CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 7 luglio 2015
477.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Giunta per il regolamento
COMUNICATO
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  Martedì 7 luglio 2015. — Presidenza della Presidente Laura BOLDRINI.

  La seduta comincia alle 19.50.

Comunicazioni della Presidente relative all'esame delle proposte di modifica al Regolamento Doc. II, n. 2 (Articolo 12: previsione del Codice etico della Camera dei deputati) e Doc. II, n. 11 (Articoli 1-bis e 12, comma 2-bis: nuove norme in materia di trasparenza e introduzione del Codice di condotta dei deputati).

  Laura BOLDRINI, Presidente, come preannunciato nella lettera dello scorso 18 giugno, ha ritenuto di convocare la Giunta per avviare l'esame delle proposte di modifica al Regolamento concernenti l'introduzione di un codice di condotta dei deputati. Di tale iniziativa ricorda di aver informato anche i Presidenti dei Gruppi affinché, in vista del dibattito in Giunta, all'interno di ciascun Gruppo e tra i Gruppi, si potesse avviare una riflessione al fine di giungere quanto prima ad una decisione della Camera su questo tema. Al riguardo, fa presente di aver ricevuto un positivo riscontro dal Presidente del Gruppo PD.
  Ricorda quindi di aver fatto riferimento, nella lettera, al convegno «Verso un codice di condotta dei parlamentari. Esperienze internazionali a confronto», che si è svolto alla Camera il 4 giugno scorso, in collaborazione con l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. Il convegno (cui erano stati invitati anche i membri della Giunta) ha visto la partecipazione di esperti italiani e stranieri e di componenti della Commissione per gli affari politici e la democrazia dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa. L'incontro è stata l'occasione per un dibattito, con il contributo delle esperienze straniere, sulle possibili misure per migliorare gli standard di etica pubblica del lavoro parlamentare e la percezione che di esso hanno i cittadini.
  Codici di condotta per i propri membri sono già stati adottati da numerose assemblee parlamentari nazionali e internazionali, come la stessa Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, il Parlamento europeo, il Bundestag tedesco, la House of Commons britannica, l’Assemblée Nationale francese.
  Quanto all'Italia, il tema è da tempo all'attenzione dell'opinione pubblica.
  Nel nostro ordinamento vi sono numerose norme volte ad assicurare la trasparenza e la correttezza della politica: dalle Pag. 4disposizioni per la pubblicità della situazione patrimoniale dei titolari di cariche elettive e di alcune cariche direttive, alle disposizioni sulla trasparenza delle spese elettorali dei parlamentari, alle norme sull'ineleggibilità e sull'incandidabilità, alle norme sui bilanci dei partiti, a quelle sul voto di scambio politico-mafioso e anticorruzione approvate in questa legislatura. Ricordo anche le disposizioni del Regolamento della Giunta delle elezioni sugli obblighi di dichiarazione delle cariche e, da ultimo, le modifiche apportate al Regolamento della Camera nella passata legislatura sui rendiconti dei Gruppi al fine di garantire la massima trasparenza nella gestione delle risorse finanziarie pubbliche (artt. 14, 15 e 15-ter).
  Tuttavia, come emerso dal Convegno, l'Italia sarà oggetto nel 2016 della valutazione del GRECO, l'organismo istituito dal Consiglio d'Europa nel 1999 per il contrasto alla corruzione, ed uno dei criteri di valutazione riguarderà proprio l'adozione da parte delle Camere di un codice deontologico per i propri membri. Si tratta dunque di mettersi in regola con tali parametri.
  L'odierna riunione della Giunta è dunque finalizzata anche ad avviare un percorso che possa condurre la Camera dei deputati ad allinearsi a dei parametri che formeranno oggetto di valutazione nel 2016.
  Ritiene quindi che la Camera non possa sottrarsi alla responsabilità di assumere un orientamento preciso su questo tema che è oggetto di tre specifiche proposte di modifica del Regolamento. Si tratta precisamente delle proposte: n. 2, di iniziativa della deputata Binetti e di altri, recante la previsione del Codice etico della Camera; n. 11, di iniziativa dei deputati Nicoletti ed altri, recante nuove norme in materia di trasparenza e introduzione del Codice di condotta dei deputati; n. 13, di iniziativa del deputato Melilla, presentata venerdì scorso, e recante il Codice per la trasparenza e la garanzia dell'autonomia dei deputati.
  Fa poi presente che a queste proposte se ne aggiunge un'altra, di iniziativa della Presidente Sereni (n. 12), che, pur non recando la previsione di un codice di condotta, interviene su una materia comunque connessa, e cioè quella dei rapporti dei deputati con i rappresentanti di interessi, disciplinando le attività di lobbying che si svolgono in Parlamento. Si tratta dunque di valutare se fare oggetto di esame congiunto anche tale proposta, tenendo però presente che la stessa materia è trattata in specifiche proposte di legge il cui iter è stato avviato al Senato.
  Dopo aver precisato di aver convocato la Giunta per avviare l'esame dei temi trattati nelle ricordate proposte di modifica al Regolamento con l'auspicio che esso possa svolgersi in un clima di massima condivisione, così da consentire alla Camera di dotarsi anch'essa al più presto di un codice di condotta dei suoi membri, invita i colleghi ad esprimere un primo orientamento, così anche da individuare un metodo idoneo a raggiungere questi obiettivi.

  Andrea GIORGIS ritiene che ogni iniziativa che contribuisca a contrastare la corruzione e a ricostruire il rapporto di fiducia tra il Parlamento e i cittadini meriti la massima condivisione. Il Gruppo del PD è dunque senz'altro disponibile a contribuire a questo lavoro. Si tratta tuttavia di scongiurare il rischio di individuare soluzioni che si rivelino, alla prova dei fatti, inefficaci. A tal fine reputa che una definizione dettagliata delle regole di condotta che si intendono codificare risulterebbe certamente più efficace rispetto all'introduzione di regole generiche o di meri principi.

  Gianni MELILLA, nel condividere pienamente l'iniziativa della Presidente, ricorda di aver partecipato personalmente al convegno svoltosi alla Camera il 4 giugno scorso. Dalle diverse esperienze internazionali poste a confronto in tale sede è emerso come la regolamentazione delle tematiche in oggetto corra un duplice rischio: quello cioè di essere eccessivamente generica e, dunque, inefficace, o, al contrario, quello di determinare una limitazione Pag. 5al libero esercizio del mandato parlamentare. In quest'ottica è dunque fondamentale che la soluzione che si intenderà individuare rappresenti un punto di equilibrio tra le diverse esigenze.
  A suo avviso, è importante intervenire a disciplinare compiutamente l'anagrafe patrimoniale degli eletti al Parlamento, i quali dovrebbero giustificare ogni emolumento percepito che non derivi dall'esercizio del mandato parlamentare. Si tratta poi di esaminare il diverso regime cui sono sottoposti, da un lato, i dipendenti pubblici che, una volta eletti, sono collocati in aspettativa e, dall'altro, i lavoratori autonomi che possono invece continuare ad esercitare la propria professione. Pur non essendo criticabile in sé, questo regime richiede tuttavia dei correttivi: il cittadino deve infatti poter conoscere gli eventuali conflitti di interessi nei quali i parlamentari che svolgono attività ulteriori rispetto a quella istituzionale si vengano a trovare: sia nel caso, in cui, ad esempio, svolgano consulenze presso enti dei quali si discute in Parlamento, sia nel caso in cui siano presidenti o membri di fondazioni destinatarie di finanziamenti.
  A tale proposito, la normativa tedesca ha un carattere molto stringente e da essa si potrebbe trarre più di uno spunto.
  Per tali ragioni, adottare un codice di comportamento dei parlamentari risulta necessario non soltanto perché tale specifico aspetto formerà oggetto di valutazione da parte del GRECO, ma anche perché la sua mancata adozione rappresenta un fatto grave.

  Pino PISICCHIO, nel ringraziare la Presidente per l'iniziativa assunta, auspica anch'egli un rapido esame delle questioni in oggetto che consenta alla Camera di dotarsi in tempi certi di un codice di condotta dei parlamentari. In tal modo, la Camera si verrebbe non solamente ad allineare a quei Parlamenti stranieri che si sono dotati questo strumento, ma si muoverebbe anche nel solco del dettato costituzionale che, all'articolo 54, prevede che i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche le esercitino «con disciplina e onore».
  In tale opera, però, è importante che, come anticipato dal collega Melilla, le soluzioni prescelte siano individuate e definite con equilibrio. Si tratta cioè di scongiurare il rischio di introdurre disposizioni eccessivamente generiche, ma anche eccessivamente dettagliate o tali da sovrapporsi a fattispecie penali. La normativa in questione deve cioè avere ad oggetto la definizione di quella «disciplina» e di quell’«onore» che la Costituzione richiede ai parlamentari.
  Da ultimo, osserva come il tema della corruzione (ed in questo senso depone, a suo avviso, l'esperienza della Giunta per le autorizzazioni) sia estraneo all'attività parlamentare e come difficilmente si possa immaginare che un'indagine abbia ad oggetto fatti corruttivi nei quali siano implicati deputati nell'esercizio dell'attività parlamentare.

  Mario CATANIA, nel ringraziare la Presidente per l'iniziativa assunta e nel condividere le finalità per le quali sono stati avviati i lavori della Giunta, osserva tuttavia come, allo stato, la dizione «codice etico» dei deputati abbia un elevato tasso di indeterminatezza.
  Come emerge chiaramente dagli atti del convegno tenutosi alla Camera lo scorso 4 giugno e dalle proposte di modifica regolamentare in discussione, le questioni sul tappeto sono molteplici: dalla disciplina dell'attività di lobby, a quella dei conflitti d'interesse, alla trasparenza della posizione patrimoniale e reddituale dei deputati, sino a sconfinare in ambiti propri del diritto penale.
  Si tratta dunque di fare chiarezza su quale sia l'oggetto della discussione: una cosa è infatti regolamentare l'attività di lobby che si interseca con l'attività parlamentare, altro è disciplinare la risoluzione di conflitti di interesse, altro ancora è definire per i soli parlamentari una disciplina che di fatto si sovrappone a quella penale.
  Appare inoltre necessario verificare se il Regolamento della Camera sia la fonte Pag. 6adatta a disciplinare tutte le fattispecie prima indicate, tenendo anche presente che, in relazione a determinate fattispecie, come, ad esempio, la regolamentazione dell'attività di lobby, sembrerebbe preferibile l'introduzione di norme comuni ai due rami del Parlamento.
  Appare dunque necessario fare chiarezza sulla portata dell'intervento, tenendo anche a mente la recente vicenda della lista dei così detti «impresentabili» alle elezioni regionali elaborata dalla Commissione parlamentare antimafia e al disorientamento e allo sconcerto che essa ha provocato nell'opinione pubblica ed evitando di assegnare a organi parlamentari il compito di emettere pronunce definitive che potrebbero in ipotesi persino porsi in dissonanza con quelle della magistratura.

  Laura BOLDRINI, Presidente, osserva che, a suo avviso, oggetto della proposta di modifica dovrebbe essere la previsione di un Codice di condotta di cui dotare la Camera dei deputati: in questa prospettiva dunque il percorso più idoneo sarebbe la nomina di un relatore il quale, alla luce dei temi trattati dalle proposte già presentate, operi in funzione di sintesi, definendo concretamente il campo di intervento rimesso alla fonte regolamentare.

  Danilo TONINELLI preliminarmente non può non osservare come in linea teorica e di principio non si potrebbe che aderire ad un'iniziativa che introduce norme di condotta per il personale politico parlamentare, soprattutto in un momento storico nel quale l'Italia conosce il massimo livello di corruzione, livello forse persino superiore a quello registratosi durante il periodo di Tangentopoli.
  Quando si passi poi all'esame concreto delle proposte avanzate non può tuttavia non rilevare un'evidente scivolosità e sfuggevolezza delle misure ipotizzate, delle quali viene dichiarata anche dagli stessi presentatori un'evidente inidoneità ad essere risolutivi delle questioni che intendono affrontare, come espressamente affermato ad esempio nella relazione di accompagnamento alla proposta di modifica sottoscritta dal collega Nicoletti e da altri deputati (doc. II, n.11). A ciò si accompagna una evidente indeterminatezza e genericità dei principi e dei criteri che dovrebbero ispirare la nuova disciplina contenuta nel Codice, la cui scrittura risulta demandata, con una sorta di delega pressoché in bianco, all'Ufficio di Presidenza, delega che riguarda non solo la scrittura delle norme di condotta, ma anche l'aspetto delle sanzioni da comminare. E proprio quest'ultimo aspetto lo mette in allarme, se solo si pensa che deputati del suo Gruppo sono stati colpiti da provvedimenti sanzionatori in una misura assolutamente abnorme, sulla base di norme che già adesso consentono all'Ufficio di Presidenza un ampio margine di discrezionalità.
  Il requisito minimo per poter discutere del tema è dunque che regole di condotta e relative sanzioni per le violazioni siano definite con il maggior grado possibile di trasparenza, chiarezza e precisione, elementi che non sono assolutamente ravvisabili nelle proposte oggi all'attenzione della Giunta: a titolo esemplificativo, richiama il ruolo assolutamente generico attribuito al Comitato previsto in entrambe le proposte, e così pure l'ampiezza delle funzioni rimesse all'Ufficio di Presidenza. A suo avviso, invece che delegare compiti di scrittura sostanziale a quest'ultimo organo, dunque senza le garanzie del voto qualificato dell'Assemblea, dovrebbe essere nella sede regolamentare definito un documento specificamente ed analiticamente prescrittivo degli obblighi di condotta dei deputati, documento di forza e valore equivalente a quella del Regolamento generale cui dovrebbe essere allegato.

  Laura BOLDRINI, Presidente, rammenta al collega Toninelli che il percorso di modifica regolamentare ipotizzato è esattamente quello previsto dalle norme costituzionali e regolamentari e che quindi la Giunta è chiamata a redigere un'ipotesi di modifica al Regolamento che rechi la previsione del Codice di condotta che sarà esaminata dall'Assemblea ai sensi dell'articolo 64 della Costituzione. Le norme fin qui ipotizzate dai presentatori prevedono poi che la scrittura più specifica del Codice Pag. 7sia rimessa all'Ufficio di Presidenza, nell'ambito di una serie di poteri normativi che già il testo attuale del Regolamento demanda allo stesso organo all'articolo 12; l'attribuzione di questo compito all'Ufficio di Presidenza appare dunque totalmente in linea con il sistema vigente, mentre eventuali percorsi alternativi rischiano, a suo avviso, di sortire l'effetto contrario di un nulla di fatto.

  Danilo TONINELLI ribadisce l'esigenza che siano definite nel Regolamento le norme di condotta con la massima specificità e precisione possibile, per non rimettere all'Ufficio di Presidenza spazi elevati di discrezionalità che a suo avviso sarebbero estremamente negativi.

  Giancarlo GIORGETTI ritiene che il tema oggetto di esame non sia affatto privo di interesse e, anzi, gli appare piuttosto suggestivo, benché nutra parecchi dubbi sul fatto che un reticolato di norme e regolamenti possa dispiegare una reale forza di contrasto ai fenomeni corruttivi.
  Nella trattazione del tema, dunque, tre elementi di giudizio gli appaiono assolutamente imprescindibili. Il primo riguarda la tutela che la Costituzione appronta a garanzia dell'attività dei parlamentari; il secondo è dato dal dubbio che nutre circa la possibilità di introdurre obblighi e doveri in capo ai deputati che non siano già previsti e normati dall'ordinamento vigente; infine, vi è la considerazione circa la necessità di garantire che in nessun modo attraverso queste procedure la maggioranza possa avere la possibilità di colpire e sanzionare deputati di opposizione. Proprio quest'ultimo tema gli appare il più importante e delicato, perché indiscutibilmente connesso alle libertà e alle garanzie del mandato parlamentare.

  Laura BOLDRINI, Presidente, nel dare la parola al Presidente Baldelli gli formula gli auguri per la nascita della figlia.

  Simone BALDELLI, Vicepresidente della Camera, sottolineato come il collega Vito abbia abbandonato i lavori della Giunta, parte dalla considerazione, in qualche modo ovvia, che i metodi per combattere malcostume e corruzione sono molteplici e possono agire su fronti assai diversificati. Personalmente, ad esempio, considera che una legislazione elettorale che comprenda il voto di preferenza sia uno strumento che agevola moltissimo lo sviluppo di fenomeni corruttivi, clientelari e la proliferazione del cosiddetto voto di scambio e che quindi agire su questo versante potrebbe essere molto più efficace dell'adozione di altri strumenti, rispetto ai quali paventa il rischio che si risolvano in una mera operazione di facciata.
  Ritiene che il dibattito odierno in seno alla Giunta stia facendo emergere una serie di posizioni che giudica in larga parte condivisibili (a cominciare da quella espressa dal collega Giorgetti) e che la Presidenza della Camera dovrebbe considerare con particolare attenzione prima di procedere alla nomina di un relatore: a tale atto la Presidenza si potrebbe determinare solo in un momento successivo, una volta, cioè, che si siano ponderate con prudenza e buon senso le considerazioni anche critiche espresse dai diversi deputati e che hanno investito, sotto angolazioni e per profili diversi, il tema in oggetto, del quale peraltro non nega certo la rilevanza.
  Tutto ciò va tanto più tenuto di conto, se solo si abbia uno sguardo più esteso al quadro generale, nel quale, da un lato, non si può non constatare un'evidente difficoltà degli organi competenti a garantire il rispetto delle norme principali di contrasto alla corruzione (norme penali, norme in materia di appalti) e, dall'altro, si osserva una certa volatilità ed instabilità delle norme più recenti espressamente finalizzate alla lotta al malaffare e alla corruzione, spesso adottate solo sull'onda di pulsioni emotive non sufficientemente meditate: si riferisce, evidentemente, al dibattito sulla legge Severino, ma non trascura nemmeno gli effetti negativi connessi ad interventi normativi disposti in questa legislatura, quale ad esempio l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti.

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  Alfredo D'ATTORRE riconosce che prestare attenzione ai temi introdotti dalla Presidente è segno di una forte sensibilità ad un tema quantomai importante: ciò premesso, tuttavia, non nasconde che alcune delle perplessità emerse nel corso del dibattito non gli appaiono affatto infondate. In particolare, da un lato conviene su un tratto di eccessiva genericità ravvisabile nella formulazione delle norme contenute nelle proposte presentate e di un ampio margine di discrezionalità attribuito all'Ufficio di Presidenza; ove poi a tale giudizio si accompagni la considerazione che misure normative, quale l'abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, adottate sulla base delle spinte moralizzatrici dell'opinione pubblica e senza la necessaria meditazione, spesso finiscono per sortire l'effetto esattamente opposto a quello voluto, ciò lo induce a suggerire una certa cautela nell'affrontare il tema in questione.
  D'altro canto, personalmente sensibile a temi e questioni quali quelli evocati dal collega Melilla, si interroga se la fonte regolamentare sia quella più idonea a definire compiutamente una disciplina efficace e risolutiva di tali complesse tematiche.

  Raffaello VIGNALI si associa all'ordine di considerazioni svolte principalmente dai colleghi Pisicchio, Catania e Giorgetti, ma condivide anche altri spunti di riflessione emersi dal dibattito.
  Conviene sulla necessità di delimitare attentamente il campo di intervento, avendo cura di evitare la formulazione di norme improprie e facendosi guidare in tale compito dalla stella polare costituita dalle norme costituzionali che disciplinano il mandato parlamentare, le quali si pongono allo stesso tempo come pietre miliari e paletti insuperabili di ogni disciplina attuativa e regolativa della funzione parlamentare.
  Intravede alcuni inconvenienti che nella stesura del Codice occorre evitare: e cioè, da una parte, un rischio di interferenza con la vita privata del parlamentare e la sua attività professionale e, dall'altra, il rischio che un eccesso di regolamentazione finisca per rendere la Camera una sorta di organo che duplica la funzione giurisdizionale.
  Conviene dunque sulla scelta di rimettere all'Ufficio di Presidenza la stesura specifica delle norme, atteso che ci si muove all'interno di temi assai delicati, per i quali, ribadisce, è necessario definire comunque preventivamente il campo di intervento.

  Danilo TONINELLI, intervenendo sul piano metodologico, avanza alla Presidenza la proposta di non conferire ora un formale incarico di relatore ad un membro della Giunta, ma di procedere ad una sorta di mandato esplorativo da attribuire non in funzione dell'immediata stesura di un testo normativo, ma per sondare sensibilità e posizioni all'interno dei diversi Gruppi e tra i singoli deputati della Giunta.

  Laura BOLDRINI, Presidente, accogliendo lo spirito delle sollecitazioni avanzate in tal senso, reputa necessario, alla luce della discussione svoltasi, procedere ad una preventiva definizione degli oggetti di intervento, oggetti che potranno essere individuati alla luce principalmente delle esperienze comparative degli ordinamenti stranieri che sul punto propongono soluzioni quantomai interessanti: fa riferimento ad esempio al Deontologo francese che i deputati dell'Assemblea nazionale possono interpellare, a loro stessa garanzia, per avere pareri sulla correttezza dei comportamenti. Non si tratta quindi di ipotizzare soluzioni che siano il frutto di smanie moralizzatrici, ma di valutare gli strumenti più adeguati a garantire correttezza e trasparenza delle condotte. Per procedere a questo preliminare lavoro istruttorio e comparativo ritiene quindi di incaricare il deputato Piscchio, che riferirà in una prossima riunione della Giunta.

Esame di una questione relativa alla disciplina dei cosiddetti interventi di fine seduta.

  Laura BOLDRINI, Presidente, ricorda che il 5 marzo scorso il Vicepresidente Baldelli le aveva indirizzato una lettera, da Pag. 9lei trasmessa per conoscenza ai membri della Giunta, nella quale avanzava alcune proposte in vista di una nuova disciplina dei cosiddetti interventi di fine seduta.
  Ha dato incarico al collega Pisicchio – che già si era occupato del tema nell'ambito del più ampio percorso di riforma regolamentare intrapreso in questa legislatura – di istruire la questione che, personalmente, ritiene sia stata opportunamente posta: tale approfondimento istruttorio ha il fine di pervenire, anche considerando i suggerimenti contenuti nella lettera del Presidente Baldelli, alla formulazione di un'ipotesi di nuova disciplina da sottoporre alla Giunta.
  Il Presidente Pisicchio, l'8 aprile scorso, le ha comunicato di aver svolto l'approfondimento richiesto, i cui esiti gli chiede ora di riferire alla Giunta.

  Pino PISICCHIO, Relatore, riferisce dunque sull'approfondimento istruttorio compiuto sulla disciplina dei cosiddetti interventi di fine seduta e sulle esigenze di una sua revisione, rappresentate dal Vicepresidente Baldelli. Come ricordato dalla Presidente, a tal fine si è avvalso anche delle riflessioni compiute assieme agli altri relatori in sede di esame degli emendamenti allo schema di riforma regolamentare, posto che il tema era stato già sollevato in quella sede ed è oggetto di uno suo specifico emendamento all'articolo 41.
  Nella sua lettera, il Vicepresidente Baldelli constata «l'incontrollata proliferazione» degli interventi di fine seduta in questa legislatura, nonostante gli sforzi profusi dalla Presidenza per una loro regolamentazione e disciplina.
  Il Vicepresidente osserva come questi interventi si siano trasformati in una sessione aggiuntiva rispetto all'ordine del giorno stabilito dal calendario e possano dar luogo a dibattiti su temi estranei agli argomenti di seduta, dal numero potenzialmente illimitato, determinandone un allungamento che varia da dieci minuti ad oltre mezz'ora. A ciò si aggiunge il fatto che – in assenza sovente del Governo che non è tenuto ad essere presente – con tali interventi vengono generalmente poste questioni di carattere microsettoriale o locale, rispetto alle quali la Presidenza non ha alcun potere di intervento, se non per ricordare la facoltà di depositare atti di sindacato ispettivo; essi, piuttosto, rischiano di ingenerare in coloro che seguono i lavori parlamentari false aspettative di iniziative risolutive da parte della Presidenza medesima, la quale peraltro non può nemmeno adoperarsi per l'intervento del Governo, come accade quando siano sollecitate le risposte ad atti di sindacato rispettivo o sia richiesto lo svolgimento di informative urgenti. Diversamente poi da quanto raccomandato dalla Presidenza nella riunione della Conferenza dei Presidenti di Gruppo del 30 maggio 2013, molti interventi di fine seduta non vengono preannunziati alla Presidenza.
  In effetti la questione delle richieste di parola per interventi sull'ordine dei lavori o per richiamo al Regolamento sia nel corso della seduta sia, soprattutto, al termine è emersa in modo del tutto peculiare in questa legislatura, posto che le richieste di parola per interventi sull'ordine dei lavori o per richiamo al Regolamento – soprattutto al termine della seduta – sono decisamente numerose.
  Oltre ai casi di interventi incidentali durante la seduta, che danno spesso luogo a veri e propri dibattiti, sospendendo di fatto lo svolgimento del punto iscritto all'ordine del giorno, è fenomeno rilevante di questi anni lo svolgimento, una volta concluso l'esame degli argomenti iscritti all'ordine del giorno, di interventi di fine seduta, in numero tale da costituire una vera e propria fase dei lavori, pur non prevista dall'ordine del giorno. Questi interventi solo impropriamente possono essere assimilati a quelli sull'ordine dei lavori o per richiamo al Regolamento, essendo piuttosto volti ad introdurre questioni che non figurano all'ordine del giorno, né hanno attinenza diretta con i lavori dell'Assemblea, spesso al solo fine di lasciare testimonianza dell'interessamento del deputato per la questione sollevata.
  Sebbene non contemplata formalmente nel Regolamento, l'ipotesi degli interventi di fine seduta, oltre che conosciuta dalla Pag. 10prassi, è prevista nel parere della Giunta per il Regolamento del 24 ottobre 1996, che disciplina lo svolgimento di richiami al Regolamento o per l'ordine dei lavori e l'osservanza dei limiti di correttezza negli interventi. Il parere – al punto 1.2 – rimanda infatti espressamente alla fine della seduta gli interventi incidentali ai sensi dell'articolo 41 del Regolamento che non vertano in modo diretto e univoco sullo svolgimento e sulle modalità della discussione o della deliberazione o comunque del passaggio procedurale nel quale, al momento in cui vengono proposti, sia impegnata l'Assemblea. In particolare «verranno rinviate, secondo prassi, alla conclusione della seduta le richieste d'intervento per sollecito di atti del sindacato ispettivo e per fatto personale, salvo che il Presidente, per gravi motivi, non ritenga, in via d'eccezione, di darvi subito corso». Lo stesso parere, al punto 1.5, quanto ai limiti di contenuto degli interventi sull'ordine dei lavori, ricorda poi che «per la posizione di altre questioni, attinenti all'indirizzo o al sindacato politico, devono essere utilizzati gli strumenti tipici – rispettivamente le mozioni e gli atti di sindacato ispettivo – e le altre procedure previste nell'ambito delle Commissioni, secondo le modalità e i limiti a ciascuno propri».
  All'inizio della legislatura corrente, a fronte di un ricorso ampio a tale tipo di interventi, si è convenuto in Conferenza dei capigruppo (30 maggio 2013) un criterio di regolamentazione degli interventi di fine seduta. La Presidenza, in quell'occasione, ne ha ricordato il contenuto atipico, volto ad esempio a sollecitare atti ispettivi; prospettare esigenze di intervento del Governo o di altri organi; commemorare personalità; commentare situazioni politiche; segnalare eventi di particolare rilevanza che si siano verificati. La Presidente proponeva quindi di contenere il tempo di ciascun intervento in 2 minuti e di prevedere la necessità di un loro preannunzio alla Presidenza nel corso della seduta con congruo anticipo, con indicazione dell'oggetto, in modo da consentire l'organizzazione del seguito della seduta stessa, alla luce del loro numero e del loro contenuto, ed anche al fine dell'organizzazione dei turni di Presidenza. In quella occasione la Presidenza ha chiarito anche la necessità di stabilire che essi non diano luogo a dibattiti, per evitare che si possano surrettiziamente discutere argomenti non all'ordine del giorno e, quindi, senza la possibilità di partecipazione degli altri deputati; nonché di evitare che con lo svolgimento di tali interventi si sostituiscano procedure tipiche disciplinate dal Regolamento, come ad esempio gli atti di indirizzo o di sindacato ispettivo.
  Sulla proposta della Presidente si è in quella sede svolto un dibattito, nel quale è stata anche richiamata l'esigenza di non irrigidire troppo la disciplina, per lasciare alla Presidenza di turno sufficienti margini di discrezionalità in relazione alle concrete circostanze per non irrigidire la disciplina di una fase in sé caratterizzata da spontaneità; è stata inoltre sottolineata la necessità, più che di una «programmazione degli interventi», di una soluzione condivisa fra Presidente, Vicepresidenti e Gruppi al fine di ricondurre la fase di fine seduta ad un suo più fisiologico svolgimento.
  Posto che questi criteri convenzionali si sono rivelati non del tutto idonei a ricondurre il fenomeno entro limiti fisiologici, compatibili con la natura del tutto estemporanea degli interventi e con una loro durata contenuta, ritiene possa essere opportuno procedere ad un ulteriore approfondimento della questione per definire modalità più lineari ed ordinate di svolgimento della fase, in modo più aderente alle previsioni regolamentari. E che si tratti di una questione avvertita da molti è dimostrato dal fatto che di essa si sono fatti carico i relatori delle riforme regolamentari attraverso la presentazione in Giunta dell'emendamento 41.10, a sua firma, che stabilisce una durata massima di tale fase pari a trenta minuti complessivi, ripartiti proporzionalmente fra i Gruppi, nel limite massimo di durata di due minuti per intervento.
  Precisa che la questione – attenendo alla regolamentazione del diritto d'intervento dei deputati – presenta senza dubbio Pag. 11margini di delicatezza, incidendo sull'esercizio del mandato parlamentare. In questo quadro, ritiene che il problema sia quello di contemperare l'esigenza di evitare un uso improprio degli interventi di fine seduta (improprio nei tempi e nei contenuti, data la potenziale, illimitata durata della fase e dato il potenziale contenuto, anch'esso illimitato) con il diritto di espressione dei parlamentari. Quest'ultimo risulta già considerevolmente limitato, nel Regolamento, dalla «gabbia proporzionalistica» dei gruppi – pur necessaria per rendere effettiva la programmazione dei lavori e prevedibili le durate dei dibattiti e delle sedute – e non trova oggi applicazione, se non nei limiti della convenzione fra gruppi, in una fase spontanea e non disciplinata espressamente dal Regolamento, come quella degli interventi di fine seduta. Questa considerazione gli serve per dire che occorre individuare una soluzione di mediazione che non ingabbi troppo la libertà di espressione del parlamentare, svuotando la fase ormai consolidatasi degli interventi di fine seduta, ma che faccia appello al buon senso e alla piena comprensione delle contrapposte esigenze in campo, entrambe degne della massima considerazione.
  Il Vicepresidente Baldelli sottopone alcune proposte di regolamentazione, fermo restando il fatto che tali interventi debbano risultare comunque «confinati» al termine della seduta anche ai sensi del parere della Giunta per il Regolamento del 24 ottobre 1996. Tali proposte sono:
   1. ricordare che la fase in questione è «eventuale» e non obbligatoria (il che gli pare condivisibile).
   2. Ribadire la facoltà del Presidente di soprassedere allo svolgimento dei suddetti interventi al termine di sedute notturne o particolarmente lunghe o complesse (questa facoltà pare rientrare nei poteri ordinatori del Presidente e di garanzia del buon andamento dei lavori, che ben può in relazione a particolari circostanze rinviare lo svolgimento degli interventi).
   3. Immaginare la possibilità che, in taluni casi, la Presidenza possa contingentare gli interventi applicando un tetto numerico in proporzione alla consistenza dei Gruppi (questo è quanto era proposto nel suo emendamento alla riforma regolamentare).
   4. Ribadire la facoltà del Presidente di non accettare richieste formulate senza un adeguato preavviso e senza l'indicazione puntuale del contenuto.
   5. Sottolineare l'impossibilità di dar luogo a interventi di sollecito al Governo in assenza della previa presentazione o, quantomeno, del preannuncio della presentazione di atti di sindacato ispettivo.

  Il Vicepresidente Baldelli, nella sua lettera, prefigura, in alternativa a quello propriamente regolamentare, un percorso più politico, ossia quello di una ulteriore precisazione della disciplina convenzionale degli interventi di fine seduta da effettuare in Conferenza dei capigruppo, della quale peraltro si lamenta oggi la scarsa incisività. Non avendo alcuna preclusione in proposito, ed anzi auspicando, se possibile, una soluzione che trovi il massimo consenso possibile e che escluda irrigidimenti regolamentari, rimette alla Presidenza la valutazione circa la praticabilità di questa ipotesi «convenzionale» e di un'ulteriore sottoposizione della questione alla Conferenza dei Capigruppo per un affinamento della disciplina. Ma è consapevole di due limiti che questo percorso – più politico che normativo – prospetta. Anzitutto esso presuppone, come già accaduto nella Conferenza del 30 maggio 2013, un'intesa fra i Gruppi, la cui praticabilità non sta a lui valutare. In secondo luogo, non si può neppure sottacere la scarsa efficacia che, in via di fatto, la convenzione d'inizio legislatura ha dispiegato nel corso di questi primi due anni di legislatura, scarsa efficacia che è sotto gli occhi di tutti e che ha determinato, del resto, la stessa iniziativa del Presidente Baldelli.
  Ferma restando l'opzione della Conferenza, svolgendosi ora l'esame in sede di Pag. 12Giunta ha ipotizzato, come relatore, un possibile percorso regolamentare, che sottopone ai colleghi.
  Anche nelle more dell'esame dell'emendamento già presentato e più volte citato (o eventualmente anche di una specifica proposta di riforma regolamentare), potrebbe anzitutto valutarsi l'opportunità di introdurre fin da ora, in via sperimentale (e dunque senza modifiche formali al Regolamento ma con un parere della Giunta, che integri quello del 24 ottobre 1996), una sorta di contingentamento di tale fase, che la contenga nel limite massimo di mezz'ora, da ripartire proporzionalmente fra i Gruppi, nel limite massimo di durata di ciascun intervento di due minuti, di regola. Personalmente, resta dell'idea che si tratti della soluzione migliore, che contempera l'esigenza dei deputati di esprimere brevi valutazioni sui temi che stanno loro a cuore con quella della Camera nel suo complesso a non dare luogo a dibattiti senza regole e senza limiti di tempo. Resta fermo che si tratterebbe di un tetto massimo di durata, che comunque non precostituirebbe una fase della seduta obbligatoria.
  Si tratta del resto di una regolamentazione temporale che riprende un po’ (ampliandola) quella prevista al Parlamento europeo, nel cui regolamento, all'articolo 163, si prevede che «per non più di 30 minuti durante la prima seduta di ciascuna tornata, il Presidente dà la parola ai deputati che desiderano effettuare interventi di un minuto al massimo per richiamare l'attenzione del Parlamento su una questione avente rilevanza politica». Inoltre questo tipo di proposta si pone in linea con un principio generale contenuto nel Regolamento – quello cioè del contingentamento dei tempi – che governa i lavori al fine di assicurarne razionalità e funzionalità e che comporta che le fasi di svolgimento di ciascun procedimento siano assoggettate ad un tempo preventivamente determinato.
  Inoltre, ritiene si possa procedere ad un aggiornamento del richiamato parere della Giunta del 24 ottobre 1996 anche al fine di meglio specificare, in quel contesto normativo ed in via sperimentale, la disciplina di tali interventi. In particolare, oltre a confermarsi un'interpretazione rigorosa dei limiti di ammissibilità degli interventi incidentali durante la seduta, si potrebbe prevedere che gli interventi di fine seduta non possono avere ad oggetto questioni attinenti all'indirizzo politico o al sindacato ispettivo per le quali vanno utilizzati gli strumenti parlamentari e le procedure (anche di Commissione) appositamente previsti, salvo che con l'intervento di fine seduta si intenda sollecitare lo svolgimento di atti già presentati. Ciò proprio per evitare di dare luogo surrettiziamente – e cioè senza l'utilizzo degli appositi atti e sfuggendo alle regole della programmazione dei lavori – alla trattazione di temi che richiederebbero l'iscrizione di uno specifico punto all'ordine del giorno o che anticipino la discussione di argomenti suscettibili di iscrizione nel calendario dei lavori. Sarebbe altresì opportuno che tali interventi siano sempre finalizzati ad uno scopo che attenga in modo diretto ai lavori ed alle competenze istituzionali della Camera, al fine di evitare che siano introdotti surrettiziamente nel dibattito parlamentare temi che non potrebbero essere oggetto di atti tipici di indirizzo e di controllo.
  Conclusivamente sottopone alla Giunta una complessiva proposta di integrazione del parere della Giunta per il Regolamento del 24 ottobre 1996 che recepisce quanto enunciato (vedi allegato).

  Laura BOLDRINI, Presidente, ringrazia il relatore per il lavoro istruttorio svolto e chiede se i colleghi intendano svolgere la discussione o ritengano necessario un tempo per analizzare i contenuti della relazione e della proposta di parere, che costituisce comunque una indicazione concreta su cui esprimersi.

  Danilo TONINELLI ritiene senz'altro necessario un tempo per approfondire la relazione. Preannuncia peraltro la totale contrarietà del Gruppo MoVimento 5 Stelle alla prefigurata ipotesi di disciplina degli interventi di fine seduta: non ritiene Pag. 13corretto impegnare la Giunta su una simile, irrilevante richiesta, a fronte delle tante emergenze che dovrebbero invece impegnare il Parlamento ed i suoi organi. A suo avviso, i deputati devono essere liberi di esercitare pienamente il loro mandato e ciò anche attraverso interventi, peraltro ampiamente riconosciuti dalla prassi, che – pur non riguardando direttamente temi iscritti all'ordine del giorno della seduta – qualificano il loro rapporto con gli elettori e con il territorio, senza peraltro causare alcun disagio alla Camera: questo argomento va dunque accantonato e basta.

  Mario CATANIA ha invece apprezzato molto l'iniziativa del Vicepresidente Baldelli, che condivide totalmente. Ritiene che la deriva assunta dal fenomeno degli interventi di fine seduta negli ultimi anni sia sintomo di un malessere di fondo dei parlamentari di oggi, da studiare forse in altra sede: qui va data una risposta alle perplessità segnalate dal Vicepresidente Baldelli. L'approccio del relatore Pisicchio gli pare come sempre saggio ed equilibrato ed il suo portato consiste in una proposta di parere della Giunta che egli sostiene pienamente. Crede possibile ipotizzare anzi un passo in più, ossia la precisazione, in premessa al parere, della natura in sé del tutto eccezionale ed extra ordinem dell'intervento di fine seduta, posto che nel nostro ordinamento non può giuridicamente configurarsi, a suo avviso, un diritto di ciascun deputato a parlare di qualunque argomento al di fuori dell'ordine del giorno della seduta.

  Cinzia Maria FONTANA ringrazia il relatore Pisicchio per il lavoro svolto, che tiene conto di quanto elaborato nel tavolo delle riforme regolamentari, ed il Vicepresidente Baldelli per aver posto il problema, che è reale e quotidiano e pone evidenti difficoltà nella gestione delle sedute, trattandosi di un fenomeno, nelle sue dimensioni, del tutto inedito. Le difficoltà sono della presidenza di turno, ma anche dei responsabili d'Aula dei Gruppi, posto che talvolta gli interventi di fine seduta sollevano questioni o temi che non possono dar luogo a dibattiti, proprio perché al di fuori dell'ordine del giorno, ma che lo meriterebbero, datane la rilevanza. E ciò è fonte di disagio.
  Condivide l'impostazione della proposta di parere elaborata dal Presidente Pisicchio, frutto del tentativo riuscito di contemperare le diverse esigenze in campo e particolarmente apprezzabile per la sua natura sperimentale, tale cioè da consentire di valutare eventuali aggiustamenti in corso d'opera.
  Si tratta di uno strumento molto utile per migliorare i lavori della Camera, dei deputati e dei Gruppi. Si dichiara dunque convintamente a favore della proposta di parere e chiede che, se dovessero emergere necessità di approfondimento dei singoli punti di cui esso consta, si disponga comunque un rinvio molto breve del seguito della discussione.

  Gianni MELILLA condivide anch'egli l'ipotesi di integrazione del parere della Giunta per il Regolamento del 24 ottobre 1996 predisposta dal relatore, equilibrata e tale da non compromettere il diritto dei Gruppi, tramite uno o più deputati, di svolgere interventi a fine seduta, nei limiti prefigurati.
  Ritiene che i deputati abbiano senz'altro diritto di parola, ma senza abusarne e senza piegare tale facoltà a logiche estranee al buon andamento dei lavori dell'Istituzione parlamentare. Se ciò accade, sopravviene il diritto sacrosanto alla difesa della Camera e in tale ottica di difesa dell'Istituzione valuta la proposta di parere del relatore Pisicchio.

  Donata LENZI non ha obiezioni sulla proposta di parere del relatore, la cui adozione ritiene anzi necessaria. Suggerisce però di escludere dal «contingentamento» degli interventi di fine seduta quelli per fatto personale, anch'essi destinati per prassi alla fase finale della seduta, ma la cui natura appare totalmente diversa, tale da doverli sottrarre alle limitazioni previste per i primi.

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  Dopo che Laura BOLDRINI, Presidente, ha ringraziato la collega Lenzi per questa opportuna precisazione, Simone BALDELLI, Vicepresidente della Camera, apprezza l'approfondimento della questione, connotata da profili di delicatezza, svolto dal relatore Pisicchio.
  Sottolinea con l'occasione l'opportunità che nel parere si precisi chi sia titolare della facoltà di iscrizione dei deputati per gli interventi di fine seduta, se cioè ciascun singolo deputato (nel qual caso prevarrebbe la priorità temporale dell'iscrizione, nei limiti della capienza temporale destinata al Gruppo) o il Gruppo per i suoi componenti.
  Si riserva comunque una lettura approfondita della proposta ed in questo senso condivide l'opportunità di un sia pur breve rinvio, assecondando la richiesta del deputato Toninelli, che porti all'adozione del parere nella prossima riunione. Desidera comunque precisare al collega che gli interventi di fine seduta non possono trasformarsi in una sorta di sessione a schema libero e che la Camera non dovrebbe essere la sede per trattare questioni localistiche, di competenza delle assemblee degli enti locali.

  Laura BOLDRINI, Presidente, accoglie la richiesta del deputato Toninelli di disporre del tempo necessario per approfondire la proposta del Presidente Pisicchio. La Giunta sarà pertanto riconvocata a breve per concludere la discussione.

  La seduta termina alle 21.15.

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