CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 15 settembre 2015
504.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (II e VI)
COMUNICATO
Pag. 4

ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 15 settembre 2015. — Presidenza del presidente della II Commissione Donatella FERRANTI. — Interviene il viceministro della giustizia Enrico Costa.

  La seduta comincia alle 14.

Schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio.
Atto n. 183-bis.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Donatella FERRANTI, presidente e relatrice per la II Commissione, anche a nome del relatore per la VI Commissione, onorevole Pelillo, rammenta che le Commissioni II e VI sono chiamate ad esaminare, ai fini dell'espressione del parere al Governo, lo schema di decreto legislativo recante la revisione del sistema sanzionatorio, approvato in secondo esame preliminare dal Consiglio dei Ministri. Tale decreto è emanato in attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23, che ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, il cui termine di attuazione è scaduto il 27 giugno scorso. Tuttavia, in conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 1 della citata legge n. 23 del 2014 dall'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 34 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, il termine per l'emanazione degli schemi di decreto trasmessi da Governo alle Camere entro la predetta data del 27 giugno è prorogato fino al 25 settembre 2015. In attuazione della delega sono stati emanati i seguenti provvedimenti: il Decreto Legislativo n. 175 del 2014, relativo alle semplificazioni fiscali e alla dichiarazione dei redditi precompilata; il Decreto Legislativo n. 188 del 2014, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi; il Decreto Legislativo n. 198 del 2014, riguardante la composizione, le attribuzioni e il funzionamento delle Commissioni censuarie; il Decreto Legislativo Pag. 5n. 127 del 2015, in materia di fatturazione elettronica, trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici; il Decreto Legislativo n. 128 del 2015, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente; è in corso di pubblicazione il Decreto Legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Atto del Governo n. 161-bis).
  Ricorda che Il 27 giugno 2015 il Governo ha presentato in Parlamento ulteriori cinque schemi di decreto attuativi della delega, tra i quali quello oggi al nostro esame. Com’è noto, su tale schema le Commissioni II Giustizia e VI Finanze della Camera hanno espresso parere favorevole il 5 agosto 2015, con condizioni e osservazioni; nella medesima data le analoghe Commissioni del Senato hanno espresso parere favorevole con condizioni e osservazioni.
  Fa presente che gli altri schemi sono: lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali (181), su cui la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con una condizione e alcune osservazioni; nella stessa data, la Commissione 6o Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole sul predetto schema, con alcune osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante norme in materia di stima e monitoraggio dell'evasione fiscale e in materia di monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale (182), sul quale la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con alcune osservazioni; nella medesima data la Commissione 6o Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole sul predetto schema, con alcune osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (183), sul quale le Commissioni II Giustizia e VI Finanze della Camera hanno espresso parere favorevole il 5 agosto 2015, con condizioni e osservazioni; nella medesima data le analoghe Commissioni del Senato hanno espresso parere favorevole sul predetto schema, con condizioni e osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (184), sul quale le Commissioni II Giustizia e VI Finanze della Camera hanno espresso parere favorevole il 5 agosto 2015, con condizioni e osservazioni; le analoghe Commissioni del Senato hanno reso parere favorevole sul predetto schema, con una condizione e alcune osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione (185), sul quale la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con osservazioni; nella medesima data, l'analoga Commissione del Senato ha reso parere favorevole sul predetto schema, con osservazioni.
  Dà, quindi, conto dell'accoglimento o meno da parte del Governo delle condizioni e delle osservazioni espresse dalle Commissioni competenti, rinviando, per il dettaglio delle norme contenute nel provvedimento, alla relazione svolta a suo tempo. Per quanto riguarda la tempistica circa l'espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto, segnala che il relativo termine è fissato al 19 settembre 2015.
  Passando all'esame del provvedimento, segnala che lo schema di decreto prevede la revisione del sistema penale tributario, mediante modifiche del Decreto legislativo n. 74 del 2000 (Titolo I) e la modifica dell'impianto sanzionatorio amministrativo (Titolo II). Il decreto dà attuazione all'articolo 8 della legge delega n. 23 del 2014, il quale reca i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, che deve essere attuata secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, e la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti, con la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni Pag. 6amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.
  Osserva che lo schema in esame dà attuazione, inoltre, alla delega nella parte in cui si dispone che l'Autorità giudiziaria possa affidare i beni sequestrati in custodia giudiziale all'amministrazione finanziaria, in luogo degli organi della polizia giudiziaria, al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative (articolo 13).
  Nel ricordare che l'articolo 1 interviene sull'articolo 1 del Decreto legislativo n. 74 del 2000, modificando e aggiungendo alcune definizioni volte a chiarire la portata dei termini impiegati nei titoli successivi del decreto, osserva che è stata accolta la condizione di cui alla lettera a) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera volta ad integrare la definizione di «dichiarazione», contenuta al all'articolo 1, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 74 del 2000, includendovi anche quelle presentate dal sostituto d'imposta (articolo 1, comma 1, nuova lettera b) del decreto in esame). In relazione alla definizione di «imposta evasa» (lettera c), che modifica la lettera f) dell'articolo 1, comma 1 del decreto legislativo n. 74 del 2000), rileva che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera a) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a chiarire il significato di tale definizione nel caso di consolidato fiscale, in quanto – secondo il Governo – non vi è attinenza con le finalità della modifica in esame, volta a chiarire che non si considera imposta evasa quella teorica collegata alla rettifica di perdite. In relazione alle «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente» (lettera d), che modifica la lettera g-bis) dell'articolo 1, comma 1 del decreto legislativo n. 74 del 2000) osserva che è stata accolta la condizione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, volta a chiarire che con tale definizione si intendono le operazioni apparenti, diverse dalla fattispecie di abuso del diritto, poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte, ovvero le operazioni riferite a soggetti fittiziamente interposti. Sottolinea che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera b) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, nella parte in cui chiede di rivedere la definizione di «operazioni simulate» facendo riferimento ad una situazione oggettiva solo apparente, mentre la situazione giuridica occulta è l'unica reale e vincolante. Al riguardo il Governo ha osservato che una tale revisione potrebbe comportare il rischio di attrarre nella definizione di simulazione le fattispecie di abuso del diritto. Evidenzia che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera b) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, nella parte in cui suggerisce di ricomprendere nell'ambito di una medesima categoria definitoria le definizioni di operazioni simulate e mezzi fraudolenti (questi ultimi definiti come le condotte artificiose attive, oltre che quelle omissive, realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico che determinano una falsa rappresentazione della realtà (lettera g-ter)).
  Segnala che l'articolo 2, non modificato, attraverso la soppressione della parola «annuali» nell'articolo 2, comma 1, del Decreto legislativo n. 74 del 2000, estende il novero delle dichiarazioni rilevanti al fine del reato ivi previsto, estendendo la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all'IVA, comprese quelle che vengono presentate in occasione di operazioni straordinarie o nell'ambito di procedure concorsuali.
  Rileva che l'articolo 3, non modificato, sostituisce la disposizione relativa al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3 del Decreto legislativo n. 74 del 2000), modificando la condotta punibile, elevando la soglia di punibilità ed escludendo esplicitamente da tale fattispecie la mancata fatturazione o la sottofatturazione. Con la modifica della struttura dell'illecito, il delitto si trasforma da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili Pag. 7in reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini IVA. Rimane ferma la pena, da un anno e sei mesi a sei anni, nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizie. Rispetto alla formulazione attuale scompare la disposizione che richiede l'elemento della «falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie». Sul piano oggettivo la norma in esame estende la condotta punibile in quanto il reato sarà integrato, oltre che nel caso di indicazione in dichiarazione di «elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi», anche qualora la falsa indicazione abbia ad oggetto «crediti e ritenute fittizi». Segnala che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera d) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, volta a sopprimere il riferimento agli altri mezzi fraudolenti idonei a ostacolare l'accertamento e a indurre in errore l'amministrazione finanziaria, in quanto l'induzione in errore è stata ritenuta coerente con la natura fraudolenta del mezzo adoperato. Per la configurazione del reato devono, inoltre, sussistere congiuntamente una imposta evasa superiore a 30 mila euro con riferimento a taluna delle singole imposte (soglia non modificata) e gli elementi attivi sottratti all'imposizione (anche considerando gli elementi passivi fittizi) superiori al 5 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (soglia invariata) o comunque superiore a 1,5 milioni di euro (soglia aumentata rispetto alla vigente soglia di 1 milione); in alternativa, qualora la condotta fraudolenta abbia ad oggetto crediti e ritenute fittizie, il reato è configurabile ove l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizie in diminuzione dell'imposta è superiore al 5 per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro 30.000. Ricorda che il comma 2 stabilisce che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Tale disposizione riprende quella già contenuta nel comma 2 dell'articolo 2 del medesimo decreto a proposito del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Il comma 3 chiarisce, per altro verso, che non rientrano tra i «mezzi fraudolenti» perseguiti dalla norma in esame, la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili (ad es. la mancata emissione dello scontrino fiscale) e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili, o la mera indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali (sottofatturazione). Segnala che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera e) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, volta ad includere tra i mezzi fraudolenti anche l'indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di elementi attivi inferiori a quelli reali. Al riguardo, secondo il Governo, la legge delega prevede che sia dato rilievo a comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all'utilizzo di documentazione falsa (ai sensi dell'articolo 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014), mentre nella specie trattasi di sola indicazione di elementi attivi inferiori a quelli reali, non accompagnata da elementi fraudolenti.
  Evidenzia che l'articolo 4, modificando la disciplina del reato di dichiarazione infedele (previsto dall'articolo 4 del Decreto legislativo n. 74 del 2000), eleva le soglie di punibilità ed esclude dall'ambito applicativo della norma una serie di condotte: la non corretta classificazione, la valutazione di elementi esistenti e riportati in bilancio, la violazione dei criteri di Pag. 8determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali. Si prevede infine una «franchigia» di non punibilità per le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette; degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità del reato. Sottolinea come le lettere a) e b) del comma 1 elevano le soglie di punibilità del reato di dichiarazione infedele che punisce con la reclusione da uno a tre anni (pena non modificata) chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi. Per la configurazione del reato devono, inoltre, sussistere congiuntamente una imposta evasa superiore a 150 mila euro con riferimento a taluna delle singole imposte (la soglia attuale è di 50 mila euro) e gli elementi attivi sottratti all'imposizione (anche considerando gli elementi passivi fittizi) superiori al 10 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (soglia invariata) o comunque superiore a 3 milioni di euro (soglia aumentata rispetto alla vigente soglia di 2 milioni). Rileva che la lettera c) aggiunge i commi 1-bis e 1-ter all'articolo 4 del Decreto legislativo n. 74 del 2000. Il nuovo comma 1-bis prevede che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali. Il nuovo comma 1-ter stabilisce, inoltre, che non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b). Pertanto, nella verifica del superamento delle soglie di punibilità del delitto concernente la dichiarazione infedele non dovrà tenersi conto degli importi compresi entro il 10 per cento, anche quando lo scarto complessivo eccedesse il limite tollerato. Segnala che è stata accolta la condizione di cui alla lettera h) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, volta a distinguere le due diverse fattispecie contenute nei commi 1-bis e 1-ter. Con tale modifica il Governo ritiene accolta anche l'osservazione di cui alla lettera d) del citato parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato, volta a sopprimere il predetto comma 1-ter poiché, introducendo un'ulteriore franchigia del 10 per cento sulle singole operazioni, si estenderebbe eccessivamente l'effetto di sanatoria rispetto a quanto già previsto dal medesimo articolo.
  Sottolinea che è stata accolta la condizione di cui alla lettera g) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, volta a sostituire la parola «fittizi», ovunque presente nell'articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, con la parola «inesistenti», al fine di rendere la struttura del reato perfettamente coerente con il carattere della infedeltà. Osserva che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato della Repubblica, volta a eliminare il riferimento all'annualità della dichiarazione, in quanto il Governo ha ritenuto che essa potesse ingenerare un rischio di incertezza nell'applicazione della norma penale. Evidenzia che non è stata accolta l'osservazione di cui al n. 3) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera, volta a innalzare le pene previste dagli articoli 3 (Dichiarazione fraudolenta mediante Pag. 9altri artifici) e 4 (Dichiarazione Infedele) del decreto legislativo n. 74 del 2000, in quanto le stesse sono state considerate adeguate alla gravità dei rispettivi reati.
  Osserva che l'articolo 5 eleva la pena della reclusione prevista per il reato di omessa dichiarazione (articolo 5 del Decreto legislativo n. 74 del 2000); la nuova pena è fissata tra un anno e sei mesi a quattro anni (la pena vigente è da un anno a tre anni). Allo stesso tempo è elevata la soglia di punibilità che scatta quando l'imposta evasa è superiore a 50 mila euro (la soglia attuale è di 30 mila euro). Il comma 1-bis introduce il nuovo reato di omessa dichiarazione del sostituto d'imposta che punisce, con la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni, chiunque non presenta, essendovi tenuto, la dichiarazione di sostituto d'imposta (il c.d. modello 770), quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50 mila euro. Per entrambi i reati previsti dall'articolo 5, i limiti massimi di pena (superiori a tre anni) consentono, ex articolo 280 c.p.p., l'applicazione di misure coercitive diverse dalla custodia in carcere (arresti domiciliari, divieto di espatrio, obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria, divieto e obbligo di dimora). Rileva che è stata quindi accolta la condizione di cui alla lettera i) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati, volta a uniformare la sanzione prevista dal comma 1-bis a quella del comma 1 e che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera e) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze e tesoro del Senato, volta a estendere al nuovo reato di omessa dichiarazione di sostituto d'imposta la previsione di cui al comma 2 dell'articolo 5, ai sensi del quale non si considera omessa la dichiarazione presentata entro novanta giorni dalla scadenza del termine o non sottoscritta o non redatta su uno stampato conforme al modello prescritto. Segnala che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera f) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera, finalizzata all'individuazione, con riferimento ai reati di omessa dichiarazione, di omesso versamento di ritenute certificate e di omesso versamento IVA (articoli 5, 10-bis e 10-ter del decreto legislativo n. 74 del 2000), di una più idonea qualificazione delle condotte omissive di versamenti o di ritenute e delle relative pene, laddove qualificate da strategie fraudolente non riconducibili a reali situazioni di crisi aziendale, trattandosi di condotte rientranti in diverse e già previste ipotesi di reato (articoli 2 e 3 del medesimo decreto legislativo n. 74 del 2000).
  Evidenzia come l'articolo 6, non modificato, intervenendo sull'articolo 10 del Decreto legislativo n. 74 del 2000, eleva la pena edittale a carico di chi, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari. La nuova pena va da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione (la pena attuale è da sei mesi a cinque anni). Il superamento della soglia dei cinque anni, ai sensi degli articoli 266 e 280 c.p.p., comporta – nelle indagini per l'occultamento e la distruzione di documenti contabili – il possibile utilizzo sia delle intercettazioni telefoniche che della custodia cautelare in carcere.
  Sottolinea come l'articolo 7, modificando l'articolo 10-bis del Decreto legislativo n. 74 del 2000, chiarisce la portata del reato di omesso versamento di ritenute certificate e innalza la soglia di non punibilità da 50 mila euro a 150 mila euro. Il reato di omesso versamento di ritenute certificate punisce con la reclusione da sei mesi a due anni (pena non modificata) chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute «dovute sulla base della dichiarazione» (inserito con la norma in esame) ovvero risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a «150 mila euro» (la soglia vigente è di 50 mila euro) per ciascun Pag. 10periodo d'imposta. Ne consegue che nel reato di omesso versamento delle ritenute le omissioni non devono più necessariamente risultare dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, essendo sufficiente che esse siano dovute in base alla dichiarazione. Osserva che è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera f) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta ad integrare la rubrica del novellato articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, in materia di omesso versamento di ritenute certificate, tenendo conto delle modifiche introdotte e, in particolare, dell'estensione del comportamento omissivo non più alle sole ritenute «certificate», ma anche a quelle «dovute» sulla base della dichiarazione annuale del sostituto d'imposta.
  Rileva che l'articolo 8, non modificato, sostituendo l'articolo 10-ter del Decreto legislativo n. 74 del 2000, eleva la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell'IVA da 50 mila a 250 mila euro per ciascun periodo di imposta. Sottolinea che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera j) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera volta a uniformare a 150 mila euro le soglie di punibilità per i reati di omesso versamento di ritenute certificate e omesso versamento IVA, in quanto il Governo ha ritenuto la differenziazione delle soglie più rispondente al principio di adeguatezza delle soglie di punibilità alla gravità della condotta sancito dall'articolo 8, comma 1, della legge n. 23 del 2014.
  Evidenzia che l'articolo 9, non modificato, sostituendo l'articolo 10-quater del Decreto legislativo n. 74 del 2000, distingue l'ipotesi di indebita compensazione di crediti non spettanti – per la quale rimane ferma la vigente pena, da sei mesi a due anni, nei confronti di chi non versa le somme dovute – dall'ipotesi di indebita compensazione di crediti inesistenti, punita più severamente con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Per entrambe rimane ferma la vigente soglia di punibilità di 50 mila euro. Anche in tal caso, nella seconda più grave fattispecie di reato, il limite massimo di pena superiore a cinque anni consente alla magistratura l'uso delle intercettazioni e della custodia cautelare.
  Osserva, inoltre, che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera g) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a distinguere la nozione di «crediti non spettanti» da quella di «crediti inesistenti», in quanto tale distinzione è contenuta all'articolo 15, comma 1, lettera o) del decreto, che modifica l'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, che introduce la disciplina dell'utilizzo in compensazione di un credito inesistente, definito come il «credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati». La relazione illustrativa al riguardo chiarisce che devono escludersi dall'ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l'inesistenza del credito emerga direttamente da detti controlli operati dall'Amministrazione nonché quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso.
  Segnala che l'articolo 10 inserisce nel Decreto legislativo n. 74 del 2000 il nuovo articolo 12-bis, il quale dispone che nel caso di condanna o di patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del c.p.p.) per uno dei delitti previsti dallo stesso Decreto legislativo n. 74 del 2000 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo (cd. confisca obbligatoria), salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando non è possibile, la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente nella disponibilità del reo. Tale previsione, priva di sostanziale portata innovativa, esplicita direttamente quanto già previsto – con il rinvio operato all'articolo 322-ter c.p. (confisca obbligatoria a seguito di condanna per reati contro la P.A.) dall'articolo 1, comma 143 della legge finanziaria 2008 – in materia di confisca obbligatoria per reati tributari. Sottolinea Pag. 11che sono state accolte, nella sostanza, la condizione di cui alla lettera k) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera e le osservazioni di cui alle lettere h) e i) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato, volte ad assicurare la restituzione delle somme all'erario, prevedendo – al comma 2 – che la confisca non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro. Nel caso di mancato versamento la confisca è sempre disposta.
  Rileva che l'articolo 11, non modificato, sostituendo l'articolo 13 del Decreto legislativo n. 74 del 2000, introduce (comma 1) una causa di non punibilità rappresentata dall'integrale pagamento – prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado – di tutte le somme dovute a titolo di imposta, sanzioni e interessi, per i reati di omesso versamento delle ritenute certificate (articolo 10-ter), di omesso versamento dell'IVA (articolo 10-bis) e dell'indebita compensazione di crediti non spettanti (articolo 10-quater, comma 1). Il pagamento degli importi dovuti può essere fatto anche mediante le speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento, nonché mediante il ravvedimento operoso.
  Evidenzia che il comma 2 del nuovo articolo 13 prevede che per i reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e di omessa dichiarazione (articolo 5) la non punibilità scatta solo con l'integrale pagamento degli importi dovuti (debiti tributari, sanzioni e interessi), a condizione che il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Il pagamento degli importi dovuti può avvenire tramite il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa (nelle ipotesi di omessa presentazione) entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo. Osserva che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera b) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a modificare il comma 1 prevedendo – in analogia con quanto già previsto al comma 2 – che non siano punibili i reati di cui agli articoli 10-bis e 10-ter, se i debiti tributari, siano stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Al riguardo il Governo ha ritenuto che le fattispecie previste dai commi 1 e 2 del nuovo articolo 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000 presentano profili di diversità che non appaiono idonei a giustificare un trattamento analogo.
  Rileva che il comma 3 prevede che nel caso in cui il contribuente, prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, stia provvedendo all'estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 13-bis (introdotto dal successivo articolo 12 del provvedimento in esame), è data la possibilità allo stesso contribuente di pagare il debito residuo entro tre mesi, termine che può essere prorogato per ulteriori tre mesi dal giudice una sola volta, ferma restando la sospensione della prescrizione.
  Segnala che l'articolo 12, inserisce il nuovo articolo 13-bis del Decreto legislativo n. 74 del 2000, relativo alle circostanze del reato. Il comma 1 prevede, al di fuori dei casi di non punibilità (indicati dall'articolo 13 per i reati espressamente indicati), la diminuzione fino alla metà delle pene (la norma vigente prevede la riduzione fino ad un terzo), senza applicazione delle pene accessorie, nel caso in cui il debito tributario sia estinto mediante pagamento integrale prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie. Sottolinea che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera I), primo periodo, del parere reso Pag. 12dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a prevedere l'applicazione della circostanza attenuante anche se il contribuente procede alla rateizzazione delle somme dovute o alla prosecuzione del pagamento rateale già concesso, in quanto ritenuta incoerente con la necessità che il debito sia estinto mediante integrale pagamento delle somme dovute. Il comma 2 condiziona la richiesta di patteggiamento per i delitti di cui al Decreto legislativo n. 74 del 2000 al solo caso in cui sia stato pagato integralmente il debito tributario prima dell'apertura del dibattimento (comma 1) ovvero nel caso in cui sia stato esperito il ravvedimento operoso. Da tale previsione sono escluse le ipotesi di cui all'articolo 13, comma 2, ovvero i casi in cui l'autore dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione abbia avuto formale conoscenza dell'avvio di un procedimento penale o di un'attività di controllo. In accoglimento dell'osservazione cui alla lettera m) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, segnala che il comma 2 dell'articolo 13-bis è stato riformulato, al fine di fare escludere anche il caso in cui i debiti tributari sono stati estinti prima dell'apertura del dibattimento in primo grado (comma 1 dell'articolo 13) anche in seguito di conciliazione e di accertamento con adesione ovvero di ravvedimento operoso. Il comma 3 prevede che se il reato è commesso dal compartecipe nell'esercizio dell'attività di consulenza fiscale, esercitata da un professionista o da un intermediario finanziario o bancario attraverso l'elaborazione di modelli di evasione fiscale, le pene stabilite per il Titolo II del decreto legislativo n. 74 del 2000 sono aumentate della metà. È stata così accolta la condizione di cui alla lettera l) del parere reso dalle Commissioni riunite II Giustizia e VI Finanze della Camera dei deputati e solo in parte l'osservazione di cui alla lettera ff) del parere reso dalle Commissioni riunite 2a Giustizia e 6a Finanze del Senato (che chiede un raddoppio delle pene stabilite per i delitti di cui al titolo II ove l'imposta evasa sia superiore a tre milioni di euro i fatti siano commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria). Non è stata accolta la condizione di cui alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite 2a Giustizia e 6a Finanze del Senato, volta a sopprimere il comma 3, in quanto il Governo ha ritenuto che la previsione della legge di delega (articolo 8, comma 1) – ai sensi della quale la punibilità dei reati tributari considerati deve essere compresa fra un minimo di sei mesi ed un massimo di sei anni delle pene edittali – riguardi le pene previste per il reato semplice e non quelle previste per il reato circostanziato. Non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera n) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze del Senato, volta a prevedere che della diminuzione di pena prevista non si tiene conto ai fini della sostituzione della pena detentiva inflitta con la pena pecuniaria, in quanto ritenuta in contrasto con modifiche già approvate all'articolo 13.
  Evidenzia come l'articolo 13, non modificato, introducendo l'articolo 18-bis nel Decreto legislativo n. 74 del 2000, preveda che i beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti da detto decreto e ad ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possano essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative. Il comma 2 fa espressamente salve le disposizioni dell'articolo 61, comma 23, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 e dell'articolo 2 del decreto-legge 16 settembre 2008, n. 143, in materia di affluenza al «Fondo unico giustizia» delle somme di denaro sequestrate e dei proventi derivanti dai beni confiscati.
  Sottolinea che l'articolo 14 dispone l'abrogazione espressa degli articoli 7 (Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio) e 16 (Adeguamento al parere del Comitato per l'applicazione delle norme antielusive) del Decreto legislativo n. 74 del 2000 e dell'articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 (in tema di Pag. 13confisca che, come detto, è stato trasfuso nel nuovo articolo 12-bis del Decreto legislativo n. 74 del 2000 ad opera dell'articolo 10 del provvedimento in esame). Non sono state accolte le osservazioni di cui alle lettere o) e p) del parere reso dalle Commissioni riunite 2a Giustizia e 6a Finanze del Senato, volte ad introdurre modifiche di coordinamento agli articoli 14 e 22 del decreto legislativo n. 74 del 2000 e ad inserire all'interno del medesimo Decreto la fattispecie incriminatrice di cui all'articolo 11, comma 1, del decreto legge n. 201 del 2011, in materia di delitto di esibizione di falsa documentazione e di fornitura di notizie non rispondenti al vero. Il Governo al riguardo ha ritenuto di non poterle prendere in considerazione, trattandosi di modifiche non attinenti a quelle già introdotte con il presente decreto.
  Nel passare ad illustrare il Titolo II dello schema in esame osserva che esso riguarda il sistema sanzionatorio amministrativo. Il Capo I (contenente il solo articolo 15), attua, in generale, il principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria di fronte a condotte illecite che riguardano imposte dirette, Iva e riscossione di tributi, con l'obiettivo di graduare le sanzioni riducendole per gli illeciti di più lieve disvalore. In particolare, in materia di riscossione, si segnala la riduzione della sanzione amministrativa in caso di versamento dell'imposta risultante dalla dichiarazione entro novanta giorni dalla scadenza: la sanzione del 30 per cento dell'imposta non pagata viene ridotta fino alla metà. La convenienza è ancora maggiore per chi effettua il versamento entro quindici giorni. In caso di dichiarazione infedele è prevista una riduzione della sanzione di un terzo se l'imposta evasa (la maggiore imposta o il minor credito accertati) è inferiore al limite del 3 per cento di quanto dichiarato e complessivamente inferiore a 30 mila euro, sempre che non vi sia stata una condotta fraudolenta. La stessa riduzione si applica in caso di errore d'imputazione dei costi per competenza. Sono previste inoltre sanzioni dimezzate anche per chi presenta entro l'anno l'omessa dichiarazione: dal 60 al 120 per cento delle imposte dovute. Si segnala, inoltre, il raddoppio della sanzione in caso di omessa o infedele indicazione del canone di locazione per gli immobili assoggettati a «cedolare secca». Sono previste infine modifiche alle sanzioni per gli intermediari in tema di dichiarazione precompilata, con l'introduzione di tetti massimi e di riduzioni in caso di tempestive rettifiche. In particolare, l'articolo 15, comma 1, modifica il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.
  Sotto un profilo generale evidenzia che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera d) del parere reso dalle Commissioni Giustizia e Finanze del Senato, che auspica una ulteriore, maggiore graduazione delle sanzioni amministrative conformemente al disposto della legge delega, che intende meglio correlare le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti, superando l'attuale distinzione tra le ipotesi di frodi e le altre violazioni, a favore di una distinzione tra ipotesi di frode (cui applicare sanzioni sensibilmente maggiorate rispetto alle attuali), ipotesi di evasione (cui applicare sanzioni analoghe a quelle attuali), ipotesi di colpa non grave (cui applicare sanzioni sensibilmente ridotte rispetto alle attuali) e ipotesi che non comportano l'emersione di una maggiore imposta dovuta (cui applicare una sanzione tendenzialmente non rapportata all'imposta comunque inferiore a quella prevista per i casi precedenti – solo se la violazione reca pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo). La Relazione in proposito rileva che la graduazione delle sanzioni amministrative tributarie nel senso indicato dalla Commissione risulta sostanzialmente già attuata con le modifiche proposte dall'articolo 15 dello schema di decreto legislativo e, in particolare, nella nuova disciplina della dichiarazione infedele. Evidenzia, inoltre, che non è stata accolta l'osservazione di cui al punto 1 del parere reso dalle Commissioni Pag. 14Giustizia e Finanze della Camera, che propone di abbassare la misura minima e massima delle sanzioni previste per violazione degli obblighi connessi alle dichiarazioni. Osserva che a parere del Governo tale modifica rientra nelle valutazioni di politica sanzionatoria e sembra comportare maggiori oneri.
  Rileva che con le modifiche in esame le sanzioni sono state convertite dalla lira all'euro.
  Segnala che la lettera a) sostituisce l'articolo 1 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni in materia di dichiarazione delle imposte sui redditi, collocando in questa sede, tra le altre, la disciplina sanzionatoria delle violazioni in materia di Irap, attualmente contenuta dell'articolo 32 del Decreto legislativo n. 446 del 1997 (articolo abrogato dal successivo articolo 31 del provvedimento in esame). Per quanto riguarda la fattispecie di omessa presentazione della dichiarazione, le sanzioni vengono proporzionate all'eventuale ritardo nell'adempimento. Viene modificata la disciplina per la fattispecie di infedele dichiarazione, attraverso una graduazione della sanzione base, secondo la gravità del comportamento tenuto dal contribuente; viene inoltre disciplinata una specifica ipotesi di omessa o infedele indicazione del canone derivante dalla locazione di immobili ad uso abitativo assoggettati a cedolare secca.
  Osserva che la lettera b) modifica l'articolo 2 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 che disciplina le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta: anche per tali fattispecie è stato introdotto un principio di proporzionalità della sanzione in base all'eventuale ritardo nell'adempimento, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione; parallelamente, per la dichiarazione infedele dei sostituti d'imposta sono inserite le graduazioni sanzionatorie già previste nell'infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette. Anche in questo caso, al di fuori di condotte fraudolente, è prevista una riduzione di un terzo della sanzione, a specifiche condizioni di legge. Viene estesa ai sostituti d'imposta la definizione di base di commisurazione della sanzione già prevista con riferimento alla dichiarazione infedele ai fini delle imposte sui redditi. Per ragioni di coerenza con la disciplina dettata ai fini delle imposte sui redditi, il nuovo comma 4-ter dell'articolo 2 prevede, anche per i sostituiti d'imposta, l'esclusione dell'applicazione della sanzione per infedele dichiarazione in caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento, praticati nell'ambito delle operazioni con imprese estere controllate (di cui all'articolo 110, comma 7, del TUIR, cd. transfer pricing). L'esimente si applica qualora il sostituto presenti all'amministrazione finanziaria la documentazione nazionale idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Evidenzia con un elemento di novità rispetto all'Atto del Governo n. 183, che non è stato oggetto di rilievo da parte delle Commissioni parlamentari, il comma 4-ter è stato riformulato, in modo da chiarire che la sanzione non si applica in caso di rettifica da cui derivi la non corretta applicazione delle aliquote convenzionali sul valore delle royalties e degli interessi attivi che eccede il valore normale, previste per l'applicazione delle ritenute di legge. La formulazione antecedente del comma prevedeva che la sanzione non si applicasse in caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento da cui derivasse la mancata esecuzione delle ritenute di legge. In sostanza, ove l'errore consista nell'applicazione delle ritenute convenzionali in misura inferiore rispetto a quelle che si sarebbero dovute applicare per effetto della rettifica del valore normale, la sanzione per infedele dichiarazione non si applica ove il sostituto presenti al fisco il cosiddetto masterfile e la documentazione nazionale richiesti ai fini del transfer pricing.
  Rileva che la lettera c) modifica le misure sanzionatorie presenti nell'articolo 3 del Decreto legislativo n. 471 del 1997; si prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa in caso di omessa denuncia, nel termine previsto per legge, delle Pag. 15situazioni che danno luogo a variazioni in aumento del reddito dominicale e del reddito agrario dei terreni, convertendo in euro (da 250 a 2.000 euro) la sanzione prima prevista da lire cinquecentomila a lire quattro milioni.
  Segnala che la lettera d) abroga l'articolo 4 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, originariamente inserito per disciplinare, in via transitoria, il regime sanzionatorio delle dichiarazioni incomplete previste dall'articolo 46, secondo e terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (articolo abrogato a decorrere dal 1o aprile 1998).
  Osserva che la lettera e) modifica l'articolo 5 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni riguardanti la dichiarazione dell'IVA. Anche per tale ipotesi, diverse novità corrispondono a quelle previste per le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'Irap: in particolare, anche per tali fattispecie si è introdotta una maggiore proporzionalità della sanzione in base all'eventuale ritardo nell'adempimento (con sanzione più lieve nel caso di tardività contenuta nell'effettuazione dell'adempimento); parimenti, vengono riproposte le graduazioni sanzionatorie connaturate al disvalore del comportamento tenuto dal contribuente nell'ipotesi di infedele dichiarazione. Analoga è la definizione di imposta dovuta ai fini della commisurazione della sanzione, così come analoga è l'eliminazione di aggravanti previste, in precedenza, per le violazioni relative al contenuto e alla presentazione dei modelli per gli studi di settore. È inoltre riformulata la disciplina sanzionatoria della richiesta di rimborso dell'imposta in difformità rispetto al contenuto della dichiarazione, in linea con le diverse modalità con cui viene effettuata la richiesta di rimborso dell'eccedenza detraibile. Sono adeguate anche le disposizioni sulla presentazione delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, al fine di consentire l'applicazione della sanzione per mancata presentazione di una delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, oltre che alla richiesta di registrazione al c.d. mini sportello unico (Mini One Stop Shop, abbreviato in MOSS, di cui al Decreto legislativo n. 42 del 2015) anche alla incompleta o inesatta presentazione delle successive comunicazioni.
  Sottolinea che la lettera f) effettua diversi interventi puntuali nell'articolo 6 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 recante la disciplina sanzionatoria relativa all'inosservanza degli obblighi di documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell'IVA, anche intracomunitaria. In primo luogo è ridotta la sanzione-base per le violazioni degli obblighi di fatturazione e registrazione relative ad operazioni imponibili, espressa in misura proporzionale: essa al momento pari ad una somma che va dal 100 al 200 per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio. Per effetto delle norme in esame, i predetti importi sono ridotti, rispettivamente, a 90 e 180 per cento. In alternativa a quella base, si dispone un'ulteriore riduzione della sanzione, per il caso di ritardo nella registrazione/certificazione che non abbia inciso sulla liquidazione periodica e, quindi, sull'assolvimento del tributo: la misura di detta sanzione è fissata in un importo da 250 a 2000 euro.
  Segnala che, con un elemento di novità rispetto all'atto del Governo 183 – benché non costituisca oggetto di rilievo da parte delle Commissioni parlamentari competenti – lo schema in esame modifica anche il comma 6 dell'articolo 6, che disciplina il caso di indebita detrazione IVA: la sanzione, precedentemente corrispondente all'intera detrazione indebitamente operata, viene ridotta al 90 per cento dell'imposta detratta. Nel comma 8, relativo all'obbligo di regolarizzazione della fattura da parte del cessionario o del committente, la misura minima della sanzione viene portata ad euro 250.
  Osserva che è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera v) contenuta nel parere reso dalle Commissioni riunite del Senato, mediante la completa riscrittura Pag. 16della disciplina sanzionatoria del reverse charge rispetto a quanto previsto nell'atto del Governo 183.
  Al riguardo, le Commissioni rilevano che, nel caso di omessa o tardiva applicazione del meccanismo dell'inversione contabile ad opera di cessionari o committenti che non soffrano alcun limite al pieno esercizio del diritto di computare in detrazione l'imposta relativa ai beni e servizi acquistati, l'omissione o il ritardo non appaiono idonei ad arrecare alcun reale pregiudizio agli interessi erariali, attesa la necessità che al soggetto obbligato all'assolvimento dei relativi obblighi contabili, dichiarativi e di versamento dell'IVA vada, in ogni caso, riconosciuta la spettanza della detrazione, ove ne sussistano tutte le condizioni sostanziali, conformemente a quanto espresso dalla prassi e dalla giurisprudenza di legittimità. Si reputa dunque ragionevole limitare la sanzione per il comportamento omissivo o scorretto all'applicazione di un ammontare fisso, mantenendo al contrario l'irrogazione della sanzione variabile (nella misura dal cento al duecento per cento dell'imposta non assolta o irregolarmente assolta) ai soli casi nei quali il puntuale adempimento degli obblighi connessi al meccanismo della inversione contabile avrebbe generato in capo al cessionario o committente una posizione di debito IVA verso l'Erario. Tale situazione si verifica qualora il cessionario o committente non risulti legittimato a computare in detrazione l'IVA a credito per un ammontare in tutto o in parte corrispondente a quello dell'IVA dovuta in relazione all'operazione di acquisto di beni o servizi, ovverosia qualora in capo a detto soggetto operi una limitazione di carattere soggettivo (i.e. pro rata di detraibilità ex articolo 19, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633), sia in presenza di limitazioni di natura oggettiva (e.g. casi di indetraibilità specifica).
  Segnala che è stata altresì accolta la condizione di cui alla lettera e), punto III del parere delle Commissioni riunite del Senato, che chiede di intervenire sulle sanzioni applicabili per irregolarità connesse alla non corretta individuazione del debitore dell'imposta, al fine di meglio correlarle al danno erariale, in particolare prevedendo una sanzione rapportata all'IVA, per il cessionario o committente debitore dell'IVA per una data operazione che non assolva correttamente gli adempimenti relativi al reverse charge, solo ove in capo a questi il diritto alla detrazione dell'IVA relativa a tale operazione sia escluso o limitato. L'originario atto del Governo n. 183 si limitava a introdurre un comma 9-bis, che riduceva la sanzione amministrativa (fra il novanta ed il centottanta per cento) relativa al mancato assolvimento dell'IVA mediante il meccanismo del reverse charge. Le norme introducono una disciplina articolata e improntata a criteri di proporzionalità tra la misura della sanzione e la gravità della violazione. In particolare, l'ambito di applicazione del comma 9-bis è esteso a tutte le forme di inversione contabile contemplate dalla disciplina IVA, dunque non solo quelle tipizzate dagli articoli 17 e 74 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972; esso trova applicazione anche per l'agricoltura e le operazioni intracomunitarie.
  Si distinguono le seguenti fattispecie: l'ipotesi in cui il cedente/prestatore emette correttamente fattura senza applicazione dell'imposta, ma il cessionario/committente non pone in essere gli adempimenti connessi all'inversione contabile. In tal caso, se la fattura ricevuta non è stata totalmente occultata – ma risulta comunque dalla contabilità ai fini delle imposte dirette – si applica una sanzione in misura fissa, compresa tra euro 500 e euro 20.000. Ove l'annotazione non risulti nemmeno nelle scritture contabili, la sanzione è applicata in misura proporzionale (dal 5 al 10 per cento dell'imponibile) con un minimo di 1.000 euro; l'ipotesi in cui il cedente/prestatore non emetta la fattura entro quattro mesi dall'operazione e il cessionario/committente non provveda a regolarizzare entro trenta giorni tale omissione. Anche in tal caso si applicano la sanzione proporzionale (dal 5 al 10 per cento dell'imponibile), con un minimo di Pag. 171.000 euro, nonché quelle per indebita detrazione e per infedele dichiarazione.
  Sottolinea che il comma 9-bis1 detta le eccezioni alla predetta regola generale, di cui al comma 9-bis. Si prevede l'ipotesi di irregolare assolvimento dell'imposta, con applicazione di una sanzione fissa (da 250 a 10.000 euro) per l'ipotesi di operazioni in cui, in linea generale, l'imposta è stata applicata ordinariamente e versata dal cedente/prestatore in luogo dell'applicazione del reverse charge. Tale sanzione si applica al cessionario/committente – che è il vero debitore dell'imposta – con solidarietà del cedente/prestatore. Viene fatto salvo il diritto alla detrazione ed è evitato l'obbligo di regolarizzazione dell'operazione in capo al cessionario/committente. La sanzione è più grave quando l'applicazione dell'imposta in regime ordinario in luogo del reverse charge è determinata da intenti fraudolenti; si applica la rimodulata sanzione base (dal 90 al 180 per cento).
  Evidenzia che il comma 9-bis2 dispone l'applicazione di una sanzione in misura fissa (da 250 a 10.000) in capo al cedente/prestatore, salvaguardando il diritto alla detrazione del cessionario, ma senza obbligo di regolarizzazione dell'operazione, per le ipotesi in cui l'imposta è stata erroneamente assolta dal cessionario/committente con il meccanismo dell'Inversione contabile in luogo del meccanismo ordinario, per operazioni riconducibili alle ipotesi di reverse charge, ma per le quali non ricorrevano tutte le condizioni per la sua applicazione. Anche in tale ipotesi è prevista la solidarietà del cessionario/committente con il cedente/prestatore (vero debitore dell'imposta) ed è prevista una sanzione più grave in capo al cedente/prestatore – nei casi in cui l'applicazione dell'imposta in reverse charge è determinata da intenti fraudolenti: essa va dal 90 al 180 per cento.
  Rammenta che il comma 9-bis3 disciplina l'ipotesi di errata applicazione del reverse charge ad operazioni esenti, non imponibili o non soggette ad imposta. In tale evenienza nella contabilità devono essere eliminati sia il debito che il credito erroneamente registrati, con effetti neutrali; viene salvaguardato il diritto al recupero dell'Imposta eventualmente non detratta (per indetraibilità soggettiva od oggettiva) attraverso la nota di variazione o la richiesta di rimborso ai sensi dell'articolo 21 del decreto legislativo 546 del 1992. La medesima procedura si applica anche per le operazioni inesistenti, con effetti sostanzialmente neutri, salvo in questo caso l'applicazione della sanzione dal 5 al 10 per cento dell'imponibile.
  Nel comma 9-ter la sanzione amministrativa relativa all'acquisto non documentato regolarmente (ora pari al 20 per cento del corrispettivo) è resa applicabile dal 10 al 20 per cento del predetto ammontare. Fa presente che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera e), punto I del parere delle Commissioni 2o e 6o del Senato, che chiede una riduzione delle sanzioni in tema di obblighi di documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell'IVA e in particolare invita il Governo a limitare l'applicazione delle sanzioni ivi indicate al caso di accertamenti notificati prima della presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione.
  In merito la Relazione ritiene che la proposta non tiene conto della natura del tributo e della necessità di garantire un presidio sanzionatorio agli adempimenti formali ad esso relativi (certificazione dci corrispettivi, registrazione, liquidazione del tributo), fondamentali per il corretto funzionamento dello stesso. Ove la stessa fosse accolta, una volta presentata la dichiarazione IVA annuale, le violazioni prodromiche non sarebbero più contestabili, ma sarebbero difatti assorbite dalla contestazione dell'infedele dichiarazione che ne consegue, e ciò comporterebbe il venir meno di un deterrente alla violazione. Peraltro, in presenza di violazioni relative agli obblighi prodromici di documentazione e registrazione e di violazioni per infedele dichiarazione, vi è l'ordinaria disciplina del concorso di violazioni di cui al l'articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997. Non è stata accolta la condizione Pag. 18di cui alla lettera e), punto II del parere delle Commissioni riunite del Senato, che chiede che sia fissata in tema di IVA una misura delle sanzioni compatibile con i criteri dettati dalla Corte di Giustizia UE, in particolare nella cd. sentenza Equoland. Nella cd. sentenza «Equoland» della Corte di Giustizia UE (Causa C-272/13) la Corte ha affermato che la direttiva Iva 2006/112/CE non consente ad uno Stato membro di chiedere il pagamento dell'imposta all'importazione, qualora la medesima sia già stata regolarizzata nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile, mediante un'autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo. Dunque ha vietato all'amministrazione doganale di recuperare l'IVA, ove la documentazione fornita dal contribuente consenta di chiarire che questi ha già provveduto al pagamento del tributo, con la successiva doppia annotazione del documento fiscale nei registri degli acquisti e delle vendite. Al riguardo la Relazione rammenta che, secondo giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, in mancanza di armonizzazione della normativa dell'Unione nel settore delle sanzioni applicabili in caso di inosservanza delle condizioni previste da un regime istituito da tale normativa, gli Stati Membri restano competenti a scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate, ma sono tenuti ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell'Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità. La Corte di Giustizia rinvia al giudice nazionale il compito di verificare se «importo della sanzione non eccede quanto necessario per conseguire gli obiettivi consistenti nell'esatta riscossione dell'imposta ed evitare l'evasione. Si ritiene dunque che le modifiche apportate dalle norme in commento al decreto legislativo n. 471 del 1997 rispondano alle sopra citate esigenze di carattere generale evidenziate dalla Corte di Giustizia.
  Rileva che la lettera g) modifica l'articolo 7 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 che concerne le specifiche violazioni relative alle esportazioni. Viene attenuata la sanzione prevista per il fornitore dell'esportatore abituale che, da proporzionale (dal cento al duecento per cento dell'imposta), viene stabilita in misura fissa da euro 250 a euro 2.000, al fine di armonizzarla con le modifiche introdotte dal Decreto legislativo n. 175 del 2014 in materia di semplificazioni fiscali, anch'esso attuativo della legge delega in commento. Dal 1o gennaio 2015, infatti, il fornitore dell'esportatore abituale non è più tenuto a comunicare le lettere d'intento ricevute dell'esportatore abituale, dovendo verificare l'avvenuta trasmissione delle stesse all'Agenzia delle Entrate, prima di effettuare la relativa operazione.
  Non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera z) del parere delle Commissioni riunite del Senato, che invita il Governo a valutare una ulteriore attenuazione rispetto a quanto previsto dalle norme proposte. La Relazione al riguardo afferma che la sanzione in misura fissa, in luogo della precedente sanzione proporzionale, sia proporzionata alla tipologia di violazione; essa torna applicabile solo nell'ipotesi in cui il fornitore non abbia verificato il corretto invio, da parte dell'esportatore abituale, della dichiarazione d'intento e che quest'ultimo abbia effettivamente omesso l'adempimento. In tal caso alla omessa verifica consegue una violazione sostanziale – emissione di una fattura senza addebito d'imposta – che resta sanzionata in capo all'emittente con una sanzione in misura fissa.
  Rammenta che la lettera h) modifica ed aggiorna l'articolo 8 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 che disciplina le violazioni di carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni. In particolare, sono disciplinate unitariamente le sanzioni per le imposte dirette e l'Irap; è aggiornato il riferimento al soggetto attualmente preposto all'approvazione dei modelli dichiarativi (Direttore dell'Agenzia e non più il Ministero delle Finanze); è eliminato il riferimento all'obbligo di allegare i documenti alla dichiarazione; è aggiornato il riferimento agli elementi relativi alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, ora contenuto all'articolo Pag. 194 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998. Viene aggiunto il nuovo comma 3-ter all'articolo 8, che individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa (da 2.000 a 21.000 euro) applicabile nei casi in cui il contribuente non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni in relazione alle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari; alla continuazione del consolidato nazionale; al consolidato mondiale; per le società di comodo e, infine, in tema di Aiuto per la crescita economica (ACE). Le ipotesi menzionate, infatti, sono oggetto di modifica da parte dello schema di decreto delegato in materia di interpello (A.G. n. 184-bis, anch'esso all'esame delle Commissioni parlamentari) nel cui contesto la presentazione dell'istanza di interpello – fino ad oggi obbligatoria – è stata resa facoltativa ed è stata sostituita, in omaggio all'esigenza di monitoraggio da parte dell'amministrazione sulle predette situazioni, dalla introduzione di un obbligo di segnalazione. La relazione illustrativa afferma che è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera bb) del parere delle Commissioni riunite del Senato, che invita a coordinare le disposizioni in esame con quanto previsto dalla revisione della disciplina sugli interpelli, mediante la rinumerazione del comma introdotto da 3-ter a 3-quinquies – atteso che il decreto delegato recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese, in corso di pubblicazione sulla G.U., ha inserito nell'articolo otto in argomento i commi 3-ter e 3-quater.
  Osserva che la lettera i) modifica l'articolo 9 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni degli obblighi concernenti la contabilità in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto: si prevede l'applicazione di un'unica sanzione per entrambi i settori impositivi e per le diverse infrazioni configurabili.
  Segnala che la lettera l) modifica l'articolo 10 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni da parte degli operatori finanziari degli obblighi scaturenti da richieste operate nell'esercizio dei poteri inerenti all'accertamento delle imposte dirette o dell'IVA nonché le violazioni degli obblighi di comunicazione all'Archivio dei rapporti finanziari. Salva la conversione dei valori in euro, la disposizione non è stata oggetto di modifica sostanziale.
  Evidenzia come la lettera m) modifica l'articolo 11 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, contenente norme sanzionatorie volte a colpire le residue fattispecie di infrazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto.
  Sottolinea che sono state accolte l'osservazione di cui alla lettera aa) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato e l'osservazione n. 1 del parere reso dalle Commissioni riunite della Camera, di contenuto analogo: le Commissioni suggeriscono di sopprimere la norma proposta nell'articolo 15 dell'atto del Governo 183 (nella parte in cui inserisce un comma 7-bis all'articolo 11) che prevede una sanzione per la mancata o inesatta indicazione da parte dell'imprenditore del soggetto beneficiario delle somme prelevate dal proprio conto corrente bancario; a parere delle Commissioni tale norma appare contraddittoria rispetto alle finalità di eliminare le sanzioni improprie e del fatto che la generalità delle imprese non è dotata di una contabilità che consente la rilevazione dei flussi finanziari. È stata dunque eliminata dalle norme dello schema la disposizione che propone l'applicazione di una sanzione dal 10 al 50 per cento delle somme in caso di mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate nell'ambito dei rapporti finanziari e delle relative operazioni di cui all'articolo 32, primo comma n. 2 del D.P.R n. 600 del 1973, salvo che le somme non risultino dalle scritture contabili. Conseguentemente è stato soppresso l'intervento di modifica dell'articolo 32, comma 1, n. 2) del decreto del Presidente della Repubblica 600/1973, contenuto nell'originario articolo 31, comma 3, dell'atto del Governo n. 183. Al riguardo si rammenta che l'abrogazione di tale n. 2) Pag. 20era contenuto tra le condizioni poste dalla Commissione V della Camera. La predetta Commissione auspicava che dal 1o gennaio 2016 non fosse più possibile applicare alle imprese (articolo 32, primo comma, numero 2), del D.P.R n. 600 del 1973) la presunzione legale secondo la quale il prelevamento non giustificato dal conto bancario corrisponde automaticamente a un costo a sua volta produttivo di un ricavo. La non applicazione di tale presunzione era già applicata ai lavoratori autonomi a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 228 del 2014. La Corte ha infatti stabilito che, in relazione ai lavoratori autonomi, non si può ritenere che il prelevamento non giustificato dal conto bancario corrisponda automaticamente a un costo a sua volta produttivo di un ricavo.
  Rileva come il nuovo comma 7-bis introduce una nuova disciplina sanzionatoria in materia di tardiva presentazione delle garanzie richieste nell'ambito delle compensazioni dell'IVA di gruppo, relative all'ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell'ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall'ente o società controllante.
  Osserva che il nuovo comma 7-ter prevede la sanzione per la mancata presentazione dell'interpello nei casi in cui questo sia oggetto di un obbligo, c.d. «interpello disapplicativo», previsto dal comma 2 dell'articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) come modificato dallo schema di decreto legislativo in tema di interpello (A.G. n. 184-bis). Tale provvedimento ha previsto un interpello obbligatorio nel caso in cui il contribuente intenda disapplicare norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento tributario. Tramite l'interpello il contribuente deve fornire la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi.
  Segnala che la lettera n) modifica l'articolo 12 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 che disciplina le sanzioni accessorie in materia di imposte dirette e IVA, convertendo in euro le sanzioni ivi previste.
  Segnala, inoltre, che la lettera o) sostituisce l'articolo 13 del Decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni degli obblighi di versamento dei tributi, modificandone altresì la rubrica dell'articolo per riferirlo ai ritardati o omessi versamenti diretti e ad altre violazioni in materia di compensazioni. In sintesi, sono state apportate modifiche per rendere le sanzioni maggiormente proporzionali: si prevede una riduzione per i versamenti effettuati con lieve ritardo. Si prevede una disciplina specifica per l'ipotesi di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante. Inoltre si rifonde nell'articolo la disciplina dell'utilizzo in compensazione di un credito inesistente attualmente contenuta nel decreto-legge n. 185 del 2008, definendo quali crediti sono «inesistenti». Si introduce altresì la disciplina sanzionatoria della garanzia IVA di gruppo presentata tardivamente, sottraendo così tale fattispecie all'applicazione della più generale normativa in tema di l'omesso versamento. Non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera cc) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato che, oltre a raccomandare una più attenta definizione della nozione di credito inesistente, raccomanda una più attenta definizione della nozione di credito inesistente, in quanto reputa sia poco intellegibile il riferimento alla mancanza, totale o parziale, di un «presupposto costitutivo» affinché detto credito sia considerato non esistente. Con riferimento alla definizione di credito inesistente, la Relazione osserva che la qualificazione dello stesso come «mancante del presupposto costitutivo» consentirebbe tra l'altro di tenere conto della molteplicità dei crediti agevolativi presenti in ambito fiscale e delle molteplici configurazioni di tali crediti operati dalle leggi Pag. 21istitutive; siffatta definizione, in particolare, evita che possa essere irrogata al contribuente una sanzione grave nel caso in cui sussistano i requisiti sostanziali previsti dalla norma istitutiva del credito, ma non siano stati posti in essere adempimenti formali relativi alla esposizione o utilizzazione del credito (a meno che tali adempimenti non siano considerati costitutivi dalle stesse norme di riferimento). Inoltre, si rileva ce il riferimento operato al riscontro dell'esistenza del credito da utilizzare in compensazione mediante procedure automatizzate rappresenterebbe condizione ulteriore a quella dell'esistenza sostanziale del credito, volta ad evitare che si applichino le sanzioni più gravi quando il credito, pur sostanzialmente inesistente, può essere facilmente «intercettato» mediante controlli automatizzati, nel presupposto che la condotta del contribuente connota per scarsa insidiosità.
  Osserva che la lettera p) modifica l'articolo 14 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 il quale prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento dell'ammontare non trattenuto nei confronti dei soggetti che violano l'obbligo di esecuzione, in tutto o in parte, delle ritenute alla fonte. La norma in esame elimina, rispetto alla vigente formulazione, il riferimento all'applicazione delle disposizioni dell'articolo 13 per il caso di omesso versamento. È stata accolta l'osservazione di cui alla lettera q) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato nella parte in cui si chiede di precisare nella relazione illustrativa dello schema che, in virtù del predetto intervento normativo, il contribuente non potrà essere sanzionato per omesso versamento in caso di accertamento di ritenute non dichiarate e non operate.
  Sottolinea che la lettera q) modifica l'articolo 15 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 che prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa nei casi in cui i documenti utilizzati per i versamenti diretti non contengono gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata, al fine di reintrodurre nel Decreto legislativo norme contenute in leggi speciali e maggiormente graduare le sanzioni previste per l'inadempimento tardivo.
  Nel passare all'esame del Capo II, contenente il solo articolo 16, osserva che esso introduce modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante la disciplina generale delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
  Segnala che la lettera a) modifica l'articolo 2, comma 4, del Decreto legislativo n. 472 del 1997 il quale prevede un meccanismo di adeguamento triennale delle misure delle sanzioni amministrative. In particolare, viene eliminato il riferimento al Ministro del Tesoro ed aggiornato il riferimento al Ministro dell'economia e delle finanze.
  La lettera b) abroga l'articolo 5, comma 2, del Decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo alla disciplina della responsabilità dell'autore materiale della violazione. Il contenuto di detto comma viene trasfuso nel successivo articolo 11, che regolamenta la responsabilità per le violazioni commesse nell'interesse di società, associazioni o enti aventi o meno personalità giuridica.
  La lettera c) modifica l'articolo 7 del Decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo ai criteri di determinazione della sanzione; viene eliminata la discrezionalità nell'applicazione della recidiva, ma l'automatismo non opera, tuttavia, quando l'applicazione della recidiva determinerebbe la manifesta sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione. Inoltre, tra le violazioni che risultano non rilevanti ai fini della recidiva sono aggiunte, oltre a quelle già contemplate, anche quelle definite a seguito di mediazione e conciliazione tributaria (oggetto di modifica, si ricorda, con l'A.G. n. 184-bis). Viene eliminata la natura eccezionale della circostanza attenuante in base alla quale la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo se ricorrono circostanze che rendano manifesta la sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione. Con la modifica in esame, pertanto, l'attenuante assume carattere generale e non più eccezionale. Pag. 22
  Rileva che in parziale accoglimento dell'osservazione di cui alla lettera s) del parere delle Commissioni riunite del Senato, è stata prevista una norma generale di chiusura all'interno dell'articolo 7 del Decreto legislativo n. 472 del 1997 (recante i «criteri di determinazione della sanzione») ai sensi della quale, per tutte le ipotesi non espressamente disciplinate dalle singole disposizioni di settore, nel caso di presentazione di dichiarazioni e denunce con un ritardo non superiore a 30 giorni dal termine ordinario di scadenza, la sanzione prevista per l'omissione è ridotta alla metà. Le Commissioni ritengono che una norma di tal fatta conferisca maggiore coerenza alle modifiche proposte, eviti rischi di vuoti normativi e garantisca uniformità di trattamento tra situazioni analoghe. Esse (parte dell'osservazione non accolta) suggerivano di introdurre una disposizione che chiarisse che le dichiarazioni e denunce non si considerano omesse se presentate con ritardo non superiore a un termine compreso tra 30 e 90 giorni, e che tale norma di chiusura fosse alternativa ai proposti interventi di modifica di cui agli articoli 15, 17, 18, 21, 22, 23, 27, 28, 29, con specifiche disposizioni nell'ambito dei singoli tributi.
  Osserva che la lettera d) modifica l'articolo 11 del Decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo alla disciplina dei responsabili della sanzione amministrativa.
  Evidenzia che la lettera e) modifica l'articolo 12 del Decreto legislativo n. 472 del 1997 concernente il concorso di violazioni e la continuazione. In particolare si estende anche all'ipotesi di mediazione e conciliazione giudiziale la previsione secondo cui le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta.
  La lettera f) interviene sull'articolo 13 del Decreto legislativo n. 472 del 1997, recante l'istituto del ravvedimento operoso; tra l'altro si dispone che la riduzione sanzionatoria ivi disciplinata trovi applicazione se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell'omissione o dell'errore (in luogo del termine per la presentazione della dichiarazione, previsto dalla norma vigente), ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in sede di dichiarativa avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso.
  Segnala che la lettera g) modifica l'articolo 14 del Decreto legislativo n. 472 del 1997 che disciplina la materia della responsabilità dipendente da cessione di azienda o di un ramo di azienda, prevedendo la responsabilità solidale del cessionario per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore. In particolare si introduce il nuovo comma 5-bis che prevede una causa di disapplicazione della norma quando la cessione avviene nell'ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio. Il nuovo comma 5-ter in primo luogo l'applicazione dell'intera disciplina, in quanto compatibile, anche alla fattispecie di conferimento di azienda. È stata accolta l'osservazione di cui alla lettera dd) del parere delle Commissioni riunite del Senato, prevedendo (nuova formulazione del comma 5-ter) che la nuova normativa in tema di responsabilità del cessionario d'azienda sia estesa a tutti i trasferimenti d'azienda.
  Segnala che la lettera h) modifica l'articolo 23 del Decreto legislativo n. 472 del 1997, che disciplina l'istituto della sospensione dei rimborsi e la compensazione. Viene introdotta un'ulteriore ipotesi di sospensione del pagamento: la notifica di un provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivo. La sospensione, inoltre, opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base Pag. 23all'atto o alla decisione della commissione tributaria, ovvero dalla decisione di altro organo.
  Con riferimento al Capo II in esame segnala che non è stata accolta la condizione di cui alla lettera g) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato, volta all'eliminazione dal Decreto legislativo n. 471 del 1997 delle disposizioni «non pertinenti», tra cui l'articolo 16, comma 1, lettera h), dello schema in commento, che modifica la disciplina della sospensione dei rimborsi o l'articolo 26 dello schema di decreto legislativo rubricato «Ulteriori modifiche in materia di imposta di registro». Osserva che a parere del Governo le modifiche proposte appaiono avere significativi riflessi sul profilo sanzionatorio e, più in generale, appaiono in linea in linea con gli obiettivi della delega.
  Evidenzia che con il Capo III vengono introdotte modifiche a specifiche disposizioni sanzionatorie, non contenute nei decreti legislativi nn. 471 e 472 del 1997.
  Osserva che l'articolo 17, comma 1, modificando l'articolo 17, del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), prevede espressamente che la comunicazione relativa alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite del contratto di locazione deve essere presentata all'ufficio presso cui è stato registrato il contratto entro trenta giorni, prevedendo altresì la sanzione per il mancato versamento relativo alle predette operazioni. Il comma 2, modificando l'articolo 3, comma 3, del Decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, reca le sanzioni per la mancata presentazione della comunicazione relativa alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l'opzione per il regime della cedolare secca, prevedendo una riduzione dell'importo per il versamento tardivo.
  Sottolinea che l'articolo 18 dello schema in esame riduce le sanzioni per omessa registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta, qualora la richiesta di registrazione sia effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni: fermo restando un importo minimo pari a 200 euro, si prevede in tali casi che la sanzione per omessa registrazione sia compresa tra il 60 e il 120 per cento dell'ammontare delle imposte dovute.
  Sono inoltre ridotte le misure minima e massima della sanzione prevista dall'articolo 72 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 per l'occultazione di corrispettivo convenuto.
  Osserva che l'articolo 19 modifica l'articolo 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999 recante disposizioni tributarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche; è soppressa la sanzione impropria della decadenza dalle relative agevolazioni, in caso di inosservanza della disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti e dei versamenti.
  L'articolo 20 modifica l'articolo 1, comma 421, della legge n. 311 del 2004, concernente la disciplina dell'atto di recupero motivato per la riscossione di crediti indebitamente utilizzati: la modifica in esame prevede che tale strumento può essere utilizzato anche per la riscossione delle relative sanzioni ed interessi.
  Segnala che l'articolo 21 modifica l'articolo 4, comma 6-quinquies del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, recante la disciplina sanzionatoria della certificazione unica; viene inserito un tetto massimo, pari ad euro 50.000, per ciascun sostituto di imposta, quale limite per l'irrogazione della sanzione di 100 euro, prevista per ogni certificazione omessa, tardiva o errata (sanzione, peraltro, non cumulabile per espressa previsione normativa). Se la certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dal termine previsto nel primo periodo, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo di 20.000 euro.
  Rileva che l'articolo 22 modifica la disciplina in tema di obbligo, da parte degli enti e delle casse aventi esclusivamente fine assistenziale, di comunicazione in via telematica all'Anagrafe tributaria degli elenchi dei soggetti ai quali sono state rimborsate spese sanitarie, per effetto dei contributi di assistenza sanitaria Pag. 24versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20. Per tali soggetti, la legge prevede la sanzione di 100 euro per ogni comunicazione, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati, si applica, senza possibilità di cumulo. Per effetto delle modifiche in esame si inserisce un tetto massimo di euro 50.000 per soggetto terzo e viene previsto che se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza, la sanzione è ridotta ad un terzo, con un massimo di euro 20.000.
  Evidenzia che l'articolo 23 introduce una specifica disciplina sanzionatoria per i soggetti tenuti a inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015 ai fini della loro messa a disposizione dell'Agenzia delle entrate (omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati; errata comunicazione dei dati).
  L'articolo 24 modifica l'articolo 39 del Decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, recante la disciplina del visto ovvero dell'asseverazione infedele, al fine di coordinare tale disposizione con le nuove misure di riduzione sanzionatoria introdotte nell'istituto del ravvedimento operoso dalla legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014, articolo 1, comma 637).
  Sottolinea che l'articolo 25 disciplina le modalità di riconoscimento, nell'ambito dei procedimenti di accertamento (articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) e di adesione (articolo 7 del decreto legislativo n. 218 del 1997), di eventuali perdite da computare in diminuzione dal maggior reddito imponibile accertato. In particolare l'ufficio deve computare in diminuzione, dal maggiore imponibile accertato, le perdite «di periodo», ovvero le perdite del periodo d'imposta oggetto di accertamento fino a concorrenza del loro importo. Per quanto riguarda le «perdite pregresse», ovvero le perdite maturate in periodi d'imposta antecedenti a quello oggetto di accertamento, la disposizione prevede che le stesse siano computate in diminuzione su richiesta del contribuente, che deve presentare un'apposita istanza all'ufficio competente all'emissione dell'avviso di accertamento entro il termine di proposizione del ricorso. Il computo in diminuzione delle perdite implica, pertanto, la correlata rideterminazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, le quali sono commisurate (ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) alla maggiore imposta che eventualmente residua dopo la rideterminazione dei redditi nell'anno oggetto di accertamento. Evidenzia, inoltre, che considerando anche la nuova definizione di «imposta evasa» nell'ambito del Decreto legislativo n. 74 del 2000, operata dall'articolo 1 del provvedimento in esame (per cui non si considera imposta evasa quella teorica collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio sia all'utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili), la disciplina in esame comporta un minore ambito di applicazione dei reati tributari per i quali sono previste delle soglie di punibilità collegate all'imposta evasa (soglie che, peraltro, in taluni casi sono state elevate dal provvedimento in esame). Osserva che si introduce la stessa disciplina nell'ambito dei procedimenti di adesione: fermo restando il computo in diminuzione delle perdite del periodo d'imposta oggetto di adesione, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dai maggiori imponibili le perdite pregresse, non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo.
  Rammenta che le disposizioni entrano in vigore il 1o gennaio 2016, con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini per l'accertamento (articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973).
  Sottolinea che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera ee) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato, che invita in primo luogo il Governo a verificare se le norme trovano adeguata copertura nella legge delega. La Relazione Pag. 25rileva in merito che il sistema di scomputo delle perdite è già disciplinato nell'ambito del procedimento di accertamento e di adesione nei confronti dei soggetti aderenti al consolidato nazionale. L'articolo 35 del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, infatti, a decorrere dal lo gennaio 2011, ha introdotto uno specifico procedimento accertativo del consolidato e, con esso, il regime dell'utilizzo delle perdite. In tale ambito, solo la consolidante è nella facoltà di scegliere se e quali perdite utilizzare in sede di accertamento, mediante la presentazione di apposita istanza.
  Il Governo ricorda inoltre che la scelta operata dal legislatore tiene anche in considerazione l'opportunità di dettare regole uniformi per l'utilizzo delle perdite pregresse, con riferimento ai soggetti aderenti al consolidato e ai soggetti che non vi partecipano. Ad ulteriore argomentazione, la Relazione evidenzia inoltre che lo scomputo automatico previsto dal legislatore solo per le perdite di periodo ha lo scopo di ripristinare il risultato di periodo che si sarebbe ottenuto se il contribuente avesse dichiarato correttamente il proprio reddito (finalità non ritenuta è rinvenibile nel caso di utilizzo delle perdite pregresse al periodo l'imposta oggetto di rettifica) e che ne giustifica lo scomputo prioritario rispetto alle perdite pregresse, il cui utilizzo, invece, deve essere lasciato alla piena facoltà del contribuente. Tale facoltà deve riferirsi alla tipologia di perdite da utilizzare, in base alla loro natura e ai limiti di cui agli articoli 8 e 84 del TUlR.
  Segnala che l'articolo 26, introducendo un nuovo comma 1-bis all'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), amplia il termine per la richiesta di registrazione dei decreti di trasferimento e degli atti ricevuti dai cancellieri, portandolo a 60 giorni da quello in cui il provvedimento è stato emanato.
  Ricorda che l'articolo 27 apporta modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale (Decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 347). In sintesi, è ampliato da 30 a 120 giorni dalla data dell'atto o del provvedimento ovvero della sua pubblicazione, se questa è prescritta il termine concesso ai cancellieri per richiedere la trascrizione; si riduce del cinquanta per cento la misura minima e massima della sanzione stabilita per l'omessa richiesta di trascrizione o delle annotazioni obbligatorie, qualora la richiesta di trascrizione o le annotazioni obbligatorie siano effettuate entro trenta giorni dalla data dell'atto o del provvedimento ovvero dalla sua pubblicazione; ove le richieste siano effettuate con analogo ritardo non superiore a 30 giorni, è prevista una sanzione in misura fissa di 50 euro.
  Osserva che l'articolo 28 apporta modifiche all'articolo 50 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni (decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346) operando, preliminarmente, la conversione in euro delle previsioni edittali già contemplate per l'omissione della dichiarazione di successione. In aggiunta è prevista una riduzione al cinquanta per cento delle misura minima e massima della sanzione per omessa presentazione della dichiarazione di successione, qualora la stessa sia presentata con ritardo non superiore a trenta giorni. Per tale ultima ipotesi, sono stabilite misure minime e massime pari ad euro 150 e 500, qualora non sia dovuta l'imposta di successione.
  Segnala che con l'articolo 29 sono apportate modifiche agli articoli 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 che disciplina l'imposta di bollo. Tra le modifiche apportate si ricorda la riduzione al cinquanta per cento delle misure minime e massime della sanzione per omessa dichiarazione di conguaglio contenente l'indicazione del numero degli atti e documenti emessi nell'anno precedente, distinti per voce di tariffa e degli altri elementi utili per la liquidazione dell'imposta, nonché degli assegni bancari estinti nel suddetto periodo, qualora la stessa dichiarazione sia presentata con un ritardo non superiore a trenta giorni.Pag. 26
  Evidenzia che l'articolo 30 apporta modifiche agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 640, in materia di sanzioni sull'imposta sugli intrattenimenti, prevedendo, tra l'altro, la riduzione delle misure previste. In linea generale si segnala che non sono state accolte le seguenti osservazioni in materia di sanzioni doganali ed accise, in quanto il Governo reputa che una revisione della disciplina possa essere più adeguatamente valutata in sede di eventuale adozione di un decreto legislativo correttivo e integrativo delle norme di delega, ai sensi dell'articolo 1, comma 8 della legge n. 23 del 2014: l'osservazione di cui alla lettera t) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato che segnala l'opportunità di rivedere il sistema sanzionatorio di in materia doganale; l'osservazione di cui alla lettera u) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato che segnala la medesima opportunità in materia di accise; tale revisione muovendo dai criteri enunciati nella delega, dovrebbe contemplare la possibilità di contenere le ipotesi di applicazione della sanzione penale e ridurre la sanzione amministrativa.
  Rammenta che l'articolo 31 contiene una disposizione norma aggiuntiva rispetto a quanto previsto dall'atto del Governo 183, in coordinamento con le modifiche operate alla disciplina sanzionatoria del reverse charge (articolo 15, comma 1, lettera f) dello schema): con le modifiche proposte dallo schema in esame si riformula il testo dell'articolo 21, settimo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Si chiarisce che la sanzione colpisce il cedente o il prestatore che emette fattura per operazioni inesistenti, ovvero che indica nella fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale: in tal caso l'imposta è dovuta per l'intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura. Si chiarisce così che la prescrizione non riguarda le ipotesi di operazioni soggette a reverse charge, ossia ad inversione contabile. Nella sua formulazione antecedente (atto del Governo n. 183) l'articolo 31 chiariva le decorrenze delle norme previste dallo schema in materia di sanzioni e individuava le norme da disapplicare; esso è stato trasfuso al successivo articolo 32. L'articolo 31, comma 1 stabiliva che le disposizioni previste dal provvedimento in esame si applicassero a partire dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017. Il comma 1-bis, conseguentemente, prevedeva la non applicazione delle norme abrogate con l'introduzione della normativa prevista dal decreto per gli anni 2016 e 2017.
  Sottolinea che è stata accolta la condizione di cui alla lettera m) del parere reso dalle Commissioni Giustizia e Finanze della Camera, della condizione di cui al parere della V Commissione Bilancio della Camera e dalla condizione di cui alla lettera a) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato; in luogo di una loro applicazione temporanea, le norme del decreto in esame si applicano a partire dal 1ogennaio 2017.
  Segnala che l'articolo 32 precisa che l'applicazione dal 1o gennaio 2017 riguarda solo le disposizioni del Titolo II, ovvero quelle di riforma del sistema sanzionatorio amministrativo tributario. La riforma dei reati penali tributari, invece, in mancanza di altre previsioni, entra in vigore decorsi quindici giorni dalla pubblicazione in GU del decreto legislativo. Sono state accolte le condizioni della Commissione Bilancio della Camera, volte a garantire il rispetto dell'articolo 81 della Costituzione. In primo luogo, all'articolo 32, comma 1, è stata eliminata la temporaneità dell'applicazione delle nuove disposizioni ai soli anni 2016 e 2017; conseguentemente, la disapplicazione temporanea delle seguenti disposizioni è stata sostituita con la loro abrogazione a decorrere dal 1o gennaio 2017: a) gli articoli 32 e 33 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 sulle violazioni relative alla dichiarazione Irap; b) l'articolo 27, comma 18, del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, in materia di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti; c) l'articolo 19, comma 4, del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 sull'omessa presentazione Pag. 27del modello di versamento contenente i dati relativi alla eseguita compensazione; d) l'articolo 3, commi 5 e 6, del decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23, in materia di dichiarazione dei redditi da locazione di immobili ad uso abitativo (cd. cedolare secca sugli affitti).
  Segnala che con l'abrogazione del comma 6 la norma in esame estende l'applicazione della cd. cedolare secca anche alle locazioni di unità immobiliari ad uso abitativo effettuate nell'esercizio di una attività d'impresa, o di arti e professioni. È inoltre abrogata la disposizione che prevede che il reddito derivante dai contratti in commento non può essere, comunque, inferiore al reddito determinato mediante l'applicazione delle tariffe d'estimo (ai sensi dell'articolo 37, comma 1, Tuir). Osserva che è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera r) del parere reso dalle Commissioni riunite del Senato: è stata quindi aggiornata la disposizione di cui all'articolo 34, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (concernente una forma di ravvedimento speciale per gli intermediari tenuti all'applicazione di ritenute o imposte sostitutive sui redditi di capitale e sui redditi diversi di natura finanziaria), eliminando il rinvio, ormai datato, al decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.
  Rammenta che l'articolo 33 (ex articolo 32) provvede alla copertura degli oneri derivanti dal provvedimento in esame, stimati in 40 milioni di euro annui dal 2017 (con una modifica conseguente alle nuove decorrenze stabilite all'articolo 32), si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 23 del 2014. Si affida al Ministro dell'economia e delle finanze il compito di monitorare (in parziale accoglimento della condizione espressa dalla V Commissione della Camera) gli effetti finanziari derivanti dalle disposizioni introdotte. Segnala tuttavia che la condizione espressa dalla predetta Commissione prevede che il Ministro ove necessario adotti, nel rispetto dei saldi di finanza pubblica, le occorrenti iniziative legislative volte alla correzione dei predetti effetti.
  L'articolato dello schema prevede che il Ministro dell'economia e delle finanze valuti, in relazione all'entità dello scostamento, la necessità di adottare un proprio decreto per provvedere alla rimodulazione degli importi delle sanzioni, fino ad un massimo del 20 per cento ovvero di presentare al Parlamento una apposita relazione in cui sono indicate le cause dello scostamento e gli interventi specifici da adottare per il mantenimento degli equilibri di finanza pubblica.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario.
Atto n. 184-bis.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame dello schema di decreto legislativo in oggetto.

  Donatella FERRANTI, presidente, in sostituzione dei relatori per la II e VI Commissione, rispettivamente onorevoli Bazoli e Bonifazi, impossibilitati a partecipare alla seduta odierna, osserva che le Commissioni Giustizia e Finanze sono chiamate a esaminare, ai fini dell'espressione del parere al Governo, lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, approvato in secondo esame preliminare dal Consiglio dei Ministri.
  Rileva che tale decreto è emanato in attuazione della legge 11 marzo 2014, n. 23, che ha conferito una delega al Governo per la realizzazione di un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita, il cui termine di attuazione è scaduto il 27 giugno scorso. Tuttavia, in conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 1 della citata legge n. 23 del 2014 Pag. 28dall'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 34 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, il termine per l'emanazione degli schemi di decreto trasmessi da Governo alle Camere entro la predetta data del 27 giugno è prorogato fino al 25 settembre 2015.
  Ricorda che in attuazione della delega sono stati emanati i seguenti provvedimenti: il Decreto Legislativo n. 175 del 2014, relativo alle semplificazioni fiscali e alla dichiarazione dei redditi precompilata; il Decreto Legislativo n. 188 del 2014, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi; il Decreto Legislativo n. 198 del 2014, riguardante la composizione, le attribuzioni e il funzionamento delle Commissioni censuarie; il Decreto Legislativo n. 127 del 2015, in materia di fatturazione elettronica, trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici; il Decreto Legislativo n. 128 del 2015, recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente; è in corso di pubblicazione il Decreto Legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese.
  Ricorda che il 27 giugno 2015 il Governo ha presentato in Parlamento ulteriori cinque schemi di decreto attuativi della delega, tra i quali quello oggi al nostro esame. Com’è noto, su tale schema, oltre alla Commissione Bilancio della Camera per i profili di carattere finanziario (parere favorevole espresso il 29 luglio 2015), hanno espresso il parere di competenza, il 5 agosto 2015, le Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera dei deputati (parere favorevole con condizioni e osservazioni) e la Commissione Finanze e tesoro del Senato della Repubblica (parere favorevole con condizione e osservazioni). Gli altri schemi sono: lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali (181), su cui la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con una condizione e alcune osservazioni; nella stessa data, la Commissione 6 Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole sul predetto schema, con alcune osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante norme in materia di stima e monitoraggio dell'evasione fiscale e in materia di monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale (182), sul quale la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con alcune osservazioni; nella medesima data la Commissione 6 Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole sul predetto schema, con alcune osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (183), sul quale le Commissioni II Giustizia e VI Finanze della Camera hanno espresso parere favorevole il 5 agosto 2015, con condizioni e osservazioni; nella medesima data le analoghe Commissioni del Senato hanno espresso parere favorevole sul predetto schema, con condizioni e osservazioni; lo schema di decreto legislativo recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione (185), sul quale la Commissione VI Finanze della Camera ha espresso parere favorevole il 4 agosto 2015, con osservazioni; nella medesima data, l'analoga Commissione del Senato ha reso parere favorevole sul predetto schema, con osservazioni.
  Dà quindi conto dell'accoglimento o meno da parte del Governo delle condizioni e delle osservazioni espresse dalle Commissioni competenti, rinviando, per il dettaglio delle norme contenute nel provvedimento, alla relazione svolta a suo tempo. Per quanto riguarda la tempistica circa l'espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto, segnala che il relativo termine è fissato al 19 settembre 2015.
  Passando all'esame del provvedimento, segnala, in primo luogo, che l'articolo 1 introduce una disciplina complessiva dell'interpello in attuazione dell'articolo 6, comma 6, della legge n. 23 del 2014, che delega il Governo a introdurre disposizioni per la revisione generale della disciplina Pag. 29degli interpelli, secondo i seguenti criteri direttivi: garantire una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale; assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri; procedere all'eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefìci ma solo aggravi per i contribuenti e per l'amministrazione.
  Tale misura si colloca nell'ambito delle norme volte a semplificare i rapporti tra fisco e contribuente, favorire l'adesione spontanea all'obbligazione tributaria e costruire un migliore rapporto tra fisco e contribuenti attraverso forme di comunicazione e cooperazione rafforzata (articolo 6 della legge delega). La nuova disciplina dell'interpello è introdotta modificando l'articolo 11 dello Statuto del contribuente e contempla quattro diverse tipologie di interpello.
  Segnala che in accoglimento delle osservazioni di cui alla lettera a) del parere reso dalla 6 Commissione Finanze del Senato e alla lettera a) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera sono state unificate le originarie prima e seconda tipologia di interpelli (ordinario e qualificatorio): ordinario (comma 1, lettera a)), riguardante l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni ovvero sulla corretta qualificazione di fattispecie, e non siano comunque attivabili le procedure relative all'accordo preventivo per le imprese con attività internazionale e all'interpello sui nuovi investimenti, introdotte – rispettivamente – dagli articoli 1 e 2 del decreto legislativo sull'internazionalizzazione, approvato in via definitiva e in corso di pubblicazione; probatorio (comma 1, lettera b)), concernente la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti; antiabuso (comma 1, lettera c)), sull'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie; disapplicativo (comma 2), per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Tale ultima tipologia è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
  Evidenzia che non sono state accolte le osservazioni di cui alla lettera a) del parere reso dalla 6o Commissione Finanze del Senato e alla lettera b) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, riguardanti la specificazione di alcune fattispecie definibili con l'interpello ordinario, in quanto, secondo il Governo, una elencazione puntuale e dettagliata rischierebbe di ingenerare il convincimento di una applicazione limitata ai casi contemplati, laddove l'intenzione del legislatore appare quella di introdurre uno strumento di dialogo generale.
  Sottolinea che non sono state accolte le osservazioni di cui alla lettera a) del parere reso dalla 6o Commissione Finanze del Senato e alla lettera c) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, riguardanti l'accorpamento nell'interpello ordinario anche dell'interpello anti-abuso, in considerazione dell'introduzione nell'ordinamento di una disposizione sull'abuso del diritto (ai sensi del decreto legislativo 128 del 2015). Il Governo non ritiene inoltre compatibile con questa figura di interpello la più breve tempistica degli interpelli ordinari.
  Osserva che non sono state accolte le osservazioni di cui alla lettera a) del parere reso dalla 6o Commissione Finanze del Senato e alle lettere d), e) ed f) del parere reso dalle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, riguardanti alcune modifiche della disciplina dell'interpello disapplicativo, volte – tra l'altro – Pag. 30a non consentire al contribuente di disapplicare le norme antielusive in mancanza dell'esperimento della procedura di interpello. Segnala che al riguardo il Governo ha ritenuto di realizzare la tendenziale riduzione delle forme di interpello obbligatorie prevista dalla legge delega trasformando alcune fattispecie in facoltative. L'amministrazione risponde alle istanze sull'interpello ordinario (lettere a)) entro novanta giorni e a quelle sull'interpello probatorio, antiabuso e disapplicativo (lettere b) e c) e comma 2) nel termine di centoventi giorni (articolo 1, comma 3). La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell'amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Gli atti – anche a contenuto impositivo o sanzionatorio – difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente, riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri. Il comma 4 è volto a chiarire la definizione delle condizioni di obiettiva incertezza, peraltro già presente nell'ordinamento; in particolare, tale condizione non ricorre quando l'amministrazione ha fornito la soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente mediante atti pubblicati – principalmente circolari o risoluzioni – come previsto dall'articolo 5, comma 2, dello Statuto del contribuente. La presentazione delle istanze non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione (comma 5). Il comma 6 definisce i casi in cui l'amministrazione provvede alla pubblicazione delle risposte rese mediante la forma di circolare o di risoluzione. Resta ferma, in ogni caso, la comunicazione della risposta ai singoli istanti.
  Ricorda che l'articolo 2 stabilisce che possono presentare istanza di interpello i contribuenti, anche non residenti, i sostituti e i responsabili d'imposta (comma 1). L'istanza deve essere presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l'assolvimento di altri obblighi tributari (comma 2).
  Osserva che ai sensi dell'articolo 3, l'istanza deve espressamente fare riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello e deve contenere una serie di elementi indicati nella norma. Inoltre, all'istanza è allegata copia della documentazione non in possesso dell'amministrazione procedente o di altre amministrazioni pubbliche indicate dall'istante, rilevante ai fini della risposta, ivi inclusi eventuali pareri concernenti accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell'amministrazione procedente (comma 2). Non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera b) del parere reso dalla 6 Commissione Finanze del Senato, riguardante la possibilità che i predetti pareri tecnici possano essere resi anche da «soggetti qualificati», in quanto il Governo ha ritenuto che il parere tecnico, per costituire fondamento del parere fiscale, deve provenire dall'ufficio competente in materia. Ai sensi dell'articolo 3, comma 3, l'amministrazione, nei casi in cui le istanze siano carenti di alcuni requisiti, invita il contribuente alla loro regolarizzazione entro il termine di 30 giorni. In tal caso, i termini per la risposta iniziano a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione è stata effettuata.
  Rileva che l'articolo 4 prevede che l'amministrazione chieda – una sola volta – l'integrazione della documentazione presentata, qualora non sia possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati. È stata accolta l'osservazione di cui alla lettera c) del parere della 6 Commissione Finanze del Senato, volta a rendere la richiesta di integrazione della documentazione ritenuta carente dall'amministrazione Pag. 31obbligatoria anziché facoltativa. In tal caso il parere è reso entro sessanta giorni dal ricevimento della documentazione integrativa (comma 1). È stata accolta la condizione di cui al punto 1 del parere delle Commissioni riunite Giustizia e Finanze della Camera, volta a prevedere, per tutte le tipologie di interpello, un unico termine di sessanta giorni dal ricevimento della documentazione integrativa entro il quale l'Amministrazione Finanziaria è tenuta a rendere il parere. Ai sensi del comma 2, la mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno comporta rinuncia all'istanza; resta ferma la possibilità di presentare una nuova istanza.
  Segnala che l'articolo 5 reca alcune cause di inammissibilità.
  Evidenzia che l'articolo 6 stabilisce che le risposte alle istanze di interpello non sono impugnabili, salvo le risposte relative ad interpello disapplicativo, avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all'atto impositivo (comma 1). In caso di interpello disapplicativo, qualora la risposta sia resa senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice, l'atto di accertamento è preceduto, a pena di nullità, dalla notifica di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni.
  Sottolinea come l'articolo 7 rechi la revisione di alcune specifiche fattispecie di interpello contenute in diversi provvedimenti. Viene conseguentemente abrogata la disciplina dell'interpello antielusivo di cui alla legge n. 413 del 1991, nonché alcune norme di coordinamento con i decreti legislativi sulla certezza del diritto e sull'internazionalizzazione.
  Osserva che l'articolo 8 demanda a provvedimenti dei direttori delle Agenzie fiscali le modalità di presentazione delle istanze, gli uffici delle Agenzie competenti alla ricezione ed alla risposta, le modalità di comunicazione delle risposte stesse nonché ogni altra eventuale regola concernente la procedura. Per ciò che concerne gli enti territoriali, ai commi 2 e 3, si prevede che le regioni a statuto ordinario regolano la materia in attuazione delle disposizioni contenute nello schema in esame; le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore dello schema, ad adeguare i rispettivi ordinamenti; gli enti locali provvedono entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi illustrati. Infine, al comma 4, si prevede che alle istanze di interpello presentate prima dell'emanazione dei provvedimenti attuativi restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento della presentazione dell'istanza.
  Rileva che l'articolo 9 reca numerose modifiche alla disciplina del contenzioso tributario, a tal fine novellando il decreto legislativo n. 546 del 1992, nel quale è disciplinato il processo tributario. Al riguardo si rileva preliminarmente che verranno più diffusamente illustrate le disposizioni modificate rispetto all'atto del Governo n. 184, ovvero oggetto di rilievi da parte delle Commissioni parlamentari competenti. L'articolo 9, comma 1, modifica in più punti l'articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che definisce l'oggetto della giurisdizione tributaria: in particolare si chiarisce che non sono di competenza del giudice tributario le controversie relative all'obbligo di corresponsione del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche – COSAP e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue (lettere a) e b)). L'articolo 9, comma 1, lettera c) sostituisce integralmente l'articolo 10 del richiamato Decreto legislativo n. 546 del 1992, al fine di chiarire a quali soggetti spetta la qualifica di parte nel processo tributario, tra l'altro aggiornando le diciture contenute nell'attuale norma alle modifiche intervenute nel tempo all'articolazione amministrativa degli uffici dell'amministrazione finanziaria. Con l'articolo 9, comma 1, lettera d) sono apportate modifiche alle norme in materia di capacità di stare in giudizio, contenute nell'articolo 11 del richiamato Decreto legislativo n. 546 del 1992. Anche in tal caso le disposizioni Pag. 32sono aggiornate alle nuove articolazioni funzionali dell'amministrazione finanziaria. Con l'articolo 9, comma 1, lettera e) sono apportate modifiche alla disciplina in materia di assistenza tecnica nel processo tributario, contenute nell'articolo 12 del richiamato Decreto legislativo n. 546 del 1992, che viene integralmente sostituito. In particolare, le norme individuano i soggetti abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, operando una differenziazione tra i soggetti che possono assistere i contribuenti nella generalità delle controversie. Al riguardo rileva che è stata accolta la condizione n. 2 espressa nel parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, di contenuto analogo alla seconda parte dell'osservazione di cui alla lettera d), terzo punto, del parere reso dalla Commissione 6o del Senato. È stato precisato dunque che l'assistenza tecnica spetta ai soggetti iscritti nella sezione «A» commercialisti dell'Albo dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, in luogo della mera menzione (contenuta nell'A.G. n. 184) dei dottori commercialisti e degli esperti contabili. A parere delle Commissioni, la precedente formulazione avrebbe ingiustificatamente escluso dal novero dei soggetti abilitati i ragionieri commercialisti, includendovi invece gli esperti contabili che, ai sensi dell'articolo 1, comma 3, lettera c), del decreto legislativo n. 139 del 2005, recante la Costituzione dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili, non sono legittimati all'assistenza ed alla rappresentanza dinanzi agli organi della giustizia tributaria di cui al decreto legislativo n. 545 del 1992. Segnala che non è stata accolta la prima parte dell'osservazione di cui alla lettera d), terzo punto, del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, nella parte in cui propone di inserire nei soggetti abilitati anche i «tributaristi» di cui alla legge n. 4 del 2013. In proposito, rammenta che il Governo, nella Relazione illustrativa, ha ritenuto che tali soggetti non risultano iscritti ad ordini o collegi professionali, ma costituiscono autonome associazioni professionali rappresentative di tipo privatistico. La limitazione delle categorie abilitate all'assistenza in giudizio troverebbe giustificazione nell'esigenza di tutela del contribuente, da assicurare attraverso la previsione di requisiti professionali per l'abilitazione alla difesa. Accanto ai predetti soggetti iscritti nella sezione A dell'Albo dei commercialisti e degli esperti contabili, per la generalità delle controversie l'assistenza tecnica spetta ad avvocati e consulenti del lavoro, ovvero agli impiegati delle carriere dirigenziale, direttiva e di concetto dell'amministrazione finanziaria debitamente autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze. Sono poi elencati i soggetti abilitati alla difesa con riguardo a controversie aventi ad oggetto materie specifiche, nonché coloro che possono assistere esclusivamente alcune categorie di contribuenti. Osserva che con l'articolo 9, comma 1, lettera f) viene modificato l'articolo 15 del richiamato Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di spese di giudizio, con lo scopo di rafforzare il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono la soccombenza, in ottemperanza alle prescrizioni della legge delega. In particolare, si mantiene la previsione per la quale è la parte soccombente quella condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza. Viene espunta la norma che consente alla commissione tributaria di dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, subordinando tale possibilità a specifiche condizioni. Sottolinea che non è stata accolta la condizione n. 3 espressa nel parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, di contenuto analogo all'osservazione di cui alla lettera d), quarto punto, del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, che propone di richiamare integralmente le norme del codice civile (articolo 96 c.p.c.) in materia di lite temeraria, anziché inserire una disposizione autonoma che ne riproduca il solo primo comma. Nella formulazione antecedente contenuta nell'atto del Governo n. 184, l'introdotto comma 2-bis dell'articolo 15 riproduceva il primo comma dell'articolo 96 c.p.c., ai sensi del quale nel caso in cui una parte Pag. 33abbia agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la commissione tributaria la condanna, su istanza dell'altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio nella sentenza. Nella nuova formulazione del comma 2-bis ci si limita a rinviare al richiamato articolo 96, comma primo del codice di procedure civile, confermandone dunque la limitata applicabilità al processo tributario. La Relazione illustrativa al riguardo ritiene che un richiamo integrale all'articolo 96 potrebbe introdurre – con specifico riferimento al comma 2 del predetto articolo 96 – una responsabilità processuale imputabile di fatto alla sola parte pubblica, configurabile quando la stessa agisca senza la normale prudenza (colpa lieve). Ai sensi del richiamato comma 2 dell'articolo 96 c.p.c., se il giudice tributario accerta l'inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l'esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l'attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. Il nuovo comma 2-ter dell'articolo 15 specifica la composizione delle spese di giudizio. Il nuovo comma 2-quater stabilisce che la statuizione sulle spese di lite deve essere contenuta anche nell'ordinanza con cui il giudice definisce la fase cautelare del giudizio. Con il nuovo comma 2-quinquies dell'articolo 15 sono confermati i principi vigenti sui compensi spettanti agli incaricati dell'assistenza tecnica. Si conferma anche la disciplina della liquidazione delle spese a favore degli enti impositori, degli agenti della riscossione e soggetti concessionari della riscossione. Con una disposizione di favore per il contribuente, si prevede che la riscossione delle somme liquidate a favore di tutti gli enti impositori, nonché degli agenti e concessionari della riscossione avviene, mediante iscrizione a ruolo, soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Si chiarisce che le spese di giudizio sono maggiorate del 50 per cento nelle controversie proposte avverso atti reclamabili ai sensi dell'articolo 17-bis del medesimo Decreto legislativo n. 546 del 1992, ovvero controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate (attuale comma 10 dell'articolo 17-bis, anch'esso modificato dalle norme in esame, vedi infra). La maggiorazione è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo. Il comma 2-octies dell'articolo 15, per incentivare la deflazione del contenzioso, stabilisce che la parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta conciliativa formulata dall'altra parte è tenuta a sopportare le spese processuali quando il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della stessa proposta conciliativa. Anche tale previsione riproduce analoga disposizione del codice di procedura civile (articolo 91) in materia di condanna alle spese processuali.
  Rileva che non è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera h) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, di contenuto analogo all'osservazione di cui alla lettera d), quinto punto, del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, che propone di rendere immediatamente esecutiva l'ordinanza cautelare sulle spese, in quanto viene ritenuta – come precisato nella Relazione illustrativa – superflua. Non è stata altresì accolta l'osservazione espressa al secondo punto della lettera h) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, che suggerisce di seguire la regola della soccombenza virtuale in caso di cessazione della materia del contendere. In merito si rammenta che la soccombenza virtuale consente al giudice, nel caso in cui non vi sia una pronuncia di merito a definire il giudizio, di decidere sommariamente sulla fondatezza della domanda e di ripartire in tal senso le spese processuali; la Relazione illustrativa al riguardo sostiene che, trattandosi di un istituto di matrice giurisprudenziale, esso non richiede una codifica normativa.Pag. 34
  Segnala che, con l'articolo 9, comma 1, lettera g), viene modificato l'articolo 16 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di comunicazioni e notifiche, tra l'altro chiarendo a quali soggetti dell'Amministrazione finanziaria si applicano le regole relative alle comunicazioni.
  Evidenza che l'articolo 9, comma 1, lettera h) introduce l'articolo 16-bis nel Decreto legislativo n. 546 del 1992 relativo al processo tributario telematico, volto ad ampliare l'uso della posta elettronica certificata (PEC) per le comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario. Non è stata accolta l'osservazione espressa alla lettera d), settimo punto del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, che invita ad introdurre un sistema che, nei casi di cui al citato comma 2, dia informazioni al contribuente sulle modalità delle successive comunicazioni, da effettuarsi con deposito in segreteria della Commissione tributaria. Al riguardo la Relazione illustrativa chiarisce che tale comma non si applica al contribuente che sta in giudizio personalmente, che non si in possesso di un indirizzo PEC inserito in pubblici elenchi e non si sia avvalso della facoltà di indicare altro indirizzo di posta elettronica per le comunicazioni; in tali casi l'ultimo periodo del comma 1 del nuovo articolo rende facoltativa l'indicazione dell'indirizzo PEC; in mancanza le comunicazioni avverranno con modalità tradizionali. In altri casi (e sostanzialmente nel caso di contribuente con assistenza tecnica ovvero dotato di PEC presente in pubblici elenchi o comunicata nel ricorso) la norma non appare, a parere del Governo, irragionevole o eccessivamente onerosa. La modifica proposta dalla Commissione sembrerebbe, secondo la Relazione, prestarsi altresì ad effetti dilatori. Osserva che si dispone (comma 3 dell'articolo 16-bis) che le notificazioni tra le parti e i successivi depositi presso la Commissione tributaria possano avvenire per via telematica, tenendo conto di quanto stabilito nel regolamento sul processo tributario telematico. Le modalità di attuazione e l'ambito di operatività delle notificazione a mezzo posta elettronica certificata e dei depositi telematici presso le Commissioni tributarie sono stabiliti dai decreti del Ministero dell'Economia e delle finanze, adottati ai sensi dell'articolo 3 del predetto regolamento. Sottolinea che è stata così accolta l'osservazione di cui alla lettera i) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, di contenuto analogo all'osservazione di cui alla lettera d), sesto punto, del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, sostituendo la locuzione «deposito» con la più ampia dicitura «depositi», per chiarire che tutti i depositi presso le Commissioni tributarie possono essere effettuati con modalità telematiche.
  Osserva che, con l'articolo 9, comma 1, lettera l) si sostituisce l'articolo 17-bis del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di reclamo e mediazione nel processo tributario. In estrema sintesi, ferma restando la soglia di ventimila euro per accedere al reclamo, si chiarisce che il ricorso stesso produce gli effetti del reclamo e può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa. Viene altresì statuito che le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di alcune controversie in materia catastale. Rispetto alle norme vigenti, l'istituto viene esteso a tutti gli enti impositori. Il comma 6 del novellato articolo 17-bis chiarisce che, nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per il versamento delle rate successive alla prima, le norme dell'atto del governo n. 184 disponevano l'applicazione dell'articolo 48-ter, comma 3 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, introdotto dallo schema in esame: in caso di mancato pagamento delle somme dovute, ovvero anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, si sarebbe provveduto all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione del trenta per cento dell'importo Pag. 35residuo dovuto (di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471), applicata in misura doppia.
  Osserva, inoltre che, è stata accolta l'osservazione di cui alla lettera o) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera dei deputati, ai sensi del quale si è proceduto al coordinamento dei commi 3 e 4 delle modifiche all'articolo 48-ter (per cui si veda infra), chiarendo che esso rinvia, in quanto applicabili, alle norme sulla rateazione di somme dovute in caso di accertamento con adesione. Di conseguenza, le norme proposte sono state modificate rinviando, per la disciplina del pagamento rateale delle somme dovute ad esito di un reclamo, alla analoga disciplina in caso di accertamento con adesione di cui all'articolo 8 del Decreto legislativo n. 218 del 1997. Si ricorda in proposito che sulla predetta disposizione interviene l'articolo 2 dell'atto del Governo n. 185-bis in materia di razionalizzazione della riscossione.
  Ricorda che nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L'accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente. Le disposizioni poi fissano (comma 7) uno sconto sulle sanzioni amministrative e (comma 8), stabiliscono la temporanea sospensione di riscossione e pagamento delle somme dovute fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla notifica del ricorso che reca il reclamo. Il comma 9 estende, per quanto compatibili, le norme in esame su reclamo e mediazione anche agli agenti della riscossione ed ai concessionari della riscossione iscritti all'albo. Si ribadisce (comma 10) che il reclamo non si applica alle controversie riguardanti atti volti al recupero di aiuti di Stato.
  Segnala che non sono state accolte le osservazioni di cui all'ottavo, nono e decimo punto della lettera d) del parere reso dalla Commissione 6o del Senato, che richiedevano di verificare la sussistenza di eventuali profili di eccesso di delega; di aumentare l'importo delle controversie reclamabili da 20.000 a 50.000 euro, in analogia alla previsione relativa all'importo per la negoziazione obbligatoria in materia civile; di precisare il periodo di sospensione dei termini processuali, in alternativa richiamando la disciplina vigente per il processo, nonché di specificare che per la proposta di mediazione la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale opera dal 1o agosto al 31 agosto o, in alternativa, richiamare la disciplina vigente per il processo civile. Con riferimento all'eccesso di delega, la Relazione rileva come l'istituto sia preesistente alla legge n. 23/2014 e sottolinea che le modifiche apportate ne estendono l'ambito operativo, come previsto dall'articolo 10 della medesima legge, nella parte in cui dispone l'ampliamento degli istituti deflativi del contenzioso. Viene al riguardo richiamata la giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenza n. 98 del 2014) in ordine all'efficacia di reclamo e mediazione nel soddisfare l'interesse generale, sia con un più rapido e meno dispendioso soddisfacimento delle situazioni oggetto di controversia, sia mediante la riduzione dell'onere a carico degli organi giurisdizionali. Il Governo non reputa auspicabile l'incremento del valore delle controversie reclamabili, in quanto esso si estenderebbe fino a comprendere la quasi totalità delle controversie. L'ampliamento disposto dalle norme in esame sembra già comportare per il futuro un notevole sforzo organizzativo per le strutture coinvolte; l'immediato, ulteriore ampliamento potrebbe comportare ricadute non agevolmente gestibili dall'Amministrazione, compromettendo l'efficacia dell'istituto stesso. La Relazione tuttavia suggerisce che tale estensione di valore possa avvenire gradualmente, nonché essere valutata dopo un primo periodo di applicazione delle nuove norme.
  Rammenta che la lettera m) del comma 1 modifica l'articolo 18 del Decreto legislativo 546 del 1992, che reca indicazioni sulla sottoscrizione del ricorso e sugli elementi in esso contenuti. Pag. 36
  Osserva che con l'articolo 9, comma 1, lettera n) viene modificato l'articolo 23 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, relativo alla costituzione in giudizio della parte resistente, al fine di equiparare gli enti impositori all'agente della riscossione ed ai concessionari privati. Il comma 1, lettera o) apporta modifiche all'articolo 39 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 che reca i casi di sospensione del processo, introducendone ulteriori ipotesi. La lettera p) del comma 1 modifica l'articolo 44 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, in tema di estinzione del processo per rinuncia al ricorso: il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro. È eliminata l'esecutività dell'ordinanza di liquidazione in quanto nell'impianto del provvedimento in esame l'unico strumento utilizzabile è il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore del contribuente. La lettera q) del comma 1 apporta modifiche all'articolo 46 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, che disciplina l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. Si chiarisce il principio in base al quale, in caso di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge, le spese del giudizio rimangono a carico di chi le ha anticipate.
  Segnala che l'articolo 9, comma 1, lettera r) apporta modifiche alle disposizioni in materia di sospensione dell'atto impugnato, di cui all'articolo 47 del Decreto legislativo n. 546 del 1992. Si chiarisce tra l'altro che il dispositivo dell'ordinanza di sospensione deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. Non è stata accolta l'osservazione formulata dalle Commissioni II e VI della Camera (lettera l) del parere) relativa alla valutazione sull'opportunità eliminare la previsione secondo cui, nella fase cautelare in primo grado, il dispositivo dell'ordinanza deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza. Al riguardo la Relazione chiarisce che tale prescrizione processuale ha finalità acceleratoria ed il termine in essa previsto ha comunque carattere ordinatorio, non essendo previste conseguenze in caso di inosservanza. Inoltre, a parere del Governo la comunicazione alle parti in udienza del dispositivo dell'ordinanza cautelare, prevista nello schema di decreto in esame, da un lato garantirebbe l'immediatezza della decisione, dall'altro eviterebbe il rischio di favorire decisioni affrettate.
  Evidenzia, infine, viene aggiunto il comma 8-bis all'articolo 47, secondo il quale durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 21 maggio 2009, ovvero gli interessi dovuti per ritardato pagamento. Rammenta in proposito che l'Atto del Governo n. 185-bis, in materia di riscossione dei tributi, all'articolo 13 introduce una complessiva revisione della misura dei tassi degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo. Non è stata accolta la proposta di soppressione di tale previsione, formulata dalla Commissione 6o del Senato (lett. d), undicesimo punto del parere). La Relazione illustrativa al riguardo rileva che non vi sono disposizioni normative espresse sul tema; si rende quindi comunque opportuna una disciplina esplicita, senza però rinviare ad uno specifico decreto ministeriale bensì, in generale, al tasso previsto in caso di sospensione amministrativa della riscossione.
  Rileva che l'articolo 9, comma 1, alle lettere s) e t) riformula l'articolo 48 e introduce gli articoli 48-bis e 48-ter nel Decreto legislativo n. 546 del 1992, con lo scopo di dettare una disciplina compiuta delle diverse tipologie di conciliazione giudiziale, rafforzando tale istituto ed estendendolo anche ai giudizi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale. In sintesi la conciliazione viene resa esperibile per tutta la durata del giudizio di merito, anche mediante l'introduzione di disposizioni premiali che riducono l'entità delle sanzioni irrogabili. Viene disciplinata la c.d. conciliazione «fuori udienza», nel caso in cui le parti raggiungano un accordo conciliativo per la definizione totale o parziale della controversia. La lettera t) inserisce gli articoli 48-bis (relativo alla conciliazione in udienza) e 48-ter (relativo Pag. 37alla definizione e al pagamento delle somme dovute a titolo di imposta e di sanzioni) nel Decreto legislativo n. 546 del 1992. In particolare, l'articolo 48-ter disciplina il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la percentuale delle sanzioni dovute, le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate. Ai sensi del comma 1 del predetto articolo 48-ter, in caso di conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge se la conciliazione si perfeziona nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento se la conciliazione si perfeziona nel corso del secondo grado di giudizio (in luogo dell'attuale misura, pari al 40 per cento delle somme irrogabili in rapporto dell'ammontare del tributo risultante dalla conciliazione e, in ogni caso, in misura non inferiore al 40 per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo). Il comma 2 dell'articolo 48-ter dispone che il versamento dell'intero importo o della prima rata fosse effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo per la conciliazione fuori udienza, ovvero della redazione del processo verbale per la conciliazione in udienza. Nella formulazione contemplata dall'atto del Governo n. 184, il comma 3 prevedeva, nel caso di mancato pagamento delle somme dovute, ovvero anche di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, che si provvedesse all'iscrizione a ruolo delle residue somme e della sanzione del trenta per cento dell'importo residuo dovuto (di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471) applicata in misura doppia. Ai sensi del successivo comma 4, per il versamento si sarebbero applicate le disposizioni, anche di carattere sanzionatorio, previste dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 218 del 1997, in tema di accertamento con adesione.
  Segnala che è stata accolta l'osservazione formulata dalle Commissioni Il e VI della Camera (lettera o) del parere), e di conseguenza si è proceduto alla riformulazione dei predetti commi 3 e 4, considerata la diversità di disciplina applicabile all'accertamento con adesione, che si perfeziona con il versamento dell'importo dovuto o della prima rata, rispetto a quella applicabile all'istituto della conciliazione giudiziale, che si perfeziona invece con la sottoscrizione dell'accordo. Secondo la nuova formulazione, in caso di mancato pagamento delle somme dovute o di una delle rate, compresa la prima, entro il termine di pagamento della rata successiva, il competente ufficio provveda all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute, precisando che si tratta delle somme dovute a titolo di imposta, interessi e sanzioni, nonché della sanzione (nella misura di un terzo, di cui al richiamato articolo 13 del Decreto legislativo n. 471 del 1997), aumentata della metà – in luogo del doppio – e applicata sul residuo importo dovuto a titolo di imposta. Chiarisce che l'applicazione delle norme sul pagamento rateale in caso di accertamento con adesione avviene in quanto le relative disposizioni siano compatibili.
  Rileva che l'articolo 9, comma 1, lettera u) modifica l'articolo 49 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, al fine di consentire l'applicazione alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie di tutte le disposizioni sull'appello civile contenute nel titolo III, capo I, del libro II del c.p.c.
  Osserva che l'articolo 9, comma 1, lettera v) riformula l'articolo 52 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di esecuzione provvisoria delle sentenze del giudice tributario; si consente all'appellante di chiedere alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi. La sentenza di primo grado diventa, dunque, immediatamente esecutiva e può essere subordinata alla prestazione di garanzia. L'atto del Governo n. 184 prevedeva, al comma 7 dell'articolo 52, che la sospensione della esecutività della sentenza favorevole al contribuente consentisse la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del giudizio di primo grado, analogamente Pag. 38a quanto avviene nel giudizio amministrativo. Pur in assenza di rilievi da parte delle Commissioni parlamentari competenti, la disposizione è stata espunta dal testo; al riguardo la Relazione illustrativa chiarisce che tale norma è stata eliminata in ossequio al principio di uguaglianza e parità delle armi nel processo.
  Segnala che l'articolo 9, comma 1, lettera z) modifica l'articolo 62 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 prevedendo che sull'accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale (dunque di primo grado) può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell'articolo 360 c.p.c., introducendo così il ricorso «per saltum» (omettendo cioè il secondo grado di giudizio) anche nel processo tributario.
  Evidenzia che l'articolo 9, comma 1, lettera aa) introduce l'articolo 62-bis nel Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di esecuzione provvisoria delle sentenze impugnate per cassazione, che consente a chi ha proposto ricorso in cassazione di chiedere la sospensione parziale o totale della sentenza, subordinatamente all'esistenza di un danno grave ed irreparabile. In ogni caso il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto, se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile.
  Segnala che l'articolo 9, comma 1, lettera bb) modifica l'articolo 63 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di giudizio di rinvio riducendo da un anno a sei mesi il termine per la riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio della sentenza.
  L'articolo 9, comma 1, lettera cc) modifica l'articolo 64, comma 1 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di sentenze revocabili e giudizio di revocazione. Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate per revocazione secondo le norme del c.p.p., eliminando il riferimento agli accertamenti di fatto ed alla ulteriore impugnabilità.
  Evidenzia che l'articolo 9, comma 1, lettera dd) modifica l'articolo 65 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di impugnazione delle sentenze per revocazione: le parti possono proporre istanze cautelari, in quanto compatibili.
  Sottolinea che l'articolo 9, comma 1, lettera ee) inserisce l'articolo 67-bis nel Decreto legislativo n. 546 del 1992, ai sensi del quale si chiarisce che le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive. L'articolo 9, comma 1, lettera ff) modifica l'articolo 68 del Decreto legislativo n. 546 del 1992. Si precisa che, ove è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, l'imposta con i relativi interessi deve essere pagata per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio, e per l'intero importo indicato nell'atto, in caso di mancata riassunzione. In sostanza, in caso di omessa riassunzione dopo il rinvio, si estingue l'intero giudizio e diventa definitivo l'atto originariamente impugnato.
  Osserva che l'articolo 9, comma 1, lettera gg) sostituisce l'articolo 69 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 prevedendo l'immediata esecutività delle sentenze di condanna in favore del contribuente, il cui pagamento può essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia, ove superi un certo importo di (10.000 euro). Si consente di esperire il giudizio di ottemperanza nei casi di inerzia dell'Amministrazione al rimborso. È stata accolta la condizione n. 4 del parere formulato dalle Commissioni II e VI della Camera, di conseguenza inserendo una lettera gg-bis) che abroga l'articolo 69-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, per coerenza con la riformulazione dell'articolo 69 del medesimo decreto legislativo. Le Commissioni parlamentari reputano necessario chiarire che la immediata esecutività delle sentenze tributarie favorevoli al contribuente comporta la soppressione del richiamato articolo 69-bis, norma che dilaziona l'esecuzione delle sentenze in materia catastale al passaggio in giudicato del provvedimento di accoglimento del ricorso. Non sono Pag. 39state accolte le analoghe osservazioni della 6o Commissione del Senato (lettera d), punto tredicesimo del parere) e delle Commissioni II e VI della Camera (lettera m) del parere) con la quale si chiede di incrementare l'importo delle sentenze di condanna al pagamento di somme in favore del contribuente, immediatamente esecutive e senza prestazione di garanzia, da 10.000 a 20.000 euro. Al riguardo la Relazione chiarisce che l'introduzione di una garanzia per gli importi superiori a 10,000 euro risponde alla finalità di garantire l'ente impositore dal rischio del mancato recupero degli importi superiori alla predetta soglia rimborsati in base ad una sentenza successivamente riformata; fissare detto limite a 20.000 euro comporta, a parere del Governo, un rischio eccessivo per gli enti impositori ed in ogni caso l'incremento necessiterebbe di apposita copertura finanziaria.
  Rileva che l'articolo 9, comma 1, lettera hh) apporta modifiche all'articolo 70 del Decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di ottemperanza, al fine di precisare che detto rimedio sia quello previsto in via esclusiva nel caso di inerzia dell'Amministrazione. L'ottemperanza può essere richiesta anche nei confronti dell'agente della riscossione o del soggetto privato concessionario degli enti locali (iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997). È stata accolta l'osservazione di cui alla lettera d), ultimo punto, del parere reso dalla 6o Commissione del Senato, nonché l'analoga osservazione di cui alla lettera n) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera, così elevando – rispetto all'originaria formulazione dell'A.G. n. 184 – da 10.000 a 20.000 euro l'importo per il cui pagamento (e comunque per il pagamento delle spese di giudizio) il ricorso per l'ottemperanza è deciso dalla commissione in composizione monocratica.
  Per quanto riguarda la disciplina generale del processo tributario, segnala che non sono state accolte le seguenti osservazioni: lettera d), punto primo, del parere reso dalla 6o Commissione del Senato, in ordine al denominazione delle Commissioni tributarie (in Tribunale tributario e Corte di appello tributaria). Il Governo reputa che tale modifica vada riservata ad una riforma più profonda della giurisdizione tributaria; lettera d), punto secondo, del parere reso dalla 6o Commissione del Senato, relativo alla introduzione della prova testimoniale scritta nell'ambito del processo tributario. La Relazione illustrativa rappresenta, al riguardo, che la Corte di Cassazione in più occasioni ha evidenziato che nel processo tributario, fermo restando il divieto di ammissione della prova testimoniale posto dall'articolo 7 del decreto legislativo n. 546 del 1992, è riconosciuta la possibilità per le parti di produrre in giudizio dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, che hanno valore probatorio di elementi indiziari, in quanto possono concorrere a formare il convincimento del giudice, anche se idonee a costituire, da sole, il fondamento della decisione. Tale orientamento, pacifico e consolidato, induce il Governo a non apportare modifiche al sistema attuale; lettera g) del parere reso dalle Commissioni Il e VI della Camera dei deputati relativa alla possibilità di introdurre il principio in base al quale i poteri istruttori delle commissioni tributarie non possono in ogni caso superare decadenze e preclusioni maturate a carico delle parti. La Relazione illustrativa al riguardo chiarisce che la materia relativa ai poteri delle commissioni tributarie è estranea ai principi della delega per la revisione del processo tributario, rilevando altresì l'inopportunità di codificare un principio che appare diretto corollario del modello dispositivo regolante il processo tributario. La limitazione ai poteri istruttori del giudice troverebbe conferma nell'abrogazione del comma 3 dell'articolo 7 del Decreto legislativo n. 546 del 1992, ai sensi del quale «È sempre data alle commissioni tributarie facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia», nonché nell'indirizzo della giurisprudenza di legittimità; lettera d), punto dodicesimo del parere formulato dalla 6o Commissione finanze e tesoro del Senato, che sollecita la revisione Pag. 40della modifica (operata dalla lettera hh) dell'articolo 9) all'articolo 70 del decreto legislativo n. 546 del 1992; le norme proposte abrogano il rinvio alle norme del codice di procedura civile per l'esecuzione forzata, prevedendo in sua sostituzione il giudizio di ottemperanza. Al riguardo la Relazione illustrativa afferma che le nuove disposizioni appaiono dirette proprio al «rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente», che è attuato mediante la notevole estensione del giudizio di ottemperanza (rimedio finora utilizzabile per il solo giudicato e solo nei confronti dell'ente impositore), dunque sia del suo l'ambito oggettivo che di quello soggettivo. Si afferma altresì che la scelta dell'ottemperanza come unico strumento per la esecuzione delle sentenze appare giustificata sia dalla peculiarità delle sentenze emesse nel processo tributario, sia dalla particolare efficacia della procedura di ottemperanza, che consente di ottenere in tempi relativamente brevi l'adempimento dell'Amministrazione, con il rimborso delle relative spese. Da ultimo l'ordinaria procedura esecutiva (oltre ad aggravare lo stato della giustizia civile) non sembra spesso garantire il soddisfacimento dell'interesse del contribuente, anche per le note difficoltà di agire in via esecutiva sui beni di soggetti pubblici.
  Osserva che l'articolo 10 apporta le modifiche di coordinamento conseguenti alla nuova disciplina del contenzioso contenuta nell'articolo 9. Il comma 1 dell'articolo 10 amplia il novero dei soggetti che possono ottenere l'autorizzazione dal Ministero dell'economia e delle finanze all'assistenza tecnica nel processo tributario, modificando i requisiti per ottenere detta autorizzazione e introducendo la possibilità che l'autorizzazione possa essere revocata o sospesa. Si introduce il divieto di esercitare attività di assistenza e rappresentanza durante i due anni successivi alla data di cessazione dell'impiego. È aggiornata l'entità della sanzione irrogabile in caso di esercizio delle funzioni in violazione di quanto previsto nella disposizione. Il comma 2 dell'articolo 10 apporta modifiche di coordinamento modifica l'articolo 14, comma 3-bis del Decreto legislativo n. 115 del 2002 in materia di spese di giustizia. Segnala che il comma 3 dell'articolo 10 apporta alcune modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472 in materia di sanzioni amministrative tributarie. Al riguardo si rammenta che l'atto del Governo, n. 183-bis, all'esame delle nostre Commissioni, riforma – attuando la delega contenuta nella legge n. 23 del 2014 – la disciplina e l'impianto sanzionatorio amministrativo tributario. In particolare, la lettera b) del comma 3 modifica l'articolo 22 del richiamato Decreto legislativo n. 472 del 1997, in materia di ipoteca e sequestro conservativo. Più in dettaglio, viene modificata la disciplina che consente di adottare il provvedimento cautelare inaudita altera parte. Le norme vigenti subordinano tale provvedimento all'ipotesi di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo. Con le modifiche in esame presupposto per l'adozione è la possibilità che la convocazione della controparte pregiudichi l'attuazione del provvedimento. È stata accolta l'osservazione della 6o Commissione del Senato (lettera e) del parere) secondo cui la decisione del collegio sulla misura cautelare urgente va disposta con ordinanza e non con sentenza (come previsto nell'atto del Governo n. 184).
  Evidenzia che l'articolo 11 reca norme sulla funzionalità della giurisdizione tributaria, a tal fine modificando il decreto legislativo n. 545 del 1992, relativo all'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria. Rileva che lo schema in esame non reca l'attuazione del principio di delega concernente la distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie, né l'eventuale composizione monocratica dell'organo giudicante in relazione a specifiche controversie. Il comma 1, lettera a) – modificando il comma 1 dell'articolo 2 del Decreto legislativo n. 545 del 1992 –introduce il principio della rotazione degli incarichi direttivi, analogo a quello previsto per la magistratura ordinaria (Decreto legislativo 160/2006). In particolare, l'incarico del presidente delle commissioni Pag. 41provinciali e regionali ha durata quadriennale ed è rinnovabile per una sola volta, previa valutazione positiva da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria. È stata accolta l'osservazione di cui alla lettera f), primo punto, del parere della 6o Commissione del Senato e di cui alla lettera p) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera: di conseguenza viene chiarito che il Presidente non può essere nominato tra soggetti che raggiungeranno l'età pensionabile entro i quattro anni successivi alla nomina. La lettera b) modifica il comma 1 dell'articolo 6 del Decreto legislativo n. 545 del 1992, affidando ad un provvedimento del Consiglio di Presidenza l'istituzione di sezioni specializzate in relazione a questioni controverse. Non sono state accolte le osservazioni di cui alla lettera f), secondo punto del parere della 6o Commissione del Senato, nonché alla lettera q) del parere reso dalle Commissioni II e VI della Camera, in considerazione della possibile onerosità: con tali condizioni si chiede l'introduzione di una specifica disposizione volta a consentire a università, istituti di ricerca e master post universitari di nominare collaboratori per coadiuvare i giudici tributari nell'attività di ricerca finalizzata all'esame delle controversie attribuite alle sezioni specializzate. La lettera c) modifica l'articolo 7 introducendo tra i requisiti generali per i componenti delle commissioni tributarie il possesso di laurea magistrale o quadriennale. La lettera d) modifica l'articolo 8 in materia di incompatibilità, integrando la definizione di incompatibilità di cui alla lettera h) laddove si fa riferimento a coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici, includendovi il riferimento ai movimenti. È inoltre specificato che non possono essere componenti delle commissioni tributarie coloro che svolgono attività di consulenza tributaria non solo direttamente ma anche indirettamente, attraverso forme associative. La lettera e) modifica l'articolo 9, intervenendo sull'iter di nomina dei giudici con l'intento di ridurre i tempi delle relative procedure amministrative. Il previsto decreto del Presidente della Repubblica viene ora limitato esclusivamente all'immissione nel ruolo unico dei giudici tributari, mentre i trasferimenti e le progressioni in carriera avvengono con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. La lettera f) modifica l'articolo 11 in materia di durata dell'incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento, prevedendo che nei casi di necessità di servizio, il Ministro dell'economia e delle finanze può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, l'anticipazione nell'assunzione delle funzioni nelle more del completamento dell’iter dei decreti di nomina. La lettera g) sostituisce l'articolo 15 in materia di vigilanza e sanzioni disciplinari. Il presidente di ciascuna commissione esercita il potere di vigilanza sui componenti e sulla qualità e l'efficienza dei servizi di segreteria, segnalandone le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, che conserva il compito istituzionale di adottare, anche a seguito della segnalazione del presidente, i provvedimenti organizzativi degli uffici di segreteria delle Commissioni tributarie necessari a garantire qualità ed efficienza dei relativi servizi. Resta ferma la vigilanza del presidente di ciascuna commissione tributaria regionale sull'attività giurisdizionale delle commissioni provinciali e sui loro componenti.
  Osserva che con i commi da 2 a 7 si elencano le sanzioni disciplinari irrogabili, sulla scorta di quelle già previste per i giudici ordinari. In particolare, si prevedono le seguenti sanzioni disciplinari: l'ammonimento, la censura, la sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, l'incapacità ad esercitare un incarico direttivo e la rimozione dall'incarico, tipizzando le condotte punibili per ciascuna sanzione. È stata accolta la condizione n. 5 espressa dalle Commissioni riunite II e VI della Camera, dando così specifica rilevanza alla reiterata e grave inosservanza delle norme regolamentari o delle disposizioni sul servizio adottate dagli organi competenti; sono specificamente elencati i comportamenti suscettibili di censura. Sottolinea che non è stata accolta Pag. 42l'osservazione di cui alla lettera f), terzo punto, del parere reso dalla 6o Commissione del Senato, volta a precisare che la sanzione disciplinare applicata dal Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria è dichiarata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Osserva che, a parere del Governo, l'attribuzione dell'efficacia immediata alla delibera comporterebbe problemi di coordinamento con l'adozione del decreto laddove la delibera fosse impugnata innanzi agli organi di giustizia amministrativa; infatti, qualora detta delibera fosse oggetto di contenzioso amministrativo ed eventuale sospensione, il decreto inviato alla firma del Ministro dovrebbe essere ritirato, con evidenti diseconomie di tipo amministrativo.
  Rileva che la lettera h) modifica l'articolo 21 riguardante l'elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, in particolare ridisciplinando i termini e le modalità per l'indizione delle elezioni; la composizione dell'ufficio centrale elettorale; la presentazione delle candidature e l'accertamento dei relativi requisiti di legge; le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali presso le sedi delle Commissioni tributarie provinciali e regionali, dove sono istituiti gli uffici elettorali locali. La lettera i) sostituisce l'articolo 22 in materia di votazioni, stabilendo che ciascun elettore non può indicare più di tre candidati (in luogo degli attuali sei) e che il voto, personale e segreto, è espresso dal giudice tributario presso la sede di Commissione dove esercita la propria funzione giurisdizionale. Sono disciplinate le operazioni di scrutinio e i relativi verbali. Sottolinea che non è stata accolta l'osservazione della 6o Commissione del Senato (lettera f), quarto punto del parere) riguardante la possibilità di elevare da 3 a 6 il numero delle preferenze esprimibili in sede di votazione. Si chiarisce che tale scelta è stata adottata per evitare disallineamenti rispetto alle corrispondenti previsioni in materia di elezione degli organi di autogoverno delle altre magistrature. La lettera l) modifica l'articolo 23 in materia di proclamazione degli eletti e reclami. La lettera m) modifica l'articolo 24, comma 1, lettera h), delegando al Consiglio di presidenza la funzione di aggiornamento professionale dei giudici tributari. La lettera n) modifica l'articolo 29, comma 2, tra l'altro anticipando dal 31 dicembre al 30 ottobre di ciascun anno la data di presentazione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell'anno precedente.
  Sottolinea che l'articolo 12 reca alcune norme transitorie. In particolare, si dispone la decorrenza della normativa in commento a decorrere dal 1o gennaio 2016, ad eccezione: della disposizione di cui al comma 5 dell'articolo 12, elemento di novità rispetto all'A.G. n. 184 (peraltro non evidenziato nei pareri delle Commissioni parlamentari); tale norma, ai fini di un coordinamento generale della attività svolte dalla giurisdizione tributaria, a decorrere dal 1o gennaio 2015 attribuisce la competenza sugli atti pendenti e su quelli sopravvenuti rientranti nella giurisdizione della cessata Commissione tributaria centrale è attribuita alla Commissione tributaria regionale del Lazio; dell'articolo 9, comma 1, lettere ee) e gg), che – rispettivamente – riguardano l'immediata esecutività delle sentenze del giudice tributario e la nuova disciplina dell'esecuzione di sentenze di condanna in favore del contribuenti.
  Osserva che è stata parzialmente accolto quanto richiesto dalle Commissioni parlamentari (condizione di cui alla lettera a) del parere reso dalla 6o Commissione del Senato della Repubblica e osservazione di cui alla lettera r) delle Commissioni II e VI della Camera) modificando le norme proposte in modo da anticiparne l'entrata in vigore dal 1o giugno 2016 anziché, come originariamente previsto dall'A.G. n. 184, dal 1o gennaio 2017.
  Il comma 2 stabilisce che, fino all'approvazione dei decreti ministeriali di attuazione dei novellati articoli 12, comma 4 (in materia di soggetti autorizzati a rappresentare in giudizio le parti private) e 69, comma 2 (in materia di garanzie) del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, restano applicabili le previgenti Pag. 43disposizioni. Ai sensi del comma 3, le disposizioni contenute nel comma 3 dell'articolo 16-bis del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, relative alla possibilità di effettuare notificazioni tra le parti e successivo deposito presso la Commissione tributaria per via telematica, si applicano con decorrenza e modalità previste dai decreti di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163 di attuazione del processo tributario telematico. Il comma 4 prevede che nel computo del periodo di otto anni per la durata in carica del presidente delle commissioni provinciali e regionali, per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, si tenga conto anche del periodo maturato alla medesima data nelle relative funzioni (articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, come sostituito dall'articolo 11, comma 1, lettera a)).
  Segnala, infine, che l'articolo 13 reca le disposizioni finanziarie. In particolare, gli oneri derivanti dall'articolo 9, comma 1, lettera gg), che ridisciplina l'esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente sono quantificati in 86 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, cui si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo di cui all'articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge 11 marzo 2014, n. 23. Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.10.