ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00090

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 19
Seduta di annuncio: 66 del 10/03/2023
Abbinamenti
Atto 1/00053 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00091 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00092 abbinato in data 13/03/2023
Atto 1/00093 abbinato in data 15/03/2023
Atto 1/00094 abbinato in data 15/03/2023
Atto 1/00095 abbinato in data 15/03/2023
Firmatari
Primo firmatario: CALDERONE TOMMASO ANTONINO
Gruppo: FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE
Data firma: 10/03/2023
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
PITTALIS PIETRO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE 10/03/2023
PATRIARCA ANNARITA FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE 10/03/2023
CATTANEO ALESSANDRO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE 10/03/2023


Stato iter:
15/03/2023
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 13/03/2023
Resoconto CALDERONE TOMMASO ANTONINO FORZA ITALIA - BERLUSCONI PRESIDENTE - PPE
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 13/03/2023
Resoconto GIANASSI FEDERICO PARTITO DEMOCRATICO - ITALIA DEMOCRATICA E PROGRESSISTA
Resoconto MURA FRANCESCO FRATELLI D'ITALIA
Fasi iter:

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 13/03/2023

DISCUSSIONE IL 13/03/2023

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 13/03/2023

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 15/03/2023

RITIRATO IL 15/03/2023

CONCLUSO IL 15/03/2023

Atto Camera

Mozione 1-00090
presentato da
CALDERONE Tommaso Antonino
testo presentato
Venerdì 10 marzo 2023
modificato
Mercoledì 15 marzo 2023, seduta n. 69

   La Camera,

   premesso che:

    il sistema delle fonti sovraordinate del diritto processuale penale costituisce oggi un sistema complesso all'interno del quale, a fianco della Costituzione, si trovano la normativa dell'Unione europea e i trattati internazionali, in particolare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;

    la complessità di tali fonti primarie impone che tutti i protagonisti del sistema «giustizia penale», dal legislatore nazionale ai giudici, fino alle parti processuali, acquisiscano una piena consapevolezza della necessità di dare concreta attuazione ai principi del processo penale europeo;

    il diritto all'equo processo è affermato quale diritto fondamentale dell'uomo e, dunque, riconosciuto in tutti gli ordinamenti degli Stati di diritto dall'articolo 10 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948 a Parigi;

    la fonte di matrice comunitaria cui in primis occorre fare riferimento è la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che, come noto, ha valore normativo nei confronti dei Paesi membri del Consiglio d'Europa, con disposizioni che assurgono al rango di regole precettive di prerogative specifiche e a tutela di ogni persona;

    nell'ambito della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, la posizione e le garanzie che devono assistere l'autorità giurisdizionale chiamata a decidere di una singola controversia trovano regolamentazione nell'articolo 6 che si annovera fra quelli più importanti e discussi della Convenzione e affronta il tema dell'equo processo, della ragionevole durata (articolo 6, paragrafo 1), della presunzione di innocenza (articolo 6, paragrafo 2) e delle garanzie processuali dell'imputato in relazione al principio del contraddittorio (articolo 6, paragrafo 3);

    nell'ottica di tali garanzie, ruolo di primaria importanza ha il cosiddetto right to be heard, ossia il diritto ad essere ascoltati, riconoscimento all'imputato di potersi confrontare in giudizio con l'accusatore, previsto all'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'ambito del più ampio principio del contraddittorio disciplinato anche dalle costituzioni e legislazioni nazionali;

    l'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, nell'affermare che ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, precisa che la sentenza deve essere resa pubblicamente, ma l'accesso alla sala d'udienza può essere vietato alla stampa e al pubblico nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico o della sicurezza nazionale, quando lo esigono gli interessi dei minori, la protezione della vita privata delle parti in causa o rischio di pregiudizio agli interessi della giustizia. Per il paragrafo 2: «Ogni persona accusata di un reato è presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata». Il paragrafo 3, lettera d), stabilisce che ogni accusato ha diritto di: «esaminare o far esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l'esame dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni a carico»;

    secondo la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nel rispetto dell'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), vi è la necessità di un contraddittorio effettivo, per cui la condanna non può essere basata solo su dichiarazioni rese in una fase antecedente al dibattimento;

    nonostante il radicamento dei principi della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali negli ordinamenti nazionali, permangono alcune problematicità di adeguamento del sistema processuale penale italiano al diritto della Convenzione. Se si considera l'articolo 111 della Costituzione sul diritto al contraddittorio, si può notare che i commi 4 e 5 non coincidono pedissequamente con quanto stabilito dall'articolo 6, paragrafo 3, lettera d), della Convenzione. Ciò implica un deficit di garanzie dell'ordinamento interno rispetto ai diritti previsti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, con particolare riguardo alle dichiarazioni assunte in assenza di contraddittorio. Tale lacuna sussiste, nonostante la novella costituzionale dell'articolo 111 di cui alla legge di revisione costituzionale n. 2 del 1999;

    l'articolo 111 della Costituzione recita: «La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato (...) abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (...). Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell'imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all'interrogatorio da parte dell'imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell'imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita»;

    strettamente interconnesse con le norme di rango sovranazionale vi è, dunque, il plesso delle disposizioni precipuamente dedicate dalla Costituzione alla materia penale. Si tratta di una messe di principi garantistici, sviluppati per definire presupposti, contenuto e limiti della potestà punitiva;

    alcuni di questi principi sono espressi, come il principio di legalità, nei fondamentali corollari della riserva di legge e dell'irretroattività, previsti dall'articolo 25, secondo comma, della Costituzione; il principio della personalità della responsabilità penale, di non colpevolezza e della finalità rieducativa della pena – scolpiti nell'articolo 27 della Costituzione – e il menzionato principio del giusto processo di cui all'articolo 111 della Costituzione;

    altri sono principi implicitamente ricavati da costrutti argomentativi di variegata complessità, quali il principio di tassatività/determinatezza, quello di retroattività della legge penale più favorevole, i principi di materialità e offensività al pari di quello di sussidiarietà della norma penale o di extrema ratio. Non si possono sottacere i principi fondamentali contenuti negli articoli 2 e 3 della Carta fondamentale;

    la centralità dell'imputato e la preminente esigenza di garantire i suoi diritti fondamentali nel contesto di un processo per ciò stesso definito equo è via via emersa in una visione antropocentrica della procedura penale, che è già stata icasticamente definita «umanesimo processuale»;

    nondimeno nel nostro Paese si ravvisano dei forti scollamenti delle prassi giudiziarie rispetto al citato impianto primario di riferimento sotto diversi profili: i più rilevanti sono certamente quello della ragionevole durata del processo e quello della presunzione di non colpevolezza;

    sotto il primo profilo, il Consiglio europeo, nelle sue annuali raccomandazioni, ha costantemente sollecitato l'Italia a «ridurre la durata dei processi civili in tutti i gradi di giudizio», nonché ad «aumentare l'efficacia della prevenzione e repressione della corruzione riducendo la durata dei processi penali e attuando il nuovo quadro anticorruzione» (raccomandazioni del 2017-2019);

    la Commissione europea, nella relazione per Paese relativa all'Italia 2020 (Country report 2020) del 26 febbraio 2020, ha rilevato come l'Italia abbia compiuto progressi solo limitati nel dare attuazione alle sopra citate raccomandazioni. In particolare, nel settore penale, si è rilevato il perdurare della scarsa efficienza del processo, soprattutto di appello;

    da ultimo, nelle raccomandazioni specifiche all'Italia del 20 luglio 2020 il Consiglio europeo ha nuovamente invitato l'Italia ad adottare provvedimenti volti a «migliorare l'efficienza del sistema giudiziario»;

    non a caso, dunque, il Piano nazionale di ripresa e resilienza individua nella lentezza nella realizzazione di alcune riforme strutturali un limite al potenziale di crescita dell'Italia. La riforma del sistema giudiziario, incentrata sull'obiettivo della riduzione del tempo del giudizio, è inserita dal Piano nazionale di ripresa e resilienza tra le cosiddette riforme orizzontali, o di contesto, che consistono in innovazioni strutturali dell'ordinamento, tali da interessare, in modo trasversale, tutti i settori di intervento del Piano. Per realizzare questa finalità, il Piano prevede – oltre a riforme ordinamentali, da realizzare ricorrendo allo strumento della delega legislativa – anche il potenziamento delle risorse umane e delle dotazioni strumentali e tecnologiche dell'intero sistema giudiziario, al quale sono destinati specifici investimenti;

    la legge n. 134 del 2021, recante «Delega al Governo per l'efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari» (cosiddetta riforma Cartabia), ha risposto a tale istanza, ma solo parzialmente, anche in ragione della variegata composizione delle forze di maggioranza, ma il tema della ragionevole durata del processo rimane questione tutt'oggi aperta. Ridurre l'arretrato e accelerare i processi rappresenta ancora oggi una priorità, ma non a totale scapito e detrimento delle garanzie della difesa;

    la prescrizione sostanziale è un fondamentale elemento acceleratorio e il suo venir meno, più che una cura, suona come il certificato della malattia cronica della giustizia italiana. Porre il processo al di fuori del flusso del tempo danneggia tutti: la vittima e la collettività tutta, che hanno un comune interesse al celere accertamento della responsabilità e alla punizione del reato. L'innocente, già danneggiato dal solo fatto di essere sottoposto al procedimento, e per il quale ogni giorno in più alla gogna è un supplizio intollerabile; lo stesso colpevole, che ha diritto di vedere definita in breve la sua vicenda, scontando la sanzione per poi reinserirsi in società;

    sempre in un'ottica di maggiore efficienza del procedimento penale e di effettività delle garanzie dell'imputato, si impone di evidenziare il regime di impugnazione delle sentenze di proscioglimento da parte dei pubblici ministeri. La questione è stata affrontata dalla legge 20 febbraio 2006, n. 46, (cosiddetta legge Pecorella), che escludeva la possibilità per il pubblico ministero di appellare le sentenze di proscioglimento, salvo l'emergere di nuove prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 26 del 2007, ha dichiarato l'incostituzionalità della norma sopra riferita in quanto negazione del principio di parità delle parti, impedendo al pubblico ministero il potere di impugnare una sentenza di primo grado in appello. La medesima pronuncia della Corte costituzionale ha rilevato come «le fisiologiche differenze che connotano le posizioni delle due parti necessarie del processo penale, correlate alle diverse condizioni di operatività e ai differenti interessi dei quali, anche alla luce dei precetti costituzionali, le parti stesse sono portatrici – essendo l'una un organo pubblico che agisce nell'esercizio di un potere e a tutela di interessi collettivi; l'altra un soggetto privato che difende i propri diritti fondamentali (in primis, quello di libertà personale), sui quali inciderebbe un'eventuale sentenza di condanna – impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell'iter processuale, in un'assoluta simmetria di poteri e facoltà»;

    sul punto giova ricordare l'articolo 2 del protocollo numero 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, di cui alla legge 4 agosto 1955, n. 848, o l'articolo 14, paragrafo 5, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, di cui alla legge 25 ottobre 1977, n. 881. Tali norme prevedono che la persona condannata per un reato abbia diritto a che l'accertamento di colpevolezza sia esaminato da un tribunale superiore o di seconda istanza. Diritto riconosciuto solo all'imputato e non all'accusa;

    occorre, dunque, ridisegnare il sistema delle impugnazioni alla luce delle coordinate costituzionali e convenzionali, alla luce delle indicazioni della giurisprudenza costituzionale, che ha rimarcato – in modo sempre più accentuato – la «diversa quotazione costituzionale del potere di impugnazione delle due parti necessarie del processo penale: privo di autonoma copertura nell'articolo 112 della Costituzione – e, dunque, più "malleabile", in funzione della realizzazione di interessi contrapposti – quello della parte pubblica; intimamente collegato, invece, all'articolo 24 della Costituzione. – e, dunque, meno disponibile a interventi limitativi – quello dell'imputato» (sentenza n. 34 del 2020);

    in relazione, poi, alla presunzione di non colpevolezza, l'8 dicembre 2022 la Commissione europea ha adottato una raccomandazione (C-2022-8987) sui diritti procedurali degli indagati e imputati sottoposti a custodia cautelare e sulle condizioni materiali di detenzione con la quale ha invitato, a chiare lettere, gli Stati membri ad «adottare misure effettive, adeguate e proporzionate, per rafforzare i diritti di tutti gli indagati e degli imputati in un procedimento penale che si trovano privati della libertà». La Commissione europea ha precisato che gli Stati devono «garantire alle persone oggetto di privazione della libertà di essere trattate con dignità e che i loro diritti fondamentali siano rispettati», ma soprattutto, la custodia cautelare deve essere considerata «misura da ultima istanza»;

    il tema della misure cautelari personali è inesorabilmente e strettamente connesso con i fondamenti della legislazione costituzionale di garanzia: dal principio di inviolabilità della libertà personale (articolo 13, primo comma, della Costituzione), alla riserva di legge che esige la tipizzazione dei casi e dei modi nonché dei tempi di limitazione di tale libertà, alla riserva di giurisdizione che esige sempre un atto motivato del giudice (articolo 13, secondo e quinto comma, della Costituzione), fino – come detto – alla presunzione di non colpevolezza (articolo 27, secondo comma, della Costituzione), in forza della quale l'imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Nel nostro Paese il mancato rispetto dell'impianto costituzionale di riferimento è drammaticamente testimoniato dai dati riferiti nell'ultima relazione annuale del Ministro della giustizia al Parlamento ex legge 16 aprile 2015, n. 47: 24 milioni e mezzo di euro è quanto ha pagato nel 2022 lo Stato per risarcire quanti hanno ingiustamente subito la custodia cautelare in carcere. Si tratta di persone private della libertà senza che abbiano commesso alcun reato e prima di una sentenza anche non definitiva. Vittime di un potere oltre limite, quello di limitare la libertà personale di un cittadino, extra e ante contraddittorio;

    si impone, dunque, una riflessione molto rigorosa sulla «genesi» dell'intervento cautelare, nonché sull'effettività del controllo giurisdizionale in ordine alle richieste del pubblico ministero, rendendo più stringenti i presupposti per l'applicazione delle misure cautelari personali, in particolare incidendo sulle condizioni meno aderenti al principio di legalità, quale il rischio di reiterazioni di reati della medesima specie di quello per cui si procede (articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale);

    in relazione ai principi di legalità, della residualità del diritto penale, nonché del diritto alla privacy, una grave tensione con i principi fondanti del procedimento penale è posta dall'utilizzo delle intercettazioni e, nello specifico dall'utilizzo dei captatori informatici (così detto trojan horse);

    in relazione all'utilizzo dei captatori informatici si rileva, da un lato, che l'assimilazione, per quanto concerne il loro impiego, tra i reati contro la pubblica amministrazione e i reati di mafia e terrorismo, fattispecie punite con pene completamente diverse, in quanto fenotipi criminosi completamente diversi, crea un'irragionevole assimilazione, introducendo un elemento di irrazionalità che pregiudica la coerenza interna del sistema. Il principio costituzionale di eguaglianza impone di trattare situazioni eguali in modo eguale e situazioni diseguali in modo diseguale. Rispetto a tale previsione si ravvisa, altresì, un eccesso di legislazione penale;

    se, da un lato, l'utilizzo del trojan, introdotto nell'ordinamento penale italiano con la legge 23 giugno 2017, n. 103 – cosiddetta riforma Orlando – rappresenta lo strumento più penetrante ed efficace nel contrasto alla commissione di reati ritenuti di particolare gravità di tipo associativo e di terrorismo, dall'altro è lo strumento che più viola la sfera di intimità dell'intercettato, con l'evidente rischio di una diversa destinazione d'uso atto a violare la privacy degli individui, nonostante la Corte di cassazione abbia confermato che vada esclusa la riconducibilità del trojan agli strumenti di pressione sulla libertà fisica e morale il cui uso è vietato dall'articolo 188 del codice di procedura penale;

    sembra opportuno e doveroso che il legislatore intervenga per correggere simili distonie, escludendo i reati minori dalla possibilità di utilizzo dei captatori informatici nelle indagini preliminari;

    sempre in relazione alla privacy e alla presunzione di non colpevolezza, si deve rilevare come la diffusione degli atti nel corso di procedimenti, come evidenziato da Ministro della giustizia Nordio durante l'audizione al Senato della Repubblica in Commissione giustizia «è uno strumento micidiale di violazione» dei diritti, «di delegittimazione personale e spesso politica»;

    è dunque necessaria una risposta normativa che tuteli effettivamente e concretamente il cittadino da tale fenomeno;

    il primo comma dell'articolo 191 del codice di procedura penale sancisce chiaramente l'inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge. Nondimeno, reiterati arresti della Corte di cassazione hanno, con quella che appare ai firmatari del presente atto come un'interpretazione «creativa», introdotto nell'ordinamento una sorta di distinzione, non prevista dal legislatore, tra inutilizzabilità «patologica» e altri modelli di inutilizzabilità, distinzione divenuta ormai «diritto vivente». Invero, l'imputato che sceglie – legittimamente – il giudizio abbreviato, presta acquiescenza – secondo la giurisprudenza sopra richiamata – all'utilizzabilità di un atto acquisito in violazione di legge, la cui irrituale acquisizione è sanata dalla «scelta negoziale della parte di tipo abdicativo, che fa assurgere a dignità di prova gli atti di indagine compiuti senza il rispetto delle forme di rito» (ex multis, Cassazione penale, sezione IV, 10 novembre 2021, n. 40550, Cassazione penale, sezione III, 14 dicembre 2011, n. 46325). In ossequio al grigliato di principi di riferimento governanti il procedimento penale, si rende necessario intervenire per ribadire l'inutilizzabilità degli atti illegittimamente acquisiti, indipendentemente dalle opzioni processuali dell'imputato;

    in materia del necessario rispetto dell'articolo 25 della Costituzione, l'articolo 192 del codice di procedura penale, relativo al regime di valutazione della prova, ribadisce innanzitutto il principio del libero convincimento del giudice, in un'ottica di rigorosa tutela della legalità sul piano probatorio. La norma delimita il libero apprezzamento del giudice in due precisi ambiti: in generale, si esclude che possano essere utilizzati elementi di natura meramente indiziaria, a meno che tali elementi siano gravi, precisi e concordanti (articolo 192, comma 2, del codice di procedura penale). In relazione alle dichiarazioni dei coimputati nel medesimo reato o degli imputati in un procedimento connesso ex articolo 12 del medesimo codice di procedura penale, la norma stabilisce che esse devono sempre essere valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l'attendibilità (articolo 192, comma 3). Il medesimo principio vale, altresì, in riferimento alle dichiarazioni rese dall'imputato in un reato collegato a quello per cui si procede ex articolo 371, comma 2, del medesimo codice di procedura penale, nonché in relazione alle dichiarazioni all'imputato che abbia assunto l'ufficio di testimone ex articolo 197-bis (articolo 192, comma 4). Tale regime rafforzato relativo alle dichiarazioni rese da altri soggetti deve essere esteso alle intercettazioni indirette, ossia quelle intercettazioni concernenti le conversazioni telefoniche o tra presenti di soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;

    nel corso dell'esposizione delle linee guida del suo dicastero, il Ministro della giustizia ha evidenziato che dai dati relativi all'abuso d'ufficio emerge solo il 3 per cento di condanne, mentre le statistiche indicano 5.400 procedimenti nel 2021, conclusi con 9 condanne davanti al giudice per le indagini preliminari e 18 in sede di dibattimento;

    lo stesso Ministro della giustizia ha evidenziato che «(...) L'unica conseguenza è il rischio di essere indagati (...)», rilevando la necessità di «(...) abbandonare l'idea di tutelare il buon andamento della pubblica amministrazione con minaccia della pena» e ricordando gli appelli dei sindaci di diverse parti politiche in direzione di una riforma di questi reati che comportano soltanto un vulnus all'efficiente funzionamento del procedimento penale;

    le modifiche si rendono necessarie per operare un cambio di rotta da più parti auspicato e superare una delle tante criticità della giustizia italiana, che, piuttosto che ridare slancio alla pubblica amministrazione e, attraverso essa, perseguire obiettivi di ripresa economica del nostro Paese, creano danni e alimentano disfunzioni;

    il rispetto del principio di legalità, in uno con i principi di sussidiarietà e di extrema ratio che debbono governare l'impiego del diritto penale, presentano gravi aspetti di frizione con l'articolo 346-bis del codice penale, rubricato «Traffico di influenze illecite», introdotto con la legge 6 novembre 2012, n. 190, con lo scopo di contrastare i fenomeni corruttivi che orbitano intorno alla pubblica amministrazione, punendo l'insieme delle condotte prodromiche all'atto corruttivo vero e proprio. Successivamente, nel 2019, con la legge cosiddetta «spazzacorrotti» (legge 9 gennaio 2019, n. 3), si è voluta ampliare la tutela della fattispecie esaminata, facendovi confluire la fattispecie del millantato credito, contestualmente abrogata. Il reato de quo è volto a individuare e sanzionare tutte le condotte preparatorie; esso si struttura come illecito plurisoggettivo o a concorso necessario; l'attività sanzionata è quella della mediazione del soggetto attivo che intende approfittare di relazioni esistenti o fittizie con un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio;

    l'eccessiva anticipazione della tutela penale, ovvero per il concentrarsi della norma sulla «mera mediazione» più che sull'«effettivo risultato lobbistico» e, e ancor più, per l'uso nella descrizione della condotta penalmente rilevante di formule vaghe quanto ambigue, impongono un intervento riformatore sulla fattispecie costituzionalmente orientato;

    in relazione alla presunzione di non colpevolezza si deve evidenziare come il testo unico di cui al decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (cosiddetta legge Severino), abbia introdotto nell'ordinamento alcune importanti disposizioni anticorruzione, intervenendo sulla materia dell'incandidabilità e del divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo conseguenti a sentenze di condanna. Tali disposizioni presentano evidenti aspetti di disomogeneità;

    la maggior parte delle sue disposizioni prevede l'incandidabilità e il divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo come conseguenza di una condanna definitiva, mentre le disposizioni di cui agli articoli 8 e 11 prevedono la sospensione di amministratori regionali e locali a seguito di sentenze non definitive. Chi sbaglia deve pagare, ma non è tollerabile il pubblico ludibrio quando nel 97 per cento dei casi l'azione penale si risolve in un nulla di fatto: la stragrande maggioranza di queste sospensioni decade alla loro scadenza e l'unica conseguenza che ne deriva è un grave danno per la vita della comunità, che rimane senza guida, e per le figure dei pubblici amministratori coinvolti, la cui vita politica e personale viene inevitabilmente segnata;

    pare, quindi, fondamentale un sollecito intervento del legislatore idoneo a realizzare un nuovo bilanciamento che rispetti parimenti le esigenze di legalità e il principio di garanzia costituzionale di cui all'articolo 27 della Costituzione;

    alla luce delle sopra esposte considerazioni, si impongono iniziative legislative atte ad adeguare la normativa italiana ai principi nazionali e sovranazionali in materia di equo processo, così garantendo, al contempo, l'effettività dello stato di diritto,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere le opportune iniziative legislative atte a ristabilire il regime della prescrizione sostanziale;

2) ad intraprendere le necessarie iniziative normative in materia di regime di impugnabilità delle sentenze di proscioglimento da parte del magistrato del pubblico ministero, in asse con i principi costituzionali ed europei;

3) ad adottare le opportune iniziative normative in materia di misure cautelari personali atte a garantire il principio di presunzione di non colpevolezza di cui all'articolo 27 della Costituzione, incidendo, a monte, sui presupposti per la loro applicazione e, nello specifico, su quelli non aderenti al necessario rispetto del principio di legalità, quali quello previsto dall'articolo 274, comma 1, lettera c), del codice di procedura penale e, quindi, rafforzando sia il controllo giurisdizionale sulle medesime sia l'obbligo motivazionale;

4) ad adottare le opportune iniziative normative, in ossequio ai principi di legalità, della residualità del diritto penale e di proporzionalità, in materia di intercettazioni e, nello specifico, di utilizzo dei captatori informatici, volte ad escludere i reati contro la pubblica amministrazione da quelli che consentono il ricorso a tale mezzo di ricerca della prova;

5) ad intraprendere le opportune iniziative normative volte a limitare concretamente la pubblicazione degli atti d'indagine, fino all'udienza preliminare, prevedendo adeguate sanzioni, anche di natura amministrativa;

6) ad adottare le iniziative di competenza necessarie atte ad inibire la pubblicazione, anche parziale, del contenuto di intercettazioni, nell'equo contemperamento del principio della presunzione di non colpevolezza con il diritto di cronaca;

7) ad adottare iniziative normative volte a prevedere, in materia di inutilizzabilità degli atti di indagine acquisiti in violazione di legge, l'assolutezza del relativo divieto ex articolo 191 del codice di procedura penale, anche nel caso di ricorso da parte dell'imputato a riti alternativi;

8) a intraprendere le opportune iniziative legislative volte ad estendere l'applicazione del regime probatorio rafforzato di cui all'articolo 192, comma 3, del codice di procedura penale alle intercettazioni concernenti conversazioni telefoniche o tra presenti svolte tra soggetti diversi dall'indagato, dall'imputato e dalla persona comunque assente dalla stessa conversazione;

9) a intraprendere le iniziative legislative volte ad abrogare il delitto di abuso di ufficio di cui all'articolo 323 del codice penale;

10) ad adottare le iniziative normative necessarie a garantire il principio di legalità, nel rispetto dei vincoli discendenti dalla sottoscrizione della Convenzione di Merida, tipizzando maggiormente le relative condotte e posticipando la tutela penale in relazione all'effettivo risultato lobbistico;

11) ad adottare le opportune iniziative normative volte a modificare il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, prevedendo che le cause di sospensione degli amministratori regionali e locali siano collegate ad una sentenza definitiva in ossequio agli articoli 3, 27, secondo comma, e 97, secondo comma, della Costituzione.
(1-00090) «Calderone, Pittalis, Patriarca, Cattaneo».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

Convenzione europea dei diritti dell'uomo

responsabilita' civile

prova