CAMERA DEI DEPUTATI
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N. 1989 |
Onorevoli Colleghi! Con la recente sentenza n. 278 del 2013, depositata il 22 novembre 2013, la Corte costituzionale ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale dell'articolo 28, comma 7, della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), come sostituito dall'articolo 177, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196 (Codice in materia di protezione dei dati personali), nella parte in cui non prevede – attraverso un procedimento, stabilito dalla legge, che assicuri la massima riservatezza – la possibilità per il giudice di interpellare la madre – che abbia dichiarato di non voler essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile, a norma dell'articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) – su richiesta del figlio, ai fini di una eventuale revoca di tale dichiarazione».
La Suprema Corte non ha quindi censurato quanto disposto all'articolo 30, comma 1, del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396, che dispone quanto segue: «La dichiarazione di nascita è resa da uno dei genitori, da un procuratore speciale, ovvero dal medico o dalla ostetrica o da altra persona che ha assistito al parto, rispettando l'eventuale volontà della madre di non essere nominata»; ma anzi, facendo espressamente riferimento a tale norma, ha voluto precisare che «sarà compito del legislatore introdurre apposite disposizioni volte a consentire la verifica della perdurante attualità
a) il diritto di riconoscere o meno il neonato come figlio, diritto che vale sia per la donna che ha un bambino fuori dal matrimonio, sia per la donna coniugata: la Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 171 del 5 maggio 1994 ha stabilito che «qualunque donna partoriente, ancorché da elementi informali risulta trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita»;
b) il diritto alla segretezza del parto, che deve essere garantito da tutti i servizi sanitari e sociali coinvolti, con la previsione che, nei casi in cui il neonato non venga riconosciuto, nell'atto di nascita del bambino, redatto entro dieci giorni dal parto, risulti scritto: «figlio di donna che non consente di essere nominata». L'ufficiale di stato civile, a seguito della dichiarazione del personale medico che ha assistito al parto, attribuisce al suddetto neonato un nome e un cognome, procede alla formazione dell'atto di nascita e alla segnalazione alla Procura della Repubblica presso il tribunale per i minorenni per la sua dichiarazione di adottabilità ai sensi della legge n. 184 del 1983. Le generalità della donna che si è avvalsa del parto segreto possono essere rivelate solo dopo cento anni e soltanto «a chi vi abbia interesse», ai sensi dell'articolo 93, comma 2, del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo n. 196 del 2003;
c) la sospensione dello stato di adottabilità per un periodo massimo di due mesi, disposta dal tribunale per i minorenni su richiesta di chi afferma di essere uno dei genitori biologici, «sempre che nel frattempo il minore sia assistito dal genitore o dai parenti fino al quarto grado o in altro modo conveniente, permanendo comunque un rapporto con il genitore» (articolo 11 della legge n. 184 del 1983). Se il neonato non può essere riconosciuto perché uno o entrambi i genitori hanno meno di sedici anni, l'adottabilità può essere rinviata anche d'ufficio dal tribunale per i minorenni fino al compimento di tale età. Può essere concessa al compimento del sedicesimo anno di età un'ulteriore sospensione di due mesi. Il genitore autorizzato al riconoscimento prima del compimento del sedicesimo anno, ai sensi dell'articolo 250, quinto comma, del codice civile, può chiedere un'ulteriore sospensione per altri due mesi dopo l'autorizzazione (quest'ultima norma è stata introdotta dall'articolo 100, comma 1, lettera i), del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154).
È quindi evidente che i diritti della gestante non si contrappongono ai diritti del bambino che ella dà alla luce, ma sono funzionali all'affermazione del diritto del neonato a crescere in una famiglia e a godere in essa di condizioni adeguate per un armonico sviluppo della personalità.
Dunque, la scelta di non riconoscere il proprio nato come figlio, nella consapevolezza di non poterlo crescere, non può essere considerata una scelta negativa o riprovevole: molto spesso è una scelta responsabile verso la nuova vita, che può poi svilupparsi in modo idoneo in una famiglia adottiva; questi neonati non sono pertanto abbandonati, ma sono affidati immediatamente alle autorità preposte
1. Il comma 7 dell'articolo 28 della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, è sostituito dal seguente:
«7. L'accesso alle informazioni non è consentito nei confronti della partoriente che abbia dichiarato alla nascita di non volere essere nominata ai sensi dell'articolo 30, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 3 novembre 2000, n. 396. La partoriente che ha dichiarato alla nascita di non voler essere nominata può in qualsiasi momento esprimere la propria disponibilità a incontrare il proprio nato, con comunicazione scritta inviata al Garante per la protezione dei dati personali. L'adottato non riconosciuto alla nascita può, raggiunta l'età di venticinque anni, richiedere al tribunale per i minorenni che ha pronunciato la sua adozione di incontrare la donna che lo ha partorito. Il tribunale esamina la richiesta che, se accolta, è trasmessa al Garante per la protezione dei dati personali che vi dà seguito, a condizione che la donna abbia precedentemente manifestato la propria disponibilità all'incontro. Il Garante, avvalendosi dei servizi sociali degli enti locali, assume le necessarie iniziative volte all'organizzazione del loro primo incontro. L'adottato non riconosciuto alla nascita non può comunicare a terzi l'identità della donna che lo ha partorito e tutte le persone coinvolte nel procedimento sono tenute al rispetto del segreto d'ufficio».