XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 1842



 

Pag. 1

PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

AIRAUDO, DI SALVO, PLACIDO

Istituzione di un fondo per il finanziamento di interventi di solidarietà e di equità previdenziale

Presentata il 25 novembre 2013


      Onorevoli Colleghi! I mutamenti intervenuti nell'organizzazione delle attività produttive e nella disciplina dei rapporti di lavoro hanno esteso il numero di coloro che prestano la loro attività non sulla base di un contratto di lavoro a tempo indeterminato, ma in forma temporanea e discontinua, talora con periodi di ridotta occupazione o intervalli, anche prolungati, di completa inattività. Ciò determina rilevanti conseguenze sulla situazione contributiva di questi lavoratori e, in prospettiva, sull'entità del trattamento previdenziale del quale essi potranno beneficiare. Le difficoltà derivanti della situazione economica generale hanno poi esteso il numero di coloro i quali, pur godendo attualmente di trattamenti di pensione, per l'esiguità dei periodi di lavoro prestati o dei contributi versati o semplicemente a causa del diminuito valore reale della moneta, percepiscono importi che, nonostante l'applicazione dell'integrazione al trattamento minimo, risultano insufficienti a garantire il soddisfacimento delle fondamentali esigenze di vita.
      Per sovvenire a queste situazioni, nelle quali non sono applicabili prìncipi di stretta giustizia distributiva, appare necessario ricorrere a strumenti correttivi di solidarietà e di perequazione, che promuovano una ragionevole redistribuzione di risorse correggendo situazioni di squilibrio insostenibile, a garanzia della dignità umana di ciascuna persona, ma anche dell'ordine e della stabilità complessiva del corpo sociale.
      A ciò di collega – purché sia inteso rettamente come mezzo per realizzare

 

Pag. 2

iniziative di riforma sociale e non quale strumento di mera vessazione o populistico espediente per fomentare istinti di invidia sociale – il tema della riduzione dei trattamenti pensionistici di importo elevato – le cosiddette «pensioni d'oro» –, che continua a richiamare una forte attenzione da parte degli organi di informazione e dell'opinione pubblica, stimolando un ampio dibattito sui princìpi di equità e giustizia nell'erogazione di prestazioni previdenziali, anche in chiave intergenerazionale e di sostenibilità complessiva del sistema pensionistico.
      Per quanto riguarda, in particolare, il tema delle misure peggiorative dei trattamenti con effetto retroattivo, la Corte costituzionale ha escluso, in linea di principio, che sia configurabile un diritto costituzionalmente garantito alla «cristallizzazione» normativa, riconoscendo quindi al legislatore la possibilità di intervenire con scelte discrezionali, purché ciò non avvenga in modo irrazionale e, in particolare, frustrando in modo eccessivo l'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulla normativa precedente.
      Quanto al contributo di solidarietà sulle pensioni di importo elevato, la Corte costituzionale si è a più riprese pronunziata inquadrandolo nel genus delle prestazioni patrimoniali imposte per legge – soggette per tale ragione al principio di eguaglianza e ai criteri della capacità contributiva e della progressività del sistema tributario – da ultimo con la sentenza n. 116 del 5 giugno 2013, con cui ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 18, comma 22-bis, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, il quale introduceva un contributo di perequazione, a decorrere dal 1o agosto 2011 e fino al 31 dicembre 2014, sui trattamenti pensionistici corrisposti da enti gestori di forme di previdenza obbligatorie.
      Dalle pronunzie della Corte costituzionale appare chiaro che interventi sulle pensioni di importo elevato, siano essi nella forma di imposizione di un contributo di solidarietà ovvero in quella dell'imposizione di un limite massimo d'importo, devono essere contestualmente operati anche sui redditi da lavoro.
      Sul tema delle cosiddette «pensioni d'oro» molti politici stanno alimentando un dibattito meramente propagandistico, non fondato su alcuna obiettiva analisi dell'attuale situazione del sistema pensionistico italiano e disgiunto da qualunque seria riflessione sugli interventi necessari per affermare realmente e concretamente princìpi di equità e giustizia. È necessario partire dalla recente «riforma Fornero», che ha determinato molti guasti e tanti altri ne creerà se non verrà prontamente e strutturalmente riformata a sua volta. Ci sono almeno 390.000 lavoratori esodati ridotti sul lastrico; mancano del tutto meccanismi di solidarietà interni al sistema, che sarebbero invece necessari soprattutto per i lavoratori giovani, per quelli atipici e per le donne che hanno subìto la violenza di un innalzamento di cinque anni dell'età pensionabile, misura derivante da un'idea negativa della parità senza riconoscimento alcuno del valore sociale ed economico dei lavori di cura; si è previsto un significativo innalzamento dell'età pensionabile per tutti, creando un sistema rigido che non consente un'uscita flessibile dal mondo del lavoro.
      La «riforma Fornero», contenuta nel decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214 (cosiddetto «Salva Italia»), era accompagnata da una relazione tecnica che indicava risparmi per circa 22 miliardi di euro nel periodo 2012-2021, ma il rapporto dell'area attuariale dell'INPS del giugno 2013 ha indicato una previsione di risparmi addirittura superiore a 90 miliardi di euro per lo stesso periodo. Il sistema previdenziale è stato utilizzato come un bancomat» da parte dello Stato e i risparmi non sono stati destinati a migliorare la condizione della vastissima platea di pensionati italiani che percepisce pensioni di importo basso o bassissimo, al di sotto della soglia della povertà.
      È una storia triste che, peraltro, si ripete: dobbiamo constatare come tutti gli
 

Pag. 3

ingentissimi risparmi successivamente conseguiti con le varie riforme pensionistiche fatte negli ultimi anni siano stati assegnati o alla riduzione del deficit» oppure ad esigenze considerate «più importanti». Un caso eclatante è accaduto con i risparmi generati dall'aumento dell'età di pensionamento delle donne che, a norma dell'articolo 22-ter del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, dovevano essere destinati a «politiche sociali e familiari»: sono invece finiti nel calderone della finanza pubblica, a finanziare tutt'altro.
      Occorre cambiare l'inutile «riforma Fornero», quindi, e ricordare le importantissime riforme pensionistiche che abbiamo fatto nei decenni passati, che hanno drasticamente ridotto sia gli andamenti futuri sia quelli correnti della spesa. In termini nominali, la spesa pensionistica sta aumentando di anno in anno poco più dell'inflazione e comunque molto meno che negli altri Paesi: fra il 2003 e il 2010, secondo i dati dell'Eurostat, è aumentata in media del 3,8 per cento all'anno in Italia, contro il 6,8 per cento del Regno Unito, il 4,3 per cento della Svezia, il 4,9 per cento della Francia, l'8,1 per cento della Spagna e il 5,5 per cento della Danimarca (fa eccezione la Germania, con un aumento annuo dell'1,4 per cento).
      Vero è che, secondo i più recenti dati dell'Eurostat, relativi al 2010, spendiamo per le pensioni il 16 per cento del prodotto interno lordo, contro il 13,2 per cento dei Paesi dell'Europa a quindici e il 13 per cento dei Paesi dell'Europa a ventisette. Va tuttavia considerato che il dato del 16 per cento riferito all'Italia è falsato e la percentuale è decisamente più bassa in quanto:

          nel calcolo della spesa previdenziale italiana, ma non in quella degli altri Paesi, figura il trattamento di fine rapporto, che viceversa rappresenta una parte differita della retribuzione;

          abbiamo una percentuale di ultrasessantacinquenni più elevata degli altri Paesi, il che inevitabilmente determina la presenza di un numero maggiore di pensionati;

          si tratta di spesa calcolata al lordo delle trattenute fiscali: le nostre pensioni sono invece assoggettate all'imposta sul reddito, a differenza di altri Stati ove ne sono praticamente esenti (vedi Germania);

          non si è considerata la spesa per sgravi fiscali destinati alla previdenza privata, particolarmente elevata nei Paesi anglosassoni.

      In rapporto al prodotto interno lordo, a legislazione vigente, la spesa pensionistica è destinata a contrarsi significativamente a partire dal 2014, come si può constatare dalla nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza presentata dal Governo lo scorso settembre. Come per tutti i rapporti calcolati rispetto al prodotto interno lordo, poi, il rapporto fra spesa pensionistica e prodotto interno lordo risente della contrazione del denominatore, ovvero della crisi economica. Se il prodotto interno lordo non si fosse contratto per la recessione, il rapporto con la spesa pensionistica sarebbe inferiore di almeno un punto. A differenza di quanto si poteva scrivere una decina di anni fa, la nostra spesa pensionistica appare elevata soprattutto perché l'economia non cresce, non perché siamo troppo generosi.
      Il quadro illustrato denunzia quanto il dibattito sulle cosiddette «pensioni d'oro», così come affrontato, risulti superficiale. Il disegno di legge di stabilità 2014 prevede la sospensione dell'indicizzazione delle pensioni di importo superiore a 3.000 euro, vale a dire un taglio a una parte delle pensioni in essere. Da più parti si parla e si propone di ridurre le pensioni erogate il cui importo risulti superiore a un determinato limite, considerate in ogni caso «pensioni d'oro». Tale proposta è basata su una confusione evidente tra alto rendimento dei contributi versati e alto livello della pensione. Spesso i due aspetti sono disgiunti.
      I sistemi pensionistici retributivi e contributivi sono due differenti sistemi a ripartizione. Nel sistema retributivo l'obiettivo

 

Pag. 4

non è quello di assicurare un eguale tasso di rendimento a tutti i lavoratori, ma quello di stabilire una relazione tra gli importi della prima pensione e delle ultime retribuzioni percepite. Il sistema permette trasferimenti di risorse a fini equitativi. Chi beneficia di questi trasferimenti avrà un rendimento più alto rispetto a chi cede parte delle risorse. Se la media del sistema ha un rendimento dei contributi effettivamente versati pari al tasso di crescita del prodotto interno lordo (o meglio della massa salariale), il sistema è in equilibrio (tranne che per gli effetti di eventuali fluttuazioni demografiche).
      Il nuovo sistema pensionistico contributivo introdotto nel 1995 si basa su un principio di equità attuariale, per cui dovrebbe tendere a erogare prestazioni commisurate ai contributi versati. Il fatto è, però, che dietro quest'apparenza si nascondono dettagli di non poco conto, anche a prescindere dalla salvaguardia dei diritti acquisiti che, peraltro, in ambito pensionistico, dove i soggetti interessati sono avanti negli anni, richiede necessariamente una particolare attenzione.
      Innanzitutto, non è vero che un sistema retributivo, come quello adottato fino al 1995, sia necessariamente più generoso del sistema contributivo: a seconda dei parametri utilizzati, i due sistemi possono produrre risultati equivalenti, mentre, se il sistema retributivo tende a premiare le carriere dinamiche, il sistema contributivo tende a premiare le carriere piatte. Non ci si avvede che è falso affermare che il sistema contributivo restituisce pensioni corrispondenti ai contributi versati: è facile mostrare che, quando si considerano anche le prestazioni assistenziali, il sistema contributivo penalizza soprattutto i più poveri che, malgrado gli anni e i decenni di contributi versati, rischiano di maturare pensioni di poco superiori all'assegno sociale, ovvero di maturare rendimenti addirittura negativi sui propri contributi, con un sostanziale incentivo ad entrare o a rimanere nell'economia sommersa (si confronti ad esempio Marano, Mazzaferro e Morciano, Rivista degli economisti, 2012, pagina 71).
      Secondo gli economisti Paladini e Vincenzo Visco, l'elemento che ha il maggior peso nella differenza tra i sistemi retributivo e contributivo è costituito dagli anni di vita attesi, cioè dall'età del pensionamento. Questo elemento conta più della velocità di progressione della retribuzione. A questo proposito non va dimenticato che in molti casi la scelta del pensionamento non è stata spontanea, ma necessitata: infatti una significativa quota delle ristrutturazioni industriali è stata fatta nei decenni passati usando il sistema pensionistico, a volte con misure ad hoc (prepensionamenti). Operai, impiegati, ma anche dirigenti sono stati messi in pensione, che lo volessero o meno.
      L'idea di fissare un valore limite (sia esso 3.000 euro o più al mese) e di applicare un taglio solo alle pensioni che superano la soglia è errore logico che diventa un vizio giuridico. Lo stesso vale per il blocco dell'indicizzazione al di sopra di un dato livello.
      Va evidenziato, inoltre, che da un prelievo forzoso sulle sole pensioni elevate non possono derivare grandi risorse; il contributo di solidarietà inserito nel disegno di legge di stabilità 2014 (articolo 12, comma 4, del testo del Governo, che appare incostituzionale alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale) prevede un contributo del 5 per cento sulle pensioni superiori a 150.000 euro annui, del 10 per cento sulla parte eccedente 200.000 euro e del 15 per cento sulla parte eccedente 250.000 euro: ciò avrebbe, secondo la relazione tecnica dello stesso Governo, effetti risibili, pari a 12 milioni di euro all'anno al netto del prelievo fiscale; anche ammettendo soluzioni più radicali, quali quelle ipotizzate da Boeri e Nannicini nel sito internet lavoce.info, si arriverebbe a un gettito di 800-900 milioni, quasi dimezzato, tuttavia, da quella che sembrerebbe la mancata considerazione da parte degli economisti suddetti della perdita di gettito fiscale associata alla connessa riduzione degli imponibili agli effetti dell'imposta sul reddito. Con tali risorse non si risolve, né in parte, né in tutto, il problema di innalzare gli importi pensionistici delle pensioni minime, considerato
 

Pag. 5

che l'idea del contributo di solidarietà è quella di ridistribuirlo all'interno del sistema previdenziale a fini solidaristici.
      Quanto all'equità della misura, sembra prevalere un populismo mischiato a falso egualitarismo: coloro che hanno conseguito pensioni elevate – salve eccezioni rare e davvero scandalose – sono in prevalenza persone che hanno percepito redditi molto elevati nel corso della loro vita lavorativa e contribuito conseguentemente, in accordo con regole che già prevedevano forme di solidarietà. Se si ritiene che sia ingiusto che esistano persone molto più ricche di altre, lo strumento a disposizione del pubblico è semplicemente la variazione delle aliquote fiscali: si proponga allora un aumento dell'aliquota sull'ultimo scaglione di reddito, senza discriminare fra ricchi pensionati e altri precettori di reddito, nel solco dei princìpi giuridici fissati dalla giurisprudenza costituzionale.
      Il riconoscimento di un doveroso contributo di solidarietà in favore dei pensionati più poveri ricade tra le misure assistenziali che devono essere finanziate dalla fiscalità generale e da tutti i cittadini a secondo della loro capacità contributiva. Dagli anni ’80 ad oggi, mentre si sono ridimensionati servizi e spese sociali che andavano a beneficio delle fasce deboli della popolazione, in materia di entrate il prelievo fiscale si è spostato dai redditi più alti verso quelli medio-bassi, al punto che il rapporto tra le aliquote sui redditi minimi e le aliquote sui redditi massimi è passato da 1 a 7 ad 1 a 2. In questo periodo, l'aliquota sulle fasce medio basse è salita dal 10 per cento al 23 per cento, mentre per quelli alti è scesa dal 72 per cento al 43 per cento. La progressività del prelievo fiscale è stata, quindi, fortemente ridimensionata e questo è accaduto proprio nell'imposizione diretta, che rappresenta il principale strumento per correlare le imposte ai redditi. Tutti i redditi superiori a 75.000 euro annui lordi sono tassati con un'aliquota pari al 43 per cento, che rimane tale anche per redditi di molto superiori, vulnerando il criterio di progressività del sistema tributario, previsto dall'articolo 53 della Costituzione. Con l'innalzamento dell'aliquota sui redditi più alti, applicando il criterio della progressività, si realizzerebbe davvero una maggiore equità del sistema – andando a colpire anche le vere «pensioni d'oro» – e si darebbe corpo e consistenza ai princìpi di equità e giustizia. Con il gettito derivante dall'innalzamento dell'aliquota sui redditi più alti si potrebbero aumentare in misura permanente gli importi delle pensioni per tutti i pensionati più poveri, così incrementando i consumi e alleviando la situazione difficile di molte persone e famiglie.
      La presente proposta di legge, al fine di realizzare interventi a favore degli iscritti alla Gestione separata dell'INPS, in particolare per i periodi di mancato lavoro, e di migliorare le prestazioni a favore dei soggetti la cui pensione è calcolata unicamente con il sistema contributivo, istituisce presso l'INPS un fondo, finanziato, per cinque anni con il ricorso a un'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche progressiva a carico dei redditi di lavoro e di pensione di importo superiore a 90.000 euro. La previsione di un'imposizione gravante sia sui redditi di lavoro che su quelli da pensione consente di rispettare i princìpi enunciati dalla Corte costituzionale nelle sentenze già richiamate.
      La proposta di legge prevede la proroga dell'applicazione dell'addizionale fino alla realizzazione di una riforma del sistema previdenziale a fini di maggiore equità e solidarietà interna del sistema, in particolare in favore dei giovani lavoratori discontinui, delle donne e di chi effettua lavori di cura nonché dei titolari di trattamenti pensionistici integrati al minimo.
 

Pag. 6


PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. È istituito presso l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) un fondo destinato all'accredito della contribuzione figurativa per periodi di mancato lavoro in favore degli iscritti alla Gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335, e al miglioramento delle prestazioni in favore dei soggetti la cui pensione è calcolata esclusivamente con il sistema contributivo. Con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia, sono definiti i criteri per l'impiego del fondo.
      2. Per il finanziamento del fondo di cui al comma 1 è istituita, per il periodo d'imposta in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, in deroga alle disposizioni dell'articolo 3, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212, e per i quattro periodi d'imposta successivi, un'addizionale all'imposta sul reddito delle persone fisiche, applicata sui redditi di lavoro e di pensione di importo complessivamente superiore a 90.000 euro annui. Il gettito dell'addizionale è versato all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnato al fondo di cui al comma 1. L'aliquota è stabilita nella misura dell'1 per cento sulla parte di reddito eccedente l'importo di 90.000 euro e fino all'importo di 120.000 euro lordi annui. L'aliquota è incrementata progressivamente dello 0,5 per cento per ciascuno dei successivi scaglioni di reddito, stabiliti nell'importo di 30.000 euro lordi annui oltre il limite dello scaglione precedente, ed è applicata, nella misura così determinata, sulla parte di reddito eccedente. Per la liquidazione, l'accertamento, la riscossione e il contenzioso riguardanti l'addizionale, si applicano

 

Pag. 7

le disposizioni previste per le imposte sui redditi. L'addizionale non è deducibile agli effetti delle imposte erariali sul reddito.
      3. Entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Governo avvia un tavolo di confronto con le parti sociali al fine di predisporre una riforma organica e sistematica del sistema previdenziale ispirata a criteri di maggiore equità e solidarietà interna del sistema stesso, in particolare in favore dei giovani lavoratori discontinui, delle donne e di coloro che svolgono lavori di cura nonché dei titolari di trattamenti pensionistici integrati al minimo. Decorso il periodo stabilito al comma 2, l'efficacia delle disposizioni di cui al presente articolo è prorogata automaticamente per periodi annuali fino all'attuazione della riforma del sistema previdenziale.