CAMERA DEI DEPUTATI
Giovedì 9 luglio 2015
479.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Commissioni Riunite (II e VI)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Giovedì 9 luglio 2015. — Presidenza del presidente della VI Commissione Daniele CAPEZZONE. — Interviene il sottosegretario per l'economia e le finanze Pier Paolo Baretta.

  La seduta comincia alle 14.50.

Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/34/UE relativa ai bilanci d'esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, recante modifica della direttiva 2006/43/CE e abrogazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE, per la parte relativa alla disciplina del bilancio di esercizio e di quello consolidato per le società di capitali e gli altri soggetti individuati dalla legge.
Atto n. 171.

(Seguito dell'esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni proseguono l'esame dello schema di decreto legislativo, rinviato, da ultimo, nella seduta del 16 giugno scorso.

  Maurizio BERNARDO (AP), relatore per la VI Commissione, avverte che, d'intesa con la relatrice per la II Commissione, sta predisponendo una proposta di parere la quale sarà trasmessa via e-mail a tutti i componenti delle Commissioni riunite nei prossimi giorni.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, avverte che la proposta di parere che sarà predisposta dai relatori sarà posta in votazione nel corso della prossima settimana.
  Nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia quindi il seguito dell'esame ad altra seduta.

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Schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio.
Atto n. 183.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame dello schema di decreto legislativo.

  Donatella FERRANTI, presidente della II Commissione e relatrice per la II Commissione, rileva come le Commissioni riunite siano chiamate a esaminare, ai fini dell'espressione del parere al Governo, lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (Atto n. 183).
  Ricorda innanzitutto che lo schema di decreto legislativo è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dalla legge n. 23 del 2014, la quale, nel perseguire l'obiettivo generale della riduzione della pressione tributaria sui contribuenti, reca, oltre ai principi di delega generali e alle procedure di delega, i principi e criteri direttivi di delega specifici per una vasta serie di materie: la revisione del catasto dei fabbricati (articolo 2); le norme per la stima e il monitoraggio dell'evasione e il riordino dell'erosione fiscale (articoli 3 e 4); la disciplina dell'abuso del diritto e dell'elusione fiscale (articoli 5); la cooperazione rafforzata tra l'amministrazione finanziaria e le imprese, con particolare riguardo al tutoraggio, alla semplificazione fiscale e alla revisione del sistema sanzionatorio (articoli da 6 a 8); il rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo (articolo 9); la revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali (articolo 10); la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa e la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni, nonché la razionalizzazione della determinazione del reddito d'impresa e delle imposte indirette (articoli da 11 a 13); la disciplina dei giochi pubblici (articolo 14); le nuove forme di fiscalità ambientale (articolo 15).
  Per quanto attiene allo stato di attuazione della predetta delega ricorda che finora sono stati emanati in via definitiva tre decreti legislativi.
  In primo luogo richiama lo schema di decreto legislativo in materia di semplificazioni fiscali (Atto n. 99), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune condizioni e osservazioni, il 7 agosto 2014. Tra le misure previste nello schema di decreto ricorda l'introduzione della dichiarazione dei redditi precompilata, la revisione della disciplina concernente i rimborsi IVA e lo snellimento degli adempimenti connessi ad operazioni intracomunitarie e con i Paesi esteri. Il provvedimento semplifica inoltre alcuni adempimenti in riferimento alla struttura delle addizionali regionali e comunali.
  A seguito dell'accoglimento parziale delle condizioni e osservazioni espresse dalle Commissioni parlamentari, il 30 settembre 2014 il Governo ha ritrasmesso, ai fini dell'espressione del parere parlamentare definitivo, lo schema di decreto (Atto n. 99-bis). Rispetto al testo originario, sono state introdotte norme in materia di società in perdita e di responsabilità solidale negli appalti ed è stata soppressa la norma in materia di società tra professionisti. Il 16 ottobre 2014 la Commissione ha reso parere favorevole in ordine a tale ultima formulazione dello schema di decreto. Nella Gazzetta Ufficiale del 28 novembre 2014 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 175 del 2014, recante semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata.
  In attuazione delle disposizioni di delega in materia di accise (contenute in particolare nell'articolo 13, comma 2 della legge delega) il Governo ha predisposto lo schema di decreto legislativo volto a ridefinire l'imposizione sui tabacchi, sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo e sui fiammiferi (Atto n. 106), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con condizioni e osservazioni, il 22 ottobre 2014. A seguito della trasmissione, da parte del Governo, dello schema 106-bis, trasmesso Pag. 6dopo la seconda deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, la Commissione Finanze della Camera ha espresso su di esso parere favorevole il 25 novembre 2014. Nella Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2014 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 188 del 2014, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi.
  Inoltre il Governo ha predisposto lo schema di decreto legislativo riguardante la revisione delle Commissioni censuarie (Atto n. 100), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni e condizioni, il 6 agosto 2014. A seguito della trasmissione, da parte del Governo, dello schema n. 100-bis, trasmesso dopo la seconda deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, la Commissione Finanze della Camera ha espresso su di esso parere favorevole in data 22 ottobre 2014. Nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2015 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 198 del 2014, in materia di composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie.
  In tale contesto sottolinea inoltre come l'attuazione della delega fiscale rappresenti uno degli interventi di riforma strategiche indicate dal DEF 2015, che le inserisce tra le venti azioni del Cronoprogramma del Programma nazionale di riforma (PNR).
  Successivamente il Governo ha trasmesso alle Camere tre ulteriori schemi di decreto attuativi della delega:
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Atto n. 161), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 18 giugno 2015, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 9 giugno 2015;
   lo schema di decreto legislativo in materia di trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici (Atto n. 162) sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 18 giugno 2015; sullo stesso schema, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, l'11 giugno 2015;
   lo schema di decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (Atto n. 163), su cui la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune condizioni e osservazioni, l'11 giugno 2015, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con condizioni e osservazioni, il 10 giugno 2015.

  Il 27 giugno 2015 il Governo ha presentato in Parlamento ulteriori cinque schemi di decreto attuativi della delega:
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali (Atto n. 181);
   lo schema di decreto legislativo recante norme in materia di stima e monitoraggio dell'evasione fiscale e in materia di monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale (Atto n. 182);
   lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (Atto n. 183);
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184);
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione (Atto n. 185).

  In tale contesto rammenta che il 27 giugno 2015 è scaduto il termine per l'attuazione della delega, il quale tuttavia, in conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 1 della citata legge n. 3 del Pag. 72014 dall'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 34 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, è prorogato fino al 27 settembre 2015 per l'emanazione degli schemi di decreto trasmessi da Governo alle Camere entro la predetta data del 27 giugno. Restano quindi inattuate o parzialmente attuate le altre parti della delega stessa non comprese negli schemi di decreto legislativi finora richiamati, in particolare per quanto riguarda:
   la revisione del catasto dei fabbricati (di cui all'articolo 2 della legge n. 23), fatta salva la riforma delle Commissioni censuarie;
   la revisione della riscossione degli enti locali (di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c), della legge n. 23);
   la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa (articolo 11, comma 1, lettera a), della legge n. 23);
   la definizione di autonoma organizzazione ai fini Irap (articolo 11, comma 2, della legge n. 23);
   la razionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette, fatta salva la revisione delle accise sui tabacchi lavorati (articolo 13 della legge n. 23);
   la revisione della disciplina dei giochi pubblici e rilancio del settore ippico (articolo 14 della legge n. 23);
   la revisione della fiscalità energetica e ambientale (articolo 15 della legge n. 23).

  Per quanto riguarda la tempistica circa l'espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto, segnala come il relativo termine sia fissato al 27 luglio 2015, prorogabile di venti giorni. Qualora il Governo non intenda adeguarsi ai contenuti dei pareri parlamentari, è tenuto a ritrasmettere nuovamente lo schema di decreto, sul quale le Commissioni competenti devono esprimere il parere entro dieci giorni.
  Passando al contenuto dello schema di decreto, che si compone di 32 articoli, suddivisi in 2 titoli, esso rivede il sistema penale tributario, mediante modifiche del decreto legislativo n. 74 del 2000 (Titolo I) e la modifica dell'impianto sanzionatorio amministrativo (Titolo II).
  Il decreto dà attuazione all'articolo 8 della legge delega n. 23 del 2014, il quale reca i principi e criteri direttivi per la revisione del sistema sanzionatorio penale, che deve essere attuata secondo criteri di predeterminazione e proporzionalità, e la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo al fine di meglio correlare le sanzioni all'effettiva gravità dei comportamenti, con la possibilità di ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali, tenuto anche conto di adeguate soglie di punibilità.
  Lo schema dà attuazione, inoltre, all'articolo 13, alla delega nella parte in cui si dispone che l'Autorità giudiziaria possa affidare i beni sequestrati in custodia giudiziale all'amministrazione finanziaria, in luogo degli organi della polizia giudiziaria, al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative.
  Con riferimento alla revisione del sistema sanzionatorio, lo schema prevede numerose modifiche al decreto legislativo n. 74 del 2000, il quale disciplina i reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto. In sintesi:
   la riforma prevede, in generale, un inasprimento delle pene per le condotte fraudolente (sono previste pene più severe per l'omessa presentazione della dichiarazione, l'occultamento o distruzione di scritture contabili e l'indebita compensazione di crediti inesistenti; introdotto il reato di omessa presentazione della dichiarazione del sostituto di imposta) e un alleggerimento di quelle ritenute meno gravi (ad esempio, è elevata la soglia di punibilità, da 50 mila a 250 mila, per l'omesso versamento dell'Iva, da 50 mila a 150 mila euro per la dichiarazione infedele, da 30 mila a 50 mila per l'omessa dichiarazione); Pag. 8
   per l'omessa dichiarazione è elevata la soglia di punibilità, ma una volta scattato il reato la pena è aumentata (articolo 5);
   è innalzata la soglia di punibilità della dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Sono inoltre circoscritte le definizioni di «documenti falsi», di «mezzi fraudolenti» e di «operazioni simulate» (articolo 3);
   è mitigata la disciplina penale della dichiarazione infedele: sono elevate le soglie di punibilità ed è esclusa la rilevanza penale delle operazioni di ordine classificatorio relative ad elementi, attivi o passivi, effettivamente esistenti; infine, non sono punibili le valutazioni che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento rispetto a quelle corrette (articolo 4);
   è inasprita la sanzione per il reato di occultamento o distruzione di documenti contabili (da diciotto mesi a sei anni, rispetto alla sanzione attuale da sei mesi a cinque anni) (articolo 8);
   è aumentata la soglia di punibilità per l'omesso versamento di ritenute certificate e dell'IVA (rispettivamente centocinquantamila e duecentocinquantamila euro) (articoli 7 e 8);
   è prevista la confisca dei beni che costituiscono il profitto in caso di condanna per un reato previsto dal decreto legislativo n. 74 del 2000 (articolo 10);
   è prevista la non punibilità nel caso del pagamento del debito tributario prima del dibattimento, per i reati di dichiarazione infedele, omessa dichiarazione, omesso versamento delle ritenute e dell'IVA; in caso di pagamento del debito per gli altri reati le pene sono diminuite fino alla metà (attualmente fino a un terzo) e non si applicano le pene accessorie e le circostanze aggravanti (articoli 11 e 12);
   i beni sequestrati, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possono essere affidati in custodia giudiziale agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le loro esigenze operative (articolo 13).

  Illustra quindi l'articolo 1, il quale interviene sull'articolo 1 del decreto legislativo n. 74 del 2000, modificando e aggiungendo alcune definizioni volte a chiarire la portata dei termini impiegati nel nei titoli successivi del decreto. In particolare, con riferimento alle modifiche:
   la definizione di «elementi attivi o passivi» (di cui alla lettera b) del predetto articolo 1 del decreto legislativo n. 74) è estesa anche alle «componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta» (ad esempio, i crediti d'imposta e le ritenute);
   la definizione di «imposta evasa» (lettera f)) del medesimo articolo 1) è circostanziata nel senso che non si considera imposta evasa quella teorica collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio sia all'utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili. Pertanto non viene considerata imposta evasa quella teorica collegata alla rettifica di perdite: l'evasione di imposte dovute non può verificarsi per effetto della diminuzione della perdita inizialmente dichiarata.

  Sono aggiunte, inoltre, due definizioni:
   le «operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente» (di cui alla nuova lettera h) del predetto articolo 1 del decreto legislativo n. 74) sono le operazioni, che non rientrando nella fattispecie di abuso del diritto, sono poste in essere con la volontà di non realizzarle in tutto o in parte ovvero sono riferite a soggetti fittiziamente interposti;
   i «mezzi fraudolenti» (di cui alla lettera i) del medesimo articolo 1 del decreto legislativo n. 74) sono le condotte artificiose attive, oltre che quelle omissive, realizzate in violazione di uno specifico obbligo giuridico che determinano una falsa rappresentazione della realtà.

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  Passa quindi a illustrare l'articolo 2 il quale, attraverso la soppressione della parola «annuali» nell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo n. 74 del 2000, estende il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini del reato ivi previsto.
  Rimane ferma la pena, da un anno e sei mesi a sei anni, nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni (ora non solo quelle «annuali») relative a dette imposte elementi passivi fittizi.
  La modifica apportata, pertanto, estende la portata della sanzione penale a tutte le dichiarazioni relative alle imposte sui redditi e all'IVA, comprese quelle che vengono presentate in occasione di operazioni straordinarie o nell'ambito di procedure concorsuali.
  Al riguardo segnala come potrebbe risultare opportuno individuare con maggiore precisione le dichiarazioni, non annuali, interessate dalla norma.
  Ricorda che, ai sensi dell'articolo 1 dello scherma di decreto, la definizione di «elementi passivi fittizi» è stata estesa anche alle «componenti che incidono sulla determinazione dell'imposta dovuta» (ad esempio, i crediti d'imposta e le ritenute).
  Illustra l'articolo 3, che sostituisce l'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, relativo al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, modificando la condotta punibile, elevando la soglia di punibilità ed escludendo esplicitamente da tale fattispecie la mancata fatturazione o la sottofatturazione.
  Con la modifica della struttura dell'illecito, il delitto si trasforma da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili in reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini IVA.
  Rimane ferma la pena, da un anno e sei mesi a sei anni, nei confronti di chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, compiendo operazioni simulate oggettivamente o soggettivamente ovvero avvalendosi di documenti falsi o di altri mezzi fraudolenti idonei ad ostacolare l'accertamento e ad indurre in errore l'amministrazione finanziaria, indica in dichiarazione elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi o crediti e ritenute fittizie.
  Rispetto alla formulazione attuale scompare la disposizione che richiede l'elemento della «falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie».
  In tal modo, la sfera operativa della figura criminosa risulta ampliata in particolar modo sul versante soggettivo. Il delitto, infatti, si trasforma da reato proprio dei soli contribuenti obbligati alla tenuta delle scritture contabili – quale è attualmente – in reato ascrivibile a qualunque soggetto tenuto a presentare la dichiarazione dei redditi o a fini dell'imposta sul valore aggiunto.
  Sul piano oggettivo la norma in esame estende la condotta punibile in quanto il reato sarà integrato, oltre che nel caso di indicazione in dichiarazione di «elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi», anche qualora la falsa indicazione abbia ad oggetto «crediti e ritenute fittizi».
  Per la configurazione del reato devono, inoltre, sussistere congiuntamente i seguenti presupposti (soglie di punibilità):
   a) imposta evasa superiore a 30 mila euro con riferimento a taluna delle singole imposte (soglia non modificata);
   b) elementi attivi sottratti all'imposizione (anche considerando gli elementi passivi fittizi) superiori al 5 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (soglia invariata) o comunque superiore a 1,5 milioni di euro (soglia aumentata rispetto alla vigente soglia di 1 milione); in alternativa, qualora la condotta fraudolenta abbia ad oggetto crediti e ritenute fittizie, il reato è configurabile ove l'ammontare complessivo dei crediti e delle ritenute fittizi in diminuzione dell'imposta è superiore Pag. 10al 5 per cento dell'ammontare dell'imposta medesima o comunque a euro 30.000.

  Il comma 2 del novellato articolo 3 stabilisce che il fatto si considera commesso avvalendosi di documenti falsi quando tali documenti sono registrati nelle scritture contabili obbligatorie o sono detenuti a fini di prova nei confronti dell'amministrazione finanziaria.
  Tale disposizione riprende quella già contenuta nel comma 2 dell'articolo 2 del medesimo decreto a proposito del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
  La relazione illustrativa allegata allo schema di decreto afferma che la precisazione è resa necessaria dal fatto che il delitto si consuma con la presentazione della dichiarazione, alla quale, in base alla disciplina tributaria in vigore, non deve essere allegata alcuna documentazione.
  Il comma 3 del novellato articolo 3 chiarisce, per altro verso, che non rientrano tra i «mezzi fraudolenti» perseguiti dalla norma in esame, la mera violazione degli obblighi di fatturazione e di annotazione degli elementi attivi nelle scritture contabili (ad es. la mancata emissione dello scontrino fiscale) e di annotazione dei corrispettivi nelle scritture contabili, o la mera indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali (sottofatturazione).
  La relazione illustrativa al riguardo afferma che una volta venuto meno il riferimento alla falsa rappresentazione contabile, quale requisito di fattispecie aggiuntivo rispetto all'utilizzo di mezzi fraudolenti, la giurisprudenza potrebbe essere indotta a ricondurre le suddette violazioni a quest'ultimo concetto: e ciò soprattutto nel caso di indicazione di corrispettivi inferiori a quelli effettivi nelle fatture o nelle annotazioni nelle scritture, potendosi in tal caso ipotizzare che si sia di fronte alla creazione (e al conseguente utilizzo a supporto della dichiarazione) di documenti ideologicamente falsi. In questo modo, si determinerebbe, peraltro, un effetto decisamente inopportuno, anche in rapporto alle esigenze di deflazione del settore penale tributario. Nei confronti dei contribuenti tenuti alla fatturazione e alla tenuta delle scritture contabili, i fatti di evasione attualmente qualificabili come dichiarazione (semplicemente) infedele si trasformerebbero, per la gran parte, in fatti di dichiarazione fraudolenta, peraltro con soglie di punibilità notevolmente più basse.
  Segnala quindi l'articolo 4, che modifica la disciplina del reato di dichiarazione infedele previsto dall'articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
  Le lettere a) e b) del comma 1 elevano le soglie di punibilità del reato di dichiarazione infedele che punisce con la reclusione da uno a tre anni (pena non modificata) chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi.
  Per la configurazione del reato devono, inoltre, sussistere congiuntamente i seguenti presupposti (soglie di punibilità):
   a) imposta evasa superiore a 150 mila euro con riferimento a taluna delle singole imposte (la soglia attuale è di 50 mila euro);
   b) elementi attivi sottratti all'imposizione (anche considerando gli elementi passivi fittizi) superiori al 10 per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione (soglia invariata) o comunque superiore a 3 milioni di euro (soglia aumentata rispetto alla vigente soglia di 2 milioni).

  La lettera c) aggiunge i commi 1-bis e 1-ter all'articolo 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
  Il nuovo comma 1-bis prevede che, ai fini della configurabilità del delitto di dichiarazione infedele, non si tiene conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati Pag. 11comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.
  Il nuovo comma 1-ter stabilisce, inoltre, che non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste dal comma 1, lettere a) e b). Pertanto, nella verifica del superamento delle soglie di punibilità del delitto concernente la dichiarazione infedele non dovrà tenersi conto degli importi compresi entro il 10 per cento, anche quando lo scarto complessivo eccedesse il limite tollerato.
  Ricorda che il vigente articolo 7 del decreto legislativo n. 74 del 2000 prevede che con riferimento ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3) e di dichiarazione infedele (articolo 4) non danno luogo a fatti punibili le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio. Per gli stessi reati, inoltre, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b), dei medesimi articoli. Tale norma è abrogata dall'articolo 14 dello schema di decreto.
  Fa quindi presente che l'articolo 5, sostituendo il comma 1 dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000 con due nuovi commi 1 e 1-bis, eleva la pena prevista per il reato di omessa dichiarazione da un anno e sei mesi a quattro anni (la pena vigente è da un anno a tre anni); allo stesso tempo è elevata la soglia di punibilità che scatta quando l'imposta evasa è superiore a 50 mila euro (la soglia attuale è di 30 mila euro).
  Il nuovo comma 1-bis del predetto articolo 5 introduce il nuovo reato di omessa dichiarazione del sostituto d'imposta che punisce, con la reclusione da uno a tre anni, chiunque non presenta, essendovi tenuto, la dichiarazione di sostituto d'imposta (il cosiddetto modello 770), quando l'ammontare delle ritenute non versate è superiore a 50 mila euro.
  Illustra l'articolo 6 il quale, modificando l'articolo 10 del decreto legislativo n. 74 del 2000, eleva la pena edittale da un anno e sei mesi fino a sei anni di reclusione (la pena attuale è da sei mesi a cinque anni) per chi al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
  Evidenzia come il nuovo articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74 (inserito dall'articolo 10 dello schema di decreto) dispone che, nel caso di condanna o di patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale) per uno dei delitti previsti dallo stesso decreto legislativo n. 74 del 2000 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando non è possibile, la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente nella disponibilità del reo. La confisca risulta pertanto applicabile anche all'occultamento o distruzione di documenti contabili, a differenza di quanto previsto dalla normativa vigente.
  Illustra quindi l'articolo 7, il quale, modificando l'articolo 10-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000, chiarisce la portata del reato di omesso versamento di Pag. 12ritenute certificate e innalza la soglia di non punibilità da cinquantamila euro a centocinquantamila euro.
  Il reato di omesso versamento di ritenute certificate punisce con la reclusione da sei mesi a due anni (pena non modificata) chiunque non versa entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta le ritenute «dovute sulla base della dichiarazione» (inserito con la norma in esame) ovvero risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, per un ammontare superiore a «150 mila euro» (la soglia vigente è di 50 mila euro) per ciascun periodo d'imposta.
  Ne consegue che nel reato di omesso versamento delle ritenute le omissioni non devono più necessariamente risultare dalla certificazione rilasciata ai sostituiti, essendo sufficiente che esse siano dovute in base alla dichiarazione.
  Segnala quindi l'articolo 8 che, sostituendo l'articolo 10-ter del decreto legislativo n. 74 del 2000, eleva la soglia di punibilità del reato di omesso versamento dell'IVA da 50 mila a 250 mila euro per ciascun periodo di imposta.
  Ricorda che l'attuale formulazione del predetto articolo 10-ter prevede l'applicazione di quanto previsto dall'articolo 10-bis dello stesso decreto legislativo n. 74 (omesso versamento di ritenute certificate: pena da sei mesi a due anni, soglia di punibilità di 50 mila euro) anche a chiunque non versa l'IVA, dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo.
  La novella, senza fare riferimento all'articolo 10-bis, esplicita che è punito con la reclusione da sei mesi a due anni (pena non modificata) chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo d'imposta successivo, l'imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a 250 mila euro (la soglia vigente è di 50 mila euro) per ciascun periodo d'imposta.
  Al riguardo fa presente come la relazione illustrativa affermi che in rapporto ai fatti di omesso versamento dell'IVA al di sotto della soglia si sono ritenute sufficienti le sanzioni amministrative già comminate dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997.
  L'articolo 9, sostituendo l'articolo 10-quater del decreto legislativo n. 74 del 2000, distingue l'ipotesi di indebita compensazione di crediti non spettanti, per la quale rimane ferma la vigente pena, da sei mesi a due anni, nei confronti di chi non versa le somme dovute, dall'ipotesi di indebita compensazione di crediti inesistenti, punita più severamente con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni. Per entrambe rimane ferma la vigente soglia di punibilità di 50 mila euro.
  Rammenta che la formulazione vigente dell'articolo 10-quater prevede l'applicazione di quanto previsto dall'articolo 10-bis dello stesso decreto legislativo n. 74 (omesso versamento di ritenute certificate: pena da sei mesi a due anni, soglia di punibilità di 50 mila euro) anche a chiunque non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione, ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997, crediti non spettanti o inesistenti.
  L'articolo 10 inserisce nel decreto legislativo n. 74 del 2000 un nuovo articolo 12-bis, il quale dispone che nel caso di condanna o di patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale) per uno dei delitti previsti dallo stesso decreto legislativo n. 74 del 2000 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando non è possibile, la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente nella disponibilità del reo.
  La previsione riproduce, sostanzialmente, quanto già previsto dall'articolo 1, comma 143, della legge n. 244 del 2007 (abrogato dall'articolo 14 dello schema di decreto), collocandolo nel Titolo III relativo alle disposizioni comuni del decreto legislativo n. 74 del 2000.
  Evidenzia come, rispetto al citato comma 143, la nuova formulazione si Pag. 13riferisce a tutti i delitti previsti dal decreto legislativo n. 74 del 2000: risulta pertanto applicabile anche all'occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'articolo 10 dello stesso decreto legislativo, non richiamato dal comma 143.
  Il comma 2 del nuovo articolo 12-bis specifica che la confisca non opera per la parte che può essere restituita all'Erario.
  Al riguardo segnala l'opportunità di precisare che tale parte debba essere effettivamente restituita all'Erario.
  L'articolo 11 sostituisce l'articolo 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000 in materia di cause di non punibilità e pagamento del debito tributario.
  Il comma 1 del nuovo articolo 13 prevede che per i delitti di omesso versamento dell'IVA (articolo 10-bis), delle ritenute (articolo 10-ter) e per le indebite compensazioni di crediti non spettanti (articolo 10-quater, comma 1), scatta la non punibilità in caso di integrale pagamento degli importi dovuti (debiti tributari, sanzioni e interessi) prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche se le violazioni sono state già scoperte, rilevando come ciò si evinca dal fatto che la norma non pone limiti al riguardo.
  Il pagamento degli importi dovuti può essere fatto anche mediante le speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento, nonché mediante il ravvedimento operoso.
  Tra gli strumenti deflativi del contenzioso tributario ricorda, in estrema sintesi: l'autotutela, l'acquiescenza, l'adesione ai verbali di constatazione, l'adesione all'invito al contraddittorio, l'accertamento con adesione, la mediazione e la conciliazione giudiziale.
  Il comma 2 del nuovo articolo 13 prevede che per i reati di dichiarazione infedele (articolo 4) e di omessa dichiarazione (articolo 5) la non punibilità scatta solo con l'integrale pagamento degli importi dovuti (debiti tributari, sanzioni e interessi), a condizione che il ravvedimento o la presentazione della dichiarazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.
  Il pagamento degli importi dovuti può avvenire tramite il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa (nelle ipotesi di omessa presentazione) entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo.
  Il comma 3 del nuovo articolo 13 prevede che nel caso in cui il contribuente, prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, stia provvedendo all'estinzione del debito tributario mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità delle circostanze attenuanti previste dall'articolo 13-bis (introdotto dall'articolo 12 dello schema di decreto), è data la possibilità allo stesso contribuente di pagare il debito residuo entro tre mesi, termine che può essere prorogato per ulteriori tre mesi dal giudice una sola volta, ferma restando la sospensione della prescrizione.
  Passa quindi a illustrare l'articolo 12, il quale inserisce un nuovo articolo 13-bis nel decreto legislativo n. 74 del 2000, relativo alle circostanze del reato.
  Il comma 1 del nuovo articolo 13-bis prevede, al di fuori dei casi di non punibilità (indicati dall'articolo 13 per i reati espressamente indicati), la diminuzione fino alla metà delle pene (la norma vigente prevede la riduzione fino ad un terzo), senza applicazione delle pene accessorie, nel caso in cui il debito tributario sia estinto mediante pagamento integrale prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie (fa riferimento, al riguardo, a quanto detto nella scheda precedente).
  Osserva come, a differenza di quanto previsto dall'articolo 11 dello schema di decreto (che novella l'articolo 13 del decreto legislativo n. 74) in tema di cause di non punibilità, in questo caso non sia espressamente citato il ravvedimento operoso tra le modalità mediante le quali è possibile provvedere al pagamento del debito tributario. Pag. 14
  Il vigente articolo 13 prevede che il pagamento – prima dell'apertura del dibattimento di primo grado – dei debiti tributari e delle sanzioni relativi ai delitti previsti dal Decreto legislativo n. 74 del 2000, comporta la riduzione fino ad un terzo della pena e la non applicazione delle pene accessorie.
  Il comma 2 del nuovo articolo 13-bis condiziona la richiesta di patteggiamento per i delitti di cui al decreto legislativo n. 74 del 2000 al solo caso in cui sia stato pagato integralmente il debito tributario prima dell'apertura del dibattimento (comma 1) ovvero nel caso in cui sia stato esperito il ravvedimento operoso.
  Da tale previsione sono escluse le ipotesi di cui all'articolo 13, comma 2, ovvero i casi in cui l'autore dei reati di dichiarazione infedele e omessa dichiarazione abbia avuto formale conoscenza dell'avvio di un procedimento penale o di un'attività di controllo.
  Il comma 3 del nuovo articolo 13-bis prevede che se il reato è commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione fiscale, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale, sanzioni amministrative (Titolo II del Decreto legislativo n. 74 del 2000) sono aumentate della metà.
  L'articolo 13, introducendo un nuovo articolo 18-bis nel decreto legislativo n. 74 del 2000, prevede che i beni sequestrati nell'ambito dei procedimenti penali relativi ai delitti previsti da detto decreto e ad ogni altro delitto tributario, diversi dal denaro e dalle disponibilità finanziarie, possano essere affidati dall'autorità giudiziaria in custodia giudiziale agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta per le proprie esigenze operative.
  Tale previsione attua, in particolare il criterio di delega contenuto nell'articolo 8, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 23 del 2014, che prevede l'estensione della possibilità, per l'autorità giudiziaria, di affidare in custodia giudiziale i beni sequestrati nell'ambito di procedimenti penali relativi a delitti tributari agli organi dell'amministrazione finanziaria che ne facciano richiesta al fine di utilizzarli direttamente per le proprie esigenze operative.
  Il comma 2 del nuovo articolo 18-bis fa espressamente salve le disposizioni dell'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008, e dell'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008, in materia di affluenza al «Fondo unico giustizia» delle somme di denaro sequestrate e dei proventi derivanti dai beni confiscati. Segnala come il comma 2 appaia superfluo, stante il riferimento fatto dal comma 1 alla salvezza delle disposizioni di cui all'articolo 61, comma 23, del decreto-legge n. 112 del 2008, e all'articolo 2 del decreto-legge n. 143 del 2008.
  L'articolo 14 dispone l'abrogazione espressa degli articoli 7 (Rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio) e 16 (Adeguamento al parere del Comitato per l'applicazione delle norme antielusive) del decreto legislativo n. 74 del 2000 e dell'articolo 1, comma 143, della legge n. 277 del 2007 (in tema di confisca).
  Rammenta che l'articolo 7 del decreto legislativo n. 74 prevede che con riferimento ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3) e di dichiarazione infedele (articolo 4) non danno luogo a fatti punibili le rilevazioni nelle scritture contabili e nel bilancio eseguite in violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza ma sulla base di metodi costanti di impostazione contabile, nonché le rilevazioni e le valutazioni estimative rispetto alle quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio. Per gli stessi reati, inoltre, non danno luogo a fatti punibili le valutazioni estimative che, singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al dieci per cento da quelle corrette. Degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità previste nel comma 1, lettere a) e b), dei medesimi articoli.
  Lo schema di decreto, peraltro, con riferimento alla sola dichiarazione infedele (articolo 4) prevede che, ai fini della configurabilità del delitto, non si debba Pag. 15tener conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati in bilancio o in altra documentazione rilevante ai fini fiscali, della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali. È previsto inoltre che non danno comunque luogo a fatti punibili a titolo di dichiarazione infedele le valutazioni che singolarmente considerate, differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette e che degli importi compresi in tale percentuale non si tiene conto nella verifica del superamento delle soglie di punibilità.
  In sostanza, il legislatore delegato ha voluto mantenere una visione di favore in relazione a valori corrispondenti a non corrette valutazioni (secondo i parametri tributari) di elementi attivi e passivi, purché oggettivamente esistenti e nella misura in cui esse esistano in rerum natura.
  La relazione illustrativa dello schema afferma che, per una diversa ragione, si è ritenuto che, in rapporto al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (articolo 3) le suddette regole «di garanzia» siano prive di adeguata giustificazione. La circostanza che il contribuente supporti la violazione dei criteri di rilevazione contabile con manovre a carattere fraudolento, idonee ad ostacolarne l'accertamento, fa apparire, in effetti, inopportuno e, almeno per certi versi, contraddittorio il mantenimento delle predette regole di esclusione del dolo di evasione, ferma restando la possibilità, per il giudice, di pervenire alla conclusione dell'insussistenza dell'elemento soggettivo del reato sulla base delle peculiarità dei singoli casi concreti.
  L'articolo 16 del decreto legislativo n. 74 sancisce la non punibilità di chi si sia uniformato al parere del Comitato consultivo per l'applicazione delle norme antielusive, ovvero ha compiuto le operazioni esposte nell'istanza sulla quale si è formato il silenzio-assenso.
  La relazione illustrativa dello schema afferma che lo scopo della norma era semplicemente quello di introdurre una scusante correlata ad un caso «codificato» di ignoranza inevitabile della legge penale, stante il naturale «affidamento» del contribuente nell'avviso espresso da un organo tecnico particolarmente qualificato. Di fatto, tuttavia, proprio dalla previsione normativa in questione la giurisprudenza di legittimità ha tratto, a contrario sensu, uno dei principali argomenti per sostenere la rilevanza penalistica dell'elusione fiscale (Cassazione penale, sentenza n. 7739 del 2012). Una volta esclusa in modo espresso quest'ultima, secondo quanto disposto dal comma 13 dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 2000, introdotto dall'articolo 1, comma 1, del decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (ancora non pubblicato), la previsione normativa in questione resta priva di significato.
  L'articolo 1, comma 143, della legge n. 277 del 2007 dispone che nel caso di condanna o di patteggiamento (applicazione della pena su richiesta delle parti ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale) per uno dei delitti previsti dallo stesso decreto legislativo n. 74 è sempre ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al reato, ovvero quando non è possibile, la confisca per equivalente di beni per un valore corrispondente nella disponibilità del reo.
  Tale norma, come già ricordato, è stata trasfusa nel nuovo articolo 12-bis del decreto legislativo n. 74 del 2000 ad opera dell'articolo 10 dello schema di decreto.
  Il Titolo II dello schema di decreto riguarda il sistema sanzionatorio amministrativo.
  Illustra il Capo I, contenente il solo articolo 15, il quale attua, in generale, il principio di proporzionalità della risposta sanzionatoria di fronte a condotte illecite che riguardano imposte dirette, Iva e riscossione di tributi, con l'obiettivo di graduare le sanzioni riducendole per gli illeciti di più lieve disvalore.Pag. 16
  In particolare, il comma 1 dell'articolo 15 modifica il decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471, recante riforma delle sanzioni tributarie non penali in materia di imposte dirette, di imposta sul valore aggiunto e di riscossione dei tributi.
  Segnala, in generale, che con le modifiche in esame le sanzioni sono state convertite dalla lira all'euro.
  La lettera a) del predetto comma 1 sostituisce l'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni in materia di dichiarazione delle imposte sui redditi, collocando in questa sede, tra le altre, la disciplina sanzionatoria delle violazioni in materia di IRAP, attualmente contenuta dell'articolo 32 del decreto legislativo n. 446 del 1997 (articolo abrogato dall'articolo 31 dello schema di decreto).
  Il nuovo comma 1 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 modifica la disciplina per la violazione di omessa presentazione della dichiarazione, in quanto le sanzioni sono proporzionate all'eventuale ritardo nell'adempimento. In particolare, se la dichiarazione omessa è presentata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, la sanzione base (dal 120 al 240 per cento, con un minimo di euro 250) è ridotta della metà. Ciò purché non abbia avuto inizio nessuna attività amministrativa di accertamento di cui il contribuente abbia avuto formale conoscenza. Pertanto, nella fattispecie considerata, viene applicata la sanzione dal 60 al 120 per cento delle imposte dovute, con un minimo di euro 200. Se non sono dovute imposte, viene applicata la sanzione in misura fissa, da un minimo di euro 150 ad un massimo di euro 500. Se la dichiarazione è presentata oltre il suddetto termine, trova applicazione la sanzione in misura piena, in misura fissa, da euro 250 a euro 1.000, se non sono dovute imposte. Le sanzioni applicabili quando non sono dovute imposte possono essere aumentate fino al doppio nei confronti di soggetti obbligati alla tenuta di scritture contabili.
  Nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1 del decreto legislativo n. 471 è modificata la disciplina per la violazione di infedele dichiarazione, attraverso una graduazione della sanzione base, secondo la gravità del comportamento tenuto dal contribuente.
  In particolare, al comma 2, è inserito il riferimento al valore della produzione ai fini Irap. Inoltre è espressamente previsto che la sanzione, compresa tra il 90 e il 180 per cento (ridotta rispetto ai vigenti parametri compresi tra il 100 e il 200 per cento), è commisurata alla maggiore imposta dovuta o alla differenza del credito utilizzato.
  Al comma 3 viene introdotta l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione base in presenza di condotte fraudolente del contribuente: ovvero l'utilizzo di documentazione falsa o per operazioni inesistenti, mediante artifici o raggiri, condotte simulatorie o fraudolente.
  Il comma 4 prevede, al di fuori di condotte fraudolente, una riduzione di un terzo della sanzione base, applicabile in sede d'accertamento, nell'ipotesi in cui la maggiore imposta o il minore credito accertato siano complessivamente inferiori al 3 per cento rispetto all'imposta e al credito dichiarato. Tale soglia percentuale è individuata calcolando il rapporto tra l'ammontare complessivo del quantum dichiarato e quello del quantum accertato. La riduzione non si applica in caso di condotte fraudolente e di superamento della soglia di euro 30.000.
  La stessa riduzione di un terzo della sanzione (che la relazione governativa ritiene alternativa a quella sopra richiamata) è prevista quando l'infedeltà della dichiarazione deriva da errori sull'imputazione dei costi per competenza temporale di elementi positivi o negativi di reddito. Per beneficiare di tale riduzione è necessario che il componente positivo sia stato erroneamente imputato e, quindi, abbia concorso alla determinazione del reddito nell'annualità in cui interviene l'attività di accertamento o in una precedente.
  Al riguardo appare opportuno specificare che, per beneficiare della riduzione della sanzione prevista dal secondo periodo Pag. 17del comma 4, è necessario che il componente negativo non sia stato dedotto più volte.
  Nell'ipotesi in cui l'errore sull'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito non abbia determinato alcun tipo di danno per l'erario, la sanzione è applicata in misura fissa per un ammontare pari ad euro 250.
  Rileva come si tratti delle ipotesi in cui l'anticipazione o la posticipazione dell'elemento reddituale non abbia prodotto alcun vantaggio nei confronti del contribuente come, ad esempio, nell'ipotesi in cui il contribuente anticipi un elemento positivo di reddito in un'annualità in perdita, così riducendo la perdita di periodo. Va da sé che, laddove tale elemento positivo, nell'annualità di corretta imputazione, determini una maggiore imposta dovuta, deve ritenersi sussistente danno erariale, con la conseguenza che la sanzione dovrà essere applicata nella misura proporzionale, sebbene ridotta.
  Nel comma 6 del nuovo articolo 1 è stata disciplinata una specifica ipotesi di omessa o infedele indicazione del canone derivante dalla locazione di immobili ad uso abitativo assoggettati a cedolare secca, prima disciplinata all'articolo 3, comma 5, del Decreto legislativo n. 23 del 2011 (di cui dal l'articolo 31 dello schema prevede l'abrogazione). In particolare è previsto il raddoppio delle sanzioni base.
  Rispetto alla vigente formulazione dell'articolo 1 sono state eliminate le aggravanti previste nei commi 2-bis e 2-bis.1 per le violazioni relative al contenuto e alla presentazione dei modelli per gli studi di settore, in un'ottica di maggiore proporzionalità e di rimozione delle sanzioni improprie dal sistema sanzionatorio.
  La lettera b) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 2 del decreto legislativo n. 471 del 1997, il quale disciplina le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione del sostituto d'imposta.
  Segnala che alcune delle novità introdotte corrispondono a quelle previste per le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP.
  Anche per tali fattispecie è stato introdotto un principio di proporzionalità della sanzione in base all'eventuale ritardo nell'adempimento, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, prevedendosi una sanzione più lieve (dal 60 al 120 per cento dell'ammontare delle ritenute non versate, con un minimo di 200 euro) nel caso di tardività contenuta nell'effettuazione dell'adempimento, purché non siano già iniziate attività di controllo, altrimenti la sanzione va da 150 a 500 euro e la sanzione per ogni percipiente non indicato è ridotta della metà.
  La vigente sanzione amministrativa in capo al sostituto per l'omessa presentazione della dichiarazione va dal 120 al 240 per cento dell'ammontare delle ritenute non versate, fermo restando un minimo di 250 euro.
  Parallelamente, per la dichiarazione infedele dei sostituti d'imposta sono inserite le graduazioni sanzionatorie già previste nell'infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette: oltre a una riduzione della sanzione base (dal 90 al 180 per cento; l'attuale sanzione va da 100 al 200 per cento), si prevede l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione in presenza di condotte fraudolente.
  Anche in questo caso, al di fuori di condotte fraudolente, è prevista una riduzione di un terzo della sanzione nell'ipotesi in cui l'ammontare delle ritenute non versate riferibili alla differenza tra l'ammontare dei compensi, interessi ed altre somme accertati e dichiarati sia complessivamente inferiore al 3 per cento rispetto alle ritenute riferibili all'ammontare dei compensi, interessi ed altre somme dichiarati. La riduzione non si applica in caso di condotte fraudolente e di superamento della soglia di euro 30.000.
  Una integrazione al comma 3 prevede che, ove la presentazione omessa venga presentata dal sostituto nel termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, si applica una sanzione da 150 a 500 euro; è poi Pag. 18dimezzata la sanzione amministrativa (attualmente 50 euro) per ogni percipiente non indicato nella dichiarazione presentata o che avrebbe dovuto essere presentata.
  Nel nuovo comma 4-bis dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 471 viene estesa ai sostituti d'imposta la definizione di base di commisurazione della sanzione già prevista con riferimento alla dichiarazione infedele ai fini delle imposte sui redditi. In particolare, viene precisato che per ritenute non versate debba intendersi la differenza tra l'ammontare delle ritenute accertate e quelle liquidabili in base alla dichiarazione, ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (in materia di accertamento delle imposte sui redditi).
  La relazione illustrativa dello schema di decreto chiarisce che tale intervento è volto ad evitare che la base di commisurazione della sanzione per infedele dichiarazione nei confronti dei sostituti possa eventualmente comprendere anche le maggiori imposte liquidabili ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, relativamente alle quali resta applicabile la sanzione prevista dall'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 471 del 1997 per i ritardati od omessi versamenti diretti.
  Per ragioni di coerenza con la disciplina dettata ai fini delle imposte sui redditi, il nuovo comma 4-ter dell'articolo 2 prevede, anche per i sostituiti d'imposta, l'esclusione dell'applicazione della sanzione per infedele dichiarazione in caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento praticati nell'ambito delle operazioni di cui all'articolo 110, comma 7, del TUIR. L'esimente si applica qualora il sostituto presenti all'amministrazione finanziaria la documentazione nazionale idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati (transfer pricing).
  La lettera c) del comma 1 dell'articolo 15 modifica le misure sanzionatorie presenti nell'articolo 3 del decreto legislativo n. 471, il quale prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa in caso di omessa denuncia, nel termine previsto per legge, delle situazioni che danno luogo a variazioni in aumento del reddito dominicale e del reddito agrario dei terreni, convertendo in euro (da 250 a 2.000 euro) la sanzione prima prevista da lire cinquecentomila a lire quattro milioni.
  La lettera d) del comma 1 dell'articolo 15 abroga l'articolo 4 del decreto legislativo n. 471, originariamente inserito per disciplinare, in via transitoria, il regime sanzionatorio delle dichiarazioni incomplete previste dall'articolo 46, secondo e terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (articolo abrogato a decorrere dal 1o aprile 1998).
  La lettera e) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 5 del decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni riguardanti la dichiarazione dell'IVA.
  Segnala che, anche in questo caso, alcune delle novità introdotte corrispondono a quelle previste per le violazioni di omessa e di infedele presentazione della dichiarazione ai fini delle imposte sui redditi e dell'IRAP.
  Anche per tali fattispecie rileva come sia stata introdotta una maggiore proporzionalità della sanzione in base all'eventuale ritardo nell'adempimento, nel caso di omessa presentazione della dichiarazione, prevedendosi una sanzione più lieve nel caso di tardività contenuta nell'effettuazione dell'adempimento, purché non siano già iniziate le attività di controllo.
  Parimenti, vengono riproposte le graduazioni sanzionatorie già inserite nell'articolo 1 e nell'articolo 2, connaturate al disvalore del comportamento tenuto dal contribuente, nell'ipotesi di infedele dichiarazione: è prevista l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione in presenza di condotte fraudolente; al di fuori di condotte fraudolente, è prevista una riduzione di un terzo della sanzione nell'ipotesi in cui la maggiore imposta ovvero la minore eccedenza detraibile o rimborsabile accertata è complessivamente inferiore al 3 per cento dell'imposta ovvero dell'eccedenza detraibile o rimborsabile Pag. 19dichiarate. La riduzione non si applica in caso di condotte fraudolente e di superamento della soglia di euro 30.000.
  Anche in questo caso viene definito il concetto di imposta dovuta ai fini della commisurazione della sanzione per infedeltà, intendendosi per tale la differenza tra l'ammontare del tributo liquidato in sede di accertamento e quello liquidabile in base alla dichiarazione, ai sensi dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
  Analogamente alla fattispecie sanzionatoria dell'infedele dichiarazione ai fini delle imposte dirette, sono eliminate le aggravanti previste nei commi 4-bis e 4-ter per le violazioni relative al contenuto e alla presentazione dei modelli per gli studi di settore.
  Nel comma 4-quinquies del decreto legislativo n. 471 è riformulata la disciplina sanzionatoria della richiesta di rimborso dell'imposta in difformità rispetto al contenuto della dichiarazione, in linea con le diverse modalità con cui viene effettuata la richiesta di rimborso dell'eccedenza detraibile. In particolare è prevista una sanzione proporzionale, pari al 30 per cento dell'ammontare del credito rimborsato, in caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti (individuati dall'articolo 30 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1973: versamento di conguaglio e rimborso della eccedenza).
  Nel comma 6 dell'articolo 5 del decreto legislativo n. 471, con riferimento all'obbligo di presentazione delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, sono stati compiuti due interventi di adeguamento: il primo attraverso l'inserimento, nel primo periodo, del richiamo all'articolo 35-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1973: identificazione ai fini IVA ed obblighi contabili del soggetto non residente; il secondo, consistente in un adeguamento della disciplina introdotta dal Decreto legislativo n. 42 del 2015 – cosiddetto mini sportello unico (Mini One Stop Shop, abbreviato in MOSS) – attraverso il richiamo alle comunicazioni di cui all'articolo 74-quinquies, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1973, al fine di consentire l'applicazione della sanzione per mancata presentazione di una delle dichiarazioni di inizio, variazione o cessazione di attività, oltre che alla richiesta di registrazione MOSS, anche alla incompleta o inesatta presentazione delle successive comunicazioni.
  La lettera f) del comma 1 dell'articolo 15 effettua diversi interventi puntuali nell'articolo 6 del decreto legislativo n. 471 del 1997 recante la disciplina sanzionatoria relativa all'inosservanza degli obblighi di documentazione, registrazione e individuazione delle operazioni rientranti nell'ambito applicativo dell'IVA, anche intracomunitaria.
  Al comma 1 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 471 – che disciplina le ipotesi di violazioni degli obblighi di fatturazione e registrazione (di fatture o corrispettivi) relative ad operazioni imponibili – è prevista una sanzione ridotta – da euro 250 a euro 2000 – quando la ritardata registrazione/certificazione non abbia inciso sulla liquidazione periodica e, quindi, sull'assolvimento del tributo. Tale sanzione viene applicata in luogo di quella proporzionale attualmente vigente (dal 100 al 200 per cento dell'imposta relativa all'imponibile non correttamente documentato o registrato nel corso dell'esercizio). Conseguentemente sono apportati i corrispondenti adeguamenti ai riferimenti contenuti nel successivo comma 4.
  Nel comma 8 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 471, relativo all'obbligo di regolarizzazione della fattura da parte del cessionario o del committente, la misura minima della sanzione viene portata ad euro 250.
  Nel comma 9-bis viene ridotta la sanzione amministrativa (fra il novanta ed il centottanta per cento) relativa al mancato assolvimento dell'IVA mediante il meccanismo del reverse charge.
  Nel comma 9-ter la sanzione amministrativa relativa all'acquisto non documentato Pag. 20regolarmente (ora pari al 20 per cento del corrispettivo) è resa applicabile dal 10 al 20 per cento.
  La lettera g) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che concerne le specifiche violazioni relative alle esportazioni. In particolare, nella nuova formulazione della disposizione risulta attenuata la sanzione prevista per il fornitore dell'esportatore abituale di cui al comma 5 che da proporzionale (dal cento al duecento per cento dell'imposta) viene stabilita in misura fissa da euro 250 a euro 2.000, al fine di armonizzarla con le modifiche introdotte dal Decreto legislativo n. 175 del 2014 in materia di semplificazioni fiscali, anch'esso attuativo della legge delega in commento. Dal 1o gennaio 2015, infatti, il fornitore dell'esportatore abituale non è più tenuto a comunicare le lettere d'intento ricevute dell'esportatore abituale, dovendo verificare l'avvenuta trasmissione delle stesse all'Agenzia delle Entrate, prima di effettuare la relativa operazione.
  La lettera h) del comma 1 dell'articolo 15 modifica ed aggiorna l'articolo 8 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che disciplina le violazioni di carattere formale relative al contenuto e alla documentazione delle dichiarazioni. In particolare:
   sono disciplinate unitariamente le sanzioni per le imposte dirette e l'IRAP;
   è aggiornato il riferimento al soggetto attualmente preposto all'approvazione dei modelli dichiarativi (Direttore dell'Agenzia e non più il Ministero delle Finanze);
   è eliminato il riferimento all'obbligo di allegare i documenti alla dichiarazione;
   è aggiornato il riferimento agli elementi relativi alla dichiarazione dei sostituti d'imposta, ora contenuto all'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998.

  Inoltre, il nuovo comma 3-ter dell'articolo 8 decreto legislativo n. 471 individua, nel contesto delle disposizioni volte a punire le eventuali omissioni o incompletezze dei dati della dichiarazione, una sanzione fissa (da 2.000 a 21.000 euro) applicabile nei casi in cui il contribuente non abbia provveduto a effettuare le segnalazioni richieste da:
   l'articolo 113, comma 6, del TUIR, in relazione alle partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari;
   l'articolo 124, comma 5-bis, del TUIR, in ordine alla continuazione del consolidato nazionale;
   l'articolo 132, comma 5, del TUIR, relativo al consolidato mondiale;
   l'articolo 30, comma 4-quater, della legge 30 n. 724 del 1994, per le società di comodo;
   l'articolo 1, comma 8, del decreto-legge n. 201 del 2011, in tema di aiuto per la crescita economica (ACE).

  Le ipotesi menzionate, infatti, sono oggetto di modifica da parte dello schema di decreto delegato in materia di interpello, nel cui contesto la presentazione dell'istanza di interpello – fino ad oggi obbligatoria – è stata resa facoltativa ed è stata sostituita, in omaggio all'esigenza di monitoraggio da parte dell'amministrazione sulle predette situazioni, dalla introduzione di un obbligo di segnalazione.
  La lettera i) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 9 del decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni degli obblighi concernenti la contabilità in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto, nel quale è prevista l'applicazione di un'unica sanzione per entrambi i settori impositivi e per le diverse infrazioni configurabili.
  In particolare:
   al comma 4 la disposizione è aggiornata nelle parti in cui rinviava a istituti ormai abrogati (semplificazioni per i contribuenti minori, per le imprese ed i lavoratori autonomi di minori dimensioni e per i contribuenti cosiddetti «minimi»);
   al comma 5 la disciplina sanzionatoria della sottoscrizione della dichiarazione Pag. 21delle società e degli enti soggetti all'imposta sul reddito delle società sottoposti al controllo contabile ai sensi del codice civile o di leggi speciali, è aggiornata con i vigenti riferimenti normativi, contenuti nell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998.

  La lettera l) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 10 del decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni da parte degli operatori finanziari degli obblighi scaturenti da richieste operate nell'esercizio dei poteri inerenti all'accertamento delle imposte dirette o dell'IVA nonché le violazioni degli obblighi di comunicazione all'Archivio dei rapporti finanziari. Salva la conversione dei valori in euro, la disposizione non è stata oggetto di modifica sostanziale.
  La lettera m) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997, contenente norme sanzionatorie volte a colpire le residue fattispecie di infrazioni in materia di imposte dirette e di imposta sul valore aggiunto.
  In particolare, il nuovo comma 7-bis dell'articolo 11 prevede l'applicazione di una sanzione dal 10 al 50 per cento delle somme in caso di mancata o inesatta indicazione del soggetto beneficiario delle somme prelevate nell'ambito dei rapporti finanziari e delle relative operazioni di cui all'articolo 32, primo comma n. 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, salvo che le somme non risultino dalle scritture contabili.
  Il nuovo comma 7-ter introduce una nuova disciplina in materia di tardiva presentazione delle garanzie richieste nell'ambito delle compensazioni dell'IVA di gruppo sull'ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell'ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall'ente o società controllante, di cui all'articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Viene, in particolare, previsto che se la garanzia è presentata entro il termine di novanta giorni dalla scadenza del termine di presentazione della dichiarazione annuale, la violazione ha natura formale ed è applicata la sanzione amministrativa da euro 1.000 a euro 4.000. Per le garanzie presentate con ritardo superiore trova applicazione l'articolo 13, comma 6, del decreto legislativo n. 471 del 1997, come riformulato dalla successiva lettera o) dell'articolo in esame.
  Il nuovo comma 7-quater prevede la sanzione per la mancata presentazione dell'interpello nei casi in cui questo sia oggetto di un obbligo, cosiddetto «interpello disapplicativo», previsto dal comma 2 dell'articolo 11 della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente) come modificato da parte del decreto legislativo in tema di interpello.
  In caso di inosservanza da tale obbligo il comma 7-quater prevede una sanzione in misura fissa di importo pari a quella prevista dal nuovo comma 3-quinquies dell'articolo 8 che viene applicata in misura doppia qualora venga disconosciuta la legittimità della disapplicazione a cui il contribuente ha provveduto autonomamente.
  Al riguardo segnala l'opportunità di chiarire a quale comma dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 471 ci si riferisce, fermo restando che non esiste nella stessa disposizione un comma aggiuntivo 3-quinquies.
  La lettera n) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 12 del decreto legislativo n. 471 del 1997 che disciplina le sanzioni accessorie in materia di imposte dirette e IVA, convertendo in euro le sanzioni ivi previste.
  La lettera o) del comma 1 dell'articolo 15 sostituisce l'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997, relativo alle violazioni degli obblighi di versamento dei tributi, modificandone altresì la rubrica in «Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione».
  In tale ambito rileva quindi come, in un'ottica di maggiore proporzionalità della sanzione, sia previsto un meccanismo di Pag. 22riduzione sanzionatoria per i versamenti effettuati con lieve ritardo. In particolare, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a novanta giorni, la sanzione del trenta per cento è ridotta alla metà. Di conseguenza, salva l'applicazione del ravvedimento operoso di cui all'articolo 13 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, per i versamenti effettuati con un ritardo non superiore a quindici giorni, la sanzione base su cui commisurare la riduzione pari ad un quindicesimo per ciascun giorno di ritardo è quella ridotta del 15 cento.
  Il nuovo comma 4 dell'articolo 13 prevede una disciplina specifica per l'ipotesi di utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante. In tal caso è espressamente prevista l'applicazione della sanzione pari al 30 per cento del credito utilizzato, salva l'applicazione di disposizioni speciali. Analogamente a quanto già rappresentato con riferimento all'articolo 5 in relazione alla richiesta di rimborso IVA dell'eccedenza detraibile risultante dalla dichiarazione in assenza dei presupposti, anche nelle ipotesi in cui non si proceda al recupero del credito utilizzato, rimane fermo il recupero degli interessi dalla data di utilizzazione del credito a quella in cui il contribuente provveda a versare le sanzioni dovute.
  Il nuovo comma 5 dell'articolo 13 prevede, inoltre, la disciplina dell'utilizzo in compensazione di un credito inesistente attualmente contenuta nel decreto-legge n. 185 del 2008 (articolo 27, comma 18, abrogato dall'articolo 31 dello schema di decreto). La nuova disposizione definisce inesistente il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo e la cui inesistenza non sia riscontrabile mediante controlli automatizzati di cui agli articoli 36-bis, 36-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, e all'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Devono, pertanto, escludersi dall'ambito applicativo della disposizione tutte quelle ipotesi in cui l'inesistenza del credito emerga direttamente dai controlli operati dall'amministrazione nonché quelle ipotesi di utilizzazione di crediti in violazione di regole di carattere procedurale non prescritte a titolo costitutivo del credito stesso.
  In caso di utilizzo in compensazione di un credito inesistente, è applicata esclusivamente la sanzione dal 100 al 200 per cento della misura del credito. Non è stata riprodotta l'aggravante per l'utilizzo in compensazione del credito inesistente di importo superiore a euro 50.000, sanzionata nella vigente disciplina in misura pari al 200 per cento della misura del credito compensato.
  Segnala il nuovo comma 6 dell'articolo 13, che introduce la disciplina sanzionatoria della garanzia IVA di gruppo presentata oltre 90 giorni dal termine di presentazione della dichiarazione, prevedendo la sanzione del 30 per cento dell'ammontare delle eccedenze di credito risultanti dalla dichiarazione annuale dell'ente o società controllante ovvero delle società controllate, compensate in tutto o in parte con somme che avrebbero dovuto essere versate dalle altre società controllate o dall'ente o società controllante, di cui all'articolo 73, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972. Prima dell'intervento normativo, attraverso cui è stata introdotta una sanzione ad hoc per la fattispecie, la mancata presentazione della garanzia prescritta entro il termine era sanzionata, in applicazione delle regole sanzionatorie generali, con la sanzione prevista per l'omesso versamento.
  La lettera p) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 14 del decreto legislativo n. 471 del 1997 il quale prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa pari al 20 per cento dell'ammontare non trattenuto nei confronti dei soggetti che violano l'obbligo di esecuzione, in tutto o in parte, delle ritenute alla fonte. La norma in esame elimina, rispetto alla vigente formulazione, il riferimento all'applicazione delle disposizioni dell'articolo 13 per il caso di omesso versamento.
  La lettera q) del comma 1 dell'articolo 15 modifica l'articolo 15 del decreto legislativo Pag. 23n. 471 del 1997, il quale prevede l'applicazione di una sanzione amministrativa nei casi in cui i documenti utilizzati per i versamenti diretti non contengono gli elementi necessari per l'identificazione del soggetto che li esegue e per l'imputazione della somma versata. In particolare, viene ricondotto nel corpo del decreto legislativo n. 471 del 1997 la sanzione per l'omessa presentazione del modello F24 a saldo zero, attualmente prevista dall'articolo 19, comma 4, del Decreto legislativo n. 241 del 1997 che viene, conseguentemente, abrogato dal successivo articolo 31 del provvedimento in esame. Con una seconda modifica si inserisce il comma 2-bis nel richiamato articolo 15, ai sensi del quale l'omessa presentazione del modello di versamento contenente i dati relativi alla eseguita compensazione è punita con una sanzione di 100 euro, ridotta a 50 se il ritardo non è superiore a cinque giorni lavorativi.
  L'articolo 16 dello schema introduce modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, recante la disciplina generale delle sanzioni amministrative per le violazioni di norme tributarie.
  La lettera a) del comma 1 modifica l'articolo 2, comma 4, del decreto legislativo n. 472 del 1997 il quale prevede un meccanismo di adeguamento triennale delle misure delle sanzioni amministrative. In particolare, viene eliminato il riferimento al Ministro del Tesoro ed aggiornato il riferimento al Ministro dell'economia e delle finanze.
  La lettera b) abroga l'articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo alla disciplina della responsabilità dell'autore materiale della violazione. Il contenuto di detto comma viene trasfuso nel successivo articolo 11, che regolamenta la responsabilità per le violazioni commesse nell'interesse di società, associazioni o enti aventi o meno personalità giuridica.
  La lettera c) modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo ai criteri di determinazione della sanzione.
  In tale contesto segnala che, in primo luogo, al comma 3 del predetto articolo 7, è eliminata la discrezionalità nell'applicazione della recidiva. È previsto, infatti, che la sanzione debba essere aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole. Tale automatismo non opera, tuttavia, quando l'applicazione della recidiva determinerebbe la manifesta sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione.
  Inoltre, tra le violazioni che risultano non rilevanti ai fini della recidiva sono aggiunte, oltre a quelle già contemplate, anche quelle definite a seguito di mediazione e conciliazione tributaria.
  Al comma 4 del medesimo articolo 7 viene eliminata la natura eccezionale della circostanza attenuante in base alla quale la sanzione può essere ridotta fino alla metà del minimo se ricorrono circostanze che rendano manifesta la sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione. Con la modifica in esame, pertanto, l'attenuante assume carattere generale e non più eccezionale.
  La lettera d) modifica l'articolo 11 del decreto legislativo n. 472 del 1997, relativo alla disciplina dei responsabili della sanzione amministrativa.
  Come segnalato in precedenza, per esigenze di coordinamento la norma contenuta nell'articolo 5, comma 2, è stata inserita alla fine del comma 1.
  La lettera e) modifica l'articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997 concernente il concorso di violazioni e la continuazione.
  In particolare, modificando il comma 8, viene estesa la previsione secondo cui le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta anche nell'ipotesi di mediazione e conciliazione giudiziale.
  Al riguardo la relazione illustrativa sottolinea come, prevedendo che le disposizioni sulla determinazione di una sanzione unica in caso di progressione si applicano separatamente per ciascun tributo e per ciascun periodo d'imposta anche nell'ipotesi di mediazione (per le controversie di valore non superiore a 20.000 euro) e Pag. 24conciliazione giudiziale, si superino i possibili effetti distorsivi che potrebbero indurre il contribuente a concludere con esito negativo il procedimento di accertamento con adesione, allo scopo di definire successivamente il medesimo atto in conciliazione.
  La lettera f) interviene sull'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997, recante l'istituto del ravvedimento operoso.
  Con una prima modifica al comma 1, lettera a-bis), dell'articolo 13, viene specificato che la riduzione sanzionatoria ivi disciplinata trova applicazione se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro novanta giorni dalla data dell'omissione o dell'errore (in luogo del termine per la presentazione della dichiarazione, previsto dalla norma vigente), ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in sede di dichiarativa avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso.
  Viene modificato, altresì, il comma 1-bis dell'articolo 13, prevedendo espressamente che anche la lettera b-quater) (riduzione ad un quinto del minimo della sanzione) si applica ai soli tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate.
  La lettera g) modifica l'articolo 14 del decreto legislativo n. 472 del 1997 che disciplina la materia della responsabilità dipendente da cessione di azienda o di un ramo di azienda, prevedendo la responsabilità solidale del cessionario per il pagamento dell'imposta e delle sanzioni riferibili alle violazioni commesse nell'anno in cui è avvenuta la cessione e nei due precedenti, nonché per quelle già irrogate e contestate nel medesimo periodo anche se riferite a violazioni commesse in epoca anteriore.
  In particolare viene introdotto nell'articolo 14 un nuovo comma 5-bis, il quale prevede una causa di disapplicazione della norma quando la cessione avviene nell'ambito di una procedura concorsuale, di un accordo di ristrutturazione dei debiti, di un piano attestato o di un procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento o di liquidazione del patrimonio.
  Il nuovo comma 5-ter estende l'applicazione dell'intera disciplina, in quanto compatibile, anche con riferimento alla fattispecie di conferimento di azienda.
  La lettera h) modifica l'articolo 23 del decreto legislativo n. 472 del 1997, che disciplina l'istituto della sospensione dei rimborsi e la compensazione.
  Viene introdotta un'ulteriore ipotesi di sospensione del pagamento: la notifica di un provvedimento con il quale vengono accertati maggiori tributi, ancorché non definitivo. La sospensione, inoltre, opera nei limiti di tutti gli importi dovuti in base all'atto o alla decisione della commissione tributaria, ovvero dalla decisione di altro organo.
  Illustra quindi il Capo III del Titolo II dello schema, il quale reca modifiche a specifiche disposizioni sanzionatorie, non contenute nei decreti legislativi nn. 471 e 472 del 1997.
  L'articolo 17, comma 1, modificando l'articolo 17, del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), prevede espressamente che la comunicazione relativa alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe anche tacite del contratto di locazione deve essere presentata all'ufficio presso cui è stato registrato il contratto entro trenta giorni. Inoltre viene previsto che chi non esegue, in tutto o in parte, il versamento relativo alle cessioni, risoluzioni e proroghe anche tacite dei contratti di cui al comma 1, è sanzionato ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997 (Ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione, modificato dall'articolo 15 del provvedimento in esame).
  Contestualmente viene soppresso il comma 2, dell'articolo 17, del predetto decreto del Presidente della Repubblica n. 131, il quale prevede che l'attestato di versamento relativo alle cessioni, alle risoluzioni e alle proroghe deve essere presentato Pag. 25all'ufficio del registro presso cui è stato registrato il contratto entro venti giorni dal pagamento.
  Il comma 2 dell'articolo 17 modifica l'articolo 3, comma 3, del decreto legislativo n. 23 del 2011, prevedendo che in caso di mancata presentazione della comunicazione relativa alla risoluzione del contratto di locazione per il quale è stata esercitata l'opzione per il regime della cedolare secca, entro 30 giorni dal verificarsi dell'evento, si applica la sanzione in misura fissa pari ad euro 67, ridotta a euro 35 se presentata con ritardo non superiore a 30 giorni.
  Segnala quindi l'articolo 18, che introduce, nell'ambito dell'articolo 69, comma 1, del citato Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro (decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986), una riduzione della sanzione prevista per omessa registrazione degli atti e dei fatti rilevanti ai fini dell'applicazione dell'imposta qualora la richiesta di registrazione sia effettuata con ritardo non superiore a 30 giorni: fermo restando un importo minimo pari a 200 euro, è previsto in tali casi che la sanzione per omessa registrazione sia compresa tra il 60 e il 120 per cento dell'ammontare delle imposte dovute. Sono inoltre ridotte le misure minima e massima della sanzione prevista dall'articolo 72 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 per l'occultazione di corrispettivo convenuto. Le vigenti sanzioni (dal 200 al 400 per cento della differenza tra l'imposta dovuta e quella già applicata in base al corrispettivo dichiarato) sono sostituite da quelle (analoghe) dal 120 al 240 per cento.
  L'articolo 19 modifica l'articolo 25, comma 5, della legge n. 133 del 1999 recante disposizioni tributarie in materia di associazioni sportive dilettantistiche. In particolare, la norma sopprime la sanzione impropria della decadenza dalle relative agevolazioni in caso di inosservanza della disciplina sulla tracciabilità dei pagamenti e dei versamenti dettata per lo svolgimento di efficaci controlli da parte dell'amministrazione finanziaria.
  Al riguardo ricorda che il richiamato articolo 25, comma 5, della legge n. 133 impone a società, enti ed associazioni sportive dilettantistiche, il ricorso a mezzi di pagamento che consentano la tracciabilità delle movimentazioni di denaro al fine di garantire lo svolgimento di efficaci controlli da parte dell'amministrazione finanziaria. La violazione della norma comporta l'applicazione delle sanzioni previste dall'articolo 11 del Decreto legislativo n. 471 del 1997 e la decadenza dalla possibilità di continuare ad applicare le disposizioni agevolative di cui alla legge n. 398 del 1991 (tale ultima sanzione impropria è eliminata dalla norma in esame).
  La legge di stabilità 2015, all'articolo 1, comma 713, ha elevato da 516,46 a 1.000 euro il limite dei pagamenti effettuati a favore di società, enti ed associazioni sportive dilettantistiche, nonché i versamenti da questi operati, che devono essere effettuati con mezzi tracciabili.
  L'articolo 20 modifica l'articolo 1, comma 421, della legge n. 311 del 2004, concernente la disciplina dell'atto di recupero motivato per la riscossione di crediti indebitamente utilizzati.
  La novella prevede che tale strumento può essere utilizzato anche per la riscossione delle relative sanzioni ed interessi.
  L'articolo 21 modifica l'articolo 4, comma 6-quinquies, del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, recante la disciplina sanzionatoria della certificazione unica.
  Ricorda che il richiamato comma 6-quinquies prevede che i sostituti di imposta trasmettono in via telematica all'Agenzia, entro il 7 marzo di ogni anno, i dati relativi alla certificazione unica (articolo 4, comma 6-ter, del decreto del Presidente della Repubblica 322 del 1998) che attesta l'ammontare complessivo delle somme erogate, delle ritenute operate, delle detrazioni d'imposta effettuate e dei contributi previdenziali e assistenziali trattenuti, nonché gli altri dati previsti.
  Tale comunicazione in via telematica risulta necessaria per l'inserimento dei Pag. 26dati nella dichiarazione precompilata che dovrà essere resa disponibile entro il 15 aprile di ogni anno.
  La norma prevede altresì una sanzione di 100 euro per ogni certificazione omessa, tardiva o errata. In tal caso non si applica la norma in tema di concorso di violazioni e continuazione (articolo 12 del decreto legislativo n. 472 del 1997), la quale dispone un'aggravante di pena per chi viola diverse disposizioni anche relative a tributi diversi ovvero commette, anche con più azioni od omissioni, diverse violazioni formali della medesima disposizione.
  Nel caso di errore nella trasmissione della certificazione, la sanzione suddetta non si applica se la trasmissione della corretta certificazione è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza.
  La modifica recata dall'articolo 21 inserisce un tetto massimo, pari ad euro 50.000, per ciascun sostituto di imposta, quale limite per l'irrogazione della sanzione di 100 euro, prevista per ogni certificazione omessa, tardiva o errata (sanzione, peraltro, non cumulabile per espressa previsione normativa).
  È previsto, inoltre, che se la certificazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dal termine previsto nel primo periodo, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo di 20.000 euro.
  Passa quindi a illustrare l'articolo 22, che modifica la disciplina in tema di obbligo da parte degli enti e delle casse aventi esclusivamente fine assistenziale di comunicazione in via telematica all'Anagrafe tributaria degli elenchi dei soggetti ai quali sono state rimborsate spese sanitarie per effetto dei contributi versati di cui all'articolo 51, comma 2, lettera a), del TUIR. Rileva come si tratti dei contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale per un importo non superiore complessivamente ad euro 3.615,20.
  In particolare, per tali soggetti, l'articolo 78, comma 26, della legge n. 413 del 1991 prevede che, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati, si applica la sanzione di 100 euro per ogni comunicazione, senza possibilità di cumulo.
  Per effetto delle modifiche recate dall'articolo 22 si inserisce un tetto massimo di euro 50.000 per soggetto terzo e viene previsto che se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza, la sanzione è ridotta ad un terzo, con un massimo di euro 20.000.
  Passa a illustrare l'articolo 23 il quale, modificando l'articolo 3 del decreto legislativo n. 175 del 2014, introduce una specifica disciplina sanzionatoria per i soggetti tenuti a inviare al Sistema tessera sanitaria i dati relativi alle prestazioni erogate nel 2015 ai fini della loro messa a disposizione dell'Agenzia delle entrate.
  Ricorda che l'articolo 3 del decreto legislativo n. 175 del 2014 (Semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata, in attuazione della delega fiscale) prevede la trasmissione telematica all'Agenzia delle entrate, da parte delle aziende sanitarie ed ospedaliere e di tutti i soggetti erogatori di prestazioni mediche e sanitarie, delle informazioni necessarie al fine di predisporre, a partire dal 2016 per l'anno d'imposta 2015, le dichiarazioni precompilate con tutti i dati relativi alle spese mediche, quelle di assistenza specifica e alle spese sanitarie che danno diritto a deduzioni dal reddito o detrazioni dall'imposta (commi 3, 4 e 5).
  I soggetti coinvolti dalla norma in esame sono, in particolare, aziende sanitarie locali, aziende ospedaliere, istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, policlinici universitari, farmacie, pubbliche e private, presidi di specialistica ambulatoriale, strutture per l'erogazione delle prestazioni di assistenza protesica e di assistenza integrativa, gli altri presidi e strutture accreditati per l'erogazione dei servizi sanitari e gli iscritti all'Albo dei medici chirurghi e degli odontoiatri.
  Per tali soggetti è previsto che, in caso di omessa, tardiva o errata trasmissione dei dati di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 3, del decreto legislativo n. 175 del 2014, viene applicata la sanzione di euro 100 per Pag. 27ogni comunicazione, in deroga a quanto previsto dall'articolo 12, del decreto legislativo n. 472 del 1997, con un massimo di euro 50.000. Nei casi di errata comunicazione dei dati la sanzione non si applica se la trasmissione dei dati corretti è effettuata entro i cinque giorni successivi alla scadenza, ovvero, in caso di segnalazione da parte dell'Agenzia delle Entrate, entro i cinque successivi alla segnalazione stessa. Se la comunicazione è correttamente trasmessa entro sessanta giorni dalla scadenza prevista, la sanzione è ridotta ad un terzo con un massimo di euro 20.000.
  L'articolo 24 modifica l'articolo 39 del decreto legislativo n. 241 del 1997, recante la disciplina del visto ovvero dell'asseverazione infedele, al fine di coordinare tale disposizione con le nuove misure di riduzione sanzionatoria introdotte nell'istituto del ravvedimento operoso dalla legge di stabilità 2015 (all'articolo 1, comma 637).
  In particolare, il citato articolo 39 dispone che se entro il 10 novembre dell'anno in cui la violazione è stata commessa il CAF o il professionista trasmette una dichiarazione rettificativa del contribuente ovvero, se il contribuente non intende presentare la nuova dichiarazione, trasmette una comunicazione dei dati relativi alla rettifica il cui contenuto è definito con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, la somma dovuta è pari all'importo della sola sanzione.
  A tale fine l'articolo 39 prevede espressamente la possibilità di applicare il ravvedimento operoso, nella «misura prevista dall'articolo 13, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472».
  Per effetto delle successive modifiche apportate all'istituto del ravvedimento e, in particolare, con l'introduzione della lettera a-bis), si è reso necessario un coordinamento della disposizione, al fine di consentire, anche per tale fattispecie, la nuova e più vantaggiosa riduzione sanzionatoria.
  Ricorda, infatti, che la sanzione è ridotta ad un nono del minimo se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il novantesimo giorno successivo al termine per la presentazione della dichiarazione, ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro novanta giorni dall'omissione o dall'errore (lettera a-bis) del comma 1 dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997).
  Illustra quindi l'articolo 25, che disciplina le modalità di riconoscimento, nell'ambito dei procedimenti di accertamento (articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973) e di adesione (articolo 7 del Decreto legislativo n. 218 del 1997), di eventuali perdite da computare in diminuzione dal maggior reddito imponibile accertato.
  Le modalità di scomputo delle perdite si fondano, con precipue peculiarità, sui principi sottesi alla disciplina del consolidato nazionale di cui all'articolo 40-bis, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 prevista per i soggetti aderenti alla tassazione di gruppo e che resta vigente nei confronti di questi ultimi.
  In particolare, il comma 1 dell'articolo 25 introduce un nuovo comma 2-bis nell'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 con il quale si prevede che l'ufficio computi in diminuzione, dal maggiore imponibile accertato, le perdite «di periodo», ovvero le perdite del periodo d'imposta oggetto di accertamento fino a concorrenza del loro importo.
  Per quanto riguarda le «perdite pregresse», ovvero le perdite maturate in periodi d'imposta antecedenti a quello oggetto di accertamento, la disposizione prevede che le stesse siano computate in diminuzione su richiesta del contribuente. Lo scomputo riguarda le perdite che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d'imposta oggetto di accertamento, non maturate successivamente allo stesso periodo d'imposta e che, al momento di presentazione dell'istanza per lo scomputo in sede di accertamento, non siano state già utilizzate. A tal fine il contribuente deve presentare un'apposita istanza all'ufficio competente all'emissione dell'avviso Pag. 28di accertamento entro il termine di proposizione del ricorso. La presentazione dell'istanza comporta la sospensione dell'atto per un periodo di sessanta giorni. L'ufficio, in tale arco temporale, procede al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni correlate, e comunica l'esito al contribuente.
  Il computo in diminuzione delle perdite implica, pertanto, la correlata rideterminazione delle sanzioni per infedele dichiarazione, le quali sono commisurate (ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997) alla maggiore imposta che eventualmente residua dopo la rideterminazione dei redditi nell'anno oggetto di accertamento.
  Evidenzia, inoltre, che considerando anche la nuova definizione di «imposta evasa» nell'ambito del decreto legislativo n. 74 del 2000, operata dall'articolo 1 dello schema di decreto (per cui non viene considerata imposta evasa quella teorica collegata sia ad una rettifica in diminuzione di perdite dell'esercizio sia all'utilizzo di perdite pregresse spettanti e utilizzabili), la disciplina in esame comporta un minore ambito di applicazione dei reati tributari per i quali sono previste delle soglie di punibilità collegate all'imposta evasa (soglie che, peraltro, in taluni casi sono state elevate dal provvedimento in esame).
  Il comma 2 dell'articolo 25 introduce un nuovo comma 1-ter nell'articolo 7 del decreto legislativo n. 218 del 1997, con il quale è introdotta la stessa disciplina nell'ambito dei procedimenti di adesione: fermo restando il computo in diminuzione delle perdite del periodo d'imposta oggetto di adesione, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione dai maggiori imponibili le perdite pregresse, non utilizzate, fino a concorrenza del loro importo.
  Al fine di garantire che le perdite pregresse richieste e scomputate non restino nella disponibilità del contribuente, il comma 3 dell'articolo 25 dispone che, a seguito del computo in diminuzione di dette perdite in accertamento o in adesione, l'ufficio provveda a ridurre l'importo delle perdite riportabili nell'ultima dichiarazione dei redditi presentata. Analogamente, in conseguenza dello scomputo delle perdite relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento o di adesione, l'amministrazione finanziaria provvede a ridurre l'importo delle perdite riportabili nelle dichiarazioni dei redditi successive a quella oggetto di rettifica e, qualora emerga un maggiore imponibile, procede alla rettifica ai sensi dei commi 1 e 2 dell'articolo 42 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
  In base al comma 4 dell'articolo 25 i contenuti e le modalità di presentazione dell'istanza di computo in diminuzione delle perdite pregresse, nonché le conseguenti attività dell'ufficio competente, saranno stabilite con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore delle disposizioni in commento.
  Il comma 5 dell'articolo 25 stabilisce che le disposizioni dell'articolo entrano in vigore il 1o gennaio 2016, con riferimento ai periodi di imposta per i quali, alla predetta data, sono ancora pendenti i termini per l'accertamento (articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973).
  L'articolo 26, introducendo un nuovo comma 1-bis nell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986 (Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di registro), amplia il termine per la richiesta di registrazione dei decreti di trasferimento e degli atti ricevuti dai cancellieri, portandolo a 60 giorni da quello in cui il provvedimento è stato emanato.
  Al riguardo rammenta che il vigente comma 1 dell'articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica n. 131 prevede che la registrazione degli atti che vi sono soggetti in termine fisso deve essere richiesta, salvo quanto disposto dall'articolo 17, comma 3-bis (per i contratti di affitto di fondi rustici non formati per atto pubblico o scrittura privata autenticata), Pag. 29entro venti giorni dalla data dell'atto se formato in Italia, entro sessanta giorni se formato all'estero.
  Segnala l'articolo 27, il quale apporta modifiche al testo unico delle disposizioni concernenti le imposte ipotecaria e catastale di cui al decreto legislativo n. 347 del 1990.
  Il comma 1 modifica l'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 347, ampliando il termine concesso ai cancellieri per richiedere la trascrizione, portandolo a 120 giorni (rispetto agli attuali 30 giorni) dalla data dell'atto o del provvedimento ovvero della sua pubblicazione, se questa è prescritta.
  Il comma 2 modifica i commi 1 e 2 dell'articolo 9. Al comma 1 dell'articolo 9 è prevista una riduzione del cinquanta per cento della misura minima e massima della sanzione stabilita per l'omessa richiesta di trascrizione o delle annotazioni obbligatorie, qualora la richiesta di trascrizione o le annotazioni obbligatorie siano effettuate entro trenta giorni dalla data dell'atto o del provvedimento ovvero dalla sua pubblicazione.
  Al comma 2 del richiamato articolo 9, oltre alla conversione in euro delle previsioni edittali già contemplate, è prevista una sanzione in misura fissa di 50 euro, qualora le richieste siano effettuate con ritardo non superiore a trenta giorni.
  L'articolo 28 apporta modifiche all'articolo 50 del testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni di cui al decreto legislativo n. 346 del 1990, operando, preliminarmente, la conversione in euro delle previsioni edittali già contemplate per l'omissione della dichiarazione di successione.
  In aggiunta è prevista una riduzione al cinquanta per cento delle misura minima e massima della sanzione per omessa presentazione della dichiarazione di successione, qualora la stessa sia presentata con ritardo non superiore a trenta giorni. Per tale ultima ipotesi, sono stabilite misure minime e massime pari ad euro 150 e 500, qualora non sia dovuta l'imposta di successione.
  Passa quindi a illustrare l'articolo 29, con il quale sono apportate modifiche agli articoli 24 e 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 1972, recante la disciplina dell'imposta di bollo.
  Ai sensi della lettera a) all'articolo 24, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 sono convertite in euro le previsioni edittali già previste per l'inosservanza degli obblighi stabiliti all'articolo 19 per arbitri, funzionari e pubblici ufficiali.
  Ai sensi della lettera b) all'articolo 25, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 642 è introdotta una riduzione al cinquanta per cento delle misure minime e massime della sanzione per omessa dichiarazione di conguaglio di cui all'articolo 15 (dichiarazione contenente l'indicazione del numero degli atti e documenti emessi nell'anno precedente distinti per voce di tariffa e degli altri elementi utili per la liquidazione dell'imposta, nonché degli assegni bancari estinti nel suddetto periodo), qualora la stessa dichiarazione sia presentata con un ritardo non superiore a trenta giorni.
  L'articolo 30 apporta modifiche agli articoli 32 e 33 del decreto del Presidente della Repubblica n. 640 del 1972, in materia di sanzioni sull'imposta sugli intrattenimenti, prevedendo, tra l'altro, la riduzione delle misure previste.
  Al comma 1 del citato articolo 32 viene introdotta un'attenuante, laddove la violazione non incide sulla corretta liquidazione del tributo.
  Al comma 2 del richiamato articolo 32 è introdotta una riduzione al cinquanta per cento della misura minima e massima della sanzione qualora le dichiarazioni siano presentate con un ritardo non superiore a trenta giorni.
  Al comma 3 del medesimo articolo 32 è prevista una sanzione minima di 500 euro per il mancato rilascio dei titoli di accesso o dei documenti di certificazione dei corrispettivi, ovvero per l'emissione degli stessi per importi inferiori a quelli reali.
  Il comma 2 dell'articolo 30 abroga il comma 4 dell'articolo 33, al fine di prevedere la non sanzionabilità dei destinatari Pag. 30del titolo di accesso o del documento di certificazione dei corrispettivi, così come accade per gli scontrini fiscali ordinari a seguito dell'abrogazione del comma 6 dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 471 del 1997 da parte dell'articolo 33, comma 10, del decreto-legge n. 269 del 2003, a decorrere dal 2 ottobre 2003.
  Illustra quindi il Capo IV del Titolo II dello schema, che reca norme in materia di decorrenza degli effetti, abrogazioni e disposizioni finanziarie.
  L'articolo 31, comma 1, stabilisce che le disposizioni previste dal provvedimento in esame si applicano a partire dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 dicembre 2017.
  Il comma 1-bis, conseguentemente, prevede la non applicazione delle norme abrogate con l'introduzione della normativa prevista dal decreto per gli anni 2016 e 2017.
  Al riguardo evidenzia l'opportunità che il Governo chiarisca il motivo della limitazione temporale degli effetti della complessa normativa introdotta con il provvedimento in esame.
  Rileva peraltro come, trattandosi di normativa penale, andrebbero approfonditi gli aspetti che riguardano la successione di leggi penali. A tal riguardo il comma 5 dell'articolo 2 del codice penale esclude l'applicazione della disciplina prevista dallo stesso articolo in tema di successione di leggi penali nel caso di leggi «temporanee». Potrebbe, pertanto, mettersi in dubbio l'applicabilità del principio del «favor rei» che consentirebbe di far retroagire le disposizioni più favorevoli per i contribuenti anche sulle violazioni commesse precedentemente, ad esclusione delle situazioni definitive. Rammenta che la Corte costituzionale (ad esempio con la sentenza n. 236 del 2011) ha rilevato che il principio di retroattività della norma più favorevole non trova copertura nell'articolo 25, secondo comma, della Costituzione, ma può trovare fondamento costituzionale nel principio di uguaglianza.
  Evidenzia, peraltro, che la norma di delega non far alcun riferimento ad una applicazione temporanea della normativa delegata.
  Ai sensi dell'articolo 32, alla copertura degli oneri derivanti dallo schema di decreto, stimati in 40 milioni di euro annui per il 2016 e per il 2017, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del Fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze ai sensi dell'articolo 16 della legge delega.
  In merito ricorda che l'articolo 1, comma 11, della legge n. 89 del 2014 ha riformulato il comma 1 dell'articolo 16 della legge n. 23 del 2014, introducendovi un comma 1-bis, per quanto concerne gli effetti finanziari. È previsto in particolare che, qualora uno o più decreti legislativi in attuazione della delega fiscale determinino nuovi o maggiori oneri, che non trovino compensazione nel proprio ambito, i decreti legislativi dai quali derivano nuovi o maggiori oneri sono emanati solo successivamente all'entrata in vigore dei provvedimenti legislativi che stanzino le occorrenti risorse finanziarie. A tal fine le maggiori entrate confluiscono in un apposito fondo istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze.

  Michele PELILLO (PD), relatore per la VI Commissione, nel richiamarsi all'illustrazione del provvedimento ed alle considerazioni svolte dalla relatrice per la II Commissione, desidera altresì sottolineare come l'attuazione, da parte del Governo, della delega per la riforma del sistema fiscale di cui alla legge n. 23 del 2014 si concluda con i due schemi di decreto, rispettivamente relativi alla revisione del sistema sanzionatorio ed alla revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atti n. 183 e n. 184), all'esame delle Commissioni riunite II e VI, nonché con gli altri tre schemi di decreto (Atti n. 181, 182 e 185) all'esame della Commissione Finanze.
  A tale proposito rileva come, per la prima volta nel nuovo secolo, il Governo e il Parlamento siano riusciti a realizzare una riforma del sistema tributario, laddove invece precedenti governi non erano riusciti a completare tale percorso riformatore, Pag. 31a circa venti anni dall'ultima, importante riforma dell'ordinamento in tale materia. In questo contesto confida inoltre che le parti della delega rimaste inattuate possano trovare attuazione al di fuori dello strumento di delegazione.
  Sottolinea quindi come il particolare pregio dello schema di decreto legislativo in esame sia dato dal fatto che, per la prima volta, si interviene congiuntamente sia sul sistema delle sanzioni penali tributarie sia sul sistema delle sanzioni amministrative tributarie, mantenendo dunque una fondamentale relazione tra tali due sistemi sanzionatori.
  Passando quindi a taluni aspetti specifici del provvedimento, sollecita il Governo a rivedere radicalmente l'articolo 31 dello schema, il quale prevede che le disposizioni recate dal provvedimento si applicano dal 1o gennaio 2016 al 31 dicembre 2017, sottolineando come tale temporaneità, oltre a risultare poco comprensibile, si ponga in contrasto con le previsioni di delega, collida con l'applicazione del favor rei, e si ponga altresì in contraddizione con uno degli obiettivi più ambiziosi dell'intervento riformatore, che intende assicurare la maggiore certezza del sistema tributario.

  Andrea COLLETTI (M5S), nel manifestare preliminarmente forti perplessità sull'impianto complessivo dello schema di decreto in discussione, con specifico riferimento alle disposizioni di cui agli articoli 7 ed 8, che incrementano la soglia di punibilità per l'omesso versamento di ritenute certificate e dell'IVA, osserva come le stesse siano del tutto inidonee a perseguire l'obiettivo di combattere il fenomeno dell'evasione fiscale. Manifesta, inoltre, netta contrarietà in ordine all'articolo 3 del provvedimento, che novella l'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, relativo al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici. Al riguardo, rammenta infatti come la norma chiarisca espressamente che non rientrano tra i «mezzi fraudolenti» penalmente perseguibili la mera violazione degli obblighi di fatturazione, nonché la mera indicazione nelle fatture o nelle annotazioni di corrispettivi inferiori a quelli reali, configurando di fatto, una vera e propria sanatoria «mascherata», a tutto vantaggio degli evasori fiscali. Auspica pertanto che lo schema di decreto legislativo sia reso oggetto di rilevanti modifiche.

  Giovanni PAGLIA (SEL), con riferimento alle considerazioni del relatore Pelillo circa il completamento della delega per la riforma fiscale, sottolinea come rimanga del tutto inattuata la maggior parte della delega stessa, rilevando come non si possano valutare positivamente gli schemi di decreto predisposti dal Governo, alcuni dei quali devono essere considerati addirittura come nocivi.
  Ritiene quindi particolarmente grave, anche nei confronti del Parlamento, la scelta, adottata dall'Esecutivo, di non attuare la parte della delega relativa alla riforma del sistema catastale, che rappresentava l'elemento maggiormente qualificante dell'intero intervento, soprattutto ove si consideri che tale decisione corrisponde a valutazioni strettamente politiche.

  Carla RUOCCO (M5S) sottolinea come gli obiettivi sottesi alla legge delega per la riforma del sistema fiscale, alla cui predisposizione il gruppo M5S ha partecipato molto attivamente, fossero molto diversi da quelli realizzati effettivamente dal Governo.
  Ricorda, infatti, come una delle finalità principali dell'intervento legislativo fosse quello di venire incontro, sul piano degli strumenti tributari, alle esigenze delle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni, ad esempio definendo una nozione di autonoma organizzazione, rilevante ai fini IRAP, che escludesse le piccole imprese e i professionisti da un'imposizione rivelatasi ambigua e dannosa, ovvero intervenendo sulla annosa questione dell'IVA per cassa. A tale proposito evidenzia come il Governo non abbia compiuto alcun passo significativo su tali problematiche, scegliendo invece di intervenire sul sistema sanzionatorio, consentendo in sostanza alle grandi imprese di realizzare impunemente operazioni di evasione fiscale.

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  Daniele PESCO (M5S) ritiene paradossalmente positivo che il Governo non sia riuscito ad esercitare molte delle deleghe contenute nella legge n. 23 del 2014, ove si consideri il contenuto, assolutamente non condivisibile, dello schema di decreto, il quale realizza una riforma del sistema sanzionatorio penale e amministrativo in ambito tributario che si concreta in un vero e proprio incentivo ad evadere.
  Considera pertanto fondamentale che il Governo chiarisca il proprio orientamento su tale tematica, evidenziando la ferma opposizione del gruppo M5S rispetto ad una serie di innovazioni introdotte dallo schema di decreto. Richiama, in particolare, le modifiche apportate dall'articolo 3, dello schema all'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, in materia di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, che ammorbidiscono notevolmente la fattispecie penale. Evidenzia, inoltre, come tali innovazioni si connettano necessariamente alla questione della configurazione penale del falso in bilancio, anche in quanto si opera un innalzamento delle soglie di punibilità, depotenziando pertanto notevolmente l'intero impianto sanzionatorio.
  Nel ribadire quindi lo sconcerto del suo gruppo per tali scelte del Governo, invita l'Esecutivo e la sua maggioranza a riflettere attentamente su queste problematiche, rivedendo un orientamento che considera assolutamente deleterio.

  Sofia AMODDIO (PD), nel replicare alle considerazioni del deputato Colletti, sottolinea come lo schema di decreto in esame non persegua lo scopo di favorire gli evasori fiscali, bensì quello di agevolare le imprese in difficoltà.
  A tale riguardo, richiama, in particolare, le disposizioni di cui all'articolo 8, che incrementano, da cinquantamila a centocinquantamila euro le soglie di non punibilità del reato di omesso versamento dell'IVA, prevedendo al contempo, in relazione alle fattispecie di omesso versamento al di sotto della predetta soglia, l'applicazione di mere sanzioni amministrative. In relazione a tale aspetto, evidenzia la necessità di prevedere espressamente la possibilità di rateizzazione del pagamento di quanto dovuto a titolo di imposta.

  Marco CAUSI (PD) ritiene particolarmente opportuno che lo schema di decreto sia esaminato dalle Commissioni Giustizia e Finanze, considerando fondamentale una maggiore collaborazione tra coloro che in Parlamento si interessano particolarmente dei temi di politica della giustizia e coloro che invece si occupano in special modo dei temi di politica tributaria e finanziaria.
  Invita quindi tutti i componenti delle Commissioni riunite ad attenersi il più possibile al contenuto del provvedimento, senza indulgere in considerazioni ideologiche o di bandiera. A tale proposito evidenzia come sia del tutto scorretto valutare lo schema di decreto solo come un intervento di riduzione o di aumento di talune sanzioni, evidenziando invece come il provvedimento operi una completa riconfigurazione di molti aspetti del sistema sanzionatorio in ambito tributario. Non ritiene, infatti, che le norme sanzionatorie possano essere valutate solo in base ad un'impostazione banalmente giustizialista o depenalizzatrice.
  Passando quindi a taluni aspetti specifici evidenziati nel corso del dibattito, sottolinea come le modifiche apportate al reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 74 del 2000, amplino, in realtà, tale fattispecie penale, ponendosi in parallelo con le previsioni in materia di abuso del diritto contenute nello schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto (Atto n. 163), già esaminato dalla Commissione Finanze.
  Passando quindi alle questioni concernenti le soglie di non punibilità, previste dalla riformulazione del citato articolo 3 del decreto legislativo n. 74, sottolinea come tali soglie siano perfettamente analoghe a quelle previste nella versione originaria del medesimo decreto legislativo n. 74, che le stabiliva nella misura di 3 miliardi di lire.
  Ritiene comunque che sia necessario apportare alcune modifiche al testo, in primo Pag. 33luogo per quanto riguarda la previsione di cui al comma 1 dell'articolo 31, ritenendo del tutto privo di senso prevedere un'applicazione solo temporanea delle norme del decreto legislativo, le quali, interessando il sistema sanzionatorio, non possono avere natura sperimentale.
  Nell'auspicare quindi un apporto collaborativo e costruttivo da parte di tutti i gruppi, coglie l'occasione per evidenziare come il Governo abbia attuato circa il 50 per cento delle deleghe previste dalla legge n. 23 del 2014. A questo ultimo proposito, pur rilevando come sarebbe stato preferibile giungere ad un tasso più elevato di attuazione della delega, ritiene che il lavoro già svolto sulle parti della delega non attuate potrà comunque risultare utile per successivi interventi legislativi in tali materie, da realizzare attraverso una riapertura della delega stessa, ovvero inserendo norme di immediata applicazione nell'ambito della prossima legge di stabilità.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario.
Atto n. 184.

(Esame, ai sensi dell'articolo 143, comma 4, del regolamento, e rinvio).

  Le Commissioni iniziano l'esame dello schema di decreto legislativo.

  Francesco BONIFAZI (PD), relatore per la VI Commissione, rileva, anche a nome del relatore per la Commissione Giustizia, Bazoli, come le Commissioni riunite Giustizia e Finanze siano chiamate a esaminare, ai fini dell'espressione del parere al Governo, lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184).
  Ricorda innanzitutto che lo schema di decreto legislativo è stato predisposto ai sensi della delega conferita al Governo dalla legge n. 23 del 2014, la quale, nel perseguire l'obiettivo generale della riduzione della pressione tributaria sui contribuenti, reca, oltre ai principi di delega generali e alle procedure di delega, i principi e criteri direttivi di delega specifici per una vasta serie di materie: la revisione del catasto dei fabbricati (articolo 2); le norme per la stima e il monitoraggio dell'evasione e il riordino dell'erosione fiscale (articoli 3 e 4); la disciplina dell'abuso del diritto e dell'elusione fiscale (articoli 5); la cooperazione rafforzata tra l'amministrazione finanziaria e le imprese, con particolare riguardo al tutoraggio, alla semplificazione fiscale e alla revisione del sistema sanzionatorio (articoli da 6 a 8); il rafforzamento dell'attività conoscitiva e di controllo (articolo 9); la revisione del contenzioso tributario e della riscossione degli enti locali (articolo 10); la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa e la previsione di regimi forfetari per i contribuenti di minori dimensioni, nonché la razionalizzazione della determinazione del reddito d'impresa e delle imposte indirette (articoli da 11 a 13); la disciplina dei giochi pubblici (articolo 14); le nuove forme di fiscalità ambientale (articolo 15).
  Per quanto attiene allo stato di attuazione della predetta delega ricorda che finora sono stati emanati in via definitiva tre decreti legislativi.
  In primo luogo richiama lo schema di decreto legislativo in materia di semplificazioni fiscali (Atto n. 99), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune condizioni e osservazioni, il 7 agosto 2014. Tra le misure previste nello schema di decreto ricorda l'introduzione della dichiarazione dei redditi precompilata, la revisione della disciplina concernente i rimborsi IVA e lo snellimento degli adempimenti connessi ad operazioni intracomunitarie e con i Paesi esteri. Il provvedimento semplifica inoltre alcuni adempimenti in riferimento alla struttura delle addizionali regionali e comunali.
  A seguito dell'accoglimento parziale delle condizioni e osservazioni espresse Pag. 34dalle Commissioni parlamentari, il 30 settembre 2014 il Governo ha ritrasmesso, ai fini dell'espressione del parere parlamentare definitivo, lo schema di decreto (Atto n. 99-bis). Rispetto al testo originario, sono state introdotte norme in materia di società in perdita e di responsabilità solidale negli appalti ed è stata soppressa la norma in materia di società tra professionisti. Il 16 ottobre 2014 la Commissione ha reso parere favorevole in ordine a tale ultima formulazione dello schema di decreto. Nella Gazzetta Ufficiale del 28 novembre 2014 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 175 del 2014, recante semplificazione fiscale e dichiarazione dei redditi precompilata.
  In attuazione delle disposizioni di delega in materia di accise (contenute in particolare nell'articolo 13, comma 2 della legge delega) il Governo ha predisposto lo schema di decreto legislativo volto a ridefinire l'imposizione sui tabacchi, sui prodotti succedanei dei prodotti da fumo e sui fiammiferi (Atto n. 106), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con condizioni e osservazioni, il 22 ottobre 2014. A seguito della trasmissione, da parte del Governo, dello schema 106-bis, trasmesso dopo la seconda deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, la Commissione Finanze della Camera ha espresso su di esso parere favorevole il 25 novembre 2014. Nella Gazzetta Ufficiale del 23 dicembre 2014 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 188 del 2014, in materia di tassazione dei tabacchi lavorati, dei loro succedanei, nonché di fiammiferi.
  Inoltre il Governo ha predisposto lo schema di decreto legislativo riguardante la revisione delle Commissioni censuarie (Atto n. 100), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni e condizioni, il 6 agosto 2014. A seguito della trasmissione, da parte del Governo, dello schema n. 100-bis, trasmesso dopo la seconda deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, la Commissione Finanze della Camera ha espresso su di esso parere favorevole in data 22 ottobre 2014. Nella Gazzetta Ufficiale del 15 gennaio 2015 è stato pubblicato il decreto legislativo n. 198 del 2014, in materia di composizione, attribuzioni e funzionamento delle commissioni censuarie.
  In tale contesto sottolinea inoltre come l'attuazione della delega fiscale rappresenti uno degli interventi di riforma strategiche indicate dal DEF 2015, che le inserisce tra le venti azioni del Cronoprogramma del Programma nazionale di riforma (PNR).
  Successivamente il Governo ha trasmesso alle Camere tre ulteriori schemi di decreto attuativi della delega:
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Atto n. 161), sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 18 giugno 2015, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 9 giugno 2015;
   lo schema di decreto legislativo in materia di trasmissione telematica delle operazioni IVA e di controllo delle cessioni di beni effettuate attraverso distributori automatici (Atto n. 162) sul quale la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, il 18 giugno 2015; sullo stesso schema, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con alcune osservazioni, l'11 giugno 2015;
   lo schema di decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (Atto n. 163), su cui la Commissione Finanze della Camera ha espresso parere favorevole, con alcune condizioni e osservazioni, l'11 giugno 2015, mentre la Commissione 6a Finanze e tesoro del Senato ha espresso parere favorevole, con condizioni e osservazioni, il 10 giugno 2015.

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  Il 27 giugno 2015 il Governo ha presentato in Parlamento ulteriori cinque schemi di decreto attuativi della delega:
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina dell'organizzazione delle agenzie fiscali (Atto n. 181);
   lo schema di decreto legislativo recante norme in materia di stima e monitoraggio dell'evasione fiscale e in materia di monitoraggio e riordino delle disposizioni in materia di erosione fiscale (Atto n. 182);
   lo schema di decreto legislativo recante revisione del sistema sanzionatorio (Atto n. 183)
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario (Atto n. 184);
   lo schema di decreto legislativo recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione (Atto n. 185).

  In tale contesto rammenta che il 27 giugno 2015 è scaduto il termine per l'attuazione della delega, il quale tuttavia, in conseguenza delle modifiche apportate all'articolo 1 della citata legge n. 23 del 2014 dall'articolo 1, comma 2, lettera a), della legge n. 34 del 2015, di conversione del decreto-legge n. 4 del 2015, è prorogato fino al 27 settembre 2015 per l'emanazione degli schemi di decreto trasmessi da Governo alle Camere entro la predetta data del 27 giugno. Restano quindi inattuate o parzialmente attuate le altre parti della delega stessa non comprese negli schemi di decreto legislativi finora richiamati, in particolare per quanto riguarda:
   la revisione del catasto dei fabbricati (di cui all'articolo 2 della legge n. 23), fatta salva la riforma delle Commissioni censuarie;
   la revisione della riscossione degli enti locali (di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c), della legge n. 23);
   la revisione dell'imposizione sui redditi di impresa (articolo 11, comma 1, lettera a), della legge n. 23);
   la definizione di autonoma organizzazione ai fini Irap (articolo 11, comma 2, della legge n. 23);
   la razionalizzazione dell'imposta sul valore aggiunto e di altre imposte indirette, fatta salva la revisione delle accise sui tabacchi lavorati (articolo 13 della legge n. 23);
   la revisione della disciplina dei giochi pubblici e rilancio del settore ippico (articolo 14 della legge n. 23);
   la revisione della fiscalità energetica e ambientale (articolo 15 della legge n. 23).

  Per quanto riguarda la tempistica circa l'espressione del parere parlamentare sullo schema di decreto, segnala come il relativo termine sia fissato al 27 luglio 2015, prorogabile di venti giorni. Qualora il Governo non intenda adeguarsi ai contenuti dei pareri parlamentari, è tenuto a ritrasmettere nuovamente lo schema di decreto, sul quale le Commissioni competenti devono esprimere il parere entro dieci giorni.
  Passando al contenuto dello schema di decreto, che si compone di 13 articoli, suddivisi in tre titoli, per quanto riguarda la revisione della disciplina degli interpelli di cui al Titolo I, essa è stato predisposta ai sensi dell'articolo 6, comma 6, della legge n. 23 del 2014, che delega il Governo a introdurre disposizioni per la revisione generale della disciplina degli interpelli, secondo i seguenti criteri direttivi:
   garantire una maggiore omogeneità, anche ai fini della tutela giurisdizionale;
   assicurare una maggiore tempestività nella redazione dei pareri;
   procedere all'eliminazione delle forme di interpello obbligatorio nei casi in cui non producano benefìci ma solo aggravi per i contribuenti e per l'amministrazione.

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  Al riguardo segnala in primo luogo che nuove tipologie di interpello sono state recentemente introdotte da alcuni schemi legislativi di attuazione della delega fiscale:
   l'articolo 2 dello schema di decreto legislativo recante misure per la crescita e l'internazionalizzazione delle imprese (Atto n. 161), che introduce nell'ordinamento una nuova tipologia di interpello preventivo indirizzato alle società che effettuano nuovi investimenti, con un termine per la risposta di 120 giorni;
   lo schema di decreto legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente (Atto n. 163), il quale al titolo III contiene la disciplina del regime dell'adempimento collaborativo, istituito con la finalità di promuovere l'adozione di forme di comunicazione e di cooperazione rafforzate basate sul reciproco affidamento tra l'amministrazione finanziaria e le società di maggiori dimensioni, nonché di favorire la prevenzione e la risoluzione delle controversie in materia fiscale. In tale ambito, l'articolo 6 prevede la possibilità di accedere ad una procedura abbreviata di interpello preventivo, con un termine per la risposta di 45 giorni.

  In tale contesto l'articolo 1 dello schema di decreto introduce una disciplina complessiva dell'interpello – a tal fine modificando l'articolo 11 dello Statuto del contribuente – che contempla cinque diverse tipologie di interpello:
   ordinario (previsto dal comma 1, lettera a), riguardante l'applicazione delle disposizioni tributarie, quando vi sono condizioni di obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione delle disposizioni;
   qualificatorio (previsto dal comma 1, lettera b), in relazione alla corretta qualificazione di fattispecie, ove ricorrano condizioni di obiettiva incertezza e non siano comunque attivabili le procedure relative all'accordo preventivo per le imprese con attività internazionale e all'interpello sui nuovi investimenti, introdotte – rispettivamente – dagli articoli 1 e 2 del citato decreto legislativo sull'internazionalizzazione in corso di approvazione: al riguardo, la Relazione illustrativa dello schema chiarisce che, a differenza dell'interpello interpretativo, oggetto dell'istanza qualificatoria non è la norma e la sua applicazione, ma la qualificazione della fattispecie;
   probatorio (previsto dal comma 1, lettera c), concernente la sussistenza delle condizioni e la valutazione della idoneità degli elementi probatori richiesti dalla legge per l'adozione di specifici regimi fiscali nei casi espressamente previsti;
   antiabuso (previsto dal comma 1, lettera d), sull'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie;
   disapplicativo (previsto dal comma 2), per la disapplicazione di norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d'imposta, o altre posizioni soggettive del soggetto passivo altrimenti ammesse dall'ordinamento, fornendo la dimostrazione che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non possono verificarsi. Tale ultima tipologia è di carattere obbligatorio, ferma restando la possibilità per il contribuente, qualora non sia stata resa risposta favorevole, di fornire la richiesta dimostrazione anche nelle successive fasi dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.

  Ai sensi del comma 3 l'amministrazione risponde alle istanze sull'interpello ordinario e qualificatorio (di cui alle lettere a) e b) del comma 1) entro novanta giorni e a quelle sul probatorio, antiabuso e disapplicativo (di cui alle lettere c) e d) del comma 1 e al comma 2) nel termine di centoventi giorni.
  La risposta, scritta e motivata, vincola ogni organo della amministrazione con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente. Quando la risposta non è comunicata al contribuente entro il termine previsto, il silenzio equivale a condivisione, da parte dell'amministrazione, della soluzione prospettata dal contribuente. Pag. 37
  Gli atti – anche a contenuto impositivo o sanzionatorio – difformi dalla risposta, espressa o tacita, sono nulli. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri.
  Il comma 4 è volto a chiarire la definizione delle condizioni di obiettiva incertezza, peraltro già presente nell'ordinamento; in particolare, tale condizione non ricorre quando l'amministrazione ha fornito la soluzione per fattispecie corrispondenti a quella rappresentata dal contribuente mediante atti pubblicati – principalmente circolari o risoluzioni – come previsto dall'articolo 5, comma 2, dello Statuto del contribuente.
  In base al comma 5 la presentazione delle istanze non ha effetto sulle scadenze previste dalle norme tributarie, né sulla decorrenza dei termini di decadenza e non comporta interruzione o sospensione dei termini di prescrizione.
  Ai sensi del comma 6, l'amministrazione provvede alla pubblicazione delle risposte rese mediante la forma di circolare o di risoluzione nei seguenti casi:
   un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi ad oggetto la stessa questione o questioni analoghe fra loro;
   il parere sia reso in relazione a norme di recente approvazione o per le quali non siano stati resi chiarimenti ufficiali;
   siano segnalati comportamenti non uniformi da parte degli uffici;
   ritenga di interesse generale il chiarimento fornito.

  Resta ferma, in ogni caso, la comunicazione della risposta ai singoli istanti.
  Illustra quindi l'articolo 2, il quale stabilisce, al comma 1, che possono presentare istanza di interpello i contribuenti, anche non residenti, i sostituti e i responsabili d'imposta. Il comma 2 precisa che l'istanza deve essere presentata prima della scadenza dei termini per la presentazione della dichiarazione o per l'assolvimento di altri obblighi tributari.
  Ai sensi dell'articolo 3, comma 1, l'istanza deve espressamente fare riferimento alle disposizioni che disciplinano il diritto di interpello e deve contenere i seguenti elementi:
   a) i dati identificativi dell'istante ed eventualmente del suo legale rappresentante, compreso il codice fiscale;
   b) l'indicazione del tipo di istanza fra quelle illustrate;
   c) la circostanziata e specifica descrizione della fattispecie;
   d) le specifiche disposizioni di cui si richiede l'interpretazione, l'applicazione o la disapplicazione;
   e) l'esposizione, in modo chiaro ed univoco, della soluzione proposta;
   f) l'indicazione del domicilio e dei recapiti anche telematici dell'istante;
   g) la sottoscrizione dell'istante o del suo legale rappresentante ovvero del procuratore generale o speciale.

  In base al comma 2, all'istanza è allegata copia della documentazione non in possesso dell'amministrazione procedente o di altre amministrazioni pubbliche indicate dall'istante, rilevante ai fini della risposta, ivi inclusi eventuali pareri concernenti accertamenti di natura tecnica, non di competenza dell'amministrazione procedente.
  Ai sensi del comma 3, l'amministrazione, nei casi in cui le istanze siano carenti di alcuni requisiti, invita il contribuente alla loro regolarizzazione entro il termine di 30 giorni. Rileva come si tratti in particolare, dei seguenti requisiti:
   l'indicazione del tipo di istanza, escluse quelle riguardanti gli interpelli ordinario e qualificatorio;
   le disposizioni oggetto dell'istanza;
   l'esposizione della soluzione proposta;Pag. 38
   l'indicazione del domicilio e dei recapiti;
   la sottoscrizione dell'istanza.

  In tal caso, i termini per la risposta iniziano a decorrere dal giorno in cui la regolarizzazione è stata effettuata.
  Segnala l'articolo 4, comma 1, il quale consente all'amministrazione di chiedere – una sola volta – l'integrazione della documentazione presentata, qualora non sia possibile fornire risposta sulla base dei documenti allegati.
  In tal caso il parere è reso entro sessanta giorni dal ricevimento della documentazione integrativa per gli interpelli ordinario e qualificatorio e entro novanta giorni per gli interpelli probatorio, antiabuso e disapplicativo.
  Ai sensi del comma 2, la mancata presentazione della documentazione richiesta entro il termine di un anno comporta rinuncia all'istanza; resta ferma la possibilità di presentare una nuova istanza.
  L'articolo 5 reca le seguenti cause di inammissibilità delle istanze di interpello:
   mancanza dei dati identificativi ovvero della descrizione della fattispecie;
   mancanza della presentazione preventiva;
   mancanza delle obiettive condizioni di incertezza;
   questione sulla quale il contribuente ha già ricevuto un parere, salvo che vengano indicati elementi di fatto o di diritto non rappresentati precedentemente;
   materie oggetto degli accordi preventivi per le imprese con attività internazionale o riguardanti l'interpello preventivo indirizzato alle società che effettuano nuovi investimenti – introdotti dal citato schema di decreto legislativo in materia di internazionalizzazione – ovvero riguardanti la procedura abbreviata di interpello preventivo, introdotta dallo schema di decreto legislativo sulla certezza del diritto;
   questioni per le quali siano state già avviate attività di controllo alla data di presentazione dell'istanza di cui il contribuente sia formalmente a conoscenza;
   mancata regolarizzazione dell'istanza nei termini previsti.

  Passa quindi a illustrare l'articolo 6, il quale introduce alcune norme di coordinamento con l'attività di accertamento e contenzioso; al comma 1 si stabilisce, in primo luogo, che le risposte alle istanze di interpello non sono impugnabili, salvo le risposte relative ad interpello disapplicativo, avverso le quali può essere proposto ricorso unitamente all'atto impositivo.
  Ai sensi del comma 2 in caso di interpello disapplicativo, qualora la risposta sia resa senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice, l'atto di accertamento è preceduto, a pena di nullità, dalla notifica di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni.
  La richiesta di chiarimenti è notificata dall'amministrazione entro il termine di decadenza previsto per la notificazione dell'atto impositivo. Tra la data di ricevimento dei chiarimenti, ovvero di inutile decorso del termine assegnato al contribuente per rispondere alla richiesta, e quella di decadenza dell'amministrazione dal potere di notificazione dell'atto impositivo intercorrono non meno di sessanta giorni. In difetto, il termine di decadenza per la notificazione dell'atto impositivo è automaticamente prorogato, in deroga a quello ordinario, fino a concorrenza dei sessanta giorni. L'atto impositivo è specificamente motivato, a pena di nullità, anche in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente nel predetto termine.
  In base al comma 3 l'amministrazione può prendere in considerazione anche la documentazione non trasmessa nel corso dell'istruttoria delle istanze di interpello, così derogando a quanto prescritto dall'articolo 32, comma 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 in materia di accertamento e dall'articolo 52, comma 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 in materia di IVA.Pag. 39
  Rileva come l'articolo 7 rechi la revisione di alcune specifiche fattispecie di interpello contenute in diversi provvedimenti.
  In particolare, il comma 1 modifica l'articolo 113 del Testo Unico delle imposte sui redditi – TUIR (decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986) riguardante le partecipazioni acquisite per il recupero di crediti bancari.
  Ai sensi del nuovo comma 1 dell'articolo 113 del TUIR, gli enti creditizi possono quindi optare per la non applicazione del regime di esenzione delle plusvalenze (participation exemption) previsto dall'articolo 87 del TUIR (in luogo della necessità di proporre un interpello preventivo come previsto dalla norma vigente) relativamente alle partecipazioni acquisite nell'ambito degli interventi finalizzati al recupero di crediti o derivanti dalla conversione in azioni di nuova emissione dei crediti verso imprese in temporanea difficoltà finanziaria. È fatto salvo il rispetto delle disposizioni in materia di vigilanza bancaria.
  L'opzione può essere esercitata quando sussistono le seguenti condizioni (già previste nella formulazione precedente della norma):
   nel caso di acquisizione di partecipazioni per il recupero dei crediti, i motivi di convenienza rispetto ad altre forme alternative di recupero dei crediti, le modalità ed i tempi previsti per il recupero e, ove si tratti di partecipazioni dirette nella società debitrice, che l'operatività di quest'ultima sarà limitata agli atti connessi con il realizzo e la valorizzazione del patrimonio (comma 2, lettera a), del nuovo articolo 113);
   nel caso di conversione di crediti, la presunta temporaneità della situazione di difficoltà finanziaria del debitore, ragionevoli prospettive di riequilibrio economico e finanziario nel medio periodo ed una conversione economicamente conveniente rispetto ad altre forme alternative di recupero dei crediti; inoltre il piano di risanamento deve essere predisposto da più enti creditizi o finanziari rappresentanti una quota elevata dell'esposizione debitoria dell'impresa in difficoltà (comma 2, lettera b), del nuovo articolo 113).

  I commi 3 e 4 del nuovo articolo 113 riproducono norme già vigenti in relazione in relazione agli effetti dell'opzione (rinuncia alla tassazione del consolidato e al regime di trasparenza fiscale ed equiparazione delle partecipazioni ai crediti estinti o convertiti).
  Ai sensi del comma 5 del nuovo articolo 113 l'ente creditizio che desideri acquisire preventivamente il parere dell'Agenzia sulla sussistenza delle menzionate condizioni può, tuttavia, presentare istanza di interpello probatorio.
  Il comma 6 del nuovo articolo 113 stabilisce che l'ente creditizio il quale non intende applicare il regime di cui all'articolo 87 ma non ha presentato l'istanza di interpello, ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve segnalare nella dichiarazione del redditi gli elementi conoscitivi essenziali da individuare con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate (nuovo).
  Il comma 2 dell'articolo 7 interviene sulla continuazione del consolidato nazionale in presenza di determinate operazioni straordinarie, modificando l'articolo 124, comma 5, del TUIR.
  La lettera a) del comma 2 chiarisce che in caso di fusione della società o ente controllante con società o enti non inclusi nel consolidato, il consolidato può continuare ove la società o ente controllante sia in grado di dimostrare, anche dopo l'effettuazione di tali operazioni, la permanenza di tutti i requisiti previsti ai fini dell'accesso al regime.
  Ai fini della continuazione del consolidato, la società o ente controllante può comunque proporre interpello probatorio all'amministrazione finanziaria.
  La lettera b) del comma 2, introducendo un nuovo comma 5-bis nel predetto articolo 124, richiede alla società o ente controllante che intende continuare ad avvalersi della tassazione di gruppo ma non ha presentato l'istanza di interpello ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto Pag. 40risposta positiva, la segnalazione di detta circostanza nella dichiarazione dei redditi.
  La relazione illustrativa dello schema chiarisce che la modifica dell'articolo 124, comma 5, incide anche sull'interpretazione dell'articolo 13, comma 2, del decreto ministeriale 9 giugno 2004, attuativo della disciplina del consolidato nazionale: anche nei casi rientranti nel campo di applicazione di tale ultima disposizione (ad esempio, scissione totale della consolidante), pertanto, il consolidato potrà continuare ove la società o ente controllante sia in grado di dimostrare la permanenza di tutti i requisiti, ferma restando la possibilità, per il contribuente di interpellare l'amministrazione finanziaria.
  Il comma 3 dell'articolo 7 dello schema modifica l'articolo 132 del TUIR, eliminando l'obbligo di interpello preventivo dalle condizioni previste per l'accesso al regime del consolidato mondiale previsto dagli articoli 130 e seguenti del TUIR.
  In primo luogo, viene abrogata la lettera d-bis) del comma 2 del predetto articolo 132 , che prevedeva l'obbligo di comunicare l'esercizio dell'opzione all'Agenzia delle entrate entro il mese successivo a quello di scadenza del termine previsto per la comunicazione della risposta all'interpello.
  Il comma 3 del medesimo articolo 132 è modificato nel senso di prevedere che al ricorrere delle condizioni previste dagli articoli 130 e seguenti, la società controllante accede al regime in commento. Al contribuente viene comunque riconosciuta la facoltà di proporre interpello probatorio al fine di verificare la sussistenza dei requisiti per il valido esercizio dell'opzione.
  Anche per il consolidato mondiale, l'avvenuto esercizio dell'opzione deve essere comunicato all'Agenzia delle entrate con la dichiarazione presentata nel periodo d'imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l'opzione.
  Il comma 4 dell'articolo 7 apporta una modifica di mero coordinamento all'articolo 8, comma 1, lettera b), dello schema di decreto in materia di internazionalizzazione delle imprese (Atto n. 161) (predisposto in attuazione della delega fiscale ma non ancora adottato in via definitiva), il quale inserisce nell'articolo 167 del TUIR – sulla disciplina delle imprese estere controllate – un rinvio all'interpello antielusivo previsto dall'articolo 21 della legge n. 413 del 1991. Tale ultima disposizione, tuttavia, è abrogata dal comma 6 dell'articolo in esame; viene dunque previsto che l'istanza di interpello facoltativo per la disapplicazione della disciplina CFC va presentata come interpello probatorio ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera c), dello Statuto dei contribuenti.
  In merito alla formulazione della norma segnala l'esigenza di assicurare che la novella al predetto articolo 8, comma 1, lettera b), dello schema di decreto in materia di internazionalizzazione intervenga successivamente all'effettiva entrata in vigore di quest'ultimo, al fine di evitare discrasie nella successione delle norme.
  Il comma 5 dell'articolo 7 aggiunge un periodo al comma 11 dell'articolo 110 del TUIR, in materia di deducibilità dei componenti negativi derivanti da operazioni intercorse tra l'istante e le imprese residenti o localizzate in Stati o territori black list. Attualmente, le limitazioni alla deduzione dei componenti negativi non si applicano qualora il contribuente fornisca la prova della sussistenza delle condizioni esimenti previste dalla legge mediante presentazione del cosiddetto interpello antielusivo (articolo 21 della legge n. 413 del 1991).
  La modifica introdotta chiarisce che la prova richiesta può essere fornita anche mediante interpello probatorio.
  Il comma 6 dell'articolo 7 abroga l'articolo 11, comma 13, e l'articolo 21 della citata legge n. 413 del 1991, contenenti la speciale disciplina dell'interpello antielusivo, da ritenersi assorbita nella generale revisione della disciplina degli interpelli operata dall'articolo 1 dello schema di decreto.
  Le modifiche di cui ai commi 7 e 8 dell'articolo 7 riguardano le altre ipotesi di interpello «antielusivo» ancora previste dall'ordinamento e, cioè, gli interpelli relativi all'applicazione dell'articolo 37, Pag. 41comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (interposizione fittizia) e dell'articolo 108 del TUIR (classificazione di determinate spese, sostenute dal contribuente, tra quelle di pubblicità e di propaganda ovvero tra quelle di rappresentanza).
  I primi hanno carattere realmente antielusivo e sono dunque riconducibili all'interpello «antiabuso» previsto dalla lettera d) del nuovo articolo 11, comma 1, dello Statuto dei diritti del contribuente. Di conseguenza, il comma 7 inserisce un rinvio a tale interpello nell'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973.
  I secondi, invece, hanno carattere più strettamente qualificatorio e sono riconducibili all'interpello previsto dalla lettera b) del comma 1 del nuovo articolo 11 dello Statuto.
  Di conseguenza, il comma 8 dell'articolo 7 inserisce un rinvio a tale interpello nell'articolo 108 del TUIR.
  I commi 9, 10 e 11 dell'articolo 7, introducono l'interpello disapplicativo – rispettivamente – per le seguenti fattispecie:
   disapplicazione delle disposizioni di cui agli articoli 84 e 172 del TUIR che limitano il riporto delle perdite in conseguenza dell'effettuazione di operazioni straordinarie e fusioni;
   disapplicazione delle disposizioni di cui all'articolo 109 del TUIR in materia di dividend washing (operazione consistente nell'acquisto di partecipazioni in prossimità della data di stacco del dividendo e nella successiva cessione dei titoli dopo l'incasso degli utili, al fine di minimizzare il carico impositivo).

  Il comma 12 dell'articolo 7 interviene sulla disciplina delle società di comodo di cui all'articolo 30 della legge n. 724 del 1994, inserendo un rinvio espresso all'interpello probatorio (di cui all'articolo 11, comma 1, lettera c), dello Statuto dei diritti del contribuente).
  Viene, inoltre, chiarito che la presentazione della relativa istanza non costituisce un onere per il contribuente che non ritiene di dover applicare la disciplina in esame ma è in ogni caso facoltativa; tuttavia, il contribuente che ritiene sussistenti le condizioni per l'accesso al regime ordinario di tassazione ma non ha presentato l'istanza di interpello prevista dal medesimo comma ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve darne separata indicazione nella dichiarazione dei redditi.
  Il comma 13 dell'articolo 7 interviene sul regime di aiuto alla crescita economica (ACE) di cui all'articolo 1 del decreto-legge n. 201 del 2011, consentendo al contribuente di presentare un interpello probatorio al fine di dimostrare che le operazioni effettuate che comportano le limitazioni all'operatività del regime previste dalle disposizioni antielusive contenute nel decreto ministeriale 14 marzo 2012 non comportano duplicazioni del beneficio concesso.
  Il contribuente che ha effettuato le richiamate operazioni e intende fruire pienamente del beneficio ACE ma non ha presentato l'istanza di interpello prevista ovvero, avendola presentata, non ha ricevuto risposta positiva deve indicare separatamente nella dichiarazione dei redditi gli elementi conoscitivi da individuarsi con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate.
  Gli interventi di cui ai commi 14, 15 e 16, infine, sono volti a coordinare la nuova disciplina dell'interpello con le previsioni dei citati schemi di decreto legislativi sulla certezza del diritto e sull'internazionalizzazione, già esaminati in prima battuta dalla VI Commissione ma non ancora emanati in via definitiva.
  In particolare, il comma 14 armonizza la formulazione dell'articolo 1, comma 3, dello schema di decreto sulla certezza del diritto (Atto n. 163) (non ancora emanato in via definitiva), che prevede la disapplicazione delle disposizioni antielusive specifiche, con la disciplina dell'interpello disapplicativo. In entrambe le disposizioni risulta così esplicitata la possibilità riconosciuta al contribuente di fornire la dimostrazione in ordine alla disapplicazione Pag. 42delle disposizioni antielusive specifiche, non solo in sede di interpello preventivo, ma anche ai fini dell'accertamento in sede amministrativa e contenziosa.
  Anche in questo caso, in merito alla formulazione della norma segnala l'esigenza di assicurare che la novella al predetto articolo 1, comma 3, dello schema di decreto sulla certezza del diritto (Atto n. 163) intervenga successivamente all'effettiva entrata in vigore di quest'ultimo, al fine di evitare discrasie nella successione delle norme.
  Il comma 15 sostituisce il comma 5 del nuovo articolo 10-bis dello Statuto del contribuente, introdotto dall'articolo 1, comma 1 del medesimo schema di decreto sulla certezza del diritto (Atto n. 163), prevedendo che l'interpello finalizzato a conoscere se le operazioni effettuate costituiscono fattispecie di abuso del diritto è presentato ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera d), del medesimo Statuto (interpello antiabuso).
  In merito alla formulazione della norma segnala ancora l'esigenza di assicurare che la modifica allo schema di decreto sulla certezza del diritto (Atto n. 163) intervenga successivamente all'effettiva entrata in vigore di quest'ultimo, al fine di evitare discrasie nella successione delle norme.
  Il comma 16 integra l'articolo 14, comma 1, dello schema di decreto legislativo sull'internazionalizzazione, che ha introdotto l'articolo 168-ter del TUIR (Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti), per chiarire che l'istanza per interpellare l'Agenzia delle entrate in merito all'esistenza di una stabile organizzazione estera del contribuente va presentata ai sensi dell'articolo 11, comma 1, lettera b), del medesimo Statuto (interpello qualificatorio).
  In merito alla formulazione della norma segnala ancora l'esigenza di assicurare che la novella al predetto articolo 14, comma 1, dello schema di decreto sull'internazionalizzazione (Atto n. 161) intervenga successivamente all'effettiva entrata in vigore di quest'ultimo, al fine di evitare discrasie nella successione delle norme.
  Illustra quindi l'articolo 8, il quale reca norme di carattere procedurale. In particolare il comma 1 demanda a provvedimenti dei direttori delle Agenzie fiscali le modalità di presentazione delle istanze, gli uffici delle Agenzie competenti alla ricezione ed alla risposta, le modalità di comunicazione delle risposte stesse nonché ogni altra eventuale regola concernente la procedura.
  Per ciò che concerne gli enti territoriali, ai commi 2 e 3, è previsto che:
   le regioni a statuto ordinario regolano la materia in attuazione delle disposizioni contenute nello schema in esame;
   le regioni a statuto speciale e le province autonome di Trento e di Bolzano provvedono, entro un anno dalla data di entrata in vigore dello schema, ad adeguare i rispettivi ordinamenti;
   gli enti locali provvedono entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto, ad adeguare i rispettivi statuti e gli atti normativi da essi emanati ai principi illustrati.

  Al comma 4 è stabilito che alle istanze di interpello presentate prima dell'emanazione dei provvedimenti di cui al comma 1 restano applicabili le disposizioni procedurali in vigore al momento della presentazione dell'istanza.
  Passando al Titolo II dello schema, recante la revisione del contenzioso tributario e norme per l'incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria, esso dà attuazione all'articolo 10 della legge di delega fiscale, il quale reca, in primo luogo, la delega per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, da perseguire sia mediante la razionalizzazione dell'istituto della conciliazione nel processo tributario, anche in un'ottica di deflazione del contenzioso, sia tramite l'incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria.Pag. 43
  In tale contesto l'articolo 9 introduce numerose modifiche alla disciplina del contenzioso tributario, a tal fine modificando il decreto legislativo n. 546 del 1992, che reca norme sul processo tributario.
  In particolare, il comma 1, lettera a), modifica in più punti l'articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992, che definisce l'oggetto della giurisdizione tributaria, al fine di adeguarne il disposto ad alcune pronunce della Corte Costituzionale.
  Con le modifiche al comma 1 del predetto articolo 2 del decreto legislativo n. 546 si intende adeguare il testo vigente alla sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 2008, che l'ha dichiarato illegittimo per la parte in cui attribuiva alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguissero alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria. Viene dunque espunto dall'articolo il riferimento alle sanzioni amministrative «comunque irrogate da uffici finanziari».
  Con una seconda modifica (al comma 2 del richiamato articolo 2) viene chiarito che non sono di competenza del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche – COSAP e del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue, come sancito dalle sentenze della Corte Costituzionale n. 64 del 2008 e 39 del 2010, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 2 per la predetta parte.
  Il comma 1, lettera b), modifica l'articolo 4 del decreto legislativo n. 546 del 1992, al fine di aggiornarvi i relativi riferimenti all'attuale articolazione degli agenti della riscossione e dell'amministrazione finanziaria.
  La lettera c) sostituisce integralmente l'articolo 10 del richiamato decreto legislativo n. 546 del 1992, al fine di chiarire a quali soggetti spetta la qualifica di parte nel processo tributario.
  Le modifiche aggiornano le diciture contenute nell'attuale articolo 10 alle modifiche intervenute all'articolazione amministrativa degli uffici dell'amministrazione finanziaria. In particolare viene chiarito che sono parti del processo tributario il contribuente, le Agenzie fiscali e gli altri enti impositori (tra cui gli enti territoriali, le camere di Commercio, ecc.) e l'agente di riscossione che hanno emesso l'atto impugnato (atto impositivo o diniego di rimborso o di agevolazione), ovvero che non hanno emesso l'atto richiesto (nel caso di silenzio-rifiuto ad una richiesta di rimborso). Viene chiarito che rientrano tra le parti processuali anche i soggetti privati, concessionari della riscossione, di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997, i quali svolgono le attività di liquidazione e di accertamento, di riscossione dei tributi e di altre entrate delle province e dei comuni che non si avvalgono di Equitalia per le medesime attività.
  Inoltre, viene confermata la disposizione secondo cui, qualora l'ufficio dell'Agenzia delle entrate al quale spettano ex lege le attribuzioni sul rapporto controverso abbia una competenza diffusa su tutto o parte del territorio nazionale, spetta ad esso stare in giudizio innanzi alle Commissioni tributarie. In tale ultimo caso, la legittimazione processuale non è in capo all'ufficio delle entrate che ha adottato l'atto, bensì all'ufficio competente in base al generale criterio del domicilio fiscale del contribuente.
  Il comma 1, lettera d), dello schema apporta modifiche alle norme in materia di capacità di stare in giudizio, contenute nell'articolo 11 del richiamato decreto legislativo n. 546 del 1992.
  Con le modifiche al comma 2 le disposizioni sono aggiornate alle nuove articolazioni funzionali dell'amministrazione finanziaria, chiarendo inoltre che la capacità di stare in giudizio spetta, oltre che all'ufficio delle due Agenzie fiscali entrate e dogane e monopoli), anche all'agente della riscossione nei cui confronti è proposto il ricorso, il quale sta in giudizio direttamente ovvero mediante la struttura territoriale sovraordinata.
  Inoltre, per le controversie in materia di contributo unificato, viene chiarito che Pag. 44stanno altresì in giudizio direttamente le cancellerie o segreterie degli uffici giudiziari per il tutto il contenzioso in materia di contributo unificato, dunque non solo in primo grado.
  Viene dunque eliminato il comma 3-bis del richiamato articolo 11, che limitava la legittimazione processuale e la difesa diretta di cancellerie e segreterie degli ufficio giudiziari al giudizio di primo grado.
  La lettera e) dello schema apporta modifiche alle norme in materia di assistenza tecnica nel processo tributario, contenute nell'articolo 12 del richiamato decreto legislativo n. 546, che viene integralmente sostituito.
  Il nuovo comma 1 dell'articolo 12 ribadisce il principio generale secondo cui le parti private devono essere assistite in giudizio da un difensore abilitato (chiarendo che sono sottratti a questa regola gli enti impositori, gli agenti della riscossione ed i concessionari della riscossione di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997).
  Il nuovo comma 2 dell'articolo 12 rielabora il contenuto del vigente comma 5 dell'articolo 12, elevando da 2.582 a 3.000 euro il valore della lite che consente alle parti di stare in giudizio senza assistenza tecnica. Viene mantenuto l'attuale criterio per definire il valore della lite, che corrisponde all'importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
  Viene espunta la disposizione che consentiva al presidente della commissione o della sezione o al collegio di ordinare alla parte di munirsi di assistenza tecnica.
  I novellati commi 3, 5 e 6 dell'articolo 12 individuano i soggetti abilitati all'assistenza tecnica dinanzi alle commissioni tributarie, in particolare operando una differenziazione tra:
   soggetti che possono assistere i contribuenti nella generalità delle controversie (lettere da a) a d) del nuovo comma 3); rileva come si tratti rispettivamente di avvocati, dottori commercialisti ed esperti contabili, consulenti del lavoro, ovvero impiegati delle carriere dirigenziale, direttiva e di concetto dell'amministrazione finanziaria debitamente autorizzati dal MEF (vale a dire, i soggetti di cui all'articolo 63, terzo comma, del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, come novellato dallo schema di decreto);
   soggetti abilitati alla difesa con riguardo a controversie aventi ad oggetto materie specifiche (lettera e) del comma 3, lettere da a) a g) del comma 5 e comma 6): si tratta dei soggetti già iscritti alla data del 30 settembre 1993 nei ruoli di periti ed esperti tenuti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura per la subcategoria tributi, in possesso di diploma di laurea in giurisprudenza o in economia e commercio o equipollenti o di diploma di ragioniere limitatamente alle materie concernenti le imposte di registro, di successione, i tributi locali, l'IVA, l'IRPEF, l'IRAP e l'IRES; ingegneri, architetti, geometri, periti industriali, dottori agronomi e forestali, agrotecnici e periti agrari per le controversie afferenti alla materia catastale (dettagliatamente enumerate dall'articolo 2, comma 2, primo periodo del decreto legislativo n. 546); spedizionieri doganali iscritti nell'apposito albo, per le controversie relative ai tributi doganali;
   soggetti che possono assistere esclusivamente alcune categorie di contribuenti (lettere f) e g) e h) del comma 3); si tratta di: funzionari delle associazioni di categoria che, alla data di entrata in vigore del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545, risultavano iscritti negli elenchi tenuti dalle Intendenze di finanza competenti per territorio; dipendenti delle associazioni delle categorie rappresentate nel Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL) e dipendenti delle imprese, o delle loro controllate, limitatamente alle controversie nelle quali sono parti, rispettivamente, gli associati e le imprese o loro controllate, in possesso del diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale; Pag. 45dipendenti dei centri di assistenza fiscale (CAF) e delle relative società di servizi, purché in possesso di diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o di diploma di ragioneria e della relativa abilitazione professionale, limitatamente alle controversie dei propri assistiti originate da adempimenti per i quali il CAF ha prestato loro assistenza.

  Rispetto alle norme vigenti, la principale novità è costituita dalla capacità di fornire assistenza tecnica in giudizio attribuita anche ai dipendenti dei CAF e delle relative società di servizi. I predetti dipendenti possono difendere esclusivamente i propri assistiti in contenziosi tributari che scaturiscono dall'attività di assistenza loro prestata dal CAF (ad esempio rettifica della detrazione di spese mediche esposte in dichiarazione compilata e trasmessa dal CAF). I dipendenti dei CAF, per esercitare la difesa tecnica, devono essere in possesso congiuntamente dei seguenti requisiti di professionalità: diploma di laurea magistrale in giurisprudenza o in economia ed equipollenti, o diploma di ragioneria e relativa abilitazione professionale.
  Non sembrerebbe confermata la possibilità dei ragionieri e dei periti commerciali di fornire assistenza tecnica, a meno che non siano in possesso di titoli o requisiti previsti dalle nuove norme.
  Il novellato comma 4 dell'articolo 12 affida la tenuta dell'elenco dei soggetti abilitati all'assistenza tecnica (di cui al comma 3, lettere d), e), f), g) ed h)) al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, che vi provvede con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente senza nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.
  Viene affidato a un decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze, sentito il Ministero della Giustizia, il compito di disciplinare le modalità di tenuta dell'elenco, nonché i casi di incompatibilità, diniego, sospensione e revoca della iscrizione anche sulla base dei principi contenuti nel codice deontologico forense. L'elenco è pubblicato nel sito internet del Ministero dell'Economia e delle Finanze.
  Il novellato comma 7 ribadisce il dettato del vigente articolo 12, comma 3, in merito alle modalità di conferimento dell'incarico (atto pubblico o scrittura privata autenticata, ovvero in calce o a margine di un atto del processo, nel qual caso la sottoscrizione autografa è certificata dallo stesso incaricato. All'udienza pubblica l'incarico può essere conferito oralmente e se ne dà atto a verbale).
  Il nuovo comma 8 dell'articolo 12, che ribadisce quanto già previsto al vigente comma 4 dell'articolo 12, riformulando la norma sulla base dell'attuale articolazione territoriale dell'amministrazione finanziaria chiarisce che le Agenzie delle entrate, delle dogane e dei monopoli possono essere assistite dall'Avvocatura dello Stato.
  Il nuovo comma 9 dell'articolo 12, che riprende il vigente comma 6, ribadisce la regola secondo cui i soggetti abilitati a prestare assistenza tecnica possono stare in giudizio personalmente, ferme restando le limitazioni all'oggetto della loro attività previste ex lege.
  Il nuovo comma 10 dell'articolo 12 dispone l'applicazione dell'articolo 182 del codice di procedura civile in materia di accertamento del difetto di rappresentanza o autorizzazione, secondo cui il giudice verifica d'ufficio la regolarità della costituzione delle parti e, quando occorre, le invita a completare o a mettere in regola gli atti e i documenti che riconosce difettosi.
  Per il processo tributario, viene chiarito con le norme in esame che i relativi provvedimenti sono emessi dal presidente della commissione o della sezione o dal collegio.
  Il comma 1, lettera f), dell'articolo 9 dello schema modifica l'articolo 15 del richiamato decreto legislativo n. 546, in materia di spese di giudizio.
  Con tali modifiche si intende rafforzare il principio in base al quale le spese del giudizio tributario seguono la soccombenza, in ottemperanza all'articolo 10, comma 1, lettera b), numero 10), della Pag. 46legge di delega, che prevede l'individuazione di criteri di maggior rigore nell'applicazione del principio della soccombenza ai fini del carico delle spese del giudizio, con conseguente limitazione del potere discrezionale del giudice di disporre la compensazione delle spese in casi diversi dalla soccombenza reciproca.
  In particolare, con le modifiche al comma 1 del predetto articolo 15 viene mantenuta la previsione per la quale è la parte soccombente quella condannata a rimborsare le spese del giudizio liquidate con la sentenza.
  Dalla suddetta norma viene espunta la norma che consente alla commissione tributaria di dichiarare compensate in tutto o in parte le spese, secondo le norme del codice di procedura civile; tale possibilità, recata nel novellato comma 2 dell'articolo 15, è condizionata alle seguenti ipotesi alternative:
   soccombenza reciproca;
   sussistenza di gravi ed eccezionali ragioni che devono essere espressamente motivate dal giudice.

  Viene inoltre introdotto un nuovo comma 2-bis nell'articolo 15, col quale si prevede che, ove risulti che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con malafede o colpa grave, la commissione tributaria la condanna, su istanza dell'altra parte, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni liquidati, anche d'ufficio nella sentenza.
  Il nuovo comma 2-ter dell'articolo 15 specifica che le spese di giudizio comprendono, oltre al contributo unificato, gli onorari e i diritti del difensore, le spese generali e gli esborsi sostenuti, oltre al contributo previdenziale e all'IVA, se dovuti.
  Il nuovo comma 2-quater stabilisce che la statuizione sulle spese di lite deve essere contenuta anche nell'ordinanza con cui il giudice definisce la fase cautelare del giudizio. La pronuncia sull'istanza cautelare in ordine alle spese di giudizio produce effetti anche dopo l'adozione del provvedimento giurisdizionale che definisce il merito. Resta ferma, comunque, la possibilità per il giudice di disporre nella sentenza di merito diversamente in ordine alle spese di lite della fase cautelare.
  Sul punto la Relazione illustrativa dello schema chiarisce che la disposizione mira ad evitare un abuso delle richieste di tutela cautelare.
  Con il nuovo comma 2-quinquies dell'articolo 15 viene confermato il principio (recato dal vigente comma 2) secondo cui i compensi spettanti agli incaricati dell'assistenza tecnica sono liquidati in base alle rispettive tariffe professionali; per i soggetti autorizzati all'assistenza tecnica dal Ministero dell'economia e delle finanze si applica, invece, la tariffa vigente per i dottori commercialisti ed esperti contabili.
  Il nuovo comma 2-sexies dell'articolo 15 (che riproduce il vigente comma 2-bis del medesimo articolo) stabilisce che nella liquidazione delle spese a favore degli enti impositori, degli agenti della riscossione e soggetti concessionari della riscossione (di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997), se assistiti da propri dipendenti, si applicano le tariffe previste per gli avvocati, con la riduzione del 20 per cento. Infine, con una disposizione di favore per il contribuente, si prevede che la riscossione delle somme liquidate a favore di tutti gli enti impositori, nonché degli agenti e concessionari della riscossione avviene, mediante iscrizione a ruolo, soltanto dopo il passaggio in giudicato della sentenza.
  Il nuovo comma 2-septies conferma che le spese di giudizio sono maggiorate del 50 per cento nelle controversie proposte avverso atti reclamabili ai sensi dell'articolo 17-bis del medesimo decreto legislativo n. 546, ovvero controversie di valore non superiore a ventimila euro, relative ad atti emessi dall'Agenzia delle entrate (attuale comma 10 dell'articolo 17-bis, anch'esso modificato dalle norme in esame, vedi infra). La maggiorazione è prevista a titolo di rimborso delle spese sostenute per la fase del procedimento amministrativo.
  La norma ha la finalità di incentivare la risoluzione stragiudiziale delle controversie e di riconoscere alla parte vittoriosa Pag. 47i maggiori oneri sostenuti nella fase procedimentale obbligatoria ante causam.
  Il nuovo comma 2-octies dell'articolo 15, al fine di incentivare la deflazione del contenzioso, stabilisce che la parte che abbia rifiutato, senza giustificato motivo, la proposta conciliativa formulata dall'altra parte è tenuta a sopportare le spese processuali quando il riconoscimento delle sue pretese risulti inferiore al contenuto della stessa proposta conciliativa.
  Il comma 1, lettera g), modifica l'articolo 16 del decreto legislativo n. 546 del 1992 in materia di comunicazioni e notifiche.
  Più in dettaglio, con una prima modifica (n. 1 della lettera g) viene chiarito che le modalità di effettuazione delle comunicazioni all'amministrazione finanziaria sono riferite, oltre che a tutti gli enti impositori, anche agli agenti delle riscossione ed ai concessionari privati (in luogo dell'ufficio del Ministero delle finanze e dell'ente locale).
  Con una seconda modifica (n. 2 della lettera g) viene abrogato il comma 1-bis dell'articolo 16, il cui contenuto viene riscritto all'articolo 16-bis, introdotto dalla successiva lettera h), cui rinvia.
  Anche il comma 4, che riguarda la possibilità per le PP.AA. di avvalersi per le notifiche del messo comunale o di messo autorizzato dall'amministrazione finanziaria, viene modificato al fine di concedere tale possibilità agli enti impositori, agli agenti della riscossione ed ai concessionari degli enti locali.
  Il comma 1, lettera h), introduce un nuovo articolo 16-bis nel decreto legislativo n. 546, anch'esso relativo alle comunicazioni e notifiche nel processo tributario, in modo da disciplinare in una norma unica le comunicazioni in via elettronica, allo scopo di ampliare l'uso della posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni nel processo tributario, in attuazione del relativo principio di delega (articolo 10, comma 1, lettera b), numero 4 ), della legge n. 23 del 2014).
  Il comma 1 del nuovo articolo 16-bis ripropone le disposizioni già previste nel comma 1-bis dell'articolo 16 abrogato; le comunicazioni nel processo tributario sono effettuate anche mediante l'utilizzo della posta elettronica certificata, mentre tra le pubbliche amministrazioni esse possono essere effettuate mediante scambio di documenti informatici nell'ambito del sistema pubblico di connettività (ai sensi dell'articolo 76 del codice dell'amministrazione digitale). Il medesimo comma chiarisce che l'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore o delle parti è indicato nel ricorso o nel primo atto difensivo; nei procedimenti nei quali la parte sta in giudizio personalmente e il relativo indirizzo di posta elettronica certificata non risulta dai pubblici elenchi la stessa può indicare l'indirizzo di posta al quale vuol ricevere le comunicazioni.
  Il comma 2 del nuovo articolo 16-bis ripropone quanto previsto dall'articolo 17, comma 3-bis, che viene abrogato dall'articolo 9, comma 1, lettera i), dello schema di decreto: in caso di mancata indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata ovvero di mancata consegna del messaggio di posta elettronica certificata per cause imputabili al destinatario, le comunicazioni sono eseguite esclusivamente mediante deposito in segreteria della Commissione tributaria.
  Il comma 3 del nuovo articolo 16-bis dispone che le notificazioni tra le parti e il successivo deposito presso la Commissione tributaria possano avvenire per via telematica, tenendo conto di quanto stabilito nel regolamento sul processo tributario telematico. Le modalità di attuazione e l'ambito di operatività delle notificazione a mezzo posta elettronica certificata e dei depositi telematici presso le Commissioni tributarie sono stabiliti dai decreti del Ministero dell'Economia e delle finanze, adottati ai sensi dell'articolo 3 del predetto regolamento.
  Il comma 4 del nuovo articolo 16-bis stabilisce che l'indicazione dell'indirizzo di posta elettronica certificata per le comunicazioni e le notificazioni ha, a tutti gli effetti, valore di elezione di domicilio.Pag. 48
  Il comma 1, lettera l), sostituisce l'articolo 17-bis del decreto legislativo n. 546, in materia di reclamo e mediazione nel processo tributario.
  Al riguardo rammenta che la legge delega (articolo 10, comma 1, lettera a), della legge n. 23 del 2014) prevede che il Governo emani norme sul rafforzamento e razionalizzazione dell'istituto della conciliazione nel processo tributario, anche a fini di deflazione del contenzioso e di coordinamento con la disciplina del contraddittorio fra il contribuente e l'amministrazione nelle fasi amministrative di accertamento del tributo, con particolare riguardo ai contribuenti nei confronti dei quali sono configurate violazioni di minore entità.
  Il nuovo comma 1 del predetto articolo 17-bis del decreto legislativo n. 546, ferma restando la soglia di ventimila euro per accedere al reclamo, viene chiarito che:
   il ricorso stesso produce gli effetti del reclamo (eliminando la necessità di presentare due atti);
   esso può contenere una proposta di mediazione con rideterminazione dell'ammontare della pretesa;
   il valore della controversia è determinato secondo le disposizioni di cui al già richiamato articolo 12, comma 2, del decreto legislativo n. 546 (importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l'atto impugnato; in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste).

  Viene altresì statuito che le controversie di valore indeterminabile non sono reclamabili, ad eccezione di alcune controversie in materia catastale, enumerate all'articolo 2, comma 2, primo periodo, del medesimo decreto legislativo n. 546. (controversie promosse dai singoli possessori concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e l'attribuzione della rendita catastale).
  Rispetto alle norme vigenti, l'istituto viene esteso a tutti gli enti impositori.
  Rileva come, secondo la Relazione illustrativa dello schema, la ratio della norma sia il principio di economicità dell'azione amministrativa diretta a produrre effetti deflattivi del contenzioso, anche alla luce dell'abbattimento riscontrato nel contenzioso contro gli atti emessi dall'Agenzia delle entrate e del fatto che oltre il 90 per cento dei ricorsi proposti nei confronti degli enti locali hanno un valore non superiore a 20.000 euro. Se le Agenzie fiscali provvedono all'esame dei reclami attraverso apposite strutture diverse da quelle che hanno emesso gli atti reclamabili, per gli altri enti la disposizione prevede che l'individuazione della struttura eventualmente deputata alla trattazione dei reclami è rimessa all'organizzazione interna di ciascuno di essi. Tale scelta viene ritenuta da un lato coerente con l'autonomia gestionale ed organizzativa tipica, ad esempio, degli enti locali; dall'altro evita di imporre un vincolo ad enti impossibilitati a rispettarlo (ad esempio, a causa della ridotta dimensione).
  Il novellato comma 2 dell'articolo 17-bis ribadisce l'improcedibilità del ricorso fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla data di notifica, entro il quale deve essere conclusa la procedura di reclamo; viene esplicitato che si applica la sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.
  Il nuovo comma 3 dell'articolo 17-bis precisa che il termine per la costituzione in giudizio del ricorrente decorre dalla scadenza del termine di cui al comma 2 (novanta giorni dalla notifica del ricorso); rileva quindi come, ove la Commissione rilevi che la costituzione è avvenuta in data anteriore, l'effetto sia di rinviare la trattazione della causa per consentire l'esame del reclamo.
  Il comma 4 dell'articolo 17-bis stabilisce che le Agenzie fiscali provvedono all'esame del reclamo e della proposta di Pag. 49mediazione mediante apposite strutture diverse ed autonome da quelle che curano l'istruttoria degli atti reclamabili. Per gli altri enti impositori la disposizione si applica compatibilmente con la propria struttura organizzativa.
  Ai sensi del comma 5 dell'articolo 17-bis l'organo destinatario, se non intende accogliere il reclamo o l'eventuale proposta di mediazione, formula d'ufficio una propria proposta, con riguardo all'eventuale incertezza delle questioni controverse, al grado di sostenibilità della pretesa e al principio di economicità dell'azione amministrativa. L'esito del procedimento rileva anche per i contributi previdenziali e assistenziali la cui base imponibile è riconducibile a quella delle imposte sui redditi.
  Il comma 6 dell'articolo 17-bis chiarisce che, nelle controversie aventi ad oggetto un atto impositivo o di riscossione, la mediazione si perfeziona con il versamento, entro il termine di venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo tra le parti, delle somme dovute ovvero della prima rata. Per le rate successive si applica l'articolo 48-ter, comma 3. Nelle controversie aventi per oggetto la restituzione di somme la mediazione si perfeziona con la sottoscrizione di un accordo nel quale sono indicate le somme dovute con i termini e le modalità di pagamento. L'accordo costituisce titolo per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
  Il nuovo comma 7 dell'articolo 17-bis fissa uno sconto sulle sanzioni amministrative, che si applicano nella misura del trentacinque per cento del minimo previsto dalla legge. Sulle somme dovute a titolo di contributi previdenziali e assistenziali non si applicano sanzioni e interessi.
  Ai sensi del comma 8 dell'articolo 17-bis, la riscossione e il pagamento delle somme dovute in base all'atto oggetto di reclamo sono sospesi fino alla scadenza del termine di novanta giorni dalla notifica del ricorso che reca il reclamo, fermo restando che in caso di mancato perfezionamento della mediazione sono dovuti gli interessi previsti dalle singole leggi d'imposta.
  Il comma 9 dell'articolo 17-bis estende, per quanto compatibili, le norme in esame su reclamo e mediazione anche agli agenti della riscossione ed ai concessionari iscritti nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997.
  Il comma 10 dell'articolo 17-bis ribadisce che il reclamo non si applica alle controversie riguardanti atti volti al recupero di aiuti di Stato.
  La lettera m) del comma 1 dell'articolo 9 dello schema modifica l'articolo 18 del decreto legislativo n. 546, il quale reca indicazioni sulla sottoscrizione del ricorso e sugli elementi in esso contenuti.
  Le modifiche al comma 1 intendono apportare alcune correzioni di coordinamento.
  Con le modifiche al comma 3 viene previsto che il ricorso contenga tra l'altro anche l'indicazione della categoria alla quale appartiene il difensore (anche al fine della liquidazione del compenso) e l'indirizzo di posta elettronica certificata del difensore.
  Il comma 1, lettera n), modifica l'articolo 23 del decreto legislativo n. 546, relativo alla costituzione in giudizio della parte resistente, al fine di equiparare anche a tal fine gli enti impositori all'agente della riscossione ed ai concessionari privati.
  La lettera o) apporta modifiche all'articolo 39 del decreto legislativo n. 546, che reca le ipotesi di sospensione del processo.
  Sono in particolare inseriti nel predetto articolo 39 due nuovi commi, 1-bis e 1-ter, ai sensi dei quali, rispettivamente:
   la sospensione del processo è disposta dalla commissione tributaria ogniqualvolta essa stessa o altra commissione tributaria debba risolvere una controversia dalla cui definizione dipende la decisione della causa. È stato in tal modo riprodotto il contenuto dell'articolo 295 del codice di procedura civile, concernente la sospensione necessaria del processo: il nuovo comma 1-bis introduce, pertanto, un'ulteriore ipotesi di sospensione necessaria, che si aggiunge a quella già prevista dal comma 1 (disposta quando è presentata querela di falso o deve essere decisa in via pregiudiziale una questione sullo stato o la Pag. 50capacità delle persone, salvo che si tratti della capacità di stare in giudizio);
   su richiesta conforme delle parti, il processo è sospeso nel caso in cui sia iniziata una procedura amichevole ai sensi delle Convenzioni internazionali per evitare le doppie imposizioni, oppure quando sia iniziata una procedura amichevole ai sensi della Convenzione sull'eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate, n. 90/463/CEE del 23 luglio 1990.

  La lettera p) del comma 1 modifica l'articolo 44 del decreto legislativo n. 546, in tema di estinzione del processo per rinuncia al ricorso.
  Viene in particolare modificato il comma 2, ai sensi del quale il ricorrente che rinuncia deve rimborsare le spese alle altre parti, salvo diverso accordo fra loro. La liquidazione è fatta dal presidente della sezione o dalla commissione con ordinanza non impugnabile, che costituisce titolo esecutivo.
  Le norme eliminano l'esecutività della predetta ordinanza, in quanto nell'impianto del provvedimento in esame l'unico strumento utilizzabile è il giudizio di ottemperanza, anche per le spese legali in favore del contribuente. Diversamente, per le spese liquidate in favore dell'ente impositore e degli altri soggetti equiparati è prevista l'iscrizione a ruolo dopo il giudicato, come dispone il nuovo articolo 15, al comma 4.
  La lettera q) del comma 1 apporta modifiche all'articolo 46 del decreto legislativo n. 546, che disciplina l'estinzione del giudizio per cessazione della materia del contendere. In particolare, con le modifiche al comma 2 viene confermato che in tal caso l'estinzione del giudizio è dichiarata con sentenza o con decreto presidenziale, sopprimendo il riferimento ad altre leggi speciali.
  Con le modifiche al comma 3 si chiarisce il principio in base al quale, in caso di cessazione della materia del contendere per sopravvenuta definizione delle pendenze tributarie previste dalla legge, le spese del giudizio rimangono a carico di chi le ha anticipate.
  Segnala che, come chiarisce al riguardo la Relazione illustrativa, la norma viene adeguata alla sentenza della Corte Costituzionale n. 74 del 2005, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del comma 3, nella parte in cui si riferisce alle ipotesi di cessazione della materia del contendere diverse dai casi di definizione delle pendenze tributarie previsti dalla legge.
  La lettera r) apporta modifiche alle disposizioni in materia di sospensione dell'atto impugnato, di cui all'articolo 47 del decreto legislativo n. 546.
  Le modifiche al comma 3 del predetto articolo 47 riguardano la sospensione in caso di eccezionale urgenza che può essere disposta, ai sensi delle norme vigenti, con lo stesso decreto che dispone l'udienza per la trattazione dell'istanza di sospensione. Con la formulazione proposta viene consentito di disporre tale sospensione «con decreto motivato»; con tale locuzione sembra doversi intendere che il giudice può disporre tale sospensione con un provvedimento diverso da quello che fissa l'udienza di trattazione e, dunque, ancor prima della suddetta decisione concernente la trattazione dell'istanza di sospensione.
  Con una modifica al comma 4 del predetto articolo 47 viene chiarito che il dispositivo dell'ordinanza di sospensione deve essere immediatamente comunicato alle parti in udienza.
  Al comma 5 del medesimo articolo 47, per quanto riguarda la garanzia cui può essere subordinata la sospensione dell'atto, in luogo di una cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa con modalità e termini indicati nello stesso provvedimento di sospensione, viene chiarito che essa è fornita ai sensi dell'articolo 69, comma 2, del decreto legislativo n. 546, come modificato dal comma 1, lettera gg), dell'articolo 9 dello schema. In particolare, la determinazione di detta garanzia è demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, che disciplina la durata ed il termine Pag. 51entro il quale essa può venire escussa, nel caso di inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite, protrattasi per tre mesi.
  Infine, viene inserito nell'articolo 47 un nuovo comma 8-bis, secondo il quale durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 21 maggio 2009, ovvero gli interessi dovuti per ritardato pagamento.
  Rammenta in proposito che l'Atto del Governo n. 185 (all'esame della Commissione Finanze), col quale si intende ottemperare alla delega contenuta nella legge n. 23 del 2014 sotto il profilo della semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione dei tributi, all'articolo 13 introduce una complessiva revisione della misura dei tassi degli interessi per il versamento, la riscossione e i rimborsi di ogni tributo. In particolare ai sensi di tale schema il tasso di interesse viene determinato preferibilmente in una misura unica, nel rispetto degli equilibri di finanza pubblica, compresa nell'intervallo tra lo 0,5 per cento e il 4,5 per cento, determinata con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze. Fino all'emanazione del suddetto decreto continuano ad applicarsi le disposizioni di cui alle norme primarie e secondarie vigenti per gli interessi di mora si applica il tasso individuato annualmente con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate. Viene disposto infine che la misura del tasso di interesse può essere rideterminata annualmente con decreto Ministro dell'economia e delle finanze.
  Al riguardo, segnala l'opportunità di apportare le opportune modifiche di coordinamento delle norme appena illustrate con quanto previsto nel citato l'Atto 185 il quale, come si è visto, intende fissare una misura uniforme di interessi relativa a tutti i tributi.
  Le lettere s) e t) riformulano l'articolo 48 e introducono gli articoli 48-bis e 48-ter nel decreto legislativo n. 546, con lo scopo di dettare una disciplina delle diverse tipologie di conciliazione giudiziale, rafforzando tale istituto ed estendendolo anche ai giudizi pendenti davanti alla Commissione tributaria regionale.
  In tal modo la conciliazione sarà esperibile per tutta la durata del giudizio di merito, anche mediante l'introduzione di disposizioni premiali che riducono l'entità delle sanzioni irrogabili.
  Attualmente l'irrogazione della sanzione è dovuta nella misura del quaranta per cento dell'importo conciliato e non possono essere inferiori al quaranta per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo. Le norme proposte prevedono che le sanzioni si applichino nella misura del quaranta per cento del minimo previsto per legge per le singole violazioni; tale percentuale è la medesima per tutte le fasi di giudizio.
  Ricorda che la Relazione illustrativa chiarisce che il Governo non ritiene opportuno prevedere la conciliazione nella fase di cassazione, stante la particolare natura di tale giudizio, in cui si controverte solo di violazioni di legge con l'esclusione di accertamenti in fatto.
  Il novellato comma 1 dell'articolo 48 disciplina la cosiddetta conciliazione «fuori udienza», prevedendo che se le parti raggiungono un accordo conciliativo per la definizione totale o parziale della controversia, in pendenza del giudizio di primo e di secondo grado (a differenza della formulazione attuale, secondo cui la conciliazione opera solo in primo grado) esse possono presentare istanza congiunta, sottoscritta personalmente o dai rispettivi difensori.
  In caso di conciliazione totale o parziale della controversia, i commi 2 e 3 dell'articolo 48 prevedono la tipologia dei provvedimenti che possono essere adottati dal giudice per dichiarare la cessazione della materia del contendere.
  Se è già stata fissata l'udienza, la Commissione pronuncia sentenza in presenza di accordo totale, ovvero ordinanza se l'accordo è parziale; in tale ultimo caso la sentenza sarà adottata, infatti, al termine del giudizio di merito per le questioni che non sono state oggetto di conciliazione. Se, Pag. 52invece, la data di udienza non è fissata, provvede il Presidente di sezione con apposito decreto.
  Il nuovo comma 4 dell'articolo 48 stabilisce che la conciliazione si perfeziona con la sottoscrizione dell'accordo; detto accordo costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute. A differenza della vigente disciplina, il perfezionamento dell'accordo avviene non più con il versamento dell'importo totale dovuto o della prima rata, bensì con la mera sottoscrizione dell'accordo.
  In sostanza, si stabilisce il principio secondo cui l'intervenuto accordo ha efficacia novativa del precedente rapporto, con la conseguenza che il mancato pagamento delle somme dovute dal contribuente porterà solo alla iscrizione a ruolo del nuovo credito derivante dall'accordo stesso. In caso di mancato pagamento delle somme dovute dall'ente impositore vale invece quanto già detto per l'accordo di mediazione, di cui all'articolo 17-bis in ordine al concetto di titolo esecutivo.
  La lettera t) inserisce nel decreto legislativo n. 546 gli articoli 48-bis (relativo alla conciliazione in udienza) e 48-ter (relativo alla definizione e al pagamento delle somme dovute a titolo di imposta e di sanzioni).
  Il nuovo articolo 48-bis, al comma 1 (conciliazione in udienza) riconosce a ciascuna delle parti la possibilità, entro il termine di dieci giorni prima della data fissata per l'udienza di discussione, di presentare alla Commissione tributaria l'istanza per la conciliazione totale o parziale della controversia.
  Ai sensi del comma 2 del nuovo articolo 48-bis il giudice, ove ritenga che sussistano i presupposti di ammissibilità dell'istanza (ammissibilità del ricorso introduttivo, imposte di competenza della Commissione tributaria, esistenza del potere di conciliare), invita le parti alla conciliazione; qualora l'accordo conciliativo non si realizzi alla prima udienza di trattazione, il giudice può comunque concedere alle parti un rinvio e fissare una nuova successiva udienza, per l'eventuale perfezionamento dell'accordo conciliativo ovvero, in mancanza, per la discussione della causa nel merito.
  Il comma 3 del nuovo articolo 48-bis dispone che la conciliazione risulti da apposito processo verbale nel quale sono indicate le somme dovute a titolo d'imposta, di sanzioni e interessi; detto verbale costituisce titolo per la riscossione delle somme dovute all'ente impositore e per il pagamento delle somme dovute al contribuente.
  In base al comma 4 del nuovo articolo 48-bis, in caso di avvenuta conciliazione in udienza, il giudizio si chiude con sentenza di cessata materia del contendere.
  Il nuovo articolo 48-ter disciplina il pagamento delle somme dovute a titolo di conciliazione, stabilendo la percentuale delle sanzioni dovute, le modalità di versamento e di recupero delle somme non versate. Le norme ivi introdotte sono comuni alla conciliazione perfezionatasi in udienza e fuori udienza.
  In particolare, ai sensi del comma 1 del predetto articolo 48-ter, in caso di conciliazione le sanzioni amministrative si applicano nella misura del quaranta per cento del minimo previsto dalla legge se la conciliazione si perfeziona nel corso del primo grado di giudizio e nella misura del cinquanta per cento se la conciliazione si perfeziona nel corso del secondo grado di giudizio (in luogo dell'attuale misura, pari al quaranta per cento delle somme irrogabili in rapporto dell'ammontare del tributo risultante dalla conciliazione e, in ogni caso, in misura non inferiore al quaranta per cento dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo).
  Il comma 2 del nuovo articolo 48-ter dispone che il versamento dell'intero importo o della prima rata deve essere effettuato entro venti giorni dalla data di sottoscrizione dell'accordo per la conciliazione fuori udienza, ovvero della redazione del processo verbale per la conciliazione in udienza.
  Il comma 3 del nuovo articolo 48-ter prevede che, in caso di mancato pagamento delle somme dovute, ovvero anche Pag. 53di una sola delle rate diverse dalla prima entro il termine di pagamento della rata successiva, si provvede all'iscrizione a ruolo delle residue somme dovute e della sanzione del trenta per cento dell'importo residuo dovuto (di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 471 del 1997), applicata in misura doppia.
  Il comma 4 dell'articolo 48-ter prevede che per il versamento si applicano le disposizioni, anche di carattere sanzionatorio, previste dall'articolo 8 del decreto legislativo n. 218 del 1997, in tema di accertamento con adesione.
  Rammenta al riguardo che il già richiamato Atto del Governo n. 185 in materia di riscossione, anch'esso all'esame della Commissione, intende integralmente sostituire il predetto articolo 8 del decreto legislativo n. 218 del 1997.
  Il comma 1, lettera u), modifica l'articolo 49 del decreto legislativo n. 546, al fine di consentire l'applicazione alle impugnazioni delle sentenze delle commissioni tributarie di tutte le disposizioni sull'appello civile contenute nel titolo III, capo I, del libro II del codice di procedura civile, ivi incluso l'articolo 337, ai sensi del quale l'esecuzione della sentenza non è sospesa per effetto della sua impugnazione (principio di esecutività della sentenza civile) in precedenza incompatibile col processo tributario. L'eliminazione dell'inciso che fa riferimento a detto articolo consegue alle modifiche disposte con il provvedimento in esame in materia di esecutività delle sentenze tributarie.
  La lettera v) riformula l'articolo 52 del decreto legislativo n. 546, in materia di esecuzione provvisoria delle sentenze del giudice tributario.
  Il vigente articolo 52 si limita a statuire che la sentenza della commissione provinciale può essere appellata alla commissione regionale competente. Tale previsione viene mantenuta; per effetto delle norme in commento sono aggiunti ulteriori commi al predetto articolo 52.
  Il nuovo comma 2 del predetto articolo 52 consente all'appellante di chiede alla commissione regionale di sospendere in tutto o in parte l'esecutività della sentenza impugnata, se sussistono gravi e fondati motivi (al pari dell'articolo 283 del codice di procedura civile).
  Il contribuente può comunque chiedere la sospensione dell'esecuzione dell'atto se da questa può derivargli un danno grave e irreparabile; la sospensione dell'atto impugnato resta subordinata all'esistenza di un danno grave e irreparabile, cioè agli stessi presupposti previsti dall'articolo 47 per la sospensione in primo grado.
  La sentenza di primo grado diventa, dunque, immediatamente esecutiva.
  Il nuovo comma 3 dell'articolo 52 prevede che il presidente fissi con decreto la trattazione della istanza di sospensione per la prima camera di consiglio utile disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni liberi prima.
  Ove vi sia eccezionale urgenza ai sensi del nuovo comma 4 dell'articolo 52 il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la sospensione dell'esecutività della sentenza fino alla pronuncia del collegio (pronuncia inaudita altera parte).
  Il nuovo comma 5 dell'articolo 52 stabilisce che il collegio, sentite le parti in camera di consiglio e delibato il merito, provvede con ordinanza motivata non impugnabile.
  In base al nuovo comma 6 dell'articolo 52 la sospensione può essere subordinata alla prestazione di garanzia di cui all'articolo 69 comma 2, come modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera gg), dello schema). In particolare, la determinazione di detta garanzia è demandata a un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, che disciplina la durata ed il termine entro il quale essa può venire escussa, nel caso di inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite, protrattasi per tre mesi.
  È prevista l'applicazione dell'articolo 47, comma 8-bis, come modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera r), dello schema: durante il periodo di sospensione cautelare si applicano gli interessi al tasso di cui all'articolo 6 del decreto ministeriale 21 maggio 2009, ovvero gli interessi dovuti per ritardato pagamento.Pag. 54
  Il nuovo comma 7 dell'articolo 52 prevede che la sospensione della esecutività della sentenza favorevole al contribuente consente la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del giudizio di primo grado, analogamente a quanto avviene nel giudizio amministrativo, in cui la sospensione della esecutività della sentenza del T.A.R. da parte del Consiglio di Stato fa rivivere l'esecutività dell'atto annullato con la sentenza sospesa.
  La Relazione illustrativa dello schema chiarisce che il ripristino della esigibilità dell'atto per effetto della sospensione della sentenza che lo ha ritenuto illegittimo, si impone anche per rispettare il principio di parità delle parti. Al contribuente è infatti consentito ottenere la sospensione degli effetti dell'atto impugnato pur dopo una sentenza di merito che lo ha confermato rendendo in tal modo tale decisione come «tanquam non esset». Parallelamente la sospensione della sentenza di annullamento dell'atto ottenuta dall'ente impositore sarà idonea a ripristinare l'esecutività (parziale o totale, a seconda del regime di riscossione graduale del tributo) dell'atto impugnato.
  Segnala come la Relazione chiarisca altresì che non si è ritenuto necessario, infine, prevedere espressamente che in caso di sospensione l'ente impositore non è tenuto, a norma dell'articolo 68, comma 2, a restituire le somme medio tempore riscosse, trattandosi di un effetto naturale della sospensione della sentenza.
  La lettera z) modifica l'articolo 62 del decreto legislativo n. 546, in materia di norme applicabili al giudizio per Cassazione.
  Accanto a modifiche puramente formali, si aggiunge nel predetto articolo 62 un nuovo comma 2-bis, prevedendo che sull'accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale (dunque di primo grado) può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell'articolo 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile, ovvero per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro.
  Viene introdotto il ricorso «per saltum» (saltando dunque il secondo grado di giudizio) anche nel processo tributario, con un intento di deflazione del contenzioso, rilevando come si intenda consentire tempi brevi una pronuncia della Corte di Cassazione su questioni giuridiche, non appena sorte in primo grado.
  La lettera aa) introduce un nuovo articolo 62-bis nel decreto legislativo n. 546, in materia di esecuzione provvisoria delle sentenze impugnate per cassazione.
  Ai sensi del comma 1 del nuovo articolo 62-bis, la sospensione parziale o totale della sentenza può essere chiesta da chi ha proposto ricorso in cassazione, subordinatamente all'esistenza di un danno grave ed irreparabile. La Relazione illustrativa sul punto chiarisce che la formulazione della norma proposta è analoga a quella contenuta nell'articolo 373 del codice penale; si attribuisce rilievo al solo periculum in mora senza possibilità di valutare il cosiddetto fumus boni iuris, coerentemente alla natura della sospensione della sentenza d'appello, richiesta allo stesso giudice che non deciderà però il merito della causa.
  Il rito è analogo al già commentato nuovo articolo 52, così come identica è la previsione dell'ultimo comma, secondo cui la sospensione della esecutività della sentenza favorevole al contribuente consente la riscossione delle somme esigibili nella pendenza del giudizio di primo grado.
  La Relazione illustrativa sul punto chiarisce che il ripristino della esecutività riferibile alla pendenza del giudizio di primo grado trova una duplice ratio: in primo luogo per il cosiddetto effetto devolutivo dell'appello, che comporta la definitiva sostituzione della sentenza di primo grado, come confermato anche dagli artt. 393 del codice di procedura civile e 63 (come modificato) del decreto, i quali prevedono che in caso di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione della sentenza di appello, se il processo non viene riassunto si estingue l'intero giudizio (e non passa in giudicato la sentenza di primo grado). In secondo luogo, viene ravvisata una esigenza di Pag. 55semplificazione. La scelta fatta è, inoltre, coerente con quanto previsto per i casi di annullamento con rinvio da parte della Cassazione, che producono i medesimi effetti «ripristinatori» della esecutività dell'atto nella pendenza in primo grado.
  Viene ribadito che anche in tale ipotesi sono dovuti gli interessi per ritardato pagamento.
  La lettera bb) modifica l'articolo 63 del decreto legislativo n. 546, in materia di giudizio di rinvio.
  Per effetto delle modifiche al comma 1 dell'articolo 63, il termine per la riassunzione del giudizio dopo la cassazione con rinvio della sentenza è stato ridotto da un anno a sei mesi.
  La lettera cc) modifica l'articolo 64, comma 1, del decreto legislativo n. 546, in materia di sentenze revocabili e giudizio di revocazione.
  Le norme vigenti prevedono che contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto, e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate, sia ammessa la revocazione ai sensi delle norme del codice di procedura civile.
  Con la riformulazione del primo comma viene statuito che le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado dalle commissioni tributarie possono essere impugnate per revocazione secondo le norme del codice di procedura penale, eliminando il riferimento agli accertamenti di fatto ed alla ulteriore impugnabilità.
  La lettera dd) modifica l'articolo 65 del decreto legislativo n. 546, in materia di impugnazione delle sentenze per revocazione.
  In particolare viene inserito un nuovo comma 3-ter, ai sensi del quale le parti possono proporre istanze cautelari ai sensi delle disposizioni di cui all'articolo 52, in quanto compatibili. Viene così attuato il principio di delega che consente di estendere il più possibile l'ambito applicativo delle misure cautelari nel giudizio. La scelta del legislatore delegato – come spiegato dalla Relazione illustrativa – è di rinviare alla disciplina della tutela cautelare prevista per le sentenze di primo grado, in luogo della più limitata tutela dell'introdotto articolo 62-bis, poiché la revocazione – a differenza del ricorso per cassazione – viene decisa nel merito dalla stessa Commissione.
  La lettera ee) inserisce un nuovo articolo 67-bis nel decreto legislativo n. 546, ai sensi del quale si chiarisce che le sentenze emesse dalle commissioni tributarie sono esecutive.
  La lettera ff) modifica l'articolo 68 del decreto legislativo n. 546. In particolare, viene introdotta nel comma 1 del citato articolo 68 una nuova lettera c-bis), precisando che, ove è prevista la riscossione frazionata del tributo oggetto di giudizio davanti alle commissioni, l'imposta con i relativi interessi deve essere pagata per l'ammontare dovuto nella pendenza del giudizio di primo grado dopo la sentenza della corte di cassazione di annullamento con rinvio, e per l'intero importo indicato nell'atto, in caso di mancata riassunzione.
  Viene così chiarito il potere degli enti impositori di riscuotere il tributo dopo una sentenza della Corte di Cassazione di annullamento con rinvio; la mancanza di tale norma, come a proposito viene riferito nella Relazione illustrativa, oggi porta gli uffici ad agire in modo diversificato (talvolta con la iscrizione a ruolo dell'intero importo). Scelta del legislatore è di consentire la riscossione del tributo nella misura prevista nella pendenza del giudizio di primo grado.
  In sostanza, in caso di omessa riassunzione dopo il rinvio, si estingue l'intero giudizio e diventa definitivo l'atto originariamente impugnato.
  Viene inoltre integrato il comma 2 del predetto articolo 68 con la previsione che, in caso di mancata esecuzione del rimborso, il contribuente può richiedere l'ottemperanza a alla commissione tributaria provinciale ovvero, se il giudizio è pendente nei gradi successivi, alla commissione tributaria regionale.
  La lettera gg) sostituisce l'articolo 69 del decreto legislativo n. 546, in materia di esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente.Pag. 56
  Il vigente articolo 69 disciplina l'ipotesi di condanna dell'amministrazione finanziaria o del concessionario del servizio di riscossione, con sentenza passata in giudicato, disponendone la spedizione in forma esecutiva.
  Con le modifiche recate dalla disposizione l'articolo 69 viene riscritto e rubricato «Esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente».
  Il nuovo comma 1 dell'articolo 69 dispone l'immediata esecutività delle sentenze di condanna in favore del contribuente, il cui pagamento può essere subordinato dal giudice alla prestazione di idonea garanzia, ove superi l'importo di 10.000 euro, diverse dalle spese di lite anche tenuto conto delle condizioni di solvibilità del contribuente.
  Il nuovo comma 2 dell'articolo 69 demanda a un apposito decreto ministeriale la disciplina della garanzia, sulla base di quanto previsto dall'articolo 38-bis, comma 5, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 per rimborsi IVA superiori a 15.000 euro. La disciplina dovrà prevedere la durata della garanzia, nonché il termine entro il quale può essere escussa, a seguito dell'inerzia del contribuente in ordine alla restituzione delle somme garantite protrattasi per un periodo di tre mesi.
  Il nuovo comma 3 dell'articolo 69 prevede che i costi della garanzia, anticipati dal contribuente, sono a carico della parte soccombente all'esito definitivo del giudizio, mentre il nuovo comma 4 prevede che il pagamento delle somme dovute a seguito della sentenza deve essere eseguito entro novanta giorni dalla sua notificazione ovvero dalla presentazione della garanzia di cui al comma 2, se dovuta.
  Il nuovo comma 5 dell'articolo 69 consente l'ottemperanza nei casi di inerzia dell'Amministrazione al rimborso.
  Il termine di esecuzione della sentenza di condanna in favore del contribuente è dunque di 90 giorni, a cui vanno aggiunti gli eventuali ulteriori 30 giorni necessari per l'ottemperanza. Pertanto il termine complessivo arriva a 120 giorni e corrisponde a quello previsto in via generale dall'articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 669 del 1996 per l'esecuzione delle decisioni civili nei confronti di soggetti pubblici.
  La lettera hh) apporta modifiche all'articolo 70 del decreto legislativo n. 546, in materia di ottemperanza.
  Il vigente comma 1 del predetto articolo 70 prevede che, salvo quanto previsto dalle norme di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, la parte che vi ha interesse, può richiedere l'ottemperanza agli obblighi derivanti dalla sentenza della commissione tributaria passata in giudicato mediante ricorso da depositare in doppio originale alla segreteria della commissione tributaria provinciale, qualora la sentenza passata in giudicato sia stata da essa pronunciata, e in ogni altro caso alla segreteria della commissione tributaria regionale.
  Con le modifiche recate dalla disposizione viene soppresso l'inciso che fa salvo quanto previsto dal codice di procedura civile per l'esecuzione forzata della sentenza di condanna costituente titolo esecutivo, in quanto, come ricorda, viene previsto in via esclusiva il rimedio del giudizio di ottemperanza.
  Con le modifiche al comma 2 dell'articolo 70 viene precisato che l'ottemperanza può essere richiesta oltre che verso l'ente impositore, anche nei confronti dell'agente della riscossione o del soggetto privato concessionario (iscritto nell'albo di cui all'articolo 53 del decreto legislativo n. 446 del 1997).
  Le modifiche ai commi 4, 5 e 7 dell'articolo 70 hanno per finalità di coordinamento con le modifiche apportate dal presente provvedimento ovvero per aggiornamento alle modifiche apportate ad altre disposizioni vigenti cui rinvia.
  Inoltre viene inserito un nuovo comma 10-bis nello stesso articolo 70, ai sensi del quale per il pagamento di somme dell'importo fino a 10.000 euro e, comunque, per il pagamento delle spese di giudizio, il ricorso è deciso dalla commissione in composizione monocratica.Pag. 57
  Passa quindi a illustrare l'articolo 10 dello schema, il quale apporta le modifiche di coordinamento conseguenti alla nuova disciplina del contenzioso.
  Il comma 1 modifica l'articolo 63 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 sulla rappresentanza in giudizio dei contribuenti, sostituendo in particolare i commi da terzo a quinto del medesimo articolo.
  Per quanto riguarda le novità concernenti il comma terzo, in primo luogo viene ampliato il novero dei soggetti che possono ottenere l'autorizzazione dal Ministero dell'economia e delle finanze: essa può essere rilasciata non solo ai dipendenti dell'amministrazione finanziaria (Ministero dell'economia e delle finanze, Agenzie delle entrate e delle dogane e dei monopoli) e della Guardia di Finanza, ma anche quelli degli altri enti impositori (ad esempio: regioni, province, comuni).
  Sono modificati anche i requisiti per ottenere detta autorizzazione, che viene rilasciata in presenza di:
   1) cessazione dall'impiego a qualsiasi titolo (dimissioni e pensionamento), in luogo del solo collocamento a riposo;
   2) effettivo servizio per almeno venti anni, con l'introdotta precisazione per cui gli ultimi dieci anni nell'esercizio di «attività connesse ai tributi», come ad esempio verifiche fiscali, attività di accertamento e riscossione dei tributi erariali e locali.

  Viene chiarito che l'individuazione delle «attività connesse ai tributi» deve avvenire con lo stesso decreto del Ministro dell'Economia e delle finanze da adottarsi ai sensi del novellato articolo 12, comma 4, (che disciplina, tra l'altro, la tenuta dell'elenco dei soggetti autorizzati all'attività di assistenza tecnica).
  Infine, per di consentire al Ministero di effettuare un controllo sul rispetto dei principi di deontologia professionale da parte degli iscritti al citato elenco, è previsto che l'autorizzazione possa essere revocata o sospesa, con provvedimento motivato nelle ipotesi che verranno individuate nel decreto stesso.
  Con le modifiche al comma 4 del predetto articolo 63 viene introdotto il divieto di esercitare attività di assistenza e rappresentanza durante i due anni successivi alla data di cessazione dell'impiego.
  Con le novelle al comma 5 del medesimo articolo 63 si provvede ad aggiornare l'entità della sanzione irrogabile in caso di esercizio delle funzioni in violazione di quanto previsto nella disposizione. La nuova sanzione amministrativa è prevista da un minimo di 1.000 euro a un massimo di 5.000 euro (in precedenza la forbice era da cinquantamila a cinquecentomila lire).
  Il comma 2 dell'articolo 10 modifica l'articolo 14, comma 3-bis, del decreto legislativo n. 115 del 2002 in materia di spese di giustizia, modifica di coordinamento reputata necessaria per le novelle apportate all'articolo 12 del decreto legislativo n. 546.
  Il comma 3 dell'articolo 10 apporta alcune modifiche al decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, in materia di sanzioni amministrative tributarie.
  Al riguardo rammenta che l'Atto del Governo n. 183, all'esame delle Commissioni parlamentari II e VI, riforma – attuando la delega contenuta nella legge n. 23 del 2014 – la disciplina e l'impianto sanzionatorio amministrativo tributario.
  In particolare, il comma 3, lettera a), apporta modifiche al comma 3 dell'articolo 19, per adeguare la disposizione in materia di tutela cautelare con il richiamo alla garanzia di cui all'articolo 69, comma 2, del decreto legislativo n. 546. Le modifiche apportate al comma 6 dell'articolo 19 invece riguardano l'applicabilità delle disposizioni contenute nell'articolo 68, comma 2, del medesimo decreto (in materia di esecuzione delle sentenze).
  La lettera b) del comma 3 modifica l'articolo 22 del richiamato decreto legislativo n. 472 del 1997, in materia di ipoteca e sequestro conservativo.
  In sintesi, in base all'atto di contestazione, al provvedimento di irrogazione della sanzione o al processo verbale di constatazione e dopo la loro notifica, l'ufficio o l'ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, Pag. 58può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale l'iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido e l'autorizzazione a procedere, a mezzo di ufficiale giudiziario, al sequestro conservativo dei loro beni, compresa l'azienda.
  Ricorda al riguardo che il comma 3 del citato articolo 22 del decreto legislativo n. 472 prevede che il presidente fissi con decreto la trattazione dell'istanza per la prima camera di consiglio utile, disponendo che ne sia data comunicazione alle parti almeno dieci giorni prima. Per effetto delle modifiche in commento, viene chiarito che, ove la notifica debba effettuarsi all'estero, il termine è elevato a trenta giorni (ovvero è triplicato).
  Viene sostituito integralmente il comma 4 del medesimo articolo 22, sulla possibilità di adottare il provvedimento cautelare inaudita altera parte. Le norme vigenti subordinano tale provvedimento all'ipotesi di eccezionale urgenza o di pericolo nel ritardo; il presidente, ricevuta l'istanza, provvede con decreto motivato. Contro il decreto è ammesso reclamo al collegio entro trenta giorni. Il collegio, sentite le parti in camera di consiglio, provvede con sentenza.
  Con le modifiche recate dalla disposizione il presupposto per l'adozione di tale provvedimento è la possibilità che la convocazione della controparte pregiudichi l'attuazione del provvedimento; resta fermo che il presidente provvede con decreto motivato, precisando che in tal caso sono assunte, ove occorra, sommarie informazioni. In tal caso fissa la camera di consiglio entro un termine non superiore a trenta giorni, assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a quindici giorni per la notificazione del ricorso e del decreto. In tale udienza la commissione, con sentenza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto.
  Viene inoltre soppresso il comma 5 dell'articolo 22, che disciplina la presentazione delle istanze di tutela cautelare agli organi di giurisdizione ordinaria, in quanto la materia delle sanzioni tributarie è ormai tutta devoluta alla cognizione delle commissioni tributarie, a seguito delle modifiche introdotte nel 2002 all'articolo 2 del decreto legislativo n. 546 del 1992 (articolo 12 della legge n. 448 del 2001).
  Le modifiche al comma 6 dell'articolo 22 hanno anch'esse finalità di coordinamento formale con le nuove norme (in particolare con le disposizioni in materia di garanzia).
  Con la sostituzione del comma 7 dell'articolo 22 sono ridisciplinate le ipotesi in cui i provvedimenti cautelari (ipoteca e sequestro conservativo) perdono efficacia. In particolare, si aggiunge un'ulteriore causa di perdita di efficacia, che si verifica qualora essi non sono eseguiti nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.
  Illustra l'articolo 11 dello schema, il quale reca norme sulla funzionalità della giurisdizione tributaria, a tal fine modificando il decreto legislativo n. 545 del 1992, relativo all'ordinamento degli organi speciali di giurisdizione tributaria.
  La norma dà attuazione all'articolo 10 della legge n. 23 del 2014, il quale reca, in primo luogo, la delega per il rafforzamento della tutela giurisdizionale del contribuente, da perseguire sia mediante la razionalizzazione dell'istituto della conciliazione nel processo tributario, anche in un'ottica di deflazione del contenzioso, sia tramite l'incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria.
  In particolare, ai sensi del comma 1, lettera b), dell'articolo 10 della legge n. 23, l'incremento della funzionalità della giurisdizione tributaria deve essere perseguito, in particolare, attraverso interventi riguardanti, tra l'altro:
   la distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie;
   l'eventuale composizione monocratica dell'organo giudicante in relazione a controversie di modica entità e comunque non attinenti a fattispecie connotate da particolari complessità o rilevanza economico-sociale, con conseguente regolazione, secondo i criteri propri del processo civile, Pag. 59delle ipotesi di inosservanza dei criteri di attribuzione delle controversie alla cognizione degli organi giudicanti monocratici o collegiali, con connessa disciplina dei requisiti di professionalità necessari per l'esercizio della giurisdizione in forma monocratica;
   l'attribuzione e la durata, anche temporanea e rinnovabile, degli incarichi direttivi;
   i criteri di determinazione del trattamento economico spettante ai componenti delle commissioni tributarie;
   la semplificazione e razionalizzazione della disciplina relativa al meccanismo di elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, in particolare attraverso la concentrazione delle relative competenze e funzioni direttamente in capo al Consiglio medesimo e la previsione di forme e modalità procedimentali idonee ad assicurare l'ordinato e tempestivo svolgimento delle elezioni;
   il rafforzamento della qualificazione professionale dei componenti delle commissioni tributarie, al fine di assicurarne l'adeguata preparazione specialistica;
   il rafforzamento del contenuto informativo della relazione ministeriale sull'attività delle commissioni tributarie.

  La lettera d) del comma 1 impone il rafforzamento, l'aggiornamento, l'informatizzazione e la condivisione tra gli uffici competenti dei meccanismi di monitoraggio e analisi statistica circa l'andamento, in pendenza di giudizio, e circa gli esiti del contenzioso tributario, al fine di assicurare la tempestività, l'omogeneità e l'efficacia delle scelte dell'amministrazione finanziaria in merito alla gestione delle controversie, nonché al fine di verificare la necessità di eventuali revisioni degli orientamenti interpretativi dell'amministrazione stessa, ovvero di interventi di modifica della normativa tributaria vigente.
  Rileva al riguardo come lo schema in esame non rechi l'attuazione del principio di delega concernente la distribuzione territoriale dei componenti delle commissioni tributarie, né l'eventuale composizione monocratica dell'organo giudicante in relazione a specifiche controversie.
  Il comma 1, lettera a), dell'articolo 11 dello schema – modificando il comma 1 dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 545 del 1992 – introduce il principio della rotazione degli incarichi. In particolare, l'incarico del presidente delle commissioni provinciali e regionali ha durata quadriennale ed è rinnovabile per una sola volta, previa valutazione positiva da parte del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria dell'attività svolta nel primo triennio del quadriennio iniziale.
  Con proprio regolamento – da emanare entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto (ai sensi dell'articolo 11, comma 2, dello schema) – il Consiglio di presidenza stabilisce il procedimento e le modalità di tale valutazione, garantendo la previa interlocuzione con l'interessato.
  Viene chiarito inoltre che il presidente non può essere nominato tra soggetti che raggiungeranno l'età pensionabile entro i tre anni successivi alla nomina.
  Il nuovo comma 1-bis dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 545 del 1992, introdotto dal medesimo comma 1, lettera a), dell'articolo 11 dello schema, prevede che, in caso di valutazione negativa e comunque dopo otto anni di esercizio delle funzioni di presidente, il giudice tributario è riassegnato a sua richiesta, salvo tramutamento all'esercizio di funzioni analoghe o diverse, all'incarico di presidente di sezione nella commissione tributaria a cui era preposto ovvero in quella di precedente provenienza.
  Segnala che l'articolo 12, comma 4, dello schema prevede che nel computo del periodo di otto anni per la durata in carica del presidente delle commissioni provinciali e regionali, per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, si tenga conto anche del periodo maturato alla medesima data nelle relative funzioni.
  La lettera b) del comma 1 dell'articolo 11 dello schema modifica il comma 1 Pag. 60dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 545, affidando ad un provvedimento del Consiglio di Presidenza l'istituzione di sezioni specializzate in relazione a questioni controverse.
  Ai sensi del nuovo comma 1-bis del predetto articolo 6 del decreto legislativo n. 545, l'assegnazione da parte del presidente della Commissione tributaria deve tener conto, preliminarmente, della istituzione delle sezioni specializzate per materia, all'interno delle quali si applicheranno i criteri cronologici e casuali.
  La lettera c) del comma 1 dell'articolo 11 dello schema modifica l'articolo 7 del decreto legislativo n. 545, introducendo tra i requisiti generali per i componenti delle commissioni tributarie il possesso di laurea magistrale o quadriennale.
  Ai sensi del predetto articolo 7, gli altri requisiti sono: essere cittadini italiani; avere l'esercizio dei diritti civili e politici; non aver riportato condanne per delitti comuni non colposi o per contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari e non essere stati sottoposti a misure di prevenzione o di sicurezza; non avere superato, alla data di scadenza del termine stabilito nel bando di concorso per la presentazione della domanda di ammissione, settantadue anni di età; avere idoneità fisica e psichica.
  La lettera d) del comma 1 modifica l'articolo 8 del decreto legislativo n. 545, in materia di incompatibilità, integrando la definizione di incompatibilità di cui alla lettera h) laddove si fa riferimento a coloro che ricoprono incarichi direttivi o esecutivi nei partiti politici, includendovi il riferimento ai movimenti. È inoltre specificato che non possono essere componenti delle commissioni tributarie coloro che svolgono attività di consulenza tributaria non solo direttamente ma anche indirettamente, attraverso forme associative.
  Per quanto concerne la disciplina dell'incompatibilità, ricorda che l'articolo 39 del decreto-legge 98 del 2011 ha rafforzato le cause di incompatibilità dei giudici tributari e incrementato la presenza nelle Commissioni tributarie regionali di giudici togati. In particolare, le nuove norme sanciscono che sono incompatibili con l'esercizio delle funzioni di giudice tributario coloro che in qualsiasi forma esercitano la consulenza tributaria, detengono le scritture contabili e redigono i bilanci, ovvero svolgono attività di consulenza, assistenza o di rappresentanza, a qualsiasi titolo e anche nelle controversie di carattere tributario. Sono altresì incompatibili con il ruolo di giudice tributario coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli, e il relativo personale dipendente, individuati nell'articolo 12 del decreto legislativo n. 546 del 1992 – che disciplina l'assistenza tecnica – ed esercitano, anche in forma non individuale, le attività individuate in precedenza, nonché i coniugi, i conviventi o i parenti fino al secondo grado o gli affini in primo grado di coloro che sono iscritti in albi professionali, ovvero esercitano le attività sopraindicate nella regione e nelle province confinanti. Infine, non possono essere componenti dello stesso collegio giudicante, oltre a coniugi, parenti e affini entro il quarto grado, i conviventi.
  La lettera e) modifica l'articolo 9 del decreto legislativo n. 545, intervenendo sull'iter di nomina dei giudici con l'intento di ridurre i tempi delle relative procedure amministrative. Il previsto decreto del Presidente della Repubblica viene ora limitato esclusivamente all'immissione nel ruolo unico dei giudici tributari, mentre i trasferimenti e le progressioni in carriera avvengono con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze.
  La lettera f) modifica l'articolo 11 del decreto legislativo n. 545, in materia di durata dell'incarico e assegnazione degli incarichi per trasferimento, prevedendo che nei casi di necessità di servizio, il Ministro dell'economia e delle finanze può disporre, su richiesta del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria, l'anticipazione nell'assunzione delle funzioni nelle more del completamento dell'iter dei decreti di nomina.Pag. 61
  La lettera g) sostituisce l'articolo 15 del decreto legislativo n. 545, in materia di vigilanza e sanzioni disciplinari.
  In ordine alle funzioni di vigilanza, al nuovo comma 1 dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 545 viene precisato che il presidente di ciascuna commissione esercita il potere di vigilanza sui componenti e sulla qualità e l'efficienza dei servizi di segreteria, segnalandone le risultanze al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze, che conserva il compito istituzionale di adottare, anche a seguito della segnalazione del presidente, i provvedimenti organizzativi degli uffici di segreteria delle Commissioni tributarie necessari a garantire qualità ed efficienza dei relativi servizi. Resta ferma la vigilanza del presidente di ciascuna commissione tributaria regionale sull'attività giurisdizionale delle commissioni provinciali e sui loro componenti.
  Con i nuovi commi da 2 a 7 del predetto articolo 15 si elencano le sanzioni disciplinari irrogabili, sulla scorta di quelle già previste per i giudici ordinari. In particolare, si prevedono le seguenti sanzioni disciplinari: l'ammonimento, la censura, la sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni, l'incapacità ad esercitare un incarico direttivo e la rimozione dall'incarico, tipizzando le condotte punibili per ciascuna sanzione:
   si applica la sanzione dell'ammonimento per lievi trasgressioni (comma 3);
   si applica la sanzione non inferiore alla censura (comma 4), per:
    a) i comportamenti che, violando i doveri d'ufficio, arrecano ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti;
    b) la consapevole inosservanza dell'obbligo di astensione nei casi previsti dalla legge;
    c) i comportamenti che, a causa dei rapporti esistenti con i soggetti coinvolti nel procedimento o a causa di avvenute interferenze, costituiscano violazione del dovere di imparzialità;
    d) i comportamenti abitualmente o gravemente scorretti nei confronti delle parti, dei loro difensori, o di chiunque abbia rapporti con il giudice nell'ambito della Commissione tributaria, ovvero nei confronti di altri giudici o di collaboratori;
    e) l'ingiustificata interferenza nell'attività giudiziaria di altro giudice;
    f) l'omessa comunicazione al Presidente della Commissione tributaria da parte del giudice destinatario delle avvenute interferenze;
    g) il perseguimento di fini diversi da quelli di giustizia;
    h) la scarsa laboriosità, se abituale;
    i) la grave o abituale violazione del dovere di riservatezza;
    l) l'uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti;
   si applica la sanzione non inferiore alla sospensione dalle funzioni per un periodo da un mese a due anni (comma 5), per:
    a) il reiterato o grave ritardo nel compimento degli atti relativi all'esercizio delle funzioni;
    b) i comportamenti che, violando i doveri d'ufficio, arrecano grave e ingiusto danno o indebito vantaggio a una delle parti;
    c) l'uso della qualità di giudice tributario al fine di conseguire vantaggi ingiusti, se abituale e grave;
    d) la frequentazione di persona che consti essere stata dichiarata delinquente abituale, professionale o per tendenza o aver subìto condanna per delitti non colposi alla pena della reclusione superiore a tre anni o essere sottoposta ad una misura di prevenzione, salvo che sia intervenuta la riabilitazione, ovvero l'intrattenere rapporti consapevoli di affari con una di tali persone; Pag. 62
   si applica la sanzione dell'incapacità a esercitare un incarico direttivo per l'interferenza, nell'attività di altro giudice tributario, da parte del presidente della commissione o della sezione, se ripetuta o grave (comma 6);
   si applica la rimozione dall'incarico nei casi di recidiva in trasgressioni punite con la sospensione o con la sanzione dell'incapacità a esercitare un incarico direttivo (comma 7).

  La lettera h) del comma 1 dell'articolo 11 dello schema modifica l'articolo 21 del decreto legislativo n. 545, riguardante l'elezione del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
  Il comma 1 del novellato articolo 21 riguarda l'indizione delle elezioni, che hanno luogo entro quattro mesi (e non più tre mesi) dallo scadere del precedente Consiglio e sono indette con provvedimento del Presidente del Consiglio di presidenza, da pubblicare in Gazzetta Ufficiale almeno quarantacinque giorni prima della data stabilita per le elezioni (in luogo del decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale almeno trenta giorni prima della data stabilita) Non è riproposta la norma che prevedeva lo svolgimento in un giorno festivo dalle ore 9 alle ore 21.
  Il comma 2 del novellato articolo 21 disciplina la composizione dell'ufficio centrale elettorale e prevede che lo stesso è istituito presso lo stesso Consiglio di presidenza escludendo qualsiasi coinvolgimento delle strutture del Ministero dell'economia e delle finanze. Esso è costituito da un presidente di Commissione tributaria, che lo presiede, e da due giudici tributari. Con la stessa delibera sono nominati tre giudici supplenti.
  I commi da 2-bis a 2-quater del novellato articolo 21 regolamentano la presentazione delle candidature e l'accertamento dei relativi requisiti di legge da parte dell'Ufficio centrale.
  I commi 2-quinquies e 2-sexies del nuovo articolo 21 prevedono le modalità di svolgimento delle operazioni elettorali presso le sedi delle Commissioni tributarie provinciali e regionali, dove sono istituiti gli uffici elettorali locali. Da ultimo, il comma 2-septies demanda le disposizioni di attuazione del presente articolo ad un apposito regolamento emanato dal Consiglio di presidenza della giustizia tributaria.
  La lettera i) del comma 1 dell'articolo 11 dello schema sostituisce l'articolo 22 del decreto legislativo n. 545, in materia di votazioni.
  I commi 1 e 2 del novellato articolo 22 stabiliscono che ciascun elettore non può indicare più di tre candidati (in luogo degli attuali sei) e che il voto, personale e segreto, è espresso dal giudice tributario presso la sede di Commissione dove esercita la propria funzione giurisdizionale.
  I commi 3 e 4 novellato articolo 21 prevedono che le operazioni di scrutinio siano effettuate dagli uffici elettorali locali, che le attestano in apposito processo verbale e decidono a maggioranza sulle eventuali contestazioni sorte durante le operazioni di voto e su quelle in ordine alla validità delle schede.
  Ai sensi del comma 5 del novellato articolo 21, i verbali di scrutinio sono trasmessi dagli uffici elettorali locali all'ufficio centrale presso il Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per la proclamazione degli eletti.
  La lettera l) del comma 1 dell'articolo 11 dello schema modifica l'articolo 23 del decreto legislativo n. 545, in materia di proclamazione degli eletti e reclami. In particolare, al comma 1 – il quale stabilisce che l'ufficio elettorale centrale proclama eletti coloro che, nell'ambito di ciascuna categoria di eleggibili, hanno riportato il maggior numero di voti e che a parità di voti è eletto il più anziano di età – è previsto che i nominativi degli eletti debbano essere comunicati anche al Dipartimento delle finanze del Ministero dell'economia e delle finanze.
  Il nuovo comma 3-bis del predetto l'articolo 23 stabilisce che il presidente in carica convochi il Consiglio nella nuova composizione entro quindici giorni dall'emanazione Pag. 63del decreto del Presidente della Repubblica di costituzione del nuovo organo di autogoverno.
  Ai sensi del nuovo comma 3-ter del predetto l'articolo 23, fino all'insediamento del nuovo organo, il Consiglio uscente continua a svolgere le proprie attività, nonostante la scadenza del termine di durata di quattro anni.
  La lettera m) modifica l'articolo 24, comma 1, lettera h), del decreto legislativo n. 545, in materia di attribuzioni del Consiglio di presidenza, delegando a tale organo la funzione di aggiornamento professionale dei giudici tributari attraverso l'organizzazione di corsi di formazione permanente, sulla base di un programma di formazione annuale, comunicato al Ministero dell'economia e delle finanze entro il mese di ottobre dell'anno precedente lo svolgimento dei corsi.
  La lettera n) modifica l'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo n. 545, anticipando dal 31 dicembre al 30 ottobre di ciascun anno la data di presentazione, da parte del Ministro dell'economia e delle finanze relazione al Parlamento sullo stato della giustizia tributaria nell'anno precedente, che viene predisposta anche sulla base degli elementi forniti dal Consiglio di presidenza; viene specificato che particolare attenzione deve essere riservata alla durata dei processi e all'efficacia degli istituti deflattivi del contenzioso.
  Passando al Titolo III dello schema di decreto, segnala come l'articolo 12 rechi alcune norme transitorie.
  In particolare, il comma 1 dispone la decorrenza della disposizioni recate dallo schema di decreto a decorrere dal 1o gennaio 2016, ad eccezione dell'articolo 9, comma 1, lettere ee) e gg), dello schema, che entrano in vigore dal 1o gennaio 2017; tali lettere riguardano – rispettivamente – l’ immediata esecutività delle sentenze del giudice tributario e la nuova disciplina dell'esecuzione di sentenze di condanna in favore del contribuenti.
  Il comma 2 stabilisce che fino all'approvazione dei decreti ministeriali di attuazione dei novellati articoli 12, comma 4 (in materia di soggetti autorizzati a rappresentare in giudizio le parti private) e 69, comma 2 (in materia di garanzie) del decreto legislativo n. 546 del 1992, restano sono applicabili le previgenti disposizioni di cui ai predetti articoli 12 e 69.
  Ai sensi del comma 3, le disposizioni contenute nel comma 3 dell'articolo 16-bis del decreto legislativo n. 546 del 1992, relative alla possibilità di effettuare notificazioni tra le parti e successivo deposito presso la Commissione tributaria per via telematica, si applicano con decorrenza e modalità previste dai decreti di cui all'articolo 3, comma 3, del decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 23 dicembre 2013, n. 163, di attuazione del processo tributario telematico.
  Rammenta che il richiamato comma 3 affida a uno o più decreti del Ministero dell'economia e delle finanze, sentiti l'Agenzia per l'Italia Digitale e, limitatamente ai profili inerenti alla protezione dei dati personali, il Garante per la protezione dei dati personali, il compito di individuare le regole tecnico-operative per le operazioni relative all'abilitazione al Sistema Informativo della Giustizia Tributaria-S.I.Gi.T., alla costituzione in giudizio mediante deposito, alla comunicazione e alla notificazione, alla consultazione e al rilascio di copie del fascicolo informatico, all'assegnazione dei ricorsi e all'accesso dei soggetti coinvolti nel processo, nonché alla redazione e deposito delle sentenze, dei decreti e delle ordinanze. I medesimi decreti sono stabilite le regole tecnico-operative finalizzate all'archiviazione e alla conservazione dei documenti informatici, in conformità a quanto disposto dal codice dell'amministrazione digitale.
  Il comma 4 prevede che nel computo del periodo di otto anni per la durata in carica del presidente delle commissioni provinciali e regionali, per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, si tenga conto anche del periodo maturato alla medesima data nelle relative funzioni (articolo 2, comma 1, del Pag. 64decreto legislativo n. 545 del 1992, come sostituito dall'articolo 11, comma 1, lettera a), dello schema).
  L'articolo 13 reca le disposizioni finanziarie, prevedendo che agli oneri derivanti dall'articolo 9, comma 1, lettera gg), dello schema, che ridisciplina l'esecuzione delle sentenze di condanna in favore del contribuente, quantificati in 86 milioni di euro per ciascuno degli anni 2017 e 2018, si provvede mediante corrispondente riduzione della dotazione del fondo di cui all'articolo 16, comma 1, ultimo periodo, della legge n. 232 del 2014.

  Daniele CAPEZZONE, presidente, nessun altro chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.25.