ATTO CAMERA

INTERROGAZIONE A RISPOSTA IN COMMISSIONE 5/08580

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 619 del 04/05/2016
Firmatari
Primo firmatario: CENNI SUSANNA
Gruppo: PARTITO DEMOCRATICO
Data firma: 04/05/2016
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
TERROSI ALESSANDRA PARTITO DEMOCRATICO 04/05/2016
SENALDI ANGELO PARTITO DEMOCRATICO 04/05/2016
ZANIN GIORGIO PARTITO DEMOCRATICO 05/05/2016


Commissione assegnataria
Commissione: VIII COMMISSIONE (AMBIENTE, TERRITORIO E LAVORI PUBBLICI)
Destinatari
Ministero destinatario:
  • MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO
  • MINISTERO DELL'AMBIENTE E DELLA TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE
  • MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI
Attuale delegato a rispondere: MINISTERO DELLO SVILUPPO ECONOMICO delegato in data 04/05/2016
Stato iter:
03/08/2016
Partecipanti allo svolgimento/discussione
RISPOSTA GOVERNO 03/08/2016
Resoconto BELLANOVA TERESA ERRORE:TROVATE+CARICHE - (ERRORE:TROVATI+MINISTERI)
 
REPLICA 03/08/2016
Resoconto CENNI SUSANNA PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

MODIFICATO PER COMMISSIONE ASSEGNATARIA IL 04/05/2016

APPOSIZIONE NUOVE FIRME IL 09/05/2016

DISCUSSIONE IL 03/08/2016

SVOLTO IL 03/08/2016

CONCLUSO IL 03/08/2016

Atto Camera

Interrogazione a risposta in commissione 5-08580
presentato da
CENNI Susanna
testo presentato
Mercoledì 4 maggio 2016
modificato
Lunedì 9 maggio 2016, seduta n. 620

   CENNI, TERROSI, SENALDI, ZANIN. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali . — Per sapere – premesso che:
   anche nel nostro Paese è cresciuta negli anni una sensibilità, una attenzione alla sostenibilità, alla provenienza ed alla filiera che sta dietro a prodotti artigianali, industriali, ed alimentari che sta influenzando in modo consistente i consumi;
   certificazioni, marchi, definizioni, etichette, definizioni, attestanti attenzione all'uso dell'acqua, dell'energia, al non utilizzo di prodotti impattanti o inquinanti, di imballaggi da smaltire, ricorrono sugli scaffali dei supermercati, o nei siti di e.commerce, e non sempre tali richiami sono effettivamente corrispondenti a pratiche e processi realmente corrispondenti a pratiche etiche o ecosostenibili;
   sono nati negli anni numerosi strumenti di certificazione complessi, ma attestanti un valore di filiera o di prodotto;
   la dichiarazione ambientale di prodotto, meglio nota come Epd (Environmental Product Declaration) è uno strumento pensato per migliorare la comunicazione ambientale fra produttori, distributori e consumatori. La Epd è prevista dalle politiche ambientali comunitarie, e derivante dalle norme della serie ISO 14020. Pur mantenendo l'attenzione al prodotto, sia esso merce o servizio, le aziende hanno la possibilità di comunicare le proprie strategie e l'impegno ad orientare la produzione nel rispetto dell'ambiente valorizzando il prodotto stesso;
   nell'agroalimentare, da sempre, tale esigenza di consumo sostenibile può contare sulle certificazioni biologiche o biodinamiche, su reti di vendita locali, e disciplinari facenti riferimento a pratiche e marchi collettivi;
   la dichiarazione ambientale di prodotto è uno strumento di comunicazione e trasparenza, per quelle aziende ed organizzazioni che, volontariamente, decidono di rispettare determinati parametri ambientali riferiti al proprio processo di produzione o al ciclo di vita del prodotto;
   sono presenti, in tutto il mondo, oltre 450 tipologie di certificazioni e marchi ambientali: un numero che cresce ogni anno in media di 15 unità;
   esistono, ad esempio, tre diversi tipi di etichettature ambientali, istituite dalle norme ISO serie 14020:
    Tipo I: Etichette ecologiche volontarie basate su un sistema multicriteria che considera l'intero ciclo di vita del prodotto, sottoposte a certificazione esterna da parte di un ente indipendente (tra queste rientra, ad esempio, il marchio europeo di qualità ecologica Ecolabel – ISO 14024);
    Tipo II: Etichette ecologiche che riportano autodichiarazioni ambientali da parte di produttori, importatori o distributori di prodotti, senza che vi sia l'intervento di un organismo indipendente di certificazione (tra le quali: «Riciclabile», «Compostabile» — ISO 14021);
    Tipo III: Etichette ecologiche che riportano dichiarazioni basate su parametri stabiliti e che contengono una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto calcolato attraverso un sistema Lca. Sono sottoposte a un controllo indipendente e presentate in forma chiara e confrontabile (tra di esse rientrano, ad esempio, le «Dichiarazioni Ambientali di Prodotto» – ISO 14025);
   esistono poi le certificazioni Eco-Management and Audit Scheme (Emas): uno strumento anch'esso volontario proposto dalla Comunità europea ed al quale possono aderire volontariamente le organizzazioni (aziende o enti pubblici) per valutare e migliorare le proprie prestazioni ambientali e fornire al pubblico e ad altri soggetti interessati informazioni su una corretta gestione ambientale;
   va sottolineato in questo contesto che per le certificazioni Emas l'organismo preposto all'esecuzione della diagnosi energetica è l'Ispra, in collaborazione con l'Enea; le certificazioni ISO serie 14020 del Tipo, I e del Tipo III vengono verificate da appositi organismi indipendenti, mentre per le certificazioni di Tipo II è invece sufficiente solo una autocertificazione da parte dell'azienda;
   è stato appurato che le certificazioni ambientali aiutano la qualità delle imprese e l'innovazione, aumentano le esportazioni, il fatturato e l'occupazione;
   secondo l'ultimo rapporto «Certificare per competere» di Fondazione Symbola e Cloros, tra il 2009 e il 2013, le imprese «amiche dell'ambiente» hanno visto i loro fatturati aumentare mediamente del 3,5 per cento, quelle non certificate del 2 per cento: le certificazioni portano in dote 1,5 punti percentuali. Ancora meglio nell'occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le aziende certificate hanno visto crescere gli addetti del 4 per cento, le altre dello 0,2 per cento;
   anche sul fronte export, le imprese con certificazione ambientale esportano nell'86 per cento dei casi, mentre le non certificate nel 57 per cento. È stato poi rilevato come le certificazioni giovino a tutte le imprese ed in particolare alle aziende medio piccole: le piccole e medie imprese (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi);
   l'Italia con oltre 24 mila certificazioni è il secondo Paese al mondo per numero di certificati ISO 14001; la prima nazione per numero di certificazioni di prodotto Epd ed il terzo per Ecolabel ed Emas;
   la sostenibilità ambientale rappresenta oggi una delle componenti prioritarie dei processi produttivi: concetto ribadito anche negli accordi raggiunti lo scorso anno Parigi nel corso della 21o Conferenza delle Nazioni Unite sul clima («Cop 21») dove è stata ribadita la necessità di incentivare e promuovere filiere e meccanismi virtuosi ed ecologicamente compatibili per tutti i comparti industriali;
   sta crescendo negli ultimi anni, anche in Italia, il fenomeno denominato « greenwashing». Si tratta, in sintesi, di una pratica ingannevole adottata da alcune aziende che, per migliorare la loro reputazione, adottano una strategia di comunicazione il cui obiettivo è la costruzione di un'immagine positiva dal punto di vista del rispetto dell'ambiente, senza però di fatto applicare delle regole vere, che aiutino la sostenibilità dei processi produttivi;
   alcune imprese utilizzerebbero quindi messaggi, sia nelle etichette dei prodotti sia nelle campagne pubblicitarie, volutamente ingannevoli rispetto alle buone pratiche green di realizzazione dei prodotti, al fine di orientare le scelte dei consumatori, in un mercato internazionale che premia le certificazioni Epd;
   il « greenwashing» è, a tutti gli effetti, una forma di contraffazione che inganna i consumatori e conseguentemente crea gravi danni all'ecosistema, incentivando di fatto l'acquisto di prodotti e lo sviluppo di metodi di produzione non compatibili con la sostenibilità ambientale;
   la contraffazione sottrae ingenti risorse allo Stato, all'economia trasparente, al lavoro regolare e pulito, inganna i consumatori;
   tali azioni scorrette sarebbero «favorite» essenzialmente dalla mancanza di controlli. In primo luogo, come è stato precedentemente evidenziato, per le certificazioni ISO serie 14020 di Tipo II è sufficiente soltanto una autocertificazione da parte dell'azienda; in secondo luogo manca in Italia una'ente preposto a vigilare sulle false campagne pubblicitarie « green»;
   sono comunque presenti in ambito internazionale esempi di controllo per contrastare il greenwashing. Negli Stati Uniti esiste, ad esempio, un ente denominato Federal Trade Commission, il quale, fra le varie funzioni di vigilanza, persegue anche i casi di pubblicità ecologica ingannevole, perché si tratta di concorrenza scorretta nei confronti delle aziende serie che investono molte risorse per migliorare i loro prodotti riducendone gli impatti ambientali. Va aggiunto che l'Australia sanziona con multe fino a 1,1 milioni di dollari le aziende che comunicano comportamenti ambientali non corrispondenti alla verità mentre divieti, in questa direzione, sono già attivi nel Regno Unito, in Francia e in Norvegia;
   uno degli aspetti del « greenwashing» nel campo agroalimentare può essere rappresentato dai falsi prodotti «bio»: un fenomeno in rapida ascesa che presenta come «bio» o genericamente «naturali», prodotti che, in realtà, non potrebbero essere certificati come tali: solo nel comparto biologico agroalimentare quasi il 9 per cento dei prodotti controllati si è rivelato irregolare, ed i sequestri nel 2015 hanno raggiunto i 18 milioni di euro (quintuplicando di fatto i 3 milioni di euro requisiti nel 2014);
   è entrato in vigore il 27 marzo 2016 l'articolo 12 denominato «Tutela ambientale» del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale che si pone l'obiettivo di porre un limite al greenwashing, rispondendo all'esigenza del controllo dei « green claim», ovvero dei messaggi pubblicitari che contengono rivendicazioni ambientali;
   tale articolo 12 cita testualmente: «La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell'attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono»;
   questa norma, presente comunque in un codice di autoregolamentazione, impone direttive certe per poter utilizzare claim ambientali, vietando di alludere a caratteristiche del prodotto qualora non vengano provati scientificamente;
   lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è, come riporta il sito istituzionale del dicastero, «particolarmente impegnato sul terreno della “certificazione ambientale” con diverse attività che riguardano principalmente: il supporto agli schemi tradizionali di certificazione di sistema (Emas) e di prodotto (Ecolabel); la promozione della diffusione dello strumento Lcae delle attività riguardanti la messa a punto di un nodo nazionale della banca dati europea Lca» –:
   se il Governo non ritenga necessario mettere in campo, al fine di dare maggiore credibilità ed efficacia al sistema della «dichiarazione ambientale di prodotto» e contrastare con efficacia il fenomeno del greenwashing, iniziative urgenti di carattere organizzativo o di natura normativa per sanzionare gli enti e le aziende che dichiarano il falso, soprattutto nelle autodichiarazioni previste dalla disciplina ISO 14021 e nelle strategie di comunicazione, anche al fine di coadiuvare e rafforzare le finalità dell'articolo 12 del codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, e rafforzare l'attività di contrasto a forme di contraffazione che andrebbero a colpire i consumatori più attenti e le imprese che sono invece impegnate a certificare le loro filiere di qualità. (5-08580)

Atto Camera

Risposta scritta pubblicata Mercoledì 3 agosto 2016
nell'allegato al bollettino in Commissione X (Attività produttive)
5-08580

  In merito alle questioni evidenziate nell'atto in esame, per quanto di competenza del Ministero dello sviluppo economico rappresento quanto segue.
  Gli Onorevoli interroganti richiamano l'importanza acquisita nell'ambito della filiera produttiva dalle numerose tipologie di certificazioni e dichiarazioni ambientali volte ad esplicitare la sensibilità, l'attenzione alla sostenibilità e alla provenienza di prodotti artigianali, industriali o alimentari.
  Tali attestazioni contribuiscono in modo determinante all'incremento delle capacità imprenditoriali delle imprese, in particolare delle medio-piccole, e sono in grado di influenzare le scelte di consumo.
  A fronte di tali positive conseguenze, tuttavia, gli interroganti evidenziano l'affermarsi del correlato fenomeno del greenwashing, ovvero della pratica ingannevole adottata da alcune aziende che, per migliorare la loro reputazione, intraprendono una strategia di comunicazione il cui obiettivo è la costruzione di un'immagine positiva dal punto di vista del rispetto dell'ambiente, senza però di fatto applicare delle regole vere, che aiutino la sostenibilità dei processi produttivi.
  Detto fenomeno costituirebbe una forma di contraffazione che inganna i consumatori e conseguentemente crea gravi danni all'ecosistema, incentivando di fatto l'acquisto di prodotti e lo sviluppo di metodi di produzione non compatibili con la sostenibilità ambientale, sottraendo, inoltre, risorse allo Stato, all'economia trasparente, al lavoro regolare.
  Tale fenomeno sarebbe favorito essenzialmente dalla mancanza di controlli in quanto per parte delle certificazioni in discorso è sufficiente un'autocertificazione da parte dell'azienda ed inoltre perché in Italia non esiste un ente preposto a vigilare sulle false campagne pubblicitarie green.
  Preliminarmente, occorre evidenziare che il 27 marzo 2016 è entrato in vigore l'articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale secondo il quale «La comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili. Tale comunicazione deve consentire di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto o dell'attività pubblicizzata i benefici vantati si riferiscono» e che, pertanto, impone direttive certe per poter utilizzare claim ambientali, vietando di alludere a caratteristiche del prodotto qualora non vengano provati scientificamente. Va precisato, però, che trattasi di una regolamentazione su base volontaria riconducibile ai Codici di condotta previsti dal Codice del Consumo (artt. 27-bis e 27-ter).
  Inoltre, si fa presente che anche i diversi sistemi e modalità di qualificazione «ecologica» di prodotti (Marchio Ecolabel – e Dap), processi produttivi (Sistema di gestione ambientale) o «Siti produttivi» (Registrazione Emas), cui fanno riferimento gli Onorevoli Interroganti, hanno in comune il fatto di essere utilizzati dagli operatori economici su base volontaria.
  Ciò significa che non sussiste l'obbligo di ottenere il marchio Ecolabel per poter vendere determinati prodotti così come non sussiste nessuno obbligo per un'impresa manifatturiera o di servizi di ottenere la registrazione Emas del proprio sito produttivo.
  Premesso quanto sopra, si osserva che in base al regolamento (CE) n. 765/2008 che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti, tutte le certificazioni rilasciate da Organismi di valutazione della conformità accreditati da un Organismo nazionale di accreditamento di uno Stato dell'UE, anche se rese su base volontaria, sono e devono essere riconosciute in tutto lo Spazio economico europeo. Spetta, pertanto, agli Organismi nazionali di accreditamento, sottoposti a vigilanza statale, il compito di controllare gli organismi di valutazione della conformità ai quali hanno rilasciato un certificato di accreditamento.
  Il Ministero dell'ambiente, sentito al riguardo per quanto di competenza, ha altresì comunicato che le «dichiarazioni ambientali di prodotto» sono accompagnate obbligatoriamente da una verifica di «parte terza» (ISO 14024 e ISO 14025), indipendentemente dall'esistenza di un obbligo di legge. Infatti, anche nel caso di autodichiarazioni rilasciate in base alla norma 14021, è richiesto che le stesse siano verificate da parte terza.
  Per completezza di informazione, il Ministero dell'ambiente ha segnalato che a quanto sopra indicato, si aggiungerà nel prossimo futuro anche il «Made Green Italy» che sostanzialmente si configurerà come una etichetta di tipo III, quale la DAP, che contiene una quantificazione degli impatti ambientali associati al ciclo di vita del prodotto.
  In relazione, infine, alla preoccupazione esposta dagli Onorevoli Interroganti circa il fatto che le pratiche di greenwashing potrebbero configurare ipotesi di pratiche commerciali sleali e/o di pubblicità ingannevole, rammento che tali materie rientrano nell'ambito di competenza dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato.
  A tal proposito, si ricorda che la vigente normativa in materia di pratiche commerciali scorrette a danno dei consumatori e delle micro-imprese trova disciplina nel c.d. Codice del consumo (Decreto Legislativo 6 settembre 2005, n. 206) e, in particolare, negli articoli 21-23, nonché negli articoli 24-26 contenenti le correlate tutele e rimedi in caso di riscontrata violazione mediante l'intervento della predetta Autorità la quale può inibire la continuazione delle pratiche commerciali scorrette, eliminarne gli effetti nonché irrogare le correlate sanzioni.
  Inoltre, con specifico riferimento alla pubblicità ingannevole si richiama il decreto legislativo 2 agosto 2007, n. 145, di attuazione dell'articolo 14 della direttiva 2005/29/CE che modifica la direttiva 84/450/CEE, il quale ha lo scopo di tutelare i professionisti dalla pubblicità ingannevole e dalle sue conseguenze sleali, nonché di stabilire le condizioni di liceità della pubblicità comparativa. In particolare, l'articolo 8 del citato decreto legislativo reca la disciplina della tutela amministrativa e giurisdizionale della materia, attribuendo, sempre all'AGCM ampio potere d'intervento.

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC (Classificazione automatica provvisoria, in attesa di revisione):

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