ATTO CAMERA

MOZIONE 1/00362

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Dati di presentazione dell'atto
Legislatura: 17
Seduta di annuncio: 185 del 07/03/2014
Abbinamenti
Atto 1/00348 abbinato in data 20/03/2014
Atto 1/00363 abbinato in data 20/03/2014
Atto 1/00372 abbinato in data 20/03/2014
Atto 1/00386 abbinato in data 20/03/2014
Firmatari
Primo firmatario: MARCON GIULIO
Gruppo: SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Data firma: 07/03/2014
Elenco dei co-firmatari dell'atto
Nominativo co-firmatario Gruppo Data firma
BOCCADUTRI SERGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
MELILLA GIANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
MIGLIORE GENNARO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
DI SALVO TITTI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
RICCIATTI LARA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
PANNARALE ANNALISA SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
SCOTTO ARTURO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
FAVA CLAUDIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
PAGLIA GIOVANNI SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
LAVAGNO FABIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
AIRAUDO GIORGIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014
PLACIDO ANTONIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA' 07/03/2014


Stato iter:
26/03/2014
Partecipanti allo svolgimento/discussione
ILLUSTRAZIONE 20/03/2014
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
 
INTERVENTO PARLAMENTARE 20/03/2014
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
 
PARERE GOVERNO 26/03/2014
Resoconto ZANETTI ENRICO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE GOVERNO 26/03/2014
Resoconto ZANETTI ENRICO SOTTOSEGRETARIO DI STATO - (ECONOMIA E FINANZE)
 
DICHIARAZIONE VOTO 26/03/2014
Resoconto DI GIOIA LELLO MISTO-PARTITO SOCIALISTA ITALIANO (PSI) - LIBERALI PER L'ITALIA (PLI)
Resoconto BUTTIGLIONE ROCCO PER L'ITALIA
Resoconto GUIDESI GUIDO LEGA NORD E AUTONOMIE
Resoconto LIBRANDI GIANFRANCO SCELTA CIVICA PER L'ITALIA
Resoconto MARCON GIULIO SINISTRA ECOLOGIA LIBERTA'
Resoconto PALESE ROCCO FORZA ITALIA - IL POPOLO DELLA LIBERTA' - BERLUSCONI PRESIDENTE
Resoconto NESCI DALILA MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto CARIELLO FRANCESCO MOVIMENTO 5 STELLE
Resoconto MARCHI MAINO PARTITO DEMOCRATICO
Fasi iter:

ATTO MODIFICATO IL 13/03/2014

DISCUSSIONE CONGIUNTA IL 20/03/2014

DISCUSSIONE IL 20/03/2014

RINVIO AD ALTRA SEDUTA IL 20/03/2014

NON ACCOLTO IL 26/03/2014

PARERE GOVERNO IL 26/03/2014

DISCUSSIONE IL 26/03/2014

RESPINTO IL 26/03/2014

CONCLUSO IL 26/03/2014

Atto Camera

Mozione 1-00362
presentato da
MARCON Giulio
testo presentato
Venerdì 7 marzo 2014
modificato
Mercoledì 26 marzo 2014, seduta n. 198

   La Camera,
   premesso che:
    la politica economica europea in generale, e fiscale in particolare, non è stata capace di risolvere gli enormi problemi sociali sopraggiunti dopo la crisi del 2007. Una crisi che per profondità e lunghezza è più lunga della grande crisi del 1929;
    le politiche e le misure adottate dall'Unione europea per contrastare la crisi intervenuta nel 2007 hanno disegnato un quadro abbastanza stringente di obiettivi finanziari, in particolare la solidità dei bilanci pubblici, a discapito di misure (economiche e finanziarie) che potessero realmente implementare la strategia «Europa 2020». Mentre i vincoli di finanza pubblica, indebitamento e debito pubblico, sono stringenti, gli impegni per la crescita e lo sviluppo sono per lo più delle (buone) raccomandazioni e non prevedono sanzioni in caso di mancante raggiungimento. Il quadro che emerge è una serie di strumenti potenzialmente coerenti per coordinare le politiche fiscali europee tese a costruire un'agenda economica rafforzata, la stabilità dell'euro e la «regolamentazione» del settore finanziario, ma gerarchicamente slegata dalle policy per la crescita. Non a caso i vincoli-squilibri macroeconomici e di competitività sono emersi con tutta la loro violenza. Se anche la Germania ha ricevuto un richiamo dalla Commissione europea per il suo eccessivo surplus commerciale, c’è veramente qualcosa che non funziona nella politica economica europea;
    il Patto di stabilità è stato, peraltro, definito «Patto di stabilità e crescita», dunque non solo di stabilità; va sottolineato come, da solo, il crollo del prodotto interno lordo nel 2009 di 5,5 punti è responsabile matematicamente dell'aumento del rapporto debito/prodotto interno lordo di 7 punti e del rapporto della spesa pensionistica sul prodotto interno lordo di un punto;
    il vincolo del 3 per cento sul disavanzo deriva dal Patto di stabilità e crescita (Psc), che introduceva regole di disciplina fiscale poi rafforzatesi nel tempo attraverso i cosiddetti «Six-pack», «Fiscal Compact» e «Two-pack»: fino a creare un sistema assai complesso di procedure, vincoli e sanzioni. Il mancato rispetto del limite fa scattare la «procedura per disavanzo eccessivo» (Pde);
    peraltro, il cosiddetto «Fiscal compact» rappresenta solo un accordo fra Paesi e di rango inferiore nella gerarchia delle fonti rispetto al «Six-pack» e al «Two-pack», che sono parte dei Trattati che regolano l'Unione europea; il «Fiscal Compact», anche se di fatto applicato da quasi tutti i Paesi (ma no nel Regno Unito e nella Repubblica ceca) potrebbe dunque più facilmente essere abbandonato;
    in realtà, non esiste una valida teoria economica che giustifichi il rigido vincolo del 3 per cento, soglia massima nel rapporto deficit/prodotto interno lordo;
    la storia di quella percentuale «scolpita nella pietra» è complicata, opaca e misteriosa. Risale al 1991, quando viene firmato nella città olandese di Maastricht l'omonimo Trattato, fondamento per l'Unione monetaria da realizzarsi nel 1999. Economisti e giuristi che lavorano a quei testi, sotto l'autorevole influenza di Tommaso Padoa Schioppa, esplorano le condizioni per «un'area monetaria ottimale». In cerca di criteri di stabilità, finiscono per accordarsi sui seguenti parametri per l'accesso all'euro:
     a) inflazione non più alta di 1,5 punti rispetto ai tre Paesi con il tasso d'inflazione più basso;
     b) deficit statale non superiore al 3 per cento del Pil;
     c) debito pubblico non superiore al 60 per cento del prodotto interno lordo;
     d) stabilità del tasso di cambio nei due anni precedenti l'ingresso nell'unione monetaria;
     e) tassi d'interesse di lungo termine non superiori di oltre due punti rispetto ai tre Paesi dai tassi più bassi;
    ci si trova in pieno «regno del simbolismo», a proposito della soglia deficit/prodotto interno lordo, la cui validità non è mai stata dimostrata. Nessuno, infatti, è mai riuscito a dare una spiegazione plausibile sul perché quelle cifre furono scelte;
    di tutti questi criteri, alcuni non sono mai stati veramente applicati, come quello sul debito; altri hanno perso rilevanza con la creazione dell'euro: i tassi d'interesse e la parità di cambio li decide la Banca centrale europea a Francoforte, non sono più oggetto di politiche nazionali. È rimasto in piedi il tetto del 3 per cento per il fabbisogno del consolidato delle pubbliche amministrazioni; il rapporto deficit/prodotto interno lordo è il criterio che può far scattare (se non rispettato) una procedura d'infrazione, trasformare il Paese in vigilato speciale e così lanciare segnali d'allarme ai mercati, fino a quando, con severe politiche di austerità, il Paese sotto procedura per disavanzo eccessivo non rientra nei parametri;
    queste misure e le politiche di austerità stanno distruggendo l'economia europea sottraendole domanda interna, stabilità dei conti, occupazione e speranza. L'austerità, lungi dall'assicurare il risanamento dei conti pubblici, rischia, al contrario, di peggiorarli poiché i moltiplicatori fiscali fanno sì che tagliare un miliardo di euro riduce il reddito nazionale fino a 1,7 miliardi di euro, facendo così aumentare il rapporto debito/prodotto interno lordo. La stabilità dei conti pubblici, in questa crisi che tanto assomiglia a quella degli anni Trenta, si nutre di crescita e l'austerità uccide sia la crescita che la stabilità;
    gli obiettivi della strategia «Europa 2020» prevedono l'impegno per i Paesi europei dell'innalzamento al 75 per cento del tasso di occupazione e della riduzione di almeno 20 milioni del numero dei poveri. Viceversa, le politiche degli ultimi anni e la crisi si sono accompagnate ad una riduzione dell'occupazione e all'aumento del numero dei poveri che allontanano i Paesi europei, e l'Italia in particolare, dagli obiettivi comuni concordati, rendendo indispensabile una ridefinizione, sia pur temporanea, degli obiettivi sui saldi di bilancio, obiettivamente in conflitto con altri obiettivi sui quali il Paese si è formalmente impegnato a livello europeo, ad esempio con il «Fiscal Compact»;
    le conseguenze di questa politica sono sotto gli occhi di tutti: oggi, quasi 27 milioni di persone sono disoccupate nell'Unione europea, di cui più di 19 milioni nell'eurozona. La disoccupazione nell'eurozona è salita dal 7,8 per cento del 2008 al 12,1 per cento del novembre 2013. In Grecia, dal 7,7 per cento al 24,4 per cento e in Spagna dall'11,3 per cento al 26,7 per cento nello stesso periodo. In Europa, i disoccupati con meno di 25 anni sono 4,5 milioni;
    questi milioni di disoccupati nell'Unione europea, al 2013, comportano una riduzione del prodotto interno lordo potenziale dell'intera Unione europea dell'ordine del 5 per cento l'anno, corrispondente a circa 800 miliardi di euro; per l'Italia, si tratta di 80 miliardi di euro di ricchezza reale che non viene creata. Inoltre, la disoccupazione di lunga durata genera ulteriori costi derivanti dalla perdita di produttività del lavoro e comporta costi sociali quali povertà, perdita della casa, criminalità, denutrizione, abbandoni scolastici, antagonismo etnico, crisi familiari e tensioni sociali potenzialmente esplosive;
    in Italia, dopo il calo del 2,4 per cento nel 2012, anche nel 2013 il prodotto interno lordo è diminuito dell'1,9 per cento; nel frattempo, il debito pubblico ha registrato un nuovo record arrivando al 132,6 per cento del prodotto interno lordo;
    la disoccupazione è salita al 12,9 per cento ed i consumi sono crollati del 2,6 per cento malgrado la drastica riduzione (-4 per cento) già registrata nel 2012, raggiungendo così il loro minimo storico dal 1990;
    nel nostro Paese, tra il 2006 e il 2012, il numero dei poveri (la linea di povertà è definita come il 60 per cento del reddito mediano equivalente familiare) è aumentato di ben 3,9 milioni di persone, portando il numero complessivo dei poveri a circa 13,5 milioni (fissando la soglia di povertà nel 2006, aggiornandola, per gli anni successivi, solo in base al tasso di inflazione);
    il cosiddetto «Fiscal Compact» costringerà il Governo italiano, a partire dal 2016, a procedere al taglio del debito pubblico per 50 miliardi di euro all'anno per i prossimi 20 anni: un vero massacro sociale;
    viceversa, il Presidente degli Stati Uniti Obama ha varato, nel primo biennio, una maximanovra di investimenti pubblici. Nel primo biennio della presidenza Obama, il rapporto deficit/prodotto interno lordo arrivò a sfiorare il 12 per cento. La cura ha funzionato. Sia nel bilancio federale, sia in quelli della finanza locale, i conti pubblici americani oggi migliorano in modo spettacolare grazie alla ripresa (+3 per cento del prodotto interno lordo, più 8 milioni di posti di lavoro);
    come documentato da diversi economisti e dallo stesso Fondo monetario internazionale, le politiche di austerità decrementano il prodotto interno lordo, provocando una crescita del rapporto con il debito pubblico. Infatti, come rilevato dal Fondo monetario internazionale, per la gran parte dei Paesi i moltiplicatori fiscali hanno prodotto una caduta del prodotto interno lordo superiore alla riduzione del debito;
    i Paesi dell'eurozona, non essendo in grado di allineare il cambio con i propri fondamentali, sono giocoforza costretti per recuperare competitività ad agire attraverso la leva salariale. Questo scenario sta comportando una deflazione salariale (dovuta alle politiche cosiddette di «svalutazione interna») che, conseguentemente, ha ripercussioni sui consumi e sui prezzi dei beni (i dati Ocse prevedono un peggioramento delle dinamiche salariali nel corso del 2014 rispetto al 2013 per Italia e Spagna, rispettivamente del meno 0,4 per cento e del meno 1,2 per cento annuo);
    occorre esser consapevoli che, proseguendo con le politiche di «austerità» e affidando il riequilibrio alle sole «riforme strutturali», il destino dell'euro sarà segnato e l'esperienza della moneta unica si esaurirà, con ripercussioni sulla tenuta del mercato unico europeo;
    di fronte ad una domanda scarsa e ad una spesa privata non sufficiente a sfruttare la capacità produttiva disponibile, il mercato è diventato un ostacolo al benessere di gran parte della popolazione. Anche molti di coloro che fino a ieri si sarebbero definiti seguaci del liberismo, davanti al dilemma tra aiutare un sistema capitalistico inefficiente o gettarlo nel disordine generale, sollecitano ora un intervento straordinario dello Stato nel sistema economico per salvare dal fallimento banche e imprese;
    nel Consiglio europeo del 24 e 25 ottobre 2013, la Commissione europea ha presentato una comunicazione «Potenziare la dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria», fatta propria nelle conclusioni del Consiglio, come si può leggere nei seguenti punti:
  «37. Il Consiglio europeo accoglie con favore la comunicazione della Commissione europea sulla dimensione sociale dell'unione economica e monetaria, che giudica un'iniziativa positiva, ribadisce l'importanza degli sviluppi occupazionali e sociali nel contesto del semestre europeo. Occorre perseguire l'uso di un quadro di valutazione delle tematiche occupazionali e sociali nella relazione comune sull'occupazione e di indicatori occupazionali e sociali, in linea con quanto proposto dalla Commissione e sulla scorta degli opportuni lavori dei comitati competenti, in vista della decisione da parte del Consiglio in dicembre, confermata dal Consiglio europeo con l'obiettivo di usare questi nuovi strumenti già nel semestre europeo 2014. Tale più vasta gamma di indicatori ha lo scopo di permettere una maggiore comprensione degli sviluppi sociali.
   38. Il coordinamento delle politiche economiche, occupazionali e sociali sarà ulteriormente potenziato secondo le procedure esistenti, pur nel pieno rispetto delle competenze nazionali. Ciò richiede maggiore impegno per rafforzare la cooperazione tra le diverse formazioni del Consiglio, al fine di assicurare la coerenza di tali politiche in linea con i comuni obiettivi.
   39. Il coordinamento rafforzato delle politiche economiche e le ulteriori misure per potenziare la dimensione sociale nella zona euro sono facoltative per gli Stati che non aderiscono alla moneta unica e saranno pienamente compatibili con tutti gli aspetti del mercato unico»;
    ma, nei mesi scorsi, si è assistito a continue prese di posizione della Commissione europea in cui si minacciava l'applicazione all'Italia della procedura per deficit eccessivo, dalla quale l'Italia era appena uscita, anche per lo sforamento di un solo decimale. La Commissione europea, anche per ragioni di reputazione, è molto rigida verso un Paese con un rapporto debito/prodotto interno lordo che ha ormai superato il 130 per cento;
    il rientro nella procedura per deficit eccessivo non avrebbe, di per sé, significative conseguenze. Questo perché le normali procedure di controllo dei conti pubblici nazionali da parte della Commissione europea sono divenute così penetranti che, di fatto, essere o no sotto la procedura di deficit eccessivo non fa molta differenza. Il cosiddetto «semestre europeo» comporta già una serie di passaggi stringenti. La legge annuale di stabilità, il piano pluriennale di stabilità (che delinea gli obiettivi di medio termine della finanza pubblica), il piano nazionale di riforme (che determina gli obiettivi economici di medio termine) sono sottoposti al vaglio della Commissione europea e del Consiglio europeo;
    la procedura per disavanzi eccessivi comporta solo la possibilità di multe, che però non sono mai state applicate e quindi non sono granché credibili. Prima di arrivarci ci sono diversi passaggi che richiedono tempo. Sulla carta, la procedura sanzionatoria è stata accelerata dai «pack», ma al momento nessuno è in corso, anche perché molti Paesi hanno ricevuto un'estensione del periodo di aggiustamento. Paradossalmente, Paesi che di recente hanno goduto di una certa flessibilità sono proprio quelli sotto la procedura per deficit eccessivo: ad esempio, Spagna, Portogallo e Francia, che hanno ottenuto dilazioni per rientrare nel limite del 3 per cento. Attualmente, i Paesi sotto procedura per deficit eccessivo sono 17;
    certo, proprio perché le sanzioni non sono mai state applicate, nessun Paese vuole essere il primo a riceverle. L'unico vero pericolo della procedura per deficit eccessivo è, infatti, l'effetto di reputazione sui mercati finanziari. Un Paese ad alto debito come il l'Italia, che emette titoli ogni settimana per molti miliardi di euro, non può permettersi che il rientro nella procedura venga letto come un segno di lassismo sul fronte dei conti pubblici;
    ma un eventuale re-ingresso nella procedura per deficit eccessivo potrebbe far parte di una strategia precisa: mettere in opera misure realmente efficaci di contrasto all'evasione, abbassando allo stesso tempo le tasse, ridurre la spesa pubblica e rilanciare gli investimenti pubblici con un vero e proprio piano per il lavoro; l'eventuale temporaneo sfioramento del 3 per cento si deve accompagnare ad azioni capaci di aumentare l'occupazione ed il potenziale di crescita, rendendo perfino più credibile la riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo nel lungo periodo. Solo a queste condizioni la procedura per deficit eccessivo resterebbe un mero passaggio burocratico, senza alcun contenuto informativo e senza alcun significato politico. Anche il vincolo del pareggio strutturale presente nella Costituzione non sarebbe un ostacolo insormontabile su questo percorso, vista la fase negativa del ciclo e la discrezionalità della definizione;
    viceversa, non sembra auspicabile la strada dei cosiddetti «accordi contrattuali» (contractual arrangement), proposti dalla Commissione europea nel marzo 2013. Si tratta di programmi di riforma concordati tra un Governo nazionale e la stessa Commissione europea, che dovrebbero essere approvati dal Parlamento nazionale e dal Consiglio europeo, per poi essere attuati secondo una tabella di marcia prefissata. In cambio di questi impegni, un Paese potrebbe ricevere assistenza finanziaria dall'Unione europea, per coprire i costi delle riforme programmate nel breve periodo. La proposta della Commissione europea è stata approvata in linea di massima dal Consiglio europeo del dicembre 2013, che però ha rinviato all'ottobre 2014 la finalizzazione del nuovo strumento e la definizione dei relativi dettagli;
    un'altra strada suggerita dagli economisti Roberto Perotti e Enrico Marro è quella che prevede la possibilità di superare il limite del 3 per cento per il deficit e di scambiare il contributo che l'Italia versa al bilancio dell'Unione europea con le somme che l'Unione europea versa all'Italia per aiutare le regioni dell'obiettivo convergenza del nostro Paese (Basilicata, Calabria, Campania, Puglia e Sicilia) prevedendo, però, di concentrare gli interventi in queste cinque regioni;
    secondo i dati più recenti, l'Italia continuerà a non crescere e l'Unione europea è sulla soglia della deflazione (mentre il debito continua a salire). In queste condizioni, proseguire con gli impegni del «Fiscal Compact» evidentemente porterebbe al collasso del Paese, quindi, altrettanto evidentemente, non potendo pensare ad una finanziaria addizionale di 50 miliardi di euro l'anno per i prossimi 20 anni, è assai probabile che l'Italia non potrà rispettarlo. In queste condizioni di moltiplicatori fiscali, crescita e inflazione, insistere sul vincolo del 3 per cento, di fatto, rende impossibile pensare in qualche modo di potere mai rispettare quello del 60 per cento del rapporto debito/prodotto interno lordo. Di fatto, un vincolo esclude l'altro, il che rende contraddittorio da un punto di vista logico, ancora prima che economico, il proseguire su questa strada;
    servirebbe soprattutto una politica economica europea coerente con lo sviluppo dell'area euro, indicando le policy tese ad aumentare la domanda e, in particolare, gli investimenti. L'asse portante è quello della strategia «Europa 2020», a cui dovrebbe far seguito un bilancio pubblico europeo coerente e sganciato dai trasferimenti degli Stati. Servirebbe un bilancio pubblico europeo non inferiore al 4 per cento del prodotto interno lordo europeo, un'imposta europea capace di finanziare il bilancio pubblico senza mediazione degli Stati, degli investimenti (eurobond) tesi a industrializzare la così detta green economy e il ripristino della piena e buona occupazione come orizzonte della società europea;
    in attesa di un riordino normativo europeo teso a promuovere lo sviluppo e la buona occupazione attraverso un autonomo bilancio pubblico europeo, con un'imposta sul valore aggiunto, il Governo italiano, in ambito di semestre europeo, potrebbe sostenere delle misure una tantum per i Governi dell'area euro, con il concorso della Banca centrale europea, tese a rilanciare lo sviluppo via investimenti che anticipano i cosiddetti obiettivi europei 20-20-20;
    in particolare, si dovrebbe operare uno scorporo di alcune tipologie di spese e di investimenti dal calcolo dei saldi validi al fine del rispetto del Patto di stabilità e crescita. Tale scorporo, più volte proposto da autorità politiche ed esperti economici in Italia e in Europa, permetterebbe una ripresa della domanda pubblica che è necessaria – in assenza di un'adeguata dinamica della domanda per consumi, investimenti ed export – per condurre l'economia fuori dall'attuale depressione. Gli investimenti nei suddetti settori sono rilevanti, in primo luogo, per gli effetti aggregati sull'economia, che vedrebbe un aumento del prodotto interno lordo e, quindi, un miglioramento degli indicatori di sostenibilità del debito. In secondo luogo, l'investimento in tali settori condurrebbe l'Italia ad avvicinarsi in misura significativa agli obiettivi della strategia «Europa 2020», in una varietà di campi sociali ed ambientali,

impegna il Governo:

   a scorporare, nel bilancio 2014, gli investimenti pubblici relativi ai settori sotto elencati dal computo dell'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni rilevante per i vincoli dei Trattati europei:
    a) messa in sicurezza degli edifici scolastici;
    b) pubblica istruzione, università e ricerca;
    c) riqualificazione delle periferie attraverso piani di recupero;
    d) interventi di salvaguardia dell'assetto idrogeologico dei territori;
    e) recupero, salvaguardia e sviluppo del patrimonio artistico e ambientale;
    f) interventi di risanamento delle reti di distribuzione delle acque potabili;
    g) potenziamento del trasporto pubblico locale con particolare riguardo al pendolarismo regionale e al trasporto su ferro;
    h) interventi di risparmio energetico attraverso l'utilizzo delle energie rinnovabili;
   a verificare in parallelo la possibilità che tali investimenti – da realizzarsi anche negli altri Paesi dell'eurozona – siano finanziati a livello europeo per consentire all'insieme dell'Unione europea di uscire dal ristagno economico proponendo:
    a) la concessione di crediti da parte della Banca centrale europea al tasso di interesse più basso riservata a istituzioni finanziarie pubbliche – in Italia la Cassa depositi e prestiti – impegnate a realizzare il programma di investimenti pubblici necessario all'uscita dalla crisi;
    b) l'emissione di titoli garantiti dall'eurozona finalizzati alla realizzazione di tali investimenti;
    c) l'emissione di liquidità in modalità non convenzionali da parte della Banca centrale europea a copertura di tale programma di investimenti;
   a superare – in assenza delle misure precedentemente elencate – il tetto del 3 per cento per l'indebitamento netto delle pubbliche amministrazioni nel bilancio 2014, giustificando tale azione politica con le condizioni di gravissima crisi economica e sociale del Paese;
   ad attivarsi in sede europea per il superamento di tutti i trattati e regolamenti che, imponendo rigide regole di bilancio, sono causa delle politiche di austerità e a promuovere politiche, misure e strumenti di politica economica, fiscale e di spesa, di carattere espansivo a favore dell'occupazione, dello sviluppo sostenibile e del welfare.
(1-00362)
(Nuova formulazione) «Marcon, Boccadutri, Melilla, Migliore, Di Salvo, Ricciatti, Pannarale, Scotto, Fava, Paglia, Lavagno, Airaudo, Placido».

Classificazione EUROVOC:
EUROVOC :

zona euro

politica occupazionale

debito

finanziamento pubblico

investimento pubblico