CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 3 maggio 2016
636.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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SEDE CONSULTIVA

  Martedì 3 maggio 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. – Interviene il sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti.

  La seduta comincia alle 11.10.

Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze.
C. 3634, approvata dal Senato.
(Parere alla II Commissione).
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, comunica che è stata avanzata la richiesta che la pubblicità dei lavori sia assicurata anche mediante l'impianto audiovisivo a circuito chiuso. Non essendovi obiezioni, ne dispone l'attivazione.

  Andrea GIORGIS (PD), relatore, osserva che la proposta di legge in esame, approvata dal Senato il 25 febbraio 2016, consta di un articolo unico che detta due distinte discipline: con la prima (commi da 1 a 35) sono regolamentate le unioni civili tra persone dello stesso sesso; con la seconda (commi da 36 a 65) è introdotta una normativa sulle convivenze di fatto (che può riguardare sia coppie omosessuali che eterosessuali). Le ultime disposizioni (commi da 66 a 69) riguardano la copertura finanziaria del provvedimento.
  Il comma 1 individua la finalità della legge nell'istituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso, quale specifica «formazione sociale» ai sensi degli articoli 2 e 3 della Costituzione, nonché nella disciplina delle convivenze di fatto. Nel riconoscere a due persone maggiorenni dello stesso sesso il diritto di costituire una unione civile mediante dichiarazione di fronte all'ufficiale di stato civile e alla presenza di due testimoni (comma 2), si prevede la registrazione degli atti di unione civile nell'archivio dello stato civile (comma 3). È prevista poi una serie di cause impeditive per la costituzione della unione civile (comma 4), la presenza di una delle quali determina la nullità dell'unione stessa (comma 5): la sussistenza di un vincolo matrimoniale o di un'unione civile tra persone dello stesso sesso; l'interdizione di una delle parti per infermità mentale; in caso sia soltanto promossa la causa di interdizione, il PM può chiedere che si sospenda il procedimento per l'unione civile; quest'ultimo riprende solo dopo la formazione del giudicato sulla causa per l'interdizione; la sussistenza di rapporti di affinità o parentela tra le parti (primo comma dell'articolo 87 del codice civile); la condanna definitiva di un contraente per omicidio consumato o tentato nei confronti di chi sia coniugato o unito civilmente con l'altra parte; se è stato disposto soltanto rinvio a giudizio ovvero sentenza di condanna di primo o secondo grado ovvero una misura cautelare la procedura per la costituzione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso è sospesa sino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento. Si fa notare che analoga causa impeditiva non è prevista – verosimilmente in relazione al diverso regime giuridico – con riguardo all'ipotesi in cui la vittima sia persona con la quale l'altra parte sia unita da contratto di convivenza.
  Il comma 5 stabilisce che all'unione civile tra persone dello stesso sesso si applicano alcuni articoli del codice civile relativi al matrimonio: in materia di nuovo matrimonio del coniuge (articolo 65) e nullità del nuovo matrimonio (articolo 68) nonché le disposizioni in materia di nullità del matrimonio relative all'interdizione (articolo 119), all'incapacità di intendere e di volere (articolo 120), alla simulazione (articolo 123), all'azione del PM (articolo 125), alla separazione dei coniugi durante Pag. 20il giudizio (articolo 126), all'intrasmissibilità dell'azione per impugnare il matrimonio (articolo 127), al matrimonio putativo (articolo 128), ai diritti dei coniugi in buona fede (articolo 129) e alla responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo (articolo 129-bis). I commi da 6 a 8 riguardano l'impugnazione. Il comma 6 prevede la possibile impugnazione dell'unione civile, costituita nonostante la presenza di una causa impeditiva o in violazione del citato articolo 68 del codice civile; titolari dell'impugnazione sono, oltre ad una delle parti dell'unione, gli ascendenti prossimi, il PM e tutti coloro che hanno un interesse legittimo ed attuale al gravame. Si prevede, inoltre, che nel caso di costituzione di una nuova unione civile durante l'assenza di una delle parti, la nuova unione non è impugnabile finché dura l'assenza.
  Il comma 7 estende sostanzialmente all'unione civile quanto previsto dall'articolo 122 del codice civile (violenza ed errore) per il matrimonio.
  Il comma 8 prevede la possibilità di impugnare in ogni tempo sia il matrimonio che l'unione civile dell'altra parte; analogamente a quanto previsto dall'articolo 124 del codice civile per il matrimonio, se, invece, viene opposta la nullità della prima unione, tale questione deve essere preventivamente giudicata.
  Il comma 9 prevede che il documento attestante la costituzione del vincolo deve contenere i dati anagrafici delle parti, l'indicazione del loro regime patrimoniale (comunione o separazione dei beni) e della loro residenza, oltre che i dati anagrafici e la residenza dei testimoni.
  Il comma 10 dispone in ordine al cognome prevedendo che le parti, mediante dichiarazione all'ufficiale di stato civile, possono indicare un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi; al contrario, i partner potranno anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso.
  Il comma 11 disciplina i diritti e doveri derivanti dall'unione civile omosessuale, nella sostanza riproducendo il contenuto dell'articolo 143 del codice civile sul matrimonio.
  Il comma 12, riproducendo le previsioni dell'articolo 144 del codice civile, stabilisce che l'indirizzo della vita familiare e la residenza comune siano concordati tra le parti, spettando a ciascuna di essa il potere di attuare l'indirizzo concordato.
  Analogamente al matrimonio, il comma 13 prevede che il regime patrimoniale ordinario dell'unione civile consista nella comunione dei beni (articolo 159 del codice civile), fatta salva la possibilità che le parti formino una convenzione patrimoniale; a quest'ultima cui si applicano le disposizioni del codice civile relative a forma (articolo 162), modifica (articolo 163), simulazione (articolo 164) e capacità dell'inabilitato (articolo 166) per la stipula delle convenzioni matrimoniali. Anche in tal caso, come nel matrimonio, resta ferma la possibilità di optare per la separazione dei beni. Lo stesso comma 13, sancendo l'inderogabilità per i contraenti dei diritti e doveri derivanti dalla costituzione dell'unione civile, stabilisce in tema di regime patrimoniale l'applicazione a queste ultime della disciplina delle sezioni II (fondo patrimoniale, articoli 167-171), III (comunione legale, articoli 177-197), IV (comunione convenzionale, articoli 210 e 211), V (separazione dei beni, articoli 215-219) e VI (impresa familiare, articoli 230-bis) del libro primo, titolo VI, del codice civile.
  Il comma 14 dell'articolo unico in esame estende alle unioni civili tra persone dello stesso sesso la disciplina dell'articolo 342-ter del codice civile, prevedendo la possibilità che il giudice, su istanza della parte, applichi con decreto uno o più provvedimenti relativi al cosiddetto ordine di protezione in caso di grave pregiudizio per l'integrità fisica o morale di una delle parti.
  Il comma 15 prevede: che la scelta dell'amministratore di sostegno da parte del giudice tutelare ricada, ove possibile, sulla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso e che l'iniziativa per l'interdizione e l'inabilitazione spetti anche alla parte dell'unione civile che, al cessare della causa, può chiederne la revoca. Pag. 21
  Il comma 16 stabilisce che la violenza è causa di annullamento del contratto – analogamente a quanto previsto in generale dall'articolo 1436, primo comma, del codice civile – anche quando il male minacciato riguarda la persona o i beni dell'altra parte dell'unione civile costituita dal contraente o da un discendente o ascendente di lui.
  Il comma 17 stabilisce che, in caso di morte del prestatore di lavoro (parte dell'unione civile) vada corrisposta anche all'altra parte dell'unione sia l'indennità dovuta dal datore di lavoro (ex articolo 2118 del codice civile) che quella relativa al trattamento di fine rapporto (ex articolo 2120 del codice civile).
  Il comma 18 prevede che, analogamente a quanto previsto per i coniugi, tra le parti dell'unione civile la prescrizione rimanga sospesa.
  Il comma 19 estende all'unione civile omosessuale la disciplina sugli obblighi alimentari prevista dal codice civile (libro primo, titolo XIII). Trovano altresì applicazione alle unioni civili anche gli articoli 116, primo comma (matrimonio dello straniero nello Stato), 146 (allontanamento dalla residenza familiare), 2647 (costituzione del fondo patrimoniale e separazione dei beni), 2653, primo comma, n. 4 (trascrizione delle domande di separazione degli immobili dotali e di scioglimento della comunione tra coniugi avente per oggetto beni immobili) e 2659 (nota di trascrizione) oltre – come si è visto – l'articolo 2941, primo comma n. 1) (sospensione della prescrizione tra i coniugi), del codice civile.
  Il comma 20 – fatte salve le disposizioni del codice civile non richiamate espressamente e quelle della legge sull'adozione (legge 4 maggio 1983, n. 184) – prevede che le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi», «marito» e «moglie», ovunque ricorrano nelle leggi, nei regolamenti, negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, trovino applicazione anche alla parte della unione civile tra persone dello stesso sesso.
  Il comma 21 estende ai partner dell'unione civile parte della disciplina sulle successioni riguardante la famiglia contenuta nel libro secondo del codice civile; si tratta delle disposizioni: dei Capi III (Dell'indegnità) e X (Dei legittimari) del Titolo I; dell'intero Titolo II (Delle successioni legittime); dei Capi II (Della collazione) e V-bis (Del patto di famiglia) del Titolo IV. I successivi commi riguardano le seguenti ipotesi di scioglimento dell'unione civile, che riprendono gran parte della normativa relativa al divorzio (legge n. 898 del 1970): per morte o dichiarazione di morte presunta di una delle parti (comma 22); nella gran parte delle ipotesi in cui può essere chiesto il divorzio da uno dei coniugi (articolo 3, n. 1 e n. 2, lettera a), c), d) ed e) della legge n. 898 del 1970) (comma 23 ); per volontà dei partner manifestata davanti all'ufficiale di stato civile; la domanda di scioglimento va proposta decorsi tre mesi dalla data in cui tale volontà è manifestata (comma 24); a seguito della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di una delle parti (comma 26).
  Il comma 25 estende alle unioni civili gran parte della disciplina della legge sul divorzio (tra esse, si segnala l'obbligo di una delle parti di somministrare periodicamente un assegno di mantenimento a favore dell'altro quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive).
  Recependo il dictum della Corte costituzionale (sentenza 11 giugno 2014, n. 170), il comma 27 prevede una ipotesi di unione civile derivante dal matrimonio; se, infatti, dopo la rettificazione di sesso, i coniugi manifestano la volontà di non sciogliere il matrimonio o non cessarne gli effetti civili, questo si trasforma automaticamente in unione civile tra persone dello stesso sesso.
   I commi da 28 a 31 prevedono una delega al Governo per l'ulteriore regolamentazione dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La normativa delegata è adottata su proposta del Ministro della giustizia, di concerto con i Ministri dell'interno, del lavoro e delle politiche sociali e degli affari esteri e con l'ordinario coinvolgimento delle Commissioni parlamentari competenti (chiamate a pronunciarsi Pag. 22in via consultiva anche una seconda volta in caso di mancato recepimento del primo parere). L'adozione del decreto (o dei decreti) legislativi avviene sulla base dei seguenti principi e criteri direttivi: adeguamento alla disciplina del provvedimento in esame delle disposizioni dell'ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni (lettera a)); modifica e riordino delle norme in materia di diritto internazionale privato, prevedendo l'applicazione della disciplina della unione civile omosessuale italiana alle coppie omosessuali che abbiano contratto all'estero matrimonio, unione civile o altro istituto analogo (lettera b)); modificazioni ed integrazioni normative per il necessario coordinamento del provvedimento in esame delle disposizioni contenute nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti e nei decreti (lettera c)).
  Nel rispetto dei medesimi principi e criteri direttivi e con la stessa procedura, il Governo potrà adottare, entro due anni dalla data di entrata in vigore di ciascun decreto legislativo, ulteriori disposizioni integrative e correttive.
  I commi 32 e 33 modificano gli articoli 86 e 124 del codice civile, equiparando il vincolo giuridico derivante dall'unione civile a quello derivante dal matrimonio. Il comma 32 modifica l'articolo 86 (libertà di stato) inserendo fra le cause di invalidità del matrimonio anche la sussistenza di una precedente unione civile tra persone dello stesso sesso.
  Il comma 33 prevede, di conseguenza, modificando l'articolo 124 (vincolo del precedente matrimonio) l'impugnabilità in ogni tempo da parte del coniuge della precedente unione civile contratta dall'altro coniuge.
  Il comma 34 demanda ad un DPCM, su proposta del Ministro dell'interno, la disciplina transitoria necessaria all'adeguamento della tenuta dei registri di stato civile fino alla vigenza dei decreti legislativi in materia di cui al comma 28, lettera a).
  Il comma 35 prevede, infine, che l'efficacia delle disposizioni in materia di unioni civili tra persone dello stesso sesso (ovvero i commi da 1 a 34) decorra dalla data di entrata in vigore del provvedimento in esame.
  I commi da 66 a 69 disciplinano la copertura finanziaria delle disposizioni relative alle sole unioni civili. In particolare, il comma 66 individua gli oneri e ne dispone la copertura fino al 2025, autorizzando il Ministro dell'economia a provvedere alle relative variazioni di bilancio (comma 69). Il comma 67 prevede un monitoraggio di tali oneri, sulla base di dati comunicati dall'INPS, da parte del Ministro del lavoro; in caso di scostamenti rispetto alle previsioni, il Ministro dell'Economia e delle finanze è autorizzato a provvedere, dovendo altresì riferire con apposita relazione alle Camere (comma 68).
  La seconda parte del provvedimento è dedicata alla disciplina della convivenza di fatto, istituto che può riguardare tanto coppie eterosessuali quanto coppie omosessuali. Il comma 36 definisce i conviventi di fatto come due persone maggiorenni: non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune.
  Il comma 37, infatti, richiama ai fini dell'accertamento della stabile convivenza il concetto di famiglia anagrafica previsto dal regolamento anagrafico (decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989).
  Il comma 38 estende ai conviventi di fatto i diritti spettanti al coniuge in base all'ordinamento penitenziario.
  Il comma 39 riconosce ai conviventi di fatto un reciproco diritto di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali in ambito sanitario, analogamente a quanto previsto oggi per i coniugi e i familiari.
  I commi 40 e 41 riconoscono a ciascun convivente di fatto la facoltà di designare (in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità, alla presenza di un testimone) il partner come rappresentante, Pag. 23con poteri pieni o limitati per l'assunzione di decisioni in materia di salute, anche in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere ovvero, in caso di morte, per le scelte relative alla donazione di organi e alle modalità delle esequie.
  I commi da 42 a 45 riconoscono ai conviventi alcuni diritti inerenti alla casa di abitazione. In particolare, in caso di morte del proprietario della casa di comune residenza, il comma 42 riconosce al convivente di fatto superstite il diritto di abitazione per 2 anni (che diventano 3 anni in caso di coabitazione di figli minori o di figli disabili del convivente superstite) o per un periodo pari alla durata della convivenza se superiore a 2 anni, e comunque fino ad un massimo di 5 anni.
  In base al comma 43, il diritto di abitazione viene meno se il convivente superstite cessa di abitare stabilmente nella casa o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto.
  Il comma 44 riguarda invece la successione nel contratto di locazione della casa di comune residenza, prevedendo tale facoltà per il convivente di fatto in caso di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto.
  Il comma 45 dispone in ordine all'inserimento nelle graduatorie per l'assegnazione di alloggi di edilizia popolare, equiparando il rapporto di convivenza a quello di coniugio ai fini di eventuali titoli o cause di preferenza nella formazione delle graduatorie stesse.
  Il comma 46 introduce nel codice civile l'articolo 230-ter per disciplinare i diritti del convivente nell'attività di impresa. La nuova disposizione riconosce al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa del partner il diritto di partecipazione agli utili commisurato al lavoro prestato. Tale diritto non sussiste qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.
  I commi 47 e 48 ampliano le facoltà riconosciute al convivente di fatto nell'ambito delle misure di protezione delle persone prive di autonomia, facoltà già in parte previste dalla normativa vigente.
   Il comma 49 equipara la convivenza di fatto al rapporto coniugale ai fini del risarcimento del danno da fatto illecito.
  I commi da 50 a 63 disciplinano il contratto di convivenza, che costituisce un accordo attraverso il quale i conviventi possono disciplinare i loro rapporti patrimoniali, che deve avere determinate caratteristiche formali.
  Il comma 64 modifica la legge n. 218 del 1995, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, introducendovi il nuovo articolo 30-bis in materia di contratti di convivenza. La nuova disposizione prevede che ai contratti di convivenza si applichi la legge nazionale comune dei contraenti; in caso di convivenza tra cittadini di nazionalità diversa, si applicherà la legge del luogo ove si svolge prevalentemente la convivenza. La disposizione fa comunque salve le norme nazionali, internazionali ed europee che regolano il caso di cittadinanza plurima.
  Il comma 65 disciplina, alla cessazione della convivenza di fatto, il diritto agli alimenti. Il diritto del convivente a ricevere dall'altro gli alimenti deve essere affermato da un giudice in presenza dei seguenti presupposti (mutuati dall'articolo 438 del codice civile): il convivente versa in stato di bisogno; il convivente non è in grado di provvedere al proprio mantenimento. La durata dell'obbligo alimentare, determinato dal giudice, è proporzionato alla durata della convivenza; la misura degli alimenti è quella prevista dal codice civile (articolo 438, secondo comma, che individua come parametro il bisogno di chi domanda e le condizioni economiche di chi deve somministrarli, specificando che gli alimenti non devono superare quanto sia necessario per la vita dell'alimentando, avuto riguardo alla sua posizione sociale). La riforma antepone l'obbligo alimentare dell’ex-convivente a quello che grava sui fratelli e le sorelle della persona in stato di bisogno.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, il provvedimento è riconducibile alle materie Pag. 24«stato civile e anagrafe» e «ordinamento civile», di esclusiva competenza statale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettere i) ed l) della Costituzione.
  Rispetto agli altri princìpi costituzionali, il tema delle convivenze di fatto può essere inquadrato attraverso i seguenti articoli della Costituzione: l'articolo 2, che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità; l'articolo 29, che riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Dalla lettura di queste due disposizioni si ricava il particolare valore e la specifica rilevanza che il Costituente ha attribuito alla famiglia fondata sul matrimonio. La Corte costituzionale ha costantemente affermato che «la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale» e a questo non meccanicamente assimilabile al fine di desumerne il vincolo costituzionale di una parificazione di trattamento (sentenza 352 del 2000). La Corte, alla luce dell'articolo 2 della Costituzione, considera tuttavia la famiglia di fatto come una formazione sociale meritevole di tutela, seppur in maniera diversa da quella fondata sul matrimonio. La Corte, in diverse altre decisioni, ha posto in luce la diversità strutturale e contenutistica tra rapporto coniugale – caratterizzato da stabilità e certezza nonché dalla reciprocità e corrispettività di diritti e doveri che nascono dal matrimonio – e convivenza di fatto, fondata sull’affectio quotidiana di ciascuna delle parti, liberamente e in ogni istante revocabile (sentenze n. 8 del 1996 e n. 461 del 2000). Per la Corte non è – quindi – né irragionevole, né arbitrario che il legislatore adotti soluzioni diversificate per la famiglia fondata sul matrimonio, espressamente contemplata nell'articolo 29 della Costituzione, e per la famiglia di fatto, tradizionalmente ricondotta all'articolo 2 della Costituzione (ordinanza n. 121 del 2004). La Corte ha inoltre rilevato, posto che la convivenza rappresenta l'espressione di una scelta di libertà dalle regole che il legislatore ha sancito in dipendenza dal matrimonio, che «l'estensione automatica di queste regole alla famiglia di fatto potrebbe costituire una violazione dei principi di libera determinazione delle parti» (sentenza n. 166 del 1998). Analoga linea è dettata più recentemente con la sentenza n. 140 del 2009, in cui si legge che «si deve ribadire quanto già più volte affermato, cioè che la convivenza more uxorio è diversa dal vincolo coniugale e non può essere assimilata a questo per desumerne l'esigenza costituzionale di una parità di trattamento. La stessa Costituzione ha valutato le due situazioni in modo diverso, ed il dato assume rilievo determinante in un giudizio di legittimità costituzionale. Infatti, il matrimonio forma oggetto della specifica previsione contenuta nell'articolo 29 Costituzione, che lo riconosce elemento fondante della famiglia come società naturale, mentre il rapporto di convivenza assume anch'esso rilevanza costituzionale, ma nell'ambito della protezione dei diritti inviolabili dell'uomo nelle formazioni sociali garantita dall'articolo 2 della Costituzione».
  Come per le unioni tra persone di sesso diverso anche il tema delle unioni omosessuali può essere inquadrato da un punto di vista costituzionale attraverso i citati articoli 2 e 29 della Costituzione, trovando possibile tutela nell'ambito delle formazioni sociali di cui all'articolo 2. Nonostante il dettato dell'articolo 29 della Costituzione non specifichi che il matrimonio debba essere consentito solo tra persone di sesso diverso, la giurisprudenza ha costantemente precluso alle coppie omosessuali la possibilità di contrarre matrimonio in Italia (così come di vedere trascritto nei registri di stato civile un tale matrimonio legittimamente contratto all'estero), considerando conforme al dettato costituzionale la scelta del legislatore ordinario di riservare l'istituto del matrimonio a persone di sesso diverso (sentenza n. 138 del 2010). Le unioni omosessuali trovano, tuttavia, riconoscimento e garanzia come «formazioni sociali» ai sensi dell'articolo 2 della Costituzione. In tal senso la Corte ha più volte sollecitato il legislatore ad intervenire con una disciplina Pag. 25che regolamenti le unioni tra persone dello stesso sesso, in modo da garantire a queste ultime «il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone – nei tempi, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge – il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri» (così sentenza n. 138 del 2010). Analoghe sollecitazioni si ritrovano nelle ordinanze n. 276 del 2010 e n. 4 del 2011 e da ultimo nella sentenza n. 170 del 2014 relativa alle conseguenze civilistiche conseguenti ad una rettificazione di sesso in costanza di matrimonio.

  Gian Luigi GIGLI (DeS-CD) osserva preliminarmente che, con riguardo al procedimento di approvazione al Senato del disegno di legge S. 2081, la procedura seguita appare in contrasto con l'articolo 72, primo comma, della Costituzione, secondo il quale «Ogni disegno di legge presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l'approva articolo per articolo e con votazione finale». La procedura seguita appare contrastare anche con l'articolo 44 del Regolamento del Senato, che rappresenta la diretta attuazione dello stesso articolo 72 della Costituzione; esso, infatti prevede, al comma 1, che «Le relazioni delle Commissioni sui disegni di legge assegnati in sede referente e redigente devono essere presentate nel termine massimo di due mesi dalla data di assegnazione» e al comma 2 che «Il Presidente del Senato, in relazione alle esigenze del programma dei lavori o quando le circostanze lo rendano opportuno, può stabilire un termine ridotto per la presentazione della relazione, dandone comunicazione all'Assemblea».
  In contrasto col precetto costituzionale e con la disposizione normativa interna al Senato che lo applica con coerenza, la versione del cosiddetto disegno di legge sulle unioni civili è stata posta all'ordine del giorno dei lavori dell'Aula del Senato senza che su di essa sia mai nemmeno formalmente iniziato l'esame nella competente Commissione permanente di merito, la Commissione Giustizia. Il che, a suo avviso, è ancora più grave ove si consideri che il disegno di legge contiene una delega al Governo. Nell'equilibrio fra i poteri dello Stato, il nostro ordinamento riconosce infatti l'esercizio della funzione legislativa all'Esecutivo, a condizione che l'esame di entrambi i rami del Parlamento sia qualcosa di effettivo e non di virtuale, in sede di conversione di un decreto legge ovvero in sede di conferimento di una delega. La Corte costituzionale è già intervenuta sul punto con la sentenza n. 32 del 12 febbraio 2014 e ha dichiarato illegittima la legge n. 49 del 21 febbraio 2006, che convertiva con modificazioni il decreto-legge n. 272 del 30 dicembre 2005 sul presupposto della eterogeneità della materia aggiunta con un emendamento del Governo in sede di conversione – la disciplina degli stupefacenti – rispetto alla versione originaria del decreto, rilevando in quel caso la carenza di quella disamina approfondita che compete al Parlamento; identica logica vale pure in sede di legislazione delegata. Fin dalla sentenza n. 9 del 1959 la Corte costituzionale si è dichiarata competente a valutare le violazioni delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo, tra le quali rientra ovviamente il citato articolo 72 della Costituzione.
  Rileva, inoltre, che, al momento dell'avvio dei lavori dell'Aula del Senato sul disegno di legge in questione, in Commissione Giustizia l'esame della precedente versione del medesimo disegno di legge era ancora fermo all'articolo 1. Quand'anche si volesse ritenere la sostanziale sovrapponibilità fra i due testi, resta il fatto che la Commissione non ha mai esaminato norme importanti e controverse, contenute nel disegno di legge; l'esame nell'Aula del Senato è stato poi gravemente compresso dall'apposizione della questione di fiducia su un maxiemendamento governativo che in un solo articolo ha riformulato la disciplina dettata nel disegno di legge presentato dalla senatrice Cirinnà.
  Osserva, dunque, che la violazione delle norme dell'articolo 72 della Costituzione, Pag. 26oltre a costituire un grave precedente, cui qualunque maggioranza potrebbe in futuro richiamarsi per far approvare senza esame in Commissione proposte che necessitano di approfondita disamina e di altrettanto approfondito confronto parlamentare, costituirà – alla stregua della giurisprudenza costituzionale appena evocata – oggetto di censura davanti alla Corte costituzionale, col conseguente annullamento dell'intero provvedimento approvato dal Parlamento.
  Passando ad esaminare il merito del provvedimento, va premesso che questo, nel suo insieme, ma soprattutto nella sua prima parte, si pone in contrasto con gli articoli 29 e 31 della Costituzione. L'articolo 29, primo comma, della Costituzione prevede che «La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio». L'articolo 31, primo comma, della Costituzione impone alla Repubblica di agevolare «con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l'adempimento dei compiti relativi». Da queste norme – come pure dagli articoli 30, 34, 36 e 37 della Costituzione – si ricava l'esistenza nell'ordinamento italiano del cosiddetto favor familiae. Qualora sia necessario per la tutela dei suoi diritti la Costituzione infatti non solo consente, ma impone al legislatore di istituire un regime speciale a favore della famiglia, diverso da quello comune, formalmente in deroga al principio di eguaglianza sancito dall'articolo 3 della Costituzione, ma in realtà in coerenza con l'eguaglianza sostanziale richiamata dal comma 2 della disposizione. Il trattamento di favore può anche gravare in maniera significativa sulla collettività e talora incidere direttamente su diritti di soggetti terzi rispetto al rapporto matrimoniale. Si considerino, ad esempio, le provvidenze e le esenzioni fiscali attribuite alle famiglie, sia pure in misura in concreto inferiore rispetto a quanto avviene in altri Stati, o la pensione di reversibilità a favore del coniuge, con conseguente significativo – ma costituzionalmente giustificato – aggravio per il bilancio pubblico a carico della collettività.
  Il cosiddetto progetto di legge sulle unioni civili estende il regime previsto per i coniugi e per la famiglia a forme di convivenza tra persone dello stesso sesso; in questo senso si veda in particolare il comma 20 dell'articolo 1. Tale estensione è priva di ragionevole giustificazione per coloro che sono legati da forme di convivenza che, non essendo basate sul dimorfismo sessuale, si differenziano nella sostanza dalla famiglia e non ne condividono quella funzione sociale che ne giustifica il regime speciale di cui gode nell'ordinamento. La disciplina prevista dalla proposta di legge sulle unioni civili, nell'assimilare al regime della famiglia quello di una formazione sociale diversa viola l'articolo 3, primo comma, della Costituzione, che impone al legislatore di trattare fattispecie eguali in modo eguale e fattispecie diverse in modo diverso. Estendere i benefici previsti per il matrimonio ad altre forme di convivenza, come vorrebbe la proposta di legge in esame, svilisce il significato della preferenza costituzionale per la famiglia, in contrasto con i già menzionati articoli 29 e 30 della Costituzione. Porta ad esempio le ingenti somme necessarie per equiparare i contraenti l'unione civile ai coniugi in relazione al godimento di alcuni privilegi degli stessi, come la pensione di reversibilità. Si chiede come possano rinvenirsi i fondi per equiparare sotto questo profilo i contraenti l'unione civile ai coniugi. Rileva che ciò potrebbe avvenire attraverso un inasprimento della leva fiscale, che in ultima analisi finisce per incidere anche sui redditi a disposizione delle famiglie, o attraverso lo storno di risorse che potrebbero essere, invece, utilizzate per realizzare il disegno costituzionale in materia di promozione della famiglia, in attuazione di quanto sancito dall'articolo 31 della Costituzione. A suo avviso, poi, non si può eludere il problema dando un riconoscimento pubblico alle convivenze senza però equipararle, quanto al godimento dei diritti sociali, alla famiglia. Infatti, la giurisprudenza della Corte di giustizia dell'Unione europea riconosce che gli Stati membri sono liberi di dare o meno un riconoscimento pubblico alle Pag. 27convivenze; ma se il legislatore decide di dare tale riconoscimento, la stessa Corte esige che alle convivenze siano garantiti i benefici propri della famiglia fondata sul matrimonio.
  Entrando nel dettaglio del provvedimento, rileva che il comma 1 dell'articolo 1 contiene una contraddizione sul piano dello stretto diritto che appare insanabile, e con conseguenze immediate sul piano della legittimità costituzionale. Esso afferma che l'unione civile è una specifica – quindi nuova, differente e distinta – formazione sociale, ma ne riserva l'accesso a coppie dello stesso sesso, escludendone le coppie di sesso diverso. Osserva che, se la nuova formazione sociale è distinta e diversa dal matrimonio, il fatto che non possano accedervi coppie di sesso diverso realizza una discriminazione e viola il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione. Se, invece, la motivazione dell'esclusione delle coppie eterosessuali dalla formazione delle unioni civili risiede nel fatto che esse dispongono già dell'istituto del matrimonio per regolare i loro reciproci diritti e doveri, i commi 1, 11, 12, 13 e 20 dell'articolo 1 della proposta di legge violano l'articolo 29 della Costituzione, come interpretato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 138 del 2010, in quanto parificano all'istituto matrimoniale formazioni sociali che, come dice la Corte in quella sentenza «non sono omologabili al matrimonio». Qualunque sia l'esegesi, l'esito è il contrasto con la Costituzione. La sentenza n. 138 del 2010 della Corte costituzionale ha chiarito che la legislazione in materia di matrimonio non discrimina le coppie di persone dello stesso sesso, che al matrimonio non possono accedere, specificando che esse non sono omologabili al matrimonio: stabilire, quindi, l'applicazione alle unioni civili di tutte le norme relative al matrimonio, come fa il comma 20 della proposta di legge, rappresenta una violazione del principio di uguaglianza, in applicazione dei principi della sentenza n. 138 e dei principi maturati nella prassi interpretativa dell'articolo 3 della Costituzione nei molti decenni di attività della Corte costituzionale, poiché tratta in modo uguale situazioni diverse.
  Evidenzia, quindi, come la parificazione al coniuge realizzata dal comma 20 dell'articolo 1 della proposta di legge soltanto in favore di colui o di colei che sia parte di un'unione civile discrimina, in violazione dell'articolo 3 della costituzione, tutte le altre categorie di persone che non possono accedere al matrimonio: in particolare tutte le categorie di soggetti cui il matrimonio è parimenti impedito ai sensi degli articoli da 84 ad 89 del codice civile (minori, interdetti, già coniugati, parenti o affini, condannati per gravi delitti, donne in recente lutto vedovile). Non vi è alcuna ragionevolezza nel superare l'impedimento all'unione civile, parificata al matrimonio, per la sola categoria delle persone dello stesso sesso.
  Il comma 20, nel richiamare «quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti», con riferimento all'applicazione all'unione civile della legge n. 184 del 1983, contravviene all'articolo 31 della Costituzione, secondo il quale la Repubblica protegge l'infanzia, favorendo gli istituti necessari a tale scopo e all'articolo 117, primo comma, della Costituzione secondo il quale «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali». Ricorda che l'Italia ha ratificato e resa esecutiva con la legge n. 176 del 1991 la convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo e che gli articoli della medesima convenzione prevedono all'articolo 7 il rispetto dell'interesse superiore del minore, agli articoli 7 e 8 il diritto del minore al legame con i propri genitori e all'articolo 21, in caso di adozione, una verifica della situazione del minore «in rapporto al padre e alla madre». Al contrario, la normativa dettata dalla proposta di legge in esame non prevede alcuna verifica dell'interesse preminente del minore e del rispetto dei suoi diritti quali previsti dalla convenzione di New York. Richiama, inoltre, per un'applicazione Pag. 28dei principi della citata convenzione di New York da parte della Corte costituzionale, in relazione all'articolo 117 della Costituzione, la sentenza della medesima Corte costituzionale n. 7 del 2003. Le aperture alla step child adoption contenute nella proposta di legge conducono logicamente alla legittimazione, attraverso le norme della stessa, della pratica della cosiddetta maternità surrogata. La costruzione del diritto dell'adulto ad avere un figlio può trovare seguito nell'adozione come nella gestazione da parte di una madre biologica, dopo che altra donna ha ceduto il proprio ovulo. Ciò, oltre a porsi in palese violazione con le norme costituzionali riguardanti i figli in precedenza menzionate, contrasta con l'articolo 32 della Costituzione, per i gravi rischi – sui quali vi è ampia letteratura – che determina per la salute delle donne interessate dalla pratica stessa.
  Il comma 65 dell'articolo 1 collega alla cessazione della convivenza – anche in assenza di contratto di convivenza –, l'insorgere di un obbligo di prestazione degli alimenti in favore del convivente che non abbia adeguati redditi propri: per questo è violato, a suo avviso, l'articolo 29 della Costituzione che, nel riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, riconosce tanto la libertà di contrarre matrimonio e di assumerne i doveri connessi, quanto quella di non sposarsi, rifiutando tali doveri. Il comma 65 della proposta di legge, invece, a fronte della scelta dei conviventi di non contrarre tra loro alcun vincolo, li sottopone al regime che liberamente hanno escluso per sé.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 11.40.

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 3 maggio 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. — Interviene il sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti.

  La seduta comincia alle 11.40.

Schema di decreto legislativo recante norme per il riordino della disciplina in materia di conferenza di servizi.
Atto n. 293.
(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare alla seduta, illustra il provvedimento in esame. L'articolo 2 della legge 7 agosto 2015, n. 124, reca una delega al Governo per il riordino complessivo della disciplina in materia di conferenza di servizi. Sono individuati numerosi principi e criteri direttivi, che di seguito sono messi in relazione con la disciplina generale prevista dalla legge sul procedimento amministrativo (legge n. 241 del 1990). Ricorda peraltro che in materia di conferenza di servizi vigono numerose e differenziate discipline di settore.
  I principi e criteri direttivi sono dunque i seguenti: ridefinizione e riduzione dei casi in cui la convocazione della conferenza di servizi è obbligatoria, anche in base alla complessità del procedimento; ridefinizione dei tipi di conferenza, anche al fine di introdurre modelli di istruttoria pubblica per garantire la partecipazione anche telematica degli interessati al procedimento, limitatamente alle ipotesi di adozione di provvedimenti di interesse generale, in alternativa a quanto previsto dall'articolo 10 della legge n. 241 del 1990, e nel rispetto dei principi di economicità, proporzionalità e speditezza dell'azione amministrativa; riduzione dei termini per la convocazione, per l'acquisizione degli atti di assenso previsti, per l'adozione della determinazione motivata di conclusione Pag. 29del procedimento; certezza dei tempi della conferenza, ovvero necessità che qualsiasi tipo di conferenza di servizi abbia una durata certa, anche con l'imposizione a tutti i partecipanti di un onere di chiarezza e inequivocità delle conclusioni espresse; disciplina della partecipazione alla conferenza di servizi finalizzata a: garantire forme di coordinamento o di rappresentanza unitaria delle amministrazioni interessate; prevedere la partecipazione alla conferenza di un unico rappresentante delle amministrazioni statali, designato, per gli uffici periferici, dal dirigente dell'Ufficio territoriale dello Stato di cui all'articolo 8, comma 1, lettera e); disciplina del calcolo delle presenze e delle maggioranze volta ad assicurare la celerità dei lavori della conferenza; revisione dei meccanismi decisionali, con la previsione del principio della prevalenza delle posizioni espresse in sede di conferenza per l'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento nei casi di conferenze decisorie; precisazione dei poteri dell'amministrazione procedente, in particolare nei casi di mancata espressione degli atti di assenso ovvero di dissenso da parte delle amministrazioni competenti; previsione che si consideri comunque acquisito l'assenso delle amministrazioni, ivi comprese quelle preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e dell'ambiente che, entro il termine dei lavori della conferenza, non si siano espresse nelle forme di legge; definizione, nel rispetto dei princìpi di ragionevolezza, economicità e leale collaborazione, di meccanismi e termini per la valutazione tecnica e per la necessaria composizione degli interessi pubblici nei casi in cui la legge preveda la partecipazione al procedimento delle amministrazioni preposte alla tutela dell'ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico-artistico, della salute o della pubblica incolumità, in modo da pervenire in ogni caso alla conclusione del procedimento entro i termini previsti; previsione per le amministrazioni citate della possibilità di attivare procedure di riesame; semplificazione dei lavori della conferenza di servizi, anche attraverso la previsione dell'obbligo di convocazione e di svolgimento della stessa con strumenti informatici e la possibilità, per l'amministrazione procedente, di acquisire ed esaminare gli interessi coinvolti in modalità telematica asincrona; differenziazione delle modalità di svolgimento dei lavori della conferenza, secondo il principio di proporzionalità, prevedendo per i soli casi di procedimenti complessi la convocazione di riunioni in presenza; coordinamento delle disposizioni di carattere generale di cui agli articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, con la normativa di settore che disciplina lo svolgimento della conferenza di servizi; possibilità per le amministrazioni di chiedere all'amministrazione procedente di assumere determinazioni in via di autotutela, ai sensi degli articoli 21-quinquies e 21-novies della legge n. 241 del 1990, purché abbiano partecipato alla conferenza dei servizi o si siano espresse nei termini; coordinamento delle disposizioni in materia di conferenza di servizi con quelle dell'articolo 17-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dall'articolo 3 della legge; definizione di limiti e termini tassativi per le richieste di integrazioni documentali o chiarimenti, prevedendo che oltre il termine tali richieste non possano essere evase, né possano in alcun modo essere prese in considerazione al fine della definizione del provvedimento finale.
  Il comma 2 dell'articolo 5 reca la procedura di adozione dei decreti legislativi di cui al comma 1. Il comma 3 prevede la possibilità di emanare eventuali disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi di cui al comma 1, entro 12 mesi dalla data di entrata in vigore di ciascuno di essi.
  Fa presente che lo schema di decreto legislativo recato dall'atto del Governo n. 293 pone alcune innovazioni rispetto all'odierno funzionamento della conferenza di servizi. Le principali modifiche possono dirsi: la riduzione dei tempi, nonché lo svolgimento con modalità semplificate; una partecipazione delle amministrazioni statali alla conferenza di servizi solo Pag. 30tramite un rappresentante unico per tutte assieme, con facoltà per l'amministrazione che sia in disaccordo di formalizzare il proprio parere negativo, non già di incidere sulla volontà del rappresentante unico (salva la richiesta di un intervento in autotutela); l'inversione dell'onere della mediazione tra posizioni prevalenti e posizioni dissenzienti qualificate, prevedendosi che siano queste ultime a doversi muovere per attivare il procedimento di opposizione avverso la decisione presa in sede di conferenza di servizi.
  Siffatte modificazioni sono introdotte mediante novelle che riscrivono gli articoli da 14 a 14-quinquies della legge n. 241 del 1990 (così l'articolo 1 dello schema). Seguono disposizioni di coordinamento con le discipline settoriali della conferenza di servizi, in materia di: edilizia (articolo 2); sportello unico per le attività produttive (articolo 3); autorizzazione unica ambientale (articolo 4); valutazione dello studio di impatto ambientale, autorizzazione integrata ambientale, autorizzazione all'installazione di stabilimenti nuovi, e più in generale il corpo delle norme ambientali contenuto nel decreto legislativo n. 152 del 2006 (articolo 5); autorizzazione paesaggistica (articolo 6). Infine lo schema reca una disposizione transitoria – relativa all'affidamento in concessione di lavori pubblici – in attesa si perfezioni il recepimento di direttiva dell'Unione europea sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (articolo 7). L'ultimo articolo dello schema (articolo 8) contiene una clausola di coordinamento.
  L'articolo 1 individua «tipi» riconducibili a quattro figure di conferenza di servizi: istruttoria; decisoria; preliminare e relativa alla valutazione di impatto ambientale (VIA).
  La conferenza istruttoria è volta ad un esame contestuale degli interessi pubblici coinvolti, in uno o più procedimenti connessi. È, in sostanza, una modalità di partecipazione al procedimento di più amministrazioni, cui sia affidata la cura di interessi pubblici. Ne tratta, del novellato articolo 14 della legge n. 241 quale prospettato dallo schema in esame, il comma 1. Esso rifonde le previsioni recate dai commi 1 e 3 di quell'articolo 14 quale sinora vigente. Rispetto a siffatta disciplina, e riguardo l'iniziativa della conferenza istruttoria – ossia la facoltà (che è discrezionale dunque) di sua indizione – il novellato articolo la imputa maggiormente in capo alla amministrazione procedente. Non è ripetuta infatti la espressa previsione della facoltà di indizione – previa intesa formale – da parte di una delle amministrazioni curatrici dell'interesse pubblico prevalente, là dove si abbiano interessi coinvolti in più procedimenti amministrativi connessi, relativi alle medesime attività o risultati. Permane la previsione che la conferenza possa essere indetta anche dietro richiesta, di altra amministrazione coinvolta nel procedimento o del privato interessato. La conferenza istruttoria è previsto si svolga sempre in forma semplificata (ossia secondo le modalità definite dal novello articolo 14-bis) «o con modalità diverse, definite dall'amministrazione procedente». Invero, quest'ultima previsione parrebbe porre una discrezionalità organizzativa in capo all'amministrazione procedente (laddove nella generale disciplina vigente della conferenza di servizi – articolo 14-ter, comma 1 – è la medesima conferenza, a maggioranza, ad auto-determinare l'organizzazione dei propri lavori). In definitiva, l'amministrazione procedente avrebbe discrezionalità riguardo non solo l’an (come è già, dopo la previsione introdotta dal decreto-legge n. 78 del 2010) ma anche il quomodo della conferenza istruttoria. Rimane fermo che, dell'amministrazione procedente, il provvedimento finale è atto proprio, di cui essa ha il potere di determinare il contenuto (in altri termini, la decisione permane ’monostrutturata’), riverberandosi la complessità istruttoria piuttosto sulla motivazione dell'atto, scrutinabile in sede di vaglio della ragionevolezza dell'agire amministrativo.
  Come già l'articolo 14 della legge n. 241 vigente, anche la sua riformulazione ad opera dello schema in esame non disciplina espressamente la partecipazione di soggetti privati alla conferenza istruttoria. Pag. 31Più in generale (con riferimento dunque non alla sola conferenza istruttoria), potrebbe ricordarsi come tra i principi e criteri direttivi della delega posta dalla legge n. 124 del 2015, figuri (al suo comma 1, lettera b)) la introduzione di modelli di istruttoria pubblica, per garantire la partecipazione (anche telematica) degli interessati al procedimento – ove si allude alla partecipazione dei soggetti diversi dalle pubbliche amministrazioni coinvolte nel procedimento. È stata la legge n. 69 del 2009 a rivedere la legge sul procedimento amministrativo del 1990 onde «aprire» ai privati la conferenza di servizi, prevedendo l'obbligo di loro convocazione (va da sé, senza diritto di voto) se essi siano proponenti il progetto dedotto in conferenza o concessionari o gestori di pubblici servizi (ove il procedimento incida sulla loro attività). La previsione del 2009 ha dunque legittimato la partecipazione alla conferenza solo di alcune categorie di soggetti, secondo indirizzo riconosciuto dalla dottrina come innovativo e pur restrittivo, dal momento che non estende la partecipazione a soggetti quali i portatori di interessi collettivi o diffusi o di interessi oppositivi alla realizzazione del progetto. Su questo versante, lo schema non sembra dare attuazione al criterio di delega di cui alla lettera b) nella parte in cui richiama l'introduzione di modelli di istruttoria pubblica per garantire la partecipazione anche telematica degli interessati al procedimento, limitatamente alle ipotesi di adozione di provvedimenti di interesse generale, in alternativa a quanto previsto dall'articolo 10 della legge n. 241 del 1990.
  La conferenza decisoria concentra (a fini di velocizzazione) in una sede la collaborazione funzionale di più amministrazioni dotate di poteri decisori, conducendo ad un provvedimento finale che «sostituisce» le determinazioni delle plurime amministrazioni partecipanti. Essa immette dunque su una decisione «pluristrutturata» in quanto sono coinvolte competenze decisionali in capo a più amministrazioni. Ne tratta, del novellato articolo 14 della legge n. 241 quale prospettato dallo schema in esame, il comma 2. Esso rifonde le previsioni recate dai commi 2 e 4 dell'articolo 14 quale sinora vigente. È confermata l'obbligatorietà di tal tipo di conferenza (e solo tal tipo è obbligatorio, può aggiungersi) allorché l'amministrazione procedente debba acquisire atti di assenso ( «comunque denominati», specifica lo schema) da parte di altre amministrazioni (come pareri, intese, concerti, nulla-osta). È introdotta la espressa previsione che tra le «altre amministrazioni» siano da includere i gestori di beni o servizi pubblici (ampliando, si direbbe, la portata del comma 2-ter dell'articolo 14-ter finora vigente). La previsione novellata ha per oggetto l'obbligatoria indizione da parte dell'amministrazione procedente della conferenza decisoria, quando «la conclusione positiva» del procedimento sia subordinata all'acquisizione degli atti di assenso delle altre amministrazioni. Sembrerebbe derivarne che la previsione di quella conclusione come «positiva» – perché la necessaria acquisizione di atti di altrui consenso inneschi la conferenza decisoria – importi una previa maturazione di un orientamento favorevole da parte dell'amministrazione procedente. Parrebbe conseguirne, ad ogni modo, che la conferenza decisoria sia circoscritta all'acquisizione di consensi vincolanti o parzialmente vincolanti (non già pareri, ad esempio). È soppressa la previsione finora vigente che debbano trascorrere vanamente trenta giorni dalla ricezione della richiesta degli atti di consenso, perché l'amministrazione procedente possa/debba indire la conferenza decisoria. Pertanto, risulta soppresso quel che finora era un presupposto per l'indizione, ossia la formale richiesta, da parte dell'amministrazione procedente, dell'atto di assenso da parte di altra amministrazione, seguita dal vano decorso di trenta giorni (dalla ricezione della richiesta) senza che l'atto di assenso giungesse. Ancora, risultano soppresse le previsioni di una conferenza decisoria «interna» (ossia con partecipazione delle sole amministrazione pubbliche) facoltativa, non già obbligatoria. Scompare infatti la previsione – che nella norma finora vigente Pag. 32pone un presupposto per l'indizione di una conferenza decisoria facoltativa – della trasmissione (nei trenta giorni finora previsti) da parte di altra amministrazione di un atto che sia (non già di assenso bensì) di dissenso. Del pari è soppressa la previsione finora vigente della indicibilità (facoltativa) di una conferenza decisoria in assenza di determinazioni (sempre nei trenta giorni, fossero esse di assenso o dissenso) da parte delle altre amministrazioni, nel caso all'amministrazione procedente fosse egualmente consentito di provvedere. In breve, lo schema pare voler più nettamente demarcare una distinzione tra conferenza istruttoria e decisoria, e voler «flessibilizzare» la prima, quanto a modalità di svolgimento; snellire la seconda (con la «decurtazione» dei trenta giorni), centrandola altresì maggiormente sulla decisione ultima (donde la soppressione della conferenza decisoria facoltativa, se «interna»). Viene mantenuta la conferenza decisoria «esterna», ossia da indire quando l'attività del privato sia subordinata a distinti atti di assenso di competenza di diverse amministrazioni pubbliche. Viene mantenuta, per tal tipo di conferenza decisoria, la previsione che sia il privato a poter fare richiesta della sua convocazione. La convocazione spetta ad «una delle amministrazioni competenti»: in tal modo viene modificata la disposizione vigente, la quale invece imputa la convocazione all'amministrazione competente per l'adozione del provvedimento finale.
  La conferenza preliminare può essere indetta – è dunque facoltativa, discrezionale, per l'amministrazione competente – quando abbia ad oggetto: istanze o progetti preliminari, di particolare complessità; insediamenti produttivi di beni e servizi. Il carattere «preliminare» si deve alla particolare complessità progettuale ed importa un carattere non decisorio di tale conferenza, ancorché in essa emergano le condizioni alle quali le amministrazioni poi rilascino gli atti di assenso. Per questo riguardo, la conferenza preliminare può dirsi «predecisoria». Ne tratta, del novellato articolo 14 della legge n. 241 quale prospettato dallo schema in esame, il comma 3. Esso rifonde previsioni recate dall'articolo 14-bis quale sinora vigente. Immutato ne rimane l'oggetto (ricordato appena sopra) e l'attivazione dietro richiesta motivata dell'interessato, documentata («corredata», secondo la riformulazione operata dallo schema) dal progetto preliminare o, in assenza di questo, da uno studio di fattibilità. Del pari immutato rimane il termine di svolgimento: trenta giorni dalla richiesta. Ed immutato (oltre all'imputazione degli oneri a carico del richiedente) è il carattere di verifica – antecedente alla presentazione di un'istanza o di un progetto definitivi – delle condizioni per ottenere gli atti di assenso all'istanza o progetto definitivi. Così come rimane immutata la previsione di una modificabilità o integrabilità delle indicazioni fornite in conferenza preliminare, solo se siano emersi successivamente elementi significativi (anche a seguito delle osservazioni sul progetto definitivo rese dagli «interessati» – laddove il testo finora vigente menziona «i privati»). Allorché si tratti di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico (anche di origine privata, in questo secondo caso, dunque), la conferenza preliminare si esprime necessariamente sul progetto preliminare. Il suo vaglio è volto ad indicare le condizioni di concedibilità degli atti di assenso. Senza modifiche è dunque qui riprodotto il primo periodo del comma 2 dell'articolo 14-bis della legge n. 241. Si segnala che l'articolo 23 del decreto legislativo n. 50 del 2016, che reca il nuovo Codice dei contratti pubblici, ridefinisce i livelli della progettazione, articolandoli in progetto di fattibilità tecnica ed economica, progetto definitivo ed esecutivo, e non facendo più riferimento al progetto preliminare. Andrebbe, pertanto, verificato il contenuto della disposizione in commento alla luce della nuova disciplina (in tal senso si è espresso anche il parere del Consiglio di Stato). Non è di contro riprodotto – sempre in caso di realizzazione di opere pubbliche o di interesse pubblico – il secondo e terzo periodo di quel medesimo comma 2. Scompare dunque la specifica Pag. 33previsione che le amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute si pronuncino sulle soluzioni progettuali adottate e indichino entro quarantacinque giorni (un termine dunque superiore, rispetto ai trenta giorni della ordinaria conferenza preliminare) le condizioni e gli elementi necessari per ottenere gli atti di consenso sul progetto definitivo – sempre che non emergano, sulla base della documentazione disponibile, elementi comunque preclusivi alla realizzazione del progetto. Neppure è riprodotta la previsione finora vigente per la conferenza relativa ad opere pubbliche e di interesse pubblico, secondo cui il responsabile unico del procedimento trasmette alle amministrazioni interessate il progetto definitivo, redatto sulla base delle condizioni da loro indicate nella conferenza sul progetto preliminare, e convoca una nuova conferenza fra il trentesimo e il sessantesimo giorno dalla trasmissione. E se si tratti di affidamento mediante appalto concorso o concessione di lavori pubblici, l'amministrazione aggiudicatrice convoca la conferenza sulla base del solo progetto preliminare. Tali previsioni, recate dal comma 5 dell'articolo 14-bis della legge n. 241 quale finora vigente, non ricompaiono nello schema.
  Quanto alla conferenza su progetto sottoposto a valutazione di impatto ambientale, si tratta di una conferenza cui viene riconosciuta – dal comma 4 del novellato articolo 14 della legge n. 241 quale prospettato dallo schema – una sua specificità. Essa interviene ove si abbia un progetto sottoposto a VIA, per la realizzazione del quale siano necessari autorizzazioni, intese, concessioni, licenze, pareri, nullaosta, assensi comunque denominati. In tali casi la norma prevede lo svolgimento obbligatorio della conferenza di servizi prevista dalla normativa sulla VIA all'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006. La conferenza di servizi diviene quindi, in tale caso il luogo necessitato, e non più facoltativo, di acquisizione di tutti gli assensi necessari. Viene infatti eliminata (da parte dell'articolo 5 dello schema in esame) la parte del citato comma 3 dell'articolo 25 ove si reputava solamente «eventuale» lo svolgimento della conferenza di servizi. La conferenza sul progetto sottoposto a VIA è convocata – prevede lo schema – in modalità sincrona (disciplinata dal novellato articolo 14-ter). Essa è indetta entro 10 giorni dalla verifica documentale, condotta dall'amministrazione competente, circa la completezza della documentazione ed il pagamento degli oneri istruttori, da parte del proponente. È così introdotto un termine specifico per l'indizione di questa conferenza, laddove la norma vigente prevede un termine specifico solo per la previa verifica documentale (termine, questo, pari a trenta giorni, ai sensi dell'articolo 23, comma 4 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006). Il termine di conclusione dei lavori della conferenza è il medesimo previsto (dall'articolo 26, comma 1 del decreto legislativo n. 152) per la conclusione del procedimento, vale a dire 150 giorni dalla presentazione dell'istanza. Rispetto alla disciplina vigente (la quale configura la conferenza in questione come «specie» della conferenza preliminare), lo schema in esame configura la conferenza di servizi per progetti sottoposto a VIA come una conferenza decisoria. Il comma in esame mantiene ferme le disposizioni vigenti per i procedimenti relativi a progetti sottoposti a VIA di competenza statale, nonché la speciale disciplina della conferenza di servizi in materia di VIA per le infrastrutture strategiche. Si fa notare che nel nuovo testo degli articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990 previsto dallo schema in esame, il comma 4 in esame rimane l'unica disposizione finalizzata a disciplinare lo svolgimento della conferenza di servizi nei casi di progetti sottoposti a VIA. Non vengono infatti riprodotte nello schema in esame le disposizioni del vigente comma 3 dell'articolo 14-bis, che disciplinano la conferenza di servizi preliminare nell'ambito della VIA, nonché quelle dei commi 4, 4-bis, 5 e 6-bis del testo vigente dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1190, che disciplina i lavori della conferenza di servizi. Pag. 34Per comprendere il senso delle disposizioni del comma in esame, anche alla luce della mancata riproduzione delle norme testé ricordate, occorre svolgere un'articolata analisi del complesso delle disposizioni, facendo emergere quanto evidenziato nella relazione illustrativa e nei pareri espressi, in particolare dal Consiglio di Stato. La relazione illustrativa sottolinea che la finalità della norma in esame è quella di «stabilire un coordinamento tra il procedimento finalizzato al rilascio del provvedimento autorizzatorio comunque denominato per l'esercizio di un'attività o la realizzazione di un impianto e quello relativo al giudizio di compatibilità ambientale che deve esprimersi sul relativo progetto. La nuova formulazione prevede l'integrazione dei procedimenti, attraverso l'indizione da parte dell'amministrazione competente al rilascio della VIA di un'unica conferenza di servizi dal carattere decisorio. In questo modo il giudizio di compatibilità ambientale espresso a seguito dei lavori della conferenza andrà a sostituire tutti gli atti di assenso».
  Il Consiglio di Stato, nell'esame della norma in commento, comincia dalla parte della disposizione ove si stabilisce che «restano ferme le disposizioni per i procedimenti relativi a progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale». Secondo il Consiglio di Stato tale disposizione va letta nel senso di limitare l'ambito di applicazione del comma 4 in esame alle sole procedure di VIA di competenza regionale e, di conseguenza, invita il Governo a valutare la possibilità di estendere l'applicabilità del comma 4 a tutte le procedure di VIA, ivi comprese quelle statali. Il medesimo Consiglio giudica opportuno un intervento sulla norma anche alla luce del fatto che «non si comprende bene quali siano le disposizioni relative alla VIA statale che restano ferme, in quanto parte di esse è contenuta proprio nell'attuale articolo 14-ter, che si va a sostituire integralmente». Andrebbe, peraltro, considerato che la disposizione in esame rende in generale obbligatoria la conferenza prevista dal comma 3 dell'articolo 25 del decreto legislativo n. 152 del 2006. La clausola di salvaguardia in oggetto, pertanto, potrebbe essere finalizzata a garantire l'applicazione della disciplina in materia di VIA contenuta nella parte seconda del Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006), essendo questa attuativa della corrispondente disciplina dell'UE.
  Il Consiglio di Stato si sofferma inoltre, sulla mancata riproposizione, nello schema in esame, delle disposizioni dettate dai commi 4, 4-bis e 5 del testo vigente dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1190, che, ad avviso del Consiglio, delineano un meccanismo chiaro ed efficace sotto almeno quattro profili: nel «far confluire le procedure di VIA e di valutazione ambientale strategica (VAS) all'interno della conferenza di servizi (secondo il principio secondo cui «se la VIA non interviene nel termine previsto per l'adozione del relativo provvedimento, l'amministrazione competente si esprime in sede di conferenza di servizi», riferibile certamente anche alla VIA statale)». Al riguardo, andrebbe, peraltro, considerato che la nuova disciplina configurata dallo schema in esame sembra prevedere un'integrazione tra il procedimento di VIA e quello principale, mentre l'attuale comma 4 dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990 parrebbe applicabile nell'ambito di una conferenza di servizi «a valle» del procedimento di VIA (la norma prevede che «la conferenza di servizi si esprime dopo aver acquisito la valutazione medesima»). Occorre altresì ricordare i poteri sostitutivi previsti dall'articolo 26, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in caso di mancata emanazione nei termini del provvedimento di VIA, che vengono richiamati dal comma 6-bis del testo vigente dell'articolo 14-ter; nel semplificare una fase del procedimento «nei casi in cui l'intervento oggetto della conferenza di servizi è stato sottoposto positivamente a VAS, i relativi risultati e prescrizioni devono essere utilizzati, senza modificazioni, ai fini della VIA» (comma 4-bis dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990). Andrebbe, peraltro, in proposito considerato che l'integrazione dei procedimenti Pag. 35di VIA e VAS è prevista dalla parte seconda del decreto legislativo n. 152 del 2006. In particolare si ricorda l'articolo 10, comma 5, secondo cui nel corso della redazione dei progetti e nella fase della loro valutazione, sono tenute in considerazione la documentazione e le conclusioni della VAS, e l'articolo 19, comma 2, secondo cui per i progetti inseriti in piani o programmi per i quali si è conclusa positivamente la procedura di VAS, il giudizio di VIA negativo ovvero il contrasto di valutazione su elementi già oggetto della VAS è adeguatamente motivato; nel prevedere che «per assicurare il rispetto dei tempi, l'amministrazione competente al rilascio dei provvedimenti in materia ambientale può far eseguire anche da altri organi dell'amministrazione pubblica o enti pubblici dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero da istituti universitari tutte le attività tecnico-istruttorie non ancora eseguite. In tal caso gli oneri economici diretti o indiretti sono posti a esclusivo carico del soggetto committente il progetto» (comma 4 dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990). Il Consiglio di Stato osserva in proposito che «non si comprende perché debba venir meno la possibilità che l'amministrazione possa far eseguire le attività istruttorie da altri organismi – ad es. gli istituti universitari – ponendo i relativi oneri a carico del richiedente che vi consenta». In proposito, andrebbe, peraltro, considerato che l'attuale formulazione del comma 4 dell'articolo 14-ter sembra consentire all'amministrazione di far eseguire l'istruttoria a terzi, addebitando i costi al committente; nel chiarire che «nei procedimenti relativamente ai quali sia già intervenuta la decisione concernente la VIA, all'amministrazione dell'ambiente non possono più applicarsi le disposizioni sul dissenso qualificato (che difatti si applicano alle sole amministrazioni preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico e della pubblica incolumità)». In proposito, una prima dottrina evidenzia che la mancata riproduzione della disposizione di cui all'articolo 14-ter, comma 5, versione attualmente vigente, secondo cui, in caso di VIA positiva «a monte» del procedimento, nella conferenza «a valle» i dissensi espressi in materia di tutela del paesaggio non possono essere più riproposti: e ciò dal momento che la VIA assorbe anche simili valutazioni, potrebbe rivelarsi di un certo peso, atteso che il nuovo articolo 14, comma 4, fa salvi i procedimenti statali in merito alla persistente distinzione tra procedimento VIA (svolto presso la commissione statale che opera al Ministero Ambiente) e procedimento autorizzatorio che si effettua successivamente, ossia una volta acquisita la VIA, di solito presso il Ministero sviluppo economico (es. rigassificatori, metanodotti, centrali elettriche, perforazioni marine per ricerca petrolio, etc.) o infrastrutture. In tal caso, pertanto, la clausola in base alla quale «restano ferme le disposizioni per i procedimenti relativi a progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale», per la quale si è sopra rilevata la necessità di un chiarimento circa la portata, è interpretata quale salvaguardia dei procedimenti in corso. Oltre alle osservazioni sulla clausola che mira a lasciar ferme «ferme le disposizioni per i procedimenti relativi a progetti sottoposti a valutazione di impatto ambientale di competenza statale», andrebbe chiarito il significato dell'ulteriore clausola di salvaguardia contenuta nel comma in esame, che lascia ferma «la speciale disciplina della conferenza di servizi in materia di valutazione di impatto ambientale per le infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale e per gli insediamenti produttivi».
  Il Consiglio di Stato osserva che il richiamo alla speciale disciplina della conferenza di servizi in materia di VIA per le opere strategiche non appare corretto, essendo «in via di superamento normativo», poiché «lo schema del nuovo Codice degli appalti pubblici e dei contratti di concessione (articolo 200 e seguenti) mira a superare espressamente la normativa speciale in tema di grandi opere anche per quanto riguarda la procedura di VIA (conformemente, del resto alla legge di delega n. 11 del 2016, articolo 1, comma 1, lettera sss)».Pag. 36
  Quanto al nuovo articolo 14-bis della legge n. 241, l'intestazione è: «conferenza semplificata». Questo articolo novellato disciplina l'organizzazione dei lavori della conferenza decisoria – e di quella istruttoria, qualora per quest'ultima l'amministrazione procedente non abbia definito modalità di svolgimento diverse (così, mediante rinvio, prevede per la conferenza istruttoria il novello articolo 14, comma 1, innanzi sunteggiato). L'articolo 14-bis dello schema rifonde alcune disposizioni dell'articolo 14-ter della legge n. 241 quale finora vigente (lo «slittamento» di numerazione a 14-bis nello schema si ha perché l'articolo 14-bis della legge n. 241 quale finora vigente, relativo alla conferenza preliminare, è rifuso nello schema entro l'articolo 14, e dunque qui scompare quale articolo autonomo). Lo snellimento è perseguito lungo alcune direttrici, corrispondenti ad altrettanti criteri di delega resi dalla legge n. 124 del 2015: riduzione dei termini per la convocazione, per l'acquisizione degli atti di assenso previsti, per l'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento; semplificazione dei lavori – anche attraverso un obbligo di convocazione e svolgimento con strumenti informatici o con l'istruttoria da parte dell'amministrazione procedente condotta in modalità telematica asincrona (rispettivamente lettere c) ed h) dell'articolo 2, comma 1 della legge delega n. 124). Ebbene, il comma 1 del novellato articolo 14-bis prevede che la conferenza decisoria si svolga in forma semplificata e in modalità asincrona. Solo per alcuni casi di maggiore complessità, la conferenza si svolge in modalità sincrona (ne trattano i commi 6 e 7).
  Le comunicazioni avvengono (esclusivamente) mediante utilizzo di posta elettronica o in cooperazione applicativa. È previsto – dal comma 2 – un termine per la indizione della conferenza semplificata, pari a cinque giorni (decorrenti dall'inizio del procedimento d'ufficio o, se il procedimento è di iniziativa di parte, dal ricevimento della domanda). Nella disciplina vigente invece il termine previsto è per la prima riunione (non l'indizione, dunque) della conferenza, ed è termine più esteso: quindici giorni (che divengono trenta giorni nei casi di maggiore complessità). Sono soppressi (rispetto al testo dell'articolo 14-ter finora vigente) il termine di necessario preavviso (cinque giorni) per la prima riunione nonché la possibilità per le amministrazioni di ’contrattare’ una nuova data per la prima riunione, e per l'amministrazione dei beni culturali di ottenere una posticipazione di essa. In breve, telematizzazione e asincronia portano a superare le norme attualmente vigenti della legge n. 241 che disciplinano puntualmente le procedure e i termini per la convocazione della riunione (suo articolo 14-ter, comma 2). Della legge n. 241, peraltro, è soppresso altresì l'obbligo (introdotto dal legislatore del 2009) di convocazione in seno alla conferenza dei soggetti (senza diritto di voto) proponenti il progetto (è l'attuale comma 2-bis dell'articolo 14-ter). Dalle disposizioni ora illustrate sembra, pertanto, che nella nuova disciplina della conferenza semplificata assuma valore centrale il principio di speditezza e certezza della decisione. Non è riprodotta la previsione del vigente articolo 14-ter, comma 2-ter, in base alla quale è possibile (non obbligatoria) la partecipazione (senza diritto di voto) dei concessionari e dei gestori di pubblici servizi, ove il procedimento amministrativo o il progetto dedotto in conferenza implichi loro adempimenti o avesse effetto, diretto o indiretto, sulle loro attività.
  Si è ricordato, per quanto riguarda i «gestori di beni o servizi pubblici», come essi siano (dall'articolo 14, comma 2, dello schema) annoverati tra le «altre amministrazioni», partecipanti alla conferenza decisoria. Parrebbe però differente l'ambito della previsione partecipativa – si noti, senza diritto di voto – prevista dal comma 2-ter dell'articolo 14-ter finora vigente, con quello «inclusivo» del novello articolo 14, comma 2 or citato. È soppressa altresì la previsione dell'ultimo periodo del medesimo comma 2-ter, circa la partecipazione in conferenza, del pari senza diritto di voto, anche delle amministrazioni preposte alla gestione di eventuali Pag. 37misure pubbliche di agevolazione. L'organizzazione dei lavori è imputata all'amministrazione procedente anziché all'auto-determinazione della conferenza medesima. È dunque l'amministrazione procedente che comunica – oltre all'oggetto della determinazione da assumere, all'istanza con la relativa documentazione, oppure le credenziali per l'accesso telematico a quanto sia utile ai fini dello svolgimento del procedimento (così, con maggior puntualità e specificazione rispetto alla disciplina vigente, ancora il comma 2) – il termine (tassativo, non superiore a quindici giorni) entro cui le amministrazioni coinvolte possano chiedere integrazioni documentali e chiarimenti non desumibili da documenti già in possesso dell'amministrazione né «direttamente acquisibili» presso altre pubbliche amministrazioni. La disciplina finora vigente prevede che tale richiesta di informazioni e dati possa essere mossa una volta sola dall'amministrazione. La previsione non è riprodotta nello schema, che privilegia la perentorietà del termine. Soprattutto, non già frutto di codeterminazione da parte delle amministrazioni partecipanti in conferenza bensì di esclusiva determinazione da parte dell'amministrazione procedente è la fissazione del termine («perentorio», non superiore a quarantacinque giorni) perché le amministrazioni coinvolte esprimano le loro determinazioni (in assenza delle quali, si dà per acquisito il loro silenzio-assenso). A tale termine per l'espressione delle altrui determinazioni, si riconnette il termine (i successivi cinque giorni) di conclusione del procedimento, da parte dell'amministrazione procedente mediante la determinazione motivata di conclusione della conferenza (la quale determinazione «sostituisce» il provvedimento, o il suo diniego).
  Pertanto, lo svolgimento della conferenza (che è in modalità asincrona) può protrarsi per un massimo di sessantacinque giorni, termine ultimo per la determinazione motivata di sua conclusione. È lasso temporale considerato dal momento dell'inizio del procedimento o del ricevimento della domanda in caso di procedimento ad istanza di parte. Se si tiene conto del termine di indizione (cinque giorni), si ha che l'ordinario svolgimento del ciclo decisionale in conferenza di servizi sia delimitato nel perimetro di settanta giorni. Di contro, la disciplina vigente stabilisce un termine per la prima riunione, che può dilatarsi fino a quindici giorni (o trenta giorni su richiesta di autorità di tutela del patrimonio culturale); e prevede un termine per i lavori in conferenza, fino a novanta giorni. Si tratta dunque di un lasso temporale più ampio, che lo schema riduce (secondo principio presente nella legge delega). Peraltro, è mantenuto un termine di novanta giorni per l'espressione delle determinazioni delle amministrazioni coinvolte, quando queste siano preposte alla tutela degli interessi ’sensibili’ (ossia tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salite dei cittadini).
  I commi 3 e 4 hanno per oggetto la formulazione del dissenso in conferenza. Viene ribadito il principio che il dissenso trovi nella conferenza l'unico «luogo» di espressione (salva la tutela giurisdizionale con l'impugnazione). Una espressione del dissenso successiva ad essa (cd. dissenso «postumo») permane preclusa. L'amministrazione che taccia (o non si esprima nel termine assegnato) è intesa come assenziente, incondizionatamente – salvo il caso che la normativa europea prescriva l'adozione di provvedimenti espressi (è ora introdotto come specificazione). Viene ribadito che il dissenso debba essere collaborativo e propositivo, vale a dire congruamente motivato (tale deve essere anche l'assenso invero, secondo lo schema) e con indicazione delle condizioni per il suo superamento. Siffatta indicazione (introduce come previsione lo schema) deve risultare chiara e analitica, e specificare se sia attinente ad un vincolo normativo ovvero ad una valutazione discrezionale per la miglior tutela dell'interesse pubblico. Il silenzio assenso si ha quando l'amministrazione non si esprima, o non lo faccia entro il termine perentorio assegnato, o non motivi congruamente, o non indichi (ed in modo chiaro e analitico) le Pag. 38condizioni e modifiche per il venir meno del dissenso. Restano ferme le responsabilità dell'amministrazione, e dei dipendenti al suo interno verso essa, per l'assenso reso (quale ne sia la forma di espressione) o per la mancata espressione di dissenso. Siffatta previsione riprende quanto introdotto nel 2010 nell'articolo 14-ter, comma 6-bis della legge n. 241.
  In materia di silenzio assenso, criterio direttivo della delega (articolo 2, comma 1, lettera g)) è la previsione che si consideri comunque acquisito l'assenso delle amministrazioni che entro il termine dei lavori della conferenza non si siano espresse nelle forme di legge. La fattispecie è «coperta» – per il caso non già di dissenso espresso da altra amministrazione interessata bensì di mancata espressione di un suo orientamento o volontà, sia essa di assenso o di dissenso – dall'articolo 14- ter, comma 7, finora vigente della legge n. 241, per un riguardo ossia l'effetto del silenzio. Quella disposizione ha reso generale una configurazione del silenzio quale silenzio-assenso ai fini (endoprocedimentali) dei lavori della conferenza (ossia: se l'amministrazione è silente, si considera acquisito il suo assenso) (e secondo l'articolo 14-quater, comma 1 finora vigente della legge n. 241, per converso, perché il dissenso abbia rilevanza nel procedimento, esso deve essere manifestato, appunto in sede di conferenza).
  Si ricorda che l'articolo 14-ter, comma 7, finora vigente espressamente esclude dal silenzio assenso i provvedimenti di VIA, VAS e AIA. Lo schema in esame, invece, sembra ricondurre entro il perimetro del silenzio assenso non il provvedimento definitivo di VIA, VAS o AIA, bensì l'espressione di pareri all'interno della Conferenza di servizi nell'ambito di un procedimento di VIA, VAS o AIA, che dovrà comunque terminare con un provvedimento espresso, in linea con le disposizioni normative nazionali ed europee di settore e con il disposto dell'articolo 20 della legge n. 241 del 1990 e con il comma 4 in esame, ove si fanno salvi «i casi in cui disposizioni del diritto dell'Unione europea richiedono l'adozione di provvedimenti espressi. Il criterio di delega sul silenzio assenso (nella disposizione citata della legge delega n. 124) investe anche le amministrazioni preposte alla tutela della salute, del patrimonio storico-artistico, dell'ambiente. Peraltro, per i procedimenti ad istanza di parte l'articolo 20 della legge n. 241 prevede che le disposizioni lì contenute sul silenzio assenso non si applichino agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, l'ambiente, la tutela dal rischio idrogeologico, la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l'immigrazione, l'asilo e la cittadinanza, la salute e la pubblica incolumità. Parrebbe suscettibile di approfondimento quale raccordo si instauri tra la disciplina del silenzio assenso che si verrebbe ad introdurre con lo schema, e la disciplina dettata dall'articolo 20 della legge n. 241. In particolare, sembrerebbe che l'articolo 14-bis in esame riguardi le determinazioni nell'ambito della conferenza di servizi, mentre l'articolo 20 il provvedimento finale destinato al soggetto che ha presentato l'istanza di autorizzazione. Scaduto il termine (massimo quarantacinque giorni) per l'espressione da parte delle amministrazioni coinvolte delle loro determinazioni, l'amministrazione adotta (entro il termine di cinque giorni) la decisione definitiva – o più esattamente, la «determinazione motivata di conclusione del procedimento», la quale vale da momento terminale della conferenza e da provvedimento conclusivo. Siffatta determinazione – prevede il comma 5 – è positiva, allorché siano stati acquisiti gli atti di assenso non condizionato (anche nella forma di silenzio-assenso) oppure siano state ricevute indicazioni, quali condizioni dell'assenso, accoglibili (sentiti i privati e le altre amministrazioni interessate) senza mutare in modo sostanziale la decisione oggetto della conferenza. La determinazione di conclusione del procedimento è invece negativa, quando siano stati acquisiti atti di dissenso non superabili, ad avviso dell'amministrazione procedente. Fuori dell'assenso incondizionato o del dissenso insuperabile raccolti in conferenza semplificata, che fungono da presupposto per la conclusione Pag. 39dei lavori in conferenza nonché del procedimento, l'amministrazione procedente deve procedere alla convocazione di una conferenza simultanea (oggetto della disciplina del successivo novello articolo 14-ter). Dunque quando la conferenza «semplificata» non giunga ad univoca ed inequivoca determinazione, essa immette su una conferenza «simultanea», da svolgersi entro dieci giorni dallo scadere del ricordato termine (massimo quarantacinque giorni) previsto per la comunicazione delle proprie determinazioni da parte delle amministrazioni coinvolte. Così il comma 6. È, questa, una conferenza «simultanea» obbligatoria. Ed è «appendice» dei lavori della conferenza «semplificata».
  La conferenza «simultanea» è di contro facoltativa, ed alternativa a quella «semplificata», allorché l'amministrazione procedente – è quanto prevede il comma 7 – ritenga da subito la determinazione da assumere di particolare complessità, ovvero ne sia richiesta motivatamente dalle altre amministrazioni o dal privato interessato. In tali casi, i medesimi termini previsti per lo svolgimento della conferenza «semplificata» si applicano alla conferenza «simultanea». Il nuovo articolo 14-ter della legge n. 241. L'intestazione dell'articolo è: «conferenza simultanea». Se tratto connotante della conferenza semplificata è l'asincronia della partecipazione delle amministrazioni coinvolte; della conferenza «simultanea» è, invece, la sincronia e contestualità di tale partecipazione. Uno dei principi e criteri direttivi della legge delega (v. lettera i) dell'articolo 2, comma 1 della legge n. 124 del 2015) è dato del resto dalla differenziazione delle modalità di svolgimento dei lavori della conferenza di servizi, secondo il principio di «proporzionalità», con riunioni in presenza solo per i procedimenti complessi. La «presenza» peraltro può svolgersi anche in via telematica (così il comma 1 di questo articolo dello schema).
  La conduzione della conferenza ’a distanza’ mediante le tecnologie della comunicazione moderna ha fatto la sua comparsa con la legge del 2005, che ha previsto la convocazione e svolgimento avvalendosi degli strumenti informatici disponibili, previo accordo tra le amministrazioni coinvolte. La legge del 2009 ha ulteriormente novellato la legge n. 241, prevedendo che lo svolgimento possa avvenire per via telematica (cd. teleconferenza). I lavori della conferenza «simultanea» debbono concludersi entro quarantacinque giorni dalla data di riunione (non occorre ripetere ogni volta che rimane fermo il termine finale di conclusione del procedimento). Così il comma 2. La partecipazione di ciascuna amministrazione alla conferenza avviene mediante un unico rappresentante (comma 3). E prevede il comma 4 che qualora la partecipazione coinvolga amministrazioni sia statali sia non statali, le prime sono rappresentate da un unico soggetto, abilitato ad esprimere l'univoca definitiva posizione del complesso delle amministrazioni statali, che ne rimangono vincolate. Le amministrazioni preposte alla tutela degli interessi ’sensibili’ (beni culturali, ambiente, sanità, pubblica incolumità) rendono a tale rappresentante unico l'eventuale proprio dissenso. Il rappresentante unico è nominato (anche preventivamente, per materie o per lassi temporali) dal Presidente del Consiglio – o dal dirigente dell'ufficio territoriale del Governo quando «si tratti soltanto di amministrazioni periferiche». Anche la Regione o l'ente locale coinvolto partecipa con un rappresentante unico, secondo modalità di designazione (e di coinvolgimento degli enti ed organismi afferenti il proprio livello territoriale) autonomamente definite (comma 5).
  Siffatte previsioni vanno poste a fronte col criterio di delega posto dall'articolo 2 della legge n. 124 più volte citata, ove figura (suo comma 1, lettera e)) la previsione di una disciplina della partecipazione ai lavori della conferenza, finalizzata a: «garantire forme di coordinamento o di rappresentanza unitaria delle amministrazioni interessate»; «prevedere la partecipazione alla conferenza di un unico rappresentante delle amministrazioni statali designato, per gli uffici periferici, dal dirigente dell'ufficio territoriale dello Pag. 40Stato». Conclusi i lavori della conferenza «simultanea» (o spirato il termine, massimo di quarantacinque giorni, per il loro svolgimento), l'amministrazione procedente adotta la determinazione motivata di conclusione della conferenza, che vale provvedimento. Tale determinazione è assunta sulla base delle «posizioni prevalenti» espresse dai rappresentanti delle amministrazioni – specifica il comma 6. La legge delega infatti (articolo 2, comma 1, lettera l)) ha previsto una revisione dei meccanismi decisionali, con la previsione (a seguito del dibattito parlamentare, che ha inciso sull'originario disegno di legge) della prevalenza delle posizioni espresse. Si tratta di un profilo saliente quale il meccanismo di superamento dei dissensi – e tanto più rilevante, dopo che si è riconosciuta alla determinazione finale della conferenza valore provvedimentale. Ed invero, il principio di maggioranza fu previsto dal legislatore (con la rivisitazione condotta dalla legge n. 340 del 2000), talché si dispose che la determinazione di conclusione del procedimento dovesse avvenire sulla base della maggioranza delle posizioni espresse in sede di conferenza di servizi. Ma il legislatore del 2005 abrogò tale disposizione, talché il finora vigente articolo 14-ter, comma 6-bis (rivisitato altresì nel 2010) della legge n. 241 viene a prevedere che l'amministrazione procedente, conclusa la conferenza (o scaduti i termini), adotta (a meno che si tratti di VIA statale: ma su questo riguardo incide ora lo schema) la determinazione (motivata) «valutate le specifiche risultanze della conferenza e tenendo conto delle posizioni prevalenti espresse in quella sede».
  In altri termini, vige un principio di maggioranza «temperato», improntato non a criterio meramente numerico e quantitativo bensì al criterio della prevalenza, riferita alla rilevanza «qualitativa» delle attribuzioni di ciascuna amministrazione nella questione trattata in conferenza. In breve, l'indirizzo legislativo, acquisito dal 2005 ad oggi, pare teso ad un superamento della decisione meramente «a maggioranza». Ancora il comma 6 prevede che l'amministrazione che alla conferenza «simultanea» non partecipi, o non esprima la sua posizione, od ometta di motivare il suo dissenso, si intende aver reso un consenso incondizionato. Si ricorda in proposito che criterio direttivo di delega è la precisazione dei poteri dell'amministrazione procedente, «in particolare nei casi di mancata espressione degli atti di assenso ovvero di dissenso» (articolo 2, comma 1, lettera l) della legge n. 124. Il nuovo articolo 14-quater della legge n. 241 ha per oggetto la decisione della conferenza di servizi. Ribadisce il contenuto decisorio ed il valore provvedimentale della determinazione motivata di conclusione della conferenza (cfr. l'articolo 14- ter, comma 6-bis, finora vigente). La determinazione motivata di conclusione della conferenza pertanto sostituisce ad ogni effetto tutti gli atti di assenso di competenza delle amministrazioni – nonché dei gestori di beni e servizi interessati, specifica il comma 1. Il comma 2 vincola alla previa partecipazione alla conferenza (o comunque espressione nei termini) l'esperibilità per le amministrazioni dissenzienti di una richiesta (congruamente motivata) –«sollecitazione», nel testo della schema – all'amministrazione procedente di assumere determinazioni in via di autotutela (revoca od annullamento d'ufficio). Il comma 3 concerne l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza. Essa è immediata, in caso di approvazione unanime.
  Ove l'approvazione invece segua alla valutazione delle posizioni prevalenti ed all'espressione di dissensi qualificati, l'efficacia è sospesa, finché non risulti esperito il rimedio «compositorio» disciplinato dal novello articolo 14-quinquies. Quanto al nuovo articolo 14-quinquies della legge n. 241, esso ha per oggetto i rimedi per le amministrazioni dissenzienti. Si tratta dunque degli effetti del dissenso, espresso in conferenza da parte delle amministrazioni preposte alla tutela di interessi qualificati. Tali interessi sono – ribadendo la disposizione vigente, recata dall'attuale articolo 14-quater, comma 3 della legge n. 241 – la tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, Pag. 41del patrimonio storico-artistico, della salute, della «pubblica incolumità» (quest'ultima aggiunta dal legislatore nel 2005: donde, a seconda della concreta situazione, l'esprimibilità di dissenso qualificato da parte di forze di polizia, vigili del fuoco, protezione civile, eccetera). Ebbene, il comma 1 prevede che quelle amministrazioni, portatrici di un interesse riconosciuto dalla legge come particolarmente sensibile e qualificato, possano muovere opposizione (a condizione si siano già espresse, tempestivamente e con congrua motivazione, in sede di conferenza, emerge dall'insieme delle disposizioni dello schema) avverso la determinazione motivata di conclusione della conferenza. È introdotto il termine di dieci giorni (dall'adozione di quella determinazione motivata) perché l'opposizione sia esperibile. L'opposizione è indirizzata al Presidente del Consiglio e sospende l'efficacia della determinazione motivata di conclusione della conferenza (comma 3).
  Analoga opposizione (parrebbe di intendere, nel medesimo termine di dieci giorni) può essere espressa dalle Regioni e Province autonome – del pari a condizione che si siano già espresse con motivato dissenso nella conferenza (comma 2) –. Il Presidente del Consiglio, il quale riceve l'opposizione, non è organo decisorio bensì di impulso alla composizione degli interessi. Esso infatti indice – entro quindici giorni dalla ricezione dell'opposizione – una riunione cui partecipano le amministrazioni coinvolte nella precedente conferenza, in primis le amministrazioni dissenzienti. Nel principio di leale collaborazione, i partecipanti formulano proposte per conseguire una proposta condivisa. Se si raggiunga l'accordo, la soluzione rinvenuta è volta a sostituire a tutti gli effetti la determinazione motivata di conclusione della conferenza. Questo supplemento di comune vaglio e confronto di interessi – disciplinato dal comma 4 – può avere a sua volta una ulteriore «coda», allorché un accordo non sia raggiunto nella prima riunione, e nell'antecedente conferenza abbiano partecipato amministrazioni regionali o provinciali autonome. Ebbene, in tal caso può essere indetta – entro i successivi quindici giorni – una seconda riunione (comma 5). Nel caso in cui le riunioni conducano ad una intesa, essa forma il contenuto di una nuova determinazione motivata di conclusione della conferenza, da parte dell'amministrazione procedente. Qualora invece l'intesa non si consegua, viene ad attivarsi – entro i successivi quindici giorni – il «giudizio» ultimo sulla questione reso dal Consiglio dei ministri (il quale delibera con la partecipazione del Presidente della Regione o Provincia autonoma interessata).
  Ove il Consiglio dei ministri respinga l'opposizione, la determinazione motivata di conclusione della conferenza (che era rimasta sospesa nella sua efficacia, a seguito dell'opposizione) acquista efficacia in via definitiva. Il Consiglio dei ministri può comunque adottare una deliberazione «con contenuti prescrittivi», la quale sostituisce la determinazione di conclusione della conferenza. Così il comma 6. Le sue previsioni importano una riduzione dei tempi di svolgimento ed esaurimento della vicenda innescata dall'opposizione di un'amministrazione esprimente un dissenso qualificato.
  Figura tra i principi e criteri direttivi della delega recata dalla legge n. 124 del 2015 (suo articolo 2, comma 1, lettera o)) il coordinamento delle disposizioni generali dettate in materia di conferenza di servizi dalla legge n. 241 del 1990 (sono i suoi articoli 14, 14-bis, 14-ter, 14-quater e 14-quinquies) con la normativa di settore che preveda lo svolgimento della conferenza. Può valere ricordare come la normativa di settore talora faccia rinvio alle disposizioni della legge n. 241 – ciò che può dirsi avvenga per ambiti quali lavori pubblici (articolo 97 del decreto legislativo n. 163 del 2006, codice degli appalti), beni culturali e ambientali (articolo 25 del decreto legislativo n. 42 del 2004, codice dei beni culturali e del paesaggio), edilizia (articolo 5, comma 4 del testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001), espropriazioni (articoli 10 e 52-quater del testo unico di cui al Pag. 42Decreto del Presidente della Repubblica n. 327 del 2001), valorizzazione immobili pubblici (articolo 1 della legge n. 136 del 2001), insediamenti produttivi (articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 447 del 1988). Ma talora la normativa di settore pone previsioni a sé stanti, rispetto alla disciplina della conferenza posta dalla legge n. 241, in ambiti non marginali quali alcune procedure ambientali previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 (ad esempio circa le autorizzazioni relative ad impianti di smaltimento dei rifiuti), l'insediamento di grandi strutture di vendita (articolo 9 del decreto legislativo n. 114 del 1998), procedimenti autorizzatori relativi alle infrastrutture di comunicazione elettronica per impianti radioelettrici (articolo 87 del decreto legislativo n. 259 del 2003, codice delle comunicazioni elettroniche).
  Lo schema di decreto legislativo in esame pone specifiche previsioni di raccordo con la normativa di settore, per alcune materie. Si fa notare che l'articolo 27 del nuovo Codice dei contratti pubblici (decreto legislativo n. 50 del 2016) contiene una serie di richiami agli articoli vigenti della legge n.  241 del 1990, oggetto di modifica da parte dello schema in esame. In particolare il comma 3 dell'articolo 27 fa, ad esempio, riferimento al vigente comma 3-bis dell'articolo 14-bis, che però non trova corrispondenze nel nuovo testo previsto dallo schema in esame. Appare quindi necessario un intervento di coordinamento. Lo stesso dicasi per l'articolo 4, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013.
  L'articolo 2 reca una serie di modifiche al testo unico in materia edilizia (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001). Una prima modifica, prevista dal numero 1) della lettera a), prevede che lo sportello unico per l'edilizia (SUE), ai fini del rilascio del permesso di costruire, acquisisca necessariamente gli atti di assenso, comunque denominati, necessari ai fini della realizzazione dell'intervento edilizio, tramite conferenza di servizi. Viene infatti soppressa quella parte del comma 3 dell'articolo 5 del Testo unico sull'edilizia che consentiva allo sportello unico per l'edilizia, in alternativa all'espletamento di una conferenza di servizi, di provvedere all'acquisizione diretta.
  In proposito il Consiglio di Stato chiede di valutare se le modifiche apportate dall'articolo in esame risultino pienamente coerenti «con l'articolo 17-bis della legge n. 241 del 1990 (per come inserito dall'articolo 3, comma 1, della legge n. 124 del 2015). Più in dettaglio, si chiede di valutare se sia sempre indispensabile, anche sulla base del principio di economicità dell'azione amministrativa, indire una conferenza di servizi anche laddove si potrebbe fare applicazione del richiamato articolo 17-bis (in tema di silenzio assenso tra amministrazioni pubbliche, nonché tra amministrazioni pubbliche e gestori di beni o servizi pubblici)». Il successivo numero 2) della lettera a) sopprime quella parte della lettera g) del comma 3 che, in caso di dissenso manifestato dall'amministrazione preposta alla tutela dei beni culturali, rimanda alle disposizioni del Codice dei beni culturali (decreto legislativo n. 42 del 2004), e che quindi derogherebbe alla nuova disciplina introdotta dallo schema in esame, che detta specifiche disposizioni atte alla gestione delle situazioni in cui viene manifestato il dissenso da parte di una amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità.
  Il numero 1) della lettera b) interviene sulla parte del comma 3 dell'articolo 20 del Testo unico sull'edilizia (che disciplina il procedimento per il rilascio del permesso di costruire) relativa all'acquisizione degli atti di assenso e dei pareri necessari, rinviando alla nuova disciplina prevista dall'articolo 1 dello schema in esame. Le modifiche operate consistono in un adeguamento del Testo unico sull'edilizia alle nuove norme in esame, a cui viene fatto rinvio. Si osserva, in proposito, che andrebbe valutata l'esigenza di chiarire la ratio della soppressione anche delle parole «valutata la conformità del progetto Pag. 43alla normativa vigente», atteso che il rinvio a tale normativa sembrerebbe implicare valutazioni non inerenti alla procedura della conferenza di servizi, ma riguardanti la coerenza con la disciplina in materia edilizia.
  I successivi numeri 2) e 5) abrogano, rispettivamente, i commi 5-bis e 9 dell'articolo 20 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 che dettano disposizioni che si configurerebbero come derogatorie della nuova disciplina prevista dall'articolo 1 dello schema in esame. Il comma 5-bis disciplina infatti i casi in cui deve essere indetta la conferenza di servizi e le modalità per il suo svolgimento. Il successivo comma 9, invece, riguarda il caso di immobili sottoposti a vincoli di assetto idrogeologico, ambientali, paesaggistici o culturali, e disciplina, tra l'altro, la gestione del dissenso, eventualmente manifestato in conferenza di servizi. I numeri 3) e 4) apportano modifiche di coordinamento formale.
  L'articolo 3 dello schema reca modifiche alla disciplina sullo sportello unico per le attività produttive (SUAP), nella parte in cui su di essa impatta il meccanismo della conferenza di servizi.
  L'articolo 3 citato prevedeva che, in caso di diniego del titolo autorizzatorio richiesto mediante lo sportello unico, il privato potesse richiedere il ricorso alla conferenza di servizi di cui agli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tale facoltà, grazie al comma 1, viene meno mediante la soppressione del relativo periodo, all'interno della norma che autorizzava l'emanazione del regolamento n. 160. Ciò avviene in ragione delle novelle che il comma 2 apporta proprio all'articolo 7 del regolamento in questione (così determinandosi una intersecazione di disposizioni regolamentari e modificazioni di rango legislativo, così operando in maniera difforme rispetto a quanto stabilito dalla circolare per la formulazione tecnica dei testi legislativi, la quale dispone che «non si ricorre all'atto legislativo per apportare modifiche frammentarie ad atti non aventi forza di legge, al fine di evitare che questi ultimi presentino un diverso grado di «resistenza» ad interventi modificativi successivi).
  Come esso è attualmente strutturato, il SUAP, verificata la completezza della documentazione, entro trenta giorni adotta il provvedimento conclusivo (decorso il termine di 30 giorni o quelli più brevi previsti da leggi regionali) ovvero indice una conferenza di servizi. Quando è necessario acquisire intese, nulla osta, concerti o assensi di diverse amministrazioni pubbliche, il responsabile del SUAP può indire una conferenza di servizi ai sensi e per gli effetti previsti dagli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241, ovvero dalle altre normative di settore.
  A fronte di quest'indizione facoltativa, già attualmente era previsto l'obbligo di convocare conferenza di servizi nel caso in cui i procedimenti necessari per acquisire le suddette intese, nulla osta, concerti o assensi abbiano una durata superiore ai novanta giorni ovvero nei casi previsti dalle discipline regionali. Le novelle apportate rendono invece sempre obbligatoria l'indizione della conferenza, quando non si versa nel caso di adozione del provvedimento conclusivo. Viene quindi meno la possibilità che essa derivi dall'istanza del soggetto interessato o dell'Agenzia e la casistica prima derogatoria ora confluisce nella nuova disciplina generale; nella stessa logica, si dispone anche l'abrogazione della norma secondo cui tutti gli atti istruttori e i pareri tecnici richiesti sono comunicati in modalità telematica dagli organismi competenti al responsabile del SUAP. Infine, l'assunzione del provvedimento conclusivo del procedimento – che è, ad ogni effetto, titolo unico per la realizzazione dell'intervento e per lo svolgimento delle attività richieste – dovrà avvenire nei termini di cui all'intera disciplina della conferenza di servizi (e quindi degli articoli da 14 a 14-quinquies della legge 7 agosto 1990, n. 241).
  L'articolo 4 reca due modifiche puntuali alle norme in materia di conferenza di servizi contenute all'interno della disciplina dell'AUA (autorizzazione unica ambientale) Pag. 44dettata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013. La lettera a) prevede una modifica consequenziale alle disposizioni correttive dettate dall'articolo 3 in merito allo SUAP, che rende obbligatoria, e non più solo eventuale, l'indizione della conferenza di servizi. La lettera in esame, pertanto elimina la parte del comma 4 dell'articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013, che fa salva la facoltà di indire la conferenza di servizi prevista per le determinazioni dello SUAP, essendo tale ultima conferenza divenuta obbligatoria. La lettera b) sopprime invece l'ultimo periodo del comma 5 dell'articolo 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013, che contiene norme che derogano alla disciplina generale in materia di conferenza di servizi al fine di consentire ai soggetti competenti in materia ambientale di esprimere parere positivo anche senza intervenire alla conferenza di servizi, tramite la semplice trasmissione dei relativi atti di assenso.
  Tale periodo prevede infatti che i soggetti competenti in materia ambientale, che esprimono parere positivo, possono non intervenire alla conferenza di servizi e trasmettere i relativi atti di assenso, dei quali si tiene conto ai fini della individuazione delle posizioni prevalenti per l'adozione della determinazione motivata di conclusione del procedimento. Si fa notare che l'articolo 4, comma 5, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 59 del 2013 contiene, nella parte non abrogata, riferimenti ai commi 6-bis e 8 dell'articolo 14-ter della legge n. 241 del 1990, che non sembrano trovare corrispondenza nel nuovo testo del citato articolo previsto dallo schema in esame. Appare quindi opportuno valutare l'esigenza di un intervento di coordinamento.
  L'articolo 5 reca alcune modifiche puntuali alle norme in materia di conferenza di servizi contenute all'interno del cd. Codice dell'ambiente (decreto legislativo n. 152 del 2006). Le lettere a), b) e d) recano modifiche di coordinamento formale, mentre la lettera c) contiene una modifica finalizzata ad adeguare la disposizione dettata dall'articolo 25, comma 3, del Codice, al nuovo dettato dell'articolo 14, comma 4, della legge n. 241 del 1990 previsto dallo schema in esame. Tale comma 4 prevede infatti che la conferenza di servizi di cui all'articolo 25, comma 3, del Codice, debba sempre essere svolta. Di conseguenza viene abrogata quella parte del citato comma 3 che configura come «eventuale» tale conferenza di servizi. Si rinvia per approfondimenti al commento relativo al comma 4 dell'articolo 14 introdotto dall'articolo 1 del presente schema.
  L'articolo 6 contiene alcune disposizioni atte a coordinare le disposizioni dei nuovi articoli 14 e seguenti della legge n. 241 del 1990, introdotti dallo schema in esame, con le disposizioni in materia di autorizzazione paesaggistica contenute nell'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio). Il comma 1 prevede che, nel caso di conferenza di servizi indetta per interventi che richiedono l'autorizzazione paesaggistica, l'amministrazione procedente effettua la comunicazione prevista dall'articolo 14-bis, comma 1, della legge n. 241 del 1990 (con la quale viene comunicata alle amministrazioni interessate l'indizione della conferenza, il relativo oggetto e i termini della medesima): all'amministrazione competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica, se diversa dall'amministrazione procedente; e anche al sovrintendente che deve esprimere il parere previsto dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Il comma 2 disciplina il caso in cui l'amministrazione procedente sia competente al rilascio dell'autorizzazione paesaggistica. In tal caso viene stabilito che la documentazione richiesta dall'articolo 14-bis, comma 2, lettera a), della legge n. 241 del 1990, per l'espletamento della conferenza di servizi, include la relazione tecnica illustrativa e la proposta di provvedimento da trasmettere al soprintendente ai sensi dell'articolo 146, comma 7, del decreto legislativo n. 42 del 2004.
  Il comma 3 è finalizzato a garantire il rispetto del termine, stabilito dal Codice dei beni culturali e del paesaggio, per Pag. 45l'espressione del parere da parte del sovrintendente. Il comma in esame stabilisce infatti che, nell'ambito della conferenza di servizi, come disciplinata dalle nuove norme previste dallo schema in esame, il sovrintendente esprime comunque il proprio parere (previsto dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004) entro il termine fissato dall'articolo 14-bis, comma 2, lettera c), della legge n. 241 del 1990), che in questo caso non può essere inferiore a 45 giorni. In pratica, quindi, l'amministrazione procedente che trasmette la comunicazione dovrà fissare il citato termine nell'intervallo compreso tra un minimo di 45 giorni e un massimo di 90 giorni. Il termine di 45 giorni è infatti previsto dall'articolo 146, comma 8, del decreto legislativo n. 42 del 2004, secondo cui il soprintendente rende il proprio parere (limitatamente alla compatibilità paesaggistica del progettato intervento nel suo complesso ed alla conformità dello stesso alle disposizioni contenute nel piano paesaggistico ovvero alla specifiche prescrizioni d'uso) entro il termine di 45 giorni dalla ricezione degli atti.
  L'articolo 14-bis, come riscritto dall'articolo 1 dello schema in esame stabilisce che, nell'indire la conferenza di servizi, l'amministrazione procedente comunica alle altre amministrazioni interessate «il termine perentorio, comunque. non superiore a quarantacinque giorni, entro il quale le amministrazioni coinvolte devono rendere le proprie determinazioni relative alla decisione oggetto della conferenza, fermo restando l'obbligo di rispettare il termine finale di conclusione del procedimento. Se tra le suddette amministrazioni vi sono amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, dei beni culturali e della salute dei cittadini, ove disposizioni di legge o i provvedimenti di cui all'articolo 2 non prevedano un termine diverso, il suddetto termine è fissato in novanta giorni» (lettera c) del comma 2). Si richiama in proposito l'osservazione del Consiglio di Stato, secondo cui la norma in esame dovrebbe «essere coordinata con quanto disposto dall'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004, laddove si prevede che il soprintendente renda il parere entro il termine di quarantacinque giorni dalla ricezione degli atti (comma 8) e che decorsi inutilmente sessanta giorni dalla ricezione degli atti senza che il soprintendente abbia reso il parere, l'amministrazione competente provvede comunque sulla domanda di autorizzazione (comma 9)». Il Consiglio di Stato reputa opportuno che le «scansioni temporali dei due procedimenti siano tra loro armonizzate e, per altro verso, che si debba scongiurare il rischio che il parere del soprintendente possa essere espresso a ridosso dello spirare del termine di conclusione della conferenza».
  L'articolo 7 detta una disposizione transitoria nelle more del recepimento della direttiva europea sulle concessioni (direttiva 2014/23/UE). Si ricorda che, successivamente alla trasmissione del presente schema di decreto, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto legislativo n. 50 del 2016, di recepimento. Ciò premesso, la norma (nelle citate more), dispone che, in caso di affidamento di concessione di lavori pubblici, la conferenza di servizi è convocata dal concedente ovvero, con il consenso di quest'ultimo, dal concessionario entro quindici giorni dall'avvio del procedimento fatto salvo quanto previsto dalle leggi regionali in materia di VIA. Quando la conferenza è convocata ad istanza del concessionario spetta in ogni caso al concedente il diritto di voto. Si tratta di una disposizione che riproduce quella attualmente prevista (non come norma transitoria ma a regime) dal testo vigente dell'articolo 14, comma 5, della legge 241 del 1990.
  L'articolo 8 reca mera previsione di coordinamento, circa i rinvii nello schema alla legge n. 241 del 1990, da intendersi riferiti beninteso al testo della legge quale novellato dal medesimo schema di decreto legislativo. Non sono presenti, nello schema, previsioni specifiche relative alla decorrenza dell'applicazione delle disposizioni introdotte.

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  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della delega in materia di segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
Atto n. 291.
(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 28 aprile 2016.

  Emanuele COZZOLINO (M5S) chiede chiarimenti al Governo sulle modalità di attuazione della delega in esame, non comprendendo il motivo di prevedere il ricorso a più decreti legislativi in luogo di un unico provvedimento, che, a suo avviso, sarebbe stato auspicabile anche in un'ottica di semplificazione. Fa notare che il fatto di distinguere la disciplina di carattere generale da quella connessa alla sua concreta attuazione potrebbe determinare diseguaglianze nelle prassi applicative a seconda della zona territoriale.

  Il sottosegretario Angelo RUGHETTI osserva che il provvedimento in esame è volto a stabilire la cornice normativa generale su cui andrà innestata una disciplina successiva più particolareggiata che, tuttavia, considerata la complessità della materia, richiede più tempo per essere elaborata. Si tratta, infatti, di realizzare un vero e proprio codice delle procedure amministrative applicabili, al fine di segnare il percorso amministrativo da seguire nei rapporti tra cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. Fa notare che tale complessa normativa va definita in accordo con i comuni, attesa l'esigenza di definire modelli standardizzati nell'ambito di numerosi procedimenti amministrativi.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, chiede al rappresentante del Governo se la definizione di tale normativa si stia svolgendo anche con il concorso delle regioni, auspicando che queste ultime, in una logica di leale collaborazione con lo Stato, siano quantomeno sensibilizzate affinché la disciplina adottata, nel rispetto delle rispettive competenze, vada nella direzione tracciata nel provvedimento in esame, evitando spiacevoli intoppi burocratici a livello regionale ai danni degli imprenditori.

  Il sottosegretario Angelo RUGHETTI evidenzia che il provvedimento in esame prosegue un percorso già tracciato dal decreto-legge n. 90 del 2015, il quale, all'articolo 24, prevede un percorso di semplificazione amministrativa e di definizione della modulistica standard condiviso tra Stato, regioni, province autonome e autonomie locali. Osserva che gli accordi conclusi in sede di Conferenza unificata costituiscono livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m). Citando l'esempio dei permessi in materia edilizia, fa notare che le regioni hanno già provveduto a recepire la normativa concordata, in un quadro di collaborazione istituzionale rispettoso delle competenze, che coinvolgerà anche i comuni. Osserva, infine, che è allo studio del Governo un ulteriore provvedimento che definirà forme di intervento diretto per le imprese e per i cittadini.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 11.55.

SEDE REFERENTE

  Martedì 3 maggio 2016. — Presidenza del presidente Andrea MAZZIOTTI DI CELSO. — Intervengono il sottosegretario di Stato per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Angelo Rughetti e la sottosegretaria Pag. 47di Stato per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Sesa Amici.

  La seduta comincia alle 11.55.

Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sul livello di digitalizzazione e innovazione delle pubbliche amministrazioni statali e locali e sugli investimenti complessivi riguardanti il settore delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Doc. XXII, n. 42 Coppola.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 21 aprile 2016.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Disposizioni di attuazione dell'articolo 49 della Costituzione.
C. 2839 Marco Meloni, C. 3004 Fontanelli, C. 3006 Formisano, C. 3147 Lorenzo Guerini, C. 3172 Palese, C. 3438 Roberta Agostini, C. 3494 Zampa, C. 3610 D'Alia, C. 3663 Roccella, C. 3693 Centemero, C. 3694 Carloni, C. 3708 Gigli, C. 3724 Quaranta, C. 3731 Mazziotti Di Celso, C. 3732 Toninelli, C. 3733 D'Attorre, C. 3735 Mucci e C. 3740 Vargiu.
(Seguito dell'esame e rinvio).

  La Commissione prosegue l'esame del provvedimento, rinviato nella seduta del 27 aprile 2016.

  Matteo RICHETTI (PD), relatore, presenta una proposta di testo unificato (vedi allegato 1), che sottopone alla riflessione della Commissione.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, ricorda che, secondo quanto stabilito dall'ufficio di presidenza integrato dai rappresentanti dei gruppi, la commissione dedicherà le sedute convocate per mercoledì 4 e per giovedì 5 maggio alla discussione sulla proposta di testo unificato del relatore. Quindi, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta, sospesa alle 12, è ripresa alle 13.

Istituzione di una commissione di inchiesta monocamerale sullo stato della sicurezza e del degrado delle città italiane e delle loro periferie.
Doc. XII, n. 65 Lupi.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento in oggetto.

  Dore MISURACA (AP), relatore, osserva che il doc. XXII, n. 65 propone l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta monocamerale per accertare e monitorare lo stato di degrado delle città e delle loro periferie, con l'intento di proporre soluzioni, anche normative, relative alle problematiche connesse al loro stato. Compito della Commissione è verificare lo stato della sicurezza delle principali città e delle loro periferie. Si tratta di un'indagine che si propone come strumento per l'impostazione dell'azione del Governo nei confronti di una situazione che ha maturato negli anni i caratteri dell'emergenza sociale e che vuole fornire indicazioni concrete per agire, trasformando, come si dice nella relazione illustrativa alla proposta, un problema in una opportunità. Alla base della proposta c’è la consapevolezza che le periferie, associate spesso alla parola degrado, non sono solo abbandono e incuria. Ci sono in esse una ricchezza umana e una potenzialità sociale che vanno riscoperte. Le periferie, come indicato dalla relazione alla proposta, non possono essere riqualificate con progetti calati dall'alto, come è stato per i piani urbanistici e architettonici degli anni settanta del secolo scorso che hanno anzi favorito il processo di emarginazione.
  Il doc. XXII n. 65 è costituito da 5 articoli. Pag. 48
  L'articolo 1 concerne l'istituzione e le funzioni della Commissione. In particolare il comma 1 ne dispone l'istituzione, mentre il comma 2 individua i seguenti compiti della Commissione di inchiesta: verificare lo stato del degrado delle città e delle loro periferie, con particolare riguardo alle implicazioni sociali e di sicurezza nelle aree a maggiore presenza di stranieri residenti; monitorare lo stato di degrado e disagio sociale delle periferie delle città, attraverso l'ausilio delle istituzioni e degli istituti pubblici e privati che si occupano di immigrazione e di povertà; monitorare le connessioni tra disagio urbano e radicalismo religioso; individuare gli interventi per favorire l'integrazione sociale, anche sulla base delle esperienze nel territorio; proporre interventi, anche di carattere normativo, al fine di rimuovere le situazioni di degrado delle città e di attuare politiche per la sicurezza al fine di prevenire fenomeni di reclutamento di terroristi e di radicalizzazione. Il comma 3 dispone che per lo svolgimento dei propri compiti la Commissione possa avvalersi della collaborazione degli enti locali, delle istituzioni, degli istituti di statistica e delle banche dati delle Forze di polizia.
  L'articolo 2 concerne la composizione e la durata della Commissione. Il comma 1 prevede che la Commissione sia composta da 20 deputati, nominati dal Presidente della Camera in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, assicurando comunque la presenza di almeno un rappresentante di ciascun gruppo esistente. Il comma 2 stabilisce che il criterio della proporzionalità è previsto anche in caso di eventuali sostituzioni a causa di dimissioni o in caso di cessazione dal mandato parlamentare. Il comma 3 sancisce che nella prima seduta la Commissione provvede a costituire l'ufficio di presidenza composto dal presidente, da 2 vicepresidenti e da 2 segretari. Ai sensi del comma 5 la durata della Commissione è fissata in 12 mesi dalla sua costituzione ed entro i successivi 60 giorni la medesima Commissione presenta una relazione finale alla Camera dei sulle indagini svolte.
   L'articolo 3 concerne i poteri e i limiti della Commissione nell'espletamento della sua attività. In particolare il comma 1 richiama quanto già previsto dall'articolo 82, secondo comma, della Costituzione in merito alla possibilità per la Commissione di procedere alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell'autorità giudiziaria. Il comma 2 dispone che la Commissione può acquisire copie di atti e documenti relativi a procedimenti e inchieste in corso presso l'autorità giudiziaria o altri organi inquirenti, nonché copie di atti e documenti relativi a indagini e inchieste parlamentari anche se coperti da segreto mentre, ai sensi del comma 3, la Commissione garantisce il mantenimento del segreto funzionale di tali atti fino al momento in cui sono coperti da segreto. Inoltre, sempre in tema di segreto il comma 4 prevede che si applicano le disposizioni vigenti relative al segreto di Stato, al segreto d'ufficio, professionale e bancario. Per quanto concerne le audizioni a testimonianza rese davanti alla Commissione, il comma 5 richiama l'applicabilità del complesso degli articoli da 366 a 384-bis del codice penale che non dovranno essere divulgati; il comma 6 stabilisce che in ogni caso devono rimanere riservati i documenti relativi a procedimenti giudiziari nella fase delle indagini preliminari fino al termine delle medesime.
  L'articolo 4 prevede l'obbligo del segreto per i componenti la Commissione, il personale addetto alla stessa, i collaboratori e tutti i soggetti che, per ragioni d'ufficio o di servizio, ne vengono a conoscenza, sugli atti e documenti soggetti al regime di segretezza. Per le sanzioni delle violazioni all'obbligo del segreto, anche parziale, il comma 2 fa rinvio alle leggi vigenti.
  L'articolo 5 riguarda l'organizzazione dei lavori della Commissione. Il comma 1 prevede che la Commissione adotti prima dell'inizio dei suoi lavori un regolamento interno a maggioranza assoluta dei propri componenti. Al comma 2 viene affermato il principio della pubblicità delle sedute, ferma restando la possibilità per la Commissione Pag. 49di riunirsi in seduta segreta previa deliberazione, a maggioranza semplice, della Commissione stessa. Il comma 3 stabilisce che la Commissione per l'espletamento delle sue funzioni, fruisce di personale, locali e strumenti messi a disposizione dal Presidente della Camera dei deputati. Il comma 4, infine, determina le spese per il funzionamento della Commissione nella misura di 50.000 euro e le pone a carico del bilancio interno della Camera.

  Andrea MAZZIOTTI DI CELSO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 13.05.

UFFICIO DI PRESIDENZA INTEGRATO DAI RAPPRESENTANTI DEI GRUPPI

  Martedì 3 maggio 2016.

  L'ufficio di presidenza si è riunito dalle 12 alle 12.05.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Martedì 3 maggio 2016. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 12.05.

Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato.
Emendamenti C. 2039-A Governo ed abb.
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Alessandro NACCARATO, presidente, in sostituzione del relatore impossibilitato a partecipare alla seduta, rileva che gli emendamenti Russo 2.26, Gadda 6.44 e Taricco 11.76 contenuti nel fascicolo n. 2 e gli emendamenti 2.300, 2.301, 3.300, 3.301, 4.300, 6.300, 6.301, 6.302, 8.300 e 10.300 delle Commissioni non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Repubblica di Armenia sulla cooperazione e sulla mutua assistenza in materia doganale, fatto a Yerevan il 6 marzo 2009.
Emendamenti C. 3511-A Governo, approvato dal Senato.
(Esame e conclusione – Parere).

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatrice, rileva che l'emendamento contenuto nel fascicolo n. 1 non presenta profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di esso il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

Ratifica ed esecuzione dei seguenti Accordi: a) Accordo aggiuntivo alla Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco del 12 febbraio 1971, fatto a Rabat il 1o aprile 2014; b) Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014.
C. 3458 Governo, approvato dal Senato.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

Pag. 50

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatrice, osserva che il disegno di legge in esame, approvato dal Senato il 26 novembre 2015, è costituito di 4 articoli e concerne la ratifica dell'Accordo aggiuntivo alla Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco del 12 febbraio 1971, fatto a Rabat il 1 aprile 2014, e della Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, fatta a Rabat il 1o aprile 2014.
  L'Accordo aggiuntivo alla Convenzione di reciproca assistenza giudiziaria, di esecuzione delle sentenze e di estradizione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco, che segue il modello della Convenzione del Consiglio d'Europa del 1957, si compone di 11 articoli. In particolare all'articolo 2 si introducono norme sulla non applicabilità della pena di morte o di altre pene contrarie alla legge dello Stato richiesto. Gli articoli 3 e 4 prevedono che uno dei due Stati possa opporre un rifiuto all'estradizione se la richiesta riguarda tra l'altro reati politici, timori fondati che nei confronti della persona vi siano rischi di discriminazione, casi di amnistia, indulto o grazia. Sono modificate le norme della Convenzione che limitavano l'estradizione in materia di reati fiscali, di imposte, dogana e di cambio. L'Accordo non comporta oneri finanziari. La Convenzione tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo del Regno del Marocco sul trasferimento delle persone condannate, costituita da 22 articoli, è volta a consentire il trasferimento nel proprio Stato di cittadinanza di cittadini detenuti nel territorio dell'altro Stato, al fine di facilitarne la rieducazione e il reinserimento sociale. La stipula di una Convenzione bilaterale tra l'Italia e il Marocco nasce dalla mancanza uno strumento internazionale di reciprocità in tale materia con il Regno del Marocco, in considerazione del fatto che il medesimo Regno non ha aderito alla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983, promossa dal Consiglio d'Europa e aperta alla sottoscrizione ed adesione anche di Stati che non fanno parte del Consiglio. La Convenzione prevede che il trasferimento dei detenuti possa avvenire per cittadini di uno solo dei due Stati contraenti e che non abbiano, quindi, la doppia cittadinanza, solo se la sentenza è esecutiva, se il periodo da espiare è superiore all'anno e se il reato commesso è previsto come tale anche dall'altro Stato. Il trasferimento può essere richiesto dallo Stato o dal detenuto, che deve essere comunque preventivamente informato della possibilità offerta dalla Convenzione. Il trasferimento non può in ogni caso avere luogo senza il consenso espresso del condannato.
  La Convenzione individua le Autorità centrali competenti nel Ministero della giustizia per l'Italia e nella Delegazione generale dell'Amministrazione penitenziaria per il Marocco. Si prevede che il detenuto non possa essere processato, arrestato e condannato per gli stessi fatti che hanno già determinato la condanna nell'altro Stato. Sono inoltre sancite disposizioni relative ai documenti da presentare a sostegno della domanda di trasferimento, alla lingua di traduzione degli atti e alle modalità di consegna della persona trasferita.
  Passando al contenuto del disegno di legge di ratifica, l'articolo 1 inerisce all'autorizzazione alla ratifica, mentre l'articolo 2 concerne l'ordine di esecuzione dei due accordi ed all'entrata in vigore dei testi. L'articolo 3 prevede la copertura finanziaria della Convenzione, calcolati in circa 340.000 euro annui a decorrere dall'anno 2015. L'articolo 4 ne fissa la data di entrata in vigore.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva che il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole.

Pag. 51

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice (vedi allegato 2).

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo istitutivo della Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, con Allegati, fatto a Pechino il 29 giugno 2015.
C. 3642 Governo.
(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Emanuele COZZOLINO (M5S), relatore, osserva che il disegno di legge in esame, costituito da 5 articoli, concerne la ratifica dell'Accordo istitutivo della Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture, con Allegati, fatto a Pechino il 29 giugno 2015 firmato dai delegati di 50 tra i 57 Paesi aderenti; la scadenza dei termini per l'adesione come membri fondatori è stata fissata al 31 dicembre 2015. Complessivamente, tra i membri fondatori, 20 sono non regionali. Si tratta di 14 Paesi dell'Unione europea (tra cui Italia, Regno Unito, Germania e Francia), 3 Paesi europei non aderenti all'Unione europea (Svizzera, Norvegia e Islanda) e 3 Paesi extra-europei (Brasile, Egitto e Sud Africa).
  L'accordo istitutivo, formato da 60 articoli, stabilisce che il mandato della Banca è quello di promuovere lo sviluppo economico sostenibile dell'Asia attraverso l'investimento in infrastrutture, con operazioni nei settori dell'energia, dei trasporti, delle telecomunicazioni, delle infrastrutture rurali, dello sviluppo e della logistica urbana. Si prevede che Tali operazioni assumeranno la forma di prestiti, partecipazioni al capitale e garanzie. Si prevede che sono finanziabili interventi in tutti i Paesi membri ed eccezionalmente anche in Paesi non membri, ove tali interventi siano riconosciuti essere nell'interesse dei primi.
  L'Accordo dispone che la Banca asiatica per gli investimenti in infrastrutture avrà un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari, di cui il 20 per cento è da versare dai Paesi aderenti. In particolare ai Paesi regionali è riservata una quota del 75 per cento, mentre il rimanente 25 è sottoscritto dai Paesi non regionali. Le quote di partecipazione dei singoli Paesi sono state determinate mediante una formula che fa riferimento al prodotto interno lordo (PIL), all'interno di ciascuna categoria/Paese. Su queste basi il maggiore azionista è la Cina, seguita da India e Russia; con una quota pari a circa il 2,57 per cento del capitale, l'Italia è il quinto Paese non regionale, dopo Germania, Francia, Brasile e Regno Unito.
  La sede della Banca è fissata a Pechino e l'inizio delle operazioni è stabilito per i primi mesi del 2016. Gli organi direttivi della Banca sono il Consiglio dei Governatori e il Consiglio di amministrazione, di cui l'Accordo fissa composizione e poteri. La partecipazione dell'Italia alla Banca comporta un costo pari a 514,36 milioni di dollari da versare in cinque rate annuali dello stesso ammontare. Per la copertura finanziaria dell'onere è previsto l'utilizzo di risorse disponibili sul conto corrente di tesoreria 20013 (si tratta del conto corrente – articolo 6, comma 23, del decreto-legge n. 269 del 2003, convertito, con modificazioni, dalla legge n.326 del 2003 – alimentato con i recuperi relativi alle ristrutturazioni del debito per le quali il Tesoro aveva indennizzato la SACE spa. Le somme giacenti – attualmente circa 826 milioni di euro – possono essere utilizzate, tra l'altro, per qualunque «scopo e finalità connesso con (...) l'attività nazionale sull'estero, anche in collaborazione o coordinamento con le istituzioni finanziarie internazionali»), nonché sul fondo speciale di conto capitale iscritto, ai fini del bilancio triennale 2016-2018, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2016, parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero dell'economia e delle finanze, senza aggravio del deficit. Pag. 52
  In merito al contenuto del disegno di legge, l'articolo 1 stabilisce che il Presidente della Repubblica è autorizzato a ratificare l'Accordo adottato a Pechino il 29 giugno 2015, che istituisce la Banca.
  L'articolo 2 specifica che l'Accordo avrà piena esecuzione dalla data di entrata in vigore dello stesso, fissata nel momento in cui saranno stati depositati strumenti di ratifica validi da almeno dieci membri rappresentanti non meno del 50 per cento del capitale iniziale fissato in sede di costituzione.
  L'articolo 3 indica la quota di partecipazione del nostro Paese (2.571.800.000 dollari statunitensi), di cui l'80 per cento costituito da capitale a chiamata e il 20 per cento da capitale da versare.
  L'articolo 4 dispone la copertura finanziaria degli oneri previsti, il cui versamento è previsto nell'arco temporale 2016-2019.
  L'articolo 5 stabilisce che la legge entri in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, rileva che il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del relatore (vedi allegato 3).

  La seduta termina alle 12.15.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

SEDE REFERENTE

Misure per la prevenzione della radicalizzazione e dell'estremismo jihadista.
C. 3558 Dambruoso.

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