamata legge n. 3 del 2019;

    l'istituto della prescrizione, infatti, non è posto a fondamento del principio della ragionevole durata del processo: il dato temporale sarebbe già di per sé sufficiente a dimostrare la veridicità di quanto testé affermato. La prescrizione, infatti, è stata introdotta molto prima della riforma dell'articolo 111 della Costituzione (1999) che ha fatto strada al principio del cosiddetto «giusto processo e della durata ragionevole». È evidente, dunque, che la stessa non è stata originariamente contemplata a garanzia del principio costituzionale, piuttosto i presidi per assicurare la ragionevole durata sono altri, come i meccanismi compensativi in caso di durata irragionevole dei processi, già previsti nell'ordinamento dalla cosiddetta legge Pinto. Soprattutto, il vero antidoto è costituito dall'incremento delle risorse umane, per questo è imprescindibile prevedere il completamento ed anzi il rafforzamento degli organici del comparto della giustizia. Non a caso, la riforma Bonafede della prescrizione è entrata in vigore dopo aver reso effettivo – grazie ai Governi Conte I e II – un piano straordinario di assunzioni nel settore della giustizia. Ma la lentezza dei procedimenti non può essere utilizzata per celare l'obiettivo di sottrarsi alla giustizia: la durata ragionevole dei processi può e deve essere garantita diversamente, con una giustizia che funzioni;

    la riforma Cartabia ha introdotto rilevanti novità nell'ambito del procedimento penale, tra queste, anche l'istituto della cosiddetta «improcedibilità» per superamento dei termini massimi di fase di impugnazione. La soluzione proposta dalla riforma, che mira a distinguere la prescrizione del reato dai tempi del processo, rappresenta tuttavia una scelta riformatrice radicale, che cela non poche insidie, sia in termini di garanzie dell'accertamento, che di risposte di giustizia alla persona offesa. Infatti, essa determina di fatto gli stessi effetti della prescrizione sostanziale, ovvero l'estinzione del processo, con in più delle aggravanti;

    come rilevato dagli operatori del settore, infatti, l'improcedibilità funge da tagliola dopo 2 anni e 1 giorno per l'appello e 1 anno e 1 giorno per la Corte di cassazione, anche in quei casi in cui la prescrizione del reato (sostanziale) non sarebbe maturata;

    inoltre, essa, una volta sopraggiunta, comporta l'estinzione immediata del processo, senza alcun rimedio. Mentre la prescrizione sostanziale – in teoria – determinava l'effetto di selezionare i processi di appello da trattare con priorità, in quanto prossimi alla scadenza dei termini, l'improcedibilità comporta, invece, la fissazione di un termine massimo di durata uguale per tutti i processi, in quanto slegata dal reato;

    è innegabile, dunque, che l'improcedibilità determini un'eccessiva rigidità del sistema. Secondo la costante giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, seguita dalla giurisprudenza italiana formatasi a proposito della legge Pinto, la ragionevole durata del processo non può essere definita in via generale e astratta in relazione ad un processo ideale, ma deve essere determinata ex post in relazione alle concrete peculiarità di ogni singola vicenda processuale, sulla base della complessità del caso e del comportamento delle parti (pubbliche e private). Termini troppo brevi rischierebbero di non essere adeguati rispetto a vicende processuali particolarmente complesse e il «giusto processo» non può essere valutato solo in termini di durata, ma anche della correttezza della decisione che ne è frutto;

    la Commissione europea nel Report sullo stato di diritto 2022 ha manifestato espressamente talune perplessità proprio rispetto alla fissazione di termini massimi per la conclusione dei procedimenti dinanzi alla corte d'appello e alla Corte di cassazione, pena l'improcedibilità;

    in particolare, per problemi di efficienza soprattutto a livello delle corti d'appello, «le nuove misure rischiano di incidere negativamente sui processi penali e in particolare su quelli in corso, che potrebbero essere automaticamente resi improcedibili. Sebbene siano previste eccezioni e siano in vigore norme temporanee, l'efficacia del sistema giudiziario penale richiede un attento monitoraggio a livello nazionale per garantire un giusto equilibrio tra l'introduzione delle nuove disposizioni e i diritti di difesa, i diritti delle vittime e l'interesse pubblico all'efficienza del procedimento penale»;

    appare fondamentale ed urgente, dunque, superare il meccanismo dell'improcedibilità introdotto dalla menzionata riforma, mantenendo, al contempo, la sospensione della prescrizione sostanziale dopo la sentenza di primo grado;

    l'articolo 2 del decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150 – di attuazione della legge n. 134 del 2021 recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari», cosiddetta riforma Cartabia – ha apportato rilevanti modifiche alla disciplina del regime della procedibilità di alcune fattispecie di reato di più frequente applicazione pratica, con ciò determinando conseguenze negative in termini di risposta alle istanze delle vittime. Infatti, è stata ampliato l'ambito di operatività della procedibilità a querela, al fine di conseguire effetti deflattivi sul contenzioso giudiziario ed effetti positivi sulla durata complessiva dei procedimenti. Tuttavia, la prassi applicativa che ne è emersa, immediatamente dopo la sua recente entrata in vigore, ha da subito dimostrato i suoi effetti distorsivi, per cui l'obiettivo di razionalizzare il lavoro delle procure e di smaltire gli arretrati non può più giustificare l'abdicazione da parte dello Stato al suo potere/dovere di attivarsi per perseguire gli autori dei reati, lasciando così alla persona offesa la relativa decisione di procedere;

    appare opportuno, dunque, ripristinare la procedibilità d'ufficio per taluni delitti di particolare allarme sociale, ovvero per quelli rispetto ai quali risulta arduo raccogliere l'eventuale querela. Nella specie, per il reato di lesioni personali (articolo 582 del codice penale), sequestro di persona (articolo 605 del codice penale), violenza privata (articolo 610 del codice penale), violazione di domicilio (articolo 614 del codice penale), furto aggravato dalle circostanze previste dall'articolo 625 del codice penale e danneggiamento, quando il fatto sia commesso ai danni dei beni demaniali e dei beni patrimoniali indisponibili di Stato, regioni, province, comuni, città metropolitane o altre amministrazioni locali;

    il già citato decreto legislativo n. 150 del 2022 – riforma Cartabia – nell'ambito di un più generale intervento riformatore sul titolo II del libro IX del codice di procedura penale in materia di impugnazioni, ha novellato, altresì, l'articolo 599-bis del codice di procedura penale, relativo al concordato anche con rinuncia ai motivi di appello. Segnatamente, la richiamata riforma ha inteso ampliare l'ambito applicativo del cosiddetto «concordato in appello», attraverso l'eliminazione di tutte le preclusioni all'accesso a tale istituto, previste dal comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale. Si tratta, in particolare, dei reati di associazione per delinquere finalizzata all'immigrazione clandestina o alla tratta di persone ovvero i reati con finalità di terrorismo, ovvero a commettere un delitto di sfruttamento sessuale dei minori, o finalizzata ad un delitto di contraffazione; tratta di persone o riduzione in schiavitù; associazione per delinquere di tipo mafioso o commessi per agevolare tali associazioni; scambio elettorale politico-mafioso; sequestro di persona a scopo di estorsione; associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, al contrabbando di tabacchi e al traffico di rifiuti; i reati di sfruttamento sessuale dei minori; reati di violenza sessuale semplice, aggravata e di gruppo;

    il suo campo d'applicazione, dunque, era limitato, in quanto era escluso in relazione al sopra richiamato catalogo di gravi reati;

    sebbene l'istituto del concordato sui motivi di appello non possa essere propriamente considerato a carattere premiale, esso determina impliciti effetti deflattivi. Invero, ben potrebbe verificarsi che, anche a seguito di condanna in primo grado, il pubblico ministero, per abbattere il cospicuo carico di lavoro, sia più incentivato ad accordarsi con il difensore dell'imputato sull'accoglimento di taluni motivi di gravame, in ragione della prospettiva che l'imputato rinunci agli altri motivi, anche in caso di reati particolarmente insidiosi, facendo ottenere a quest'ultimo considerevoli riduzioni di pena ed evitandogli talvolta di scontare la condanna in carcere;

    un simile intervento, lungi dal voler determinare maggiore efficienza del processo penale, può invece tradursi di fatto in un «ennesimo assist all'impunità», con gravi ripercussioni sui diritti fondamentali delle vittime;

    appare imprescindibile, dunque, ripristinare il catalogo di preclusioni relativo all'istituto del concordato con rinuncia ai motivi in appello, in origine contenuto nel comma 2 dell'articolo 599-bis del codice di procedura penale, per escludere che esigenze deflattive possano comportare un elevato rischio di impunità nei casi richiamati;

    tra i tipi di tutela derivanti dall'articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, vi è anche quella riguardante casi di violazioni «interindividuali», cioè poste in essere da soggetti privati a danni di altri individui, considerati dall'ordinamento, nazionale e sovranazionale, particolarmente vulnerabili, come donne e bambini, o, più in generale vittime di violenza domestica. Nei riguardi di tali soggetti, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha stigmatizzato il comportamento delle autorità statali per i casi di violazioni dei diritti tutelati dall'articolo 3. In particolare, la Corte europea dei diritti dell'uomo talvolta ha evidenziato l'inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate dalle autorità allo scopo di evitare il protrarsi delle lesioni a carico delle vittime, talaltra hanno rimarcato la presenza di superficialità da parte dello Stato a fronte della denuncia di fatti particolarmente gravi;

    nel nostro ordinamento, il cosiddetto codice rosso ha già tracciato la strada verso il potenziamento degli strumenti a tutela delle donne vittime di violenza. Grazie alle modifiche normative introdotte, oggi è prevista una corsia preferenziale per le indagini, la possibilità per la vittima di proporre querela fino ad un anno (in luogo dei 3 mesi previsti per gli altri casi), nonché l'inasprimento delle pene già previste per chi abusa. Infine, la legge ha introdotto altresì nel codice penale 4 nuovi reati: violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, costrizione o induzione al matrimonio, deformazione dell'aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (cosiddetto revenge porn);

    tuttavia, c'è ancora molto da fare per contrastare questo allarmante fenomeno, che i dati dimostrano – purtroppo – sempre in maggiore crescita. Nel report diffuso dal dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno in occasione della Giornata internazionale delle donne vittime di violenza, il dato inerente all'applicazione del codice rosso vede un significativo incremento sia dei delitti commessi, che delle segnalazioni a carico dei presunti autori noti. Si registra «un trend di crescita per le violenze sessuali, confermando la necessità di riservare a tale fenomenologia criminale la massima attenzione». Dal 2020, anno nel quale si è registrato il dato minore (4.497), l'incremento è stato significativo e si è attestato, nel 2022, a 5.991 eventi;

    ai fini dell'accertamento della verità processuale e del soddisfacimento della richiesta di ristoro della vittima e della parte civile, il legislatore ha l'obbligo di dotare l'autorità giudiziaria di tutti gli strumenti preordinati a tal fine. Il problema si pone tanto più per le fattispecie penali di difficile accertamento, tra le quali possono annoverarsi i reati di corruzione. Privare o limitare lo Stato dell'uso dello strumento delle intercettazioni può comportare una perdita di efficienza nella lotta alla delinquenza e la riduzione della possibilità di sottrazione di ingenti quantità di beni dalla disponibilità della criminalità;

    se la finalità ultima dell'attuale Governo è quella di contrastare gli «abusi», in particolare la divulgazione a mezzo stampa dei contenuti delle intercettazioni, orbene, è stato già dimostrato come negli ultimi anni nessun abuso a pregiudizio del diritto alla riservatezza sia stato rilevato;

    durante il Governo Conte II, infatti, è stato adottato il decreto-legge n. 161 del 2019, entrato in vigore a settembre 2020, che ha chiuso una stagione di interventi confusionari e superflui, rappresentando una sintesi equilibrata tra l'esigenza di perseguire reati gravi e il diritto alla privacy rispetto a fatti penalmente non rilevanti. Come emerso in sede di audizione al Senato della Repubblica del Garante per la protezione dei dati personali, il 24 gennaio 2023, i dati raccolti confermano che dal 2020 non si è registrato alcun caso di violazione della privacy determinato da potenziali abusi delle intercettazioni, con ciò privando di fondamento qualsivoglia esigenza di ulteriore intervento normativo. Dunque, è sufficiente rispettare i confini già esistenti in materia di condizioni di applicazione, non vi è più alcuna necessità di intervenire sulla disciplina delle intercettazioni, depotenziandola;

    degni di nota sono, inoltre, alcuni dati forniti dal procuratore di Palermo, Maurizio de Lucia, nel corso dell'audizione in videoconferenza in Commissione giustizia al Senato della Repubblica, nell'ambito dell'indagine conoscitiva sulle intercettazioni. Nel 2022 nel distretto di corte d'appello di Palermo sono state 2.902 le utenze telefoniche intercettate (numero che non corrisponde ai soggetti «ascoltati», visto che ciascuno potrebbe aver avuto più utenze a disposizione). Di queste, 1.950 intercettazioni erano relative a indagini di mafia, 9 di terrorismo e 935 si inquadravano nell'ambito di inchieste su altri reati (ad esempio di corruzione). Il trojan invece è stato usato in 218 casi: 185 in inchieste antimafia, 3 su sospetti casi di terrorismo, 30 in indagini «comuni». Il procuratore ha più volte sottolineato, quindi, l'importanza delle captazioni, strumenti definiti come «irrinunciabili», così come dimostrato dai dati forniti;

    la fattispecie di abuso d'ufficio è stata novellata durante il Governo Conte II attraverso un intervento di specificazione della fattispecie che ne ha eliminato gli aspetti di maggiore incertezza interpretativa. Di conseguenza, ciò rende di fatto superflua un'ulteriore modifica normativa, che avrebbe esclusivamente l'effetto di determinare nuove incertezze applicative, che necessiterebbero dell'attività ermeneutica della giurisprudenza di legittimità;

    in particolare, l'articolo 23 del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76, ha inciso sulla disposizione del codice penale sostituendo le parole «di norme di legge o di regolamento,» con le seguenti: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità». Ne consegue che il delitto di abuso d'ufficio è ora integrato dalla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di un pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio e salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, intenzionalmente procuri a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto attraverso la violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero attraverso la violazione del dovere di astensione o la violazione di norme che dovranno essere: specifiche; espressamente ed esclusivamente previste da fonti primarie del diritto, con esclusione, quindi, di fonti secondarie; a condizione che da tali regole di condotta non residuino margini di discrezionalità. Ne deriva che un eventuale nuovo intervento normativo volto ad allargare ulteriormente le maglie di tale reato potrebbe porsi in contrasto con il principio costituzionale del buon andamento ed imparzialità della pubblica amministrazione che ne è sotteso, in quanto potrebbe determinare importanti sacche di impunità;

    la legge n. 3 del 2019 (cosiddetta «spazzacorrotti») proposta dall'allora Ministro Bonafede ed approvata nel corso del Governo Conte I ha fatto ottenere all'Italia il plauso da parte del Greco (il gruppo di Stati contro la corruzione in seno al Consiglio d'Europa), a margine della sua attività di valutazione di conformità delle legislazioni vigenti degli Stati aderenti agli standard anti-corruzione. E ciò in quanto la suddetta legge ha introdotto, oltre a nuovi poteri per le autorità inquirenti, ad un incremento delle sanzioni per le persone sia giuridiche sia fisiche, alla sospensione dei termini di prescrizione dopo la condanna di primo grado, anche ulteriori adeguamenti dei reati di corruzione privata e – soprattutto – del traffico di influenze illecite;

    in particolare, il Greco ha mostrato apprezzamento rispetto all'avvenuto allineamento del reato di traffico di influenze illecite ai requisiti di cui alla Convenzione penale sulla corruzione (articolo 12), colmando, così, una lacuna più volte segnalata dal medesimo organo europeo. In un'ottica di messa a terra del Piano nazionale di ripresa e resilienza, nonché di continuazione nel reperimento delle risorse da esso derivate, non sfugge, dunque, l'importanza anche del mantenimento dello strumento de quo al fine di scongiurare ipotetiche attività illecite da parte della criminalità, attirata dall'ingente quantità di afflusso di danaro. Infatti, un allentamento dei presidi contro i fenomeni corruttivi e contro i suoi cosiddetti reati spia, tra i quali possono ben annoverarsi sia l'abuso di ufficio sia il traffico di influenze illecite, non può che esporre al pericolo di infiltrazioni da parte delle organizzazioni criminali che potrebbero, di guisa, mettere in discussione anche l'erogazione dei fondi da parte dalla stessa Unione europea;

    allentare le maglie della fattispecie di traffico di influenze sarebbe un grave errore, da non commettere proprio in un momento storico come quello attuale;

    sempre nell'ottica di presidio dei diritti fondamentali, è imprescindibile che lo Stato mantenga sempre alta e vigile l'attenzione rispetto all'efficace contrasto dei fenomeni mafiosi in tutte le sue estrinsecazioni. A tal fine, occorre salvaguardare uno degli strumenti indefettibili per la lotta alla mafia: il regime speciale di detenzione previsto dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, corollario insostituibile della legislazione antimafia italiana, in quanto mira a contrastare i rapporti tra associati detenuti e organizzazione criminale;

    in sede di esposizione delle linee programmatiche del dicastero e in ulteriori occasioni da parte del Ministro della giustizia, è stata più volte annunciata la volontà di intervenire sulla separazione delle carriere dei magistrati. Oggi sono in esame in Commissione affari costituzionali diversi progetti di legge costituzionale in tale direzione. Tuttavia, non può non tenersi conto come già un simile intervento sia naufragato in occasione del referendum, laddove il quesito proposto non ha raggiunto il quorum di cui all'articolo 75 della Costituzione;

    una riforma in tale materia è tutto fuorché necessaria, tanto più ora che la riforma Cartabia ha ridotto ad uno i passaggi di funzioni tra magistrati requirenti e giudicanti, rendendo ancor più eccezionale l'eventuale mutamento di funzioni nell'arco della vita professionale di un magistrato;

    si consideri, inoltre, che più si separa sul piano formativo e professionale il pubblico ministero dal giudice, più si rischia di incorrere in una realtà – lontana dal sistema processuale italiano – in cui il pubblico ministero diventa un «avvocato di polizia», un mero accusatore e non già un funzionario dello Stato chiamato ad accertare la verità dei fatti, come contempla anche il codice di procedura penale (articolo 358 del codice di procedura penale);

    la comunanza di formazione e di percorso iniziale, al contrario, contribuisce a scongiurare, se non proprio evitare, questo rischio ed è dunque una garanzia per il cittadino che dovesse essere indagato,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni iniziativa – anche normativa – utile a garantire l'efficacia delle disposizioni a presidio delle vittime dei reati, apprestando una tutela in concreto delle stesse, proprio in considerazione della propria condizione di minorità che nasce dall'aver subito un pregiudizio;

2) ad adottare iniziative normative volte a superare l'istituto dell'improcedibilità in secondo grado previsto dall'articolo 344-bis del codice di procedura penale, mantenendo ferma la disciplina della prescrizione dei reati come introdotta dalla legge n. 3 del 2019, cosiddetta «spazzacorrotti», in quanto l'estinzione del processo per decorrenza dei termini può tradursi in una grave denegata giustizia per le vittime;

3) ad astenersi da qualsivoglia intervento – anche normativo – volto a riformare la disciplina delle intercettazioni in modo da restringerne l'utilizzo o da depotenziarne l'efficacia come strumento di ricerca della prova determinante per l'attività investigativa ed indispensabile per contrastare le forme più insidiose di criminalità organizzata e dei fatti di corruzione, i cui effetti finali ricadono sull'utente, ovvero il cittadino;

4) ad adottare iniziative normative per modificare l'istituto del concordato anche con rinuncia ai motivi di appello ex articolo 599-bis del codice di procedura penale, ripristinando l'esclusione dell'applicazione di detto istituto agli imputati per reati di particolare gravità;

5) ad adoperarsi per favorire l'iter delle iniziative legislative già esistenti in Parlamento in materia di procedibilità d'ufficio, per ripristinare il precedente regime rispetto a quei reati di peculiare disvalore sociale, per evitare di far gravare sulle vittime l'onere di proporre querela per azionare la pretesa punitiva dello Stato;

6) a non intervenire sul delitto di abuso di ufficio e sul delitto di traffico di influenze, fattispecie eventualmente da potenziare in combinazione con l'introduzione di una normativa sulla regolamentazione delle lobby, sul conflitto di interessi, in quanto strettamente connessi;

7) ad assumere con la massima determinazione iniziative volte al contrasto alla violenza contro le donne, al fine di ridurre sensibilmente il numero dei femminicidi, nel contesto di quanto segnalato in premessa, riprendendo il percorso segnato dal codice rosso e proseguito dalla Commissione di inchiesta sul femminicidio, la quale ha predisposto nella relazione conclusiva molteplici misure volte ad intervenire sul piano preventivo, di protezione, nonché punitivo e rieducativo (e di azzeramento dei tassi di recidiva) nei confronti rispettivamente delle vittime e degli autori del reato, sostenendo, per quanto di competenza, le iniziative legislative parlamentari sul tema;

8) a rispettare integralmente, per quanto di competenza, il titolo IV della Costituzione laddove vengono contemplati il principio di separazione dei poteri e dell'autonomia della magistratura (articolo 104 della Costituzione), nonché ad astenersi dal dare seguito a qualsivoglia proposta normativa di separazione delle carriere dei magistrati e di eliminazione dell'obbligatorietà dell'azione penale sancita dall'articolo 112 della Costituzione;

9) a mantenere e rafforzare gli strumenti di contrasto previsti dalla legislazione antimafia e, in particolare, a salvaguardare il regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario;

10) a tornare ad investire nel comparto giustizia per rilanciare il rapporto tra giustizia e cittadino e quale unico vero antidoto alla lunghezza dei processi penali, colmando le scoperture negli uffici giudiziari attraverso una massiccia e mirata attività assunzionale, in continuità con le leggi di bilancio degli anni 2018-2020.
(1-00091) «D'Orso, Ascari, Cafiero De Raho, Giuliano, Scutellà, Aiello, Cappelletti, Iaria, Pavanelli, Pellegrini».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

mafia

responsabilita' civile

reato