XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 3687



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

LUPI, GAROFALO, SCOPELLITI, PAGANO, MINARDO, BOSCO, MISURACA

Disposizioni per accelerare la realizzazione del collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente

Presentata il 21 marzo 2016


      Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge ha la finalità di consentire alle massime istituzioni di Governo di assumere decisioni in merito a uno dei progetti infrastrutturali storicamente più importanti per il nostro Paese e per l'intero continente europeo sulla base di informazioni oggettive e di procedure razionali, piuttosto che sull'onda di campagne divisive, caricate impropriamente di propaganda e di ideologia. Il testo mira a riprendere un iter bruscamente interrotto nel 2012, quando la procedura di approvazione si trovava ormai a un livello molto avanzato e sembrava destinata a rispettare il termine convenzionale del 1o marzo 2013 – stabilito, peraltro, senza alcuna motivazione sostanziale – per la definitiva validazione del progetto. Fu, infatti, l'articolo 34-decies del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, inserito dalla legge di conversione 17 dicembre 2012, n. 221, a sancire la decadenza di tutti gli atti che regolavano il contratto di concessione, nonché delle convenzioni e di ogni altro rapporto contrattuale in essere.
      Si trattò di uno degli atti più netti del Governo Monti, molto influenzato dalla volontà di marcare una discontinuità politica rispetto ai Governi precedenti e di inviare, al tempo stesso, un segnale di austerità a Bruxelles. Una scelta, quindi, priva di motivazioni relative alla fattibilità tecnica o alla sostenibilità finanziaria dell'opera. Una scelta che – per le circostanze eccezionali in cui maturò – non fu neanche accompagnata da una valutazione degli effetti giuridici che ne potevano scaturire.

 

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Questa scelta, assunta in una fase emergenziale e di crisi acutissima, fu accettata dal Parlamento senza un esame approfondito. Una «chiusura» così drastica – non accompagnata oltretutto da una sufficiente informazione sui costi che la comunità aveva già sostenuto e sugli sprechi che il ripensamento determinava – rimetteva in discussione impegni contrattuali già assunti e innescava un contenzioso, tuttora aperto.
      Insomma – da qualunque punto di vista la si valuti – si trattò di una scelta forzata, maturata in una situazione straordinaria e che dovrebbe comunque essere rivalutata una volta superate le condizioni straordinarie in cui essa fu assunta. Ma questa scelta ha incontrato il consenso di una parte (minoritaria) dell'opinione pubblica – molto ideologizzata e che aveva fatto del «no ponte» una bandiera – disponibile ad accettare anche un tale stile decisionale sommario pur di esibire una «vittoria» carica di rancore e di spirito di rivalsa. Questa parte dell'opinione pubblica certamente non si domandò che fine avrebbe fatto un progetto (di proprietà pubblica) del valore di molte centinaia di milioni di euro e quali effetti ciò avrebbe avuto sui bilanci delle società che partecipavano la società Stretto di Messina Spa, messa in liquidazione. Su quest'onda – emergenziale, da un lato, ideologica dall'altro – nessuno rendeva conto, neanche al Parlamento, delle somme che erano già state anticipate ad alcuni degli operatori (centinaia di milioni di euro).
      Operò, anzi, un condizionamento mediatico che contribuì alla costruzione percettiva negativa dell'opera sulla popolazione, impedendo una vera valutazione pubblica e proiettando su questo intervento l'ombra di scandali che riguardavano altre opere.
      Ma ciò che ieri fu giustificato dalla eccezionalità della situazione diventerebbe oggi una colpevole assenza dello Stato.
      Oggi è doveroso verificare – e la presente proposta ha questa finalità – se la scelta del 2012 fu il frutto di una mera volontà politica o se sussistono, invece, carenze progettuali dell'opera o fondate motivazioni ambientali o di sostenibilità finanziaria.
      Va premesso, infatti, che non esiste al mondo un'isola con più di 100.000 abitanti e distante meno di 3 miglia da un continente che non sia collegata stabilmente alla terraferma. La Sicilia ha oltre 5 milioni di abitanti e dista dall'Europa solo 1,7 miglia. Sarebbe quindi razionale – in primo luogo – domandarsi il perché di questa incomprensibile anomalia.
      A parere dei proponenti non esistono oggettive e comprovate ragioni che sconsiglino la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina. Esistono invece studi di altissima qualità, curati da operatori indipendenti che – ciascuno nel proprio – occupano le posizioni più alte delle rispettive professionalità, a livello nazionale ma spesso anche a livello mondiale. Questi studi, dotati di un incredibile livello di dettaglio – che sono pubblici ma confinati in una sorta di clandestinità di fatto – costituiscono un patrimonio conoscitivo (ambientale, ingegneristico, giuridico ed economico) di primaria qualità ed è da essi che occorre oggi ripartire.
      Sul piano ambientale e delle scienze del territorio, ad esempio, le indagini hanno pienamente assecondato le direttive del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) e hanno afferito a svariati ambiti: dalla geosismotettonica alla geognostica a tutte le componenti ecosistemiche. Lo stesso vale per le stime di traffico e per le analisi dei costi e dei benefìci, condotte con criteri rigorosissimi e fin troppo prudenziali e che pure hanno dato indicazioni di ritorni economici di grande interesse. Il cittadino mediamente informato ignora tutto ciò e magari immagina che chissà quali scempi ambientali e quali sprechi di danaro pubblico siano stati fortunatamente sventati. Ma lo stesso cittadino non ha mai dimostrato un interesse concreto a informarsi in merito agli sprechi prodotti dalla scelta unilaterale del 2012 (progettazioni, somme già anticipate e rischi di contenzioso).
      Questa vicenda ha insomma realizzato in maniera quasi perfetta quel paradosso
 

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per cui, spesso, è proprio con la retorica massimalista e demagogica del «buon governo» che si copre la concreta dilapidazione di ciò che appartiene alla comunità.
      Solo pochi tecnici oggi sanno, ad esempio, che sotto il profilo ambientale è stato elaborato un progetto di monitoraggio ambientale territoriale e sociale unificato (PMATSU) che definisce criteri e approcci metodologici d'avanguardia per la prevenzione del rischio idrogeologico. Il PMATSU mira a salvaguardare non solo la qualità ambientale delle aree di cantiere – in ottemperanza ai limiti e agli obiettivi normativi –, ma anche la qualità della trasformazione territoriale potenzialmente indotta dalla realizzazione di un progetto di così ampio respiro. Questo patrimonio oggi rischia di essere sprecato perché le centraline di rilevazione – in questo clima di ritirata dello Stato – vengono semplicemente smantellate. Tutto mentre parte dell'amministrazione locale, fieramente «nopontista», reclama a gran voce nuovi finanziamenti mirati alla salvaguardia ambientale, senza che i cittadini conoscano i veri termini della questione.
      Lo stesso può dirsi rispetto ai protocolli di legalità, che si sono avvalsi di studi e di una modellistica di prim'ordine, ripresa poi per EXPO Milano 2015 e fatta propria anni dopo dall'Autorità nazionale anticorruzione (ANAC).
      Altrettanto approfondito e articolato è stato lo studio del traffico di attraversamento dello stretto di Messina, condotto tramite l'uso di una sofisticata modellistica economico-finanziaria. Le valutazioni conclusive in proposito rilevavano un sostanziale miglioramento del servizio di attraversamento dei passeggeri conservato (coloro che già si spostano) e un aumento del traffico a lunga percorrenza e locale. Riguardo, invece, il traffico di merci si prevede un incremento di traffico su lunga distanza, di importanza vitale per il futuro economico di una regione come la Sicilia, il cui sistema di viabilità vive ormai una condizione di fragilità estrema.
      Proprio in relazione al traffico di merci vale la pena di ricordare che, al fine di ridurre l'inquinamento, la Commissione europea chiede ai Paesi associati di abbassare drasticamente la percentuale di trasporto su gomma, ponendo come obiettivo una quota del 50 per cento del totale trasportato entro il 2050. Obiettivi lontanissimi da raggiungere, soprattutto in Sicilia, dove il 98 per cento delle merci viaggia su strada e non potrebbe essere diversamente se si considerano la proverbiale e drammatica inefficienza del traghettamento dei carri merci sullo stretto, nonché le condizioni del trasporto ferroviario nell'isola. Col paradossale risultato – vista l'opposizione nei confronti del ponte da parte (di una parte) del mondo ambientalista – che una consistente riduzione dell'inquinamento da anidride carbonica è possibile solo grazie a un crescente utilizzo del trasporto ferroviario, ottenibile esclusivamente con il collegamento stabile attraverso lo Stretto.
      Ma il punto cruciale – da porre davvero al centro del dibattito pubblico – è che il progetto del ponte ha un'enorme portata trasportistica e ambientale, di valenza geoeconomica e geopolitica.
      La zona, che è già considerata una piattaforma logistica naturale, ne risulterebbe fortemente potenziata. Non dimentichiamo che la Sicilia è non solo l'isola più grande del Mediterraneo, ma è anche la seconda isola più grande d'Europa, e – soprattutto – che essa è collocata al centro del Mediterraneo. Tramite un collegamento stabile sarebbe naturalmente chiamata ad assolvere la funzione di link tra l'intera Europa e l'Africa, tra oriente e occidente aprendo al nostro Paese opportunità che, altrimenti, gli sono assolutamente precluse. L'opera dovrebbe inserirsi quindi in un contesto strategico più ampio, un progetto che si concentri parallelamente su un serio investimento di risanamento della rete stradale e ferroviaria e di un potenziamento dell'organizzazione portuale. Questi due elementi in particolare devono essere considerati in una sinergia inscindibile: le navi merci approdando al porto di Augusta potrebbero poi proseguire il loro percorso su ferro. Gli stessi traffici del porto di Gioia Tauro riceverebbero impulso da un tale rilancio della
 

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logistica del Mezzogiorno d'Italia che candiderebbe quest'area – e l'intera Italia – alla conquista di quote della ricchezza attualmente inimmaginabili, abbattendo – al tempo stesso – l'inquinamento da anidride carbonica. Sul piano della mobilità di persone e merci è evidente che un'opera come il ponte rilancerebbe qualitativamente l'intero sistema infrastrutturale del Paese. È, infatti, assurdo e controproducente mettere in competizione lo sviluppo infrastrutturale e logistico del nord e del sud. Il vero problema è che l'Italia deve avere una visione unitaria per agganciare il suo territorio ai grandi corridoi europei di trasporto. Solo la realizzazione di un progetto come il ponte avrebbe quell'effetto di trascinamento di cui oggi avremmo bisogno per dare impulso alla grande portualità nord-tirrenica e nord-adriatica e al completamento delle principali opere italiane sui corridoi europei.
      La criticità (del Paese e non del Mezzogiorno) risiede nella sua difficoltà a costruire una seria alternativa alle attuali rotte commerciali; basti pensare che ad oggi il percorso si snoda interamente via mare, attraverso lo Stretto di Gibilterra per arrivare a Rotterdam. Nell'ultimo decennio infatti, con la forte delocalizzazione dei centri produttivi verso l'area dell'Estremo Oriente-Pacifico, il Mediterraneo ha assunto un ruolo di crescente centralità nelle strategie delle compagnie di trasporto marittimo come corridoio fondamentale di snodo verso i mercati di destinazione. Attualmente quasi un terzo del commercio mondiale passa attraverso il Mediterraneo e la movimentazione complessiva è in continuo aumento (+44 per cento di container movimentati tra il 2005 e il 2011). In un tale scenario, nonostante l'incremento degli scambi con l'Estremo Oriente grazie alla rotta del Canale di Suez, i porti italiani hanno subito una forte riduzione di traffico a vantaggio degli scali nordafricani, spagnoli, greci e francesi, che avrebbe potuto essere contrastata in modo significativo con la realizzazione di quest'opera.
      Si tratta di una visione che rispecchia anche il sentire dell'Europa, che – nonostante le resistenze di tutti i Paesi interessati a spostare verso nord il baricentro continentale – già in passato non aveva potuto fare a meno di inserire il ponte tra i progetti fondamentali per i cosiddetti corridoi transeuropei. Si ricorda, infatti, che fino al 2011, l'opera era inclusa a tutti gli effetti nel sistema TEN-T (originariamente corridoio 1 Berlino – Palermo) e che senz'alcun dubbio potrebbe vedere la stessa Unione europea nuovamente protagonista nel supporto e nel finanziamento alla realizzazione del progetto.
      L'Italia stenta ancora a far emergere – e a dare spessore negoziale – una visione che comprenda l'intero Paese – da nord a sud – in quella rete internazionale che collega con AC/AV città, porti, aeroporti dell'Europa con lo snodo dei Balcani (Vienna-Bratislava), con la Francia, con la Spagna (FERMED), con i terminali strategici portuali di Gibilterra-TangerMEd e Pireo-Suez e con l'Asia (corridoi russo e cinese). Questo ritardo penalizza il ruolo baricentrico dell'Italia e rischia di favorire altri Paesi dell'Unione europea annullando lo sforzo programmatorio e propositivo che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per anni ha perseguito in Europa.
      Si dimentica poi che tutte le passate esperienze internazionali comparabili insegnano che i ponti sono una grande fonte di positivi mutamenti ambientali e di attrazione dello sviluppo. Ma questi scenari non vengono indagati, mentre imperversa più verbosa che mai la retorica sul sud «piattaforma logistica del Mediterraneo». Come? Nessuno lo spiega. Con quale sistema di viabilità lungo i corridoi europei? Nessuno risponde. Come si conciliano queste «ambizioni mediterranee» del Mezzogiorno con un collo di bottiglia così evidente? Come si concilia questa omissione con le stesse politiche dell'Unione europea che individuano proprio negli stretti – in quanto tali – dei colli di bottiglia che fratturano la rete dei trasporti e della mobilità in via di realizzazione?
      Anzi, furono proprio alcuni parlamentari europei italiani fra i più attivi in questa fiera della retorica «mediterranea»
 

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a chiedere l'esclusione del ponte sullo stretto di Messina dalle opere ammissibili dai finanziamenti europei. Richiesta prontamente accolta dagli altri Paesi, che videro così sensibilmente aumentate le risorse per loro disponibili.
      Riesaminare questo progetto sarebbe – invece – una scelta di decisiva importanza per affrontarne il rilancio sistemico della mobilità e dei trasporti. Dovrebbe essere questo il fulcro attorno a cui costruire una visione delle politiche di potenziamento infrastrutturale del sud, che ci permetta di tenere il passo degli altri Paesi europei, diventando così fonte attrattiva di investimenti quanto e più di altri competitor del continente. Entrando nel merito di uno degli aspetti più dibattuti del progetto, cioè il costo, sembra opportuno puntualizzare due aspetti. In primis il costo dell'investimento, che si aggirerebbe intorno a una cifra di 5.8 miliardi di euro considerando gli investimenti già fatti, non appare sproporzionato rispetto ad altre opere in programma – come il «terzo valico» o recentemente realizzate (si pensi ad esempio al progetto cosiddetto variante di valico, ultimato nel mese di dicembre 2015 e costato all'incirca 4,1 miliardi di euro). In secondo luogo il costo comprende non solo la costruzione dell'opera di attraversamento – il ponte sospeso vero e proprio – ma anche la realizzazione di tutti i collegamenti a terra (stradali, ferroviari, centro direzionale eccetera) che rappresentano circa il 50 per cento del costo complessivo e vanno a beneficio di un territorio fino a oggi fortemente penalizzato dall'essere punto di passaggio tra due parti della stessa nazione.
      La sostenibilità della struttura finanziaria è stata, inoltre, già verificata in sede di predisposizione del progetto definitivo (luglio 2011). L'esito è stato più che soddisfacente, anche riguardo agli aspetti legali e fiscali, mentre sotto il piano strettamente economico il finanziamento è stato suddiviso in due parti di cui solo un 40 per cento di contributo pubblico, con il rimanente 60 per cento da reperire tramite finanziamenti dei mercati nazionali e internazionali secondo lo schema tipico del project financing.
      Per quanto riguarda l'analisi costi benefici, lo studio del centro di economia regionale, dei Trasporti e del Turismo dell'università Bocconi è stato svolto in ossequio alle metodologie raccomandate dall'Unione europea e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. È stato calcolato un valore attuale netto ampiamente positivo, pari a 7,3 miliardi di euro considerando i benefìci per la mobilità di passeggeri e di merci, all'impiego della manodopera non occupata e alla riqualificazione delle aree disponibili. Nell'analisi – per prudenza e rigore forse anche eccessivo – non si è attribuito grande valore al traffico aggiunto e non sono stati quantizzati benefìci quali gli effetti indiretti sull'economia nazionale e locale, lo sviluppo del know-how, gli enormi effetti sul turismo e quelli non trascurabili sulla «reputazione» del Paese (si pensi che il brand Tour Eiffel è stato recentemente valutato oltre 430 miliardi di euro!). Ma questa analisi costi – benefìci, comunque positiva, va aggiornata (ed è infatti uno degli obiettivi della presente proposta di legge) alla luce di dati economici di maggiore ampiezza.
      Il ponte sullo stretto di Messina porterebbe infatti benefìci anche dal punto di vista sociale. Si offrirebbe al Paese un nuovo e originalissimo bacino residenziale, produttivo e turistico nonché una nuova occasione di amplificazione del prodotto interno lordo delle due regioni e del Mezzogiorno. Si stima, inoltre, nella fase di realizzazione dei lavori, la necessità di oltre 4.500 figure professionali, sia per la costruzione del ponte che per le opere connesse. Un profitto sociale da considerare in una duplice accezione: nuovi posti di lavoro – seppure finanziati in parte dallo Stato – e sgravio delle casse pubbliche dall'onerosa erogazione di sussidi di disoccupazione a fondo perduto (in considerazione del forte tasso di disoccupazione che affligge la zona). C’è, inoltre, un aspetto dell'opera colpevolmente trascurato: una grande opera pubblica non può e non deve essere giudicata esclusivamente in base a considerazioni economiche e trasportistiche. In una società evoluta acquistano
 

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sempre maggiore rilevanza i preziosi frutti che possono derivare – sul piano della coesione e, in alcuni casi, delle trasformazioni culturali e ambientali – da una grande opera di questa natura. La lotta alla delinquenza organizzata – innegabilmente presente in Sicilia come in Calabria – non si combatte lasciando milioni di persone nel sottosviluppo e nell'indigenza, ma offrendo la possibilità di un lavoro dignitoso. La cultura mafiosa è alimentata dal bisogno che non consente scelte. La marginalizzazione di intere regioni, derivante dalla colpevole interruzione del processo di infrastrutturazione del Paese all'altezza di Salerno, ha perpetuato un condizionamento di natura intimamente mafiosa. Il Parlamento non può più fingere di non sapere che, ogni anno, la Sicilia si spopola di un numero di giovani compreso tra 15.000 e 20.000 e che, nel solo 2014, la Calabria ha visto andar via 4.000 laureati. Isolare una parte non certo irrilevante del territorio nazionale comporta e comporterà sempre più una crisi sociale irrimediabile e dalle conseguenze imprevedibili. Il ponte sullo stretto di Messina deve essere visto come il punto di partenza di una nuova politica di coesione e deve rappresentare una svolta nel modo di affrontare la «questione meridionale». Il segnale di partenza di un processo di infrastrutturazione che mira a rendere l'estremo sud organico a un processo di sviluppo dell'intero Paese e dell'intero continente europeo. Perché ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che, senza il Meridione, la ripresa del Paese è asfittica e pericolosamente limitata nei numeri. Non c’è sviluppo senza coesione, non c’è coesione senza mobilità e non c’è mobilità senza infrastrutture. Allo stesso tempo, dobbiamo convincere l'Europa che la sua chiusura nel bacino baltico non è una prospettiva realistica, ma equivale al suo suicidio geopolitico.
      Riprendere oggi l’iter di realizzazione dell'opera – in un momento di tiepida ripresa del Paese dopo una lunga crisi che ha segnato gli ultimi anni della nostra economia, oltre che della psicologia collettiva – rappresenta, prima di tutto, un dovere del Governo nei confronti dei cittadini e del Parlamento. Un dovere di trasparenza e di serietà nell'amministrazione della cosa pubblica e quindi di democrazia. Occorre – evidentemente – quell'ottimismo diffuso di cui sempre un Paese ha bisogno per affrontare al meglio le sfide della storia. Il ponte sullo stretto di Messina può diventare un'EXPO o una Olimpiade della durata di decenni e a costi molto minori. Certo, a differenza di quanto è stato fatto prima, bisognerà coinvolgere il Paese, conquistarne un consenso informato, renderlo orgoglioso di un impegno che lo metterà al centro del mondo dell'ingegneria, della tecnica e della cultura scientifica, vincere le inevitabili gelosie e superare le visioni localistiche che affliggono il nostro Paese. Ma ne varrà la pena. La realizzazione del ponte sullo stretto di Messina sarebbe quindi l'occasione per:

          migliorare i servizi offerti ai cittadini riqualificando le zone urbane interessate dal progetto soprattutto con riferimento alla viabilità locale;

          creare centri di ricerca scientifica e poli tecnologici con conseguenti ricadute positive in termini di formazione e di crescita occupazionale;

          generare un effetto credibilità indotto dall'investimento in un'opera di assoluto prestigio tecnologico ad elevata visibilità, con la possibilità di richiamare l'interesse di investitori stranieri; affrontare con coraggio e determinazione l'ultrasecolare «questione meridionale», con metodi nuovi e di grande spessore culturale;

          sostanziare il diritto alla mobilità in un sistema-Paese moderno, coerentemente con le strategie di riforma coraggiosamente avviate dal Governo e in accordo con il meglio delle politiche europee («connecting people»).

      L'intento della presente proposta di legge è restituire centralità non solo a un'opera che si ritiene di vitale importanza per lo sviluppo del Paese, sotto il profilo sia economico che infrastrutturale,

 

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ma a un'intera area geoeconomica collocata nel centro – geografico, politico ed economico – del Mediterraneo eppure oggi incredibilmente marginalizzata da tutti i principali flussi di persone, di merci e di capitali. Il comma 1 dell'articolo unico sottolinea – non a caso – questo nesso inscindibile: si tratta della ripresa di una visione «meridionalista» dello sviluppo economico del Paese, di cui già tanti segnali sono presenti nelle più recenti scelte politiche del Governo. Attraverso questo strumento si danno all'impegno per il sud gambe reali.
      Va evidenziato inoltre il contenuto sostanziale della normativa: la scelta di partire dal recupero di tutto il lavoro fatto (che è davvero molto) e di un suo rapido e puntuale aggiornamento (commi da 3 a 9). Il testo mira a recuperare il prezioso (e semisconosciuto) lavoro che è stato fatto fino ad oggi in fase di progettazione – che ha portato in Italia il meglio della cultura ingegneristica del mondo – sviluppando in parallelo un'analisi costi benefici che valuti accuratamente tutti i benefìci territoriali dell'opera. Infine, si sottolinea l'approccio metodologico che è stato scelto: istituire un Commissario (comma 2) che garantisca celerità e trasparenza all’iter di realizzazione dell'opera, oltre che legalità in tutte le fasi scongiurando – grazie al ruolo dell'Autorità nazionale anti corruzione – il rischio di eventuali infiltrazioni da parte della criminalità organizzata. La disposizione riprende la struttura del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 164 del 2014, in materia di commissari straordinari, ponendosi in particolare in continuità con le disposizioni tese a sbloccare gli interventi sugli assi ferroviari Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina. Il fine è quindi quello di ridurre i costi e i tempi della realizzazione dell'opera e di esaltarne i benefìci per l'intero Paese.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Al fine di rilanciare l'economia delle regioni del Mezzogiorno d'Italia attraverso il completamento della rete infrastrutturale primaria, il collegamento stabile viario e ferroviario tra la Sicilia e il continente è dichiarato infrastruttura prioritaria per l'interesse del Paese.
      2. Allo scopo di ridurre i costi e i tempi di realizzazione dell'opera di cui al comma 1, il presidente della società Anas Spa è nominato, per la durata di due anni dalla data di entrata in vigore della presente legge, Commissario per la realizzazione dell'opera. L'incarico è rinnovabile con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri tenendo conto dei risultati conseguiti.
      3. Il Commissario di cui a comma 2, acquisiti gli indirizzi del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministro dell'economia e delle finanze, effettua un aggiornamento delle analisi dei costi e dei benefìci sulla base degli elaborati progettuali già acquisiti ai sensi della legge 17 dicembre 1971, n. 1158, al fine di rivalutare esclusivamente i parametri economico-finanziari di fattibilità dell'intervento e di confermare la bancabilità del nuovo piano economico-finanziario per la realizzazione e la gestione dell'opera, attraverso:

          a) possibili riduzioni dei costi conseguibili con il ricorso a tecnologie innovative, con l'adozione di varianti progettuali, comunque compatibili con le norme generali sulla procedura di approvazione dei progetti di cui all'articolo 167 del codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture, di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e con la revisione delle opere compensative già individuate in base alla normativa vigente

 

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prima della data di entrata in vigore della presente legge;

          b) l'ottimizzazione degli indotti territoriali, l'attrazione di investimenti finalizzati alla promozione dei traffici e la valorizzazione delle infrastrutture esistenti ai fini della mobilità di persone e di merci lungo i corridoi europei della rete TEN-T.

      4. Decorsi sessanta giorni dalla richiesta degli indirizzi ai Ministri di cui al comma 3, il Commissario può comunque provvedere a quanto previsto dal medesimo comma 3.
      5. Il Commissario aggiorna il progetto definitivo dell'opera ai fini dell'approvazione da parte del Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) anche in relazione all'eventuale contributo a carico della finanza pubblica, per l'attivazione delle procedure di finanziamento previste dalla normativa vigente.
      6. Sulla base degli esiti delle analisi di cui al comma 3, il Commissario trasmette, ai fini della sua approvazione, il progetto definitivo al CIPE, integrato dalle regioni Calabria e Sicilia, entro novanta giorni dalla scadenza del termine di cui al comma 4.
      7. Il Commissario sottopone i bandi e gli atti di gara alla preventiva approvazione dell'Autorità nazionale anticorruzione, che svolge, a partire dalla fase istruttoria fino alla fase esecutiva dell'opera, funzioni di vigilanza e, in particolare, di prevenzione, controllo e contrasto dei tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata.
      8. Il Commissario provvede allo svolgimento di ogni attività amministrativa, tecnica e operativa, comunque finalizzata alla realizzazione dell'opera, nonché alla realizzazione degli interventi strettamente connessi.
      9. Gli interventi connessi alla realizzazione dell'opera sono dichiarati indifferibili, urgenti e di pubblica utilità ai sensi della normativa vigente e costituiscono integrazione del piano generale dei trasporti e della logistica, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo

 

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2001, pubblicato nel supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 163 del 16 luglio 2001, nonché del Documento pluriennale di pianificazione, previsto dall'articolo 2 del decreto legislativo 29 dicembre 2011, n. 228.