CAMERA DEI DEPUTATI
Martedì 9 giugno 2015
459.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni (I)
COMUNICATO
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ATTI DEL GOVERNO

  Martedì 9 giugno 2015. — Presidenza del presidente Francesco Paolo SISTO. – Interviene il sottosegretario di Stato per l'interno, Domenico Manzione.

  La seduta comincia alle 14.20.

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Schema di decreto legislativo recante attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nonché della direttiva 2013/32/UE recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.
Atto n. 170.
(Esame e rinvio).

  La Commissione inizia l'esame del provvedimento.

  Andrea GIORGIS (PD), relatore, fa presente che lo schema di decreto legislativo recato dall'atto del Governo n. 170 è volto al recepimento di due direttive dell'Unione europea in materia di protezione internazionale, la direttiva 2013/32/UE (c.d. direttiva “procedure”) e la direttiva 2013/33/UE (c.d. direttiva ’accoglienza’).
  Com’è noto, la disciplina sull'immigrazione è, in via generale, recata dal Testo unico sull'immigrazione dettato dal decreto legislativo n. 286 del 1998, come modificato in prosieguo di tempo. Ma poiché l'asilo è materia di politica comune europea, è in ampia misura agli atti di recepimento che occorre fare riferimento per definire il quadro organico complessivo della materia.
  Lo schema di decreto legislativo in esame ridisegna, in particolare, il sistema di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, in ampia misura – riguardo le strutture – sulla base del «Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di stranieri extracomunitari», definito con intesa tra Stato, Regioni ed enti locali del 10 luglio 2014, inserendo la previsione di strutture temporanee appositamente destinati ad accoglienza straordinaria in caso di saturazione delle strutture ordinarie, a seguito di flussi ravvicinati e numerosi.
  L'atto in esame reca inoltre disposizioni vertenti su profili quali: l'accoglienza delle persone vulnerabili, primi fra tutti i minori, specie se non accompagnati; le procedure di esame delle domande di protezione internazionale; la durata dell'accoglienza nella pendenza di ricorso giurisdizionale; il trattenimento del richiedente.
  Ai fini dell'inquadramento normativo in cui si inserisce il provvedimento giova richiamare, in primo luogo, l'articolo 78 del Trattato di Lisbona che attribuisce all'Unione europea lo sviluppo di una politica comune in materia di asilo, protezione sussidiaria e protezione temporanea, finalizzata ad offrire uno status appropriato a qualsiasi cittadino di un Paese terzo che necessita di protezione internazionale e a garantire il principio di non respingimento; tale politica deve essere conforme alla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e al protocollo 31 gennaio 1967 e agli altri trattati pertinenti.
  Altre disposizioni del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea concernono la gestione delle frontiere esterne (articolo 77) e la politica comune dell'immigrazione, «intesa ad assicurare, in ogni fase, la gestione efficace dei flussi migratori, l'equo trattamento dei cittadini dei Paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani» (articolo 79). E l'articolo 80 del Trattato prevede che le politiche dell'Unione relative ai controlli alle frontiere, all'asilo, all'immigrazione, «sono governate dal principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario».
  Il predetto articolo 78 del Trattato determina, al comma 2, le principali linee di svolgimento della politica comune: specifiche direttive ne hanno costituito il seguito normativo. In particolare, la lettera a) e la lettera b) – relative ad asilo (quale riconoscimento dello status di rifugiato) e protezione sussidiaria, ossia le due specie in cui si articola il genus protezione internazionale – hanno avuto attuazione con la direttiva dell'Unione 95/2011/UE (cd. direttiva “qualifiche”), recepita nel nostro ordinamento con il decreto legislativo n. 18 del 2014. La lettera c) – relativa alla protezione temporanea – ha avuto attuazione con la direttiva della Comunità Pag. 32europea 55/2011/UE, recepita con il decreto legislativo n. 85 del 2003. La lettera d) – relativa alle procedure circa l'ottenimento o la perdita della protezione internazionale – ha dapprima ricevuto attuazione con la direttiva 85/2005/CE, che poneva «norme minime» riguardo siffatte procedure e che è stata recepita con il decreto legislativo n. 25 del 2008 e con il d.P.R. n. 21 del 2015. Tale direttiva è stata modificata dalla direttiva 32/2013/UE (cd. direttiva ’procedure’), che pone «procedure comuni» e di cui è disposto il recepimento con l'atto in esame. La lettera e) – relativa alla determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale – è stata attuata dapprima con il regolamento della Comunità europea n. 343 del 2003 (cd. “Dublino II”), indi dal regolamento dell'Unione suo modificativo n. 604 del 2013 (cd. “Dublino III”). La lettera f) – relativa alle condizioni di accoglienza dei richiedenti protezione internazionale – ha ricevuto attuazione dapprima con la direttiva 9/2003/CE, stata recepita con il decreto legislativo n. 140 del 2005, e poi modificata dalla direttiva 33/2013/UE (cd. direttiva “accoglienza”), di cui è disposto il recepimento con l'atto in esame.
  Le direttive di cui viene data attuazione con lo schema in esame (32/2013/UE e 33/2013/UE) sono parte costitutiva – assieme al regolamento “Dublino III” (n. 604 del 2013) e alla cd. direttiva ’qualifiche’ (2011/95/UE) – del Sistema europeo comune di asilo.
  Per completare la ricognizione del quadro normativo in cui si inserisce il provvedimento in esame giova infine ricordare che l'articolo 7 della legge n. 154/2014 (legge di delegazione europea 2013 – secondo semestre) reca una delega al Governo per la predisposizione di un testo unico delle disposizioni legislative vigenti che, in attuazione dell'articolo 10, terzo comma, della Costituzione, recepiscono gli atti dell'Unione europea che regolano il diritto di asilo, la protezione sussidiaria e la protezione temporanea. Il termine per l'esercizio della delega è stabilito al 20 luglio 2019.
  Com’è noto, inoltre, il tema della gestione delle politiche migratorie e della revisione o integrazione della vigente normativa europea figurano fra le priorità della nuova Commissione europea, così come indicato negli orientamenti politici del Presidente Jean Claude Juncker «Un nuovo inizio per l'Europa» e nelle recenti decisioni del Consiglio europeo. In particolare, il 23 aprile 2015 è stata adottata una Dichiarazione finale nella quale è stato auspicato, tra l'altro: un rafforzamento della presenza in mare, potenziando le operazioni dell'UE Triton e Poseidon, per il pattugliamento delle coste e la protezione delle frontiere marittime, triplicando le risorse finanziarie a tale scopo nel 2015 e 2016 e incrementando il numero di mezzi, al fine di aumentare le possibilità di ricerca e salvataggio nell'ambito del mandato di Frontex; iniziative ulteriori per la lotta contro i trafficanti nel rispetto del diritto internazionale, tra cui lo smantellamento delle reti dei trafficanti e il sequestro dei loro beni mediante una collaborazione tra autorità degli Stati membri, Europol, Frontex, l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) ed Eurojust, e l'intensificazione della cooperazione di polizia con i paesi terzi; l'adozione di misure sistematiche per individuare, fermare e distruggere le imbarcazioni prima che siano usate dai trafficanti, anche attraverso un'apposita operazione. Il 29 aprile 2015 il Parlamento europeo in seduta plenaria ha a sua volta approvato una risoluzione «sulle recenti tragedie nel Mediterraneo e sulle politiche dell'UE in materia di migrazione e asilo» (2015/2660(RSP)).
  Passando brevemente a menzionare i dati relativi al fenomeno in questione, ricordo che secondo i dati Eurostat il numero di richieste di asilo nell'Unione Europea è salito nel 2014 a 626.000 (rispetto alle 435.000 richieste dell'anno precedente). Complessivamente, nel 2014 il più alto numero di richiedenti asilo è stato registrato in Germania (202.700 richiedenti, il 32 per cento del totale), indi in Svezia (81.200, il 13 per cento), in Italia (64.600, il 10 per cento), in Francia Pag. 33(62.800, il 10 per cento) e in Ungheria (42.800, il 7 per cento). Questi cinque Paesi hanno registrato andamenti differenti rispetto all'anno precedente. Il numero dei richiedenti asilo è più che raddoppiato rispetto al 2013 in Italia (+143 per cento) e in Ungheria (+126 per cento); è aumentato significativamente in Germania (+ 60 per cento) e in Svezia (+50 per cento); è diminuito in Francia (-5 per cento). Il 20 per cento dei richiedenti asilo siano stati, nel 2014, siriani (da 50.000 del 2013, sono aumentati a 123.000 del 2014). Di questi, il 60 per cento circa sono stati registrati in due Stati membri: la Germania (41.100) e la Svezia (30.800). L'Afghanistan, con 41.300 richieste di asilo (pari al 7 per cento del totale), è diventato il secondo Paese di provenienza dei richiedenti asilo in Unione europea nel 2014. Con 37.900 richiedenti (il 6 per cento del totale in UE) il Kosovo è la terza nazione da cui proviene il maggior numero di richiedenti asilo.
  Per quanto concerne nello specifico l'Italia, nel 2014 si è registrato un forte aumento delle domande di protezione internazionale: 63.456 sono state le domande presentare a fronte delle 26.620 del 2013 (+138 per cento). Sono state esaminate 36.270 richieste (indipendentemente dalla data di presentazione della richiesta); di queste circa 22.000 sono state accolte.
  Nel febbraio 2015, risultano esaminate, indipendentemente dalla data di presentazione della relativa istanza, 3.301 domande, con esito prevalentemente negativo (49 per cento pari a 1.609 dinieghi); per l'8 per cento (276 casi) c’è stato il riconoscimento dello status di rifugiato; la protezione sussidiaria è stata riconosciuta al 20 per cento (644) dei richiedenti, quella umanitaria al 22 per cento (711); 61, ossia il 2 per cento gli altri esiti.
  Riguardo ai dati relativi agli sbarchi nel territorio nazionale e alla presenza degli stranieri nelle strutture di accoglienza nel corso del 2014 sono sbarcati sulle coste dell'Italia meridionale 170.000 persone. Nei primi due mesi del 2015 il ritmo degli sbarchi si è ulteriormente intensificato. Fino alla fine di febbraio 2015, sono stati 7.882 i migranti sbarcati sulle coste italiane – nello stesso periodo del 2014, gli stranieri arrivati via mare furono 5.506. Si è dunque avuto un aumento del 43 per cento, nel raffronto tra quei due primi bimestri.
  Gli stranieri presenti nelle strutture d'accoglienza (temporanee, centri d'accoglienza e per richiedenti asilo, posti Sprar) al mese di febbraio 2015 sono 67.128. Le presenze più numerose risultano in Sicilia (13.999 persone, pari al 21 per cento del totale nazionale), poi nel Lazio (8.490, pari al 13 per cento), Lombardia (5.863, il 9 per cento) e in Puglia (5.826, il 9 per cento). Nelle 1.657 strutture temporanee presenti in tutta Italia si trovano 37.000 ospiti.
  Nel 2014 sono transitati complessivamente nei CIE italiani 4.986 stranieri di cui 2.771 sono stati effettivamente rimpatriati. Nel 2013 sono stati 6.016 gli stranieri transitati nei CIE, dei quali 2.749 sono stati rimpatriati.
  Prima di passare alla descrizione dell'articolato, giova ricordare brevemente che in Italia il sistema dell'accoglienza è organizzato in più luoghi e fasi: in sintesi può dirsi articolato in: primissima accoglienza; prima accoglienza; seconda accoglienza.
  In primo luogo vi sono i Centri di primo soccorso e accoglienza (come Lampedusa e Pozzallo). Localizzati in prossimità dei luoghi di maggiore ricorrente sbarco (i porti di Augusta, Lampedusa, Porto Empedocle, Pozzallo, Taranto, quelli di maggiore affluenza) essi ospitano gli stranieri al momento del loro arrivo in Italia. I migranti vi ricevono le prime cure mediche necessarie, vengono fotosegnalati, possono richiedere la protezione internazionale. I migranti vi soggiornano il tempo strettamente necessario, prima di essere trasferiti alla prima accoglienza.
  Questa si realizza nei Centri di accoglienza (CDA) o nei Centri di accoglienza per i richiedenti asilo (CARA). Talora una medesima struttura esercita ambedue le funzioni, talché una netta distinzione non è agevole. Ad ogni modo, si può intendere che i primi siano destinati alla prima Pag. 34accoglienza dello straniero presente sul territorio nazionale, per il tempo necessario all'accertamento sulla regolarità della sua permanenza in Italia; i secondi accolgono i richiedenti protezione internazionale, onde si svolgano nel frattempo le procedure relative al riconoscimento. Le strutture sopra ricordate sono complessivamente quattordici, presenti in sette Regioni (Sardegna, Sicilia, Calabria, Puglia, Lazio, Marche e Friuli Venezia Giulia).
  Diversa funzione hanno i Centri di identificazione ed espulsione (CIE), ove sono collocati gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non facciano richiesta di protezione internazionale o non ne abbiano i requisiti posti in detenzione amministrativa, onde evitarne la dispersione nel territorio.
  Esaurita la primissima e prima accoglienza – le quali hanno una capienza di circa 8.600 posti complessivi, aumentabili a 10.500 in condizioni di emergenza (si legge nella relazione tecnica del provvedimento in esame) – la fase della seconda accoglienza ed integrazione si instaura ad opera del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR). Vi trovano accoglienza i già titolari di forma di protezione internazionale (rifugiati, titolari di protezione sussidiaria, di protezione umanitaria) o anche i richiedenti quella protezione.
  Il sistema è costituito da una rete di enti locali (345 Comuni, 30 Province e 7 unioni di Comuni, secondo dati riferiti al 2014) su base volontaria (essi accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo). Essi realizzano, in forma decentrata ed in raccordo con i soggetti del terzo settore, interventi di accoglienza ’integrata’, ossia non limitati alla distribuzione di vitto e alloggio ma estesi a misure di formazione, assistenza e orientamento, anche al fine di tracciare percorsi individuali di inserimento socio-economico.
  All'interno del Sistema sono, inoltre, presenti progetti specializzati per l'accoglienza e sostegno di persone portatrici di specifiche vulnerabilità: persone disabili o con problemi di salute (fisica e mentale), minori non accompagnati, vittime di tortura, nuclei monoparentali, donne sole in stato di gravidanza.
  Per il triennio 2014-2016, risultano finanziati 20.744 posti (di questi, 19.720 sono ’ordinari’, 729 sono per minori non accompagnati, 295 per persone con disagio mentale o con disabilità). Tale disponibilità di posti registra un incremento rispetto al periodo precedente, in cui si giungeva fino a 12.642 posti.
  Il totale dei posti SPRAR, riferito al triennio 2014-16, risulta al momento così ripartito per regione: Abruzzo, 227; Basilicata, 406; Calabria, 1.894; Campania, 1.155; Emilia-Romagna, 748; Friuli Venezia Giulia, 318; Lazio, 4.791; Liguria, 308, Lombardia, 942; Marche, 538; Molise, 440; Piemonte, 883; Puglia, 1.864; Sardegna, 88; Sicilia, 4.782; Toscana, 547; Trentino-Alto Adige, 149; Umbria, 371; Veneto, 293.
  Per quanto riguarda le procedure di contenzioso avviate presso l'Unione europea a carico dell'Italia sui temi in esame, risultano avviate le seguenti: procedura di infrazione n. 2014/2171 con cui si contesta in particolare al nostro Paese il fatto che il sistema di asilo italiano sia caratterizzato da significativi ritardi nella nomina del tutore per i minori non accompagnati che vogliano fare domanda di protezione internazionale, nonché dal fatto che i tutori (o gli assistenti sociali ove a questi ultimi ne siano delegati i compiti) risultino sovraccarichi della responsabilità di un gran numero di minori non accompagnati in modo tale da non espletare adeguatamente le funzioni previste dalla normativa europea; procedura di infrazione n. 2014/2235 in cui gli addebiti che interessano l'Italia riguardano le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo trattenuti nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) considerati non in linea con gli standard del CPT – Comitato europeo per la prevenzione della tortura; procedura di infrazione n. 2014/2126 i cui addebiti nascono dalla vicenda di alcuni cittadini di Paesi terzi potenzialmente necessitanti di protezione internazionale provenienti dalla Grecia (tra cui minori non accompagnati) rinviati sommariamente Pag. 35in Grecia in applicazione dell'Accordo di bilaterale Grecia-Italia riguardante la riammissione di migranti che abbiano già varcato il territorio di uno degli Stati firmatari o che vi abbiano soggiornato e che cerchino irregolarmente di raggiungere il territorio dell'altro Stato firmatario; procedura di infrazione n. 2012/2189 con cui le violazioni contestate consisterebbero in particolare nella limitata capacità dei centri di accoglienza dei richiedenti asilo, e l'inconsistenza di fatto dell'accesso alle condizioni di accoglienza; nelle procedure di domanda di asilo, in particolare la mancanza, nella pratica, di un accesso effettivo alla procedura pertinente, sia in generale sia con particolare riferimento ai richiedenti asilo per i quali è prevista la procedura Dublino.
  Passando all'illustrazione del contenuto dello schema di decreto legislativo in esame, questo si articola in tre distinte parti. Il Capo I reca le disposizioni di recepimento della direttiva dell'Unione europea n. 33 del 2013 (cd. direttiva “accoglienza”), relativa alle condizioni dell'accoglienza per i richiedenti protezione internazionale; il Capo II reca le disposizioni di recepimento della direttiva dell'Unione europea n. 32 del 2013 (cd. direttiva “procedure”), relativa alle procedure circa l'ottenimento o la perdita della protezione internazionale; il Capo III reca disposizioni finali, tra cui una clausola di invarianza finanziaria rispetto agli stanziamenti previsti.
  L'articolo 1 individua l'oggetto della disciplina normativa posta dall'atto nell'accoglienza degli stranieri richiedenti protezione internazionale (ossia il riconoscimento dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria) nel territorio nazionale, nonché dei familiari inclusi nella domanda di protezione. Gli stranieri sono i cittadini di Paesi non appartenenti all'Unione europea o apolidi (così già il decreto legislativo n. 25 del 2008). Il territorio nazionale include le frontiere e le relative zone di transito e le acque territoriali. Le misure di accoglienza si applicano dal momento di manifestazione della volontà di chiedere la protezione internazionale (non già dal momento della presentazione della domanda d'asilo, com'era previsto dall'articolo 5 del decreto legislativo n. 140 del 2005).
  Le nuove previsioni rispondono a quanto previsto dall'articolo 6, par. 1 della direttiva n. 33 del 2013, che qui si va a trasporre nell'ordinamento italiano. Le misure di accoglienza si applicano ai richiedenti protezione internazionale, anche qualora per essi sia aperto il procedimento di determinazione dello Stato membro dell'Unione competente all'esame della domanda (siffatta determinazione di competenza è oggetto del regolamento dell'Unione n. 604 del 2013, cd. Dublino IIII). Di contro le misure di accoglienza non si applicano ai richiedenti che già fruiscano della protezione temporanea (la quale è fattispecie di protezione – disciplinata dal decreto legislativo n. 85 del 2003 – distinta dalla protezione internazionale). Tale previsione corrisponde all'articolo 3, par. 3 della direttiva n. 33 del 2013.
  L'articolo 2 reca un apparato definitorio, relativo a «richiedente protezione internazionale», «straniero», «domanda di protezione internazionale», «Commissione territoriale» (per il riconoscimento della protezione internazionale), «minore non accompagnato», «familiari», «centro o struttura di accoglienza», «richiedente con esigenze di accoglienza particolari» ossia appartenente alle categorie vulnerabili. Riguardo i familiari del richiedente protezione internazionale, la definizione qui resa ha come riferimento il nucleo familiare del richiedente protezione internazionale, non già del «beneficiario» di questa (com’è nel decreto legislativo n. 251 del 2007 – suo articolo 2, comma 1, lettera l) – come modificato dal decreto legislativo n. 18 del 2014).
  Il nucleo familiare (che dev'essere costituito prima dell'arrivo nel territorio nazionale) è composto da: il coniuge; i figli minori non sposati, anche adottati o nati fuori del matrimonio, o affidati o sottoposti a tutela; il genitore o altro adulto Pag. 36legalmente responsabile del minore richiedente – se non coniugato, si viene ad aggiungere.
  L'articolo 3 reca – in rispondenza all'articolo 5 della direttiva n. 33 del 2013 – un obbligo di informazione a favore del richiedente protezione internazionale, circa le condizioni dell'accoglienza.
  L'obbligo è a carico dell'ufficio di polizia che riceva la domanda di protezione internazionale: dunque l'ufficio di polizia di frontiera o la questura – i quali sono competenti a ricevere la domanda, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 25 del 2008 (articoli 3 e 26).
  L'obbligo è adempiuto mediante consegna dell'opuscolo informativo redatto dalla Commissione nazionale per il diritto d'asilo, illustrativa dei seguenti elementi: le fasi della procedura per il riconoscimento della protezione internazionale – comprese le conseguenze dell'allontanamento ingiustificato dai centri; i principali diritti e doveri del richiedente durante la sua permanenza in Italia; le prestazioni sanitarie e di accoglienza e le modalità per riceverle; d) l'indirizzo ed il recapito telefonico dell'ACNUR e delle principali organizzazioni di tutela dei richiedenti protezione internazionale.
  L'opuscolo è consegnato nella prima lingua del richiedente, o se non sia possibile, in quella che si suppone egli conosca tra l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo. Le informazioni sono fornite altresì nei centri di accoglienza, entro un termine comunque non superiore a 15 giorni dalla presentazione della domanda di protezione. Ove necessario, si ricorre ad un interprete o mediatore culturale. Già ai sensi del decreto ministeriale 21 novembre 2008 (con il quale è stato lo schema di capitolato di appalto per la gestione dei centri oggi operante) il servizio di mediazione linguistico-culturale sono tra i parametri standard della conduzione dei centri di accoglienza.
  Le disposizioni dell'articolo 3 circa gli obblighi di informazione integrano quelle già vigenti dettate dal decreto legislativo n. 25 del 2008. Tra queste figura la previsione (suo articolo 10, comma 4) che in tutte le fasi del procedimento connesse alla presentazione ed all'esame della domanda di protezione, al richiedente sia garantita, se necessario, l'assistenza di un interprete della sua lingua o di altra lingua a lui comprensibile.
  L'articolo 4 ha per oggetto i documenti rilasciati al richiedente protezione internazionale – in rispondenza all'articolo 6 della direttiva n. 33 del 2013. Per primo viene rilasciato un «permesso di soggiorno provvisorio». Esso è dato dalla medesima ricevuta attestante la domanda di protezione internazionale. Questa ricevuta è rilasciata al momento della verbalizzazione della domanda di protezione. Il verbale (secondo la previsione introdotta dall'articolo 24 dello schema, inserendo un comma 2-bis entro l'articolo 26 del decreto legislativo n. 25 del 2008) è redatto entro tre giorni lavorativi dalla manifestazione della volontà di chiedere la protezione (ovvero entro sei giorni lavorativi, se la volontà sia manifestata all'Ufficio di polizia di frontiera). I termini sono prorogati di 10 giorni lavorativi in caso di flussi numerosi e ravvicinati. Successivamente, il richiedente ottiene un «permesso di soggiorno per richiesta asilo».
  La durata di tale permesso di soggiorno per richiesta asilo è prevista di 6 mesi, che è il lasso di tempo entro cui la procedura per il riconoscimento o il diniego della protezione internazionale, da parte della Commissione territoriale, dovrebbe concludersi. Tale durata è dunque mutata rispetto a quella di 3 mesi vigente, presente nel decreto legislativo n. 25 del 2008 (articolo 20, comma 3) e rinvenibile nel regolamento sul riconoscimento e la revoca della protezione internazionale (articolo 4, comma 6 del d.P.R. n. 21 del 2015).
  Rimane ferma la rinnovabilità del permesso di soggiorno per richiesta asilo, fino alla decisione sulla domanda di protezione o sull'impugnazione del suo diniego. Il richiedente il quale sia soggetto al trattenimento (disciplinato dall'articolo 6 dello schema) riceve dalla questura diverso documento. Si tratta di un «attestato nominativo», che certifica la qualità di richiedente Pag. 37protezione internazionale (non già la sua identità). Si prevede poi che non possono richiedersi requisiti ulteriori rispetto a quelli espressamente previsti nello schema, ai fini dell'accesso alle misure di accoglienza.
  L'articolo 5 reca disposizioni relative al domicilio del richiedente protezione internazionale. In primo luogo, prescrive per il richiedente l'obbligo di comunicazione alla questura del proprio domicilio o residenza, così come di ogni successivo mutamento. L'indirizzo del centro o struttura di accoglienza, per il richiedente che vi si trovi, costituisce il domicilio agli effetti del procedimento di riconoscimento della protezione internazionale e del trattenimento.
  Tale domicilio è considerato luogo di dimora abituale, qualora il richiedente nel centro o struttura di accoglienza sia titolare di un permesso di soggiorno per richiesta di asilo. Questo, ai fini dell'iscrizione anagrafica; l'articolo 6, comma 7 del Testo unico sull'immigrazione prevede a sua volta che in ogni caso la dimora dello straniero si considera abituale anche in caso di documentata ospitalità da più di tre mesi presso un centro di accoglienza.
  Il prefetto competente (in base al luogo di presentazione della domanda di protezione, è specificato) «può stabilire» un luogo di residenza o un'area geografica ove i richiedenti asilo possano circolare – secondo previsione rispondente all'articolo 7, par. 2 della direttiva n. 33 del 2013. È una disposizione che riprende quella posta dall'articolo 7, secondo periodo, del decreto legislativo n. 25 del 2008: non coincidente tuttavia, giacché in quest'ultimo si prevede «il prefetto stabilisce», anziché «può stabilire». Affinché l'esecuzione di misura cautelare degli arresti domiciliari o di detenzione domiciliare a carico del richiedente protezione internazionale possa esser disposta presso il centro o struttura di accoglienza, l'idoneità del centro a questi fini deve essere preliminarmente valutata dall'autorità giudiziaria, sentito il prefetto.
  L'articolo 6 reca disposizioni relative al trattenimento – oggetto dell'articolo 8 della direttiva n. 33 del 2013 – ossia quel regime che è definito, nell'ordinamento italiano, alla stregua di ’detenzione amministrativa’ disciplinata dall'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione il quale configura l'immigrazione irregolare come illecito amministrativo, fronteggiata in via preminente con lo strumento dell'espulsione amministrativa, cui è ’servente’ il trattenimento.
  Il comma 1 sancisce il divieto del trattenimento che abbia ad esclusivo fine l'esame la domanda del richiedente protezione internazionale. La disposizione – trasposizione dell'articolo 8, par. 1 della direttiva n. 33 del 2013 – riprende pressoché immutato il primo comma dell'articolo 20 del decreto legislativo n. 25 del 2008. Il comma 2 specifica i casi di applicabilità del trattenimento – il quale ha luogo nei Centri di identificazione ed espulsione di cui all'articolo 14 del Testo unico sull'immigrazione. Ed aggiunge che il trattenimento sia effettuato sulla base di una valutazione caso per caso, e se possibile in «appositi spazi».
  Ai sensi della direttiva n. 33 del 2013 (articolo 8), i motivi di trattenimento sono specificati nel diritto nazionale. A tal fine il comma 2 dell'articolo 6 prevede che il trattenimento si applichi: ai richiedenti protezione che si trovino nelle condizioni previste dall'articolo 1, paragrafo F della Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status di rifugiato – ossia abbiano commesso un crimine contro la pace, un crimine di guerra o un crimine contro l'umanità; o abbiano commesso un crimine grave di diritto comune fuori del Paese ospitante; o si siano resi colpevoli di atti contrari agli scopi e ai principi delle Nazioni Unite; ai richiedenti protezione già destinatari di un provvedimento di espulsione, per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato (articolo 13, comma 1 del Testo unico) o perché appartenenti ad una delle categorie di cui agli articolo 1, 4 e 16 del decreto legislativo n. 159 del 2011, cd. ’codice antimafia (articolo 13, comma 2 del Testo unico); ai richiedenti protezione nei confronti dei quali vi siano fondati motivi di ritenere che la permanenza nel territorio dello Pag. 38Stato possa in qualsiasi modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali; ai richiedenti protezione che costituiscano un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica; ai richiedenti protezione per i quali sussista il pericolo di fuga.
  Il trattenimento – prevede il comma 3 – si applica anche al richiedente il quale si trovi in un centro di identificazione ed espulsione in attesa di essere espulso, la cui domanda di protezione internazionale possa esser ritenuta per «fondati motivi» come solo strumentale ad interferire con l'esecuzione dell'espulsione.
  Nell'insieme, le disposizioni dei commi 2 e 3 delineano una applicazione del trattenimento che appare più estesa rispetto a quanto previsto dall'articolo 21 del decreto legislativo n. 25 del 2008, il quale applica il trattenimento a: gli autori di gravi crimini secondo la convenzione di Ginevra; i condannati per i delitti non a querela punibili con arresto obbligatorio in caso di flagranza o per altri reati (relativi a stupefacenti, libertà sessuale, migrazione clandestina, reclutamento o sfruttamento di prostituzione, sfruttamento minorile); i destinatari di un provvedimento di espulsione o di respingimento.
  Il trattenimento (o la sua proroga) sono disposti dal questore, con provvedimento scritto e motivato, prevede il comma 4. Il provvedimento è comunicato al richiedente protezione in una lingua a lui comprensibile. Deve recare indicazione delle modalità con cui il richiedente possa “difendersi” in sede di convalida del trattenimento (innanzi al competente tribunale in composizione monocratica, che la normativa vigente prevede sia il giudice di pace).
  Rimane ferma l'applicazione delle norme del Testo unico dell'immigrazione, relative al trattenimento (poste dal suo articolo 14). Pertanto il questore (se il richiedente sia munito di passaporto o documento corrispondente e non sia espulso per motivi di ordine pubblico o di sicurezza dello Stato o per motivi di prevenzione di terrorismo o per appartenenza alle categorie criminose già ricordate può disporre misure alternative al trattenimento, quali la consegna del passaporto, l'obbligo di dimora, l'obbligo di presentarsi in ufficio della forza pubblica in giorni ed orari stabiliti. L'articolo 14 del Testo unico altresì disciplina, del trattenimento, la procedura di convalida ed i termini di questa. La disposizione dello schema in esame prevede che se il trattenimento sia già in corso, il questore trasmetta gli atti all'autorità giudiziaria per la convalida del trattenimento per un periodo massimo di ulteriori sessanta giorni, affinché l'esame della domanda di protezione internazionale sia espletato. Ne consegue una sospensione dei diversi termini previsti dall'articolo 14, comma 5 del Testo unico – il quale è stato modificato dall'articolo 3, comma 1, lettera e) della legge n. 161 del 2014.
  Il trattenimento – in base al comma 5 – non può essere stabilito o prorogato oltre il tempo «strettamente» necessario onde esaminare la domanda di protezione internazionale – «salvo che sussistano ulteriori motivi di trattenimento ai sensi dell'articolo 14 del Testo unico».
  I tempi di esame della domanda (da parte della Commissione territoriale) vengono ad essere calibrati dall'articolo 28-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, articolo introdotto dal presente schema (all'articolo 24).
  Esso prevede un esame e decisione da parte della Commissione territoriale entro nove giorni dalla ricezione della documentazione immediatamente trasmessale dalla questura. Il termine è raddoppiato a diciotto giorni, in caso di domanda di protezione manifestamente infondata o reiterata senza nuovi elementi o pretestuosa onde interferire con l'adozione e l'esecuzione di un provvedimento di espulsione o respingimento. Siffatti termini possono essere superati, ove sia necessario per un esame adeguato o completo della domanda. Rimane fermo peraltro un termine massimo di due mesi, prorogabile di tre mesi (proroga disponibile in caso di particolare complessità o di ’ingorgo’ di domande a causa di flussi migratori numerosi Pag. 39e ravvicinati o di inosservanza da parte del richiedente degli obblighi di comparizione personale dietro convocazione, di consegna di documenti, di comunicazione di mutata residenza o domicilio, di collaborazione, da parte del richiedente), a sua volta prorogabile di un altro mese in casi eccezionali. Il termine massimo è più ampio – sei mesi, prorogabili per altri nove mesi, ed eccezionalmente per altri tre mesi, nei casi ricordati di domande infondate o reiterate o pretestuose (sono i termini massimi previsti dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 25 del 2008, come riscritto dallo schema in esame per l'esame della domande da parte delle Commissioni territoriali in procedure ’ordinarie’, dunque non accelerate come quelle relative a richiedenti in condizioni di trattenimento). Ritardi nelle procedure di esame della domanda non imputabili al richiedente, non legittimano una proroga del trattenimento. Qualora il richiedente in condizione di trattenimento muova, avverso una decisione di rigetto della domanda di protezione da parte della Commissione territoriale, ricorso giurisdizionale, egli permane nel centro di identificazione ed espulsione, finché il ricorso non sia deciso e per il tempo che il richiedente sia autorizzato a trascorrere nel territorio nazionale in ragione del ricorso presentato. È quanto prevede il comma 6.
  Il comma 7 aggiunge che in pendenza di ricorso ed in attesa della decisione dell'autorità giudiziaria, il questore chieda la proroga del trattenimento in corso, per periodi ulteriori non superiori a sessanta giorni, di volta in volta prorogabili da parte del tribunale in composizione monocratica. Prevede altresì che il trattenimento complessivo – ossia includente anche la quota parte di trattenimento connessa alla pendenza di ricorso giurisdizionale – non possa comunque superare dodici mesi.
  Nella relazione tecnica che correda il provvedimento è riportato il dato (riferito all'anno 2014) della durata media della trattazione dei ricorsi: 178 giorni.
  Sono dunque circa 6 mesi, da aggiungersi a quelli precedenti a disposizione della Commissione territoriale per la decisione sulla domanda (oggetto dell'articolo 28-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, richiamato sopra a proposito del comma 5 del presente articolo dello schema). Questi sono altri sei mesi circa – non però nei casi di domande infondate, reiterate o pretestuose.
  Il comma 8 dispone che il trattenimento sia mantenuto solo finché ne sussistano i motivi (enunciati dai precedenti commi 2, 3 e 6 di questo articolo dello schema). In caso di richiesta di rimpatrio da parte del richiedente – la quale equivale a ritiro della domanda di protezione internazionale, si prevede – l'espulsione con accompagnamento alla frontiera (nei casi in cui ne ricorrano i presupposti, ai sensi dell'articolo 13 del Testo unico) è immediatamente disposta o eseguita.
  Il comma 9, infine, prevede che la domanda di protezione internazionale importi sospensione – per il tempo occorrente al suo esame – del termine per la partenza volontaria, ove appunto il richiedente protezione internazionale sia destinatario di un provvedimento di espulsione e per questa sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria (è fattispecie prevista dall'articolo 13, commi 5 e 5.2 del Testo unico). In caso di indisponibilità di mezzi di sostentamento, nel periodo di siffatta sospensione il richiedente fruisce delle misure di accoglienza previste dallo schema.
  In materia di trattenimento, giova ricordare come la direttiva 2003/9/CE prevedeva solo che l'accoglienza dei richiedenti asilo in stato di trattenimento assicurasse loro una qualità di vita adeguata alla situazione (articolo 13). La direttiva n. 33 del 2013 ha modificato la precedente direttiva introducendo norme comuni dettagliate sulla questione del trattenimento, al fine di garantire che i richiedenti in stato di trattenimento vengano trattati nel pieno rispetto della dignità umana. In particolare, la direttiva contiene un elenco dei presupposti per il trattenimento e limitazioni alla sua durata; prevede particolari Pag. 40garanzie per le persone vulnerabili, in particolare i minori; assicura il rispetto di garanzie procedurali quali l'accesso all'assistenza legale gratuita e l'accesso a informazioni scritte all'atto della presentazione di un ricorso contro un provvedimento di trattenimento; introduce specifiche condizioni di accoglienza per i centri di trattenimento, come l'accesso a spazi all'aria aperta e la possibilità di comunicare con avvocati, ONG e familiari.
  L'articolo 7 disciplina – in rispondenza agli articoli 10 e 12 della direttiva n. 33 del 2013 – alcune modalità del trattenimento, prescrivendo – al comma 1 – che esse assicurino la piena assistenza e il pieno rispetto della dignità (è formulazione già presente nell'articolo 14, comma 2 del Testo unico).
  Insieme, quel comma prevede che sia assicurata la fruibilità di spazi all'aperto e sia preservata, ove possibile, l'unità del nucleo familiare. Le richiedenti di sesso femminile fruiscono di una sistemazione separata ed hanno rispettate le differenze di genere.
  L'accesso ai centri di identificazione ed espulsione come la libertà di colloquio con i richiedenti sono consentiti – ai sensi del comma 2 – ai rappresentanti dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e delle organizzazioni che operano per suo conto, ai familiari, agli avvocati dei richiedenti, ai rappresentanti degli enti di tutela dei rifugiati, agli altri soggetti indicati nelle direttive del ministero dell'interno adottate ai sensi dell'articolo 21, comma 8 del d.P.R. n. 394 del 1999, attuativo del Testo unico. Le medesime direttive ministeriali possono – per ragioni di sicurezza o di ordine pubblico o connesse alla gestione amministrativa – limitare, non già del tutto impedire, l'accesso ai centri (comma 3).
  Il richiedente è informato delle regole vigenti nel centro e dei suoi diritti e obblighi, nella sua prima lingua o in altra «che ragionevolmente si suppone che comprenda» (comma 4). È assicurata nei medesimi centri una verifica periodica della sussistenza delle condizioni di vulnerabilità (definite al successivo articolo 16), al fine di valutarne la compatibilità con la permanenza nel centro, ove si rendano necessarie misure assistenziali particolari. Ed in caso di condizioni di salute incompatibili con il trattenimento, questo viene meno (comma 5).
  L'articolo 8 ridisegna le strutture di prima accoglienza, mediante una ’riconversione’ degli attuali CARA e CDA.
  I centri governativi di prima accoglienza così disciplinati hanno la funzione di prima accoglienza e di consentire lo svolgimento delle operazioni necessarie alla identificazione dello straniero, ove non sia stato possibile portarle a termine nei centri di primo soccorso collocati nei luoghi di sbarco (la cui prima previsione risale al decreto-legge n. 451 del 1995, per l'emergenza sbarchi in Puglia). Il comma 1 dispone che nelle nuove strutture, dislocate a livello regionale o interregionale e istituiti con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata, siano espletate le operazioni occorrenti a: definire la posizione giuridica dello straniero; verbalizzare la domanda di protezione e ad avviare la procedura di esame della medesima; verificare le condizioni di salute del richiedente, anche per accertare eventuali situazioni di vulnerabilità che richiedono servizi speciali di accoglienza. Per i centri così istituiti (ove sono ospitati i richiedenti protezione internazionale, nel tempo di svolgimento del procedimento di esame della domanda di protezione), il comma 2 dispone che l'affidamento della gestione segua le procedure di affidamento dei contratti pubblici. I centri possono essere gestiti da enti locali, anche associati, unioni o consorzi di comuni, enti pubblici o enti privati che operano nel settore dell'assistenza dei richiedenti asilo o agli immigrati o nel settore dell'assistenza sociale.
  Il comma 3 prevede che la realizzazione delle nuove strutture avvenga mediante la riconversione dei centri per i richiedenti asilo, i CARA, disciplinati dall'articolo 20 del decreto legislativo n. 25 del 2008, contestualmente abrogato dall'articolo 24 dello schema, nonché dei centri di primo soccorso e accoglienza governativi, i Pag. 41CDA, istituiti ai sensi del decreto-legge n. 451 del 1995 per l'emergenza sbarchi in Puglia, mantenuti dallo schema, questi ultimi se destinati a tali funzioni con decreto ministeriali.
  Il comma 4 precisa che l'accoglienza in questo tipo di strutture deve essere disposta dal prefetto sentito il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione.
  L'accoglienza è limitata al periodo di tempo necessario per completare l'identificazione se non ultimata precedentemente, verbalizzare la domanda, avviare le procedure concernenti l'esame, svolgere le visite mediche, verificare le condizioni di particolare vulnerabilità.
  Il comma 5 dispone che il richiedente che ne faccia richiesta (anche se non siano state completate le procedure di esame della sua domanda e non ne possa conoscere l'esito) sia trasferito in una struttura di accoglienza del sistema SPRAR, purché privo di mezzi di sostentamento. Infatti, secondo quanto disposto dal successivo articolo 13, comma 1, l'accesso alle strutture SPRAR è consentito solo ai richiedenti che dimostrino di non avere mezzi economici sufficienti per mantenere se stessi e i familiari. In caso di temporanea indisponibilità di posti SPRAR, il richiedente tuttavia rimane nel centro di prima accoglienza.
  La relazione tecnica quantifica i costi, correlati all'attuazione dell'articolo 8, con riferimento alla ristrutturazione di alcune strutture esistenti, alla realizzazione di nuove, e alla dismissione di altre, per una pari ricettività, le quali non risultino «funzionale ad una omogenea distribuzione di richiedenti sul territorio nazionale». L'obiettivo è di ’mettere a regime’ circa 2.000 posti, oggi assicurati solo per periodi determinati ed emergenziali, onde raggiungere in modo stabile la complessiva capienza della prima accoglienza di circa 10.500 posti. Il costo stimato di tale ristrutturazione è di circa 5,9 milioni, già presenti in bilancio.
  L'articolo 9 individua i principi cui si devono uniformare le modalità di accoglienza nei centri governativi di prima accoglienza. Vengono richiamati i principi fondamentali che devono essere assicurati nell'erogazione dei servizi di accoglienza, alla luce di quanto previsto dall'articolo 10 della direttiva n. 33 del 2013.
  Secondo il comma 1, nei centri governativi di prima accoglienza (attuali CARA e CDA) devono essere garantiti il rispetto della sfera privata, comprese le differenze di genere, e delle esigenze connesse all'età, la tutela della salute e l'unità dei nuclei familiari più stretti (coniugi e parenti entro il primo grado), la attivazione di misure necessarie a far fronte a bisogni delle persone portatrici di esigenze particolari (l'articolo 16 le enumera riguardo a: disabili, minori, donne in gravidanza, anziani, vittime di tortura). Identica disposizione è presente nell'articolo 10, comma 1 del d.P.R. n. 21 del 2015, che reca il regolamento di attuazione del decreto legislativo n. 25 del 2008.
  Il comma 2 consente ai soggiornanti in questi centri di poter uscire durante le ore diurne, con obbligo di rientro nelle ore notturne, con orari e modalità stabiliti dalle linee guida adottate dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno per regolamentare la vita nei CARA. L'adozione di queste linee guida è prevista dall'articolo 10 del d.P.R. n. 21 del 2015.
  Il soggiornante nel CARA può allontanarsi per periodi più lunghi solo per rilevanti motivi personali o per motivi attinenti all'esame della domanda, previa autorizzazione del prefetto. L'eventuale diniego di tale autorizzazione deve essere motivato e comunicato all'interessato tempestivamente, nella sua lingua o tramite un interprete (è disposizione già prevista nell'articolo 10 comma 4 del decreto legislativo n. 25 del 2008, del quale lo schema prevede l'abrogazione. Il riferimento all'articolo 10, comma 4 del decreto legislativo n. 25 del 2008 compare anche nel regolamento di cui al d.P.R. n. 21 del 2015, nel suo articolo 10, comma 3). Il comma 3 dispone che ai soggiornanti sia assicurata la facoltà di comunicare con rappresentanti dell'UNHCR e delle altre associazioni di tutela, con i propri familiari e con i rappresentanti legali. Il Pag. 42comma 4 prevede che possano avere accesso ai centri – fatte salve le limitazioni dovute a motivi di sicurezza – alcune categorie di persone: i rappresentanti dell'Alto commissariato dell'ONU per i rifugiati (UNHCR); i rappresentanti di organizzazioni che operano per conto dell'UNHCR sulla base di accordi con esso; i familiari dei soggiornanti; gli avvocati e legali rappresentanti; i rappresentanti degli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale. Possono altresì essere autorizzati ad accedere ai CARA, secondo quanto disposto dall'articolo 12, comma 3 del d.P.R. n. 21 del 2015, e secondo le modalità fissate nelle ’linee guida’ ulteriori soggetti ivi previsti.
  L'articolo 10 disciplina l'attivazione di strutture temporanee nel caso in cui, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di stranieri che giungono in Italia, il sistema di accoglienza non riesca a far fronte all'emergenza e le strutture esistenti non siano in grado di mettere a disposizione un numero sufficiente di posti.
  Già nel 2014, nell'intesa sottoscritta il 10 luglio tra Governo, Regioni ed Enti locali («Piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari») per riordinare il sistema complessivo di accoglienza, era stato previsto che, per far fronte alla saturazione del sistema derivante dall'altro numero di stranieri giunti in Italia attraverso flussi non programmati, fosse possibile da parte del Ministero dell'interno attivare strutture temporanee, in raccordo con gli enti territoriali, per assicurare un'accoglienza di breve durata diretta al soddisfacimento delle esigenze fondamentali ed immediate dei richiedenti protezione, in attesa del trasferimento in altre strutture.
  Le strutture temporanee disciplinate in questo articolo sono destinate ad accoglienza straordinaria, in caso di flussi ravvicinati e numerosi. Il comma 1 dell'articolo in esame dispone che gli stranieri siano indirizzati in questo tipo di strutture previa valutazione delle condizioni di salute, anche al fine di accertare se sussistono esigenze particolari (valutazione della vulnerabilità dei soggetti). Il comma 2 dispone che le strutture siano individuate dalle prefetture secondo le normali procedure di affidamento dei contratti pubblici. In casi di estrema urgenza tuttavia si può far ricorso alle procedure di affidamento diretto.
  Il comma 3 ribadisce che la permanenza nelle strutture di assistenza di questo tipo deve durare per un tempo limitato, in attesa del trasferimento del richiedente nelle strutture governative di prima assistenza (previste e disciplinate dall'articolo 8 dello schema) o nelle strutture facenti parte della rete del sistema SPRAR (di cui all'articolo 13 dello schema).
  Considerato dunque che lo schema in esame riordina la disciplina di tre tipologie di centri di prima accoglienza: i Centri di identificazione ed espulsione (articolo 6); i Centri governativi di prima accoglienza (articolo 8); le strutture temporanee appositamente istituite per fronteggiare particolari situazioni di emergenza (articolo 10), allo scopo di assicurare un livello uniforme di accoglienza in tutte le strutture appartenenti a queste tre tipologie, l'articolo 11 dispone che la fornitura di beni e servizi per il funzionamento dei centri sia regolata secondo uno schema di capitolato di gara d'appalto adottato a livello centrale dal Ministro dell'interno con un suo decreto.
  La disposizione riproduce quanto già previsto dal d.P.R. n. 21 del 2015, che indica (articolo 11, comma 2) una serie di elementi imprescindibili che debbono essere oggetto di questo schema di capitolato. Il comma 2 prevede altresì che un regolamento individui e disciplini forme di partecipazione e di coinvolgimento dei richiedenti nella vita e nelle attività delle strutture che li ospitano.
  L'articolo 12 prevede che i migranti ospitati in strutture di prima accoglienza o in strutture temporanee allestite in situazioni di emergenza non possano allontanarsene pena la decadenza dalle condizioni di accoglienza disciplinate dalla normativa. Le conseguenze in caso di allontanamento ingiustificato sono previste dall'articolo 23-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008, introdotto dall'articolo 24, Pag. 43comma 1, lettera r) dello schema. Questo dispone la sospensione della procedura di esame della domanda qualora il richiedente si allontani senza motivo dal centro di accoglienza o dal centro di identificazione ed espulsione in cui soggiorna, prima di aver sostenuto il colloquio davanti alla Commissione territoriale.
  Il procedimento sospeso può essere riaperto a richiesta dell'interessato entro 12 mesi dalla sospensione. Trascorso tale termine la Commissione dichiara il procedimento estinto. Solo per gravi motivi, valutati secondo modalità speciali, il Presidente della Commissione può valutare il riesame della domanda dopo tale termine. Le procedure sono previste regolate dal comma 1-bis dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 25 del 2008 (introdotto dall'articolo 24, comma 1, lettera z) dello schema). Sotto il profilo procedurale, gli effetti dell'allontanamento ingiustificato sono previsti dall'articolo 28, par. 1, lettera b) e par. 2 della direttiva n. 32 del 2013, che sono recepiti con l'articolo 22, lettere a) e b) dello schema, circa la revoca delle misure di accoglienza.
  L'articolo 13 delinea il sistema di accoglienza sul territorio dei migranti che abbiano presentato domanda di protezione internazionale e che non si trovino in condizioni di irregolarità.
  Il sistema di accoglienza sul territorio, che viene indicata con l'acronimo SPRAR (Sistema di protezione per i richiedenti asilo e i rifugiati), si basa sulla rete di enti locali.
  Il sistema di accoglienza territoriale è stato istituzionalizzato dalla legge n. 189 del 2002, che ha modificato il decreto-legge n. 416 del 1989 (»Norme urgenti in materia di asilo politico, ingresso e soggiorno di cittadini extracomunitari e regolarizzazione di cittadini extracomunitari e apolidi»). In particolare il sistema di accoglienza territoriale e il suo finanziamento sono oggetto degli articoli aggiuntivi 1-sexies e 1-septies del decreto-legge, volti ad introdurre un sistema di accoglienza pubblico, diffuso su tutto il territorio italiano con il coinvolgimento delle istituzioni centrali e locali secondo una condivisione di responsabilità tra Ministero dell'Interno ed enti locali.
  Gli enti locali aderiscono al sistema SPRAR su base volontaria e attuano i progetti con il supporto delle realtà del terzo settore. A coordinare lo SPRAR è il Servizio centrale, attivato dal ministero dell'Interno e affidato con convenzione all'ANCI. Ai sensi della normativa vigente i progetti di accoglienza integrata vengono finanziati annualmente dal ministro dell'interno, coprendo i costi complessivi dei vari servizi forniti dai territori nella misura massima dell'80 per cento. Il finanziamento è a carico del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, istituito dalla legge 30 luglio 2002, n. 189, che ha modificato il decreto legge n. 416 del 1989 e nel quale confluiscono sia risorse nazionali, provenienti dallo stato di previsione del ministero dell'interno, sia assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati.
  Gli articoli 13 e 14 dello schema corrispondono a – e sostituiscono – gli articoli 5 e 6 del decreto legislativo n. 140 del 2005. Rispetto alle disposizioni ora vigenti, lo schema in esame pare voler dare maggiore rilievo all'accoglienza nell'ambito del sistema della rete Sprar.
  Secondo quanto disposto dal comma 1, le misure di accoglienza predisposte entro il sistema Sprar a beneficio di richiedenti protezione che abbiano formalizzato la domanda e siano privi di mezzi adeguati per assicurare a se stessi e alle loro famiglie una qualità di vita adeguata, sono finanziati – in deroga alle disposizioni vigenti – anche oltre il limite dell'80 per cento previsto.
  Il comma 2 dispone che la predisposizione dei progetti di accoglienza e dei servizi svolti dagli enti locali si basi su linee guida indicate dal ministero. Ciascun ente locale elabora progetti in linea con le necessità e i criteri indicati dal ministero e – per finanziarli – presenta un'apposita domanda di ammissione al contributo. Le linee guida e le modalità di presentazione delle domande di contributo sono oggetto di un decreto ministeriale che il Ministro Pag. 44dell'interno emana sentita la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie locali e Stato-Regioni. Il decreto deve prevedere e regolamentare anche la predisposizione di servizi rivolti a persone con esigenze particolari, come minori, minori non accompagnati, disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, persone affette da malattie mentali o vittime di violenza, torture, mutilazioni genitali (categorie oggetto delle disposizioni specifiche contenute nell'articolo 16 dello schema).
  La valutazione dei mezzi di sussistenza dei richiedenti asilo viene effettuata (come avviene anche ora ai sensi dell'articolo 5, comma 3 del decreto legislativo n. 140 del 2005) dalla Prefettura.
  Il comma 3 indica l'importo annuo dell'assegno sociale come parametro per valutare la misura dei mezzi di sussistenza ritenuti sufficienti al sostentamento autonomo del richiedente asilo, al di sotto dei quali egli possa accedere ai servizi di accoglienza.
  L'importo annuo dell'assegno sociale per il 2015 (comunicato dall'INPS con la circolare n. 1 del 9 gennaio 2015) è di 5.830,63 euro annui, pari a 448,50 euro mensili, a 15,97 euro giornalieri. La disposizione introdotta con questo comma è intesa a ricondurre i parametri per la valutazione dello stato di indigenza dei richiedenti protezione alle prestazioni economiche erogate ai cittadini italiani in condizioni disagiate.
  I commi da 4 a 6 disciplinano la durata del periodo durante il quale è assicurata al richiedente l'accoglienza. Il comma 4 prevede che le misure di accoglienza siano assicurate per tutto il periodo in cui si svolge il procedimento di esame della domanda da parte della Commissione territoriale competente, fino al momento della decisione. Se la Commissione territoriale rigetta la domanda, la durata dell'accoglienza è commisurata a quella del ricorso giurisdizionale. Le misure di accoglienza pertanto continuano ad essere assicurate fino alla scadenza del termine per l'impugnazione della decisione.
  Com’è noto, avverso la decisione della Commissione territoriale è ammesso il ricorso davanti all'autorità giudiziaria ordinaria. Le disposizioni relative all'impugnazione sono regolate dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011 (»Riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione»). Esso dispone che le controversie aventi ad oggetto l'impugnazione dei provvedimenti di revoca o cessazione dello status di rifugiato sono regolate con il rito sommario di cognizione e vengono trattate in ogni grado in via di urgenza. È competente il tribunale del capoluogo del distretto di Corte d'appello in cui ha sede la Commissione per il riconoscimento della protezione internazionale. I termini per il ricorso sono previsti in trenta giorni dalla notificazione del provvedimento (sessanta giorni se il ricorrente risiede all'estero) oppure in 15 giorni in caso di trattenimento.
  Il ricorrente ha dunque diritto di godere dell'accoglienza accordata ai sensi dell'articolo 13 dello schema in esame per tutto il tempo per il quale è autorizzato a rimanere nel territorio nazionale (secondo la disciplina dei ricorsi prevista dall'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 2011). In particolare, se viene presentato ricorso contro la decisione della Commissione territoriale, la proposizione del ricorso sospende automaticamente l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato (tranne che nelle ipotesi in cui il ricorso venga proposto da soggetti che hanno presentato domanda dopo essere stati fermati per avere eluso i controlli o dopo essere stati fermati in condizioni di soggiorno irregolare, da soggetti che sono trattenuti nei CIE per essere oggetto di un provvedimento di espulsione o respingimento, perché sono stati condannati in Italia per una serie di reati, o perché rientrano nei casi di esclusione previsti dall'articolo 1 paragrafo F della Convenzione di Ginevra, che enumera una serie di crimini e reati di rilievo internazionale).
  Il ricorso contro la decisione di rigetto della domanda non sospende l'efficacia del provvedimento impugnato quando la domanda sia stata presentata da un soggetto che si è allontanato dal centro di accoglienza senza averne diritto, o se la domanda Pag. 45sia stata respinta con motivazioni di manifesta infondatezza (elenco delle ipotesi enumerate nell'articolo 19, comma 4 del decreto legislativo n. 150 del 2011). In questi casi il ricorrente deve presentare un'istanza di sospensione al tribunale. Fino alla decisione su questa istanza il ricorrente ha diritto a rimanere nel territorio nazionale ma non può allontanarsi dalla struttura o dal centro in cui è ospitato. Se l'istanza di sospensione viene accolta, al ricorrente viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di asilo, e ne viene disposta l'accoglienza.
  Se in capo ai ricorrenti sussistono (e permangono) i presupposti per il trattenimento nei CIE (pericolosità sociale, motivi di ordine pubblico, irregolarità della posizione giuridica, mancanza di documenti, tentativo di fuga), essi debbono rimanervi non solamente per il tempo necessario al giudice per decidere sull'istanza di sospensione, ma per tutto il tempo in cui sono autorizzati a rimanere nel territorio nazionale in conseguenza del ricorso giurisdizionale proposto. In questi casi i richiedenti asilo la cui domanda sia stata rigettata e che abbiano fatto ricorso, non possono lasciare i Centri in cui sono alloggiati.
  Il comma 5 prevede che quando tali requisiti vengono meno e il ricorrente abbia ottenuto la sospensione del provvedimento impugnato, se è privo di mezzi di sostentamento può essere accolto nei centri governativi di prima accoglienza previsti dall'articolo 8 dello schema. Il comma 6 dispone che ai ricorrenti trattenuti nei centri di accoglienza da ultimo citati sia prorogata – per il periodo di sospensione del provvedimento impugnato – la validità dell'attestato nominativo che certifica la loro qualità di richiedenti protezione internazionale.
  Quando tuttavia i ricorrenti, pur non più trattenuti nei CIE, si trovano nelle condizioni descritte nell'articolo 6, comma 1, lett. a), b), c) dello schema di decreto in esame (che descrivono situazioni di particolare criticità e pericolosità per l'ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale), ad essi possono essere imposte particolari misure cautelari. Tali misure (previste dal comma 1-bis dell'articolo 14 del TU 286/1998) sono: obbligo di dimora; ritiro del passaporto; obbligo di presentarsi periodicamente ad un ufficio di polizia.
  L'articolo 14 (corrispondente all'articolo 6 del decreto legislativo n. 140 del 2005) disciplina nel dettaglio le modalità di accesso al sistema di accoglienza territoriale dello straniero che si trovi in Italia ed abbia presentato la richiesta di riconoscimento di protezione internazionale (o intenda farlo).
  Secondo quanto dispone l'articolo 13 dello schema, i richiedenti protezione internazionale sono ammessi, se privi di mezzi di sostentamento, all'accoglienza nelle strutture facenti parte della rete SPRAR. A tale fine essi devono presentare alla Questura una domanda nella quale dichiarano di non essere in possesso di sufficienti mezzi di sussistenza per sé e per la propria famiglia – condizione che, ai sensi del precedente articolo 13, consente a chi ha formalizzato la domanda di protezione di essere accolto nel sistema SPRAR. Una volta accertata la validità del requisito, la Prefettura provvede, secondo le modalità stabilite con un provvedimento del Capo del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, a verificare la disponibilità di posti all'interno del sistema di accoglienza Sprar.
  È sempre la Prefettura ad organizzare il trasferimento dei soggetti richiedenti presso le strutture di destinazione, nel caso avvalendosi anche di mezzi di trasporto messi a disposizione dai gestori stessi.
  L'accoglienza è subordinata alla effettiva residenza dei soggetti presso quelle strutture che sono state individuate e determinate dalla Prefettura, la quale può, per determinate esigenze e con motivate ragioni, disporre il trasferimento presso strutture diverse, anche ubicate in altre province (ma in tal caso il trasferimento è disposto dal Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione).Pag. 46
  Secondo l'articolo 7 della direttiva n. 33 del 2013, «gli Stati membri possono subordinare la concessione delle condizioni materiali di accoglienza all'effettiva residenza del richiedente in un determinato luogo, da determinarsi dagli Stati membri».
  Sia la Questura sia la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale vengono informate dell'indirizzo della struttura di accoglienza prescelta, per la notifica delle comunicazioni degli atti relativi al procedimento di esame della domanda nonché di ogni altro atto.
  È consentito l'accesso nelle strutture di accoglienza di legali rappresentanti del richiedente o di personale dell'UNHCR nonché dei rappresentanti degli enti di tutela, al fine di prestare assistenza ai richiedenti. Avverso il provvedimento di diniego delle misure di accoglienza è ammesso il ricorso al TAR territorialmente competente.
  La disciplina vigente – posta dal decreto legislativo n. 140 del 2005 (articolo 6, comma 7), che fa rinvio all'articolo 1-sexies, comma 3, lettera c) del decreto-legge n. 416 del 1989 – prevede la corresponsione di un contributo economico di prima assistenza in favore del richiedente asilo non accolto nel sistema di accoglienza territoriale per mancanza di posti. Tale previsione non è ribadita nello schema, e pertanto, posta l'abrogazione del decreto legislativo n. 140 del 2005 in esso prevista, verrebbe meno.
  L'articolo 15 dispone che il sistema di accoglienza territoriale e le relative misure volte a favorire l'integrazione di beneficiari di protezione internazionale, si sviluppi secondo linee di indirizzo e di programmazione individuate da un apposito Tavolo di coordinamento nazionale.
  Si prevede che nella programmazione degli interventi diretti a ottimizzare il sistema di accoglienza, il Tavolo di coordinamento includa i criteri di ripartizione regionale dei posti da destinare all'accoglienza. I criteri sono elaborati d'intesa con la Conferenza unificata Stato-città ed autonomie sociali e Stato-Regioni.
  Il Piano nazionale per l'accoglienza, con il quale si sviluppa il programma di interventi, dev'essere adottato con cadenza più ravvicinata rispetto ai due anni attuali. Se ne prevede infatti un approntamento annuale, salvo necessità di un termine più breve.
  Presso le Prefetture nei capoluoghi di regione, sono insediati Tavoli di coordinamento regionale, con il compito di attuare a livello regionale le linee di indirizzo e la programmazione predisposti dal Tavolo nazionale. La composizione e le modalità operative dei tavoli di coordinamento regionale sono disciplinati da un decreto del Ministro dell'interno. In ogni caso rimane ferma la norma in esame stabilisce che la partecipazione a questi organi non dia luogo ad alcun tipo di compenso, gettoni, indennità, emolumenti o rimborsi.
  L'articolo 16 individua i richiedenti asilo che rientrano nelle categorie vulnerabili che necessitano di forme di assistenza particolari nella prestazione delle misure di accoglienza (in attuazione delle previsioni degli articoli 21, 22 e 25 della direttiva ’accoglienza’ 2013/33/UE, e in parte dell'articolo 24 della direttiva ’procedure’ 2013/32/UE).
  La disposizione individua, al comma 1, le seguenti categorie di persone vulnerabili: minori, minori non accompagnati; disabili; anziani; donne in stato di gravidanza; genitori singoli con figli minori; vittime di tratta di esseri umani; persone affette da gravi malattie e o disturbi mentali; persone per le quali sia stato accertato che hanno subito torture, stupri o altre gravi forme di violenza psicologica, fisica o sessuale; vittime di mutilazioni genitali.
  Tale individuazione è aderente alla definizione prevista dall'articolo 21 della direttiva ’accoglienza’, con l'avvertenza che, mentre nella direttiva sono citate le vittime di mutilazioni genitali femminili come esempio di persone che hanno subito torture o altre violenze, nello schema di recepimento sono esplicitate quale categoria distinta.
  Rispetto alla normativa vigente, che già prevede all'articolo 8 del decreto legislativo Pag. 47n. 140 del 2005 l'attivazione di misure specifiche nei confronti delle persone portatrici di esigenze particolari, si segnala che lo schema di decreto prevede, in sintonia con le novità della direttiva 2013/33/UE, nuove categorie come le vittime della tratta degli esseri umani, le persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali e le vittime di mutilazioni genitali. Inoltre, accanto ai minori sono specificati anche i minori non accompagnati.
  Ai sensi del successivo comma 2, i richiedenti protezione internazionale identificati come vittime della tratta di essere umani sono inseriti anche nei programmi e percorsi di assistenza destinati a tale categoria ai sensi dell'articolo 18, comma 3-bis, del Testo unico.
  In proposito, l'articolo 18, comma 3-bis, del Testo unico dell'immigrazione, introdotto dal decreto legislativo n. 24 del 2014 (che ha recepito la direttiva 2011/36/UE, relativa alla prevenzione e alla repressione della tratta di esseri umani e alla protezione delle vittime) ha previsto l'adozione di un Programma unico di emersione, assistenza ed integrazione in favore di stranieri (compresi i cittadini UE) vittime di tratta e riduzione in schiavitù nonché di stranieri vittime di violenza o di grave sfruttamento che corrano concreti pericoli per la loro incolumità (sia per i tentativi di sottrarsi ai condizionamenti di un'associazione dedita ad uno dei predetti delitti o per le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari o del giudizio).
  I servizi speciali di accoglienza per le persone vulnerabili garantiscono misure assistenziali particolari ed un adeguato supporto psicologico e sono assicurati anche in collaborazione con la ASL competente per territorio. Tali servizi sono innanzitutto assicurati all'interno dei centri governativi di prima accoglienza, dove, di norma, sono espletate le procedure di identificazione e accertate le eventuali situazioni di vulnerabilità (comma 3). I servizi sono individuati con lo stesso decreto ministeriale previsto all'articolo 11 dello schema per l'adozione del capitolato di gara d'appalto per la fornitura di beni e servizi nei centri di accoglienza. Al tempo stesso, speciali servizi di accoglienza per le categorie di persone vulnerabili sono previsti nell'ambito del sistema di accoglienza territoriale di cui all'articolo 13 (SPRAR). Tali servizi sono individuati con il decreto ministeriale, che proprio ai sensi del citato articolo 13 detta le linee guida per la predisposizione dei servizi da assicurare dal sistema di accoglienza territoriale (comma 4). Le disposizioni dei commi 3 e 4 riproducono sostanzialmente quanto attualmente previsto dall'articolo 8, commi 2 e 3, del decreto legislativo n. n. 140 del 2005. Pur rinviando ai decreti ministeriali la concreta individuazione dei servizi speciali di accoglienza, il comma 5 stabilisce, in via generale, il criterio in base al quale i richiedenti adulti portatori di esigenze particolari sono alloggiati, ove possibile, insieme ai parenti adulti già presenti nelle strutture di accoglienza.
  Come chiarito al comma 6, i servizi speciali predisposti nelle diverse strutture di accoglienza devono assicurare una valutazione iniziale e una verifica periodica della sussistenza delle particolari condizioni di vulnerabilità da parte di personale qualificato.
  Tale disposizione sembrerebbe porsi in attuazione di quanto previsto sia dall'articolo 24 della direttiva 2013/32/UE, sia dall'articolo 22 della direttiva 2013/33/UE, nella parte in cui prevedono che gli Stati membri assicurano che il sostegno fornito ai richiedenti con esigenze di accoglienza particolari tenga conto delle loro esigenze di accoglienza durante l'intera procedura di asilo e provvedono a un appropriato controllo della loro situazione. Per contro, merita ricordare che le medesime disposizioni europee citate richiedono che la valutazione delle particolari esigenze di accoglienza delle persone vulnerabili non debba assumere la forma di una procedura amministrativa.
  Il comma 7 dispone che il gestore del centro comunichi la sussistenza di esigenze particolari alla prefettura presso la quale è insediata la Commissione territoriale competente ad esaminare la domanda di riconoscimento della protezione Pag. 48internazionale. Tale obbligo di comunicazione è funzionale a garantire le particolari tutele procedurali previste nel colloquio personale che il richiedente può sostenere davanti alla commissione territoriale ai sensi dell'articolo 13 del decreto legislativo n. 25 del 2008. Tale disposizione, infatti, prevede al comma 2 (parte non modificata dalle novelle introdotte dal Capo II dello schema in esame) che in presenza di straniero portatore di particolari esigenze, lo stesso può essere assistito nel colloquio da personale di sostegno.
  Il comma 8, in sintonia con le previsioni dell'articolo 25 della direttiva 2013/33/UE, riconosce che le persone che hanno subito danni per effetto di torture, stupri o altri gravi atti di violenza, abbiano il diritto di accedere ad assistenza o cure mediche e psicologiche appropriate, secondo quanto previsto dalle linee guida del Ministero della salute per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei beneficiari di protezione internazionale che hanno subito violenze, introdotte dal decreto legislativo n. 18 del 2014 (che ha recepito la nuova direttiva ’qualifiche’). Il personale sanitario coinvolto deve ricevere specifica formazione ed è tenuto all'obbligo di riservatezza. A tale fine, il citato decreto legislativo ha novellato l'articolo 27 del decreto legislativo, introducendovi un comma 1-bis, che prevede l'adozione, da parte del Ministero della salute, di linee guida per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione nonché per il trattamento dei disturbi psichici dei titolari dello status di rifugiato e dello status di protezione sussidiaria che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, compresi eventuali programmi di formazione e aggiornamento specifici rivolti al personale sanitario. In tal modo è stata recepita una integrazione apportata dalla direttiva di rifusione 2011/95/UE che include il trattamento dei disturbi psichici tra le misure di assistenza sanitaria che gli Stati membri devono garantire ai beneficiari di protezione internazionale.
  L'articolo 17 detta alcuni principi fondamentali relativi all'accoglienza dei minori – in attuazione delle previsioni dell'articolo 23 della direttiva 2013/33/UE, che con tali disposizioni e con quelle contenute nel successivo articolo 24 intende rafforzare le tutele nei confronti dei minori nell'ambito delle politiche di asilo.
  La disposizione in esame, a sua volta, stabilisce il carattere di priorità del superiore interesse del minore che costituisce criterio guida nell'applicazione delle misure di accoglienza disciplinate dallo schema di decreto, in conformità alle previsioni della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n. 176 (comma 1). Con tale finalità, il comma 2 prevede che si proceda: all'ascolto del minore, tenendo conto della sua età, del suo grado di maturità e di sviluppo personale, anche al fine di conoscere le esperienze pregresse e valutare il rischio che il minore sia vittima di tratta di esseri umani; a verificare la possibilità di ricongiungimento familiare, conformemente alle previsioni dell'articolo 8, par. 2, del regolamento UE n. 604/2013.
  La disposizione richiamata stabilisce che ove il richiedente la protezione sia un minore non accompagnato che ha un parente presente legalmente in un altro Stato membro e qualora sia accertato in base a un esame individuale che il parente può occuparsi di lui/lei, detto Stato membro provvede al ricongiungimento del minore con il parente, purché ciò sia nell'interesse superiore del minore.
  Nel nostro ordinamento, il quadro normativo vigente prevede che per garantire il diritto all'unità familiare del minore e ad adottare le conseguenti misure di protezione, i minori stranieri non accompagnati possono essere rimpatriati attraverso la misura del rimpatrio assistito. Il provvedimento può essere adottato solo se, in seguito a un'indagine specifica (c.d. indagini familiari), attivata e svolta dalla Direzione generale del Ministero del lavoro Pag. 49anche nel Paese d'origine del minore o in Paesi terzi, si ritiene che il rimpatrio sia opportuno nell'interesse del minore. Per l'espletamento delle indagini familiari nei Paesi di origine, la Direzione generale può avvalersi di idonei organismi internazionali e attualmente si avvale dell'OIM – Organizzazione internazionale per le Migrazioni.
  Il rimpatrio assistito è disposto dalla Direzione ministeriale e viene eseguito accompagnando il minore fino al riaffidamento alla famiglia o alle autorità responsabili del Paese d'origine. A differenza dell'espulsione, il rimpatrio non comporta il divieto di reingresso per dieci anni. Nel caso in cui ritenga che il rimpatrio non sia nel suo interesse, il minore ha diritto di presentare, per il tramite dei genitori o del tutore, ricorso alla magistratura per ottenere l'annullamento del provvedimento (articolo 33 del decreto legislativo n.  286 del 1998 e articolo 7 del d.P.C.M. 535/1999).
  Il comma 3, recependo le previsioni dell'articolo 23, par. 5, della direttiva ’accoglienza’, prevede che i figli minori dei richiedenti e i richiedenti minori siano alloggiati assieme ai loro genitori, i fratelli minori non coniugati o gli adulti legalmente responsabili ai sensi degli articoli 343 ss. c.c., che dettano le norme sulla tutela legale del minore. La direttiva, ma non sembra il testo dell'articolo 17, condiziona la comunione di alloggio alla valutazione circa il superiore interesse del minore.
  Il comma 4 prescrive che nella predisposizione dei servizi di accoglienza siano garantiti servizi destinati alle esigenze della minore età, comprese le esigenze ricreative.
  Sul punto, la direttiva richiede, più specificamente, agli Stati membri di provvedere affinché i minori possano svolgere attività di tempo libero, compresi il gioco e le attività ricreative consone alla loro età, all'interno dei locali e dei centri di accoglienza e attività all'aria aperta. Da ultimo, il comma 5 richiama l'obbligo di una specifica formazione per gli operatori che si occupano dei minori, conformemente a quanto richiesto in via generale dall'articolo 29 della direttiva 2013/33/UE.
  Non è oggetto di una specifica disposizione di recepimento nell'ambito dello schema di decreto in esame il paragrafo 4 dell'articolo 23 della direttiva ’accoglienza’, ai sensi del quale gli Stati membri «garantiscono l'accesso ai servizi di riabilitazione per i minori che abbiano subito qualsiasi forma di abuso, negligenza, sfruttamento, tortura, trattamento crudele, disumano o degradante o che abbiano sofferto gli effetti di un conflitto armato e assicurano che siano predisposte, ove necessario, appropriate misure di assistenza psichica e una consulenza qualificata».
  L'articolo 18 detta disposizioni sulle misure di accoglienza specificamente destinate ai minori non accompagnati, recependo le previsioni dell'articolo 24 della direttiva 2013/33/UE, con l'obiettivo di rafforzare complessivamente gli strumenti di tutela garantiti dall'ordinamento secondo le indicazioni da ultimo emerse nell'Intesa raggiunta in sede di Conferenza unificata il 10 luglio 2014 sul piano nazionale per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari. A tale fine sono introdotte alcune significative novità rispetto al quadro normativo vigente. Ricordo preliminarmente che – sulla materia – è in corso di esame in sede referente presso la I Commissione una proposta di legge (C. 1658 Zampa) che introduce nuove e specifiche misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
  Secondo dati riferiti al marzo-aprile 2015, i minori non accompagnati in accoglienza sono: 8.207 nelle strutture censite dal ministero del lavoro (oltre a 4.640 irreperibili); 363 nelle strutture finanziate a valere sul Fondo asilo, migrazione e integrazione; 839 nelle strutture Sprar. Ad essi si aggiungono 1.794 minori non accompagnati sbarcati dal 1o gennaio al 5 maggio 2015 ( ).
  Nel nostro ordinamento le disposizioni in materia di minori stranieri non accompagnati sono contenute principalmente negli articoli 32 e 33 del Testo unico nonché nel relativo regolamento di attuazione Pag. 50(d.P.R. n. 394 del 1999) e nel d.P.C.M. n. 535 del 1999. Specifiche disposizioni riguardano i minori non accompagnati c.d. «richiedenti asilo» e sono previste dagli articoli 19 e 26 del decreto legislativo n. 25 del 2008, dall'articolo 28 del decreto legislativo n. 251 del 2007 e dalla direttiva del Ministero dell'interno del 7 dicembre 2006. Il quadro normativo vigente, come già evidenziato nel documento conclusivo della Commissione bicamerale per l'infanzia approvata in seguito allo svolgimento di una indagine conoscitiva nel 2009, presenta alcuni nodi critici e alcune lacune. Anche il Parlamento europeo, più di recente, è intervenuto con la risoluzione del 12 settembre 2013 per chiedere ai Paesi membri e alla Commissione europea un rafforzamento delle tutele garantite ai minori stranieri non accompagnati, suggerendo al contempo alcune azioni strategiche da intraprendere.
  In primo luogo, i commi da 1 a 3 disciplinano le strutture di accoglienza dei minori distinguendo tra prima e seconda accoglienza.
  In particolare, il comma 1 prevede l'istituzione di strutture governative di prima accoglienza per le esigenze di soccorso e di protezione immediata dei minori non accompagnati. Tali strutture sono istituite con decreto del Ministro dell'interno, sentita la Conferenza unificata e sono gestite dal medesimo Ministero, anche in convenzione con gli enti locali. Sarà un decreto del Ministro dell'interno, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze per i profili finanziari, a stabilire le modalità di accoglienza, gli standard strutturali e i servizi da erogare, in modo da assicurare un'accoglienza adeguata alla minore età, nel rispetto di principi stabiliti dal precedente articolo 17.
  In relazione all'istituzione di nuovi centri specializzati di prima accoglienza dei minori stranieri, la relazione tecnica stima i costi totali connessi alla realizzazione, esplicitando i relativi criteri, che risultano pari a circa 12 milioni per l'anno 2015; 18,39 milioni per l'anno 2016; 26,28 milioni decorrere dal 2017. A tali oneri si provvede nell'ambito delle risorse assegnate al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno. Si ricorda al contempo che l'articolo 28 dello schema prevede che da esso non derivino nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
  Nelle strutture governative di prima accoglienza i minori sono accolti per il tempo strettamente necessario alla identificazione e all'eventuale accertamento dell'età, nonché a ricevere tutte le informazioni sui diritti del minore, compreso quello di chiedere la protezione internazionale. In ogni caso, i minori restano in tali strutture non oltre sessanta giorni. All'interno delle strutture di prima accoglienza è garantito un colloquio con uno psicologo dell'età evolutiva, accompagnato se necessario da un mediatore culturale.
  Per la prosecuzione dell'accoglienza del minore, il comma 2 stabilisce che i minori stranieri non accompagnati hanno accesso alle misure di accoglienza predisposte dagli enti locali nell'ambito dello SPRAR. A tal fine, gli enti locali che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge n. 416 del 1989 prevedono specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati. Tale disposizione estende in favore di tutti i minori non accompagnati (anche quelli non richiedenti protezione) quanto già previsto dall'articolo 8, comma 4, del decreto legislativo n. 140 del 2005, ai sensi del quale l'accoglienza ai minori non accompagnati è effettuata, secondo il provvedimento del Tribunale dei minorenni, ad opera dell'ente locale. Nell’àmbito dei servizi del sistema di protezione dei richiedenti asilo e dei rifugiati gli enti locali interessati possono prevedere specifici programmi di accoglienza riservati ai minori non accompagnati, richiedenti asilo e rifugiati, che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo.
  Il comma 3 prevede – riproducendo per tutti i minori non accompagnati quanto stabilito dall'articolo 26, comma 6, decreto legislativo n. 25 del 1998, ultimo Pag. 51periodo – che nel caso di temporanea indisponibilità nelle strutture di cui sopra, l'assistenza e l'accoglienza del minore sono temporaneamente assicurate dalla pubblica autorità del comune dove si trova il minore, secondo gli indirizzi stabiliti dal Tavolo di coordinamento istituito ai sensi dell'articolo 15.
  Il comma 4 conferma che i minori non accompagnati in nessun caso possono essere trattenuti presso i centri di identificazione ed espulsione di cui all'articolo 6 e i centri governativi di prima accoglienza di cui all'articolo 8 dello schema (in prima battuta, gli attuali CARA). Il comma 5, che recepisce le prescrizioni del paragrafo 1 dell'articolo 24 della direttiva sul rappresentante del minore, prevede che l'autorità di pubblica sicurezza dia immediata comunicazione della presenza del minore non accompagnato all'autorità giudiziaria competente per la nomina del tutore e la ratifica delle misure di accoglienza, nonché al Ministero del lavoro e delle politiche sociali a cui compete il censimento e il monitoraggio della presenza dei minori non accompagnati nel territorio nazionale. La disposizione successiva stabilisce che il tutore, che deve possedere le competenze necessarie e operare in conformità al principio dell'interesse superiore del minore, può essere sostituito solo in caso di necessità (comma 6).
  Attualmente i minori stranieri che vengono rintracciati sul territorio, o che si presentano spontaneamente, sono collocati in luogo sicuro (articolo 403 c.c.), e presi in carico dai servizi sociali dell'ente locale competente. L'ente locale attiva le procedure previste dall'ordinamento giuridico italiano, quali l'apertura della tutela, l'affidamento, l'attivazione di un percorso d'integrazione e la richiesta di permesso di soggiorno (c.d. presa in carico del minore). Inoltre, ai sensi dell'articolo 26, comma 5, del decreto legislativo n. 25 del 2008, quando è presentata una domanda di protezione internazionale da un minore non accompagnato, l'autorità che la riceve sospende il procedimento, dà immediata comunicazione al tribunale dei minorenni e al giudice tutelare per l'apertura della tutela e per la nomina del tutore a norma degli articoli 343, e seguenti, del codice civile, ed informa il Ministero del lavoro. Il giudice tutelare nelle quarantotto ore successive alla comunicazione del questore provvede alla nomina del tutore. Il tutore prende immediato contatto con la questura per la conferma della domanda, ai fini dell'ulteriore corso del procedimento e l'adozione dei provvedimenti relativi all'accoglienza del minore.
  Da ultimo, in attuazione dell'articolo 24, paragrafo 3, della direttiva ’accoglienza’, il comma 7 stabilisce l'avvio tempestivo delle iniziative per individuare i familiari del minore non accompagnato richiedente protezione internazionale.
  A tale fine, il Ministero dell'interno stipula convenzioni sulla base delle risorse disponibili del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, con organizzazioni internazionali, intergovernative e associazioni umanitarie per l'attuazione di programmi diretti a rintracciare i familiari dei minori non accompagnati. L'attuazione dei programmi è svolta nel superiore interesse dei minori e con l'obbligo della assoluta riservatezza, in modo da tutelare la sicurezza del richiedente asilo e dei suoi familiari. La disposizione riproduce sostanzialmente quanto previsto dall'articolo 8, comma 5, del decreto legislativo n. 140 del 2005.
  L'articolo 19 introduce alcune disposizioni tese a rafforzare le attività di controllo e monitoraggio sulla gestione di tutte le strutture di accoglienza previste dallo schema. Con la disposizione si intende recepire l'articolo 28 della direttiva ’accoglienza’, che richiede agli Stati membri di prevedere opportuni meccanismi con cui assicurare misure di orientamento, sorveglianza e controllo del livello delle condizioni di accoglienza e di comunicare le relative informazioni alla Commissione.
  I compiti di controllo e monitoraggio sono assegnati al Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, che provvede anche mediante le prefetture – UTG, le quali, a loro volta, possono avvalersi dei servizi sociali del comune (comma 1).Pag. 52
  Attualmente l'articolo 9, comma 2, del decreto legislativo n. 140 del 2005 stabilisce che la Prefettura – UTG, nel cui territorio è collocato il centro di accoglienza, dispone, anche avvalendosi dei servizi sociali del comune, i necessari controlli per accertare la qualità dei servizi erogati. Tale attività di controllo ha un duplice oggetto (comma 2), in quanto riguarda: la verifica della qualità dei servizi erogati ed il rispetto dei livelli di assistenza e accoglienza; le modalità di affidamento dei servizi di accoglienza dello SPRAR a soggetti attuatori da parte degli enti locali che partecipano alla ripartizione del Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo di cui all'articolo 1-septies del decreto-legge n. 416 del 1989 (tale articolo, introdotto dall'articolo 32 della legge n. 189 del 2002, disciplinò il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati SPRAR, ove non ricorrano le condizioni di trattenimento nei CARA o nei CIE). A tal fine, sono previste forme di sostegno finanziario apprestate dal Ministero dell'interno e poste a carico di un fondo ad hoc, denominato Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo, istituito dal successivo articolo 1-septies del medesimo decreto-legge n. 416 del 1989. locali che prestano i servizi di accoglienza.
  La disciplina del Fondo nazionale per le politiche ed i servizi dell'asilo destinato a finanziarie le iniziative degli enti locali è fissata ancora oggi nell'articolo 1-septies del decreto-legge n. 416 del 1989, ai sensi del quale esso è alimentato da: apposite risorse iscritte nel bilancio di previsione del Ministero dell'interno; assegnazioni annuali del Fondo europeo per i rifugiati; donazioni private. Le disponibilità del Fondo sono assegnate annualmente con decreto del Ministro dell'interno, e sono destinate alle iniziative dei comuni e delle province, in misura non superiore all'80 per cento del costo complessivo di ciascuna iniziativa territoriale. Ai sensi del citato articolo 1-sexies, comma 2, del decreto-legge è stato adottato il decreto ministeriale 28 novembre 2005, poi sostituito dal decreto ministeriale 30 luglio 2013, con il quale il Ministero dell'interno ha dettato le linee guida ed il formulario per la presentazione delle domande di contributo, i criteri per la ripartizione e per la verifica della corretta gestione del medesimo contributo e le modalità per la sua eventuale revoca.
  Ai fini delle attività di controllo, il comma 3 autorizza il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno, ad avvalersi di figure professionali esterne, selezionate anche tra funzionari della p.a. in posizione di collocamento a riposo, ovvero di competenti organizzazioni internazionali o intergovernative. Nel primo caso, resta fermo quanto previsto sul divieto di cumulo dall'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012.
  Tale disposizione (come modificata dall'articolo 6 del decreto-legge n. 90 del 2014) stabilisce che le pubbliche amministrazioni non possono conferire incarichi di studio e di consulenza, né incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo di amministrazioni pubbliche o di enti e società da esse controllate, a soggetti già lavoratori pubblici e privati collocati in quiescenza, a meno che non si tratti di incarichi o cariche conferiti a titolo gratuito. In ogni caso, la durata degli incarichi e delle cariche conferiti a titolo gratuito non deve essere superiore a un anno, non prorogabile né rinnovabile, presso ogni singola amministrazione e vige l'obbligo di rendicontare eventuali rimborsi spese corrisposti nei limiti fissati dall'organo competente dell'amministrazione interessata. Gli organi costituzionali si adeguano alle nuove disposizioni nell'ambito della propria autonomia. La disposizione specifica altresì che agli oneri relativi all'impiego di personale esterno si provvede con le risorse del Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno disponibili a legislazione vigente, comprese le risorse a tal fine destinate nell'ambito dei fondi europei.
  Il comma 4 prevede infine che gli esiti dell'attività di controllo e monitoraggio devono confluire nella relazione prevista dall'articolo 6, comma 2-bis, del decreto-legge n. 119 del 2014, circa il funzionamento Pag. 53del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale. Tale disposizione ha introdotto l'obbligo per il Ministero dell'interno, entro il 30 giugno di ogni anno (coordinandosi con il Ministero dell'economia e delle finanze), di presentare alle Camere una relazione in merito al funzionamento del sistema di accoglienza predisposto al fine di fronteggiare le esigenze straordinarie connesse all'eccezionale afflusso di stranieri sul territorio nazionale. La relazione deve contenere dati relativi al numero delle strutture, alla loro ubicazione e alle caratteristiche di ciascuna, nonché alle modalità di autorizzazione, all'entità e all'utilizzo effettivo delle risorse finanziarie erogate e alle modalità della ricezione degli stessi.
  L'articolo 20 disciplina le condizioni di assistenza sanitaria, (assorbendo il contenuto dell'articolo 10, comma 1 del decreto legislativo n. 140 del 2005), in recepimento anche delle previsioni dell'articolo 19 della direttiva 2013/33/UE.
  Attualmente l'articolo 10, comma 1 del decreto legislativo n. 140 del 2005 prevede il diritto all'iscrizione al Servizio sanitario nazionale per i richiedenti asilo e i familiari, una volta inseriti nei servizi SPRAR. È fatto salvo quanto previsto dall'articolo 10 del regolamento per il riconoscimento dello status di rifugiato (d.P.R. n. 303/2004) ai sensi del quale, qualora i richiedenti asilo siano trattenuti presso i centri di identificazione, questi vengono di fatto assimilati agli stranieri irregolari e hanno diritto alle cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative per malattia o infortunio, erogate dal SSN. Non hanno invece diritto all'iscrizione al SSN, fino all'ottenimento del permesso di soggiorno come richiedenti asilo.
  In particolare, il comma 1 prevede l'accesso dei richiedenti all'assistenza sanitaria, richiamando le disposizioni previste dall'articolo 34 del Testo unico, che prevede l'obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e la parità di trattamento e piena uguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all'obbligo contributivo, all'assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale e alla sua validità temporale.
  Al contempo, si conferma che nelle more dell'iscrizione al servizio sanitario nazionale, si applica l'articolo 35 del medesimo Testo unico. Pertanto, in tale periodo sono assicurate, nei presidi pubblici ed accreditati, le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o comunque essenziali, ancorché continuative, per malattia ed infortunio e sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva.
  In particolare, sono garantiti: la tutela sociale della gravidanza e della maternità, a parità di trattamento con le cittadine italiane; la tutela della salute del minore in esecuzione della Convenzione sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989; le vaccinazioni secondo la normativa e nell'ambito di interventi di campagne di prevenzione collettiva autorizzati dalle regioni; gli interventi di profilassi internazionale; la profilassi, la diagnosi e la cura delle malattie infettive ed eventuale bonifica dei relativi focolai. Rispetto al quadro normativo vigente non si fa più riferimento al fatto che i richiedenti asilo e i loro familiari, inseriti nei servizi del sistema di protezione, siano iscritti al SSN a cura del gestore del servizio di accoglienza. Il comma 2 conferma quanto già disposto attualmente dall'articolo 10, comma 2, del decreto legislativo n. 140 del 2005, ossia che i minori richiedenti protezione internazionale o i minori figli di richiedenti protezione internazionale sono soggetti all'obbligo scolastico, ai sensi dell'articolo 38 del Testo unico.
  Non è invece riprodotta la disposizione, attualmente in vigore, che esclude il diritto di accedere ai servizi scolastici ed educativi solo nel periodo di permanenza nel centro di identificazione, oggi CARA, e comunque per un periodo non superiore a tre mesi.
  Al fine di recepire l'articolo 14, par. 2, della direttiva 2013/33/UE che prevede che siano impartiti corsi di preparazione, anche Pag. 54di lingua, ai minori, se necessari per agevolarne l'accesso e la partecipazione al sistema educativo, si prevede inoltre che i minori accedano ai corsi e alle iniziative per l'apprendimento della lingua italiana che, ai sensi del comma 2 dell'articolo 38 del testo unico, possono essere attivati da Stato, regioni ed enti locali per garantire l'effettività del diritto allo studio.
  L'articolo 21 disciplina le possibilità di lavoro e formazione professionale dei richiedenti asilo, in attuazione delle prescrizioni degli articoli 15 e 16 della direttiva ’accoglienza’.
  Uno degli obiettivi della revisione delle norme europee sull'accoglienza dei richiedenti asilo è rappresentato dall'agevolazione all'accesso al mercato del lavoro, attraverso la riduzione delle restrizioni temporali a tale accesso. L'articolo 15 della direttiva richiede agli Stati membri di garantire l'accesso dei richiedenti al mercato del lavoro entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda di protezione internazionale nei casi in cui l'autorità competente non abbia adottato una decisione in primo grado e il ritardo non possa essere attribuito al richiedente, decidendo a quali condizioni è concesso al richiedente l'accesso al mercato del lavoro conformemente al diritto nazionale, senza limitare indebitamente tale accesso.
  Con una disposizione più favorevole, il comma 1 dispone a tale riguardo che il permesso di soggiorno per richiesta asilo consente di svolgere attività lavorativa, trascorsi sessanta giorni dalla presentazione della domanda, qualora il procedimento di esame della domanda non è concluso ed il ritardo non può essere attribuito al richiedente. Rispetto alla normativa vigente, contenuta nell'articolo 11, comma 1, del decreto legislativo n. 140 del 2005, la facoltà per i richiedenti di lavorare è anticipata. Resta fermo quanto oggi previsto, a proposito della impossibilità di convertire il permesso di soggiorno per richiesta asilo in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (comma 2).
  Il comma 3 riproduce quanto previsto attualmente dall'articolo 11, comma 5, del decreto legislativo n. 140 del 2005, che stabilisce per i richiedenti asilo accolti nei servizi predisposti nell'ambito dello SPRAR la possibilità di frequentare corsi di formazione professionale, eventualmente previsti dall'ente locale dedicato all'accoglienza del richiedente asilo. L'articolo 16 della direttiva dà facoltà agli Stati membri di autorizzare l'accesso dei richiedenti alla formazione professionale indipendentemente dal fatto che abbiano accesso al mercato del lavoro. Al contempo, specifica che qualora la formazione professionale sia collegata a un contratto di lavoro, il relativo accesso è subordinato alla possibilità, per il richiedente, di accedere al mercato del lavoro.
  Per quanto riguarda le cause che determinano la revoca delle misure di accoglienza, il comma 1 dell'articolo 22 prevede quanto già oggi disposto dall'articolo 12 del decreto legislativo n. 140 del 2005, con alcune lievi difformità. L'articolo 20 della direttiva ’accoglienza’ (dir. 33/2013/UE) specifica che i casi di revoca delle condizioni materiali di accoglienza devono essere eccezionali e debitamente motivati.
  Le cause di revoca previste dall'articolo in esame paiono trovare fondamento nelle previsioni di cui alla direttiva, individuando in concreto i motivi idonei a giustificare l'allontanamento dal centro, con ciò rispondendo alla direttiva giacché sono motivi oggettivi, forniti all'autorità chiamata a decidere.
  Pertanto, le misure di accoglienza possono essere revocate con decreto del Prefetto, qualora il richiedente asilo: non si presenti presso la struttura individuata o abbandoni immotivatamente la struttura stessa senza comunicarlo alla prefettura – UTG. In questa ipotesi, qualora il richiedente protezione internazionale si ripresenti volontariamente alla struttura, il Prefetto, sulla base degli elementi addotti dal richiedente, può disporre il ripristino delle misure di accoglienza, purché la mancata presentazione o l'abbandono fossero stati causati fa forza maggiore o caso fortuito o comunque da gravi motivi personali (comma 3); non si presenti all'audizione davanti all'organo che esamina la domanda. Anche per questa ipotesi l'articolo Pag. 5520 della direttiva ’accoglienza’ prevede l'ipotesi di un ripristino delle misure, alle stesse condizioni già previste; abbia già in precedenza presentato in Italia domanda di protezione internazionale, reiterata ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 25 del 2008; abbia mezzi economici sufficienti, e accertati. In questa ipotesi, il successivo comma 6 stabilisce l'obbligo del richiedente di rimborsare i costi sostenuti per le misure indebitamente godute; abbia violato in modo grave o ripetutamente le regole della struttura di accoglienza ovvero abbia avuto comportamenti gravemente violenti: rispetto alle disposizioni vigente, si precisa che rientra in questa causa di revoca anche il danneggiamento doloso di beni mobili o immobili. In queste ipotesi, è il gestore del centro a dover comunicare alla prefettura una relazione sui fatti, entro tre giorni dal loro verificarsi (comma 4).
  Rispetto alla disciplina vigente, inoltre, è inserita una disposizione (comma 2) che, in vista dell'adozione della revoca delle misure, richiede di prendere in considerazione la complessiva situazione del richiedente, specie in riferimento ad eventuali condizioni di vulnerabilità ai sensi del precedente articolo 16.
  Resta confermato che il provvedimento di revoca ha effetto dal momento della sua comunicazione al richiedente ed è esplicitato l'obbligo di darne comunicazione anche al gestore del centro. Avverso il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza il richiedente può proporre ricorso giurisdizionale avanti al Tribunale Amministrativo Regionale competente (comma 5). Il comma 7 dispone, infine, un'ulteriore causa di revoca, che si verifica ove, successivamente all'invio in una struttura di accoglienza, emergano i presupposti per la valutazione di pericolosità del richiedente che, ai sensi del precedente articolo 6 dello schema di decreto, giustifica il trattenimento.
  In tal caso, il prefetto dispone la revoca delle misure e ne dà comunicazione al questore ai fini dell'adozione del provvedimento di trattenimento.
  L'articolo 23 dispone l'abrogazione del d.lgs. n. 140 del 2005, fatta eccezione per la norma di copertura finanziaria di cui all'articolo 13. Il contenuto delle disposizioni abrogate risulta sostituito dalla disciplina prevista dallo schema di decreto.
  L'articolo 24 apre il Capo II (artt. 24-26), che modifica la disciplina in materia di procedure per l'esame della domanda di protezione internazionale, attualmente contenuta nel decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, nonché quella sul ricorso giurisdizionale avverso le decisioni adottate dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e dalla Commissione nazionale per l'asilo, di cui al decreto legislativo 1o settembre 2011, n. 150.
  Le modifiche introdotte sono finalizzate a dare attuazione alla direttiva 2013/32/UE, il cui obiettivo è quello di stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale (articolo 1). Nella relazione illustrativa si evidenzia che le disposizioni del Capo II sono altresì finalizzate a perfezionare il sistema per consentire una più rapida definizione delle domande: da un lato, si intende rafforzare i livelli di garanzia e l'effettività dell'accesso alle procedure di esame della domanda, dall'altro lato, vi è la finalità di «arginare la possibilità di ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale».
  L'articolo 24 interviene, in primo luogo, in relazione all'ambito di applicazione del decreto prevedendo che, ai fini della presentazione delle domande, il territorio nazionale comprende le frontiere e le acque territoriali (comma 1, lettera a)). Tale modifica si fonda sulla previsione dell'articolo 3 della direttiva 2013/32/UE, che individua quale ambito di applicazione «tutte le domande di protezione internazionale presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o nelle zone di transito degli Stati membri, nonché la revoca della protezione internazionale».
  Sono poi integrate le definizioni contenute nel decreto legislativo n. 25 del 2008 (articolo 2) con quella di «persone Pag. 56vulnerabili»: minori; minori non accompagnati; disabili, anziani, donne in stato di gravidanza, genitori singoli con figli minori, vittime della tratta di esseri umani, persone affette da gravi malattie o da disturbi mentali; persone per le quali è accertato che hanno subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, vittime di mutilazioni genitali. È altresì introdotto, tra le definizioni, il riferimento all'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) istituito dal regolamento CE n. 439/2010. È soppressa (lettera m) dell'articolo 2 del decreto legislativo n. 25 del 2008) la nozione di «Paese di origine sicuro» inserito – come evidenziato nella Relazione illustrativa – nell'elenco comune minimo che ai sensi della direttiva 2005/85/CE avrebbe potuto essere adottato dal Consiglio e non è mai stato adottato. La relativa previsione non è stata infatti riproposta nella direttiva 2013/32/UE (lettera b)).
  Altra modifica riguarda la composizione delle Commissioni territoriali prevedendo che, in caso di urgenza, il rappresentante dell'ente locale (nominato dal Ministro dell'interno) possa essere designato dall'ANCI anziché dal sindaco del Comune in cui ha sede la Commissione (lettera c), n. 1).
  Finalità della disposizione è quella di consentire una rapida sostituzione dei componenti in caso di necessità e di garantire la continuità dei lavori delle Commissioni territoriali. Disposizioni relative alle commissioni territoriali sono state di recente introdotte dal decreto legge 119/2014 con la finalità di accelerare l'esame delle richieste di protezione.
  L'articolo in esame specifica altresì che i componenti effettivi e quelli supplenti sono designati sulla base delle esperienze o della formazione acquisite nel settore dell'immigrazione e dell'asilo o in quello dei diritti umani (lettera c), n. 1).Come evidenziato nella relazione illustrativa dello schema, la formazione richiesta come requisito per la designazione a componente della Commissione non va confusa con la formazione che necessariamente, poi, il componente della Commissione territoriale riceve a cura della Commissione nazionale per l'espletamento delle funzioni in esame ai sensi dell'articolo 15 del decreto legislativo n. 25 del 2008.
  Si prevede inoltre che la nomina dei componenti sia subordinata alla previa valutazione dell'insussistenza di motivi di incompatibilità derivanti da situazioni di conflitto di interessi.
  L'adeguamento alla direttiva 2013/32/UE ha dunque richiesto un intervento normativo che incide sul sistema, costituito dalle Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale e dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo, con l'obiettivo di consentire la rapida definizione delle domande. In tal senso vanno le disposizioni sulla nomina dei componenti effettivi e supplenti, con la possibilità di ricorrere, in caso di urgenza, alla designazione del componente che rappresenta l'ente territoriale da parte dell'ANCl, così da consentire una rapida sostituzione dei componenti in caso di necessità e garantire la continuità dei lavori delle Commissioni nonché la sostenibilità del sistema a fronte di un numero di arrivi numericamente significativi come avvenuto nell'ultimo anno.
  Al contempo, tenuto conto di quanto stabilito in particolare all'articolo 4 della direttiva – che richiede agli Stati membri di assicurare che il personale dell'autorità accertante abbia ricevuto una formazione adeguata – si prevede che la Commissione nazionale per il diritto di asilo curi la predisposizione di corsi di formazione per i componenti delle Commissioni territoriali, anche mediante convenzioni stipulate dal Ministero dell'interno con le Università degli studi.
  Viene specificato che, di conseguenza, i componenti che hanno partecipato a tali corsi non prendono parte ai corsi di formazione iniziale di cui all'articolo 15, comma 1 (lettera c), n. 2).
  In materia di competenza territoriale delle Commissioni, resta fermo il principio in base al quale questa è determinata sulla base della circoscrizione territoriale in cui è presentata la domanda. Il testo specifica che, in caso di accoglienza presso una struttura dello SPRAR ovvero di trattenimento Pag. 57in un centro, la competenza della commissione è determinata in base alla circoscrizione territoriale in cui è collocata la struttura, analogamente a quanto già previsto per i richiedenti accolti in una struttura governativa (lettera c), n. 3)). Nel caso in cui, nel corso della procedura, si rende necessario il trasferimento del richiedente, la competenza all'esame della domanda è assunta dalla commissione nella cui circoscrizione territoriale sono collocati la struttura ovvero (come già previsto) il centro di nuova destinazione. Tuttavia, come già stabilito, se prima del trasferimento il richiedente ha sostenuto il colloquio, la competenza rimane in capo alla commissione territoriale innanzi alla quale si è svolto il colloquio. Vengono inoltre modificati i riferimenti agli articoli 20 e 21 del decreto legislativo n. 25 del 2008, abrogati dal provvedimento in esame (v. infra).
  La Commissione nazionale per l'asilo viene espressamente indicata quale come punto di contatto per lo scambio di informazioni con la Commissione europea e con le competenti autorità degli Stati membri (lettera d), n. 1). Nell'ambito dei suoi compiti di indirizzo e coordinamento, la Commissione nazionale può individuare periodicamente un elenco di Paesi in cui sussistono condizioni tali per cui le Commissioni territoriali possono omettere l'audizione dei richiedenti (provenienti da tali Paesi). Ciò nel caso in cui le commissioni ritengano, sulla base di ogni altro elemento in loro possesso, di poter riconoscere la protezione sussidiaria. In tal caso, lo stesso richiedente, preventivamente informato, può chiedere di essere ascoltato se ritiene invece di aver diritto al riconoscimento dello status di rifugiato.
  La Commissione nazionale adotta altresì un codice di condotta per i componenti delle commissioni territoriali, per gli interpreti e per il personale di supporto (lettera d), n. 2).
  Altre modifiche riguardano la presentazione della domanda di protezione internazionale per il minore.
  Viene in particolare consentito, in aderenza con le previsioni dell'articolo 7 della direttiva, che la domanda possa essere presentata dal genitore anche se non è a sua volta richiedente asilo e che la domanda del minore non accompagnato possa essere presentata non solo dal minore stesso ma anche dal tutore, sulla base della valutazione della situazione personale del minore (lettera e)).
  Viene poi soppresso, nel testo dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 25 del 2008, il riferimento al decreto legislativo n. 140/2005, abrogato dall'articolo 23 dello schema di decreto legislativo in esame, mantenendo fermo il principio in base al quale il richiedente è autorizzato a rimanere nel territorio dello Stato fino alla decisione della commissione territoriale (lettera f)).
  È espressamente specificato nel testo, come previsto dalla direttiva, che la Commissione territoriale debba valutare preliminarmente la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale (status di rifugiato). Solo successivamente valuterà se sussistono i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria.
  Altra modifica prevede che l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO) sia tra i referenti della Commissione nazionale per l'aggiornamento delle informazioni riguardanti la situazione generale esistente nei Paesi di origine dei richiedenti e, ove necessario, dei Paesi di transito.
  Ciascuna Commissione territoriale, in base alle nuove disposizioni, ha altresì la facoltà di: consultare esperti su aspetti di carattere sanitario, culturale, religioso, di genere o inerenti ai minori; disporre visite mediche, previo consenso del richiedente, al fine di accertare gli esiti di persecuzioni o danni gravi subiti dal richiedente. Le visite saranno effettuate secondo le Linee guida adottate dal Ministero della salute per la programmazione degli interventi di assistenza e riabilitazione di coloro che hanno subito torture o altre forme gravi di violenza (articolo 27, comma 1-bis, d. lgs. 251/2007). È consentito altresì al richiedente, nel caso in cui la commissione non disponga una visita medica, effettuarla a Pag. 58proprie spese, e sottoporre i risultati alla Commissione stessa ai fini dell'esame della domanda (lettera g)).
  Una serie di modifiche riguardano le garanzie per i richiedenti asilo, in conformità dell'articolo 8 della direttiva 2013/32/UE. In particolare, la necessità di una formazione adeguata ai propri compiti e alle proprie responsabilità è espressamente prevista anche per il personale dell'ufficio di polizia che riceve la domanda e che è tenuto ad informare il richiedente della procedura da seguire, dei suoi diritti e doveri. Viene altresì specificando che l'opuscolo informativo redatto dalla Commissione nazionale debba informare il richiedente anche sulle conseguenze dell'allontanamento ingiustificato dai centri e sul servizio gratuito di informazione che viene garantito allo stesso (relativamente alla procedura di esame e di revoca della domanda, nonché sulle modalità di impugnazione delle decisioni). Con la finalità di garantire tale servizio il Ministero dell'interno stipula apposite convenzioni con l'UNHCR o con gli enti di tutela dei titolari di protezione internazionale con esperienza consolidata nel settore.
  Infine, si prevede che la documentazione prodotta dal richiedente, in ogni fase della procedura, possa essere tradotta, ove necessario (lettera h)).
  Restano ferme le attuali previsioni che garantiscono che in tutte le fasi del procedimento al richiedente sia assicurata, se necessario, l'assistenza di un interprete della sua lingua o di altra lingua a lui comprensibile. Tutte le comunicazioni sono comunque rese al richiedente nella lingua da lui indicata o in altre indicate dallo stesso come preferibili.
  La disciplina delle informazioni fornite e dei servizi di accoglienza resi ai valichi di frontiera e nelle relative zone di transito è contenuta nel nuovo articolo 10-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008 (lettera i)).
  Viene poi consentito alla Commissione territoriale competente di omettere l'audizione dell'interessato – oltre alle ipotesi già previste – anche nel caso in cui il richiedente provenga da uno dei Paesi compresi nell'elenco aggiornato periodicamente dalla Commissione nazionale e si ritenga, sulla base degli elementi in possesso, di riconoscere la protezione sussidiaria. Prima di adottare la decisione formale la commissione territoriale comunica all'interessato la sua facoltà di essere ascoltato per esporre alla commissione ulteriori elementi di valutazione, che potrebbero anche condurre a diverse decisioni (lettera l)).
  Relativamente alle modalità di svolgimento del colloquio, si precisa che al richiedente deve essere garantita la possibilità di esporre in maniera esauriente tutti gli elementi a sostegno della sua domanda e che l'avvocato del richiedente ammesso ad assistere al colloquio può chiedere di prendere visione del verbale e di acquisirne copia.
  Per quanto riguarda in particolare il colloquio del minore, si prevede che questo debba svolgersi innanzi ad un componente della commissione territoriale con specifica formazione e che il minore, dopo essere stato ascoltato alla presenza del genitore o del tutore, possa essere nuovamente ascoltato – anche da solo, ferma restando l'eventuale presenza di personale di sostegno – se la commissione ritiene che ciò sia necessario in relazione alla sua situazione personale e al suo grado di maturità e sviluppo, nel suo esclusivo interesse (lettera m)).
  Sono poi previste specifiche disposizioni relative al verbale del colloquio tenendo conto delle previsioni della direttiva (articolo 17): viene precisato che al richiedente è data lettura in una lingua a lui comprensibile e, in ogni caso, tramite un interprete. Il verbale è confermato – prima di essere sottoscritto – dall'interessato, che ha facoltà di formulare osservazioni che sono riportate in calce al verbale. Inoltre, si stabilisce che il colloquio possa essere registrato e che la registrazione possa essere acquista in sede di ricorso giurisdizionale. Ove la registrazione sia trascritta, non è richiesta la sottoscrizione da parte del richiedente (lettera n)).Pag. 59
  Sono poi abrogati gli articoli 20, 21 e 22 del decreto legislativo n. 25/2008, in materia, rispettivamente, di accoglienza, trattenimento e residenza del richiedente, in quanto sono ora disciplinati dalle norme del Capo I dello schema di decreto in esame (lettere o), p) e q)).
  È introdotto un nuovo articolo 23-bis nel decreto legislativo n. 25 del 2008 per disciplinare l'ipotesi di allontanamento ingiustificato del richiedente dalle strutture di accoglienza o il caso in cui il richiedente si sottragga alla misura del trattenimento senza aver sostenuto il colloquio.
  In tal caso, si prevede che la commissione sospenda l'esame della domanda per 12 mesi. Entro tale termine il richiedente può chiedere – per una sola volta – la riapertura del procedimento che riprende il suo corso. Oltre tale termine la Commissione dichiara estinto il procedimento e la domanda di riapertura eventualmente presentata successivamente è trattata come domanda reiterata ed in quanto tale sottoposta ad esame preliminare da parte del presidente della Commissione territoriale, che valuterà, ai fini dell'ammissibilità della domanda, anche le ragioni dell'allontanamento (lettera r)). Il nuovo articolo 23-bis tiene conto delle previsioni della direttiva (articolo 29) riguardo al ritiro implicito della domanda.
  Relativamente al verbale da predisporre non appena ricevuta la domanda di protezione internazionale, in cui sono contenute le dichiarazioni del richiedente e la relativa documentazione, si prevede che questo sia redatto entro 3 giorni (lavorativi) dalla manifestazione della volontà di chiedere protezione ovvero entro 6 giorni (lavorativi) se tale volontà è manifestata agli uffici di polizia di frontiera. Tali termini sono prorogati di dieci giorni in presenza di un numero elevato di domande a causa di arrivi consistenti e ravvicinati.
  La direttiva 2013/32/UE, nel disciplinare l'accesso alla procedura, stabilisce che quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale ad un'autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro 3 giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda. Tale termine può essere prorogato di 10 giorni lavorativi qualora le domande simultanee da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all'atto pratico rispettare il termine di 3 giorni.
  È poi soppressa la disposizione del comma 4 dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 25 del 2008 che richiama le ipotesi di cui agli articoli 20 (casi di accoglienza) e 21 (casi di trattenimento) del medesimo decreto, abrogati dalle citate lettere o) e p) in quanto confluite nel Capo I.
  Nel caso di minore, il tutore prende immediato contatto con lo stesso e lo informa della sua nomina. È soppresso il riferimento al Comitato per i minori stranieri presso il Ministero della solidarietà sociale (lettera s)).
  Viene quindi individuato in 6 mesi, come previsto dalla direttiva, il termine massimo per l'adozione della decisione da parte della Commissioni territoriale.
  Tale termine è prorogato di ulteriori 9 mesi nei casi in cui: l'esame della domanda richiede la valutazione di questioni complesse in fatto o in diritto; ci si trovi in presenza di un numero elevato di domande; il ritardo è da attribuire all'inosservanza degli obblighi di cooperazione a carico del richiedente. In casi eccezionali e adeguatamente motivati, il termine può essere ulteriormente prorogato di 3 mesi (lettera t)).
  La direttiva 2013/32/UE (articolo 31) prevede che, in ogni caso, gli Stati membri concludano la procedura nel termine massimo di 21 mesi dalla presentazione della domanda. La direttiva prevede altresì che, nel caso di impossibilità di prendere una decisione entro 6 mesi, il richiedente sia informato del ritardo e, su sua richiesta, dei motivi del ritardo.
  Per quanto concerne le ipotesi di esame prioritario delle domande di protezione internazionale da parte della Commissione territoriale, vengono introdotte alcune modifiche volte a specificare che, tra le domande presentate da persone vulnerabili, si fa riferimento prima di tutto alla domanda Pag. 60del minore non accompagnato ovvero che necessita di garanzie procedurali particolari.
  Viene mantenuta ferma la previsione della trattazione, in via prioritaria, delle domande palesemente fondate e di quelle presentate da persone in stato di trattenimento; si aggiunge a tali ipotesi quella della domanda presentata da una persona proveniente dai Paesi compresi nell'elenco redatto dalla Commissione nazionale.
  È abrogato poi il comma 2 dell'articolo 28 del decreto legislativo n. 25 del 2008 che disciplina la procedura accelerata che viene trova ora disciplina nel nuovo articolo 28-bis.
  È il presidente della Commissione territoriale, ai fini della organizzazione dei lavori della commissione, che individua i casi sottoposti a procedura prioritaria o accelerata (lettera u)).
  Il nuovo articolo 28-bis del decreto legislativo n. 25 del 2008 – introdottovi dallo schema – disciplina le procedure accelerate, che si differenziano da quella ordinaria per la previsione di termini più brevi per la convocazione del colloquio e per l'adozione della decisione da parte della commissione.
  Le garanzie della procedura ordinaria rimangono le stesse anche nei casi in cui sono previsti termini più brevi. Restano immodificati i termini già previsti per la procedura di esame della domanda presentata da un richiedente trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione: 7 giorni per l'audizione e 2 giorni per la decisione della Commissione.
  È previsto l'esame accelerato anche delle domande manifestamente infondate, delle domande reiterate nonché delle domande presentate dal richiedente fermato per aver eluso i controlli di frontiera o comunque in condizioni di soggiorno irregolare, quando si presume che la domanda miri esclusivamente a ritardare o impedire l'esecuzione di un provvedimento di espulsione. In queste nuove ipotesi di procedura accelerata, tuttavia, i termini sono raddoppiati rispetto a quelli previsti per l'esame della domanda di un richiedente trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione.
  Tali termini possono essere superati nel caso in cui sia necessario per assicurare un esame adeguato e completo della domanda, fermi restando i termini massimi già previsti (lettera v)).
  È poi introdotta la previsione di un esame preliminare per le domande reiterate. Si tratta delle domande: presentate da un richiedente già riconosciuto come rifugiato da uno Stato firmatario della Convenzione di Ginevra; riproposte dopo la decisione della commissione territoriale senza che siano addotti nuovi elementi. Ferma restando la dichiarazione di inammissibilità di tali domande, il testo introduce dunque un esame preliminare, affidato al presidente della commissione territoriale. In tale sede è prevista l'audizione del richiedente già riconosciuto come rifugiato da un altro Paese mentre in caso di domanda reiterata è prevista la possibilità per il richiedente di presentare osservazioni a sostegno dell'ammissibilità della domanda (lettera z)). Nel caso in cui sia avviato il procedimento per l'accertamento dello Stato UE competente all'esame della domanda ai sensi del regolamento UE n. 604/2013 si precisa che i termini per l'adozione della decisione decorrono dal momento in cui è accertata la competenza (lettera aa)). Come già in precedenza, sono soppressi i riferimenti al «Paese di origine sicuro» inserito nell'elenco comune minimo che ai sensi della direttiva 2005/85/CE avrebbe potuto essere adottato dal Consiglio UE e non più previsto dalla direttiva 2013/32/UE.
  Sono poi previste di carattere formale al fine di: coordinare la disposizione dell'articolo 32 con il nuovo articolo 28-bis che disciplina le procedure accelerate; aggiornare riferimenti alla disciplina delle espulsioni recata dal testo unico in materia di immigrazione; coordinare la disposizione di cui all'articolo 32 con la disciplina del ricorso giurisdizionale e dei suoi effetti sospensivi (lettera bb)).
  Relativamente alla disciplina dell'impugnazione è inserita una nuova previsione Pag. 61che prevede che i provvedimenti con cui è decisa l'istanza cautelare in sede di ricorso giurisdizionale avverso le decisioni della commissione territoriale o nazionale così come l'ordinanza con cui è definito il medesimo ricorso giurisdizionale sono tempestivamente trasmessi al questore del luogo di domicilio del ricorrente per gli adempimenti conseguenti (lettera cc)).
  È infine disposta l'abrogazione dell'articolo 36 del decreto legislativo n. 25 del 2008 poiché l'accoglienza del richiedente che ha presentato ricorso giurisdizionale avverso la decisione della Commissione territoriale è ora disciplinata nel Capo I dello schema di decreto in esame (lettera dd)).
  L'articolo 25 reca una disposizione di aggiornamento del riferimento normativo, contenuto nel decreto legislativo n. 25 del 2008, al regolamento (CE) 343/2003 del Consiglio del 18 febbraio 2003, di cui è stata disposta la «rifusione» nel più recente regolamento (UE) 604/2013 del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide.
  Con una modifica di carattere formale viene inoltre sostituito – nel testo del d.lgs. 25/2008 – il riferimento all'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR) con quello, in lingua inglese, all'United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR).
  L'articolo 26 modifica l'articolo 19 del decreto legislativo n. 150 del 201 , che disciplina il rito da applicare alle controversie in materia di riconoscimento della protezione internazionale, ovvero ai ricorsi avverso le decisioni di diniego della protezione internazionale in base all'articolo 35 del decreto legislativo n. 25 del 2008.
  Il d.lgs. n. 150 del 2011 ha stabilito che a tali controversie si applichi il rito sommario di cognizione, disciplinato dagli articoli 702-bis, 702-ter e 702-quater del codice di procedura civile. Questo procedimento – destinato a trovare applicazione per le cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica – conduce all'emanazione di un provvedimento immediatamente esecutivo su cui, in mancanza di appello, si forma il giudicato. In particolare, rispetto alla normativa vigente, lo schema: specifica che la competenza a conoscere della controversia è attribuita al tribunale – in composizione monocratica – che ha sede nel capoluogo di distretto di corte di appello in cui ha sede il centro ove il ricorrente è accolto (e dunque in una struttura statale o degli enti locali in base all'articolo 1-sexies del decreto-legge n. 416 del 1989) o trattenuto (e dunque in un centro di identificazione ed espulsione in base all'articolo 14 del Testo unico immigrazione); dimezza i termini previsti per la proposizione del ricorso in tutti i casi in cui il ricorrente si trovi trattenuto in un apposito centro e nei casi in cui sia soggetto alla procedura accelerata di cui al nuovo articolo 28-bis, comma 2, del decreto legislativo n. 25 del 2008; conferma la regola in base alla quale la proposizione del ricorso sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato, aggiornando le ipotesi in cui, invece, a titolo di eccezione, il provvedimento impugnato conserva esecutività. In particolare: prevede l'ipotesi relativa al soggetto trattenuto in uno dei centri di cui all'articolo 14 del Testo unico immigrazione (attualmente il richiamo è ai centri di accoglienza e a quelli di trattenimento, secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 25 del 2008); viene soppressa l'ipotesi del ricorso avverso il provvedimento della Commissione territoriale adottato sulla base della documentazione in proprio possesso, dopo che l'interessato si è allontanato dal centro di accoglienza senza giustificato motivo; sono aggiunte le ipotesi del ricorso avverso il provvedimento adottato nei confronti di chi sia stato fermato per avere eluso i controlli di frontiera ovvero dopo essere stato fermato in condizioni di soggiorno irregolare (articolo 28-bis, comma 2, lettera c), del d.lgs. 25/2008).
  Peraltro, anche nelle ipotesi di esecutività del provvedimento, l'efficacia del medesimo può essere sospesa previa presentazione di apposita istanza cautelare e, in Pag. 62caso di accoglimento, al ricorrente è rilasciato un permesso di soggiorno per richiesta asilo. Il rilascio non è tuttavia previsto nei confronti di un soggetto destinatario di un provvedimento di trattenimento in un centro previsto dall'articolo 14 del testo unico immigrazione. Anche in questo caso merita valutare se l'eccezione per i soggetti trattenuti nei centri, ai fini del rilascio del permesso di soggiorno per richiesta asilo, assorba le ipotesi previste dall'articolo 28-bis, comma 2, lettera c), del decreto legislativo 25/2008. L'ordinanza che dispone la sospensione dell'efficacia esecutiva dovrà essere adottata entro 5 giorni dall'istanza di sospensione; precisa che, se il richiedente asilo ha reiterato identica domanda dopo che sia stata presa una decisione da parte della Commissione territoriale, senza addurre nuovi elementi in merito alle sue condizioni personali o alla situazione del suo Paese, e la Commissione conseguentemente dichiara la domanda inammissibile, la proposizione del ricorso avverso tale pronuncia non sospende l'efficacia esecutiva del provvedimento; individua in 6 mesi il termine entro il quale il tribunale deve pronunciarsi sul ricorso rigettandolo o accordando la protezione internazionale; specifica che la cancelleria del tribunale deve comunicare alle parti non solo l'esito del ricorso ma anche l'esito delle istanze cautelari relative alla sospensione dell'efficacia esecutiva del provvedimento impugnato.
  Il Capo III reca le disposizioni finali. L'articolo 27 è finalizzato a «trasferire» alle corrispondenti previsioni del nuovo provvedimento la copertura finanziaria delle norme di cui lo schema di decreto esame dispone l'abrogazione, in quanto sostanzialmente confluiti nel nuovo atto. L'articolo 28 reca la clausola di invarianza finanziaria dell'intero provvedimento. L'articolo 29 prevede che entro 6 mesi dalla data di entrata in vigore dello schema di decreto in esame – sentita la Conferenza unificata – sia disposto l'adeguamento del regolamento di attuazione del decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25, adottato con decreto del Presidente della Repubblica 12 gennaio 2015, n. 21, alle nuove norme in materia di accoglienza dei richiedenti e di procedure per l'esame della domanda definite con il provvedimento in esame.

  Francesco Paolo SISTO, presidente, comunica che la Presidente Boldrini ha trasmesso una lettera nella quale segnala che la richiesta di parere del Governo sullo schema di decreto legislativo in esame non è corredata dal previsto parere della Conferenza unificata. Ciononostante, avuto riguardo al termine stabilito per l'esercizio della delega e considerato quanto previsto dall'articolo 31, comma 3, della legge 24 dicembre 2012, n. 234, per la proroga del medesimo, ha proceduto all'assegnazione dello schema di decreto, richiamando tuttavia l'esigenza che la Commissione non si pronunci definitivamente sul provvedimento prima che il Governo abbia provveduto a integrare la richiesta di parere nel senso indicato.
  Quindi, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento in titolo ad altra seduta.

  La seduta termina alle 14.30.

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

  Martedì 9 giugno 2015. — Presidenza del presidente Alessandro NACCARATO.

  La seduta comincia alle 14.35.

Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2014.
Emendamenti C. 2977-A Governo.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Alessandro NACCARATO, presidente e relatore, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto Pag. 63del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Modifiche al codice della strada, di cui al decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285.
Emendamenti C. 423-A Caparini ed abb.

(Parere all'Assemblea).
(Esame e conclusione – Parere).

  Il Comitato inizia l'esame degli emendamenti.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatrice, rileva che gli emendamenti contenuti nel fascicolo n. 1 non presentano profili critici per quanto attiene al rispetto del riparto di competenze legislative di cui all'articolo 117 della Costituzione e propone pertanto di esprimere su di essi il parere di nulla osta.

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

Ratifica ed esecuzione della Convenzione sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori, fatta all'Aja il 19 ottobre 1996.
C. 1589-B, approvato dalla Camera e modificato dal Senato.

(Parere alle Commissioni riunite II e III).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Alessandro NACCARATO, presidente e relatore, ricorda che il disegno di legge in esame, approvato con modifiche dal Senato il 15 marzo 2015, detta disposizioni di ratifica ed esecuzione della Convenzione de L'Aja del 19 ottobre 1996 sul riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e protezione dei minori. Il testo approvato in prima lettura dalla Camera il 25 giugno 2014 prevedeva anche una serie di norme di adeguamento dell'ordinamento interno che, tuttavia, sono state oggetto di stralcio da parte del Senato. Il provvedimento autorizza pertanto la sola ratifica della Convenzione, alla quale sarà necessario dare esecuzione in un secondo momento con una disciplina di adeguamento interno.
  Il testo originario intendeva dare, in particolare, una veste giuridica alla c.d. kafala, istituto affine all'affidamento familiare, previsto come unica misura di protezione del minore in stato di abbandono negli ordinamenti islamici. La necessità di un approfondimento della disciplina attuativa confligge con quella di una rapida approvazione del provvedimento, derivante dal ritardo del nostro Paese nell'adempiere a tale impegno internazionale. Con due lettere del 23 maggio 2012 e 14 giugno 2013, la Commissione europea ha già chiesto all'Italia di far conoscere le motivazioni del grave ritardo nella ratifica della Convenzione, prospettando la possibile apertura di una procedura d'infrazione. Con successiva missiva del 18 luglio 2014, è stato nuovamente chiesto di conoscere il calendario preciso di adozione del disegno di legge di ratifica in esame.
  Nei Paesi che ispirano la propria legislazione ai precetti coranici non esiste rapporto di filiazione diverso dal legame biologico di discendenza che derivi da un rapporto sessuale lecito. La legge islamica, inoltre, vieta l'adozione. Per evitare che figli senza genitori restino del tutto sprovvisti di tutela, il diritto islamico prevede la kafala, un istituto tramite il quale è garantita la protezione ai minori orfani, abbandonati o, comunque, privi di un ambiente familiare idoneo alla loro crescita: un adulto musulmano (o una coppia di coniugi) ottiene la custodia del minorenne in stato di abbandono, che non sia stato possibile affidare alle cure di parenti, nell'ambito della famiglia estesa. Il rapporto Pag. 64che si instaura tra affidatario (kafil) e minore (makfoul) non crea vincoli ulteriori rispetto all'obbligo del primo di provvedere al mantenimento e all'educazione del secondo, fino a quando questi raggiunga la maggiore età. Tra i due non si determina alcun rapporto di filiazione e, quindi, non si producono effetti legittimanti: il bambino non assume il cognome di chi ne ha ottenuto la custodia; non acquista diritti né aspettative successorie nei suoi confronti; non instaura legami giuridici con la famiglia di accoglienza, né interrompe i rapporti con il proprio nucleo familiare di origine. La kafala è in sostanza un affidamento che si protrae fino alla maggiore età, e non trova ad oggi espresse corrispondenze nell'ordinamento giuridico italiano ed anche la giurisprudenza non ha un orientamento univoco sul tema.
  Il disegno di legge C.1589-B all'esame delle Commissioni riunite Esteri e Giustizia si compone ora soltanto 5 articoli (15 nel testo trasmesso al Senato). L'articolo 1 del provvedimento riguarda l'autorizzazione alla ratifica della Convenzione mentre l'articolo 2 concerne l'ordine di esecuzione della stessa. L'articolo 3 – dedicato alla definizioni – è stato modificato dal Senato, individuando l'Autorità centrale italiana nella Presidenza del Consiglio dei ministri anziché nel Ministero della giustizia – Dipartimento per la giustizia minorile. L'articolo 4 riguarda la clausola di invarianza finanziaria e l'articolo 5 concerne l'entrata in vigore.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite segnala che il disegno di legge interessa la materia «politica estera e rapporti internazionali dello Stato» di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi della lettera a) dell'articolo 117, secondo comma, della Costituzione.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole (vedi allegato 1).

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e l'Ucraina, dall'altra, fatto a Bruxelles il 27 giugno 2014.
C. 3053 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Daniela Matilde Maria GASPARINI (PD), relatrice, fa presente che l'Accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica ed i loro Stati membri, da una parte, e l'Ucraina, dall'altra, fatto a Bruxelles il 27 giugno 2014 è finalizzato all'associazione politica ed all'integrazione economica fra UE e Ucraina. In riferimento alle finalità, l'Accordo si configura anche come Agenda per le riforme per il cui tramite l'Ucraina può attuare il proprio avvicinamento a parametri e norme dell'Unione Europea.
  Tali obiettivi si concretizzano attraverso: una gamma di settori di cooperazione che coinvolge 28 aree tematiche e dedica particolare attenzione alle riforme necessarie in ciascun ambito; un quadro istituzionale di nuova concezione, con l'istituzione di un Consiglio di associazione deputato all'adozione di decisioni e di un Comitato di associazione, deputato a trattare questioni commerciali; forum cooperazione per la società civile ed i rispettivi Parlamenti; la creazione di una DCFTA (si veda più avanti) per stimolare la ripresa e lo sviluppo economico del Paese, attraverso l'adeguamento tecnico-normativo ai parametri dell'UE.
  Il disegno di legge si compone di quattro articoli: i primi due contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo e l'ordine di esecuzione del medesimo. L'articolo 3 reca la copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione dell'articolo 7, paragrafi 3 e 4 e dell'articolo 11 del Protocollo 2 allegato all'Accordo, valutati in euro 9.680 annui a decorrere dal 2016.Pag. 65
  L'articolo 4, infine, dispone l'entrata in vigore della legge per il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, fa presente che il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole (vedi allegato 2).

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo di associazione tra l'Unione europea e la Comunità europea dell'energia atomica e i loro Stati membri, da una parte, e la Moldova, dall'altra, fatto a Bruxelles il 27 giugno 2014.
C. 3027 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Alessandro NACCARATO, presidente, in sostituzione del relatore, impossibilitato a prendere parte alla seduta, ricorda che la strategia del cosiddetto Partenariato orientale (PO) costituisce il versante est della Politica europea di vicinato (PEV): il Partenariato orientale è stato formalmente lanciato nel maggio 2009 al vertice europeo di Praga, ed è inteso a stimolare processi di avvicinamento all'Europa da parte dell'Ucraina, della Bielorussia, della Moldova, dell'Armenia, della Georgia dell'Azerbaijan. Strumento essenziale del Partenariato orientale sono gli Accordi di associazione – che comprendono la creazione di aree di libero scambio ampie ed approfondite tra ciascuno di questi paesi e l'Unione europea –, nonché i negoziati per la facilitazione nel rilascio dei visti (nella prospettiva di una loro eventuale liberalizzazione), e una cooperazione energetica strutturata, allo scopo tra l'altro di fornire all'Unione europea più elevate garanzie nella regolarità dei flussi di approvvigionamento energetico.
  Nel suo complesso l'Accordo si articola attorno a cinque fulcri fondamentali: la condivisione di valori e principi – quali la democrazia, il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, lo Stato di diritto, lo sviluppo sostenibile e l'economia di mercato; una cooperazione più forte nella politica estera e di sicurezza, con particolare riguardo alla stabilità della regione – al proposito l'Accordo sancisce l'impegno per UE e Moldova a cercare una soluzione praticabile alla questione della Transnistria, regione secessionista moldova sotto la protezione di fatto della Russia, non riconosciuta dal governo di Chisinau né tantomeno dalle Nazioni Unite; creazione di un'area di libero scambio ampia e approfondita; spazio comune di giustizia, libertà e sicurezza – con particolare riguardo ai profili migratori, alla lotta al riciclaggio, ai traffici illegali di droga e al crimine organizzato; cooperazione in 28 settori chiave.
  Il disegno di legge si compone di quattro articoli: i primi due contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo e l'ordine di esecuzione del medesimo. L'articolo 3 reca la copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione dell'articolo 7, paragrafi 3 e 4 e dell'articolo 11 del Protocollo III allegato all'Accordo, valutati in 6.360 euro annui a decorrere dal 2016, ai quali si farà fronte con corrispondente riduzione delle proiezioni, per gli anni 2016 e 2017 dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2015-2017, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2015, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (comma 1). L'articolo 4, infine, dispone l'entrata in vigore della legge di autorizzazione Pag. 66alla ratifica per il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, segnala che il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole (vedi allegato 3).

  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere del presidente.

Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa sul riconoscimento reciproco dei titoli di studio rilasciati nella Repubblica italiana e nella Federazione russa, fatto a Roma il 3 dicembre 2009.
C. 1924 Governo.

(Parere alla III Commissione).
(Esame e conclusione – Parere favorevole).

  Il Comitato inizia l'esame del provvedimento.

  Marilena FABBRI (PD), relatrice, fa presente che l'Accordo tra il Governo della Repubblica italiana e il Governo della Federazione russa sul riconoscimento reciproco dei titoli di studio rilasciati nella Repubblica italiana e nella Federazione russa, fatto a Roma il 3 dicembre 2009, è finalizzato disciplinare il reciproco riconoscimento dei periodi e dei titoli di studio universitario ai fini dell'accesso e della prosecuzione degli studi nelle istituzioni universitarie dell'altro Paese. La mancanza di tale disciplina, infatti, comporta che i cittadini che si iscrivano presso le università dell'altra Parte contraente vi conseguano diplomi di laurea privi di riconoscimento legale da parte delle autorità del Paese di origine. L'Accordo sul reciproco riconoscimento dei titoli di studio in esame consentirà agli studenti di una delle due Parti in possesso del titolo finale degli studi secondari superiori di essere ammessi alle istituzioni universitarie dell'altro Stato contraente, eventualmente previo esame di idoneità al corso universitario prescelto o verifiche sulla conoscenza della lingua nazionale. In ragione dell'elevato numero di studenti di lingua italiana nelle scuole superiori e nelle università russe e del crescente numero di studenti russi che si iscrivono presso i nostri atenei, l'Accordo, favorendo l'inserimento di questi studenti nel sistema accademico italiano, è destinato a contribuire anche all'aumento del tasso di internazionalizzazione dei nostri atenei, nonché all'ulteriore diffusione della lingua italiana.
  Il disegno di legge si compone di quattro articoli: i primi due contengono, rispettivamente, l'autorizzazione alla ratifica dell'Accordo e l'ordine di esecuzione del medesimo. L'articolo 3 reca la copertura degli oneri finanziari derivanti dall'attuazione del provvedimento, valutati in euro 1.580 annui ad anni alterni a decorrere dall'anno 2015, ai quali si farà fronte mediante corrispondente riduzione delle proiezioni dello stanziamento del fondo speciale di parte corrente iscritto, ai fini del bilancio triennale 2013-2015, nell'ambito del programma «Fondi di riserva e speciali» della missione «Fondi da ripartire» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2013, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativo al Ministero degli affari esteri [e della cooperazione internazionale] (comma 1). L'articolo 4, infine, dispone l'entrata in vigore della legge per il giorno successivo alla sua pubblicazione in Gazzetta ufficiale.
  Quanto al rispetto delle competenze legislative costituzionalmente definite, evidenzia che il provvedimento si inquadra nell'ambito della materia politica estera e rapporti internazionali dello Stato, ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera a), della Costituzione, demandata alla competenza legislativa esclusiva dello Stato.
  Formula, quindi, una proposta di parere favorevole (vedi allegato 4).

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  Nessuno chiedendo di intervenire, il Comitato approva la proposta di parere della relatrice.

  La seduta termina alle 14.45.

AVVERTENZA

  Il seguente punto all'ordine del giorno non è stato trattato:

COMITATO PERMANENTE PER I PARERI

DL 51/2015: Disposizioni urgenti in materia di rilancio dei settori agricoli in crisi, di sostegno alle imprese agricole colpite da eventi di carattere eccezionale e di razionalizzazione delle strutture ministeriali.
C. 3104 Governo.

ERRATA CORRIGE

  Nel Bollettino delle Giunte e delle Commissioni parlamentari n. 457 del 4 giugno 2015, a pagina 18, seconda colonna, terzultima riga, dopo le parole: «controllo preventivo» inserire la seguente: «eventuale».

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