XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 2801



 

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DISEGNO DI LEGGE

presentato dal ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale
(GENTILONI SILVERI)

e dal ministro della giustizia
(ORLANDO)

di concerto con il ministro dell'economia e delle finanze
(PADOAN)

Ratifica ed esecuzione dei seguenti protocolli:
a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013; b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013

Presentato il 30 dicembre 2014
 

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      Onorevoli Deputati! Con il presente disegno di legge si chiede di autorizzare la ratifica e di disporre l'esecuzione del protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013, e del protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.

a) Protocollo n. 15, emendante la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

      La Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU), con sede a Strasburgo, è stata istituita nel 1959 per assicurare il rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Vi aderiscono tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa. Negli ultimi anni, la constatazione dell'esistenza di gravi problemi di funzionamento – in particolare l'arretrato accumulato e la percezione che la struttura non sia più sufficiente per l'attuale utenza di oltre 800 milioni di cittadini – ha avviato una profonda discussione sulla sua riforma.
      Una prima risposta è venuta dal Protocollo n. 14, entrato in vigore nel giugno 2010 per conferire maggiori efficienza e rapidità nella trattazione dei ricorsi individuali, attraverso: 1) l'introduzione di un giudice unico chiamato a decidere i casi manifestamente inammissibili; 2) l'ampliamento delle competenze attribuite ai comitati di tre giudici; 3) un nuovo criterio di ammissibilità che autorizza la Corte a rifiutare i ricorsi nel caso in cui il ricorrente non abbia subìto un «pregiudizio importante».
      Tali modifiche non hanno tuttavia portato i progressi auspicati. Con le Conferenze di Interlaken e di Smirne si è avviata la discussione su una riforma della CEDU che, tenendo conto della realtà attuale, faciliti il raggiungimento dei suoi obiettivi. Al contempo, ha cominciato a diffondersi presso alcuni Stati la sensazione che la Corte tenda a invadere settori di competenza dei tribunali nazionali, trasformandosi in una sorta di quarta istanza anche per questioni non immediatamente connesse con la salvaguardia dei diritti umani fondamentali per cui il sistema della CEDU fu creato.
      Sotto la spinta del Regno Unito, la Conferenza di Brighton dell'aprile 2012 si è conclusa con l'adozione di una Dichiarazione che ribadisce come sia in primo luogo un obbligo degli Stati provvedere all'attivazione della Convenzione, auspicando pertanto il rafforzamento del principio di sussidiarietà e del margine di apprezzamento nel rapporto con la Corte.
      Sulla scia di Brighton, si è di recente giunti all'adozione del Protocollo n. 15, aperto alla firma degli Stati membri a partire da lunedì 24 giugno 2013. Vi si prevede:

          (articolo 1): un nuovo considerando è stato aggiunto alla fine del Preambolo della Convenzione, contenente un riferimento al principio di sussidiarietà e alla dottrina del margine di apprezzamento. Esso è destinato a migliorare la trasparenza e l'accessibilità al sistema previsto dalla Convenzione. È, inoltre, coerente con la dottrina del margine di apprezzamento, come espresso più volte dalla Corte nella sua giurisprudenza;

          (articolo 2): modifica gli articoli 21 e 23 della Convenzione. Più in particolare stabilisce le condizioni per l'esercizio delle funzioni di giudice della Corte: i candidati devono avere meno di sessantacinque anni

 

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al momento in cui figurano nella lista preliminare richiesta dall'Assemblea parlamentare. Questa modifica ha lo scopo di consentire a giudici altamente qualificati di rimanere in carica per l'intero periodo di nove anni, rafforzando così la coesione dei membri della Corte. Il limite di età previsto dall'articolo 23, paragrafo 2, della Convenzione, redatto prima dell'entrata in vigore del Protocollo, impediva infatti a taluni giudici, nonostante la grande esperienza, di concludere il loro mandato;

          (articolo 3): modifica l'articolo 30 della Convenzione. Per quanto concerne la rimessione alla Grande Camera ai sensi del citato articolo 30, viene eliminato il diritto di opposizione delle Parti;

          (articoli 4 e 5): modificano entrambi l'articolo 35 della Convenzione. Più in particolare, l'articolo 4 riduce da sei a quattro mesi dalla sentenza definitiva nazionale il termine entro il quale un ricorso può essere presentato alla Corte. Con la disposizione transitoria prevista all'articolo 8, paragrafo 3, del Protocollo si è stabilito che la riduzione del termine per la presentazione della domanda alla Corte dovrà applicarsi solo dopo un periodo di sei mesi a decorrere dall'entrata in vigore del Protocollo, al fine di consentire ai potenziali ricorrenti di diventare pienamente edotti sulla nuova scadenza. Inoltre, il nuovo termine non avrà effetto retroattivo;

          (articolo 5): modifica il paragrafo 3, lettera b, della Convenzione, eliminando dai presupposti di ricevibilità la condizione limitativa dell'applicazione del criterio «de minimis non curat praetor».

b) Protocollo n. 16, emendante la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

      Negli ultimi anni, come già rilevato, la constatazione dell'esistenza di gravi problemi di funzionamento ha avviato una profonda discussione sulla riforma della CEDU, che è avvenuta attraverso l'adozione di alcuni Protocolli, l'ultimo dei quali è il n. 16.
      Già la Conferenza di Smirne sul futuro della Corte (26-27 aprile 2011), nella sua dichiarazione finale, invitava «il Comitato dei Ministri a considerare l'opportunità di introdurre una procedura che consentisse alle più alte giurisdizioni nazionali di richiedere pareri consultivi alla Corte, relativamente all'interpretazione e all'applicazione della Convenzione, per chiarire le disposizioni della Convenzione e la giurisprudenza della Corte, fornendo in questo modo ulteriore attività di indirizzo al fine di aiutare gli Stati parte ad evitare future violazioni». Nelle decisioni dei delegati dei Ministri che hanno fatto seguito alla Conferenza di Smirne, il Comitato direttivo per i diritti dell'uomo (CDDU) è stato quindi invitato a elaborare delle proposte specifiche.
      La questione dei pareri consultivi è stata discussa a lungo durante la preparazione della successiva Conferenza (Brighton 19-20 aprile 2012) sul futuro della Corte, alla quale la Corte stessa ha contribuito con un dettagliato «Documento di riflessione sulla proposta di estendere la competenza consultiva della Corte».
      La dichiarazione finale della Conferenza di Brighton affermava che l'interazione tra la Corte e le autorità nazionali avrebbe potuto essere consolidata dall'introduzione nella Convenzione di un ulteriore potere della Corte, che gli Stati parte avrebbero comunque potuto accettare in via facoltativa, e cioè il potere di emettere, su esplicita richiesta, pareri consultivi sull'interpretazione della Convenzione nell'ambito di una specifica causa a livello nazionale. Fatto salvo il carattere non vincolante dei pareri per gli altri Stati parte, si invitava il Comitato dei Ministri a redigere la bozza del testo di un protocollo in tale senso, che entrasse in vigore entro la fine del 2013.
      A seguito della Conferenza di Brighton, la 122a sessione del Comitato dei Ministri (23 maggio 2012) ha stabilito che il CDDU redigesse il testo richiesto. Le questioni chiave affrontate durante tale processo erano: la natura delle autorità nazionali

 

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che possono richiedere un parere consultivo della Corte, il tipo di quesiti sui quali la Corte può emettere un parere consultivo, la procedura per la valutazione delle richieste, per la delibera in seguito all'accoglimento delle stesse e per l'emissione di pareri consultivi e, infine, l'effetto giuridico di un parere consultivo sulle diverse tipologie delle cause.
      Il progetto, che è diventato il Protocollo n. 16 alla Convenzione, è stato definitivamente adottato durante la 1176a riunione dei Delegati dei Ministri.

Osservazioni sulle disposizioni del Protocollo.

      Articolo 1. Il paragrafo 1 stabilisce tre parametri chiave della nuova procedura.
      In primo luogo, affermando che le autorità giudiziarie competenti «possono» richiedere alla Corte un parere consultivo, specifica che tale richiesta è facoltativa e in nessun caso obbligatoria. A tale proposito, è importante anche chiarire che l'autorità giudiziaria che presenta la richiesta può ritirarla in ogni momento.
      In secondo luogo, stabilisce che competenti a richiedere un parere consultivo alla Corte sono solo «Le più alte giurisdizioni di un'Alta Parte contraente, designate conformemente all'articolo 10». Questa formulazione è volta a evitare potenziali complicazioni, permettendo una certa libertà di scelta. La locuzione «Le più alte giurisdizioni» fa riferimento alle autorità giudiziarie al vertice del sistema giudiziario nazionale.
      Ciascuna Parte contraente deve specificare quale alta giurisdizione può richiedere un parere consultivo (articolo 10); ciò consente la necessaria flessibilità per tenere conto dei diversi sistemi giudiziari nazionali. Va, inoltre, osservato che, sempre ai sensi dell'articolo 10, un'Alta Parte contraente può in ogni momento cambiare la sua indicazione di quale tra le più alte giurisdizioni possono richiedere un parere consultivo.
      Il terzo parametro riguarda la natura delle questioni sulle quali una giurisdizione interna può richiedere il parere consultivo della Corte, e cioè le «questioni di principio relative all'interpretazione o all'applicazione dei diritti e delle libertà definiti dalla Convenzione o dai suoi protocolli». Sarà la Corte a interpretare la definizione al momento di decidere se accettare o no la richiesta di un parere consultivo (articolo 2, paragrafo 1).
      Il paragrafo 2 prevede che la richiesta di parere consultivo sia proponibile nell'ambito di una causa pendente dinanzi all'autorità giudiziaria che presenta la richiesta. La procedura non è pensata, ad esempio, per consentire una revisione in astratto della legislazione che non deve essere applicata nella causa pendente dinanzi a essa.
      Il paragrafo 3 stabilisce determinati requisiti procedurali che devono essere soddisfatti dall'autorità giudiziaria che presenta la richiesta. Essi recepiscono lo scopo della procedura, che non è quello di trasferire la causa alla Corte, ma piuttosto quello di conferire all'autorità giudiziaria che presenta la richiesta i mezzi necessari per garantire il rispetto dei diritti previsti nella Convenzione durante l'esame della causa pendente dinanzi a essa.
      Pertanto, l'autorità giudiziaria deve motivare la richiesta di parere, fornire gli elementi rilevanti dei fatti acquisiti nel corso del procedimento e indicare le questioni della Convenzione rilevanti, in particolare i diritti o le libertà invocati.

      Articolo 2. L'articolo 2 stabilisce la procedura per decidere se accogliere o no una richiesta di parere consultivo. La Corte ha un margine di discrezionalità nell'accettare una richiesta o no, comunque il rigetto di una domanda dovrà essere motivato, scoraggiando così le richieste non opportune.
      Il paragrafo 2 prevede che è la Grande Camera della Corte a emettere i pareri consultivi in seguito all'accoglimento o no della richiesta da parte del collegio dei cinque giudici.
      Il paragrafo 3 prevede che il collegio e la Grande Camera comprendano di diritto il giudice eletto per l'Alta Parte contraente

 

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cui appartiene l'autorità giudiziaria che ha richiesto il parere. Si stabilisce anche la procedura da seguire nel caso in cui tale giudice sia assente o non possa partecipare alla riunione.

      Articolo 3. L'articolo 3 conferisce al Commissario per i diritti dell'uomo del Consiglio d'Europa e all'Alta Parte contraente cui appartiene l'autorità giudiziaria che ha richiesto il parere il diritto di presentare osservazioni per iscritto e di prendere parte a tutte le cause all'esame della Grande Camera nelle procedure relative alla richiesta. Inoltre il Presidente della Corte può invitare ogni altra Alta Parte contraente o persona a presentare le proprie osservazioni per iscritto o a partecipare alle udienze, quando ciò sia nell'interesse di una buona amministrazione della giustizia.

      Articolo 4. Il paragrafo 1 richiede che la Corte motivi i pareri consultivi emessi ai sensi del Protocollo.
      Il paragrafo 2 consente ai giudici della Grande Camera di esprimere un'opinione separata (dissenziente o concordante).
      Il paragrafo 3 richiede che la Corte comunichi i pareri consultivi all'autorità giudiziaria che presenta la richiesta e all'Alta Parte contraente cui appartiene tale autorità.
      Infine il paragrafo 4 richiede la pubblicazione dei pareri consultivi emessi ai sensi del Protocollo.

      Articolo 5. L'articolo 5 prevede che i pareri consultivi non siano vincolanti. Essi vengono emessi nell'ambito di un dialogo tra la Corte e le autorità giudiziarie nazionali. Di conseguenza l'autorità richiedente decide sugli effetti del parere consultivo nel procedimento nazionale.
      Il fatto che la Corte abbia emesso un parere consultivo su una questione sollevata nell'ambito di una causa pendente dinanzi a un'autorità giudiziaria di un'Alta Parte contraente non impedisce a una parte di tale causa di esercitare successivamente il suo diritto a un ricorso individuale ai sensi dell'articolo 34 della Convenzione, vale a dire che essa può comunque portare la causa dinanzi alla Corte. Tuttavia, laddove un ricorso venga proposto successivamente all'emissione di un parere consultivo della Corte che sia stato già recepito, si ritiene che tali elementi del ricorso, che riguardano le questioni affrontate nel parere consultivo, debbano essere dichiarati irricevibili o debbano essere stralciati.
      I pareri consultivi ai sensi del Protocollo non hanno effetto diretto sugli eventuali successivi ricorsi. Tuttavia, andranno a fare parte della giurisprudenza della Corte, insieme alle sentenze e alle decisioni.

      Articolo 6. L'articolo 6 recepisce il fatto che l'accettazione del Protocollo è facoltativa per le Alte Parti contraenti della Convenzione. Pertanto non ha l'effetto di modificare le disposizioni della Convenzione, il cui testo rimane invariato. Le sue disposizioni operano solo tra le Alte Parti contraenti che scelgono di accettare il Protocollo come articoli addizionali alla Convenzione. La sua applicazione, pertanto, è condizionata da tutte le altre disposizioni rilevanti della Convenzione.

      Articolo 7. L'articolo 7 contiene le disposizioni ai sensi delle quali un'Alta Parte contraente della Convenzione può essere vincolata dal Protocollo.

      Articolo 8. Il testo dell'articolo 8 è preso dall'articolo 7 del Protocollo n. 9 alla Convenzione e si basa sul modello di clausole finali approvato dal Comitato dei Ministri. L'entrata in vigore del Protocollo è prevista il primo giorno del mese successivo alla scadenza di un periodo di tre mesi dalla data in cui tutte le Alte Parti contraenti della Convenzione avranno espresso il loro consenso a essere vincolate dal Protocollo.

      Articolo 9. L'articolo 9 prevede che le Alte Parti contraenti non possano apporre riserve al Protocollo.

      Articolo 10. L'articolo 10 stabilisce che ciascuna Alta Parte contraente indica

 

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quali delle proprie alte giurisdizioni potrebbero richiedere i pareri consultivi della Corte. Consente inoltre la possibilità per le Alte Parti contraenti di aggiungere o di togliere, in qualsiasi momento, dalle liste le autorità giudiziarie indicate. Tutte le dichiarazioni di questo tipo devono essere indirizzate al Segretario generale del Consiglio d'Europa, in qualità di depositario di accordi multilaterali adottati all'interno dell'organizzazione.

      Articolo 11. L'articolo 11 è una delle consuete clausole finali incluse nei trattati redatti nell'ambito del Consiglio d'Europa. La lettera d si riferisce alle procedure istituite in virtù dell'articolo 10 del Protocollo che indica quali delle autorità giudiziarie delle Alte Parti contraenti possono richiedere pareri consultivi alla Corte.
      Il disegno di legge, all'articolo 3, individua le più alte giurisdizioni nazionali che possono presentare alla Grande Camera della CEDU richieste di pareri ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, del Protocollo, introducendo un nuovo caso di sospensione facoltativa del processo (articolo 3, comma 2).

 

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RELAZIONE TECNICA

(Articolo 17, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni).

        L'esigenza di modificare la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, rendendo più snello ed efficace il funzionamento della CEDU, era già stata evidenziata durante la conferenza sul futuro della Corte, organizzata dalla Presidenza svizzera del Comitato dei Ministri, nel febbraio del 2010. La Conferenza adottò in quell'occasione un piano d'azione, invitando il Comitato dei Ministri ad emettere un mandato agli organi competenti, al fine di preparare, entro giugno 2012, specifiche proposte di modifica della Convenzione. Il 26-27 aprile 2011, una seconda conferenza sul futuro della Corte fu organizzata dalla Presidenza turca del Comitato dei Ministri a Izmir, in Turchia. Questa Conferenza adottò un piano di interventi successivi per esaminare e promuovere il processo di riforma.

        Un altro importante contributo a tale processo è venuto, più di recente, dal Comitato dei Ministri riunitosi a Brighton, nel Regno Unito, il 19-20 aprile 2012. La Corte aveva presentato un parere preliminare, in preparazione della Conferenza di Brighton, che conteneva una serie di proposte specifiche. Sulla scia di Brighton si è infine giunti, il 24 giugno 2013, alla firma del Protocollo n. 15 che emenda la Convenzione per la protezione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.

        Anche la questione dei pareri consultivi è stata discussa a lungo durante la preparazione della Conferenza di Brighton.

        La dichiarazione finale della Conferenza di Brighton affermava che l'interazione tra la Corte e le autorità nazionali avrebbe potuto essere consolidata dall'introduzione nella Convenzione di un ulteriore potere della Corte, che gli Stati parte avrebbero comunque potuto accettare in via facoltativa, e cioè il potere di emettere, su esplicita richiesta, pareri consultivi sull'interpretazione della Convenzione nell'ambito di una specifica causa a livello nazionale.

        Come già dettagliatamente approfondito nella relazione illustrativa, il Protocollo n. 15 ha apportato delle piccole ma importanti modifiche alle procedure della CEDU, al fine di migliorarne l'efficacia e l'efficienza, mentre il Protocollo n. 16 ha attribuito alla stessa Corte la competenza a emettere pareri consultivi su richiesta delle più alte giurisdizioni degli Stati contraenti al fine di consentire una sua maggiore interazione con le autorità nazionali. Le anzidette modifiche, seppure fondamentali per un miglior funzionamento della Corte stessa nonché per garantire l'uniforme applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli, non prevedono, a carico dei Governi dei Paesi membri, alcun onere finanziario.

        Il disegno di legge, pertanto, non presenta alcun profilo di onerosità.

 

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ANALISI TECNICO-NORMATIVA

a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013.

Parte I – ASPETTI TECNICO-NORMATIVI DI DIRITTO INTERNO

1) Obiettivi e necessità dell'intervento normativo. Coerenza con il programma di Governo.

        L'intervento normativo si rende necessario per autorizzare la ratifica e l'esecuzione del Protocollo n. 15, emendante la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013.

        Il Protocollo in oggetto ha come obiettivo quello di migliorare il funzionamento della CEDU (istituita nel 1959 allo scopo di assicurare il rispetto della Convenzione stessa), di snellirne le procedure, di accelerare la trattazione dei ricorsi e di smaltire l'arretrato.

        Il ricorso alla legge di autorizzazione alla ratifica si rende necessario in quanto il Protocollo è un atto emendativo della Convenzione, già ratificata con legge ai sensi dell'articolo 80 della Costituzione.

        L'intervento normativo in esame è pienamente compatibile con il programma di Governo. L'Italia, infatti, ha sempre dimostrato grande interesse e sensibilità nei confronti delle tematiche riguardanti diritti umani e libertà fondamentali.

2) Analisi del quadro normativo nazionale.

        Si rappresenta che con legge 4 agosto 1955, n. 848, è stata autorizzata la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Tutti i Protocolli emendativi alla Convenzione sono stati ratificati. Ultimo, in ordine di tempo, il Protocollo n. 14, recante anch'esso norme per la semplificazione e per l'accelerazione dei ricorsi dinanzi alla CEDU, è stato ratificato dall'Italia il 7 marzo 2006 (legge 15 dicembre 2005, n. 280).

3) Incidenza delle norme proposte sulle leggi e sui regolamenti vigenti.

        La ratifica del Protocollo non incide su leggi e su regolamenti interni vigenti.

4) Analisi della compatibilità dell'intervento con i princìpi costituzionali.

        Il provvedimento non presenta alcun problema di costituzionalità, essendo pienamente conforme all'articolo 11, in materia di partecipazione

 

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dell'Italia all'ordinamento internazionale, e all'articolo 117 della Costituzione, in materia di riparto della potestà legislativa tra Stato, regioni ed enti locali.

5) Analisi della compatibilità dell'intervento con le competenze e le funzioni delle regioni ordinarie e a statuto speciale, nonché degli enti locali.

        L'intervento è pienamente compatibile con le regole di riparto di competenze legislative tra Stato, regioni ed enti locali, in quanto la materia dei rapporti internazionali rientra, ai sensi dell'articolo 117 della Carta costituzionale, nella competenza esclusiva dello Stato. Sempre in base al dettato costituzionale, le regioni sono vincolate all'applicazione degli obblighi derivanti da accordi internazionali, anche nelle materie di loro esclusiva competenza.

6) Verifica della compatibilità con i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall'articolo 118, primo comma, della Costituzione.

        Tali princìpi riguardano l'esercizio di funzioni amministrative e, pertanto, non risultano direttamente coinvolti dall'intervento normativo.

7) Verifica dell'assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione delle possibilità di delegificazione e degli strumenti di semplificazione normativa.

        La materia non rientra nell'alveo della cosiddetta «delegificazione» poiché si riferisce a una materia che necessita di autorizzazione legislativa alla ratifica.

8) Verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento e relativo stato dell’iter.

        Non esistono progetti di legge all'esame del Parlamento su materia analoga a quella in esame.

9) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto.

        Non si riscontra una giurisprudenza interna e costituzionale in materia, né risultano pendenti giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto.

Parte II – CONTESTO NORMATIVO DELL'UNIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE

10) Analisi della compatibilità dell'intervento con l'ordinamento dell'Unione europea.

        L'intervento normativo è pienamente compatibile con l'ordinamento dell'Unione europea.

 

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        Dal punto di vista della coerenza con la normativa dell'Unione europea, il Protocollo appare in linea con la posizione comune dell'Unione europea da sempre impegnata a promuovere e a difendere attivamente il rispetto dei diritti umani, sia al suo interno che nelle sue relazioni con i Paesi non appartenenti all'Unione europea, nonché con il processo di adesione del diritto dell'Unione alla Convenzione, sulla base del richiamo espresso contenuto nell'articolo 6 del Protocollo n. 8 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009.

11) Verifica dell'esistenza di procedure di infrazione da parte della Commissione europea sul medesimo o analogo oggetto.

        Non si riscontrano procedure di infrazione in materia.

12) Analisi della compatibilità dell'intervento con gli obblighi internazionali.

        L'intervento risulta compatibile con le politiche internazionali in materia e non è in contrasto con alcun obbligo internazionale.

13) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea sul medesimo o analogo oggetto.

        Al momento non vi sono giudizi pendenti innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea sul medesimo o analogo oggetto del Protocollo.

14) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sul medesimo o analogo oggetto.

        Sulla materia oggetto dell'intervento normativo non si riscontra una giurisprudenza della CEDU.

15) Eventuali indicazioni sulle linee prevalenti della regolamentazione sul medesimo oggetto da parte degli altri Stati membri dell'Unione europea.

        Ad oggi solo l'Irlanda, tra i membri dell'Unione europea, ha ratificato il Protocollo.

Parte III – ELEMENTI DI QUALITÀ SISTEMATICA E REDAZIONALE DEL TESTO

1) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso.

        Non vengono utilizzate definizioni normative che non appartengano già al linguaggio tecnico-giuridico della materia regolata.

 

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2) Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni subite dai medesimi.

        È stata verificata la correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel disegno di legge.

3) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni e integrazioni a disposizioni vigenti.

        Non si è fatto ricorso alla tecnica della novella legislativa.

4) Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo.

        Le norme del provvedimento non comportano effetti abrogativi impliciti.

5) Individuazione di disposizioni dell'atto normativo aventi effetto retroattivo o di reviviscenza di norme precedentemente abrogate o di interpretazione autentica o derogative rispetto alla normativa vigente.

        Non si riscontrano le fattispecie indicate.

6) Verifica della presenza di deleghe aperte sul medesimo oggetto, anche a carattere integrativo o correttivo.

        Non risulta alcuna delega aperta sulla materia oggetto dell'intervento normativo.

7) Indicazione degli eventuali atti successivi attuativi; verifica della congruità dei termini previsti per la loro adozione.

        Non sono previsti successivi atti attuativi di natura normativa.

8) Verifica della piena utilizzazione e dell'aggiornamento di dati e di riferimenti statistici attinenti alla materia oggetto del provvedimento, ovvero indicazione della necessità di commissionare all'Istituto nazionale di statistica apposite elaborazioni statistiche, con correlata indicazione nella relazione tecnica della sostenibilità dei relativi costi.

        Nell'ambito della complessiva istruttoria normativa necessaria alla predisposizione dell'intervento legislativo sono stati utilizzati dati e riferimenti statistici già disponibili presso le amministrazioni interessate.

 

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b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.

Parte I – ASPETTI TECNICO-NORMATIVI DI DIRITTO INTERNO

1) Obiettivi e necessità dell'intervento normativo. Coerenza con il programma di Governo.

        L'intervento normativo si rende necessario per autorizzare la ratifica e l'esecuzione del Protocollo n. 16, emendante la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.

        Il Protocollo è un atto normativo di rilevante importanza, istituendo l'inedita possibilità per i giudici nazionali di ultima istanza di rivolgersi direttamente alla CEDU, prima di assumere la propria decisione, per chiedere un'opinione «non vincolante» in ordine all'interpretazione del diritto della CEDU.

        Il ricorso alla legge di autorizzazione alla ratifica si rende necessario in quanto il Protocollo è un atto emendativo della Convenzione già resa esecutiva con legge ai sensi dell'articolo 80 della Costituzione.

        L'intervento normativo in esame è pienamente compatibile con il programma di Governo, tra i cui obiettivi prioritari vi è quello di prevenire possibili violazioni della Convenzione.

2) Analisi del quadro normativo nazionale.

        Si rappresenta che con legge 4 agosto 1955, n. 848, è stata autorizzata la ratifica della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950. Tutti i Protocolli emendativi alla Convenzione sono stati ratificati. Ultimo, in ordine di tempo, il Protocollo n. 14, recante norme di semplificazione e accelerazione dei ricorsi dinanzi alla CEDU, è stato ratificato dall'Italia il 7 marzo 2006 (legge 15 dicembre 2005, n. 280).

        Il disegno di legge di autorizzazione alla ratifica introduce, all'articolo 3, una nuova ipotesi di sospensione facoltativa dei processi dinanzi alle più alte giurisdizioni nazionali (Suprema Corte di cassazione, Consiglio di Stato, Corte dei conti, Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana) nei casi in cui queste ultime si determinino a presentare alla CEDU richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli.

        Tale previsione è coerente con la normativa nazionale vigente in materia di sospensione del processo, di cui si illustrano di seguito le principali disposizioni, le quali troveranno applicazione anche nei casi regolamentati dal citato articolo 3 del disegno di legge, secondo le linee interpretative fornite dalla giurisprudenza nazionale.

 

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        L'indicazione delle autorità giudiziarie di cui all'articolo 1, paragrafo 1, della Convenzione sarà contenuta anche nella dichiarazione indirizzata al Segretario generale del Consiglio d'Europa, ai sensi dell'articolo 10 della Convenzione stessa.

La sospensione del processo penale.

        La sospensione del procedimento penale è un mezzo eccezionale a cui il giudice può fare ricorso solo quando la decisione dipenda dalla risoluzione di una questione pregiudiziale costituzionale (articolo 23 della legge n. 87 del 1953) ovvero dalla risoluzione di una questione civile o amministrativa (articoli 3 e 479 del codice di procedura penale).

        Nell'attuale sistema processuale la pregiudizialità costituisce un'ipotesi eccezionale e richiede un nesso di interdipendenza assoluta tra i due procedimenti, cioè quelli civile e amministrativo, rispetto al processo penale nel senso che la soluzione del primo costituisce la premessa essenziale per decidere nel processo penale; tuttavia la pregiudizialità può operare solo in dipendenza di questioni civili o amministrative e mai in relazione a questioni penali (Corte di cassazione, sezione I, 20 gennaio 1997, Bompressi, in CP, 1997, 2758; sezione III, 23 settembre 1991, Andreoni, in GI, 1992, II, 670).

        In ogni altro caso, il giudice è tenuto a risolvere ogni questione pregiudiziale, pur con efficacia non vincolante (sezione III, 1o aprile 2000, Gabrieli, in SIur, 2000, 1281; sezione I, 20 gennaio 1998, Allegri, in GP, 1999, III, 245).

        L'ordinanza con la quale è sospeso il dibattimento è impugnabile immediatamente; invece, l'ordinanza che rigetta la richiesta di sospensione può essere impugnata soltanto con la sentenza, secondo le regole stabilite dall'articolo 586 del codice di procedura penale (sezione V, 13 novembre 1998, Brancato, in CP, 2000, 93; sezione III, 7 marzo 1996, Panzini, in CP, 1997, 1486).

        La sospensione del procedimento, anche se disposta fuori dei casi consentiti e in assenza di una specifica impugnazione, determina la sospensione del corso della prescrizione (articolo 159 del codice penale) (sezioni unite, 1o ottobre 1991, Mapelli, in ANPP, 1992, 273).

        L'articolo 3 del codice di procedura penale attribuisce al giudice il potere di sospendere il processo.

        La terminologia utilizzata sembra essere espressione della scelta del legislatore di escludere che nel corso delle indagini preliminari possa essere disposta la sospensione (Marzaduri, sub articolo 3, 83).

        A tale soluzione è contrario chi (Giarda, sub articolo 3, in Giarda, Spangher, Comm. al codice di procedura penale, Milano, 1997, 51), evidenziando come nel terzo comma della stessa norma vi sia un uso improprio della locuzione «procedimento penale», ritiene che non vi sia un'effettiva e rigida coincidenza tra i termini utilizzati e i concetti di riferimento.

        Diverso problema si pone circa la fase davanti la Corte di cassazione.

        Il riferimento al processo nella sua interezza impone di ritenere applicabile la norma anche in tale fase (Rel. prog. prel., 9; di contrario avviso Marzaduri, sub articolo 3, 83).

 

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La sospensione del processo civile e amministrativo.

        Il presupposto principale della sospensione necessaria ai sensi dell'articolo 295 del codice di procedura civile è costituito dalla pendenza di un rapporto pregiudiziale.

        La giurisprudenza ritiene, ormai pacificamente, che la sospensione del giudizio può dirsi necessaria, ai sensi del citato articolo 295, soltanto quando la previa definizione di un'altra controversia civile, penale o amministrativa pendente davanti a un altro giudice sia imposta da un'espressa disposizione di legge ovvero quando, per il suo carattere pregiudiziale, costituisca l'indispensabile antecedente logico- giuridico dal quale dipenda la decisione della causa pregiudicata e il cui accertamento sia richiesto con efficacia di giudicato. Al di fuori di tali presupposti, la sospensione cessa di essere necessaria e, quindi, obbligatoria per il giudice, ed è meramente facoltativa (Corte di cassazione, sentenza n. 21396 del 2012 e ordinanza n. 25272 del 2010).

        In difetto di una specifica indicazione in tale direzione, non è univoco l'orientamento relativo all'individuazione della competenza dell'organo che deve pronunciare il provvedimento di sospensione.
      Si segnalano, in particolare, i seguenti indirizzi:

            a) la competenza dovrebbe appartenere al giudice istruttore o al collegio, a seconda che la controversia sia attribuita in sede decisoria all'uno piuttosto che all'altro organo (Luiso, 229); ovvero

            b) la competenza dovrebbe essere individuata sulla base di un criterio cronologico, nel senso che il provvedimento sarà pronunciato dal giudice istruttore ovvero dal collegio, a seconda che la causa si trovi nella fase, rispettivamente, istruttoria o decisoria (Trisorio Liuzzi La sospensione del processo civile di cognizione, Bari, 1987, 591).

        L'articolo 296 del codice di procedura civile regola, invece, la fattispecie della sospensione concordata tra le parti (cosiddetta «sospensione volontaria»).

        Il provvedimento di sospensione concordata, essendo di competenza del giudice istruttore, può essere richiesto solo durante la fase istruttoria (Menchini, 54).

        Il processo continua nell'udienza fissata, con il provvedimento di sospensione, dall'autorità giudiziaria, ovvero, in difetto, su iniziativa delle parti, che devono procedere alla riassunzione, chiedendo al giudice la fissazione dell'udienza di prosecuzione.

        Posto che, secondo la dottrina, la disposizione dell'articolo 297 del codice di procedura civile non assume il ruolo di norma generale in materia di riassunzione del processo sospeso, la relativa istanza di riassunzione della causa sarà il ricorso, nelle ipotesi di cui agli articoli 295 e 296, mentre, in tutti gli altri casi di sospensione, troverà applicazione la disposizione dell'articolo 125 delle disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile, di cui al regio decreto n. 1368 del 1941, che espressamente contempla, alternativamente alla forma del ricorso, quella della comparsa (sul punto, ampiamente, in dottrina Saletti, 301; Trisorio Liuzzi, La sospensione del processo cit., 707).

 

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        In giurisprudenza, questo profilo è stato anche recentemente preso in esame dalla Corte di legittimità (ordinanza n. 27850 del 2011).

        Alla sospensione del giudizio amministrativo si applicano le norme processual-civilistiche illustrate (si confrontino ex multis Consiglio di Stato, sezione V, 24 ottobre 2013, n. 5160, e tribunale amministrativo regionale del Lazio, sezione II-ter, 22 ottobre 2013, n. 9089).

3) Incidenza delle norme proposte sulle leggi e sui regolamenti vigenti.

        Si ribadisce che la legge di ratifica del Protocollo n. 16 non incide sulla normativa di cui al numero 2), ma si limita a introdurre una nuova ipotesi di sospensione facoltativa dei processi dinanzi alle più alte giurisdizioni nazionali (articolo 3 del disegno di legge) qualora queste ultime presentino alla CEDU richieste di pareri consultivi su questioni di principio relative all'interpretazione o all'applicazione della Convenzione e dei suoi Protocolli.

4) Analisi della compatibilità dell'intervento con i princìpi costituzionali.

        Il provvedimento non presenta alcun problema di costituzionalità, essendo pienamente conforme all'articolo 11, in materia di partecipazione dell'Italia all'ordinamento internazionale, e all'articolo 117 della Costituzione, in materia di riparto della potestà legislativa tra Stato, regioni ed enti locali.

5) Analisi della compatibilità dell'intervento con le competenze e le funzioni delle regioni ordinarie e a statuto speciale, nonché degli enti locali.

        L'intervento è pienamente compatibile con le regole di riparto di competenze legislative tra Stato, regioni ed enti locali, in quanto la materia dei rapporti internazionali rientra, ai sensi dell'articolo 117 della Carta costituzionale, nella competenza esclusiva dello Stato. Sempre in base al dettato costituzionale, le regioni sono vincolate all'applicazione degli obblighi derivanti da accordi internazionali, anche nelle materie di loro esclusiva competenza.

6) Verifica della compatibilità con i princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza sanciti dall'articolo 118, primo comma, della Costituzione.

        Tali princìpi riguardano l'esercizio di funzioni amministrative e, pertanto, non risultano direttamente coinvolti dall'intervento normativo.

7) Verifica dell'assenza di rilegificazioni e della piena utilizzazione delle possibilità di delegificazione e degli strumenti di semplificazione normativa.

        La materia non rientra nell'alveo della cosiddetta «delegificazione», poiché si riferisce a un atto che necessita di autorizzazione legislativa alla ratifica.

 

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8) Verifica dell'esistenza di progetti di legge vertenti su materia analoga all'esame del Parlamento e relativo stato dell’iter.

        Non esistono progetti di legge all'esame del Parlamento su materia analoga a quella in esame.

9) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto.

        Non si riscontra una giurisprudenza interna e costituzionale in materia, né risultano pendenti giudizi di costituzionalità sul medesimo o analogo oggetto.

Parte II – CONTESTO NORMATIVO DELL'UNIONE EUROPEA E INTERNAZIONALE

10) Analisi della compatibilità dell'intervento con l'ordinamento dell'Unione europea.

        L'intervento normativo è pienamente compatibile con l'ordinamento dell'Unione europea.

        Dal punto di vista della coerenza con la normativa dell'Unione europea, il Protocollo appare in linea con il processo di adesione del diritto dell'Unione alla Convenzione, sulla base del richiamo espresso contenuto nell'articolo 6 del Protocollo n. 8 del Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009.

11) Verifica dell'esistenza di procedure di infrazione da parte della Commissione europea sul medesimo o analogo oggetto.

        Non si riscontrano procedure di infrazione in materia.

12) Analisi della compatibilità dell'intervento con gli obblighi internazionali.

        L'intervento risulta compatibile con le politiche internazionali in materia e non è in contrasto con alcun obbligo internazionale.

13) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea sul medesimo o analogo oggetto.

        Al momento non vi sono giudizi pendenti innanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea sul medesimo o analogo oggetto del Protocollo.

 

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14) Indicazione delle linee prevalenti della giurisprudenza ovvero della pendenza di giudizi innanzi alla Corte europea dei diritti dell'uomo sul medesimo o analogo oggetto.

        Sulla materia oggetto dell'intervento normativo non si riscontra una giurisprudenza della CEDU.

15) Eventuali indicazioni sulle linee prevalenti della regolamentazione sul medesimo oggetto da parte degli altri Stati membri dell'Unione europea.

        Ad oggi il Protocollo è stato firmato da 10 Stati ma non è ancora stato ratificato da alcuno di essi.

Parte III – ELEMENTI DI QUALITÀ SISTEMATICA E REDAZIONALE DEL TESTO

1) Individuazione delle nuove definizioni normative introdotte dal testo, della loro necessità, della coerenza con quelle già in uso.

        Non vengono utilizzate definizioni normative che non appartengano già al linguaggio tecnico-giuridico della materia regolata.

2) Verifica della correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel progetto, con particolare riguardo alle successive modificazioni subite dai medesimi.

        È stata verificata la correttezza dei riferimenti normativi contenuti nel disegno di legge.

3) Ricorso alla tecnica della novella legislativa per introdurre modificazioni e integrazioni a disposizioni vigenti.

        Non si è fatto ricorso alla tecnica della novella legislativa.

4) Individuazione di effetti abrogativi impliciti di disposizioni dell'atto normativo e loro traduzione in norme abrogative espresse nel testo normativo.

        Le norme del provvedimento non comportano effetti abrogativi impliciti.

5) Individuazione di disposizioni dell'atto normativo aventi effetto retroattivo o di reviviscenza di norme precedentemente abrogate o di interpretazione autentica o derogative rispetto alla normativa vigente.

        Non si riscontrano le fattispecie indicate.

 

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6) Verifica della presenza di deleghe aperte sul medesimo oggetto, anche a carattere integrativo o correttivo.

        Non risulta alcuna delega aperta sulla materia oggetto dell'intervento normativo.

7) Indicazione degli eventuali atti successivi attuativi; verifica della congruità dei termini previsti per la loro adozione.

        Non sono previsti successivi atti attuativi di natura normativa.

8) Verifica della piena utilizzazione e dell'aggiornamento di dati e di riferimenti statistici attinenti alla materia oggetto del provvedimento, ovvero indicazione della necessità di commissionare all'Istituto nazionale di statistica apposite elaborazioni statistiche, con correlata indicazione nella relazione tecnica della sostenibilità dei relativi costi.

        Nell'ambito della complessiva istruttoria normativa necessaria alla predisposizione dell'intervento legislativo sono stati utilizzati dati e riferimenti statistici già disponibili presso le amministrazioni interessate.

 

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DISEGNO DI LEGGE

Art. 1.
(Autorizzazione alla ratifica).

      1. Il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare i seguenti Protocolli:

          a) Protocollo n. 15 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 24 giugno 2013;

          b) Protocollo n. 16 recante emendamento alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, fatto a Strasburgo il 2 ottobre 2013.

Art. 2.
(Ordine di esecuzione).

      1. Piena ed intera esecuzione è data ai Protocolli di cui all'articolo 1, a decorrere dalla data della loro entrata in vigore, in conformità a quanto disposto, rispettivamente, dall'articolo 7 del Protocollo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera a), e dall'articolo 8 del Protocollo di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della presente legge.

Art. 3.
(Sospensione del processo).

      1. La Suprema Corte di cassazione, il Consiglio di Stato, la Corte dei conti e il Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana possono presentare alla Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo richieste di parere ai sensi dell'articolo 1, paragrafo 1, del Protocollo

 

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di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), della presente legge.
      2. Nei casi di cui al comma 1, il giudice può disporre che il processo sia sospeso fino alla ricezione del parere consultivo della Grande Camera della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Art. 4.
(Entrata in vigore).

      1. La presente legge entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.

 

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