XVII LEGISLATURA

CAMERA DEI DEPUTATI

   N. 530



 

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PROPOSTA DI LEGGE

d'iniziativa dei deputati

GNECCHI, CINZIA MARIA FONTANA, INCERTI, MAESTRI

Disposizioni per la concessione di contributi previdenziali figurativi e di incrementi del trattamento di pensione per il riconoscimento dei lavori di cura familiare svolti dai genitori

Presentata il 25 marzo 2013


      Onorevoli Colleghi! La presente proposta di legge si pone l'obiettivo di favorire l'occupazione femminile e la natalità agendo in particolare sulle pensioni delle donne in primo luogo perché esse sono sempre troppo basse e, in secondo luogo perché con il calcolo contributivo per la determinazione della misura della pensione non sarà più prevista l'integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà per moltissime donne una pensione assolutamente insufficiente per condurre una vita dignitosa: siamo pertanto di fronte al rischio reale, per le future donne anziane, di condizioni di vera povertà.
      Gli articoli 3 e 4 della Costituzione riconoscono i seguenti princìpi fondamentali:

          articolo 3: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»;

          articolo 4: «La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo

 

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questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

      L'Italia ha un buon livello di legislazione in favore della parità e contro la discriminazione fra i sessi, ma nonostante i buoni princìpi giuridici, sia nell'accesso al lavoro, sia in termini di occupazione in generale, ma soprattutto di progressione di carriera e di retribuzioni, le disuguaglianze fra uomini e donne sono ancora notevoli. La pensione è la sintesi del percorso lavorativo e dimostra in modo evidente la durata e la consistenza della contribuzione versata durante tutta la propria attività lavorativa. È risaputo che l'integrazione al trattamento minimo è un fenomeno tipicamente femminile mentre le pensioni di anzianità un fenomeno tipicamente maschile. Purtroppo, anche verificando gli importi delle pensioni di nuova liquidazione si confermano i dati storici: mediamente le donne hanno pensioni che corrispondono alla metà dell'importo medio degli uomini. I motivi sono storicamente purtroppo sempre gli stessi: il percorso lavorativo delle donne registra molte interruzioni, il lavoro spesso è a tempo parziale, la progressione in carriera è scarsa, le retribuzioni sono più basse. In compenso però la società gode di tanto lavoro gratuito svolto dalle donne. Le «baby pensionate» del settore pubblico hanno garantito per anni un'economia di servizi parallela a quella istituzionale. I mille lavori invisibili delle donne hanno sostenuto, di fatto, il sistema di welfare. Purtroppo il lavoro in famiglia non viene rilevato dalle statistiche ufficiali e se non fossero le donne a occuparsi della pulizia della casa, della cura dei bambini e degli anziani e di tutte quelle mansioni invisibili, ma indispensabili, all'interno della famiglia, questi servizi dovrebbero essere acquistati sul mercato e quindi assumerebbero un preciso valore economico quantificabile (dal libro di Alberto Alesina e Andrea Ichino «L'Italia fatta in casa»).
      L'attuale sistema di servizi per la famiglia lascia vuoti che le donne, in modo particolare, si vedono costrette a colmare, sostituendosi all'offerta dei servizi per la cura dei figli, degli anziani e dei disabili. Si pensi, infatti, che solo per quanto riguarda i servizi di supporto alla prima infanzia (da 0 a 3 anni di età), l'Italia offre una copertura in media del 10 per cento contro il 33 per cento richiesto dall'Unione europea. In tal senso la scelta delle donne di stare fuori dal mondo del lavoro o di ripiegare forzatamente sul part time o su altre forme di lavori atipici, che consentano loro di conciliare al meglio l'impegno del lavoro di cura, risulta quasi una decisione obbligata, che però sicuramente non corrisponde al progetto di ideale lavorativo cui queste donne avrebbero aspirato.
      Se prendiamo a riferimento gli altri Paesi europei, prescindendo dalla tutela della gravidanza e della maternità (cioè il periodo a ridosso della nascita) che esiste in tutti i Paesi europei, si nota che è presente una generosa forma di contribuzione figurativa per la crescita dei figli. In Francia, alle lavoratrici madri sono riconosciuti due anni di contribuzione figurativa per ogni figlio e fino a tre anni (a scelta tra madre e padre), oltre ad un eventuale supplemento di pensione (pari al 10 per cento in più) per chi abbia avuto almeno tre figli. La Francia è uno dei Paesi con tasso di fecondità più elevato in Europa. In Grecia sono riconosciuti da uno ad un massimo di quattro anni di contribuzione figurativa, in relazione al numero di figli avuti. In Germania sono previsti vari sostegni economici alla famiglia legati ai figli che permettono maggiore possibilità di scelta reale rispetto al lavoro e utilizzo dei servizi.
      La scelta quasi obbligata delle donne di assentarsi dal mercato del lavoro per brevi o per lunghi periodi, comporta un'ulteriore penalizzazione soprattutto per quanto attiene all'aspetto previdenziale. A differenza degli uomini, sono molte di più le donne che arrivano alla pensione di vecchiaia per la scarsità di contributi accumulati nel corso degli anni e sono poche

 

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le donne che maturano i requisiti per l'accesso al pensionamento per anzianità contributiva. Tralasciando il settore del pubblico impiego, nel settore privato, ancora nel 2011, l'importo medio di una pensione di vecchiaia liquidato dall'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) alle donne arrivava a malapena a 640 euro lordi mensili. Va considerato, inoltre, che sono ben 4,5 milioni le pensioni integrate al trattamento minimo, con un importo medio di integrazione di circa 3.100 euro annui per pensione. Su 4,5 milioni di pensioni integrate, di ben 3,5 milioni sono titolari le donne (dati del Ministero dell'economia e delle finanze – Ragioneria dello Stato, anno 2005). Si consideri, come già rilevato, che per le pensioni liquidate con il sistema contributivo non esisterà più l'integrazione al trattamento minimo e ciò comporterà un ulteriore reale peggioramento, per le donne in particolare. Le pensioni integrate al minimo nel 2011 sono invece 3.856.033 prevalentemente destinate a donne (81 per cento). Il Nord registra una maggiore presenza di trattamenti (circa il 44 per cento del totale), con una quota relativamente più consistente di pensioni di vecchiaia integrate (53 per cento). Questo dimostra che le pensioni sono basse e che l'integrazione al trattamento minimo è una misura indispensabile per la sopravvivenza di chi lo percepisce.
      Il comma 40 dell'articolo 1 della legge 8 agosto 1995, n. 335 aveva previsto alcune agevolazioni proprio per attenuare la penalizzazione conseguente all'abolizione del trattamento minimo e all'aumento del requisito anagrafico (all'epoca era previsto il passaggio da 55 a 60 anni per la pensione di vecchiaia) e di quello contributivo (da quindici a venti anni di contributi necessari), ma non sono sicuramente sufficienti. Va rilevato però che la legge 22 dicembre 2011, n. 214 (la manovra cosiddetta «salva Italia») ha ulteriormente aumentato, senza prevedere un'equa gradualità, l'età di accesso alla pensione di vecchiaia per le lavoratrici del settore privato. Mentre nel 1995 era stata prevista una misura «compensativa» oltre alla gradualità, nel 2011 non è stato previsto nulla e non è possibile che una precisa fascia anagrafica di popolazione paghi personalmente le conseguenze di questa scelta molto più di tutti gli altri e le donne in misura ancora maggiore.
      La presente proposta di legge intende pertanto migliorare almeno le intuizioni e le buone intenzioni compensative già previste dalla citata legge n. 335 del 1995, quella che possiamo considerare, insieme alla normativa adottata nel 1992, la vera riforma previdenziale.
      La distribuzione per classi di anzianità contributiva nel territorio nazionale delle pensioni dirette di vecchiaia e di invalidità erogate dall'INPS (circa 8.439.000 pensioni – 2003 su dati INPS), evidenzia che il 52 per cento delle pensioni erogate a donne è liquidato con una contribuzione fino a venti anni (in particolare fino a quindici anni il 25 per cento delle pensioni e da quindici a venti anni il 27 per cento delle pensioni femminili) e solo il 9,9 per cento delle titolari donne raggiunge la fascia di contributi fra trentacinque e quaranta anni.
      Se alla precedente analisi si aggiunge la considerazione che la donna è maggiormente esposta con l'invecchiamento a divenire invalida e non autosufficiente, essendo la speranza di vita della donna pensionata senz'altro superiore a quella dell'uomo (la speranza di vita della donna è pari a 85,8 anni e quella dell'uomo è di 81,9 anni), si intuisce come questa generazione di popolazione femminile sia economicamente fragile e come sia sempre più esposta a un grave rischio di povertà e di indigenza. Dunque, se questa è la situazione, per la quale è difficile prevedere sostanziali mutamenti nel breve e medio periodo, rispetto all'offerta di servizi per la cura dei figli, crediamo sia un atto dovuto nei confronti delle donne e delle famiglie in generale dare un concreto riconoscimento da parte dello Stato al lavoro di cura prestato all'interno della famiglia.
      La presente proposta di legge intende quindi raggiungere l'obiettivo di garantire soprattutto alle donne il raggiungimento di
 

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una pensione dignitosa a fronte dell'impegno per lavori di cura nell'ambito familiare.
      Con l'articolo 1 viene ribadito che lo Stato riconosce il valore universale della maternità e dei lavori di cura familiari svolti dai genitori quali attività indispensabili per la vita della collettività.
      Con l'articolo 2 si riconoscono periodi di contribuzione figurativa per ogni figlio, naturale o adottivo, nonché un incremento del 10 per cento della pensione maturata per chi abbia avuto almeno due figli. Gli oneri relativi all'attuazione della legge sono posti a carico della fiscalità generale.
 

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PROPOSTA DI LEGGE

Art. 1.

      1. Lo Stato riconosce il valore universale della maternità e dei lavori di cura familiare svolti dai genitori quali attività necessarie e indispensabili per la vita della collettività.

Art. 2.

      1. Alle madri, o ai padri in caso di totale assenza della madre, sono riconosciuti:

          a) tre anni di contribuzione figurativa per ogni figlio naturale o adottivo;

          b) sei anni di contribuzione figurativa per ogni figlio, in caso di disabilità grave riconosciuta ai sensi dell'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104;

          c) quattro anni di contribuzione figurativa per ogni figlio, nel caso di lavoro a tempo parziale a integrazione della contribuzione per raggiungere la misura che sarebbe spettata alla lavoratrice o al lavoratore qualora avesse avuto un rapporto di lavoro a tempo pieno;

          d) un'integrazione pari al 10 per cento del trattamento pensionistico maturato in favore di coloro che hanno avuto almeno due figli, naturali o adottivi.

      2. Gli oneri derivanti dall'attuazione del comma 1 sono posti a carico della fiscalità generale.