XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3953-A-bis



 

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DISEGNO DI LEGGE

APPROVATO DAL SENATO DELLA REPUBBLICA
il 29 giugno 2016 (v. stampato Senato n. 2389)

presentato dal presidente del consiglio dei ministri
(RENZI)

dal ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale
(GENTILONI SILVERI)

dal ministro della difesa
(PINOTTI)

e dal ministro dell'interno
(ALFANO)

di concerto con il ministro della giustizia
(ORLANDO)

e con il ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)

Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 maggio 2016, n. 67, recante proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace e di stabilizzazione, nonché misure urgenti per la sicurezza. Proroga del termine per l'esercizio di delega legislativa

Trasmesso dal Presidente del Senato della Repubblica il 30 giugno 2016

(Relatore di minoranza: GIANLUCA PINI)
 

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      Onorevoli Colleghi! Molto v’è da dire a proposito del provvedimento che viene sottoposto all'esame della nostra Assemblea. Va innanzitutto ricordato come la gestazione del decreto-legge n. 67 del 2016 sia stata particolarmente laboriosa. La proroga delle missioni militari delle nostre Forze armate all'estero fino al 31 dicembre dell'anno in corso era infatti attesa addirittura dallo scorso Capodanno e mai era accaduto in passato che migliaia di nostri soldati, piloti e marinai si trovassero per mesi senza alcuna protezione giuridica su teatri di crisi.
      Ancora non sappiamo a quali ragioni sia stato dovuto questo lunghissimo ritardo. Diversi indizi inducono a pensare a difficoltà incontrate nel reperimento delle coperture finanziarie eccedenti i fondi già accantonati per provvedere al finanziamento annuale dei nostri interventi all'estero. Ma è forte anche il sospetto che il Governo abbia voluto attendere che si chiarisse la situazione in Iraq e in Libia, per poter inserire nel decreto-legge anche eventuali nuovi impegni in quei Paesi, come in effetti in parte è stato. L'incertezza e l'attesa sono però durate troppo.
      Un'ulteriore anomalia, come certamente si ricorderà, si è verificata inoltre dopo l'approvazione del provvedimento da parte del Consiglio dei ministri, avvenuta il 29 aprile scorso. In primo luogo, a seguito della riunione il Governo ha reso informazioni davvero insolitamente scarne sui contenuti del decreto, tacendone alcuni aspetti essenziali. Inoltre, sono state necessarie quasi tre settimane ulteriori per vederlo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. È nostro auspicio che in futuro si torni a fare di meglio, perché i nostri militari impegnati in aree di crisi non rimangano mai più per così tanto tempo abbandonati in un limbo giuridico estremamente pericoloso per loro. Non lo meritano.
      Per quanto riguarda i contenuti, come nelle più recenti circostanze, il decreto-legge n. 67 raggruppa per macroregioni continentali gli interventi militari prorogati sino al prossimo 31 dicembre. Tre articoli separati autorizzano quindi la prosecuzione delle missioni in atto, rispettivamente, in Europa, Asia e Africa. Anche se proseguono interventi di un certo peso nel nostro continente, con particolare riferimento all'EUNAVFORMED Sophia (cui sono destinati poco meno di 70 milioni di euro, per 817 uomini, tre navi e tre aeromobili), la parte del leone la fa l'Asia, a causa della presenza di nostri importanti contingenti in Libano, Afghanistan e soprattutto nella zona circostante l'area di insediamento del cosiddetto «Califfato».
      Due sono i dati emergenti: da un lato, la circostanza che l'impegno contro il Daesh sia diventato il più importante, finanziariamente e in termini di risorse umane, fra i tanti assunti dal nostro Paese; dall'altro, la persistente frammentazione dei nostri interventi, che non pare del tutto compatibile con le nostre effettive capacità e neanche particolarmente utile in termini di dividendi politici da riscuotere successivamente. Vorremmo capire, ad esempio, a che cosa serva mantenere un carabiniere in Uganda e cosa davvero porti al nostro Paese. È per noi fonte di dubbi anche l'opportunità di continuare ad addestrare le forze di sicurezza palestinesi nell'ambito della nostra presenza ad Hebron.
      Seguono quindi gli articoli dedicati alle disposizioni sulle spese logistiche e «di contorno», tra le quali spiccano quelle che stanziano oltre 76 milioni di euro per i trasporti di uomini e mezzi e le relative assicurazioni nonché 5 milioni di euro per le attività svolte dai nostri servizi di informazione e sicurezza a protezione dei contingenti militari.

 

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      In base alle disposizioni del decreto, il nostro Paese cederà inoltre materiali a Gibuti (anche armi e munizioni da 155mm), alla Somalia, all'Iraq (vestiario e armamento leggero), alla Tunisia e al Libano. Potranno altresì essere perfezionati trasferimenti precedentemente autorizzati ma rimasti finora inspiegabilmente in sospeso.
      In questo contesto, va rilevato come si sia aperto in Parlamento un dibattito sull'opportunità di continuare o meno a rifornire l'Egitto delle parti di ricambio per i suoi F-16, attingendo ai nostri stock ormai inutili. Pur comprendendo le ragioni che hanno indotto alcuni parlamentari, al Senato, ad introdurre questa sanzione nei confronti del Governo del Cairo, non riteniamo che questo passo ci avvicini di un millimetro alla soluzione del caso Regeni, dischiudendo invece ampie praterie ai competitori francesi della nostra industria nazionale dei materiali d'armamento.
      Il provvedimento proroga anche missioni puramente nazionali di una certa importanza, tra le quali spicca quella denominata «Mare sicuro», cui vanno in effetti oltre 90 milioni di euro, oltre 20 in più di quelli assegnati all'operazione «Sophia», di cui pure il nostro Paese detiene il comando e alla quale da tempo conferiamo la nave ammiraglia della Marina militare, la portaerei Cavour, seppure praticamente senza aerei. Nella missione «Mare sicuro» sono molto probabilmente compresi anche gli effettivi delle forze speciali italiane incaricate di proteggere eventualmente gli impianti energetici dell'ENI in Libia da minacce terroristiche o d'altra natura.
      Si stanzia poco meno di un milione di euro anche per il nuovo intervento anti-migratorio dell'Alleanza atlantica nell'Egeo, mentre vanno ben 7,2 milioni di euro al rischieramento dei nostri missili SAMP-T in Turchia nel quadro della missione Active Defence e poco più di 900.000 al nostro contributo al rafforzamento delle difese anti-russe della NATO nell'Est europeo. Riteniamo gli ultimi due interventi poco coerenti rispetto all'obiettivo nazionale di contribuire alla distensione dei rapporti tra Occidente e Federazione russa e ne auspicheremmo il drastico ridimensionamento.
      Proprio per questo presentiamo alcuni emendamenti che hanno l'obiettivo di ridurre la portata antirussa di questi nostri apporti alla sicurezza baltica e turca, anche con l'introduzione di alcune limitazioni all'impiego dei nostri missili rischierati in Anatolia.
    Alla missione «Strade sicure» vanno invece 23,8 milioni di euro, che serviranno a coprire l'attuale contingente incaricato di concorrere alla protezione degli obiettivi sensibili situati sul nostro territorio nazionale, incrementato di 750 unità, più il dispositivo specifico per la difesa del Giubileo, composto da 1.500 militari. Figurano nel decreto n. 67 del 2016 anche le consuete misure sulle indennità di missione, le norme contabili e le disposizioni sullo status giuridico applicabile ai militari partecipanti agli interventi.
      Il capo II del decreto-legge contiene le misure concernenti gli stanziamenti in favore della cooperazione allo sviluppo nei teatri di crisi, che sono pari a 90 milioni di euro, oltre a 1,7 milioni per le iniziative di cosiddetto «sminamento umanitario».
      Seguono quindi le misure specifiche di sostegno ai processi di stabilizzazione, cui è dedicato l'articolo 9: qui si segnalano i 120 milioni di euro che offriamo all'Afghanistan a titolo di nostra partecipazione al mantenimento dell'Esercito e delle Forze di polizia fedeli al Governo di Kabul.
      Persiste inoltre lo stanziamento straordinario, pari stavolta a 5,5 milioni di euro, per provvedere alla messa in sicurezza di cittadini e interessi italiani in condizioni di pericolo all'estero: formula dietro la quale non si capisce – ma è storia vecchia – se rientri o meno anche il pagamento di riscatti in caso di sequestri o vi siano solo le spese eccezionali per gli interventi d'emergenza delle nostre forze speciali. Potrebbero anche trovarsi qui i soldi impiegati per coprire le operazioni speciali di cui, stando alla stampa, il Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe recentemente disposto l'avvio in Libia.
 

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      Quanto ai maggiori oneri di bilancio e alle relative coperture, stando al capo III del decreto-legge, le spese complessive sono pari a 1,290 miliardi di euro, di cui 1,062 provenienti dal Fondo per le missioni militari all'estero recentemente rifinanziato in sede di legge di stabilità.
      Le risorse residue vengono attinte ad accantonamenti per il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, iscritti nel bilancio del Ministero dell'economia e delle finanze, dal Fondo per spese indifferibili nonché da riduzioni di spesa che concernono, per 132 milioni di euro, autorizzazioni di spesa deliberate dalle due più recenti leggi di stabilità. Ci sono infine anche 46,3 milioni che provengono dall'ONU, a titolo di ristoro degli oneri sostenuti dall'Italia per i suoi caschi blu.
      Onorevoli Colleghi! I nostri militari e la nostra cooperazione nelle aree di crisi necessitano certamente di una legittimazione giuridica, di un provvedimento che ne regoli e protegga la permanenza all'estero, quest'anno atteso fin troppo.
      Riteniamo tuttavia che il modello di presenza internazionale, quale si ricava dall'attuale distribuzione degli interventi, sia inadeguato agli effettivi interessi nazionali del nostro Paese e talvolta persino velleitario e controproducente. Ci auguriamo tuttavia che nella fase dell’iter parlamentare presso l'Assemblea della Camera dei deputati il provvedimento possa essere convenientemente migliorato con opportuni emendamenti.

Gianluca PINI,
Relatore di minoranza