CAMERA DEI DEPUTATI
Lunedì 19 gennaio 2015
371.
XVII LEGISLATURA
BOLLETTINO
DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI
Lavoro pubblico e privato (XI)
COMUNICATO
Pag. 22

ATTI DEL GOVERNO

  Lunedì 19 gennaio 2015. — Presidenza del presidente Cesare DAMIANO. — Interviene il sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche sociali Teresa Bellanova.

  La seduta comincia alle 14.50.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti.
Atto n. 134.

(Esame e rinvio).

  Cesare DAMIANO, presidente e relatore, avverte che a partire dal prossimo mercoledì 21 gennaio avrà luogo lo svolgimento di un ciclo di audizioni informali al fine di acquisire ulteriori elementi di valutazione sui due schemi di decreto legislativo attuativi della legge n. 183 del 2014 trasmessi dal Governo. Fa notare che la discussione sul provvedimento riprenderà al termine del ciclo di audizioni informali, ai fini dell'espressione del parere di competenza della Commissione. Segnala, in ogni caso, che gli orari delle sedute, previsti per lo svolgimento delle audizioni, dovranno essere rivisti alla luce del nuovo calendario dell'Assemblea stabilito nella riunione odierna della Conferenza dei presidenti di gruppo. Ricorda che il parere parlamentare dovrà essere espresso entro il 12 febbraio 2015.
  Rileva, quindi, che si avvia oggi l'esame dei due primi schemi di decreto legislativo adottati dal Governo in attuazione delle deleghe legislative contenute nell'articolo 1 della legge n. 183 del 2014, approvata dalle Camere nello scorcio finale dello scorso anno. La contemporanea trasmissione al Parlamento di questi due schemi, approvati contestualmente in prima deliberazione dal Consiglio dei ministri, recupera, almeno in parte, il senso unitario che deve caratterizzare il processo di riforma del mondo del lavoro avviato con l'approvazione del cosiddetto Jobs Act. È evidente, infatti, che l'introduzione, per i nuovi assunti, di un contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti determina un ridimensionamento delle tutele in caso di licenziamento illegittimo, che deve trovare un adeguato bilanciamento in un quadro di interventi più ampio e comprensivo che garantisca, in particolare, il rafforzamento delle tutele per i lavoratori Pag. 23che abbiano perduto involontariamente l'occupazione e limiti il ricorso a contratti precari, promuovendo, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro. È senz'altro positivo, quindi, che il provvedimento sul contratto a tutele crescenti sia esaminato contemporaneamente a quello che rafforza le tutele in caso di disoccupazione involontaria. Si tratta, tuttavia, di un quadro ancora incompleto. Come segnalato più volte nel corso dell'esame della manovra finanziaria per il triennio appena avviato, vi è in primo luogo l'esigenza di integrare gli stanziamenti previsti nel 2015 per gli ammortizzatori sociali, ai quali – a suo avviso – dovrebbero essere destinati attorno a 400 milioni di euro aggiuntivi rispetto a quelli già disponibili a legislazione vigente. Una revisione sistematica del mondo del lavoro nel nostro Paese richiede, infatti, l'attuazione delle disposizioni relative al «disboscamento» delle forme contrattuali di tipo precario, nonché la costituzione di un sistema finalmente efficace di servizi per l'impiego e di politiche attive del lavoro per favorire l'ingresso o il rientro nel mondo del lavoro. Si deve, inoltre, avere la consapevolezza che gli interventi sul quadro regolatorio non possono esaurire le soluzioni che devono essere individuate alla vera e propria emergenza occupazionale che l'Italia sta vivendo dopo la crisi economica avviatasi nel 2008. Anche a livello europeo, i primi passi compiuti dalla Commissione Junker, seppure molto prudenti, mostrano, a suo avviso, una recuperata attenzione per i temi connessi alla crescita e agli investimenti pubblici e privati. È ormai convinzione diffusa, anche nelle sedi europee, che le riforme strutturali, opportunamente indirizzate, debbano andare di pari passo con politiche di rilancio della domanda interna. Ritiene, del resto, evidente che i tassi di occupazione non siano direttamente correlati alla presenza di minori tutele contro i licenziamenti: il positivo andamento dell'occupazione in Germania, ad esempio, va di pari passo con una legislazione in materia di protezione contro i licenziamenti individuali e collettivi che, secondo i dati forniti dall'OCSE, assicura un tasso di protezione superiore a quello previsto in Italia. In questa ottica ritiene significativa l'attenzione che il recentissimo rapporto della Commissione europea sull'occupazione e le evoluzioni sociali, presentato lo scorso 15 gennaio, ponga l'accento sull'esigenza di promuovere la competitività e la produttività attraverso investimenti sul capitale umano, l'istruzione e la formazione durante l'intero arco della vita lavorativa, nonché sulla conciliazione tra tempi di vita e di lavoro, soprattutto per le donne. Fa notare che sono temi, presenti nella delega approvata dal Parlamento, che dovranno essere adeguatamente sviluppati nei prossimi decreti legislativi, se vorremo favorire veramente la ripresa occupazionale nel nostro Paese.
  Passando al contenuto del provvedimento in esame, segnala preliminarmente che lo schema di decreto legislativo, composto di 12 articoli, dà attuazione dell'articolo 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014, che ha delegato il Governo all'adozione di un decreto legislativo che rechi la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento».
  Fa presente che l'articolo 1 definisce l'ambito applicativo del provvedimento. Il comma 1 prevede che il nuovo regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo trovi applicazione per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato successivamente alla data di entrata in vigore del decreto legislativo. Il nuovo regime non Pag. 24si applica quindi ai dirigenti, anche se assunti dopo l'entrata in vigore del provvedimento in esame, ai quali continuerà ad applicarsi la disciplina prevista a legislazione vigente.
  Con riferimento a questa disposizione, ritiene, in primo luogo, necessario chiarire in modo univoco la portata del decreto in discussione. Da un lato, infatti, tanto il criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014, quanto il titolo del provvedimento in esame fanno riferimento all'introduzione di una nuova tipologia contrattuale, il contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. Al contrario, il tenore del comma 1 dell'articolo 1 e l'effettivo contenuto dello schema fanno ritenere che quest'ultimo si limiti a introdurre esclusivamente una nuova disciplina delle tutele in caso di licenziamento per i lavoratori con qualifica non dirigenziale assunti dopo l'entrata in vigore del presente provvedimento. In altre parole, non sembra che siamo in presenza di una nuova tipologia contrattuale, ma di una nuova disciplina per i licenziamenti per i nuovi assunti. Osserva come tale precisazione, oltre a sollecitare una riflessione sulla conformità del decreto rispetto ai principi della delega, non sia indifferente ai fini dell'individuazione della disciplina complessivamente applicabile alle nuove assunzioni. Se, come sembra, il provvedimento reca esclusivamente una disciplina dei profili relativi alle conseguenze del licenziamento illegittimo, resterebbero ovviamente ferme tutte le altre disposizioni in materia di contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. In particolare, resterebbero fermi i regimi speciali di libera recedibilità attualmente previsti per prestatori di lavoro domestico, sportivi professionisti e, in particolare, per i lavoratori assunti in prova e i lavoratori che hanno raggiunto l'età pensionabile.
  Sempre con riferimento all'ambito di applicazione del provvedimento, fa notare si è sviluppato – a ridosso del Consiglio dei ministri del 24 dicembre scorso – un appassionato dibattito in ordine alla possibilità di applicare le disposizioni del decreto anche ai lavoratori «contrattualizzati» del pubblico impiego. Da più parti si è, infatti, osservato come la formulazione dell'articolo 1 non escluda in modo espresso l'applicazione del decreto anche ai lavoratori del settore pubblico e, pertanto, per effetto di quanto disposto dall'articolo 2, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001, la nuova disciplina si applicherebbe anche al pubblico impiego. Reputa che si tratti di una ricostruzione che non può essere condivisa e che contrasta in modo evidente con il dibattito parlamentare svoltosi con riferimento alla legge delega, nel quale non si è mai fatto riferimento all'applicazione del provvedimento anche al settore pubblico, e con le stesse intenzioni del Governo. Bene hanno fatto, a suo avviso, i ministri Madia e Poletti a chiarirlo immediatamente, spegnendo sul nascere il dibattito che rischiava di accendersi sulla questione. Ricorda, inoltre, che anche il presidente del Consiglio ha chiarito in modo inequivoco che con il provvedimento in esame non si intende intervenire sulla materia dei licenziamenti nel pubblico impiego, che potrà essere considerata in sede di esame parlamentare del disegno di legge di riforma della pubblica amministrazione, al momento in discussione al Senato. Ritiene sia evidente, infatti, che le disposizioni del provvedimento in esame non possono applicarsi direttamente al pubblico impiego. Il riferimento ai «lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri», contenuto nell'articolo 1, comma 1, è caratteristico del lavoro privato, non esistendo nella pubblica amministrazione la categoria dei quadri. Rileva che la stessa analisi di impatto della regolamentazione allegata al provvedimento, nell'individuare le «categorie dei soggetti, pubblici e privati, destinatari dei principali effetti dell'intervento regolatorio» fa presente che «i principali destinatari del provvedimento sono i datori di lavoro privati», senza mai nominare i datori di lavoro pubblici. In ogni caso, qualora, sotto il profilo della tecnica normativa, residuassero dubbi circa l'applicabilità del provvedimento anche ai lavoratori pubblici, sarebbe a suo Pag. 25giudizio opportuno chiarire espressamente che le sue disposizioni non si applicano ai loro rapporti di lavoro, in vista del complessivo riordino della disciplina in materia di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche di cui si sta discutendo al Senato.
  Osserva che il comma 2 del medesimo articolo 1 dispone che la nuova disciplina dei licenziamenti trovi applicazione anche nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del decreto, integri i requisiti occupazionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300. Rileva che questa disciplina, che uniforma il trattamento tra vecchi e nuovi assunti, non è espressamente prevista dalla legge delega, che fa riferimento all'applicazione del nuovo contratto ai soli nuovi assunti. La soluzione individuata deve, quindi, valutarsi con attenzione, in quanto, qualora, in caso di superamento delle soglie, si applicasse ai lavoratori già assunti la disciplina vigente, questi beneficerebbero di una tutela più ampia, anche in termini di reintegrazione, di quella prevista dal decreto in esame. Ritiene che si debba, in particolare, verificare se l'attuazione del comma 2 possa, in alcuni casi, determinare anche l'applicazione ai lavoratori già in servizio di un trattamento peggiorativo rispetto a quello che spetterebbe loro in attuazione della normativa a loro applicabile a legislazione vigente nel caso in cui si superino le soglie previste dallo Statuto dei lavoratori. La nuova disciplina riferita a datori di lavoro al di sopra delle soglie dello Statuto potrebbe infatti portare, in specifiche fattispecie, al riconoscimento di indennità minori di quelle che spetterebbero a legislazione vigente in caso di licenziamenti da parte di datori di lavoro che si collochino al di sotto delle soglie previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.
  Fa presente, poi, che l'articolo 2 disciplina il licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale, riproducendo, con talune variazioni, i contenuti della disciplina vigente, recata dai primi tre commi dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato, da ultimo, dalla legge n. 92 del 2012, che prevedono la tutela reale del lavoratore illegittimamente licenziato attraverso la sua reintegrazione nel posto di lavoro. Rileva, in proposito, che il comma 1 dispone che il giudice, con la pronuncia con la quale dichiara la nullità del licenziamento perché discriminatorio o riconducibile agli altri casi di nullità espressamente previsti dalla legge, ovvero inefficace perché intimato in forma orale, ordina al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. A seguito dell'ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto quando il lavoratore non abbia ripreso servizio entro trenta giorni dall'invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia richiesto l'indennità sostitutiva di cui al comma 3; si tratta del cosiddetto opting out unilaterale. Con riferimento al contenuto di questa disposizione, a suo avviso, occorre considerare che il comma 1 non riproduce esattamente il contenuto dell'articolo 18, comma 1, primo periodo, della legge n. 300 del 1970, ma apporta alcune semplificazioni, eliminando, tra l'altro, il riferimento a licenziamenti determinati da un motivo illecito determinante ai sensi dell'articolo 1345 del codice civile. Poiché l'intenzione del legislatore non è certo quella di limitare le fattispecie di licenziamento nullo già previste a legislazione vigente, ritiene che si debbano evitare semplificazioni che possano generare incertezza nell'interpretazione delle norme e si debba pertanto rivedere la disposizione per allinearne il contenuto a quello dell'articolo 18, comma 1, dello Statuto dei lavoratori ovvero prevedere un rinvio espresso a quanto previsto da tale disposizione. Diversamente dal comma 1 dell'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, la disposizione in esame non indica espressamente che essa troverà applicazione quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, né prevede l'estensione della tutela reintegratoria anche ai dirigenti. Anche alla Pag. 26luce di quanto previsto dall'articolo 9, ritiene che sia opportuno che il Governo garantisca che la reintegrazione nei casi di cui all'articolo 2, comma 1, sia prevista anche per i datori di lavoro che non integrino i requisiti occupazionali di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300. Analoga garanzia, a suo avviso, dovrebbe essere assicurata per i dirigenti.
  Fa presente che il comma 2 del medesimo articolo 2 prevede che, oltre alla reintegrazione, il giudice condanni il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l'inefficacia, stabilendo a tal fine un'indennità commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito, nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative. In ogni caso il risarcimento non potrà essere inferiore a cinque mensilità della retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. Rileva, poi, che il comma 3 riconosce al lavoratore, fermo restando il diritto al risarcimento del danno, la facoltà (cosiddetto opting out unilaterale) di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La richiesta dell'indennità deve essere effettuata entro trenta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia o dall'invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.
  Come già accennato, il comma 3 conferma l'attribuzione al lavoratore della facoltà, già prevista dalla legislazione vigente, di rinunciare alla reintegrazione in cambio di un'indennità risarcitoria. Fa presente che, nel corso dell'elaborazione dello schema oggi in discussione, il Governo è stato ripetutamente sollecitato a estendere anche al datore di lavoro la facoltà di optare unilateralmente per la corresponsione di una indennità in luogo della reintegrazione. Giustamente, l'Esecutivo ha deciso di non accogliere queste sollecitazioni: è del tutto evidente, infatti, che riconoscere al lavoratore la facoltà di rinunciare alla reintegrazione è cosa ben diversa dall'attribuire la medesima facoltà al datore di lavoro. Riconoscere questo potere al datore di lavoro rappresenterebbe, a suo avviso, una violazione del criterio di delega di cui all'articolo 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014, che fa riferimento a un vero e proprio diritto alla reintegrazione per i licenziamenti nulli e discriminatori. Giudica evidente che il diritto non possa che essere riconosciuto al lavoratore e perderebbe di effettività qualora il datore di lavoro potesse unilateralmente evitare la tutela reintegratoria attraverso il pagamento di una sanzione indennitaria.
  Osserva che l'articolo 3 disciplina il licenziamento per giustificato motivo oggettivo (cosiddetto licenziamento economico), giustificato motivo soggettivo o giusta causa (cosiddetto licenziamento disciplinare), nel senso di una riduzione dell'area della tutela reale e, contemporaneamente, di un ampliamento dell'area della tutela obbligatoria in caso di licenziamento illegittimo. Fa presente, in primo luogo, che il comma 1 regola la tutela obbligatoria, prevedendo che nei casi in cui risulti accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiari estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanni il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a due mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a quattro e non superiore a ventiquattro mensilità. In linea con quanto previsto nella legge delega viene quindi meno la possibilità di reintegrazione, nei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, Pag. 27nelle ipotesi di manifesta insussistenza del fatto posto a base del licenziamento. Con riferimento all'entità dell'indennità, risulta evidente, a suo avviso, come, in presenza di una minore anzianità di servizio, si determini una riduzione degli importi riconosciuti rispetto a quanto previsto dalla legislazione vigente, che prevede un indennizzo compreso tra dodici e ventiquattro mensilità dell'ultima retribuzione. Reputa quindi necessario, quantomeno, incrementare il limite minimo dell'indennizzo a sei mensilità, anche al fine di scoraggiare eventuali comportamenti opportunistici da parte di datori di lavoro che potrebbero sfruttare i benefici assicurati dalla legge di stabilità 2015 per le nuove assunzioni a tempo indeterminato per poi licenziare i dipendenti assunti sopportando un sacrificio finanziario relativamente contenuto. Ritiene, inoltre, corretta la decisione di non inserire nel decreto una previsione volta a introdurre, tra i motivi che giustificano il licenziamento economico, lo scarso rendimento del lavoratore. Saranno i giudici a valutare caso per caso, come avviene oggi, se esso possa costituire il fondamento giustificativo di un licenziamento. Rileva che il comma 2 regola la tutela reale per i licenziamenti ingiustificati, limitandola alle sole ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento. In tali casi il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, nonché al pagamento di un'indennità risarcitoria commisurata all'ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore abbia percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire accettando una congrua offerta di lavoro ai sensi dell'articolo 4, comma 1, lettera c), del decreto legislativo n. 181 del 2000. In ogni caso la misura dell'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell'effettiva reintegrazione. Come per i licenziamenti nulli o inefficaci, al lavoratore è attribuita la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, non assoggettata a contribuzione previdenziale. Con riferimento alla nuova disciplina in materia di reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento disciplinare illegittimo, ritiene che si debba considerare come vi sia una significativa riduzione delle tutele rispetto al testo dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori risultante a seguito delle modifiche introdotte nel 2012. Viene meno, in particolare, il diritto alla reintegrazione qualora il fatto contestato al lavoratore licenziato rientri tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili. Da questo punto di vista, ricorda che il criterio di delega di cui alla lettera c) del comma 7 dell'articolo 1 della legge n. 183 del 2014 prevedeva che il diritto alla reintegrazione fosse limitato a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato. Osserva come lo schema di decreto faccia riferimento una sola fattispecie, quella dell'insussistenza materiale del fatto contestato, peraltro particolarmente limitata: l'effetto è quello di escludere il reintegro in presenza di un fatto materialmente accaduto, ancorché esso abbia minima o nulla rilevanza sul piano disciplinare. Una volta accertata la sussistenza del fatto materiale, non sarebbe quindi reintegrabile il lavoratore che arrivasse una sola volta in ritardo di pochi minuti o fumasse una sigaretta sul luogo di lavoro. Ritiene, quindi, necessario ripristinare un criterio di proporzionalità tra la gravità della condotta e la sanzione, Pag. 28recuperando la correlazione con quanto previsto in materia dai contratti collettivi e dai codici disciplinari applicabili. Un altro aspetto a suo avviso meritevole di approfondimento attiene alla dimostrazione in giudizio dell'insussistenza del fatto materiale contestato. L'articolo 5 della legge n. 604 del 1966 contiene, in proposito, norme volte a garantire i lavoratori, stabilendo che l'onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetti al datore di lavoro. Il comma 2 dell'articolo 3 non deroga espressamente a tale criterio di prova, ma la relazione illustrativa allegata allo schema afferma che: «fermo restando l'onere della prova a carico del datore di lavoro rispetto alla legittimità del motivo addotto per il licenziamento, l'onere della prova rispetto all'insussistenza del fatto materiale contestato [...] è in capo al lavoratore». Sul punto, non reputa opportuno prevedere una inversione degli ordinari criteri di prova in materia di licenziamento che indebolisca le tutele per i lavoratori. Osserva, del resto, che, se il datore di lavoro deve provare la sussistenza del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa, tale prova non potrà che riguardare anche la sussistenza del fatto materiale contestato. Quanto al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, la normativa vigente, diversamente dal testo del provvedimento in esame, prevede, altresì, che essi siano «maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall'illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest'ultimo caso, qualora i contributi afferiscano ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d'ufficio alla gestione corrispondente all'attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro». Al riguardo, dovrebbe valutarsi se si intenda estendere tali modalità di calcolo anche alla nuova disciplina introdotta dal decreto in esame. Tra le modifiche rispetto al testo dell'articolo 18, quarto comma, dello Statuto dei lavoratori, segnala altresì che l'articolo 3, comma 2, prevede che l'indennità risarcitoria relativa al periodo antecedente alla pronuncia di reintegrazione non può essere superiore a dodici mensilità dell'ultima retribuzione, mentre il testo dell'articolo 18 fissa il medesimo limite di dodici mensilità senza specificare che esso si riferisce al periodo antecedente alla stessa pronuncia.
  Fa presente che il comma 3 dispone, analogamente a quanto previsto dalla normativa vigente, che la tutela reale per il lavoratore trovi applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerti il difetto di giustificazione per motivo consistente nell'inidoneità fisica o psichica del lavoratore. Rispetto al testo dell'articolo 18, settimo comma, della legge n. 300 del 1970, si esclude quindi la tutela reintegratoria nel caso di licenziamento durante il periodo di comporto, di cui all'articolo 2110 del codice civile. Reputa, quindi, necessario ripristinare tale previsione anche per i lavoratori assunti con la nuova disciplina.
  Rileva che il comma 4 prevede che non trovi applicazione per i nuovi assunti l'articolo 7 della legge n. 604 del 1966, come modificato dalla legge n. 92 del 2012, che definisce una specifica procedura di conciliazione per i licenziamenti economici individuali. In proposito, ritiene opportuno acquisire dal Governo elementi utili a valutare l'innovazione introdotta. Dai dati riguardanti il monitoraggio della cosiddetta «legge Fornero», risulta infatti che la conciliazione obbligatoria aveva dato, in sede di prima applicazione, buoni risultati in termini di riduzione del contenzioso e di accelerazione nella definizione stragiudiziale delle controversie. L'esclusione di questa procedura di conciliazione è probabilmente connessa all'introduzione del diverso procedimento, operante su base volontaria, previsto dall'articolo 6 dello schema in esame.
  Osserva che l'articolo 4 disciplina il licenziamento inficiato da vizi formali e procedurali. Nell'ipotesi in cui il licenziamento Pag. 29sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a dodici mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l'applicazione delle maggiori tutele previste dagli articoli 2 e 3. Anche in questo caso, per i lavoratori con minore anzianità lavorativa, si determina una riduzione delle indennità riconoscibili, che, ai sensi del senso comma dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, sono stabilite in una misura compresa tra sei e dodici mensilità dell'ultima retribuzione.
  Osserva che l'articolo 5, riproducendo, senza variazioni, il contenuto dell'articolo 18, decimo comma, della legge n. 300 del 1970, prevede che nell'ipotesi di revoca del licenziamento, purché effettuata entro il termine di quindici giorni dalla comunicazione al datore di lavoro dell'impugnazione del medesimo, il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca, e non trovano applicazione i regimi sanzionatori previsti dal presente decreto.
  Fa presente che l'articolo 6 prevede una nuova ipotesi di conciliazione volontaria al fine di promuovere la risoluzione stragiudiziale delle controversie aventi ad oggetto i licenziamenti illegittimi, riducendo il contenzioso in materia di lavoro. Rileva che il comma 1 prevede che il datore di lavoro possa offrire al lavoratore, mediante consegna di un assegno circolare, entro il termine di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni dalla ricezione del recesso), un importo pari a una mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità. Tale somma non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribuzione previdenziale. La conciliazione deve avvenire in una delle sedi assistite di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile o presso le commissioni di certificazione di cui all'articolo 82, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003. L'accettazione dell'assegno da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto di lavoro alla data del licenziamento e la rinunzia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta. Rileva che il comma 2 quantifica gli oneri derivanti dal comma 1, derivanti dalla non imponibilità ai fini IRPEF delle somme offerte ai fini della conciliazione, i quali ammontano a 2 milioni di euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di euro per il 2016, 13,8 milioni di euro per il 2017, 17,5 milioni per il 2018, 21,2 milioni per il 2019, 24,4 milioni per il 2020, 27,6 milioni per il 2021, 30,8 milioni per il 2022, 34 milioni per il 2023 e 37,2 milioni a decorrere dal 2024, ponendoli a carico del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge di stabilità per il 2015. Fa presente che il comma 3 prevede che l'attuazione dell'articolo 3 sia oggetto di monitoraggio da parte del sistema permanente di monitoraggio e valutazione istituito dall'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2012. Con riferimento alla clausola di monitoraggio contenuta nel comma 3 dell'articolo 6, posto che essa non sembra avere la finalità di verificare l'adeguatezza della copertura finanziaria, ritiene che sarebbe opportuno prevedere una disposizione di carattere più generale, riferita all'intero decreto legislativo. In ogni caso, ricorda che, con una disposizione introdotta dalla Commissione lavoro della Camera, la legge n. 183 del 2014 già prevede che il sistema permanente di monitoraggio istituito dalla «legge Fornero» assicuri un controllo permanente degli effetti degli interventi di attuazione della presente legge, con particolare Pag. 30riferimento agli effetti sull'efficienza del mercato del lavoro, sull'occupabilità dei cittadini e sulle modalità di entrata e uscita nell'impiego, anche ai fini dell'adozione dei decreti integrativi e correttivi.
  Osserva che l'articolo 7 prevede che, ai fini del calcolo delle indennità dovute dal datore di lavoro, l'anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell'impresa che subentra nell'appalto si computa tenendo conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell'attività appaltata. Fa notare, poi, che l'articolo 8 disciplina il computo delle indennità dovute dal datore di lavoro per frazioni di anno, prevedendo che le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.
  Rileva che l'articolo 9 disciplina l'applicazione della normativa nelle piccole imprese e nelle organizzazioni di tendenza. Il comma 1 dispone, per le aziende fino a 15 dipendenti, la non applicabilità della tutela reale in caso di licenziamento disciplinare illegittimo e il dimezzamento delle indennità dovute dal datore di lavoro, che non possono comunque superare il limite di sei mensilità. Il dimezzamento e il limite di sei mensilità si applicano anche alle somme offerte ai fini della conciliazione di cui all'articolo 6. La disposizione non esclude espressamente l'applicabilità alle imprese al di sotto delle soglie dimensionali previste dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del comma 3 dell'articolo 3 e pare quindi doversi interpretare nel senso dell'introduzione anche per questi soggetti di un'area di tutela reale, non prevista dalla normativa vigente, nel caso di licenziamento illegittimo per motivo consistente nella mancata giustificazione in ordine all'inidoneità fisica o psichica del lavoratore. Per converso, i criteri di calcolo previsti sono suscettibili di determinare una riduzione dell'importo delle indennità riconosciute in caso di licenziamento rispetto a quelli riconosciuti ai lavoratori già assunti.
  Osserva che il comma 2 prevede che la disciplina contenuta nel provvedimento si applichi anche alle cosiddette organizzazioni di tendenza, ossia ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto. Con riferimento all'applicazione della disciplina del decreto in esame alle organizzazioni di tendenza, ritiene che – al fine di sgombrare il campo da possibili equivoci – sia opportuno che il Governo confermi che il tenore della disposizione sia tale da non incidere sul consolidato orientamento giurisprudenziale che ritiene legittimo il licenziamento ideologico, irrogato per ragioni connesse alla tutela della «tendenza» dell'organizzazione. Si introdurrebbe, invece, una tutela reintegratoria, ora non prevista, per le fattispecie indicate dall'articolo 3, commi 2 e 3.
  Fa notare, quindi, che l'articolo 10 disciplina le conseguenze del licenziamento collettivo illegittimo, nel senso di una riduzione dell'area della tutela reale e, contemporaneamente, di un ampliamento dell'area della tutela obbligatoria. In particolare, la disposizione prevede l'applicazione della tutela reale nel solo caso in cui il licenziamento sia stato intimato senza l'osservanza della forma scritta e l'applicazione della tutela obbligatoria di cui all'articolo 3, comma 1, nel caso di violazione delle disposizioni relative alla procedura sindacale e ai criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Per quanto riguarda questa previsione, ritiene che si debba valutare se l'espressione «licenziamenti economici», utilizzata dalla delega di cui alla legge n. 183 del 2014, possa ritenersi riferibile anche i licenziamenti collettivi. Se così non fosse, saremmo in presenza, a suo avviso, di un eccesso di delega, da correggere in sede di adozione definitiva del provvedimento, al fine di non incorrere in una declaratoria di illegittimità costituzionale dell'articolo 10. In ogni caso, ritiene che debba essere tenuta nella dovuta considerazione la circostanza che, nel corso della discussione svoltasi in ambito parlamentare in occasione dell'approvazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183, si è sempre considerato che l'esclusione, Pag. 31per i lavoratori assunti con il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, dell'applicazione di sanzioni di tipo conservativo per i licenziamenti economici, si riferisse alle sole fattispecie relative a licenziamenti individuali, non essendo in discussione la disciplina dei licenziamenti collettivi di cui alla legge 23 luglio 1991, n. 223, e successive modificazioni. Anche al di là di queste considerazioni, occorre interrogarsi se l'effetto delle nuove disposizioni sia ragionevole o se, piuttosto, non rischi di determinare disparità di trattamento e situazioni di difficile gestione. In un'azienda con più di 15 dipendenti che effettui licenziamenti collettivi che riguardino tanto lavoratori già in servizio quanto lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti, in caso di mancato rispetto dei criteri di scelta previsti dalla legge, i vecchi assunti sarebbero reintegrati, mentre ai nuovi assunti sarebbe riconosciuta solo una tutela indennitaria.
  Osserva, poi, che l'articolo 11 esclude per i licenziamenti oggetto del provvedimento l'applicazione dell'articolo 1, commi da 47 a 68, della cosiddetta «legge Fornero», con cui è stata introdotta una disciplina processuale speciale per le controversie derivanti dai licenziamenti di cui all'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In proposito, a suo giudizio, occorre considerare che il cosiddetto «rito Fornero» previsto dall'articolo 1, commi da 47 a 68, della legge n. 92 del 2012, si applica alle sole controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. L'articolo in esame esclude l'estensione di tale rito, che ha la finalità di accelerare la definizione delle controversie, alle impugnazioni dei licenziamenti dei lavoratori assunti successivamente all'entrata in vigore del presente decreto. Sul punto, nell'osservare che non si tratta di una materia espressamente presa in considerazione nell'ambito dei criteri di delega di cui all'articolo 1, comma 7, della legge n. 183 del 2014, rileva l'opportunità di una riflessione più approfondita sul tema della disciplina processuale delle controversie aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti illegittimi. Ritiene, infatti, che si debba valutare con attenzione la ragionevolezza di una scelta che segmenta la disciplina applicabile anche sul piano processuale, con la previsione di due riti alternativi in base alla data di assunzione dei lavoratori licenziati. Se si intende intervenire sulla normativa processuale dei licenziamenti, a suo avviso, è opportuno farlo in modo organico per tutte le fattispecie.
  Fa presente, infine, che l'articolo 12 prevede, in conformità a quanto stabilito dalla legge delega, che il decreto legislativo entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.
  Dopo aver auspicato che il lavoro parlamentare possa contribuire ad affrontare le questioni sollevate nella sua relazione, nonché ulteriori elementi che dovessero emergere nel corso del dibattito e delle prossime audizioni, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame del provvedimento ad altra seduta.

Schema di decreto legislativo recante disposizioni per il riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali in caso di disoccupazione involontaria e di ricollocazione dei lavoratori disoccupati.
Atto n. 135.

(Esame e rinvio).

  Cesare DAMIANO, presidente, segnala preliminarmente che il Presidente della Camera ha proceduto all'assegnazione del provvedimento alla Commissione sebbene tale atto non sia corredato dal prescritto parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e province autonome di Trento e di Bolzano, in considerazione della particolare importanza attribuita dal Governo al seguito tempestivo del procedimento, segnalata all'atto della sua trasmissione da parte dell'Esecutivo. Fa presente che la presidenza della Camera ha richiamato tuttavia l'esigenza che la Commissione non concluda il Pag. 32proprio esame pronunciandosi definitivamente sullo schema di decreto legislativo prima che il Governo abbia provveduto a integrare la richiesta di parere trasmettendo il prescritto parere.
  Ricorda che, anche in questo caso, la discussione potrà proseguire dopo la conclusione del ciclo di audizioni informali che si avvierà nella giornata di mercoledì 21 gennaio 2015.

  Marialuisa GNECCHI (PD), relatore, richiamando il testo della propria relazione, che è a disposizione dei componenti della Commissione, osserva che lo schema di decreto legislativo n. 135 è adottato in attuazione dell'articolo 1, commi 1 e 2, della legge n. 183 del 2014, che ha delegato il Governo, «allo scopo di assicurare, in caso di disoccupazione involontaria, tutele uniformi e legate alla storia contributiva dei lavoratori, di razionalizzare la normativa in materia di integrazione salariale e di favorire il coinvolgimento attivo di quanti siano espulsi dal mercato del lavoro ovvero siano beneficiari di ammortizzatori sociali, semplificando le procedure amministrative e riducendo gli oneri non salariali del lavoro», ad adottare, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, uno o più decreti legislativi finalizzati al riordino della normativa in materia di ammortizzatori sociali, tenuto conto delle peculiarità dei diversi settori produttivi e, in particolare, della lettera b), che, con riferimento agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, ha stabilito i seguenti principi e criteri direttivi: 1) rimodulazione dell'Assicurazione sociale per l'impiego (ASpI), con omogeneizzazione della disciplina relativa ai trattamenti ordinari e ai trattamenti brevi, rapportando la durata dei trattamenti alla pregressa storia contributiva del lavoratore; 2) incremento della durata massima per i lavoratori con carriere contributive più rilevanti; 3) universalizzazione del campo di applicazione dell'ASpI, con estensione ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, fino al suo superamento, e con l'esclusione degli amministratori e sindaci, mediante l'abrogazione degli attuali strumenti di sostegno del reddito, l'eventuale modifica delle modalità di accreditamento dei contributi e l'automaticità delle prestazioni, e prevedendo, prima dell'entrata a regime, un periodo almeno biennale di sperimentazione a risorse definite; 4) introduzione di massimali in relazione alla contribuzione figurativa; 5) eventuale introduzione, dopo la fruizione dell'ASpI, di una prestazione, eventualmente priva di copertura figurativa, limitata ai lavoratori, in disoccupazione involontaria, che presentino valori ridotti dell'indicatore della situazione economica equivalente, con previsione di obblighi di partecipazione alle iniziative di attivazione proposte dai servizi competenti. Fa notare che lo schema di decreto legislativo è adottato, inoltre, per quanto concerne il contratto di ricollocazione di cui all'articolo 17 del provvedimento, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, lettera p), della legge n. 183 del 2014, che ha delegato il Governo alla «introduzione di princìpi di politica attiva del lavoro che prevedano la promozione di un collegamento tra misure di sostegno al reddito della persona inoccupata o disoccupata e misure volte al suo inserimento nel tessuto produttivo, anche attraverso la conclusione di accordi per la ricollocazione che vedano come parte le agenzie per il lavoro o altri operatori accreditati, con obbligo di presa in carico, e la previsione di adeguati strumenti e forme di remunerazione, proporzionate alla difficoltà di collocamento, a fronte dell'effettivo inserimento almeno per un congruo periodo, a carico di fondi regionali a ciò destinati, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica statale o regionale». Per l'attuazione di tale disposizione l'articolo 1, comma 4, della legge delega prevede, diversamente dall'articolo 1, comma 1, di cui si è detto in precedenza, la «previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome». Osserva che lo schema di decreto Pag. 33legislativo si compone di 19 articoli, suddivisi in cinque titoli, riguardanti, rispettivamente, la nuova assicurazione sociale per l'impiego (Titolo I), l'indennità di disoccupazione per i collaboratori (Titolo II), l'assegno di disoccupazione (Titolo III), il contratto di ricollocazione (Titolo IV) e le disposizioni finanziarie e finali (Titolo V). Fa notare che l'articolo 1 istituisce, a decorrere dal 1o maggio 2015, una nuova indennità mensile di disoccupazione, denominata nuova prestazione di assicurazione sociale per l'impiego (NASpI), che sostituisce le prestazioni di ASpI e mini-ASpI, previste dalla normativa vigente. Osservato che l'articolo 2 individua i destinatari della nuova indennità nei lavoratori dipendenti, con esclusione dei lavoratori a tempo indeterminato delle pubbliche amministrazioni e degli operai agricoli, fa notare che l'articolo 3 definisce i requisiti per il riconoscimento della nuova indennità. La NASpI è riconosciuta ai lavoratori che abbiano perso la propria occupazione involontariamente, i quali presentino congiuntamente i seguenti requisiti: siano in stato di disoccupazione; possano far valere, nei quattro anni precedenti, almeno 13 settimane di contribuzione; possano far valere 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l'inizio del periodo di disoccupazione. La NASpI è riconosciuta, inoltre, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro sia cessato a seguito di dimissioni per giusta causa o per risoluzione consensuale. Ritiene, in proposito, che sia necessario precisare in modo esplicito che continuano a dare diritto alle prestazioni dell'assicurazione sociale dimissioni volontarie delle donne durante il periodo tutelato di maternità.
  Fa presente, poi, che l'articolo 4 individua i criteri per il calcolo e la misura dell'indennità. La NASpI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi quattro anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata per il numero 4,33. Nei casi in cui la retribuzione mensile sia inferiore nel 2015 all'importo di 1.195 euro, l'indennità è pari al 75 per cento della retribuzione. L'indennità non può in ogni caso superare nel 2015 l'importo massimo mensile di 1300 euro mensili. L'indennità è ridotta progressivamente nella misura del 3 per cento al mese dal primo giorno del quarto mese di fruizione. Segnala, poi, che l'articolo 5 prevede che la NASpI venga corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi quattro anni. Ai fini del calcolo della durata non sono computati i periodi contributivi che hanno già dato luogo ad erogazione di prestazioni di disoccupazione. Per gli eventi di disoccupazione verificatisi dal 2017 la durata della prestazione è limitata a un massimo di 78 settimane.
  Rileva, quindi, che l'articolo 6 dispone che la domanda per accedere alla NASpI debba essere presentata all'INPS in via telematica entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro; la NASpI spetta a decorrere dall'ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, qualora la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla presentazione della domanda.
  Evidenzia che l'articolo 7 prevede che l'erogazione della NASpI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti, nonché al rispetto delle ulteriori misure volte a condizionare la fruizione dell'indennità alla ricerca attiva di un'occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo, secondo quanto sarà previsto dal decreto legislativo di attuazione dell'articolo 1, comma 3, della delega, relativo alle politiche attive del lavoro. Le modalità di attuazione delle disposizioni, anche al fine di definire le sanzioni in caso di mancato adempimento degli obblighi di partecipazione alle azioni di politica attiva, sono rimesse a un decreto non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, da adottare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo.
  Fa presente che l'articolo 8 riconosce al lavoratore avente diritto alla NASpI la Pag. 34possibilità di richiederne, con riferimento agli importi non ancora erogati, la liquidazione anticipata, in unica soluzione, al fine di avviare un'attività di lavoro autonomo o in forma di impresa individuale o di associarsi in cooperativa. In tale ultima ipotesi l'indennità è volta alla sottoscrizione di una quota di capitale sociale di una cooperativa nella quale il rapporto mutualistico abbia ad oggetto la prestazione di attività lavorative da parte del socio. Nei casi in cui il lavoratore instauri un rapporto di lavoro subordinato prima della scadenza del periodo per cui è riconosciuta la NASpI è tenuto a restituire per intero l'anticipazione ottenuta.
  Osserva che l'articolo 9 disciplina la compatibilità e la cumulabilità della NASpI con un rapporto di lavoro subordinato. A tal fine si prevede, in primo luogo, che il lavoratore il quale instauri, mentre sta beneficiando della NASpI, un rapporto di lavoro subordinato da cui derivi un reddito annuale superiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, decade dalla prestazione, a meno che la durata del rapporto di lavoro non superi i sei mesi; in tal caso la prestazione è sospesa d'ufficio per tutta la durata del rapporto di lavoro. Nel caso in cui il lavoratore instauri, mentre sta beneficiando della NASpI, un rapporto di lavoro subordinato da cui derivi un reddito annuale inferiore al reddito minimo escluso da imposizione fiscale, ha diritto al mantenimento della prestazione in misura ridotta (riduzione pari all'80 per cento del reddito previsto), a condizione che comunichi entro un mese all'INPS l'inizio dell'attività e il reddito annuo previsto e che il datore di lavoro sia diverso da quello per il quale il lavoratore prestava la sua attività quando è cessato il rapporto di lavoro che ha determinato il diritto alla NASpI). Il diritto al mantenimento della prestazione, sebbene in misura ridotta, vale anche per il lavoratore titolare di più rapporti di lavoro subordinato a tempo parziale che cessi da uno di essi, a condizione che il reddito residuo sia inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione. In ogni caso, la contribuzione relativa all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti versata in relazione all'attività di lavoro subordinato non dà luogo ad accrediti contributivi.
  Rileva che l'articolo 10 disciplina la compatibilità e la cumulabilità della NASpI con un rapporto di lavoro autonomo o di impresa individuale. A tal fine si prevede che nel caso in cui il lavoratore intraprenda, mentre sta beneficiando della NASpI, un'attività lavorativa autonoma o di impresa individuale da cui derivi un reddito annuale inferiore al limite utile ai fini della conservazione dello stato di disoccupazione, l'indennità è ridotta di un importo pari all'80 per cento del reddito previsto. La contribuzione relativa all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti versate in relazione all'attività di lavoro autonomo non dà luogo ad accrediti contributivi ed è riversata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti dell'INPS.
  Fa presente che l'articolo 11 elenca le cause di decadenza dalla NASpI, così individuate: perdita dello stato di disoccupazione; inizio di un'attività lavorativa subordinata, autonoma o di impresa individuale, senza provvedere alle comunicazioni richieste; raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato; acquisizione del diritto all'assegno ordinario di invalidità (salvo il diritto del lavoratore di optare per la NASpI); violazione delle regole di condizionalità di cui all'articolo 7.
  Osserva, poi, che l'articolo 12 introduce, in conformità a uno dei principi di delega, un limite alla contribuzione figurativa (inerente al periodo di godimento della NASpI), prevedendo che, per il computo di tale contribuzione, rapportata, in linea di principio, alla base retributiva di calcolo della NASpI, si applichi un limite pari a 1,4 volte la misura massima mensile per l'anno in corso della NASpI. Le retribuzioni computate entro tali limiti sono escluse dal computo della retribuzione pensionabile qualora esse, rivalutate fino alla data di decorrenza della pensione, Pag. 35siano inferiori alla retribuzione pensionabile media relativa ai restanti periodi di storia contributiva del soggetto.
  Fa presente che l'articolo 13 dispone che dal 1o maggio 2015 anche ai soci lavoratori di cooperative ed al personale artistico con contratto di lavoro subordinato la NASpI sia corrisposta nella misura determinata per la generalità dei beneficiari, evidenziando che l'articolo 14 rinvia, per quanto non previsto dal provvedimento, alle disposizioni che disciplinano l'ASpI, in quanto compatibili.
  Osserva che il Titolo II, composto del solo articolo 15, disciplina la nuova indennità di disoccupazione per i titolari di contratto di collaborazione coordinata e continuativa (DIS-COLL). Al riguardo, fa presente che l'articolo 15 prevede, in via sperimentale per il 2015 e in relazione ai nuovi eventi di disoccupazione involontaria verificatisi nel corso del 2015, il riconoscimento ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell'INPS, che non siano pensionati o titolari di partita IVA, di una nuova indennità di disoccupazione mensile denominata DIS-COLL. I requisiti che i lavoratori debbono possedere per il riconoscimento delle indennità sono: lo stato di disoccupazione al momento della presentazione della domanda; almeno tre mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il 1o gennaio dell'anno solare precedente la cessazione dell'attività lavorativa e la cessazione dell'attività stessa; almeno un mese di contribuzione, oppure un rapporto di collaborazione di durata almeno pari a un mese dal quale sia derivato un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di un mese di contribuzione, nell'anno solare in cui si verifica la cessazione dell'attività lavorativa. Rileva che l'indennità è rapportata al reddito imponibile ai fini previdenziali derivante da rapporti di collaborazione dell'anno in cui si è verificata la cessazione dell'attività lavorativa e dell'anno solare precedente, diviso per il numero di mesi di contribuzione (o frazioni di essi) ed è pari al 75 per cento del reddito medio mensile così calcolato. L'indennità non può in ogni caso superare l'importo massimo mensile di 1.300 euro nel 2015. A decorrere dal primo giorno del quarto mese di fruizione dell'indennità è ridotta progressivamente nella misura del 3 per cento al mese. L'indennità è corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione versata nel periodo intercorrente tra il 1o gennaio dell'anno solare precedente la cessazione dell'attività lavorativa e la cessazione dell'attività stessa; in ogni caso, la durata massima dell'indennità non può superare i sei mesi. Per i periodi di fruizione dell'indennità non sono riconosciuti i contributi figurativi. La domanda per accedere all'indennità deve essere presentata all'INPS, in via telematica, entro il termine di decadenza di 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. L'indennità spetta a decorrere dall'ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto di lavoro o, nel caso in cui la domanda sia presentata successivamente a tale data, dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda. L'erogazione dell'indennità è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai Servizi competenti, nonché al rispetto delle ulteriori misure volte a condizionare la fruizione dell'indennità alla ricerca attiva di un'occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo, secondo quanto sarà previsto dal decreto legislativo di attuazione dell'articolo 1, comma 3, della delega, relativo alle politiche attive del lavoro. Nel caso in cui il beneficiario dell'indennità svolga attività lavorativa di natura subordinata, decade dal diritto all'indennità nel caso in cui il rapporto di lavoro abbia durata superiore a cinque giorni; in caso contrario l'indennità viene sospesa d'ufficio e riprende a decorrere al termine del periodo di sospensione. Nel caso in cui il beneficiario svolga, invece, attività lavorativa autonoma o di impresa individuale, da cui i ricavi un reddito inferiore al limite di reddito che consente alla conservazione dello stato di disoccupazione, Pag. 36e comunichi all'INPS, entro un mese dall'inizio dell'attività, il reddito annuo che prevede di ricavare, ha diritto al mantenimento dell'indennità in misura ridotta di un importo pari all'80 per cento del reddito presunto. I soggetti già beneficiari dell'indennità una tantum prevista dall'articolo 2, commi da 51 a 56, della legge n. 92 del 2012 fruiscono fino al 31 dicembre 2015 esclusivamente della nuova indennità, restando salvi i diritti maturati in relazione agli eventi di disoccupazione già verificatisi Le risorse finanziarie già stanziate ai sensi della normativa vigente per l’una tantum a favore dei collaboratori concorrono, per l'anno 2015, al finanziamento degli oneri derivanti dall'attuazione della nuova indennità. Segnala, infine, che si prevede che con successivi provvedimenti legislativi possano essere individuate le risorse finanziarie necessarie per l'eventuale estensione dell'indennità agli anni successivi al 2015.
  Fa presente che il Titolo III, composto del solo articolo 16, istituisce e disciplina, a decorrere dal 1o maggio 2015 e in via sperimentale per l'anno 2015, l'assegno di disoccupazione (ASDI) destinato ai soggetti che abbiano fruito della NASpI per l'intera sua durata entro il 31 dicembre 2015 i quali, privi di occupazione, si trovino in una condizione economica di bisogno (lavoratori appartenenti a gruppi familiari in cui sono presenti minori o con un'età prossima al raggiungimento dei requisiti di accesso al trattamento pensionistico). Rileva che l'assegno è in ogni caso erogato entro il limite delle risorse assegnate al fondo appositamente istituito nello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, pari a 200 milioni di euro nel 2015 e a 200 milioni di euro nel 2016. Le domande sono presentate all'INPS, che riconosce il beneficio in base all'ordine cronologico di presentazione delle medesime e, nel caso di insufficienza delle risorse, non prende in considerazione ulteriori domande. L'assegno è erogato mensilmente per una durata massima di sei mesi e il suo importo è pari al 75 per cento dell'ultima indennità NASpI percepita e, comunque, non superiore all'assegno sociale, incrementato per gli eventuali carichi familiari. Fa presente che, al fine di incentivare la ricerca attiva di lavoro da parte del beneficiario si prevede che i redditi derivanti da nuova occupazione possano essere parzialmente cumulati con l'assegno, la cui erogazione è comunque condizionata all'adesione del beneficiario ad un progetto personalizzato di inserimento nel mercato del lavoro redatto dai competenti servizi per l'impiego. Osserva che la definizione delle modalità attuative del nuovo assegno, per quanto non espressamente previsto nel provvedimento, è rinviata a un successivo decreto di natura non regolamentare del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore del provvedimento. Il decreto dovrà definire: la situazione economica di bisogno del nucleo familiare, valutata con riferimento all'ISEE; i criteri di priorità nell'accesso al beneficio in caso di risorse insufficienti ad erogare l'ASDI ai lavoratori più bisognosi; gli incrementi dell'ASDI per carichi familiari del lavoratore; i limiti e i criteri di cumulabilità dei redditi da lavoro conseguiti durante il periodo di fruizione dell'ASDI; le caratteristiche del progetto personalizzato e gli obblighi e sanzioni connessi alla sua realizzazione; i flussi informativi tra i servizi per l'impiego e l'INPS volti ad alimentare il sistema informativo dei servizi sociali; i controlli volti ad evitare l'indebita fruizione della prestazione; le modalità di erogazione attraverso uno strumento di pagamento elettronico.
  Fa notare che il Titolo IV, composto del solo articolo 17, disciplina il contratto di ricollocazione, in attuazione dell'articolo 1, comma 4, lettera p), della legge delega. La disposizione prevede l'istituzione, presso l'INPS, del Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, con una dotazione di 50 milioni di euro per il 2015 e di 20 milioni per il 2016. Tali risorse derivano dal trasferimento di quelle già in dotazione al vigente Fondo per le politiche attive del lavoro, peraltro Pag. 37non ancora attuato, nonché, per il 2015, dall'ulteriore somma di 32 milioni di euro, a valere sulle entrate derivanti dal contributo di licenziamento a carico dei datori di lavoro. Il Fondo è destinato a finanziare gli interventi a favore dei soggetti licenziati illegittimamente per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo, i quali hanno diritto a ricevere dal centro per l'impiego territorialmente competente un voucher, che può essere presentato presso un'agenzia per il lavoro, pubblica o privata accreditata, ai fini dell'esercizio del diritto alla stipulazione di un contratto di ricollocazione. Il contratto di ricollocazione prevede: il diritto del lavoratore ad un'assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore da parte dell'agenzia per il lavoro; il diritto del lavoratore alla realizzazione, da parte dell'agenzia stessa, di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale, mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti ed appropriati, in relazione alle capacità del lavoratore ed alle condizioni del mercato del lavoro nella zona in cui il soggetto sia stato preso in carico; l'obbligo del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l'agenzia nelle iniziative da essa predisposte. L'agenzia ha diritto alla riscossione del compenso – cioè, del voucher – soltanto «a risultato ottenuto»; l'ammontare del voucher deve essere proporzionato alle difficoltà di collocamento sottese al profilo personale di occupabilità.
  Con riferimento alle disposizioni del Titolo V, che detta le disposizioni finanziarie e finali, fa notare che l'articolo 18 reca la copertura finanziaria del provvedimento, disponendo che ai maggiori oneri derivanti dalla disciplina della NASpI, della DIS-COLL e dell'ASDI, pari complessivamente a 869 milioni di euro per l'anno 2015, 1.774 milioni di euro per l'anno 2016, 1.902 milioni di euro per l'anno 2017, 1.794 milioni di euro per l'anno 2018, 1.707 milioni di euro per l'anno 2019, 1.706 milioni di euro per l'anno 2020, 1.709 milioni di euro per l'anno 2021, 1.712 milioni di euro per l'anno 2022, 1.715 milioni di euro per l'anno 2023 e 1.718 milioni di euro a decorrere dall'anno 2024, si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge n.190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015). Osserva, infine, che l'articolo 19 stabilisce che il decreto entri in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale, secondo quanto previsto dalla delega, all'articolo 1, comma 15, della legge n. 183 del 2014.

  Cesare DAMIANO, presidente, nessuno chiedendo di intervenire, rinvia il seguito dell'esame ad altra seduta.

  La seduta termina alle 15.35.