XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 4770



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati
CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO, COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI

Modifiche all'articolo 92 del codice di procedura civile, in materia di compensazione delle spese di giudizio, e al testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, in materia di esenzione delle controversie individuali di lavoro e pubblico impiego nonché di previdenza e assistenza obbligatorie dal contributo unificato di iscrizione a ruolo

Presentata il 5 dicembre 2017


      Onorevoli Colleghi! — Il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, ha modificato l'articolo 92 del codice di procedura civile in tema di condanna e compensazione delle spese di giudizio e, nell'intento di introdurre «Altre misure per la funzionalità del processo civile di cognizione» (come recita la rubrica del capo IV dello stesso decreto), ha limitato le ipotesi di compensazione delle spese di giudizio tra le parti ai soli casi di «soccombenza reciproca ovvero nel caso di assoluta novità della questione trattata o mutamento della giurisprudenza rispetto alle questioni dirimenti».
      Il testo normativo in precedenza prevedeva, invece, la compensazione delle spese anche per altre «gravi ed eccezionali ragioni», lasciando maggiore discrezionalità al giudice.
      In estrema sintesi, per effetto della novella legislativa del 2014, il giudice di una controversia civile potrà compensare le spese di giudizio – cioè le spese legali sostenute da una parte – solo ed esclusivamente nelle tassative e limitate ipotesi in cui vi sia la soccombenza reciproca ovvero nel caso di «assoluta novità» della questione o di mutamento della giurisprudenza rispetto a questioni dirimenti (cioè un mutamento dell'interpretazione della norma oggetto di

 

Pag. 2

sindacato da parte del giudice riferita, però, a una questione «dirimente»).
      Secondo la normativa vigente, al di fuori di limitatissime ed «eccezionali» ipotesi, il giudice è, dunque, tenuto ad applicare rigidamente il principio della soccombenza – senza avere alcuna discrezionalità sulla valutazione della condizione sociale ed economica della parte in giudizio, seppur soccombente, ovvero sulle conoscenze di cui essa disponeva al momento dell'avvio dell'azione legale – e non può esimersi dal condannare la parte soccombente – neanche se dovesse ravvisare la presenza di giuste ragioni – al rimborso anche delle spese legali e degli onorari di giudizio sostenuti dalla parte vittoriosa.
      È evidente che tale novella legislativa, lungi dal potenziare la funzionalità del processo civile, appare foriera di disuguaglianze a discapito della parte più debole del processo e di limitazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito dall'articolo 24.
      La questione è particolarmente sentita nelle controversie di lavoro e di previdenza e assistenza, nelle quali il lavoratore non si trova in una posizione simmetrica rispetto a quella del datore di lavoro, essendo notoriamente la parte più debole anche economicamente del rapporto. Se il lavoratore decide di fare causa all'azienda dalla quale dipende (ad esempio per asserito licenziamento illegittimo, mobbing, demansionamento, trasferimento ritorsivo eccetera) è altamente probabile che – in caso di soccombenza nel giudizio – sarà condannato a pagare anche le (ingenti) spese legali della controparte datoriale, salvi i limitatissimi casi di compensazione citati.
      Emblematica è la vicenda di una donna lavoratrice che, dopo aver proposto ricorso avverso un provvedimento di trasferimento di una nota azienda della grande distribuzione organizzata che trasferiva la lavoratrice in un'unità produttiva distante decine di chilometri dalla sede alla quale era stata originariamente assegnata, è stata condannata dal giudice del lavoro, poiché soccombente in giudizio, a pagare anche le (gravose) spese legali sostenute dalla parte datoriale uscita vittoriosa dalla controversia.
      In un altro caso, invece, è accaduto che il lavoratore, pur dichiarato soccombente, è riuscito a ottenere la compensazione delle spese poiché il giudice del lavoro ha riconosciuto un'ipotesi di «soccombenza incolpevole» determinata dall'impossibilità da parte del lavoratore di essere a conoscenza di dati, informazioni (quali, ad esempio, l'andamento economico e i dati gestionali dei punti di vendita) che il datore di lavoro aveva posto a base della giustificazione del proprio provvedimento, poi impugnato dal lavoratore.
      Dunque la novella normativa del 2014, anziché avere effetti sull'efficienza e sul funzionamento della macchina della giustizia e del processo, ha assunto un carattere punitivo nei confronti di coloro che vogliono accedere alla giustizia e far valere i propri diritti, minando fortemente, in particolar modo, il diritto di agire in giudizio dei lavoratori e in generale dei soggetti economicamente più deboli che si vedono scoraggiati dal proporre azioni legali e rinunciano all'azione giudiziaria a fronte del rischio concreto e della «paura» di essere condannati, in caso di soccombenza, a pagare anche le spese di controparte, nonostante ricorrano altre giuste ragioni per compensare tali spese (di ordine economico o sociale ovvero perché il ricorrente, senza propria colpa, non conosce la reale situazione economica dell'azienda per la quale lavora e che emerge solo durante il giudizio) per compensare tali spese.
      Sono evidenti l'indebolimento dell'effettività dei diritti, la disparità di trattamento che genera la norma vigente e la sua irragionevolezza nella parte in cui limita a sole tre ipotesi del tutto eccezionali il potere discrezionale del giudice di compensare le spese, anche in presenza di altre giuste ragioni come lo squilibrio informativo di una delle parti: rimane la «spada di Damocle» che grava sul lavoratore che viene condannato al pagamento di pesanti spese legali nel caso in cui non dovesse uscire vittorioso dalla causa intentata.
      A tale proposito anche il tribunale di Torino, sezione lavoro, con ordinanza del 30 gennaio 2016 nella causa iscritta al n. 9666 del 2014 del registro generale delle
 

Pag. 3

cause di lavoro, ha già sollevato la questione di legittimità costituzionale proprio in riferimento all'articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, come modificato dal decreto-legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 162 del 2014.
      L'articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, presenta, secondo il tribunale di Torino, diversi profili di illegittimità costituzionale: 1) la norma è lesiva del principio di ragionevolezza delle scelte legislative (articolo 3, primo comma, della Costituzione) poiché «la pregressa modifica del 2009 era già del tutto sufficiente a scoraggiare eventuali abusi, da parte del giudice, nell'uso dello strumento della compensazione, contenendo essa già una regolamentazione del tutto rigorosa ed appropriata e per la sussistenza inoltre di una discrepanza tra il fine perseguito (contrasto con una prassi giudiziaria in atto) e lo strumento normativo utilizzato (limitazione estrema ed oltre ogni misura delle ipotesi di compensazione), che appare pertanto viziato per eccesso di potere legislativo» che ha comportato una «irrazionale limitazione delle ipotesi di compensazione, irrispettosa del principio costituzionale di ragionevolezza»; 2) la disposizione è anche «lesiva del diritto di agire giudizialmente» (articolo 24, primo comma, della Costituzione), «dal momento che tende, in linea di fatto, a scoraggiare in modo indebito l'esercizio dei diritti in sede giudiziaria, divenendo così uno strumento deflativo (e punitivo) incongruo, ad esempio nelle ipotesi in cui la condotta della parte (poi risultata soccombente) sia improntata a correttezza, prudenza, buona fede, difetto di informazioni, difficoltà di conoscenza dei fatti, erroneo affidamento su condotte altrui (anche pre-processuali della controparte) e quant'altro di simile e rilevante, e cioè a situazioni del tutto antitetiche rispetto a quelle ipotizzate dalla norma, correlate all'abuso del processo»; 3) infine la norma lede il «principio del giusto processo» (articolo 111, primo comma, della Costituzione), «dal momento che limita il potere-dovere del giudice di rendere giustizia, anche in ordine al regolamento delle spese di lite, in modo appropriato al caso concreto, come dal medesimo esaminato e ricostruito».
      Il tribunale di Torino non manca di mettere in evidenza anche l'irragionevolezza dell'articolo 92, secondo comma, del codice di procedura civile, poiché in contrasto con il paragrafo 3, comma 1, dell'articolo 69 del Regolamento di procedura della Corte di giustizia delle Comunità europee del 19 giugno 1991, che invece prevede la compensazione delle spese di lite per «motivi eccezionali».
      Il tribunale conclude che è «rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale» dell'articolo 92, secondo comma, del codice di procedura penale, laddove – irragionevolmente – nonché in contrasto con il principio di uguaglianza, il diritto di agire in giudizio e il principio del giusto processo, individua in via tassativa le ipotesi di compensazione delle spese della lite, senza più ammettere il potere del giudice di darvi corso per gravi ed eccezionali ragioni.
      Oggi c'è da chiedersi se davvero, con le riforme del lavoro in atto, il diritto dei cittadini di far valere i propri diritti davanti al giudice sia effettivamente garantito a tutti e, in particolar modo, al lavoratore che rimane la parte economicamente più debole del rapporto rispetto a datori di lavoro, grandi imprese, banche e società di assicurazione e se non sia diventato, piuttosto, un ricordo del passato.
      Per questi motivi la presente proposta di legge interviene sull'articolo 92 del codice di procedura civile.
      L'articolo 1 prevede la possibilità per il giudice di compensare le spese di giudizio tra le parti, in tutto o in parte, tenendo conto anche dello squilibrio informativo quale caso di «soccombenza incolpevole» determinato dalla difficoltà di una di esse di conoscere dati, informazioni, fatti e circostanze sulle questioni trattate costituenti le ragioni della domanda e necessari per valutare la fondatezza dell'azione che poi è stata intrapresa.
      L'articolo 2 modifica la legge 2 aprile 1958, n. 319, e il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia
 

Pag. 4

di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, esonerando da ogni spesa, tassa e imposta di bollo nonché dal contributo unificato di iscrizione a ruolo le controversie individuali di lavoro e di previdenza e assistenza obbligatorie.
      Gli articoli 3 e 4 prevedono disposizione transitorie e finanziarie.
      Con la presente proposta di legge, pertanto, l'articolo 92 del codice di procedura civile supera anche il vaglio di costituzionalità e restituisce forza ed effettività ai diritti dei cittadini e dei lavoratori che in modo libero possono far valere i propri diritti in sede giudiziale in conformità al dettato costituzionale.
 

Pag. 5


PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.
(Modifica all'articolo 92 del codice di procedura civile).

      1. Dopo il secondo comma dell'articolo 92 del codice di procedura civile è inserito il seguente:

      «Il giudice può altresì compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti in ragione dello squilibrio informativo di una delle parti determinato dalla difficoltà di una di esse di conoscere dati, informazioni, fatti e circostanze relativi alle questioni trattate e necessari per valutare le ragioni della domanda».

Art. 2.
(Modifiche alla legge 2 aprile 1958, n. 319, e al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115).

      1. Al primo comma dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, le parole: «, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115» sono soppresse.
      2. Al testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, sono apportate le seguenti modificazioni:

          a) all'articolo 9, il comma 1-bis è abrogato;

          b) all'articolo 10:

              1) il comma 3 è sostituito dal seguente:

          «3. Non sono soggetti al contributo unificato i processi di cui al libro quarto, titolo II, capi II, III, IV e V, del codice di procedura

 

Pag. 6

civile, i processi per le controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego e le controversie di previdenza e assistenza obbligatorie già esenti da ogni spesa, tassa o diritto ai sensi dell'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319»;

              2) al comma 6-bis, le parole: «Nelle controversie di cui all'articolo unico della legge 3 aprile 1958, n. 319, e successive modificazioni, e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato» sono soppresse;

          c) all'articolo 13, comma 1, lettera a), le parole: «nonché per i processi per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie, salvo quanto previsto dall'articolo 9, comma 1-bis,» sono soppresse.

Art. 3.
(Disposizioni transitorie).

      1. La disposizione di cui all'articolo 1 si applica anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge.
      2. Le disposizioni di cui all'articolo 2 si applicano ai procedimenti introdotti a decorrere dal trentesimo giorno successivo alla data di entrata in vigore della presente legge.

Art. 4.
(Disposizioni finanziarie).

      1. Agli oneri derivanti dall'attuazione delle disposizioni di cui alla presente legge, valutati in 35 milioni annui a decorrere dall'anno 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione del Fondo per far fronte ad esigenze indifferibili, di cui all'articolo 1, comma 200, della legge 23 dicembre 2014, n. 190.